LEGGE 54/06. L`ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA NEL
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LEGGE 54/06. L`ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA NEL
LEGGE 54/06. L’ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA NEL PRIMO ANNO DI APPLICAZIONE MILENA PINI Avvocato in Milano Presidente AIAF Lombardia Il primo anno di applicazione della legge 8.2.2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso) ha visto l’affermarsi di un orientamento della giurisprudenza di merito nel prevalente segno della continuità con il pregresso orientamento della Cassazione su numerose questioni relative all’espletamento della funzione genitoriale e al mantenimento dei figli, che si era consolidato nel corso degli anni. Sopite le manifestazioni di piazza e le più estreme rivendicazioni del movimento dei padri separati, che avevano fatto temere un rilevante aumento del contenzioso giudiziario anche in sede di modifica di pregressi accordi tra le parti, si è viceversa registrato quasi un effetto placebo della legge 54/06 su tali accese posizioni. I non allarmanti dati di aumento dei procedimenti di separazione, divorzio e relative modifiche, che rientrano nella fisiologia del fenomeno, consentono di affermare che l’affidamento condiviso introdotto dalla l. 54/06 ha avuto, in generale e sotto il profilo culturale, il positivo effetto di rassicurare i padri circa il mantenimento delle loro funzioni genitoriali al momento della separazione o del divorzio, e di sollecitare i genitori separati ad una effettiva collaborazione nell’interesse dei figli. In sede di applicazione, la legge 54/06 ha peraltro evidenziato le lacune di un testo legislativo che era stato molto criticato nella lunga fase che ne aveva preceduto la raffazzonata approvazione in periodo prelettorale. Dall’esame delle pronunce dei giudici di merito emesse in questo primo anno di applicazione, si possono enucleare alcune questioni su cui già si è registrato un orientamento pressocchè unanime, e altre in merito alle quali sono emerse posizioni contrastanti1. L’AFFIDAMENTO CONDIVISO La definizione di affidamento condiviso e la sua pratica applicazione sono le due questioni principali su cui si è incentrata l’elaborazione giurisprudenziale della l. 54/06, nel cui testo non si rinviene una precisa definizione dell’affidamento condiviso, né di quello esclusivo, e non si fa più menzione dell’affidamento congiunto e dell’affidamento alternato che erano previsti dall’art. 6, co. 2, l. 1.12.1970 n. 898. Nel testo di legge non viene neppure indicato come debba essere regolamentato l’affidamento condiviso, se e dove collocare i figli. La giurisprudenza di merito, con voce unanime, ha interpretato il novellato art. 155 c.c. - che riconosce al figlio minore il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, e di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi - sostenendo che per realizzare detta esigenza il giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, valutando prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori, salva la possibilità, in deroga a tale principio, di disporre l’affidamento esclusivo, e pertanto alla luce della nuova normativa (nell’interesse dei minori, e non già nell’interesse del genitore) la regola è l’affidamento condiviso, mentre l’eccezione (giustificata da validi e comprovati motivi) è l’affidamento esclusivo (v. Trib. Catania, ord. 24 aprile 2006, Pres. E rel. Escher, B.c.V.; Trib. Bologna, sent. 10 aprile 2006, n. 800). 1 Le pronunce dei giudici di merito sull’affidamento condiviso richiamate in questo articolo sono pubblicate per esteso sui siti www.minoriefamiglia.it dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, e www.affidamentocondiviso.it Unanime è l’orientamento secondo cui l’affidamento condiviso comporta, con l’esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori, una comune responsabilizzazione della coppia genitoriale2 e una condivisione delle decisioni di maggiore importanza. La giurisprudenza prevalente ritiene quindi che l’affidamento condiviso non determina una automatica parificazione di modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascuno dei genitori, bensì comporta l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi e l’impegno a concordare e attuare un progetto per l’educazione, la formazione, la cura e la gestione della prole, nel rispetto delle esigenze e delle richieste dei minori (Trib. Bologna, sent. 10 aprile 2006)3. Assolutamente minoritaria è la posizione che identifica l’istituto con il diritto ad una paritaria distribuzione di tempi e modalità di permanenza del figlio presso ciascun genitore (v. Trib. Chieti, ord. 28 giugno 2006, G.I. Medica, D.F. c. C., con la quale si è disposto che il minore di tre anni trascorra con la madre i giorni di lunedì e martedì e con il padre, che abita a circa 6 km. di distanza, il mercoledì ed il giovedì, pernottando nei giorni sopra indicati presso il genitore a cui è affidato, i fine settimana alternati dal sabato mattina al lunedì mattina, trascorrendo sempre il venerdì con il genitore a cui non spetta il fine settimana; Trib. Catania, sent. 12 luglio 2006, che ha suddiviso il tempo della figlia minore i primi tre giorni con la madre e gli altri tre con il padre e le domeniche alternate). Prevale dunque la tesi secondo la quale l’affidamento condiviso non si esplica nella forma dell’affidamento alternato, in quanto la convivenza alternata dei figli con i genitori (ad esempio a giorni o settimane alterne) può comportare problemi anche pratici tali da rendere la modalità non rispondente all’interesse dei figli (App. Bologna, decreto 17 maggio 2006, est. De Meo)4. 2 M. DELL’UTRI, L'affidamento condiviso. L'applicazione giurisprudenziale delle tutele sostanziali. Linee di una rassegna ‘ragionata’ (relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale, sul tema “L’affidamento condiviso”, Roma, 15-17 gennaio 2007, da www.csm.it/incontri): “Dalla scelta adottata dal legislatore emerge l’idea della ‘condivisione’ come regime di ‘responsabilizzazione’ dei genitori, nei confronti della prole minorenne, in relazione al quale deve ritenersi imprescindibile l’aspirazione ad una ‘convergente’, e pertanto ‘condivisa’ volontà dei genitori e degli stessi figli (là dove capaci di esprimere consapevolmente il proprio originale punto di osservazione) sui modi e le forme di organizzazione della propria vita per il tempo futuro.” 3 R. RUSSO, giudice del Tribunale di Messina, L’affidamento condiviso. Applicazione giurisprudenziale delle tutele sostanziali (relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale, sul tema “L’affidamento condiviso”, Roma, 15-17 gennaio 2007, da www.csm.it/incontri): “In tal senso la prassi, ad esempio del Tribunale di Messina: sebbene affidamento ad entrambi possa in qualche caso significare anche dual-residence, in casi particolarmente favorevoli, di norma al giudice spetta stabilire la residenza privilegiata del minore, provvedimento al quale segue quello sulla assegnazione delle casa coniugale e stabilire i tempi di permanenza del minore presso l’altro genitore, che tuttavia non ripetono lo schema del c.d. diritto di visita, ma fungono da cornice minima all’interno della quale si dà ampio spazio agli accordi tra i genitori ed anche alla stessa volontà del minore se in età da discernimento. E’ sempre prassi del Tribunale di Messina che almeno su questo punto (domiciliazione del minore e tempi di permanenza) si solleciti sin dalla fase presidenziale il raggiungimento un accordo anche parziale tra i genitori, che non di rado viene raggiunto con certa serenità, se nella consapevolezza delle parti che sarà recepito ma anche sottoposto a verifica nel corso del giudizio ed eventualmente modificato. Di solito nel provvedimento si aggiunge la clausola che “le modalità del provvedimento possono essere modificate per accordo tra i coniugi anche su richiesta dei figli e tenendo conto delle loro esigenze, purchè nel complessivo rispetto dei periodi di tempo riservati al rapporto tra il genitore non domiciliatario ed i figli minori.” 4 Trib. Messina, 18 luglio 2006 : “Il minore necessita di un riferimento abitativo stabile e di una organizzazione domestica coerente con le sue necessità di studi e di normale vita sociale: da qui la necessità di una collocazione privilegiata e di una regola organizzativa anche sui tempi da trascorrere con il genitore non domiciliatario. Si tratta, però, per l’appunto di una regola organizzativa e non limitativa (ovvero esaustiva) dei diritti e doveri del genitore che restano improntati alla regola della parità dei ruoli e che vengono esercitati non solo attraverso i tempi di frequentazione, ma anche con la facoltà di interloquire costantemente con l’altro genitore sulle vicende che riguardano i figli, con l’adozione concordata delle scelte di maggiore interesse, con l’assunzione di compiti di cura, educazione ed istruzione dei figli da parte di entrambi, nonché con l’assunzione, da parte di entrambi, di un reciproco dovere di informazione sulle questioni che riguardano la prole, molto più incisivo, per evidenti ragioni connesse alla diversità di dimora, di quello proprio dei genitori conviventi” Sulla ripartizione dei “tempi della presenza” del figlio presso l’uno e l’altro genitore5, emergono due orientamenti, tendente l’uno a regolamentare dettagliatamente la frequentazione del figlio con il genitore non collocatario (App. Trento ord. 24 agosto 2006; Trib. Catania ord. 21 aprile 2006), l’altro a lasciare ai genitori un ampio spazio di regolamentazione, quando non si registri tra loro una accesa conflittualità6. In Lombardia, secondo la ricerca effettuata dall’AIAF presso i tribunali delle due sedi distrettuali, in sede di emissione di provvedimenti presidenziali nei procedimenti contenziosi di separazione e divorzio risulta prevalere l’affidamento ad entrambi i genitori se vi è domanda da parte di entrambi e non sussistono comportamenti del genitore o fatti che possano far ritenere tale provvedimento contrario all’interesse del minore; è di prassi anche il collocamento permanente presso un genitore e la regolamentazione di un’ampia frequentazione tra il minore e il genitore non collocatario. LA RILEVANZA DELLA CONFLITTUALITA’ AI FINI DELL’AFFIDAMENTO L’eventuale conflittualità esistente tra i genitori non è più motivo di per sé sufficiente ad escludere l’affidamento condiviso, in quanto, si è affermato, diversamente avrebbe solo un applicazione residuale, e ciò anche considerato che l’uno dei coniugi potrebbe strumentalmente innescare in via unilaterale i conflitti al fine di orientare il giudice verso un affidamento esclusivo (Trib. Catania, ord. 18 maggio 2006; Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano; App. Bologna, decreto 17 maggio 2006, est. De Meo)7. Semmai l’ostinata ricerca del conflitto con l’altro genitore può comportare ai sensi del nuovo art. 155-bis c.c. una modifica dell’affidamento. Nell’ipotesi di conflittualità, si rileva un orientamento prevalente dei tribunali della Lombardia nel consigliare ai genitori di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare, e spesso, nei casi più gravi, si dispone una consulenza tecnica d’ufficio o una verifica della situazione da parte dei servizi psicosociali territorialmente competenti, sulla situazione familiare e le capacità genitoriali. Peraltro anche nelle conclusioni delle relazioni peritali si rileva una netta inversione di tendenza rispetto all’orientamento precedente alla riforma, in quanto mentre prima, in presenza di conflittualità tra i genitori, si prendeva netta posizione contro l’affidamento congiunto, ora si 5 M. DELL’UTRI, L'affidamento condiviso, cit.: “L’espressione che allude ai ‘tempi della presenza’ del figlio presso ciascun genitore vale a confermare, sotto una diversa e concorrente prospettiva, la scomparsa dell’idea di una possibile ‘gerarchia’ dei ruoli genitoriali, che l’impropria e mortificante nozione del ‘diritto di visita’ aveva finito per nascondere ed implicare in modo surrettizio. 6 M. DELL’UTRI, L'affidamento condiviso, cit.: “Una prima osservazione induce ad interrogarsi sull’effettiva opportunità, o financo la necessità, che il giudice provveda, sempre e comunque, a dettare una specifica o minuta regolamentazione dei tempi della presenza del minore presso i genitori, o se non sia vice-versa raccomandabile lasciare uno spazio adeguatamente fruibile dalle parti nel quadro di una più flessibile gestione degli impegni educativi o dei tempi dello svago.” 7 Trib. Catania, ord. 18 maggio 2006 : “in tema di affidamento dei figli minori, alla luce della ratio legis sottesa alla novella, la sussistenza di una notevole conflittualità tra i coniugi, di per sé, non è ostativa all’affidamento condiviso; ne consegue che l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori può essere disposto soltanto in presenza di elementi che travalicano i limiti dell’ordinaria conflittualità, in presenza dei quali l’affidamento condiviso risulterebbe contrario all’interesse morale e materiale del minore”. App. Bologna, decreto 17 maggio 2006: “in tema di affidamento della prole, la scelta operata dal legislatore a favore dell’affidamento condiviso non consente di ritenere la conflittualità tra i genitori elemento sufficiente, di per sé solo, a disporre l’affidamento esclusivo; l’inevitabile, e, in certa misura, fisiologica diversità di scelte educative tra i genitori è connaturata all’affidamento condiviso e, di per sé, non consente di superare la scelta della soluzione preferenziale adottata dal legislatore”. propone in analoghe situazioni l’affidamento condiviso. In tal caso i CTU consigliano un sostegno psicologico a uno o a entrambi i genitori, o la mediazione familiare se ve ne sono i presupposti. L’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO L’affidamento esclusivo, secondo l’orientamento che prevale, può essere adottato solo in via di eccezione, in presenza, secondo il disposto dell’art. 155-bis c.c, del manifestarsi di concrete ragioni che ritengano l’affidamento condiviso contrario all’interesse del minore, quali in via esemplificativa, la obiettiva lontananza del genitore, il suo stato di salute psichica, l’insanabile contrasto con i figli, la sua anomala condotta di vita, ad esempio se detenuto o altro (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano), ovvero il disinteresse e la mancanza di richiesta da parte del genitore (Trib. Catania, ord. 5 giugno 2006, Pres. ed est. Maiorana, P. c. C.). L’affidamento esclusivo può essere adottato anche qualora sia concordato tra le parti, poiché ai sensi dell’art. 155 c.c il giudice “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli degli accordi intervenuti tra i genitori”, e pertanto la norma va letta sganciandola dal successivo art.155 bis c.c. secondo cui deve valutarsi se il mancato affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano). La giurisprudenza è pressocchè unanime nel rispettare l’autonomia dei coniugi nella regolamentazione dei loro rapporti, anche genitoriali, fatto salvo il potere d’ufficio di verifica degli accordi che riguardano i figli minori, e di rifiuto dell’omologa del verbale di separazione consensuale laddove risultino palesemente contrari al loro interesse. Contrari a questo orientamento risultano i provvedimenti assunti dal Tribunale di Bologna (sent. 922 maggio 2006), dal Tribunale per i Minorenni di Trento (23 maggio 2006) e, costantemente, dal Tribunale di Como, che hanno disatteso l’accordo raggiunto dai genitori in ordine all’affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore, ed hanno imposto autoritativamente l’affidamento condiviso. LA POTESTA’ GENITORIALE Ai sensi del novellato art. 155, co. 3, c.c. la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, che devono assumere di comune accordo le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute degli stessi, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Poiché la legge 54/06 consente però un esercizio separato o disgiunto (che secondo alcuni è da intendersi come esclusivo) della potestà su questioni di ordinaria amministrazione, sono emersi sul punto diverse interpretazioni. Secondo alcuni giudici l’esercizio della potestà sulle questioni di ordinaria amministrazione deve essere attribuito in via esclusiva al genitore affidatario in caso di affidamento esclusivo (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano; in senso contrario Trib. Min. Trento, decreto 11 aprile 2006, Pres. ed est. SPINA, B.K. c. V.D., secondo cui l’esercizio della potestà spetta ad entrambi i genitori anche nel caso di affidamento esclusivo). Altri hanno disposto, nell’ambito dell’affidamento condiviso, che ciascun genitore eserciti in maniera separata ed esclusiva la potestà genitoriale limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione durante il tempo in cui il minore resterà presso lo stesso (Trib. Min. Bologna, decreto 26 aprile 2006, Pres. ed est. Magagnoli, G. c. G.; Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006, D. c. F.; Trib. Catania, ord. 24 aprile 2006, Pres. e Rel. Escher, B. c. V.; App. Trento, ord. 15 giugno 2006)8. 8 Nello stesso senso Trib. Messina; v. R. RUSSO, L’affidamento condiviso, cit. “Nella prassi del Tribunale di Messina, l’esercizio separato della potestà viene evidenziato sin dai provvedimenti provvisori con la formula “i genitori possono esercitare la potestà separatamente per le decisioni di ordinaria amministrazione in relazione ai rispettivi tempi di Si è anche disposto l’esercizio disgiunto della potestà genitoriale per le questioni di ordinaria amministrazione da parte del genitore che di volta in volta sia materialmente preposto alla cura della minore, in ragione di una elevata conflittualità tra i genitori (App. Trento, ord. 15 giugno 2006, Pres. Chimenz; Rel. Santaniello, R. c. J.B.), e si è sottolineato che la gestione condivisa dei figli non può significare immediata e capillare assunzione di decisioni unanimi in ordine alla quotidianità (App. Trento, ord. 24 agosto 2006, Pres. Nuzzi, est. Santaniello, B.R. c. B.M.G.) La prassi più seguita nel caso di affidamento esclusivo ad un genitore sembra quella che, ferma restando la titolarità della potestà ad entrambi i genitori, attribuisce l’esercizio della potestà sulle questioni di ordinaria amministrazione al solo genitore affidatario, e dispone che le decisioni di maggiore interesse relative all’istruzione, educazione e salute dei figli siano assunte di comune accordo dai genitori (App. Napoli, decreto 22 marzo 2006). Orientamento già pacifico nel periodo precedente alla riforma introdotta dalla legge 54/06. Queste pronunce evidenziano la difficoltà di trovare nel testo della legge 54/06 una soluzione all’incapacità dei genitori separati di dialogare e collaborare, che non può certo essere superata con l’affidamento condiviso, se inteso solo come dichiarazione di principio. Lo strumento della mediazione familiare dovrebbe perciò essere maggiormente consigliato dai giudici ed utilizzato dai genitori. L’APPLICAZIONE DELL’ART. 709 TER C.C. In caso di controversia circa le modalità dell’affidamento o l’esercizio della potestà, o le “decisioni di maggiore interesse” per i figli, la l. 54/06 ha introdotto con l’art. 709 ter c.c. la possibilità di proporre un ricorso al giudice (istruttore) avanti al quale pende il procedimento di separazione o divorzio, o, se il procedimento si è già concluso, avanti il tribunale (trattasi di procedimento camerale) ove il minore risiede. I provvedimenti ex art. 709 ter c.c. sinora emessi e noti sono scarsi. Nel caso di inadempimento di un padre al dovere di mantenere un rapporto costante e continuativo con i figli e all’obbligo di corrispondere il contributo al mantenimento della prole, questi è stato “ammonito” e “richiamato” all’adempimento dei propri obblighi sanciti dal provvedimento presidenziale, e condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, con avvertimento che in caso di protrazione dell’inottemperanza e di specifica prova dei danni, si sarebbe provveduto al risarcimento patrimoniale a suo carico (Trib. Modena, ord. 7 aprile 2006). In altro caso si è “invitato” il genitore (che frapponeva ostacoli alla frequentazione del figlio con l’altro genitore) ad astenersi da tale condotta pregiudizievole per il figlio, con l’avvertimento che il perdurare di tale comportamento potrà comportare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 709 ter c.p.c. (Trib. Catania, ord. 11 luglio 2006; G.I. Murana, F. c. T.). LE MODALITA’ DI CORRESPONSIONE DEL MANTENIMENTO PER I FIGLI MINORI La Cassazione, nella prima pronuncia in materia di affidamento a entrambi i genitori, ha affermato con chiarezza che il contributo al mantenimento del figlio è disposto nel suo esclusivo interesse e permanenza del minore presso di loro; le decisioni di maggiore interesse vanno adottate di comune accordo ed i coniugi devono reciprocamente e regolarmente informarsi sulle questioni significative relative al figlio.”. Altra possibilità è quella di ripartire le materie di competenza di ciascun genitore (sempre di ordinaria amministrazione) ma in questo modo si rischia di attribuire in realtà non già un esercizio separato di potestà – che diventa più o meno effettivo secondo i tempi di permanenza- ma esclusivo per materia.” attiene alla qualità della vita dello stesso, e pertanto non ha una valenza patrimoniale. Ove disposto, ha precisato la Suprema Corte, non può comportare necessariamente, in ordine al mantenimento dei figli, un pari obbligo patrimoniale a carico dei genitori, nel senso che dall’affidamento congiunto debba discendere l’obbligo per ciascun coniuge di provvedere in via diretta al mantenimento dei figli. Tale tipo di valutazione non può assolutamente essere consentita, sostiene la Cassazione, qualora si tenga conto che l’affidamento congiunto attiene all’interesse del minore dal punto di vista del suo sviluppo, del suo equilibrio psico- fisico, anche in considerazione di situazioni socioambientali, del perpetuarsi dello schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, mentre la corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli ha natura patrimoniale- assistenziale (cd assistenza materiale), ed è finalizzata a sostenere le spese necessarie per consentire le attività dirette a detto sviluppo psico-fisico del minore (senza esclusione del relativo obbligo in caso di raggiungimento della maggiore età da parte dei figli, ove detto assegno si renda comunque necessario fino al raggiungimento dell’autonomia economica). E’ pertanto censurabile la decisione che erroneamente fa derivare, come conseguenza automatica, dall’affidamento congiunto il principio che ciascun genitore provvede in modo diretto ed autonomo alle esigenze dei figli, in quanto “l’affidamento congiunto non può certo far venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza” (Cass., sez. I civile, sentenza 18.08.2006, n° 18187). La pronuncia della Suprema Corte contraddice l’orientamento – minoritario - della giurisprudenza di merito che aveva dato interpretazione all’art. 155 comma 4 c.c. (“il giudice stabilisce ove necessario la corresponsione dell’assegno”) in senso letterale e restrittivo, prevedendo un assegno all’altro genitore, collocatario, solo nel caso in cui la corresponsione diretta non copriva interamente il budget a carico del genitore non collocatario (Trib. Catania sentenza 12 luglio 2006; Trib. Catania, ord. 24 aprile 2006). Dalla ricerca dell’AIAF presso i tribunali della Lombardia è emerso che nessun tribunale dispone d’ufficio il mantenimento in forma diretta, e viene di regola disposto un contributo al mantenimento del figlio, minore o maggiorenne non autonomo, mediante corresponsione di un assegno mensile posto a carico del genitore non convivente con il figlio, e la suddivisione al 50% delle spese scolastiche, di salute, ricreative e sportive, fatto salvo ogni diverso accordo tra i genitori, nei limiti di legge. IL MANTENIMENTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE NON AUTONOMO L’art. 155-quinquies c.c. che prevede la possibilità per il giudice, in sede di separazione o divorzio, di riconoscere ai figli maggiorenni “non indipendenti economicamente” un assegno di mantenimento periodico, che “salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”, ha da subito sollevato interrogativi e perplessità. I problemi sollevati si incentravano sulla legittimazione del genitore convivente o dello stesso figlio a proporre la domanda di assegno, sui presupposti per il riconoscimento dell’assegno, sulle modalità di pagamento, etc. Quanto ai requisiti per la corresponsione del mantenimento a favore del figlio maggiorenne e alla legittimazione a proporre la relativa domanda, la giurisprudenza di merito ha mentenuto fermo il pregresso orientamento della Cassazione, ed è pertanto pacifica nel ritenere che la previsione della possibilità di corrispondere l’ assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne non fa venir meno la legittimazione del genitore con cui lo stesso convive di agire iure proprio per il relativo riconoscimento (App. Trento, ord. 6 luglio 2006, Pres. Chimenz, Rel. Santaniello, Z.c.R.; Trib. Messina, decreto 5 maggio 2006, Pres. Amato, Rel. Russo; Trib. Messina, ord. 31 ottobre 2006). E’ altrettanto pacifico che, in tema di mantenimento dei figli maggiorenni, la l. 54/06 non ha abrogato, o modificato, il sistema degli obblighi parentali inderogabili così come previsti dagli artt. 147 e 148 c.c., sicché costituisce, tuttora, un dovere inderogabile contribuire al mantenimento dei figli anche oltre la maggiore età e finché questi non abbiano conseguito una indipendenza economica. Ne consegue che l’unico significato che può attribuirsi alla locuzione “può disporre”, contenuta nell’art. 155-quinquies c.c., è quello della preliminare valutazione del giudice sulle condizioni effettive del figlio maggiorenne (Trib. Messina, decreto 5 maggio 2006, Pres. Amato, Rel. Russo). L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE L’assegnazione della casa familiare costituisce altra questione su cui si erano inizialmente incentrate forti preoccupazioni per una inversione di tendenza, contraria all’interesse dei figli e più favorevole alla salvaguardia del diritto di proprietà del genitore non collocatario. L’orientamento sin qui prevalente ha però confermato i criteri dettati dalla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, che nell’interesse del figlio minore o maggiorenne non autonomo economicamente attribuisce in godimento la casa al genitore collocatario o convivente, al fine di consentire al figlio di continuare a vivere nel suo consueto habitat domestico (Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006, D. c. F.; Trib. Catania, ord. 11 luglio 2006, G.I. Murana, F. c. T.; Trib. Catania, ord. 5 giugno 2006, Pres. ed est. Maiorana, P. c. C.; Cass. 13 febbraio 2006, n. 3030). Non sono però mancate pronunce di diverso orientamento o motivazione, come nel caso del Tribunale di Bari che ha assegnato la casa familiare «al genitore con cui il minore trascorrerà la maggior parte del proprio tempo» (Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006). Quanto alla disposizione che prevede il ‘venir meno’ del ‘diritto al godimento’ della casa familiare per il caso in cui l’assegnatario «non abiti o cessi di abitare stabilmente la casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio», ed in particolare per quanto riguarda l’ipotesi di convivenza o nuovo matrimonio, non si registra un significativo orientamento che abbia disposto l’”automatico” rilascio della casa familiare da parte del genitore collocatario e del figlio, ed anzi alcuni giudici di merito hanno ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale rimettendo gli atti alla Consulta (T. Busto Arsizio). LE QUESTIONI PROCESSUALI. LA COMPETENZA IN MATERIA DI AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI Quanto alle questioni di natura processuale emerse a seguito dell’applicazione della l.54/06, la più complessa riguarda la competenza funzionale in merito alla regolamentazione dei rapporti genitoriali nell’interesse dei figli naturali. Prima della entrata in vigore della l. 54/06, i genitori naturali si rivolgevano al Tribunale per i minorenni, competente secondo quanto previsto dall’art. 38 disp. att. c.c., con ricorso ex art. 317 bis c.c., per ottenere i provvedimenti inerenti l’affidamento del figlio e la regolamentazione del diritto di visita spettante al genitore non affidatario o collocatario, e al Presidente del Tribunale ordinario, con ricorso ex art. 148 c.c., per i provvedimenti relativi al mantenimento e all’assegnazione della casa familiare. La l. 54/06 ha esteso ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati l’applicabilità di tutte le disposizioni di legge, causando in sede applicativa un contrasto giurisprudenziale che si è espresso in diversi orientamenti. Secondo un primo orientamento, sostenuto dal Tribunale per i minorenni di Milano che si è dichiarato incompetente a decidere in materia di affidamento dei figli naturali (decreto 12 maggio 2006, est. Zamagni, cui hanno fatto seguito numerose pronunce dello stesso Tribunale, tutte conformi, v. decreto 7 luglio 2006, est. Domanico, V. c. R. V.; recentemente anche il Tribunale per i minorenni di Roma, con decreto del 23 ottobre 2006, si è espresso nello stesso senso), la l. 54/06 ha uniformato i procedimenti relativi all’esercizio della potestà sui figli naturali a quelli relativi ai figli legittimi non solo sotto il profilo sostanziale ma anche sotto il profilo processuale. Sotto il profilo sostanziale, la previsione dell’art. 317 bis c.c. che esclude dall’esercizio della potestà il genitore non convivente con il figlio, salvo attribuire al giudice il potere di disporre diversamente, non può oggi più ritenersi in vigore poichè, in caso contrario, si realizzerebbero illegittime ed irragionevoli disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali riconosciuti, avendo la novella sancito, per tutti i figli, il principio della bigenitorialità. Il giudice deve pertanto fare riferimento per le questioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli, legittimi e naturali, agli artt. 155 e ss. c.c., e non più agli artt. 317 bis e 148 c.c., in quanto la l. 54/06 prevede una disciplina unitaria che si riferisce all’affidamento dei figli, al diritto di visita nonché al mantenimento e all’assegnazione della casa. Non sembra pertanto possibile scindere le decisioni relative all’affidamento da quelle relative alle questioni economiche, ma, sostiene il T.M. di Milano, non appare convincente la tesi secondo cui il richiamo, da parte dell’art. 38 disp. att. c.c., dell’art. 317 bis c.c. che, a sua volta, avrebbe assorbito l’art. 155 c.c. riformato, avrebbe come conseguenza lo spostamento dell’intera competenza sull’affidamento e sul mantenimento dei figli naturali ai tribunali per i minorenni. L’autorità giudiziaria competente ad applicare la nuova disciplina nel caso dei figli naturali è, secondo il T.M. di Milano, il tribunale ordinario, che dovrà applicare a tali controversie il rito ex art. 706 e ss. c.p.c.. Un secondo orientamento sostiene viceversa che la competenza in materia di affidamento dei figli naturali permane in capo al tribunale per i minorenni in forza del combinato disposto degli artt. 317bis c.c. e 38 disp. att. c.c., mentre il tribunale ordinario continua ad essere competente in merito alle domande di mantenimento e di assegnazione della casa familiare (Trib. Milano, ord. 20 luglio 2006, Pres. Siniscalchi, Rel. Bonfilio, G. c. T.; conformi nel ritenere che la competenza in tema di affidamento di figli di genitori naturali spetti al tribunale per i minorenni: Trib. Min. Bologna, decreto 26 aprile 2006; Trib. Min. Trento, decreto 11 aprile 2006). Ritenendo la propria incompetenza per materia a conoscere una controversia in relazione alla quale il Tribunale per i minorenni di Milano si era in precedenza dichiarato incompetente, il Tribunale di Milano con ordinanza del 20.7.2006 ha disposto la trasmissione del procedimento alla Cassazione, richiedendo d’ufficio il regolamento di competenza. La nuova legge, si sostiene, non contiene alcuna nuova disposizione espressa in tema di competenza giurisdizionale a conoscere delle controversie ivi contemplate, e la mancata modifica dell’art. 38 disp. att. c.c. come il mancato coordinamento dell’art. 317 bis c.c. alla nuova disciplina sostanziale, fanno ritenere che il legislatore abbia voluto limitarsi ad estendere i nuovi principi e criteri sostanziali in tema di affidamento dei figli minori a tutti gli ambiti di possibile rilevanza applicativa, senza farsi carico della disciplina processualistica. Ne consegue che, secondo questa interpretazione, permane la competenza funzionale del tribunale per i minorenni per le controversie che riguardano l’affidamento e l’esercizio della potestà sui figli naturali. Altro orientamento sostiene che al tribunale per i minorenni spetti la competenza sia in materia di affidamento dei figli naturali, che di mantenimento e assegnazione della casa familiare. Il Tribunale di Monza, il cui territorio di competenza appartiene alla circoscrizione distrettuale del T.M. di Milano, pure ritenendosi incompetente a decidere in merito all’affidamento dei figli naturali, ha rimesso gli atti di un procedimento alla Cassazione per il regolamento di competenza (ord. 10 ottobre 2006, Pres. Rel. Calabrò), sostenendo che la l. 54/06 ha inciso solamente sul merito della regolamentazione dell’affidamento e dell’esercizio della potestà dei genitori naturali, senza modificare l’assetto processuale attributivo della competenza funzionale al tribunale per i minorenni. Ha però anche sostenuto che la l. 54/06, nel disporre che il giudice debba decidere sull’affidamento condiviso e contestualmente fissare anche “la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli” e che l’art. 155, co. 2, c.c., applicabile anche alle unioni di fatto, preveda l’adozione di “ogni altro provvedimento relativo alla prole”, abbia fatto venire meno il precedente sdoppiamento di competenze, con la conseguenza che il giudice minorile deve adottare anche i provvedimenti economici a favore dei figli naturali (conformi Trib. Monza, sentenza 29 giugno 2006, est. Buratti; Trib. Catania, sentenza 14 aprile 2006; App. Napoli 27 settembre 2006). Stante la posizione assunta dai giudici minorili milanesi, cui non ha fatto ad oggi riscontro l’assunzione di competenza in materia da parte di nessun tribunale ordinario del distretto della corte d’appello di Milano, non è possibile ottenere alcun provvedimento di affidamento, regolamentazione dell’esercizio della potestà e del diritto di visita nei confronti di figli naturali. Infine, un ulteriore orientamento è stato di recente espresso dal Tribunale per i minorenni di Napoli (ord. 29 settembre 2006, Pres. Battimeli, C. S. c. G.D.R.) che si è dichiarato competente a decidere in merito alle domande di affidamento e di assegnazione della casa coniugale, ma incompetente in relazione alla domanda di determinazione del contributo al mantenimento. In attesa di una pronuncia chiarificatrice e definitiva dalla Corte di Cassazione, “necessaria attesa la sostenibilità delle diverse interpretazioni tutte ampiamente motivate dalla giurisprudenza di merito”, il T.M. di Napoli ha ritenuto preferibile attenersi alla ripartizione della competenza tra T.O. e T.M. finora in atto, ma precisa che la disciplina dell’assegnazione della casa familiare non è questione di natura economica e può essere trattata dal tribunale per i minorenni in quanto strettamente connessa ai tempi e alle modalità di presenza del minore presso ciascun genitore. IL RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI L’ultimo comma dell’art. 708 cpc, nella formulazione introdotta dalla legge 54/06, consente la possibilità di proporre reclamo alla Corte d’appello avverso i provvedimenti emessi dal presidente. Secondo l’orientamento prevalente, stante il “carattere necessariamente sommario delle decisioni presidenziali” i poteri di controllo affidati al giudice del reclamo sono limitati, “con la conseguenza che possono assumere rilievo ed essere eliminati soltanto errori decisionali evidenti e frutto di una non corretta valutazione degli elementi di massima acquisiti nella fase iniziale del processo di separazione, senza alcuna anticipazione dell’istruttoria vera e propria demandata al G.I.” (App. Trento, sez. I, Pres. Chimenz, Rel. Santaniello, ord. 17 maggio 2006; conforme App. Trento, ord. 24 agosto 2006; App. Bologna, sez. I, Pres. De Robertis, Rel. de Meo, decreto 17 maggio 2006). SULLA RECLAMABILITA’ DEI PROVVEDIMENTI EMESSI DAL G.I. La questione della reclamabilità dei provvedimenti del G.I. è da tempo oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ha sempre escluso l’ammissibilità del reclamo ai sensi degli artt. 669-terdecies c.p.c. avverso il provvedimento del G.I. in quanto non riveste natura cautelare. Anche dopo la novella della legge 54/06 si continua ad escludere la possibilità di reclamare i provvedimenti adottati nella fase istruttoria del giudizio di separazione, considerata “l’indiscutibile differenza esistente tra i provvedimenti interinali del Presidente e quelli emessi dal giudice istruttore designato per la trattazione della controversia, soprattutto in considerazione del fatto che i secondi sono sempre suscettibili di essere modificati o revocati dalla medesima autorità giudiziaria che li ha adottati alla luce delle doglianze delle parti o delle variazioni della situazione di fatto: tale differenza fa venir meno anche qualsiasi dubbio circa la legittimità costituzionale della mancata previsione di una facoltà di impugnativa anche per i provvedimenti del G.I. a differenza di quanto statuito per quelli presidenziali.” (App. Trento, sez. I, decreto 21 settembre 2006).9 In senso opposto, un orientamento minoritario sostenuto dai giudici del Tribunale di Genova, afferma che “se i provvedimenti presidenziali sono reclamabili con ricorso alla corte d’appello ai sensi dell’art. 708 u.c. cpc ed i provvedimenti assunti dal Giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari, e se entrambi i provvedimenti hanno analoga natura, si debbono considerare impugnabili con reclamo alla Corte d’Appello anche questi ultimi: infatti l’identica natura giuridica del provvedimento impone, con interpretazione estensiva, che ad esso sia riservato lo stesso mezzo di impugnazione quale che ne sia la funzione (Presidenziale o istruttoria) svolta dal magistrato che lo ha emesso” (Trib. Genova, Pres. Martinelli, Rel. Oddone, ord. 2 maggio 2006). Secondo la Corte d’appello di Genova deve invece ritenersi che “la novella che ha inserito la espressa previsione della reclamabilità in Corte del provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. abbia previsto una modalità impugnatoria anomala ed eccezionale, che non ha riprodotto per il provvedimento modificativo successivamente emesso dai G.I., con la conseguenza che questo deve ritenersi impugnabile nei modi "ordinari ", ovvero secondo le modalità ordinariamente previste per i provvedimenti cautelari. …. da tanto deve trarsi che … non sarà più possibile sottoporre al G. I. una istanza di modifica dei provvedimenti presidenziali che non si fondi su di un quid novi, (quantomeno la miglior conoscenza di circostanze preesistenti) rispetto a quanto prospettato al Presidente, giacchè diversamente la cognizione della Corte e del G.I. in prima battuta sarebbero sovrapponibili, e si finirebbe per consentire avverso un provvedimento una duplice modalità di reazione, con sostanziate inutilità del reclamo, il cui effetto potrebbe sempre essere vanificato dalla successiva decisione del GA, sulla scorta detta medesima situazione fattuale. (nello stesso senso Trib. Trani, ord. 18 aprile 2006 e ord. 28 aprile 2006, che ammettono il reclamo al collegio ex art. 669-terdecies c.p.c. contro l’ordinanza con la quale il giudice istruttore modifichi, nel corso del giudizio di separazione, i provvedimenti nell’interesse della prole e dei coniugi pronunciati dal presidente del tribunale). LA REVOCA O MODIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI E DEL G.I. I provvedimenti presidenziali e quelli emessi dal G.I. possono essere revocati o modificati, senza alcun vincolo ai mutamenti nelle circostanze, come prevede il novellato art. 709 cpc..10 Una volta scelta la via del reclamo alla corte d’appello, il provvedimento emesso dalla corte non potrà però essere revocato o modificato dal G.I. a meno che non siano intervenuti fatti nuovi modificativi della preesistente situazione esaminata dal giudice d’appello (Trib. Modena, ord. 5 ottobre 2006; conforme l’orientamento del Trib. di Milano). 9 Nello stesso senso, App. Bari, ord. 16 giugno 2006: “i provvedimenti in subiecta materia esulano dalla previsione di cui all’art. 669-quaterdecies c.p.c. che definisce, unitamente all’art. 703 c.p.c., l’ambito di applicazione del processo cautelare uniforme. A tal proposito va sinteticamente rimarcato che gli art. 708/709 c.p.c. rientrano nel capo I del titolo II, non richiamato nell’art. 669-quaterdecies c.p.c., e che i provvedimenti di cui agli art. 708/709 c.p.c. prescindono del tutto dalla valutazione del periculum in mora, sono ampiamente modificabili e, anche se confermati con la sentenza definitiva del giudizio, sono mutabili e revocabili pure dopo la conclusione del processo nelle forme del rito camerale (art. 710 c.p.c.). Non v’è dunque ragione per l’applicazione diretta, «in quanto compatibile» o analogica, del procedimento cautelare uniforme (Cass. 1° aprile 1998, n. 3374, id., Rep. 1999, voce Separazione di coniugi, n. 89), e quindi dell’art. 669-terdecies c.p.c.». 10 Trib. Modena, ord. 5 ottobre 2006: “ Il potere modificativo in oggetto pare avere subito una sorta di mutazione genetica; da strumento di adeguamento dello stato di diritto al mutare dello stato di fatto, a strumento di eventuale revisione e controllo (dell’esattezza) delle determinazioni presidenziali, e perciò (anche) quale revisio prioris instantiae.” Il provvedimento presidenziale che non è stato reclamato può invece essere revocato o modificato dal G.I.. Si ritiene pertanto necessario che venga notificata l’ordinanza presidenziale al fine di far decorrere i termini per la proposizione del reclamo; solo “perenta la via del reclamo, appare ammissibile il ricorso per revoca/modifica al g.i., allo scopo (anche) di rivedere il provvedimento presidenziale, rivalutabile anche sotto il profilo dell’opportunità.” (Trib. Modena, cit.)