le opinioni - Ordine degli Avvocati di Milano

Transcript

le opinioni - Ordine degli Avvocati di Milano
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
LE OPINIONI
PREVIDENZA FORENSE E PROBLEMI INTERPRETATIVI
L’A.L.A.P. - Associazione Lombarda Avvocati in Pensione - attraverso
il suo Presidente avv. Renato D’Auria, ha individuato alcuni temi di interesse generale in materia di previdenza forense, ponendo specifici interrogativi, da cui sono scaturite queste brevi riflessioni:
1º)- La Tabella dei dati numerici pubblicata periodicamente sulla rivista Previdenza Forense riporta, per l’anno 1982, l’indice di rivalutazione
di +21,1: tale indice però non è mai stato applicato dalla Cassa. Al riguardo, il ricorso presentato dagli avvocati L.D.R. e G.P., per ottenere il
riconoscimento della rivalutazione con decorrenza 1º gennaio 1982, è
stato accolto dal Giudice del lavoro del Tribunale di Milano e la relativa
decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello.
In proposito, si osserva:
la legge di riforma del sistema previdenziale forense (n. 576/80, come
modificata dalle leggi n. 175/83 e 141/92) prevede la rivalutazione annuale delle pensioni (e dei contributi), in modo da garantire agli avvocati pensionati - ovvero ai loro superstiti - la stabilità nel tempo del potere
di acquisto delle prestazioni mensili erogate dalla Cassa (art.16). E, poiché la misura del trattamento è parametrata sulla media dei 10 migliori
redditi dichiarati dall’iscritto negli ultimi 15 anni anteriori a quello di
maturazione del diritto a pensione, la stessa legge ha stabilito che, nel
corso del tempo, anche quei redditi debbano essere annualmente rivalutati, fino al ‘‘penultimo anno anteriore alla maturazione del diritto a pensione’’ (art.15).
La giurisprudenza, anche delle SSUU, ha poi spiegato che la mancata
rivalutazione del reddito dell’ultimo anno viene ‘‘recuperata’’ mediante
la rivalutazione della pensione con decorrenza dal 1º gennaio dell’anno
immediatamente successivo alla maturazione del diritto (ciò significa che
un avvocato cui nel dicembre 2005 sia stata attribuita una pensione di
69
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
100, con decorrenza dal successivo mese di gennaio 2006 ha diritto ad
una pensione di 102).
La rivalutazione - in proporzione alle variazioni dell’indice annuo dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’ISTAT - viene disposta ogni anno dal Consiglio di amministrazione della
Cassa e gli aumenti delle pensioni decorrono dal 1º gennaio successivo
alla data della delibera. Di conseguenza, poiché la detta variazione (rispetto all’indice dell’anno precedente) è rilevabile soltanto dopo il 31 dicembre dell’anno di riferimento, gli effetti dell’aumento del costo della
vita sulle dette pensioni vengono neutralizzati soltanto con decorrenza
dal 1º gennaio dell’anno successivo a quello in cui tale aumento è stato
rilevato. Per fare un esempio, l’aumento del costo della vita dell’anno
2004 rispetto al costo della vita dell’anno 2003 (che, come già chiarito,
può essere rilevato solo nel corso dei primi mesi del 2005) determina un
proporzionale incremento delle pensioni soltanto dal 1º gennaio 2006,
conformemente a quanto stabilito dal 3º comma dell’art. 16 della legge.
Al momento dell’entrata in vigore della legge (12 ottobre 1980), l’art.
26 (intitolato ‘‘Decorrenza del nuovo regime pensionistico e norme transitorie’’), stabilı̀ testualmente che ‘‘sono regolate dalla presente legge le pensioni di vecchiaia e di anzianita` che maturano dal 1º gennaio del secondo
anno successivo alla sua entrata in vigore’’, quindi dal 1º gennaio 1982.
L’art. 27 (intitolato ‘‘Decorrenza delle rivalutazioni’’) stabilisce - per quel
che qui interessa - che ‘‘le entita` dei redditi di cui agli articoli 2, quinto
comma, 4, secondo comma e 10, primo e secondo comma, sono riferite all’anno di entrata in vigore della presente legge. Per la prima applicazione
dell’art. 16 si fa riferimento all’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della presente legge’’.
Analizzando questi dati normativi, due avvocati milanesi hanno avuto
una intuizione - con riguardo alla prima rivalutazione dei redditi - certamente assai interessante per i riflessi che potrebbe spiegare su tutte le
pensioni, in quanto:
a) La Cassa, adeguandosi - secondo la sua interpretazione - al disposto
dell’art. 15 delle legge (in cui è stabilito che ‘‘il consiglio di amministrazione redige ed aggiorna entro il 31 maggio di ciascun anno, sulla base dei
70
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
dati pubblicati dall’ISTAT, apposita tabella dei coefficienti di rivalutazione
relativi ad ogni anno...’’ - in data 22 maggio 1981 approvò la detta tabella dei coefficienti di rivalutazione dei redditi, nella quale evidenziò
che la variazione in aumento dell’indice dell’anno 1980 (rispetto all’anno
1979) era stata del 21,1%. Coerentemente con quanto appena precisato,
la prima rivalutazione da farsi doveva riguardare i redditi del 1980, con
decorrenza 1º gennaio 2002.
b) Sennonché, in sede di prima applicazione della legge, la Cassa piuttosto che rivalutare i redditi (entro il tetto di lire 40.000.000) già
con decorrenza dal 1º gennaio 2002, mediante l’indicato incremento del
21,1% - operò la rivalutazione dei redditi, delle pensioni e dei contributi
(minimi) soltanto con decorrenza 1º gennaio 1983, trascurando la variazione del costo della vita relativa all’anno 1980, ma avendo riguardo alla
variazione dell’anno 1981 (in cui il relativo incremento fu del 18,7%).
c) Ebbene, qualora dovesse ritenersi l’illegittimità delle determinazioni
adottate dalla Cassa, gli effetti sarebbero questi:
1) Il tetto di lire 40.000.000 stabilito dalla legge 576/80 verrebbe incrementato del 21,1% già dal 1º gennaio 1982, di modo che a questa
data il tetto passerebbe a lire 48.400.000.
2) Siffatta elevazione, poi, si trascinerebbe dietro tutte le ulteriori rivalutazioni, per cui il tetto diventerebbe lire 57.500.00 dal 1º gennaio 1983,
66.800.000 dal 1984, 76.800.000 dal 1985, 84.900.000 dal 1986,
92.200.000 dal 1987, 97.800.000 dal 1988, 102.300.000 dal 1989,
107.400.000 dal 1990, 114.500.000 dal 1991, 121.500.000 dal 1992,
129.300.000 dal 1993, 136.300.000 dal 1994, 141.800.000 dal 1995,
147.600.000 dal 1996, 156.200.000 dal 1997, 162.300.000 dal 1998,
165.100.000 dal 1999, 168.100.000 dal 2000, 170.800.000 dal 2001,
175.200.000 (E 90.483,25) dal 2002, 179.900.000 (E 92.910,60) dal
2003, 184.200.000 (E 95.131,36) dal 2004, 188.800.000 (E 97.507,06)
dal 2005, 192.600.000 (E 99.469,60) dal 2006.
3) Le conseguenze pratiche sarebbero:
– Per gli avvocati che hanno maturato il diritto a pensione di vecchiaia o anzianità dopo il 1º gennaio 1982 ma prima del 1997, l’anno
1982 rientrerebbe negli ultimi 15 anni. Per cui - ricorrendone le condi71
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
zioni - costoro potrebbero domandare che, alla formazione della media,
concorra anche il reddito di tale anno, quale risultante dall’incremento
del 21,1%, con ogni conseguente risvolto economico (che, nella specie,
risulterebbe relativamente modesto).
– Tutti gli avvocati, i cui redditi sono stati penalizzati dall’esistenza
del tetto, potrebbero domandare il ricalcolo dei redditi stessi, alla stregua
delle rivalutazioni di cui al precedente punto 2, con i corrispondenti incrementi di pensione (che, in taluni casi, potrebbero anche attingere importi decisamente elevati).
d) La motivazione della sentenza della Corte d’Appello, resa nella questione posta dai menzionati avvocati, non è molto chiara, in quanto le
ragioni della decisione concernenti il capo 1 della domanda (rivalutazione dei redditi con decorrenza 1º gennaio 1982) si intersecano con quelle
del capo 2 (rivalutazione della pensione con decorrenza dal 1º gennaio
dell’anno immediatamente successivo alla maturazione del diritto, che è
questione ormai superata dopo la sentenza n. 7282/04 delle SSUU, cui
la Cassa ha ormai da tempo deciso di uniformarsi). Tuttavia, pur avendo
il Collegio condiviso le proposizioni dei nostri valenti colleghi ‘‘apripista’’, il problema si presenta estremamente dubbio, posto che - attesa la
chiara corrispondenza tra tetto del reddito ai fini della misura della pensione e tetto del contributo soggettivo (per entrambi lire 40.000.000 al
momento dell’entrata in vigore della legge di riforma) - ad una elevazione del tetto dei redditi non avrebbe fatto riscontro una analoga elevazione del tetto del contributo soggettivo (10% del reddito professionale
netto). Nella sentenza della Corte d’Appello, questo argomento è stato
soltanto sfiorato, ma non affrontato, affermandosi (pag. 5) soltanto che:
‘‘restano escluse dalla presente, perche´ irrilevanti e fuorvianti, tutte le argomentazioni sulla determinazione dei redditi da prendere a base di calcolo,
ossia quelli soggetti al contributo del 10%, con la relativa applicabilita` del
tetto a tali redditi, argomentazioni che l’appellante ha trattato anche nell’atto di appello, ma che giustamente non sono state affrontate dal primo giudice in base alla delimitazione della domanda cosı` come operata gia` in primo
grado dagli attuali appellati’’.
La Cassa Forense ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte
72
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
d’Appello, ma - come è ovvio - la decisione della Suprema Corte (prevedibile entro un paio di anni) costituirebbe soltanto un precedente, assolutamente non vincolante. Allo stato, quindi, ciascun pensionato potrà
verificare la propria ‘‘storia’’ previdenziale e - nel caso in cui risultasse
una qualche penalizzazione per effetto della mancata rivalutazione innanzi indicata - valutare se l’entità degli interessi in gioco sia tale da giustificare l’assunzione di eventuali iniziative nei confronti della Cassa.
2º)- La polizza sanitaria stipulata dalla Cassa Forense per i propri
iscritti non si estende agli avvocati che si siano cancellati dall’albo.
Al riguardo, deve dirsi che l’esclusione dei pensionati cancellati dall’albo dal beneficio della polizza sanitaria non risulta giustificata.
Appare palese, infatti, già sul piano del comune buon senso, l’incongruità di accordare il beneficio anche a chi è iscritto da un solo giorno e
non anche a chi è stato iscritto - ed ha alimentato la Cassa con i propri
contributi - per trenta o più anni.
Sennonché l’esclusione è anche illegittima, alla luce delle previsioni degli artt. 17 e 19 della legge n. 141/92, laddove è stabilito che «L’assistenza a favore di chi versa in stato di bisogno puo` essere erogata a ‘‘chi appartiene ad una delle seguenti categorie: a) iscritti alla cassa; b) avvocati che,
pur senza ‘‘essere iscritti alla Cassa, contribuiscono o hanno contribuito ai
sensi degli aricoli 10 e 11 della ‘‘legge .... o hanno versato contributi personali in base a leggi precedenti ....’’’’ (art. 17); ed `
e altresı` stabilito che:
«Il Comitato dei Delegati, su proposta del Consiglio di Amministrazione,
puo` disporre l’erogazione, da parte della Cassa, di altre provvidenze quali
borse di studio, contributi funerari od altro, a favore di categorie che siano
comprese fra quelle elencate nelle lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell’art.
17’’ (art. 19). E poiche´ la polizza assicurativa a favore indiscriminato di
tutti gli iscritti (benche´ non compresa tra le prestazioni disciplinate dalla
legge 576/80) `
e certamente erogazione assistenziale, non v’e` ragione per
escludere da tale provvidenza «gli avvocati che, pur senza essere iscritti alla
Cassa, hanno contribuito a norma degli artt. 10 e 11 della legge o hanno
versato contributi personali in base a leggi precedenti’’».
Pertanto, la determinazione della Cassa può essere sottoposta al sindacato giurisdizionale.
73
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
3º)- Ai pensionati ultrasettantenni che continuano l’esercizio professionale è imposto il pagamento di un contributo, senza alcun corrispettivo.
Si dubita della legittimità di tale imposizione.
In proposito, si osserva che l’ordinamento pensionistico forense non è
ispirato, come emerge anche dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentt.
307/89, 364/94, 388/95, 432 e 433 del 1999), ad un criterio di precisa
corrispondenza tra prestazioni e contributi versati (si parla, in questo caso, del criterio della c.d. capitalizzazione, cui corrisponde la pensione
contributiva). Al contrario, il nostro ordinamento è ispirato al criterio
della c.d. ripartizione, cui consegue la pensione retributiva (ragguagliata
in qualche misura al reddito degli ultimi anni, piuttosto che ai contributi versati): trattasi di criterio che è essenzialmente fondato su principi solidaristici.
La giurisprudenza sia della Corte Costituzionale, sia della Corte di
Cassazione, ha sempre ritenuto che il contributo del 3% abbia natura
solidaristica e che - in conformità alla previsione della legge 576/80 (art.
10 comma 3) - debba essere versato, anche per il ‘‘reddito dell’anno solare
successivo al compimento dei cinque anni dalla maturazione del diritto a
pensione’’... e per tutti gli anni seguenti.
4º)- Gli avvocati ultrasettantenni iscritti alla Cassa pagano annualmente il contributo extrabilancio c.d. di maternità, non contemplato dalla
legge istitutiva della previdenza forense. Si dubita della sua legittimità.
A tale riguardo, va precisato che l’indennità di maternità - introdotta
dalla legge n. 379/90 - è prevista dall’art. 70 del decreto legislativo
n.151/2001, come modificato dalla legge 289/2003 (che, tra l’altro, ha
stabilito un ‘‘tetto’’ all’indennità in questione).
‘‘Alla copertura degli oneri derivanti dall’applicazione della presente legge
si provvede con un contributo annuo a partire dal 1991 di lire 18.000 a
carico di ogni iscritto a casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti. Il contributo `
e annualmente rivalutato con lo stesso indice di aumento dei contributi dovuti in misura fissa di cui all’art. 22 della legge 3
giugno 1975, n. 160 e successive modificazioni. Al fine di assicurare l’equi74
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
librio delle gestioni delle singole casse di previdenza e assistenza per i liberi
professionisti, il Ministro del tesoro, sentito il parere dei rispettivi consigli di
amministrazione, stabilisce, anche con separati decreti, la variazione dei
contributi di cui al presente articolo.
2. Con la stessa procedura prevista dal comma 1, i Ministri del lavoro e
della previdenza sociale e del tesoro, accertato che le singole casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti abbiano disponibilita` finanziarie
atte a far fronte agli oneri derivanti dalla presente legge, possono decidere
misure di contribuzione ridotte rispetto a quanto previsto dal citato comma
1 o la totale eliminazione di detto contributo’’ (art. 5 legge n. 379/90).
Disposizione, poi, cosı̀ trasfusa nel Testo Unico:
‘‘Alla copertura degli oneri derivanti dall’applicazione del Capo XII, si
provvede con un contributo annuo a carico di ogni iscritto a casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti. Il contributo `
e annualmente
rivalutato con lo stesso indice di aumento dei contributi dovuti in misura
fissa di cui all’articolo 22 della legge 3 giugno 1975, n. 160, e successive
modificazioni.
2. A seguito della riduzione degli oneri di maternita` di cui all’articolo
78, alla ridefinizione dei contributi dovuti si provvede con i decreti di cui
al comma 5 dell’articolo 75, sulla base di un procedimento che preliminarmente consideri una situazione di equilibrio tra contributi versati e prestazioni assicurate.
3. I Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, accertato
che le singole casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti abbiano disponibilita` finanziarie atte a far fronte agli oneri derivanti dalla presente legge, possono decidere la riduzione della contribuzione o la totale eliminazione di detto contributo, sentito il parere dei consigli di amministrazione delle casse’’. (art. 83 T.U. 151/01).
La Corte Costituzionale, con riguardo alla legge n. 379/90, ebbe ad
esprimersi nei termini seguenti:
‘‘Se questi sono i corretti presupposti dai quali prendere le mosse, si osserva
che, per assolvere in modo adeguato alla funzione materna, la libera professionista non deve essere turbata da alcun pregiudizio alla sua attivita` professionale. Cio` puo` avvenire lasciando che la lavoratrice svolga detta funzione
75
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
familiare conciliandola con la contemporanea cura degli interessi professionali non confliggenti col felice avvio della nuova vita umana. La probabile diminuzione del reddito a motivo della sospensione o riduzione dell’attivita` lavorativa non incide, comunque, sulla predetta necessaria serenita` se compensata dal sostegno economico proveniente dalla solidarieta` della categoria
cui la donna appartiene.’’ (Corte Cost. n. 3/98).
È da ritenere, pertanto, che tutti gli avvocati - per il solo fatto di essere iscritti alla Cassa ed indipendentemente dall’essere, o meno, pensionati - siano tenuti al pagamento del contributo.
Cristiano Romano e Giuseppe Tampoia
Avvocati in Milano
76
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
ELUSIONE UGUALE EVASIONE?
Preliminarmente occorre, in ottica meramente lessicale, definire i termini di evasione ed elusione.
L’evasione fiscale è il fatto illecito consistente o nel sottrarsi ad un determinato onere tributario mediante violazione delle leggi che attengono
al pagamento del tributo, al suo accertamento o alla sua riscossione, oppure nel provocare l’applicazione di agevolazioni tributarie al di fuori dei
casi previsti dalla legge.
L’elusione fiscale consiste nella situazione che si verifica quando un soggetto compie atti che hanno la loro causa esclusiva o principale nella finalità di ottenere una riduzione dell’onere tributario pur senza commettere
violazione diretta delle norme tributarie: in ciò si distingue dall’evasione
fiscale che consiste, invece, in un fatto illecito. Poiché l’ordinamento giuridico italiano prevede il principio di riserva di legge in materia tributaria
(art. 23 Cost.) e il divieto di interpretazione analogica delle norme tributarie, ai fini del contenimento delle manovre elusive è dubbio se sia possibile interpretare la norma in considerazione dei suoi effetti economici, piuttosto che in base ad una interpretazione restrittiva del dettato letterale.
In altri ordinamenti a tale formalismo dell’interpretazione è preferita
una impostazione sostanziale in base alla quale si ritiene che, in ragione
della prevalenza della sostanza sulla forma, l’operazione che conduce ad
un certo risultato economico deve essere considerata nella sua unità funzionale e non suddivisa in diverse fasi separate, ognuna delle quali, isolatamente, non integra alcuna fattispecie impositiva.
***
L’Amministrazione Finanziaria, proprio alla luce della riserva di legge
può applicare i metodi antielusivi a condizione che si sia di fronte a una
o più delle sottoindicate situazioni, distinte in operazioni nazionali ed
operazioni internazionali, le uniche, comunque, che possano consentirle
di disattendere il determinato strumento contrattuale comportante la riduzione di imposte.
Operazioni nazionali
– operazioni ritenute elusive che hanno determinato vantaggi nelle
imposte sui redditi;
77
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
– valore di cessione dei fabbricati con conseguenze sull’iva;
– le c.d. società di comodo per le quali si presume la realizzazione di
un reddito minimo;
– interposizione fittizia.
Operazioni internazionali
– prezzi di trasferimento nelle operazioni tra società italiane e società
non residenti con controllo diretto o indiretto delle seconde sulle prime;
– operazioni con società residenti in Stati extra-UE a regimi fiscali
privilegiati (c.d. paradisi fiscali);
– interposizione fittizia.
***
Le operazioni elusive (art. 37 dpr 600/73), tali solo nell’ottica impositivo diretta, sono quelle che possono essere disconosciute dall’Amministrazione finanziaria a condizione che siano contemporaneamente:
– prive di valide ragioni economiche, nel senso che l’operatore non
ha buoni motivi per effettuare l’operazione se non quelli di non pagare
il carico tributario;
– dirette ad aggirare obblighi e divieti previsti dalla normativa tributaria. Sono considerate potenzialmente elusive:
– le operazioni di gestione straordinaria dell’impresa e cioè quelle di
trasformazione, scissione, liquidazione volontaria, conferimenti e negozi
di trasferimento o godimento di aziende o rami di azienda (cessione,
permuta, usufrutto, affitto ecc.);
– operazioni straordinarie intracomunitarie: fusioni, scissioni, conferimenti e scambi di azioni; distribuzione ai soci di poste del patrimonio
netto, diverse da quelle formate con utili;
– operazioni da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni dı̀ bilancio aventi ad oggetto partecipazioni qualificate e non
qualificate, ecc.;
– cessioni di crediti e di eccedenze di imposte;
– cessioni di beni e prestazioni dı̀ servizi effettuate tra soggetti ammessi al regime di tassazione di gruppo;
– pagamenti di interessi e canoni a soggetti residenti in Stati membri
UE che hanno i requisiti per l’esenzione da ritenuta, quando questi sia78
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
no controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non
residenti in uno Stato UE.
Su queste materie il contribuente può esercitare il diritto di interpello
rivolgendosi alla Direzione Centrale Normativa e, poi, al Comitato consultivo.
***
In materia di IVA (ari 15 DL 41/95} è possibile che gli Uffici delle
Entrate possano attivarsi nella rivalutazione de? corrispettivi sulla cessione di fabbricati quando il valore dichiarato sia inferiore a quello derivante dalla c.d. valutazione automatica.
Per quanto attiene all’interposizione fittizia (artt. 37 e 4 dpr 600/73),
gli Uffici, in sede dı̀ rettifica o dı̀ accertamento, possono imputare al
contribuente i redditi dı̀ cui altri appaiono titolari, quando viene dimostrato, anche con presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è
l’effettivo percettore per interposta persona.
***
Questo il quadro normativo afferente all’ipotesi di elusione, contrapposta a quella di evasione.
In termini giurisprudenziali il quadro complessivo non appare altrettanto netto. Premesso che non va dimenticata la valenza piena della giurisprudenza della Corte di Giustizia, pur nell’assenza in essa dell’enunciazione di una clausola generale ‘‘antiabuso di diritto’’, una sua recente
sentenza (21 febbraio 2006 n. C-223/03), suona molto chiaramente a
favore della validità degli atti formali posti in essere, al dı̀ là dello scopo
effettivo che sia quello di ottenere un vantaggio fiscale senza altro obbiettivo economico. C’è un perché a questa affermazione.
La giurisprudenza italiana (e ci si riferisce anche alle pronunce della
Corte di diritto italiana Cass. Civ, Sez, Trib. 14.11.2005 n. 22932 e
21,10.2005 n. 20398) non può definirsi esaustiva sulla definizione dı̀
elusività di taluni comportamenti od atti formali. L’assunto regge su dı̀
un eccessivo formalismo (o bizantinismo ) del giudice italiano che sembra perdere di vista l’obiettivo finale cosı̀ fermandosi sulla scarsa attività
istruttoria svolta dal contribuente ovvero adagiandosi sulla propria giurisprudenza pregressa. Entrambe le sentenza citate, fanno sı̀ riferimento al
dettato antecedente della Corte di Giustizia, ma sostanzialmente per as79
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
sumere che, assente, appunto, una pronuncia precisa sull’ abuso dı̀ diritto (recte: elusione) e considerata l’esistenza dı̀ direttive comunitarie ‘‘imprecise’’, a conti fatti, vanno accolte te tesi dell’Erario,
Già di per sé l’assunto apparrebbe sufficientemente ‘‘pubblicano’’ in
quanto non necessariamente la Suprema Corte deve specchiarsi nella Corte Lussemburghese per assumere una posizione imparziale e dı̀ interpretazione della legge non sempre e non obbligatoriamente a tutela dell’Erario.
A prova di ciò, va letta la sentenza n. 12353 del 10 giugno 2006,
sempre della Sezione Tributaria della Suprema Corte che, ‘‘commentandosi’’ (Sentenza n. 5582 del 18 aprite 2002) assume che ‘‘si sono nettamente distinte da quelle simulate le <operazioni elusive> per le quali ultime soltanto si è affermato che il potere dell’amministrazione di riqualificare i contratti posti in essere dalle parti, assoggettandoli ad un trattamento fiscale diverso o meno favorevole di quello che sarebbe stato altrimenti applicabile, può essere riconosciuto solo in presenza di norme che
tale possibilità espressamente prevedono’’. Subito dopo, con un involuto
percorso, il Collegio ratifica però, l’operato del giudice tributario a quo,
il quale, con una considerazione di merito, ardimentosa a dir poco e
con buona pace della ‘‘riserva di legge’’ costituzionale, nega validità ad
un contralto cosı̀ riconducendone a tassazione il contenuto.
L’ultima sentenza da esaminare (stesso Consesso, n. 19152 de!
23.09.2004) va riguardata solo allo scopo di presa d’atto - seppur salomonica - della normativa comunitaria.
***
In conclusione, e con ogni riserva sulla complessa, ma in realtà, fluttuante materia, si potrebbe asserire che le due sentenze del 2005 della
Cassazione non forniscono un contributo decisivo alla limitazione (od,
anche, illustrazione) del concetto di elusione né in senso positivo né in
senso negativo.
Invero ed invece, sembra ragionevole affermare che la Sentenza n. C-223/
03 in data 21 febbraio 2006 della Corte di Giustizia possa assumere carattere interpretativo dirimente a valere sulle future controversie tributarie.
Enrico Allegro
Avvocato di Milano
80
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
ELUSIONE FISCALE FRA DECOSTRUZIONE
DELLA CRITICA E CRITICA DELLA COSTRUZIONE
(A MARGINE DELLE DECISIONI DELLA SUPREMA CORTE
SEZIONE TRIBUTARIA)
1.- Quando si parla di necessaria lotta alla evasione tributaria, si fa
un’affermazione per certi versi scontata. Ché l’evasione - si sa - impinge
contro la norma impositiva frontalmente e senza arzigogolare - anzitutto
sommato ‘‘ingenuamente’’, se pure spesso con negozi simulati. La elusione, dal canto suo, è un astuto giuoco concepito - spesso da consulenti di
varia estrazione - per aggirare il Diktat impositivo pur senza simulare, e
congegnando la fattispecie concreta in guisa tale da ottenere vantaggi fiscali lungo un sentiero privo di ragioni economiche extra-fiscali - ché, se
si andasse a fare la strada normale, questa sarebbe più costosa in termini
d’imposte, o meno vantaggiosa nello stesso senso.
Entro tale scenario (in vero proteiforme) la Suprema Corte ha affrontato in guisa innovativa la tematica con due pronunce potenzialmente
idonee a lasciare il segno. Ci si riferisce - come il lettore ha già inteso a Cass., Sez Trib., 29 aprile 2005, n. 20398, nonché a Cass., Sez Trib.,
25 ottobre 2005, n. 22932.
Rispetto a queste due sentenze, il diverso e terzo pronunciamento coevo - scil. Cass., Sez. Trib., 12 maggio 2005, n. 20816 - pare a chi scrive
decisamente non degno di nota in questa sede, se non per il fatto di essere anche da esso (e dalla sua distonia rispetto alle altre pronunzie) scaturita una ordinanza di remissione - di ulteriore caso - alle Sezioni Unite
della Corte, di cui al momento si attende la pronunzia (1).
La sentenza da ultimo mentovata - si diceva - poco rileva, per una ragione essenziale che può essere condensata come segue: essa è condivisibile nel dispositivo, ma non è punto condivisibile nella motivazione, la
quale, in assai discutibile schema, invoca nel contempo la simulazione e
la frode alla legge tributaria ex art. 1344 c.c., il che per un verso è contraddittorio (anche) sul piano dei fatti, e per altro verso (quello della fro(1) Le tre le sentenze sono leggibili, da ultimo, in Riv. dir. trib., 2006, II, p. 690 ss., con ns. nota Su
talune categorie privatistiche, evocate da tre pronunce del Supremo Collegio in tema di elusione - evasione.
81
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
de alla legge) è difficilmente contestabile sul piano teorico (l’art. 1344
tutela interessi diversi da quelli protetti dalle norme tributarie).
2.- Nelle prime due pronunce della Corte di Cassazione, sopra poste
in evidenza, l’Alta Corte manifesta un modo di ragionare assai tranchant
sulla elusione. Lo si legge bene in motivazione; e lo si legge appunto come non riferito soltanto al c.d. dividend washing e/o all’usufrutto azionario Estero-Italia (c.d. dividend stripping) - cioè alle due fattispecie concrete in eristica.
Il Supremo Collegio, infatti, quivi sembra intravedere, in quella che è
la elusione fiscale, un serio malcostume, originatore di danni all’erario e
a tutti coloro i quali le imposte scontano appieno, senza ideazioni capziosamente distorte oltre che senza simulazioni.
Si è cosı̀, in certo quale modo, costretti a ricordare (soltanto per riesumare il - già - pensato) uno scritto pubblicato tempo fa in altra sede (2),
dove, in un contesto di etica e di norme di legge, si riprendeva il saggismo (al solito originale) di Franco Cordero intorno alla epistola paolina
ad Romanos, (3), e se ne traevano talune modeste riflessioni, le quali recavano ai predetti rilievi sul cote´ tributario. Sı̀ che, oggi ancora di più leggendo le due sentenze, si avverte una urgenza di filo-kantiana ‘‘ragion
pratica’’ o, in prospettiva più immanentistica, di mazziniani doveri anteposti ai ‘‘dritti’’.
Si dirà che questa è filosofia e non già Jus - e in parte lo si è già opinato, se pure in altre parole e non con riferimento a chi scrive. Replichiamo che le due scienze spirituali (sic P. Ricoeur) non sono tra loro inconciliabili, ché anzi è viziato l’approccio contrario (sic G. Gentile). Ma
procediamo con ordine.
3.- Il riferimento del Supremo Collegio alla categoria concettuale dell’abuso del diritto, cosı̀ come elaborata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (4), non deve essere preso - per cosı̀ dire - di petto, ma(2) F. M. GIULIANI, La legge privatistico-fiscale e l’epistola paolina ad Romanos, in Contr. impr.,
2002, p. 895 ss.
(3) F. CORDERO, L’epistola ai romani. Antropologia del cristianesimo paolino, Torino, 1972.
(4) Da ultima, fra le molte pronunzie della Corte di Giustizia CEE in tema di abus de droit (alcune
delle quali citate in motivazione proprio dalla Suprema Corte nei due arrets in parola), vedasi C-419/02,
82
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
gari dissimulando il contrasto aprioristico con l’erario sotto la veste della
confutazione.
Piuttosto, sembra a chi scrive che il concetto di abuso delle norme sia
stato invocato dalla Cassazione con un duplice scopo, il quale può grosso
modo parafrasarsi cosı̀: a) gli aggiramenti astuti delle disposizioni impositive, piegando le medesime a fini del tutto diversi, rispetto a quelli per
soddisfare i quali esse sono nate, è cosa che un sistema rigetta sı̀ come
tale, dacché esso non può (con)vivere in presenza di una simile patologia
disgregante al suo interno - viceversa ammalandosi in essenza, credibilità,
e potenza fondante di Grundnorm; b) l’impiego forzosamente astuto
della norma, il cui dettato di parole diventa strumento della ossessione
pecuniaria, coinvolge non soltanto le forze di tenuta (democratica) della
legge come potenza, ma anche le forze etiche, le quali non possono lasciarsi andare all’abbandono malato de l’argent pour l’argent.
Cotale esigenza s’acuisce poi sol che si pensi, in termini di consultori
fiscali, a quel ruolo alto il quale, alla avvocatura in quanto tale - per la
garanzia istituzionale del giusto processo e dello Stato di diritto –, ha attribuito la Risoluzione del Parlamento Europeo del 23 marzo 2006, bene ripresa da Guido Alpa in nome del Consiglio Nazionale Forense da
Lui presieduto, in un appello pubblicato e indirizzato agli allora candidati premier Berlusconi e Prodi (nonché ai leader dei partiti dell’intero arco costituzionale), giusto alla vigilia delle elezioni politiche del 9 aprile
2006. È un ruolo, quello che l’Assemblea di Strasburgo conferisce all’attorney nell’Unione Europea, il quale più non si concilia col trucco - da
Italia post-agricola/proto-capitalistica - sul dettato delle norme, né con
l’ossessione della pecunia travestita d’agudeza del consultorio sedicente
(continua nota 4)
21 febbraio 2006, BUPA Hospital Ltd,. Goldsborough Developments v Commissioners of Custums &
Excise, leggibile a http://www.europalex.kataweb.it. Il caso verte in tema di VAT inglese, rispetto al sistema comunitario di norme sul tributo medesimo. I Giudici dell’Alta Corte non esitano a ravvisare, nei
fatti concreti posti in essere da un gruppo ospedaliero britannico, la creazione di una società ad hoc, maliziosamente conceived come ‘‘scatola vuota’’. E ciò per capziosa ricerca di una fatturazione infra-gruppo originativa di detrazioni VAT - nel momento in cui sopravvenne, per dicta della High Court of Appeal e
poi della House of Lords - la impossibilità di recuperare l’imposta stessa versata a monte sull’acquisto di
prodotti medicali (protesi, etc.) presso i fornitori - laddove il consumatore finale (scil. il paziente) acquistava dall’ente nosocomiale ad aliquota zero nella più parte dei casi. E cosı̀, quel che più non poteva farsi
coi malati, s’invento di farlo (passi l’anacoluto) con la società infra-gruppo, costituita all’occorrenza e
avente la facciata - in aero-sabbiatura di ‘‘pianificazione fiscale’’ - di neo-fornitrice di dentiere.
83
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
esimio. Sedicente tale sı̀, ma al fondo un Ugolino per il quale – absit
iniuria verbis - più che l’umano poi (in sé già troppo umano) tutto poté
meno che il digiuno.
Del resto, a un principio antiabuso - immanente nel sistema (anche)
fiscale - fa riferimento da tempo la dottrina tributaria (5). Con ciò non
obliando punto che la dogmatica dell’abuso del diritto, già problematica
in diritto civile (Rescigno docet), è tutta da discutere (certo non qui) a
maggiore ragione nello jus fiscale.
4.- Quanto al secondo argomento della Cassazione - quello, cioè, per cui
un negozio posto in essere soltanto al fine di risparmiare imposte, è nullo
per mancanza di sostanza, sı̀ come causa concreta ai sensi dell’art. 1418
cpv. c.c. -, si è fatta della critica al ragionamento dei giudici di legittimità.
La Corte - si è sostanzialmente detto (6) - cade in auto-contraddizione, dacché da un lato adotta un concetto di causa negoziale in concreto - la ‘‘ragion pratica’’, quale volontà effettiva delle parti anziché come funzione
economico-sociale del contratto-tipo nella mens legislatoris -, e del pari però - si è aggiunto - la stessa Corte apertamente relega l’intento di conseguire un vantaggio fiscale tra i motivi del negozio, la quale ultima cosa si è opinato - è bensı̀ corretta, a patto che però si riconosca a pieno - cosa
che la Corte non avrebbe fatto - che in concreto le parti hanno effettivamente, e legittimamente, voluto gli effetti tutti dei negozi.
Questa critica non appare euristica. Ché, anzitutto, il fatto che un negozio sia voluto non esclude affatto che sia simulato (sic A. Gentili). E,
in ogni caso, a bene vedere la nozione di causa in concreto, sı̀ come elaborata previamente dalla stessa Suprema Corte (7), risulta essere improntata a quel che segue: a) intento pratico delle parti corrispondente alla
causa tipica (8); b) espressione della equivalenza delle prestazioni o della ra(5) R. LUPI, Manuale di diritto tributario. Parte generale, settima ed., Milano, 2000, p. 126, ove si
precisa che quanto sopra nel testo non significa punto che l’elusione fiscale sia sussumibile nell’ art. 1344
c.c.
(6) D. STEVANATO, Le ‘‘ragioni economiche’’ nel dividend washing e l’indagine sulla ‘‘causa concreta’’
del negozio: spunti per un approfondimento, in Rass. trib., 2006, p. 309 ss.
(7) Si vedano ad esempio: Cass., 15 luglio 1993, n. 7844, in Giur.it., 1999, I, 1, 734; Cass., 15 giugno 1999, n. 5917, in Banca dati giuridica UTET 2005; Cass., 20 novembre 1992, n. 12401, ivi; Cass.,
19 febbraio 2000, n. 1898, ivi.
(8) Cass, 15 luglio 1993, cit; Cass, 19 febbraio 2000, cit.
84
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
gione giustificativa delle medesime (9); scambio effettivamente meritevole
di tutela in senso economico-sociale (10).
Sı̀ che, nelle due sentenze qui considerate, il S.C. non opera un ‘‘rivoluzionamento’’ del suo pensiero antesignano in punto di causa negoziale,
ma, se mai, fa un passo in avanti sul sentiero, enfatizzando la ragion pratica quale causa concreta, sia nel senso di verificare la congruenza di un
corrispettivo che pure non è inesistente né risibile (su questo rilievo ha
ragione la critica), sia nel senso di escludere che la ragione fiscale del privato possa assurgere a causa legittimante il sinallagma concreto - ché lo
jus fiscale, osserva il S.C., discende dal contratto e non viceversa (11).
Il dire che ciò origina pericoli applicativi diffusamente in prassi anche
nel diritto privato, e che se mai si sarebbe, a quel punto, dovuto ragionare in termini di frode alla legge fiscale, pare da un lato una contraddizione - ché anche l’art. 1344 c.c. comporterebbe tali pericoli in thesi - e
dall’altro lato una distorsione della nozione di causa concreta, se è vero
come è vero che si prospetta di comprendervi l’esclusiva finalità di un
peculiare fine economico come il risparmio fiscale, la quale cosa è difficilmente sussumibile nei due negozi in eristica, scil. il riporto e la costituzione/cessione di usufrutto su azioni (12).
5.- Non occorre essere imbevuti - fuori tempo e luogo - di gius-naturalismo, per comprendere che queste due sentenze dell’ Alta Corte in tema di elusione stanno nel medesimo solco di un pensiero che è ben laico - e non turbato, dunque, da spettri anti-relativistici di sorta -, il quale
pensiero tuttavia - pur nel suo tenere ‘‘il Tevere più largo’’ (per dirla
con lo Spadolini) - coglie a pieno che le norme da sé sole - in sé medesime cosı̀ gettate al macero tecnico-prassistico quale mero coagulo di parole -, se applicate senza un riferimento valoriale non colgono il centro
delle cose (qui sovvengono le acute riflessioni dello Irti e del Severino
sul nichilismo giuridico). In Italia s’impone, allora, una svolta etico-giu(9) Cass., 15 giugno 1999, cit.
(10) Cass., 20 novembre 1992, cit.
(11) Cass, 29 aprile 2005, cit.
(12) Sulle variegate ragioni per cui il ‘‘pronti contro termine’’ in altro modo non possa essere concepito se non come un riporto privo del tratto della realità, ci sia consentito il fare rif. al ns. I «titoli sintetici»
tra operazioni differenziali e realita` del riporto, in Giur. comm., 1992, I, p. 79 ss. e 291 ss.
85
Le opinioni
La Rivista del Consiglio
n. 1/2007
ridica, dentro alla moltitudine. Ciò, in tema di elusione fiscale, si deve
più che altrove.
Che se se poi si vuole intraprendere un percorso critico di diverso tenore, intorno a codesti pronunciamenti del S.C., la tesi è per un verso
di conferma rispetto a quanto sopra, e per altro verso di limatura.
Un primo punto, sotto questo rispetto, è la essenza regolamentare ancipite insita in quelle che, intrinsecus, sono le operazioni di dividend
washing e di dividend stripping. Ché se si vanno a esaminare partitamene
i fatti, cioè i regolamenti negoziali, tosto ci si avvede del fatto (allitterazione pour cause) che quivi i diritti reali ‘‘cartolari’’ sono svuotati fino al
limite del nulla, e che le girate o annotazioni si dipanano in una contraddizione fiduciaria. Tanto esprime, per definizione, la quintessenza
della tensione simulatoria, sol che ci si sbarazzi dell’ontologismo formulato in termini di ‘‘apparenza’’ e ‘‘realtà’’, acconcio più all’antitesi tra
‘‘fenomeno’’ e ‘‘noumeno’’ che alla de-ontica. Sotto quest’angolo, le due
pronunzie (sı̀ come la terza, in vero) non sembrano avere colto nel segno, in tanto in quanto non hanno ragionato in termini di evasione simulatoria, piuttosto che alla insegna della elusione (13).
Un secondo punto è dato dal fatto che, a bene vedere, lo squilibrio sinallagmatico - nella causa in concreto - divisato dal S.C., sembra paradossalmente trascurare un dato che non è stato rilevato dai commentatori, pur nelle loro serrate critiche. Si vuole dire, cioè, che i soli casi significanti di siffatte patologie quantitative - anziche´ del darsi o del non darsi
- della causa sono, in diritto positivo, quelli della rescissione.
Un terzo argomento, al fine, attiene ai corollari tributari della asserita
nullità negoziale. Qui il punto non è quello, divisato da taluni critici, relativo alle ripercussioni sui terzi, ché nel processo tributario la nullità,
quale questione preliminare, non ha veruna efficacia di giudicato. Piuttosto gli è che, stante la norma sulla tassazione dei c.d. proventi illeciti
(art. 14, l. n. 537/1993), si può (si deve, ad avviso si chi scrive) argomentare nel senso che i negozi nulli, esattamente al pari di quelli validi,
(13) Conf., perspicuamente, G. FALSITTA, Elusione, capacita` contributiva, interpretazione della legge
tributaria, rel. al conv. ‘‘L’elusione tributaria tra norme generali e speciali’’, org. in Milano (hotel Cavalieri), addı̀ 19 ottobre 2006.
86
La Rivista del Consiglio
Le opinioni
n. 1/2007
producono i loro effetti reddituali - fatte salve, dipoi, le eventuali restituzioni (14).
Epperò in questa logica di triplice riflessione, anche le due sentenze di
cui trattasi - in una con la terza - vanno sı̀ condivise nel dispositivo, ma
non di meno poste in discussione sotto il rispetto motivazionale, dove
altri avrebbero potuti/dovuti essere gli argomenti (con il gramsciano, forse, ottimismo della volontà, al di là del pessimismo della ragione). Gli
argomenti, cioè, della evasione simulatoria.
Federico Maria Giuliani
LL. M. Int’l Tax’n, VA, US
avvocato in Milano
(14) Loc. ult. cit.
87