colombo cristoforo alla scoperta di un mondo nuovo

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colombo cristoforo alla scoperta di un mondo nuovo
COLOMBO CRISTOFORO
ALLA SCOPERTA DI UN MONDO NUOVO
SETTEMBRE
LA VITA, CHE MERAVIGLIA!
Uscì dall'uovo una domenica mattina. Il campanone del campanile di Santa Brigida stava
suonando con il consueto entusiasmo l'invito per la Messa delle 11,15.
Quanto lo avevano aspettato mamma e papà Colombo!
"Dalan dalan, a Messa brava gente, dalan dalan". Uno dei "dalan" esplose proprio mentre la
testa del piccolo colombo spuntava dall'uovo. Lo spavento fu tale che tre piume del capo si rizzarono
e non ci fu più verso di sistemarle in modo normale.
Mamma e papà Colombo accolsero il loro piccolo tubando d'orgoglio. Lo presentarono subito
ai fratellini e ai parenti più stretti che vivevano nel condominio del campanile di Santa Brigida.
"Abbiamo deciso di chiamarlo Cristoforo" disse la mamma.
"Uhm...Cristoforo Colombo..." brontolò la burbera zia Anna Maria. "E" buffo, ma suona bene".
"Forse Cristoforo è un po’' troppo solenne..." disse la mamma, guardandolo con tenerezza. "Tra noi
potremmo chiamarlo Cri-cri".
I primi giorni di Cristoforo Colombo, detto Cri-cri, furono una scoperta più bella dell'altra: l'allegro
tubare delle comari colombo, il calore delle piume materne, il primo chicco di riso e una squisita
briciola di panettone. Fino al giorno solenne e indimenticabile del primo volo.
Quanto gli batteva il cuore, quando si lasciò cadere dal campanile. Vide il selciato della piazza
avvicinarsi vertiginosamente. "Mi schianterò" pensò e chiuse gli occhi. Lo scosse la voce di papà:
"Spalanca le ali, figliolo!". Lo fece e tutto divenne meraviglioso. Anche se il primo atterraggio, gli
lasciò un gran bruciore sotto la coda per una settimana.
OTTOBRE
SONO GRANDE! ADESSO : DECIDO IO
Vennero poi gli amici. Secondo papà Colombo, che non mancava di rimbrottarlo in merito,
fece amicizia con i peggiori colombotti della città.
"Ma sono divertenti! Con loro non mi annoio mai!"
"Sono maleducati, bighelloni e fannulloni...E forse fanno anche certe cose, che non voglio neanche pensare".
Ma per Cristoforo, detto Cri-cri, appartenere alla banda dei Becchi Neri era importante.
«Sono grande, adesso» rispondeva al papà, arruffando le penne e facendo fremere le tre
piume dritte sulla sua testa. "Lo so io che cosa devo fare e che cosa no! Non vedo l'ora di
andarmene da questa casa!"
Dopo le discussioni con suo padre, Cristoforo scorgeva spesso la mamma che si asciugava
di nascosto qualche lacrima. Invece di ammansirlo, questo lo infuriava ancora di più.
Qualche volta, al tramonto, si appollaiava sul campanile e contemplava la distesa dei tetti della
città. Lontano, lontano , oltre il fiume, c'era la collina con i suoi boschi verdi e misteriosi. «È
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tutta qui la vita?» si chiedeva quelle volte Cristoforo. "Avrà ragione il papà: studio, un
lavoro, la famiglia...e basta?"
Una sera gli amici lo portarono vicino al fiume per "la sfida del coraggio". Chiamavano
così un gioco pericoloso che li eccitava moltissimo. Consisteva nel resistere il più a lungo
possibile in mezzo alla strada quando sopraggiungeva un’automobile. Vinceva chi
spiccava il volo proprio un istante prima di essere investito.
Una bella sera tiepida, Cristoforo decise di vincere. Si fermò in mezzo alla strada e chiuse
gli occhi. Avrebbe resistito fino all'ultimo. "Succeda quel che succeda" si disse. "Mi
ricorderanno sempre come Cristoforo Colombo, il più coraggioso di tutti".
Era fermo immobile in mezzo alla strada. Si udì il rombo di un'auto che arrivava a forte
velocità. Cristoforo tese tutti i muscoli.
Ma...prima che l'auto fosse vicina, Crac!, un forte colpo di becco lo colpì al capo, mentre
artigli d'acciaio lo ferivano ai fianchi. Non fece neppure in tempo ad aprire gli occhi o a
gridare. Mentre i suoi amici si disperdevano spaventatissimi, una giovane poiana ripartì a
grandi colpi d'ala, serrando nei suoi artigli il povero Cristoforo tramortito.
NOVEMBRE
SONO ANCORA VIVO
Cristoforo tuttavia era stato fortunato. La giovane poiana non aveva molta esperienza.
Non sapeva bene come si uccidono le prede. E Cristoforo era ancora vivo. Vedeva il fiume
e i boschi scorrere sotto di sé e singhiozzava per il dolore e per la paura.
Si accorse però che poteva muovere, un po' la testa. Divincolandosi un pochino, magari
avrebbe potuto... Ma certo! Pianto il suo robusto becco nella zampa del rapace. La poiana
strillò per il dolore e allargò gli artigli, il colombo cominciò a cadere volteggiando e
sbattendo le ali ferite. E cadde, cadde come una pietra...
Cristoforo si aggrappò al ramo di un albero, poi ad un altro, un altro ancora. Atterrò
finalmente e svenne. Quando si risvegliò, tentò di muoversi, ma sentiva male in tutto il
corpo.
Soprattutto sentiva tanta nostalgia della sua famiglia. "Papà saprebbe dirmi che cosa
devo fare adesso, la mamma mi guarirebbe subito con i suoi sistemi infallibili..." Grossi
lacrimoni gli scorrevano lungo il becco.
In confronto alla città, il bosco era straordinariamente silenzioso.
DICEMBRE
GLI AMICI AIUTANO
"Aiuto! Aiuto!" gridò Cristoforo.
Un coniglio mise il muso fuori dalla tana: "Che succede?"
Cristoforo raccontò: "Sono caduto dal cielo, una poiana mi aveva catturato. Mi sono fatto
male a..."
Il coniglio ascoltò e poi disse: "Oh, là, là! Devo turare un buco nel tetto della mia tana e
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sono molto occupato. Vai dal tasso sotto il salice. Lui saprà curarti". E tornò nella sua tana.
Zoppicando e trascinando l'ala malconcia, Cristoforo arrivò alla porta del tasso.
Il tasso aprì sbottando: "Che succede?"
Cristoforo rispose: "Mi sono ferito...".
Il tasso disse: "Vedo, vedo. Entra!" Esaminò le ferite di Cristoforo continuando a
brontolare: "Che mondo! Sembra che tutti prendano gusto a …
"Non è stata colpa mia" tentò di spiegare Cristoforo. Ma il tasso non ascoltava. Gli steccò e
ingessò con cura l'ala e la zampa e poi gli disse con solennità: "Sei giovane e guarirai in fretta,
ma per un po' stai a riposo ed evita volpi e faine".
Appena uscito, Cristoforo incontrò un riccio che faceva jogging e gli chiese un rifugio per
la notte. Il riccio accennò ai propri aculei e gli disse sorridendo: "A casa mia, è meglio di
no. Siamo tutti tipi pungenti. Vai dalla grande quercia che vedi laggiù, vedrai che ti accoglierà".
Per la strada Cristoforo scorse un topo campagnolo con un sacco a spalle.
Intimidito Cristoforo disse: "Scusi, non avrebbe per caso qualcosa da mangiare? È tanto tempo
che non mangio".
Il topo campagnolo rispose: "Mi dispiace ho tanti bambini che aspettano. Non posso darti
proprio niente in questo momento". E se andò con l'aria preoccupata.
Ma il sacco che portava a spalla aveva un buchino sul fondo. E Cristoforo si accorse che
ogni tanto cadeva dal sacco un granello di frumento. Cominciò a sgranocchiarne qualcuno.
Il topo campagnolo si voltò indietro e lo vide, ma disse: "Seguimi e prendi pure il
frumento che cade. Non sapevo di poter donare un po' di quello che avevo".
Cristoforo beccava il frumento. Non gli era mai sembrato così delizioso…
GENNAIO
GRAZIE …A TUTTI
Era già quasi buio, quando Cristoforo arrivò alla grande quercia. Era così imponente che
Cristoforo non sapeva come parlarle.
"Signora quercia", disse timidamente, "sono Colombo Cristoforo. Ho avuto qualche
problema. Il riccio mi ha detto..."
Allora Cristoforo sentì come un bisbiglio tra le foglie: "Per i piani alti sono al completo: ho
dodici scoiattoli nei buchi, due nidi di gazze sui rami più alti, una serie di alloggi per
civette più in basso. Ma aspetta... Sistemati fra le radici, contro il muschio del tronco.
Dormi lì. Ti donerò un po' della mia forza e domani, vedrai, tutto andrà meglio".
Cristoforo ascoltò quello che avveniva nei piani alti della grande quercia dove erano alloggiati gli
scoiattoli, le gazze e le civette. Papà e mamma stavano preparando i piccoli per la notte: “hai detto le
preghiere? Ti sei lavato? Hai dato il bacio della buona notte alla quercia?”. Mamma civetta prima
di partire per il volo notturno raccomandò i suoi piccoli di dormire tranquilli che la quercia vegliava
sul loro sonno. Tutto finiva con un grazie: grazie mamma, grazie, papà …buona notte!
Poi ci fu silenzio.
Cristoforo si rannicchiò e prima di addormentarsi pensò al coniglio che gli aveva indicato
la tana del tasso, al tasso che l'aveva curato, al riccio che l'aveva mandato dalla quercia, al
topo campagnolo che gli aveva donato il grano perduto, alla quercia che gli aveva dato un
po' della sua forza E piano, piano, nel buio, disse a tutti loro: "Grazie!".
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FEBBRAIO
UN NUOVO MONDO
L'alba si alzò su quello che doveva diventare il "giorno più lungo" di Cristoforo. Non
aveva la minima idea di come ritornare a casa. I piccioni viaggiatori, suoi parenti alla
lontana, avrebbero trovato la direzione in un attimo. Ma lui era solo un povero colombo di
città, giovane e inesperto per giunta. Doveva imparare a vivere nel bosco.
Capì, quasi con dolorosa evidenza, che era solo e poteva contare solo su se stesso. Era
come ricominciare, nascere un'altra volta.
Mentre l'aria era piena di cinguettii e di canti, una cinciallegra gli spiegò la "Grande Legge
del Bosco":
ogni creatura è utile e buona;
la vita è tutto quello che gli animali hanno e quindi va difesa sempre;
ciascuno deve aiutare gli altri nei limiti della sua possibilità;
nessuno deve fare del male ad un'altra creatura solo per gusto di farle male (questa è
una prerogativa delle creature chiamate uomini).
Ad un certo punto la vita del bosco, così diversa da quella a cui era abituato, piacque
talmente a Cristoforo che decise di rimanere.
MARZO
UN RE CHE …RAZZOLA
Un giorno Cristoforo, nei suoi voli di conoscenza del nuovo mondo, avvistò cibo in un’aia
di un cascinale.
Mentre beccava, si trovò accanto uno stranissimo compagno. Il suo istinto gli segnalò
«pericolo mortale!». Le sue ali si tesero come archi pronte a scattare. Il suo vicino dal
becco micidiale era un falco!
Cristoforo si tranquillizzò quando vide che aveva la zampa prigioniera di una corda
sfilacciata e quasi marcia legata ad uno palo del pollaio.
"Ma tu sei un falco!" esclamò Cristoforo. "Che ci fai qui?"
"Un incidente di caccia, figliolo" brontolò il falco per niente imbarazzato, ingollando
un boccone dopo l'altro. "Ero venuto a caccia di pollastrelli, ma l'uomo della fattoria mi ha
tramortito e catturato. Da allora sto qui... A far la gallina!"
"Ma non puoi, sei un re del cielo! Il più veloce dei volatori".
Continuò Cristoforo, sinceramente sbalordito.
"Sto molto meglio qui con le galline, credi a me!" replicò il falco.
Cristoforo indicò la corda che lo teneva prigioniero.
"Quella corda è vecchia e sfilacciata. Se vuoi, con un colpo di becco,
posso liberarti".
Il falco scosse la testa.
"Lasciami stare qui. Non ho più voglia di volare. Non ho più voglia di lottare ogni giorno
per un po' di cibo. Qui ho tutto quello che mi serve".
Le parole del falco scossero Cristoforo. Gli fu subito evidente una cosa importante: "La
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vita è coraggio!"
E, sotto lo sguardo meravigliato delle galline, Cristoforo si alzò in volo e con colpi d'ala
vigorosi tornò nel bosco.
APRILE
UN CUORE GRANDE E GENEROSO
Ma arrivò l’inverno. Tutti gli animali del bosco si erano preparati con impegno, ma che
cosa avrebbe dovuto fare un giovane e inesperto colombo di città?
Cristoforo non fece proprio nulla. Le prime bufere lo sorpresero impreparato. Qualche
rifugio per dormire riusciva a trovarlo, ma presto capì che non poteva approfittare delle
dispense dei suoi amici, perchè erano calcolate per la loro sopravvivenza.
Mestamente, un giorno, si mise a cercare qualcosa da mettere nel becco in un campo vicino
alle case degli uomini, dove era solito andare anche per fare conversazione con uno
spaventapasseri cortese, grande amico di gazze e cornacchie. Lo spaventapasseri aveva il
corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da sera, la sua testa era una grossa zucca
arancione, i denti erano fatti con granelli di mais, per naso aveva una carota e due noci per
occhi.
"Che ti capita, Cri-cri?" chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre.
"Va male, Spa" sospirò Cristoforo. "Fa un freddo cane e non ho un rifugio. Per non parlare
del cibo. Pensò che non rivedrò la Primavera".
"Non avere paura, Cri-cri. Rifugiati qui sotto la mia giacca. La mia paglia è asciutta e
calda".
Così Cristoforo trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri.
Restava il problema del cibo. Era sempre più difficile per il colombo trovare bacche o semi.
Un giorno in cui tutto il bosco rabbrividiva sotto il velo gelido della brina lo
spaventapasseri disse dolcemente a Cristoforo: "Cri-cri, mangia i miei denti: sono ottimi
grani di mais".
"Ma tu resterai senza bocca".
"Che potrei dire ad un amico morto?"
Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo amico vivesse. E gli
sorrideva con i suoi occhi di noce.
Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota.
"È ricco di vitamine" diceva lo spaventapasseri a Cristoforo.
Toccò poi alle noci che servivano da occhi allo spaventapasseri. "Mi basteranno i racconti
dei miei amici" diceva lui.
Infine lo spaventapasseri offrì a Cristoforo anche la zucca che gli fungeva da testa.
Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c'era più. Si era sacrificato per far
vivere Cristoforo. "Sono io, ora, il tuo cuore" disse Cristoforo, fra le lacrime, quando si
accorse che il suo amico non viveva più. "Vivi in me. Ti prometto che accoglierò sempre
tutti, come tu hai accolto me".
La primavera irrobustì le sue ali e Cristoforo si sentì importante e felice nel bosco che era
diventato la sua nuova casa.
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MAGGIO
IL CORAGGIO DI CRISTOFORO
Tutto era perfetto nel Bosco, nonostante la minaccia dei soliti nemici, come Alberto, la
volpe, o Margherita, l’aquila. Cristoforo era diventato un colombo robusto e rispettato.
La Maestra Civetta lo invitava addirittura a tenere lezione di sopravvivenza ai suoi scolari.
Ad essi Cristoforo ricordava l'imprudenza sua e dei suoi amici. Ma soprattutto raccontava
la sua storia. Parlava della solidarietà degli abitanti del bosco che lo avevano accolto e
aiutato e soprattutto dello spaventapasseri, che aveva dato la vita per lui.
Ma con l'arrivo dell'estate, gli animali del bosco si fecero sempre più nervosi. C'era
qualcosa che li spaventava più di tutto. La brezza della sera, ogni tanto, portava un odore
acre e pungente, che faceva tremare d'angoscia il loro piccolo cuore. Era l'odore del grande
assassino dei boschi: il fuoco. Talvolta gli animali del bosco ne parlavano con orrore e
paura. Un brutto giorno il fuoco divampò.
Cominciò una fuga disordinata. Le madri spinsero i piccoli che non capivano a correre e
volare via. Cinghiali, conigli, tassi e ricci rotolavano per i pendii, sbattendo contro i tronchi
e ferendosi nei cespugli di rovi. La prima ad essere investita dalla fiamme fu la grande
quercia. Cristoforo vide i draghi rossi che in attimo divorarono la grande amica degli
animaletti più piccoli e indifesi.
Nella fretta molte bestiole rimanevano indietro, i più piccoli venivano travolti dai più
grossi. Anche Cristoforo seguì gli altri. Grazie alla sua capacità di volatore, in un attimo
fu lontano dall'inferno urlante delle fiamme.
Poco prima di spiccare il volo aveva però sentito la voce disperata della Signora Quaglia.
"È rimasto indietro...Il mio piccolo è rimasto laggiù! Morirà tra le fiamme!" si disperava.
Ma Cristoforo aveva troppa paura e voleva solo allontanarsi il più possibile da quelle
gigantesche e crudeli creature rosse che ingoiavano avidamente il bosco con appetito
insaziabile.
Mentre scappava, Cristoforo risentì la voce dello spaventapasseri: "Vivere solo per te
stesso non è vivere" e ricordò a se stesso “La vita è coraggio”
All’improvviso virò e puntò dritto verso il bosco avvolto dal fumo.
Il cuore di Cristoforo batteva forte per la paura. Si avvicinò alla signora Quaglia che
piangeva disperata e le parlò con voce tranquilla.
"Non pianga più, signora Quaglia. Ora vado a cercare il suo pulcino. Le prometto che
glielo riporterò sano e salvo".
Cristoforo spiccò il volo verso il folto del bosco, dove le fiamme ruggivano ormai sicure
della vittoria. «Sono diventato matto! Chissà che gusto ha un colombo arrosto… Sono
proprio diventato matto!» si ripeteva Cristoforo mentre cercava di orientarsi in mezzo al
fumo.
Gli parve di sentire la voce dello spaventapasseri che gli diceva: «Ben fatto, Cri-cri!»
Gli animaletti del bosco lo videro scomparire nella nuvola nera che avvolgeva il bosco.
E pensarono: «Non ce la farà!», ma non potevano nascondere una segreta ammirazione per
il coraggio del colombo.
Riprendere quota con il pulcino tra le zampe gli costò un sforzo immane. "Devo dire a tua
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madre di metterti a dieta" bofonchiò rivolto al quagliotto che si dimenava impaurito e
arruffato.
Quando gli animali del bosco lo videro uscire dal fumo esplosero in un sincero e ammirato
"Urrà" di entusiasmo. L'atterraggio di Cristoforo e del suo piccolo passeggero fu piuttosto
impreciso, ma Cristoforo ebbe tutti gli onori, mentre il quagliotto scompariva nel caldo e
morbido abbraccio della Signora Quaglia.
GIUGNO
FESTA INSIEME
Intanto nel bosco erano arrivati gli uomini e avevano incominciato a spegnere l'incendio.
Dall'alto un elicottero prese a scaricare possenti gettate d'acqua che soffocarono le fiamme.
Verso sera gli animali si prepararono a tornare nel loro bosco. Lo facevano senza allegria:
sapevano che sarebbe stato difficile ricominciare, ma l'erba sarebbe rispuntata e nuovi
alberi sarebbero germogliati.
Cristoforo rimase per ultimo. Guardò partire tutti i suoi amici.
"Allora, vieni?" gli chiese il gufo Giovanni.
"No" rispose Cristoforo. "Torno in città. Ora ho imparato che cosa vuol dire essere un vero
colombo. Ho scoperto che il mondo non finisce dove finiscono i tetti: c' è davvero un altro
mondo e lo voglio dire a tutti !"
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