backstage - Mamo Pozzoli

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backstage - Mamo Pozzoli
luce
Live
A di Stefano Bonagura
2012
Cesare
Cremonini
(CORTESIA DELLA PRODUZIONE)
È la prima volta di Cremonini al
Forum: un significativo sold out,
che rende bene l’idea dei risultati
raggiunti, la dimensione della
popolarità di Cesare, accompagnato
da una solidissima band pop rock
capace di trascinare il pubblico.
Un bel suono, molto robusto e gustoso.
38 BACKSTAGE t febbraio 2013
Con Cesare Cremonini (voce, pianoforte,
chitarra acustica ed elettrica) ci sono Nicola “Ballo” Balestri (basso), Andrea Morelli
(chitarra acustica ed elettrica), Alessandro
De Crescenzo (chitarra acustica ed elettrica), Nicola Peruch (pianoforte e tastiere),
Michele Guidi “Mecco”(organo, tastiere),
Elio Rivagli (batteria), Eduardo Javier Maffei (fiati e cori) con Chris Costa (cori, chitarra acustica, elettronica) e Roberta Montanari (cori). Dieci in tutto sul palco, buona ritmica, in certi brani si arriva a tre o
addirittura quattro chitarre che suonano,
quando l’imbraccia anche Cesare (tenuta
un po’ indietro nel mix, per non dare fastidio agli altri due chitarristi). La sostanza
è uno show compatto e ben suonato, su
un palco 16 x 12 m, più un piccolo B Stage in sala (3 x 3 m), con un disegno luci ottimamente integrato col video, senza manie di grandezza, che punta dritto al sodo,
per un tour concentrato, prodotto da Live Nation, 13 concerti in totale, con 4 bilici di produzione (per audio, luci, backline, video, catering).
Marco Monforte comanda il suono, da
una DiGiCo SD7, con una D1 per il monitoraggio di palco, dietro le indicazioni
dell’artista e della produzione di Walter
Mameli: palco completamente muto, tutti i musicisti sono equipaggiati con IEM,
con un paio di monitor solo per Cesare
Cremonini, in caso d’emergenza. P.A. LAcoustics V-DOSC e Monforte sull’argomento commenta: “Per me è un ritorno
al V-DOSC dopo un anno di K1... è un’altra storia, non sento il bisogno del K1, più
semplicemente ne sento la mancanza: se
assapori il lusso, difficilmente torni indietro. Col V-DOSC ho lavorato per 10 anni,
sono contentissimo di quello che abbiamo
qui, sistema conosciuto, grande, non ho
mai avuto problemi, abbiamo tutta la dinamica che vogliamo, facendo lavorare le
macchine nel miglior modo possibile. Coi
musicisti abbiamo lavorato, per trovare le
dinamiche di ognuno, per avere respiro,
per evitare che il suono risulti schiacciato.
La cura sul mix, sul balance, l’abbiamo raggiunta lavorando giorni insieme all’artista,
quattro pezzi al giorno, attraverso virtual
soundcheck, che è diventato un elemento integrante del mio lavoro”.
Una parte molto interessante e bella dello
spettacolo è offerta dalle luci, che abbiamo deciso di approfondire.
L’idea di luce di Mamo Pozzoli
Mamo Pozzoli (lighting designer)
Ho già lavorato con Cesare 4 anni fa, ci
conosciamo, c’è sintonia. Sono partito dal
suo ultimo album, dagli stimoli che mi dato, con tutto l’immaginario che gli sta dietro. Con un titolo così (“La teoria dei colori”), con un artwork di copertina così, con
l’immagine coordinata, con un gruppo di
grafici che se ne sono occupati, mi è sembrato naturale partire da lì. Questo era anche il desiderio dell’artista, per cui ho iniziato a lavorare su una configurazione di
palco che prevedesse degli elementi grafici di vario tipo, sia classici (teatrali, stampati), sia elettronici (video). Non potevo non
giocare sul contrasto, sui colori, cosa che
per noi designer è un po’ spinosa (lavorare con tanti colori insieme): stiamo parlando di un lavoro che comprende 6 colori, sempre mischiati con delle forme geometriche, lavoro interessante, contemporaneo, che riportato in ambito live sicuramente crea problematiche enormi. Come
sempre è una sfida: perché non buttarcisi
dentro? Sul concreto, il palco è stato pensato come un susseguirsi di diversi livelli di
profondità. Dietro il primo livello (i musicisti, che stanno sul palco coi loro strumenti, begli oggetti, da illuminare) ci sono almeno tre livelli di scenografia, video, attraverso i quali ho tentato di dare profondità. Partendo da fondo palco, abbiamo un
fondale classico, che riporta l’immagine
della cover, di dimensioni importanti (20
x 10 m), un vincolo notevole, concettuale più che altro, che ho scelto io. L’idea è
farlo vivere quando è illuminato, ma farlo risultare assente quando non viene illuminato. Davanti al fondale abbiamo una
grossa superficie (100 mq) di video a bassa
risoluzione (Soft LED, passo 100), disposto
in quattro quinte verticali. Con questa superficie la mia idea era riprodurre la stessa
grafica del fondale; in certi momenti il gioco è stato proprio quello di mappare questo video, in corrispondenza del fondale
posteriore, per ricostruire elettronicamente le porzioni mancanti, con un gioco interessante di piani. Davanti abbiamo il terzo livello, il più importante per quanto mi
riguarda, il video ad alta risoluzione (Barco MiTRIX, 24 mm), che viene utilizzato in
maniera classica: sono tre moduli di forma
non tradizionale (quadrati, 3,50 x 3,50 m)
appesi a una truss. Facendo molti back to
back, dobbiamo montare molto rapidamente, per cui l’ingegnerizzazione di tutto ciò è stata fondamentale. Questo primo livello di video ad alta risoluzione viene utilizzato essenzialmente per trasmettere immagini live (riprese con due camere in sala, due sul palco, più altre due remotate, sparse per il palco), con una regia
video live molto abile (di Emigliano Napoli, STS Communication, che ha suggerito
a Cesare molte soluzioni, proprio di rapporto con le telecamere). La sfida è stata integrare questa situazione live classica
dentro un gioco di grafiche, per sfruttare
il discorso della tripla prospettiva. L’immagine live di Cesare infatti è quasi costantemente “sporcata” da geometrie, che richiamano le forme che trovi dietro. Utilizziamo questo grande schermo (alta e bassa risoluzione) come fosse un unico schermo: le grafiche passano dall’alta alla bassa
e viceversa e addirittura anche il fondale
(quello serigrafato) entra in questo gioco,
perché spessissimo le forme stesse vengono riprese, a volte non riesci più a capire
dove stanno. Questa profondità è piaciuta molto a Cesare.
Per quanto mi riguarda, ho puntato a enfatizzare il gioco dei colori, cercando di risultare elegante: la soglia fra il cattivo gusto
e l’eleganza è sottile, bisogna essere molto rigorosi, nella scelta dei colori e nell’uso che se ne fa. Quando lavori con un fondale serigrafato così grosso, i colori che
gli proietti addosso ne creano altri, colo-
Il B Stage per l’intermezzo acustico: piano di calpestio semitrasparente, con nove i-Pix
BB 7 che illuminano da sotto.
ri complementari, si mischiano. Il bianco
stesso non funziona, perché a seconda di
caldo o freddo (col giallo del fondale) finisce per essere enfatizzata una dominante
piuttosto che un’altra, per cui ho lavorato
molto sulle tinte del blu, viola, rosso, che
sono gli unici colori puri che vanno a saturare completamente il fondale e annullano qualunque formazione di colore; vedi il fondale, che sostanzialmente diventa
monocromatico, però percepisci le forme
geometriche.
Questa enfasi sul colore non poteva reggere per 2 ore di concerto, di conseguenza a un certo punto la scelta è stata quella di tirare indietro e di lavorare quasi sul
bianco e nero: con le luci è un paradosso, utilizzando delle tinte che riportassero
una dominante cromatica molto fredda o
molto calda, sempre tendente al bianco.
Con le immagini in bianco e nero, in certi pezzi, sembra di ritornare un po’ indie-
Un render 3D di Mamo
Pozzoli per il tour 2012 di
Cesare Cremonini, qui si nota
immediatamente la presenza
dei 3 livelli di profondità.
febbraio 2013 t BACKSTAGE
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(© STEFANO BONAGURA)
Alcune di queste soluzioni sono veramente molto efficaci e coinvolgenti.
(© STEFANO BONAGURA)
Monforte per Cremonini.
Mamo Pozzoli, light designer
e operatore luci dello show.
Ecco una delle soluzioni coi fari in home descritte da Mamo
Pozzoli.
tro, agli anni Cinquanta, però alcuni brani si prestano bene. Quelli dell’ultimo disco sono molto esasperati nell’uso del colore, quelli vecchi invece virano verso una
dominante completamente diversa: questa alternanza permette di evitare la noia.
L’ultima nota caratteristica è la presenza di
un piccolo palco, che chiamiamo B Stage
(in realtà è una piccola pedana, posizionata in platea, fra il pubblico, nda), dove Cesare canta da solo suonando il pianoforte.
Ho cercato di evitare l’usualità, scegliendo
un piano di calpestio opalino (plexiglass
satinato), illuminato da sotto (un tappeto
monocromatico, con fade tra un colore e
l’altro, tramite nove i-Pix BB 7), con un perimetro di LED, molto elegante, cui si aggiunge l’accento di un seguipersona, giusto per schiarire il volto di Cesare, che si
sposta per una ventina di minuti su questo palco, in una situazione acustica molto suggestiva, con pochi elementi caratterizzanti.
BS Finora non hai parlato per niente
del resto dell’impianto luci, sulle americane che solcano il palco perpendicolarmente.
MP Insieme a tutti gli altri dello staff tecnico ho dovuto studiare un sistema di appendimento che permettesse di non intralciarsi a vicenda, per cui gli schermi video
sono appesi su un truss dedicato, che però usiamo anche come cable bridge per le
luci (tutti i cablaggi arrivano da quel truss)
e i video sono sub-riggerati a questo truss,
per cui c’è una movimentazione veloce,
per piani compartimentati, non c’è com-
40 BACKSTAGE t febbraio 2013
(© STEFANO BONAGURA)
(© STEFANO BONAGURA)
(© STEFANO BONAGURA)
luce
La “teoria dei colori” appare anche sugli schermi video.
mistione fra truss audio e luci. All’interno
di questa configurazione (sostanzialmente si tratta di quattro grosse americane a
pettine, che stanno sul fondo), secondo
me non c’era grande possibilità di lavorare se non assecondando questa dimensione longitudinale o perpendicolare. Ho
provato altri disegni, con delle curve, ma
non mi sembrava il caso, perché c’è già
una scenografia molto importante e non
volevo che diventasse un disegno di truss.
Mi servivano solo delle americane di servizio. Ciò non toglie che ho voluto scegliere questa dimensione perpendicolare perché in questa disposizione a strati le luci
devono lavorare sostanzialmente a pioggia: gran parte dei punti luminosi appesi
sono quasi sempre in home. Quando accendo le lampade e tutte le macchine (circa 120) sono in home e funziona, vuol dire che il disegno, già così, è ben riuscito;
invece quando il disegno in home, lamp
on, non mi piace al primo colpo, comincio a faticare. Qui c’è un grid, un tappeto,
flat, che copre tutto il palco. Ho utilizzato
un espediente, mettendo dei tubi longitudinali sulle americane, per poter ulteriormente diffondere punti luce. Ho una matrice di LED, di BB 7, di Mac 2000 Wash,
Alpha Beam 700, che coprono tutto il palco, per cui i puntamenti sono anche abbastanza veloci, a partire dalla posizione
di home basta fare dei piccoli movimenti
e tutto il palco viene coperto.
BS Oltre le americane che solcano il
palco, stai utilizzando anche altri truss.
MP Dei truss laterali, di servizio, arretra-
ti, ribassati, per permettere al P.A. di lavorare in tranquillità: sostanzialmente sono
dei tagli, anche se spesso li uso in home, e
non illuminano niente (l’area tecnica), sono una cornice visiva, un sipario laterale.
Altrimenti li uso di taglio, che è la loro funzione principale. Sul palco c’è anche una
batteria di LED (Robe Robin 300), che ho
sparso un po’ sia lungo il perimetro, sia
sul fondo, sia di taglio, sul pavimento, per
avere una dimensione speculare rispetto a
quello che c’è sopra. Un perimetro luminoso, tutto intorno ai musicisti.
BS Come interagiscono i tre schermi
Barco che magnificano il live con il disegno luci?
MP Quando mi è stato chiesto un disegno, l’artista, il management hanno detto che gli sarebbe piaciuto usare dei video.
La mia domanda è stata: perché? Risposta: per essere contemporanei, tutti hanno video. Ho chiesto se avevamo qualcosa
da raccontare. Tendenzialmente no. Questo però è fondamentale: puoi usare il video se hai qualcosa da raccontare, se no
è meglio di no.
BS Perfettamente d’accordo: infatti
spesso non sento affatto la necessità
del video su alcuni palchi.
MP In questo caso Cesare desiderava delle riprese live, che lui non ha mai avuto.
Ha utilizzato tanto video in passato, graficamente. Stavolta voleva riprendere la sua
immagine, per cui abbiamo deciso per il
video finalizzato esclusivamente a questo.
Abbiamo dei riferimenti artistici comuni, di
(© STEFANO BONAGURA)
(© STEFANO BONAGURA)
Dal colore ogni tanto si passa a forme geometriche in
bianco e nero.
Per ottenere poi soluzioni molto più complesse, su piani
differenti, giocando tra i diversi schermi (ad alta e bassa
risoluzione) e con le luci.
artisti internazionali che ci piacciono, Radiohead, Coldplay, che usano il video in
maniera particolare. Da subito è nata l’idea di “sporcare” il video con delle grafiche, dei viraggi cromatici, inquadrature
particolari, per cui gran parte dell’uso dei
MiTRIX è legata alla deformazione dell’immagine live, un filo conduttore. Le luci da
una parte pilotano, dall’altra assecondano.
La fotografia diventa fondamentale per la
resa delle immagini: non può esserci guerra tra i due elementi. Uso il video, come
sempre faccio, come sorgente luminosa.
Il MiTRIX è un elemento molto potente:
quando c’è una dominante di colore, questa mi torna attraverso l’immagine video di
Cesare, per cui ho cercato di sfruttare i colori e le dominanti legate al bianco per virare naturalmente l’immagine sugli schermi. Non ho la necessità d’invadere il palco
con luci bianche, per far vedere l’immagine. C’è già il video. La potenza dei Barco
è stata ridotta a un terzo, taratura trovata durante le prove. Tutto ciò, la tridimensionalità, i piani diversi, è ovviamente legato alla trasparenza: il MiTRIX è trasparente, il Soft LED è totalmente trasparente, il
gioco di mescolare alta e bassa risoluzione
funziona se c’è una luminosità compatibile su tutti gli strati. Abbassando la luminostà del MiTRIX, abbiamo trovato un equilibrio tra tutte le fonti luminose.
quantità, di tutte le tipologie, ho cercato di avere il più possibile varietà. I Jarag
li ho messi lì per creare il quarto schermo:
abbiamo tre schermi quadrati, il quarto è
questo, al centro del palco. Cesare utilizza quell’ingresso/uscita più volte: in controluce, non è una trovata particolarmente
geniale, però Jarag è un oggetto così bello, versatile, dinamico, ha una pasta unica, sopperisce fantasticamente all’assenza
di colore con la sua temperatura naturale.
Usarlo in maniera originale è quasi impossibile, perché è stato visto ovunque, anche
nei programmi televisivi, in mille varianti.
Uso Jarag poche volte, quasi mai in pieno, con la dimmerata di un’incandescenza,
quella che fa la differenza. In quella posizione, è sempre alle spalle di Cesare, spesso rientra nel video, per cui si crea un loop
interno alle immagini, molto efficace visivamente. Inoltre ho usato per la prima volta degli Sharpy: pochi, solo 14, perché mi
ero ripromesso di usarli solo quando fossero passati di moda! Come fare per ridare
una dignità agli Sharpy, ora che li abbiamo
visti in grandi quantità praticamente dappertutto? Mi serviva qualcosa che andasse a tracciare sul video: i Beam 700 sinceramente sono al limite in questa situazione, con così tanto video fanno fatica, per
cui li ho dovuti utilizzare in maniera atipica, addirittura come degli special sulle persone, con dei fasci molto stretti. Uso gli
Sharpy, ma non sul tetto (ma lo farò... la
prossima volta li userò esattamente in home, perché ho capito che il modo per utilizzarli è quello, una foresta di Sharpy verticale!), adesso li ho sparsi in giro: fanno
BS Centralmente, a fondo palco, si vedono dei Jarag.
MP Sì, è una matrice di Jarag: nove moduli, pochi rispetto ai muri che si vedono
adesso! In questo disegno ci sono poche
degli accenti, Sharpy è una macchina che
ha tante possibilità, mi piace utilizzarla col
frost, sfocata, usando dei gobos poco intelliggibili, ti dà la possibilità di accenti che
se non abusati possono fare la differenza.
In tv ne hanno fatto un uso selvaggio, cosa che m’infastidisce molto. Comando tutto con grandMA 2: per me è la prima volta, è stato un passo obbligato, altrimenti rimanevo indietro. Rispetto a grandMA
1, che ho utilizzato per tanti anni, è stato
un salto importante: ancora adesso non
ne ho l’assoluta padronanza, però ho cominciato a entrare dentro le sue caratteristiche. Macchina consolidatissima, soprattutto a livello di network, affidabile, da PC,
tra banchi, ormai abbiamo dei rack standard, con le MA NPU (Network Processing
Unit, le unità che han sostituito le NSP, che
generano il DMX, che non peschiamo più
dai banchi, da anni). Sull’esecuzione, sono entrato nel mondo cue list, mentre fino
all’ultimo tour ho sempre seguito gli spettacoli suonando, orizzontalmente. Vengo
dalla scuola Avolites: per me era importante avere tanti fader, tutti pieni e missare in tempo reale. Così sbagliavo tanto,
però gli spettacoli non venivano mai tutti uguali. Adesso siamo arrivati a un livello
di complessità tale sulla programmazione
(vedi un caso come questo con Cremonini, dove usiamo 11 tipologie di macchine
diverse), per cui diventa molto complicato
programmare, e impilare in cue list velocizza molto. Forse questo toglie un po’ di
magia, però mi ha fatto entrare nei criteri
di programmazione della macchina che sto
utilizzando. Devi studiare molto: conoscevo bene i pezzi di Cesare del vecchio repertorio, il disco nuovo no, l’ho ascoltato, per
studiarlo con un approccio da musicista,
per scoprire la struttura dei brani; questo
ti permette di scrivere fisicamente il pezzo, tutta l’architettura, costruendo questi
cassetti, dentro i quali puoi mettere la tua
programmazione. Questo lavoro ho dovuto farlo prima, durato parecchie settimane
(di studio e introduzione all’interno della
macchina), per poi riempire finalmente i
cassetti durante le prove.
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febbraio 2013 t BACKSTAGE 41