L`ALTRO INNO DI MAMELI

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L`ALTRO INNO DI MAMELI
Nel maggio del 1848, all’indomani delle “di cinque giornate Milano” (18-22 marzo 1848),
che hanno determinano la cacciata di Radetzky e degli austriaci, Verdi rientra a Milano
da Parigi, dove si trova per motivi di lavoro, e si incontra con un grande patriota che
egli ammira moltissimo, Giuseppe Mazzini, anche lui rientrato in quei giorni dall’esilio.
Mazzini propone al Maestro di comporre un “inno di battaglia” per gli italiani, sullo
schema dell’inno francese “Marsigliese” e Verdi non esita ad accettare.
Mazzini commissiona allora un testo “infuocato” al poeta patriota Goffredo Mameli e nel
mese di agosto lo invia a Verdi, nel frattempo rientrato a Parigi. Verdi si mette al
lavoro e nel mese di ottobre spedisce a Mazzini lo spartito dell’Inno Popolare (poi
conosciuto anche come “Suona la tromba” dalle prime parole del testo), accompagnandolo
con una lettera nella quale spiega che ha “cercato di essere il più popolare e semplice
possibile” e in chiusura si augura: “…possa questo inno essere eseguito presto in mezzo
alla musica del cannone nella pianura lombarda!”.
Il riferimento, nella lettera a Mazzini, dell’accompagnamento musicale del cannone, fa
piazza pulita di tutti i dubbi che sono stati sollevati nel tempo sull’autenticità dei
sentimenti patriottici di Giuseppe Verdi. Molti infatti gli rimproveravano – e gli
rimproverano – troppa sudditanza verso i sovrani dell’epoca. Una sudditanza che si è
manifestata, al massimo, con la frequentazione delle corti dovuta, peraltro, al valore
del musicista e al successo delle sue opere e con qualche dedica di troppo dei suoi
capolavori ad alcune “first ladies” del tempo, come l’Imperatrice d’Austria. Peccati,
questi, piuttosto veniali che si possono perdonare con la considerazione che, anche
allora – più di oggi – musica non dabat panem.
L’inno, per la verità non così semplice, in un primo momento è stato composto per solo
coro maschile e per essere eseguito “a cappella”, senza cioè l’accompagnamento musicale.
Successivamente lo stesso Maestro ne curerà l’orchestrazione. Lo stesso Verdi sembra però
rendersi conto che non potrà essere l’Inno degli Italiani.
Infatti, quando nel 1862, ad unità nazionale compiuta, il Maestro viene incaricato di
concludere la Grande Esposizione Internazionale di Londra, con un grande concerto,
compone per l’occasione “Cantica” per coro e orchestra e, in omaggio alle Nazioni europee
presenti, inserisce nel contrappunto finale le note della Marsigliese, per la Francia, di
God Save the King per l’Inghilterra e per l’Italia avrebbe dovuto inserire le note della
Marcia Reale; se ne guarda bene, ma non se la sente nemmeno di inserire le note di “Suona
la Tromba”, il suo inno dedicato agli italiani. Le note che risuonano nel contrappunto
dedicate all’Italia sono quelle del “Canto degli Italiani”, musica di Novaro e parole di
Mameli: il già popolarissimo allora “Fratelli d’Italia”, il più cantato dai patrioti
italiani durante il Risorgimento, divenuto il vero inno nazionale prim ancora che
l’Italia sia nazione .
Dello spartito dell’ Inno Popolare si perde ogni traccia e perfino memoria per lungo
tempo; il suo ritrovamento negli anni ’80 del secolo scorso si deve ad un gruppo di
studenti di Milano cui è stato permesso di rovistare negli archivi dismessi della casa
Ricordi. Dopo l’iniziale clamore della scoperta lo spartito cade di nuovo nell’oblio.
La Corale Puccini ha voluto riproporlo
nei concerti dedicati alle celebrazioni
del’unità d’Italia anche per onorare la memoria del grande compositore di Busseto come
patriota.
QUESTO
IL TESTO “INFUOCATO”
DELL’ INNO POPOLARE di G.Mameli, musicato da G.Verdi.
Suona la tromba, ondeggiano / le insegne gialle e nere. / Fuoco, per Dio, sui barbari, / sulle
vendute schiere. / Già ferve la battaglia, / al dio dei forti osanna. / La baionetta in canna, / è
l’ ora del pugnar.
Né deporrem la spada / finché sia schiavo un angolo
Italia
/ una, dall’ Alpi al mar.
/ dell’itala contrada / finché non sia l’
Di guerra i canti echeggiano, / l’ Italia è alfin risorta. /Se mille forti muoiono / in orrida
ritorta, / se a mille e mille cadono / trafitti i suoi campioni, / siam 26 milioni / e tutti lo
giurar;
Né deporrem la spada /
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Viva l’ Italia, or vendica / la gloria sua primiera, / segno ai redenti popoli / la tricolor
bandiera. / Che nata tra i patiboli / terribile discende / tra le guerresche tende / dei prodi che
giurar…
Né deporrem la spada/
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Viva l’ Italia, or vendica / la gloria sua primiera, / segno ai redenti popoli / la tricolor
bandiera. / Che nata tra i patiboli / terribile discende / tra le guerresche tende / dei prodi che
giurar…
Né deporrem la spada/
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