procreazione medicalmente assistita e outcome ostetrici

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procreazione medicalmente assistita e outcome ostetrici
SCUOLA EUROPEA IN ANESTESIA OSTETRICA
Master biennale di alto perfezionamento in
ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA
(Direttore Prof. Giorgio Capogna)
ANNO ACCADEMICO 2015-16
PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA
E OUTCOME OSTETRICI :
IMPLICAZIONI ANESTESIOLOGICHE
TESI FINALE di :
Dott. Ubaldo Bitossi
Roma. 21 Ottobre 2016
Ringrazio l’ostetrica D.ssa Silvia Giovinale per aver permesso, con la sua competente e paziente
collaborazione , la stesura di questo lavoro, inizio di ulteriore campo di monitoraggio per il nostro
DAI Materno Infantile: grazie Silvia per il tuo continuo contributo umano e professionale
all’incessante e fondamentale lavoro di team.
PIANO DELLA TESI
SINOSSI
INTRODUZIONE
1. Definizioni ed epidemiologia della fertilità;
2. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA);
3. Le complicanze nella gravidanza multipla;
4. Alterazioni dell’imprinting genetico: la questione epigenetica
5. Outcome ostetrici in donne sottoposte a PMA: analisi della letteratura
STUDIO
1. Obiettivo dello studio
2. Ipotesi di studio
3. Materiale e metodo
4. Risultati
5. Discussione
6. Conclusioni
BIBLIOGRAFIA
SINOSSI
Nella specie umana, l’evento riproduttivo non risponde soltanto ad una esigenza
biologica, riconosciuta uguale in tutti gli esseri viventi, ma riveste anche una forte
valenza sociale, e pertanto in questo tema vanno a concentrarsi molti elementi
peculiari e critici della nostra società come ad esempio mito, religione, progresso e
altri a valenza più negativa quali interessi professionali, politici ed economici. Le
tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) costituiscono l’1,5-5 % di
tutte le nascite nei paesi sviluppati. Fin dall’inizio del loro utilizzo ad ora , queste
tecniche hanno posto vari interrogativi alla comunità scientifica. La manipolazione
in laboratorio delle cellule uovo e degli spermatozoi ne
potrebbe alterare le
caratteristiche. In particolare, ma non solo, potrebbe venire alterata l’eredità
epigenetica, cioè i geni anche se integri e normali, verrebbero a comportarsi nella
loro espressione, e quindi fenotipicamente, in modo anomalo. A questo vanno
sommate altre condizioni : l’età delle donne , che in chi si sottopone a PMA,
frequentemente supera i 40 anni; l’ovodonazione, che innescherebbe una reazione
immunitaria (simile in tutto al rigetto di trapianto) dovuta alla diversità completa fra
antigeni fetali e materni superiore al normale ( normalità che solitamente non supera
il 50%); e infine le tecniche ormonali di iperstimolazione e quelle di inseminazione
multipla . Tutto questo produrrebbe, secondo alcuni dati riportati in letteratura ,
gravidanze anomale con impianto ed alterazioni funzionali della placenta (con
maggior frequenza di ritardo di crescita fetale), maggior incidenza di gravidanze
plurime, maggior incidenza di sindromi ipertensive (preeclampsia) e di emorragie
pre e post partum (PPH). Da questa premessa risulta evidente l’interesse
dell’anestesista ostetrico nei confronti di un eventuale incremento
di situazioni
cliniche peculiari per la disciplina, in particolare preeclampsia ed emorragia, oltre
alle complicanze legate alle
stesse tecniche di PMA quali sindrome da
iperstimolazione ovarica ( emorragie, infezioni pelviche e torsione dell’ovaio che
però non saranno oggetto di questa tesi) e complicanze legate alle più frequenti
gravidanze multiple.
In questa tesi abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla relazione fra PMA e
outcome ostetrici ,
in particolare analizzando,
la dimensione del problema
attraverso la letteratura e poi , valutando attraverso uno studio retrospettivo su una
popolazione di 3313 parti, l’ incidenza di emorragie post-partum (> o = 500 ml e > o
= 1000 ml) e ipertensione in gravidanza (PAS> 140 mmHg; PAD>90 mmHg) nelle
donne che avevano concepito tramite tecniche PMA rispetto alle donne che avevano
concepito spontaneamente, nel periodo di tempo 1 gennaio-31 dicembre 2015 presso
il Dipartimento Attività Integrate Materno Infantile (DAIMI) dell’ Azienda
Ospedaliero Universitaria di Careggi (AOUC) di Firenze.
In linea con i dati della letteratura, anche la più recente, ci attendevamo un
incremento delle complicanze identificate nella popolazione PMA rispetto alla
popolazione non-PMA. In effetti i risultati appaiono confermare questa ipotesi e che
cioè, premessa l’omogeneità dei campioni confrontati (per età, parità, gravidanza
singola e modalità di parto pur non potendo distinguere se ovo donate o autologhe), le
donne che avevano concepito con tecniche PMA più frequentemente andavano
incontro a perdite ematiche post partum superiori a 1000 ml. Mentre nel campione
analizzato non sono state rilevate differenze statisticamente significative riguardo lo
sviluppo di sindromi ipertensive in gravidanza.
necessari
Sicuramente altri studi saranno
per cercare di chiarire quanto peso abbiano lr tecniche di PMA (
crioconservazione, inseminazione, terapie ormonali di iperstimolazione ovarica,
preparazione dell’endometrio) o la condizione stessa di infertilità, sull’incremento di
out comes ostetrici e neonatali negativi. Ne deriva comunque la raccomandazione,
come anche dalle linee guida citate, di considerare, almeno dal punto di vista
anestesiologico, le partorienti che hanno una storia di PMA come a maggior rischio
di emorragia e preeclampsia, quando non si sommino età avanzata (> 40 anni) e/o
gravidanza multipla, fattori di rischio a loro volta indipendenti .
INTRODUZIONE
1. DEFINIZIONI ED EPIDEMIOLOGIA DELLA FERTILITA’
Fertilità è la capacità di riprodursi degli esseri viventi, al contrario per sterilità si
intende l’assenza di questa capacità.
Feconda è poi la coppia della cui fertilità esiste prova (parto di un figlio vitale);
infeconda è la coppia che non è riuscita a dare prova di fertilità.
Nella dizione italiana (diversa da quella anglosassone e francese) si distingue fra
sterilità ed infertilità, intendendo per quest’ultima condizione l’incapacità di
condurre a termine una gravidanza.
Sterilità si definisce poi primaria quando una coppia non ha mai concepito e
secondaria quando fa seguito ad uno o più concepimenti (indipendentemente dal
loro esito). (1)
Altra nozione da richiamare è quella di fecondabilità che rappresenta la probabilità di
concepire per una data coppia, nell’arco di un certo periodo di tempo di rapporti non
protetti. La fecondabilità è una condizione intrinseca della coppia e può essere intesa
come variabile biologica che si esprime come potenzialità. Come tutte le variabili
biologiche essa fluttua all’interno della popolazione.
Tra gli estremi di fecondabilità nulla (sterilità) e fecondabilità massima, esistono tutti
i possibili gradi di espressione di questo parametro, sintesi delle potenzialità
riproduttive dei due partner.
Per le popolazioni occidentali, la fecondabilità alla prima esposizione è stimata
intorno al 25% e nell’arco dei 12 mesi successivi la probabilità di concepire è di circa
il 90%.
La fecondabilità di una popolazione si riduce con il tempo: dopo 12 mesi di
insuccessi la fecondabilità media è stimata pari al 10,6%, dopo 24 mesi si riduce al
3,1% e dopo cinque anni è soltanto lo 0,3% (2).
I criteri per stabilire il periodo di tempo entro il quale le coppie fertili inizieranno una
gravidanza si basano essenzialmente sull’età della donna e sul numero dei rapporti
settimanali con uomo fertile.
Fra 20 e 24 anni di età la probabilità di gravidanza sarà l 30-32% mentre oltre i 40
anni la probabilità scenderà al 9-10 % (2).
In un lavoro di Schmidt L. (3) la sterilità primaria rappresenta il 13-16% quando si
consideri un periodo di ricerca della gravidanza di almeno un anno e quando vengano
incluse solo donne che abbiano tentato di concepire. Allo stesso modo nel medesimo
studio la prevalenza di sterilità secondaria risultava del 17 % circa.
Comunque il tasso di prevalenza della sterilità varia notevolmente nello stesso studio
e nella medesima popolazione a seconda delle definizioni utilizzate: utilizzando
cinque diverse definizioni i tassi di prevalenza oscillerebbero fra 5 e 12 %. (4)
Ciononostante se lo studio include solo donne in età fertile è importante escludere
quelle che non hanno ancora tentato di avere una gravidanza: la loro inclusione
comporterebbe infatti una stima inaffidabile della sterilità! Così
in molti paesi
occidentali l’età media delle donne alla prima gravidanza è maggiore di 28 anni (5)
ad indicare che un grosso numero di donne sotto i 30 anni non ha ancora tentato di
concepire. Più correttamente quindi se si valuta la prevalenza di sterilità primaria
involontaria, includendo al denominatore donne che hanno ricercato una gravidanza,
essa oscilla dal 3 al 4 %, mentre la secondaria va dal 3,5 al 5,9% (6).
Emerge inoltre da altri studi (7,8,9) che si rivolgono più frequentemente ad uno
specialista per PMA le donne affette da sterilità primaria (32-95 %) rispetto alle
donne affette da sterilità secondaria (22-79 %).
1.1 GRAVIDANZA E SOCIETA’
Nella specie umana l’evento riproduttivo non risponde solo ad una esigenza
biologica, ma riveste anche una forte valenza sociale. I grandi mutamenti storici degli
ultimi anni hanno cambiato radicalmente l’assetto familiare rispetto al periodo
precedente la grande guerra, interferendo notevolmente con le scelte riproduttive e
soprattutto con i tempi della riproduzione nella nuova società. E se la sterilità della
società è un fenomeno che non turba la coscienza comune, la sterilità individuale è
vissuta invece come menomazione non meno dolorosa di quanto fosse in lontane
epoche storiche. L’aumento dell’occupazione e della scolarizzazione nelle donne, le
grandi rivoluzioni degli anni 60-70 (pillola anticoncezionale, divorzio, aborto) hanno
finito per scardinare definitivamente le giustificazioni sociali del matrimonio non più
strumento necessario per una “legittima” vita sessuale e non più fondamento della
procreazione. Quindi il desiderio di gravidanza spesso si sposta in avanti, scavalcato
da altre esigenze più urgenti e pressanti come il raggiungimento della propria
indipendenza e della realizzazione di sé (10). Pertanto l’aumento dell’età della madre
al momento del primo concepimento sembra rappresentare una delle cause più
significative del fallimento riproduttivo. Leridon e Slama (11) hanno infatti osservato
che negli ultimi 40 anni la proporzione di coppie che ricorre a trattamenti per sterilità
è enormemente aumentata, mentre la fertilità (n° finale di bambini nati) è
notevolmente diminuita. E quest’ultimo effetto risulta legato al posponimento dell’età
della prima gravidanza: un aumento dell’età media alla prima gravidanza di 2,5 anni
(oltre i 25 anni di età) ha comportato una diminuzione della fertilità del 5% ed un
aumento del 32% di coppie destinate a trattamenti per infertilità.
1.2 FATTORI DEMOGRAFICI NELLA FERTILITA’
Benché il fattore predominante per la fertilità sia rappresentato dall’assenza di
patologie riproduttive nella coppia, alcune variazioni nella fertilità di specifiche
popolazioni sono influenzate da numerosi fattori intercorrelati quali: la presenza o
meno di servizi sanitari adeguati, le pressioni sociali, le condizioni economiche
prevalenti , credi religiosi, tendenze storiche e politiche, caratteristiche culturali e
livelli educazionali. Gli studiosi di demografia hanno caratterizzato le popolazioni in
raggruppamenti
demografici, sociali ed economici; la fecondità è stata quindi
calcolata per ogni categoria: età, etnia, residenza, livelli educazionali, caratteristiche
delle unioni maritali, migranti, livelli occupazionali, reddito. (12)
1.3 STERILITA’ ED INFERTILITA’
Come abbiamo riportato in precedenza, la sterilità involontaria rappresenta un
problema mondiale , la cui frequenza varia tuttavia da area ad area. Malgrado queste
variazioni difficilmente la sua prevalenza sembra scendere sotto il 3%, con un
massimo del 5%, e può arrivare al 30% con fattori addizionali di sterilità acquisita. In
generale la sterilità può essere attribuita al partner maschile, a quello femminile o ad
entrambi. Spesso però, non sono identificabili cause certe. Comunque le più
importanti cause e la loro incidenza nei Paesi industrializzati, per il partner maschile
sono: sterilità inspiegata (49%), dispermia (21%), ghiandole accessorie (7%),
varicocele (11%); e per il partner femminile: sterilità inspiegata (40%), fattore
tubarico (36%), fattore ovarico (33%), endometriosi (6%). (13) L’età avanzata al
momento della prima gravidanza è comunque la prima causa di infertilità nei Paesi
occidentali (11). Sebbene non sembri, in termini generali, che l’infertilità sia in
aumento, la proporzione di donne in età fertile avanzata che risulta priva di prole è
invece aumentata (14). I fattori di volta in volta evidenziati nello studio delle
probabili cause di sterilità, sono moltissimi; essi possono essere presenti
singolarmente oppure variamente associati nelle coppie che ricorrono alla PMA,
sicuramente però la loro incidenza aumenta in modo preminente con l’aumentare
dell’età.
2. TECNICHE DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (P.M.A.)
Per PMA si intende qualunque procedura che preveda la manipolazione di gameti al
fine di incrementare la probabilità di concepimento.
Prima di accennare alle tecniche di riproduzione assistita è doveroso fare un breve
cenno all’Induzione dell’ovulazione multipla in pazienti normovulatorie. Questa
procedura non è associata a tecniche PMA ed è divenuta disponibile per le donne
infertili già dagli anni ’60, prima con la disponibilità di clomifene citrato ed in
seguito con l’utilizzo delle gonadotropine. Attualmente l’induzione dell’ovulazione
semplice o multipla, associata a rapporti mirati, è comunemente il primo gradino per
la diagnosi ed il trattamento della donna sterile, sia essa anovulatoria che
normovulatoria. L’utilizzo di questi farmaci non è scevro da complicanze ed effetti
collaterali a volte severi e che vanno tenuti in debita considerazione quando si decida
di trattare una paziente: ci riferiamo alla sindrome da iperstimolazione ovarica
(OHSS)
e
alle
gravidanze
gemellari.
Potenziali
candidate
all’induzione
dell’ovulazione e ai rapporti mirati sono comunque donne giovani (< 35 anni) e con
una buona riserva ovarica, normovulatorie, con una lunga ricerca di gravidanza (< 23 anni), con apparente sterilità idiopatica o con fattore cervicale di sterilità o con
endometriosi minima e tube pervie o con un partner affetto da lieve o moderata
oligoastenoteratozospermia.
2.1 TECNICHE DI PRIMO LIVELLO
Nelle tecniche di primo livello la fecondazione avviene all’interno dell’apparato
genitale femminile.
La procedura più utilizzata in questo ambito per la più alta percentuale di successo è
l’Inseminazione Intrauterina (Intrauterine Insemination- IUI). L’IUI consiste
nell’introduzione in utero di seme preparato in laboratorio, associata o meno a
induzione dell’ovulazione in donne con riserva ovarica conservata. Indicazioni
all’IUI sono: fattore maschile lieve ( concentrazione spermatozoi > 20 x 106 (15) e
numero di spermatozoi mobili tra 2 x 10 6e 5 x 106(16), endometriosi lieve (I stadio).
Per quanto riguarda i risultati per questa tecnica possiamo fare riferimento al Registro
Nazionale Italiano e nel 2007 su 29.901 cicli dava come percentuale di gravidanze su
ciclo per donne di età < a 40 anni l’11,3% ed incidenza di gravidanze gemellari
dell’8,3% e di trigemine dell’ 1,4%. I rischi per le pazienti che si sottopongono a cicli
di IUI sono conseguenti più per l’iperstimolazione ovarica (OHSS) controllata che
precede l’inseminazione che per la tecnica in sé. In realtà l’incidenza di OHSS in
questa tecnica risulta più bassa che per le tecniche di secondo livello, perché le dosi
di gonadotropine impiegate, i livelli di estrogeni e il numero di follicoli ottenuti sono
minori e quindi i fattori di rischio per lo sviluppo di questa sindrome si riducono
fortemente. Sembra invece che le gravidanze multiple rappresentino una percentuale
difficilmente contenibile, con rischio di morbilità / mortalità materna e neonatale
aumentato per questo tipo di gravidanze. Infatti le future strategie di induzione
dell’ovulazione dovrebbero mirare a uno sviluppo mono o bi-follicolare con
caratteristiche ottimali per ottenere la massima probabilità di gravidanza e il minimo
rischio di gravidanza multipla (17).
2.2 TECNICHE DI SECONDO E TERZO LIVELLO
E’ del 1978 la prima gravidanza a termine ottenuta tramite fecondazione in vitro
(FIV) e trasferimento embrionario (ET). Inizialmente la FIV/ET era stata indicata per
fattore tubarico d’infertilità, ma con il passare degli anni e con il miglioramento dei
risultati, trova oggi molte altre indicazioni (18) (19) . L’introduzione circa quindici
anni fa della microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI) (20) ha
reso possibile il trattamento di forme severe di infertilità maschile aumentando
enormemente la diffusione della fecondazione in vitro. Con il passare degli anni si è
poi venuto a determinare uniforme consenso su quali siano le principali indicazioni
mediche alla FIVET e alla ICSI: patologia tubarica, infertilità idiopatica,
endometriosi, disfunzioni ormonali, fattore maschile. Nell’utilizzo della FIV/ET si è
visto anche che i tassi di gravidanza aumentavano significativamente quando più di
un embrione veniva trasferito nella cavità uterina (21). Di conseguenza, la
stimolazione ovarica ormonale con conseguente induzione dello sviluppo di follicoli
multipli, è diventata tappa fondamentale nei cicli FIV/ET permettendo un
miglioramento significativo dei risultati clinici (22) (23). Vari sono attualmente i
protocolli per stimolazione ovarica e ognuno dovrebbe essere scelto individualmente
in base all’età della donna, alla sua riserva ovarica e al tipo di risposta ovarica ad
eventuali precedenti stimolazioni ormonali. Risulta ancora estremamente controverso
il management delle pazienti poor responder che devono sottoporsi ad una
iperstimolazione ovarica controllata per FIV. Per quanto riguarda i risultati in Italia
per queste tecniche, nel 2007 in 202 centri di PMA sono stati trattati con tecniche a
fresco 33.169 coppie e sono stati iniziati 40.026 cicli. Da questi sono stati ottenute
7.854 gravidanze con una perdita del 13,5%. Delle rimanenti 6.793 gravidanze
monitorate sono nati vivi 6.486 bambini. Il 78,0% dei cicli viene effettuato
applicando la tecnica ICSI; il 22% applicando la tecnica FIV/ET; il 66,6% dei cicli a
fresco iniziati è stato effettuato su pazienti con età compresa tra i 30 e i 39 anni con
una stima dell’età media pari a 36 anni. La percentuale di gravidanza è stata del
19,6% rispetto ai cicli iniziati e del 25,5% rispetto ai transfer. Le gravidanze
gemellari sono state l’8,7% e le trigemine il 3,5%. La percentuale di gravidanza con
FIV/ET e ICSI è stata del 22% vs il 22% per prelievo di ovociti e del 25,5% vs il
25,4% per trasferimento di embrioni. I risultati ottenuti in Italia sono inferiori rispetto
a quelli ottenuti in altri paesi sia europei che mondiali. Gli obblighi che la legge 40 ha
introdotto, cioè inseminare non più di tre ovociti e trasferire tutti gli embrioni ha
portato a risultati diversi. Normalmente infatti si procede con una inseminazione di
tutti gli ovociti e il trasferimento di due o tre embrioni di migliore qualità con
l’intento di ottenere più alte probabilità di gravidanza e di tenere bassa la probabilità
di gravidanza multipla. Recentemente la Corte Costituzionale (2009) ha parzialmente
modificato la legge in vigore ridando la possibilità al medico di valutare il numero
corretto di embrioni da trasferire ad ogni singola paziente. I risultati sembrano
incoraggianti per un incremento dei tassi di gravidanza e una riduzione di gravidanze
gemellari.
3. LE COMPLICANZE NELLA GRAVIDANZA MULTIPLA
La gravidanza multipla costituisce una condizione che si associa ad un elevato rischio
di complicanze materne e fetali. Tali complicanze comprendono fenomeni secondari
al complesso processo di adattamento necessario all’organismo materno e
complicanze ostetriche quali il diabete gestazionale ,l’ipertensione gestazionale, la
colestasi gravidica che tendono a presentarsi con frequenza maggiore nelle
gravidanze multiple. Anche sul versante fetale la prognosi, specie per le gravidanze
monocoriali monoamniotiche, risulta significativamente peggiore rispetto ad altri tipi
di gravidanza (24) (25) (26) e può comportare anemizzazione e edema polmonare
specialmente in corso di terapia tocolitica e nel post partum (27) (28). La colestasi
gravidica insorge di solito nel terzo trimestre e si associa ad un incremento della
mortalità e morbilità materna e fetale fondamentalmente secondaria ad un’aumentata
incidenza di parto pretermine e morte intrauterina. E’ stato infatti evidenziato che per
livelli di acidi biliari > a 40 umol/l i rischi fetali aumentano dell’1-2% per ogni
incremento di 1 umol/l (29). Altra patologia epatica però molto rara, anche se il14%
dei casi riscontrabili in letteratura si riferiscono a gravidanze multiple, è l’atrofia
giallo acuta (AFLP). Per quanto poi riguarda l’associazione fra diabete gestazionale e
gravidanze multiple, i fattori in gioco che potrebbero spiegare quest’associazione,
sono molteplici: maggiore esposizione di ormoni placentari in grado di indurre
alterazioni nella secrezione e nella resistenza dell’insulina (30)
; l’età materna
avanzata in quanto è noto che diabete, ipertensione e gemellarità sono più frequenti
con età dei 35 anni; il ricorso a tecniche PMA che per donne affette da policistosi
ovarica comporta una maggiore incidenza di diabete gestazionale. La prevalenza di
ipertensione gestazionale e preeclampsia risulta significativamente più elevata nelle
gravidanze multiple (31) con un rischio 2,6 volte maggiore. Sembra inoltre che le
complicanze ipertensive tendano a comparire più precocemente ed in forma più grave
, spesso come sindrome HELLP. L’ipotesi maggiormente accreditata attribuisce
l’aumentata incidenza di queste complicanze la ad un’alterata secrezione di fattori
angiogenetici da parte della più estesa superficie placentare (32) . Infine la più grave
complicanza di qualsiasi gravidanza è il parto pretermine (fra 24-32 settimane) che si
associa ad elevato rischio di morte neonatale e handicap nei bambini che
sopravvivono. Se nelle gravidanze singole la probabilità di tale evento è dell’1%,
questa sale al 2% per le gravidanze gemellari dicoriali giungendo fino al 10% per le
monocoriali.
4. ALTERAZIONI
DELL’IMPRINTING
GENETICO:
LA
QUESTIONE
EPIGENETICA
Recenti studi epidemiologici condotti sui bambini nati da tecniche PMA hanno
riportato un aumento di due volte del tasso di malformazioni infantili (33), una
riduzione ricorrente del peso alla nascita (34), alcune rare sindromi legate ad errori
dell’imprinting (35) (36) e perfino un aumentata frequenza di alcune neoplasie (37).
D’altra parte tali osservazioni non hanno provato che ci sia una correlazione con
specifiche tecniche di PMA (38) . Interrogativi sono stati posti riguardo l’effetto delle
condizioni di coltura embrionale sulla salute dei bambini PMA e sulla potenziale
induzione di disordini dell’imprinting (39) (40) hanno affermato che l’associazione
tra disordini dell’imprinting e PMA è incerta e comporterebbe un rischio assoluto
trascurabile. Anche se ciò fosse confermato, anomalie dell’espressione genica sono
invece presenti e rilevabile nei tessuti placentari della progenie PMA (41),
osservazione che sottolinea la necessità di monitorare costantemente l’influenza delle
tecniche riproduttive sul concepito. E dal momento che la frequenza dei disordini
dell’imprinting è funzione del numero di PMA, la causa potrebbe essere il
trattamento ormonale piuttosto che le procedure di laboratorio (40) (42) (43). Questo
suggerisce che il principale rischio di malattie epigenetiche dopo PMA potrebbe
essere legato all’ovocita ed è consistente con la scoperta che solo il comune
denominatore identificabile in 12 bambini BWS (sindrome di Beckwith-Wiedmann)
concepiti da tre diverse tecniche riproduttive era la stimolazione ovarica (40) (44)
(45).
La metilazione del DNA è una delle maggiori modificazioni epigenetiche coinvolte
nella regolazione dell’espressione genica (46) . E’ ormai chiaro che sia un
meccanismo essenziale per lo sviluppo embrionale, la stabilità genomica,
l’inattivazione del cromosoma X e per l’imprinting genomico. Gli enzimi coinvolti
nella metilazione del DNA (metiltransferasi, DNMTs) sono altamente conservati nel
DNA eucariota e sono di 4 tipi, ciascuno espresso in periodi diversi e della
gametogenesi e dell’embriogenesi. Sembra che le tecniche di fecondazione assistita
interferiscano con questi processi epigenetici. Le tecniche PMA bypasserebbero una
serie di filtri biologici esponendo i gameti e l’embrione, prima dell’impianto, ad una
stimolazione ormonale e ad uno stress fisico. Alcuni studi hanno riportato
un’associazione tra le tecniche PMA, disordini dell’imprinting ed errori nelle
DNMTs. Una riprogrammazione del processo di metilazione del DNA durante lo
sviluppo costituisce un importante meccanismo patogenetico di alcune malattie fetali.
Petrussa L. et al (47) hanno studiato l’espressione temporale e spaziale degli DNMTs
in ovociti freschi ed in embrioni preimpianto di buona qualità e successivamente
hanno valutato l’influenza che la crioconservazione embrionale potrebbe avere
sull’espressione di tali enzimi e sui processi di rimetilazione del DNA nel periodo
peri impianto. Dai risultati ottenuti è stato visto che l’espressione genica dei DNMTs
non è un processo rigido e che anche dopo la crioconservazione, può mantenersi
plastico e recuperare. Tuttavia è opportuno trattare gli embrioni ottenuti dalla FIV
con cautela. Infatti sembra essere presente una riduzione dell’espressione di
metiltransferasi funzionali ed una modificazione post trasduzionale che regolerebbe
la localizzazione intracellulare delle DNMTs.
Pertanto la crioconservazione può determinare un pattern di espressione delle
DNMTs alterato in embrioni umani pre impianto.
5. OUTCOME OSTETRICI DOPO PMA : ANALISI DELLA LETTERATURA
In una review sistematica e metanalisi di Pandey S. et al. del 2012 (48) sono stati
inclusi 30 studi di coorte dove si suppone che gli outcome ostetrici nelle gravidanze
ottenute da tecniche di fecondazione assistita (FIV/ICSI) siano peggiori rispetto a
quelli di gravidanze spontanee. Questo potrebbe essere attribuito all’aumentata
incidenza di gravidanze multiple che si ottengono tramite queste tecniche. Tuttavia
con l’introduzione della SETs (impianto di singolo embrione) le gravidanze multiple
si sono ridotte negli ultimi anni. Il numero di donne che si sottopongono a FIV/ICSI
sta aumentando a livello mondiale, quindi è opportuno chiedersi se esiste un rischio
dopo tale trattamento, se è possibile quantificarlo e se questo rischio può essere
attribuito alle stesse tecniche di fecondazione assistita. L’obiettivo di questo studio è
di quantificare il rischio di complicanze ostetriche e perinatali nelle gravidanze
singole ottenute da FIV/ICSI e di confrontarle con quelle presenti nelle gravidanze
ottenute da concepimento spontaneo. Complicanze valutate: emorragia antepartum
(APH),rottura prematura delle membrane (PPROM), disordini ipertensivi della
gravidanza (inclusa l’ipertensione arteriosa gravidica, pre-eclampsia, eclampsia),
diabete gestazionale, travaglio indotto ,taglio cesareo (in elezione e d’urgenza),
anomalie congenite (maggiori e minori), mortalità perinatale. Il rischio relativo (CI
95%) di avere una emorragia antepartum è risultato pari a 2.49 (2.30-2.69) nelle
gravidanze ottenute da FIV/ICSI rispetto a quelle avute da concepimento spontaneo,
con un rischio assoluto aumentato (CI 95%) del 2% (2-3%). C'è una marcata
eterogeneità tra gli studi selezionati (I² = 82%) ma l'analisi statistica non viene
alterata. Il rischio relativo (CI 95%) di avere un disordine ipertensivo in gravidanza è
risultato pari a 1.49 (1.39-1.59) nelle FIV/ICSI quando confrontate con le gravidanze
spontanee, con un rischio assoluto aumentato (CI 95%) del 2% (1-2%). L'eterogeneità
degli studi è marcata (I² = 63%). Tuttavia l'analisi statistica mostra un persistente
rischio aumentato nelle gravidanze FIV/ICSI. È presente un aumentato rischio
statisticamente significativo di taglio cesareo, basso peso alla nascita e nascita prima
della 37esima settimana nelle FET rispetto al concepimento spontaneo. È presente un
rischio statisticamente significativo di APH, taglio cesareo, disordini ipertensivi della
gravidanza, basso peso alla nascita e nascita prematura ,(prima della 32esima e della
37esima) nelle gravidanze singole FIV/ICSI rispetto a gravidanze spontanee. Sembra
quindi esistere un rischio aumentato di complicanze ostetriche e perinatali nelle
gravidanze singole ottenute da FIV/ICSI se confrontate con gravidanze spontanee;
questo rischio aumentato è dimostrabile per tutti gli outcome valutati e persiste anche
quando è rimosso l’effetto della stimolazione(vedi FET) e quando si considerano solo
le gravidanze da SET, escludendo quindi le gravidanze multiple. Attraverso una
review sistematica non è possibile determinare se questo rischio aumentato è
attribuibile alla condizione di infertilità di per sé, al processo di stimolazione ovarica
e/o alla coltura embrionale.
In Clinical practice guidelines della SOG Canadese Okun N. e Sierra S. (49)
l’infertilità, definita come fallito concepimento dopo un anno di tentativi, è un
predittore indipendente per outcome avverso ostetrico e perinatale anche in assenza di
tecniche di PMA. Infatti è stato rilevato un rischio 2 volte aumentato di preeclampsia,
distacco placentare, taglio cesareo, estrazione con ventosa e un rischio 5 volte
aumentato di placenta previa nelle donne con gravidanza spontanea dopo una storia
documentata di infertilità. Le tecniche PMA sono associate poi ad un’aumentata
incidenza di gravidanze multiple, fattore di rischio indipendente e più potente fattore
predittivo per outcome materno, ostetrico e perinatale avverso. La tecnica
maggiormente suggerita risulta pertanto quella SET. Per le gravidanze singole da
PMA esse hanno un maggior rischio di parto pretermine e basso peso alla nascita.
L’induzione dell’ovulazione è associata ad una maggior rischio di basso peso alla
nascita. L’uso, inoltre, di ovodonazione aumenta di per sé il rischio di basso peso
alla nascita e di preeclampsia. Le tecniche PMA sono associate ad un minimo, ma
comunque aumentato rischio di anomalie cromosomiche, compresi i cromosomi
sessuali e, nei feti da PMA, è aumentato il rischio di fenotipi da errori di imprinting,
ma con un’incidenza bassa (1:5000). La causa di questo fenomeno è sicuramente
eterogenea e richiede ancora ricerche. Sherri J et al.(50) hanno valutato gli outcome
ostetrici negativi in donne di età avanzata sottoposte a tecniche PMA rispetto al
concepimento spontaneo, attraverso uno studio di coorte retrospettivo su 472 donne
di età superiore ai 45 anni (2000-2010). Le gravidanze in età avanzata (AMA > 35
anni) comprese quelle in età molto avanzata (vAMA > 45 anni)), sono associate ad
aumentato rischio di aneuploidia, diabete gestazionale, disordini ipertensivi e taglio
cesareo. Le tecniche di PMA sono associate ad un aumentato rischio di outcome
ostetrici negativi , incluso il basso peso alla nascita, nascita pretermine e disordini di
placentazione, ma non anomalie citogenetiche, nelle gravidanze AMA rispetto alle
gravidanze ottenute da concepimento spontaneo. Alcuni studi poi hanno dimostrato
che una sottostante condizione di infertilità e l’età gestazionale rappresentano fattori
di rischio indipendenti dall’età materna. Anche le tecniche PMA nei casi di infertilità
rappresentano un fattore di rischio indipendente per gli outcome ostetrici avversi, sia
nelle AMA che nelle vAMA. Le gravidanze PMA hanno dimostrato una età maggiore
ed una parità inferiore rispetto alle gravidanze spontanee. Per le gravidanze singole
non è stato dimostrato un aumento del rischio per emorragia postpartum, trasfusioni o
ammissioni in terapia intensiva. Tuttavia è presente un aumentato rischio di
ritenzione di placenta e di taglio cesareo (2 volte superiore e prevalentemente
elettivo). Le anomalie di placentazione (placenta previa, distacco intempestivo e preeclampsia) sono più frequenti nelle gravidanze da PMA e possono essere il risultato
dei trattamenti della fertilità (es. aumento dei livelli di estradiolo) o dell’età materna
avanzata (AMA). Quindi dallo studio è emerso che le gravidanze PMA in donne
vAMA se confrontate con gravidanze spontanee, mostrano un aumentata frequenza di
tagli cesarei e di disordini di placentazione. L’utilizzo poi di ovociti autologhi o
eterologhi nelle gravidanze vAMA PMA, non sembra influenzare in maniera negativa
gli outcome ostetrici e neonatali.
Tuttavia la donazione ovocitaria (OD)
originariamente sviluppata per trattare l’insufficienza ovarica prematura nelle donne
giovani, è attualmente utilizzata soprattuttuto per trattare l’infertilità dovuta alla
scarsa riserva ovarica relativa all’età. La OD ha dimostrato di essere un fattore di
rischio indipendente per le complicanze perinatali, sia materne che fetali. Studi di
coorte come in Jhonny S. (51) hanno dimostrato che OD è un FR indipendente per
ipertensione e preeclampsia in gravidanza. Questo fenomeno si verifica sia nelle
donne giovani che nelle donne di età avanzata. Una gravidanza multifetale e l’età
avanzata sono già due noti FR per complicanze gravidiche, che potrebbero avere un
impatto maggiore nel contesto di una OD. Ma le evidenze riguardanti le complicanze
perinatali nelle donne sopra i 50 anni trattate con OD sono scarse, e non ci sono dati
riguardo alla sicurezza materna e fetale in donne sopra i 55 anni. Le complicanze
legate alla OD sembrano attribuibili ad una reazione immunologica del tipo GRAFT
vs HOST disease . La placenta delle pazienti riceventi OD è diversa sia dal punto di
vista istologico che immunoisto-chimico da quella delle pazienti che hanno ricevuto
una IVF autologa. La placenta delle pazienti OD ha segni di deposizione fibrinoide e
deciduite cronica con un aumento significativo dei linfociti T helper. Per quanto
riguarda le gravidanze multifetali sappiamo che queste aumentano il rischio di
morbidità e mortalità materna e fetale e neonatale. Nel setting di una OD sono state
paragonate in uno single centre study le tecniche di single embryo transfer (SET) e
double embryo transfer (DET) in un periodo di 9 anni
(51). Il numero delle
gravidanze era simili per quanto riguarda il SET e il DET , come è stato dimostrato in
un altro studio di essere simile il numero cumulativo di feti nati vivi. Ecco perché
sarebbe utile suggerire alle donne che ricevono un OD la tecnica del SET , soprattutto
alle donne di età avanzata, per evitare l’aggiunta del rischio di una gravidanza
multifetale.
In una altro studio di coorte retrospettivo (52) sono stati analizzati i parti nel periodo
2008 - 2012. Le donne che partorivano dopo concepimento con tecniche PMA
(1,4%) erano più frequentemente di età > 35 anni , nullipare , con più bassa incidenza
di tabagismo ed obesità, più frequentemente avevano avuto un taglio cesareo e più
frequentemente soffrivano di ipertensione. Considerando le gravidanze singole da
PMA le tre più frequenti comorbidità riscontrate con una frequenza due volte
maggiore rispetto alle gravidanze non PMA sono state trasfusione di sangue, CID e
ventilazione meccanica. Nelle gravidanze multiple queste complicanze si sono
presentate in numero maggiore. Comunque dal 2008 al 2012 si è verificata una
riduzione delle complicanze nelle PMA imputabile ad un miglioramento delle
tecniche come un minor ricorso alla iperstimolazione ovarica.
Invece per le
gravidanze multiple non si sono verificate differenze fra numero di complicanze in
PMA e non PMA, riaffermando quindi l’importanza della tecnica del SET. Riguardo
poi alle tecniche PMA e outcome, da segnalare appare un lavoro di Daniel J. (53)
che mette a confronto in 1571 donne che hanno partorito un feto vivo di età superiore
alle 24 settimane (2005-2011) sottoposte a FIV/ICSI con donazione eterologa o
autologa con fresh o cryopreserved transfer (CET). E’ stato rilevato che l’incidenza di
placenta accreta è risultata essere maggiore nelle donne con FIV/ICSI rispetto alle
altre pazienti. Tra le donne sottoposte a FIV/ICSI l’incidenza di accreta era maggiore
in chi riceveva il CET rispetto al Fresh. Ovviamente le pazienti con placenta accreta
erano a maggior rischio di sanguinamento e taglio cesareo. All’analisi multivariata
aggiustando per i fattori confondenti (età della donna, pregresso TC, placenta previa e
fattori di infertilità uterina) CET rimaneva un predittore indipendente di placenta
accreta. La spiegazione di tutto questo sembrava essere connessa al fatto che le donne
con placenta accreta avevano endometrio più sottile (<o = 9,7 mm) e picchi di
estradiolo più bassi (< o = 732 pg/ml) condizioni più frequenti nelle pazienti con CET
rispetto alle Fresh. Infatti il rimodellamento vascolare della placenta e l’invasione del
trofoblasto sono tipicamente connessi ai livelli circolanti di estrogeni: quando i livelli
divengono elevati l’utero diventa più refrattario ad una ulteriore invasione del
trofoblasto, diversamente (vedi pazienti CET) bassi livelli di estrogeno comportano
una crescita placentare esagerata. Non solo, ma nelle condizioni con alti livelli di
estrogeni come in caso di tecniche comprendenti iperstimolazione ovarica, avremo
più facilmente crescita placentare insufficiente e quindi preeclampsia e basso peso
alla nascita.
Altri studi ancora (54)
segnalano l’aumentato rischio di emorragia antepartum e
post partum, e maggior incidenza di placentazione anomale nella popolazione con
gravidanza singola dopo PMA, suggerendo come causa un’alterazione dei fenomeni
intorno al tempo di impianto embrionale, con conseguente disfunzione endometriale,
prevalente nelle donne sottoposte a tecniche di riproduzione assistita.
Infine più recentemente in uno studio caso controllo
(55)
gli Autori hanno
valutato l’incidenza di isterectomia “emostatica” peripartum con una incidenza di 1,7
casi per 1000 nascite .Nelle donne che subivano una isterectomia peripartum, la
modalità di concepimento pesava per un 13,4% del rischio. Confrontando il gruppo
PMA verso quello non PMA,
l’incidenza di isterectomia peripartum
era
rispettivamente di 9,7 /1000 donne e 1,2/1000 donne . L’analisi di regressione
multipla ha dimostrato che placenta previa, cicatrice uterina pregressa e PMA erano
predittori antenatali indipendentemente associati con isterectomia peripartum.
Considerando poi le cause: il 38% delle isterectomie erano dovute a pregresso
cesareo, il 35% a placenta previa, il 12% ad una pregressa miomectomia e il 13% a
storia di PMA. Le cause di emorragia erano inoltre l’atonia uterina con normale
placentazione, una placentazione anomala, l’ atonia uterina in placenta previa e la
rottura uterina. Al momento dell’esecuzione dell’isterectomia la perdita media di
sangue è stata di circa 4100 ml (1500-7000). L’unico fattore demografico
che
aumentava significativamente il rischio di isterectomia era l’età materna ; inoltre
l’isterectomia era associata ad una probabilità aumentata di 3 volte nella gravidanza
gemellare, di 6 volte in donne sottoposte a tecniche di fecondazione assistita, di 7
volte in caso di pregresso cesareo. Le tecniche PMA sono un predittore indipendente
di placenta previa e accreta, ma ancora non è chiaro se questa associazione sia dovuta
alle cause di infertilità o alle tecniche di fecondazione assistita. La scoperta che
esista una associazione tra lo spessore endometriale
e la placenta previa dopo
PMA(51) corrobora l’ipotesi che il tipo di preparazione endometriale potrebbe
giocare un ruolo nella formazione di placenta accreta.
In conclusione una storia di PMA dovrebbe essere aggiunta come predittore in una
check list di rischio di sanguinamento peripartum e quindi , una gravidanza PMA ,
dovrebbe essere trattata come una gravidanza ad alto rischio di sanguinamento.
STUDIO
1. Obiettivo dello studio
Verificare nella casistica della AOU Careggi se in donne con gravidanza da PMA
risulta una variazione di incidenza di complicanze quali ipertensione arteriosa in
gravidanza ed emorragia postpartum rispetto alle donne con gravidanza insorta
spontaneamente.
2. Ipotesi di studio
La maggior diffusione di gravidanze insorte mediante PMA porta ad un aumento di
patologie e complicanze ostetriche con importante coinvolgimento anestesiologico.
3. Materiale e metodi
3.1 Disegno dello studio
Lo studio condotto è stato di tipo osservazionale retrospettivo. L'obiettivo generale
dello studio è stato quello di valutare l'incidenza di complicanze ostetriche
postpartum in gravidanze insorte mediante procreazione medicalmente assistita
(PMA) delle donne che sono afferite alla maternità del Dipartimento Materno
Infantile (DAI-MI) dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze.
Gli obiettivi secondari più importanti sono stati:
l’eventuale influenza della tipologia di insorgenza della gravidanza (spontanea o
mediante PMA) sull'incidenza di emorragia nel postpartum (PPH) grave o moderata,
e l'incidenza di parti prematuri (< 37w).
3.2 Metodi di raccolta dati
Lo studio è stato effettuato dal 1 Gennaio 2015 al 31 Dicembre 2015.
Ai fini della creazione del campione oggetto di studio sono state analizzate tutte le
gravidanze che presentassero i seguenti criteri di inclusione:
- Gravidanza singola;
- Età materna al parto uguale o inferiore a 40 anni;
- Donne nullipare;
- Donne con insorgenza del travaglio spontaneo;
- Donne che hanno avuto un parto spontaneo o avvenuto mediante l'utilizzo della
ventosa ostetrica (VE).
Lo studio condotto ha interessato la consultazione di 3311 parti per l’anno 2015 i cui
esiti sono stati analizzati mediante le informazioni presenti nel programma “Argos”,
un sistema di cartella clinica informatizzata in uso nell'Azienda OspedalieroUniversitaria Careggi.
I dati raccolti sono stati resi anonimi e inseriti in un apposito Data-base creato tramite
il programma Excel.
3.3 Metodo di analisi dei dati
I dati raccolti sono stati analizzati in modo descrittivo e laddove pertinente anche
inferenziale attraverso l’uso di test parametrici e non parametrici (esempio chi quadro
e t-test) con valori di p < 0,05 considerati come statisticamente significativi.
I risultati sono stati descritti e riportati, laddove opportuno, in formato di tabella o
grafico.
4. Risultati
4.1 Analisi dei dati
Sono stati analizzati 3311 parti avvenuti dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2015
presso la Maternità dell'AOUC.
Applicando i criteri di esclusione dello studio sono state scartate le seguenti
gravidanze (Fig. 1):
Fig. 1 – Schema di reclutamento del campione dello studio: criteri di esclusione.
 125 parti plurimi
di cui 8 trigemini (insorti nel 100% dei vasi mediante PMA) e 117 gemellari
[63 insorte spontaneamente (54,3%) e 53 insorte mediante PMA(45,7%)];
 1276 pluripare [21 con PMA (1,6%)];
 440 parti espletati mediante taglio cesareo (TC) in quanto parti per i quali su
Argos
152
non
sono
riportate
le perdite
TC elettivi ( di cui 13 con gravidanza
ematiche
(PE),
di
cui:
insorta mediante PMA);
101 TC in travaglio (di cui 9 sono state gravidanze insorte mediante PMA);
187 TC urgenti non in travaglio (di cui 10 gravidanze sono insorte mediante
PMA).
 184 parti in cui le donne al momento del parto avevano un' età superiore a 40
anni;
 381 parti la cui insorgenza del travaglio di parto è avvenuta mediante
induzione farmacologica.
Il campione considerato per lo studio è così risultato pari a 905 donne di cui 864 con
gravidanza insorta spontaneamente e 41 con gravidanza insorta mediante PMA .
Per quanto riguarda gli outcomes oggetto dello studio desumibili dal data base, nei
due gruppi sono state analizzate le incidenze di perdite ematiche (PE) maggiori a 500
ml e maggiori o uguali a 1000 ml, l’ipertensione insorta durante la gravidanza ( PAS
> 140 mmHg e PAD >90 mmHg), i parti in epoca gestazionale inferiore alle 37
settimane e infine la modalità di espletamento del parto mediante applicazione di
vacuum extractor (Parto Operativo).
Negli 864 parti da gravidanze insorte spontaneamente: 69 parti hanno avuto PE
maggiori a 500 ml e inferiori a 1000 ml ( 8%) ; 8 hanno avuto PE maggiori a 1000
ml (0,9%) ( Fig 4); in 16 è stata riscontrata un’ipertensione gravidica (1,8%) (Fig.5);
43 si sono realizzati in epoca gestazionale < 37 settimane; 96 sono stati parti operativi
mediante applicazione di Vacuum Extractor o ventosa ostetrica (11,1%) (Fig.3), di
questi 9 parti hanno avuto PE superiori a 500 ml (9,3%) ed 1 parto ha avuto PE
superiori a 1000 ml ( 0,9%) (Fig. 4).
Per quanto riguarda la tipologia di tecnica di procreazione medicalmente assistita
usata nei 41 parti avvenuti in gravidanze ad insorgenza non spontanea è emerso che:
 8 gravidanze hanno ricorso ad un trattamento farmacologico per induzione
dell’ovulazione;
 5 gravidanze hanno ricorso ad una PMA di tipo IUI (Intra Uterine
Insemination);
 12 gravidanze hanno ricorso ad una PMA di tipo FIVET (Fertilitation In Vitro
and Embryo Tranfer);
 15 gravidanze hanno ricorso ad una PMA di tipo ICSI (Intra Cytoplasmatic
Sperm Injection);
 1 gravidanza che ha ricorso ad un altra tecnica di PMA (non specificata) .
E di queste 4 hanno avuto PE maggiore o uguale a 500 ml (9,7%); 2 hanno avuto
PE maggiori o uguali a 1000 ml (4,9%) (Fig.4); in 1 è stata riscontrata ipertensione
arteriosa in gravidanza (2,4%) (Fig 5); 5 si
sono realizzati in epoca gestazionale
< alle 37 settimane; 4 sono stati operativi mediante ventosa ostetrica (9,8%) (Fig.3) e
di questi 3 hanno avuto PE maggiore o uguale a 500 ml (75%) nessuno di questi PE
maggiore o uguale a 1000 ml (Fig.4)
Fig.2 –
Distribuzione nel campione delle percentuali di gravidanze spontanee e da PMA
Fig.3- Modalità espletamento parto. Gravidanze spontanee vs PMA
Fig.4- Perdite ematiche al parto: gravidanze spontanee vs PMA
Fig.5 – Ipertensione in gravidanza: gravidanze spontanee vs PMA.
4.2 Confronto statistico
Dal confronto statistico, (che si è avvalso come premesso, del test non parametrico
del Chi quadro per confrontare le frequenze dei diversi eventi oggetto di studio nei
due gruppi di pazienti, assegnando la significatività per p < 0,05, e calcolo di Odds
Ratio (OR) con limiti di confidenza al 95%) emerge che le differenze fra PE > 500
ml, nel caso del parti operativi, e fra PE > 1000 ml nel caso dei parti spontanei ,
risultano significative per p < 0,05, a favore della maggior incidenza dell’evento PE
nel gruppo di gravidanze da PMA rispetto al gruppo di gravidanze da concepimento
spontaneo. Per quanto riguarda l’OR, se andiamo ad analizzare gli intervalli di
confidenza, esso appare affidabile sicuramente per il confronto di PE>500 ml nei PO
[ OR 29 IC 2,26-812,2 p < 0,05] ma meno affidabile per il confronto delle
PE>1000 ml [OR 6.2 IC 0,86-29,7 p< 0,05], in rapporto alla numerosità ridotta del
campione.
Mentre non sono risultate statisticamente significative le differenze di incidenza di
ipertensione in gravidanza e di nascita ad epoca gestazionale inferiore a 37 settimane
fra i due gruppi studiati.
5. Discussione
Dall’analisi dei risultati appare evidente che, come anche in linea con la letteratura,
l’incidenza di perdite ematiche importanti siano risultate significativamente
aumentate nella popolazione delle gravidanze ottenute tramite tecniche di PMA.
Inoltre, l’aumento di perdite ematiche moderate (>500 ml < 1000 ml) associate a
PMA e a parto operativo potrebbe essere messo in relazione al potenziamento fra
effetto della PMA e parto operativo stesso (già di per sé associato a maggior
sanguinamento). Mentre non si sono rilevate differenze significative fra le due
popolazioni per quanto riguarda l’incidenza di ipertensione in gravidanza o parto ad
epoche gestazionali inferiori a 37 settimane, due degli altri out come negativi attesi.
Se andiamo a valutare la numerosità del campione, certamente per le perdite ematiche
importanti occorrerà estendere lo studio ad una popolazione più ampia per una
maggiore affidabilità del risultato. Comunque la tendenza sembra confermare
l’ipotesi formulata in una popolazione estremamente selezionata con criteri di
esclusione che hanno ridotto al minimo fattori confondenti in merito agli outomes
quali le emorragie post partum moderate o gravi o l’ipertensione gravidica.
6. Conclusioni
Tenendo conto della numerosità del campione e dell’analisi statistica, sicuramente
altri studi saranno necessari per confermare i nostri risultati , ma
ulteriori studi
dovranno ancora chiarire quanto peso abbiano tecniche di crioconservazione o di
inseminazione, terapie ormonali di induzione dell’ovulazione o la condizione stessa
di infertilità, sull’incremento di outcomes ostetrici e neonatali negativi.
Da questo
studio emerge comunque che una storia di PMA dovrebbe essere aggiunta come
fattore predittivo in una check list di rischio per l’emorragia postpartum e quindi , una
gravidanza insorta mediante tecniche di PMA , dovrebbe essere trattata e gestita
come una gravidanza ad alto rischio per quanto concerne le possibili complicanze
della gravidanza e del post partum.
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