Caleb, l`esploratore

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Caleb, l`esploratore
CHIESA DI MILANO VIA F. ARMATE 338
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amo
la Parola
SOLO LA VERITA’ CI RENDE LIBERI
Profili di personaggi biblici:
Caleb, l’esploratore
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“E il Signore udì le vostre parole, si adirò gravemente e giurò dicendo: «Certo, nessuno
degli uomini di questa malvagia generazione vedrà il buon paese che ho giurato di dare ai
vostri padri, salvo Caleb, figlio di Gefunne. Egli lo vedrà. A lui e ai suoi figli darò la terra
sulla quale egli ha camminato, perché ha pienamente seguito il Signore». Anche contro di
me il Signore si adirò per causa vostra, e disse: «Neanche tu (Mosè) vi entrerai.»“
(Deuteronomio 1:34-37; Numeri 14:23).
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Introduzione
Caleb, figlio di Gefunne, è un personaggio dell’Antico Testamento che si può definire di
“secondo piano”, se confrontato con i grandi uomini di Dio e condottieri di popolo. All’età di
quarant’anni viene mandato da Mosè, insieme agli altri capi delle tribù di Israele (Giosuè
14:7), ad esplorare il paese di Canaan, la terra promessa. Caleb e Giosuè sono legati da
una profonda amicizia. Essi esplorano insieme il paese, camminano insieme nel deserto,
entrano insieme in Canaan.
Caleb è il tipo della perseveranza della fede. Giosuè è figura di Cristo, di Gesù il
Salvatore, il quale fa entrare il popolo nel riposo del paese della promessa, e Caleb
cammina in sua compagnia. Il nome di Giosuè adombra, per così dire, quello di Caleb, e
gli imprime il suo carattere.
Il modo di condursi di un uomo dipende dal suo carattere, da quelle qualità e attitudini
personali (indole, natura, temperamento) che lo caratterizzano. Questo è patrimonio di
ogni persona, ma è anche acquisito, nel caso d Caleb, dalla fede, dall’esempio e
dall’esperienza.
La sua chiamata
Caleb era capo o principe della tribù di Giuda. Fa parte di quel gruppo di persone
chiamate da Mosè per esplorare il paese che il Signore aveva indicato come “terra
promessa”. Osservando l’attitudine, la disposizione e la condotta di Caleb scopriamo una
persona perseverante in tre cose: la speranza, il cammino e il combattimento.
La sua dote naturale che lo rendeva idoneo alla richiesta di Mosè era la sua posizione di
“principe”, di eletto, scelto fra la sua tribù; proprio come il credente che ha ricevuto una
chiamata, o elezione, come affermato dall’apostolo Paolo: “ … conoscendo, fratelli amati
da Dio, la vostra elezione” (1 Tessalonicesi 1:4). A questa elezione corrisponde un
comportamento ben preciso: “Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di
sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza”
(Colossesi 3:13).
Il credente, come Caleb, è impegnato ad approfondire la conoscenza della grazia di cui è
stato fatto partecipe. Si tratta di camminare facendo esperienze di fede: “Come dunque
avete ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così camminate in lui; radicati, edificati in lui, e
rafforzati dalla fede, come vi è stata insegnata, abbondate nel ringraziamento” (Colossesi
2:6,7).
Consideriamo tre fasi dell’esperienza di Caleb: l’esplorazione, la relazione e la
conquista.
L’esplorazione
“Mosè dunque li mandò a esplorare il paese di Canaan, e disse loro: «Andate su di qua
per il mezzogiorno; poi salirete sui monti e vedrete che paese è, che popolo lo abita, se è
forte o debole, se è poco o molto numeroso; come è il paese che abita, se è buono o
cattivo, e come sono le città dove abita, se sono degli accampamenti o dei luoghi fortificati;
e come è il terreno, se è grasso o magro, se vi sono alberi o no. Abbiate coraggio e
portate dei frutti del paese». Era il tempo in cui cominciava a maturare l’uva” (Numeri
13:17-20).
Che bisogno c’era di esplorare? Il Signore non poteva informare Mosè riguardo alla terra
promessa? Era stato già stabilito che Canaan sarebbe stata la terra della promessa!
L’esplorazione era necessaria ai fini della conquista. Caleb è chiamato a calpestare con i
suoi piedi quel territorio e che avrebbe poi conquistato con l’aiuto di Dio. Mosè indica
chiaramente i criteri di giudizio o parametri per stabilire la “qualità” del paese che
avrebbero posseduto. La Parola di Dio specifica il tenore delle promesse alla portata dei
credenti, gli eletti di Dio. Le Scritture sono dettagliate su cosa cercare, desiderare e
realizzare per fede. Non c’è conquista, senza esplorazione!
“Era il tempo che cominciava a maturare l’uva” (v. 20). È il tempo di approfondire la grazia
nella quale siamo stati introdotti. “Abbiate coraggio, e portate dei frutti del paese”.
Siamo ridicoli quando pensiamo di aver capito e ottenuto tutto. Il regno di Dio è un paese
da esplorare!
La differenza fra Caleb e noi consiste nel fatto che lui esplorava un paese non ancora suo,
noi invece siamo chiamati ad esplorare un luogo in cui siamo stati già inseriti per grazia: il
regno di Dio.
L’esplorazione accresce la speranza, Caleb fa tesoro di quello che vede come esploratore
per poi utilizzarlo come conquistatore.
La fede è la virtù necessaria ai fini dell’esplorazione, lo Spirito Santo è l’agente che
accompagna il credente nella scoperta e nell’approfondimento delle promesse di Dio.
Infatti: “Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; perché lo spirito investiga ogni
cosa, anche le cose profonde di Dio. Infatti, chi, fra gli uomini, conosce le cose dell’uomo
se non lo spirito dell’uomo che è in lui? E così nessuno conosce le cose di Dio, se non lo
Spirito di Dio. “ (1 Corinzi 2:10,11).
Caleb ubbidisce alla chiamata di Mosè, diventa un esploratore e ottiene due risultati:
primo, la possibilità di relazionare al popolo, incoraggiandolo; secondo, mettere gli occhi
sulla parte di territorio che avrebbe poi scelto e chiesto a Giosuè (Giosuè 14:12-13).
La relazione
“Io avevo quarant’anni quando Mosè, servo dell’Eterno, mi mandò da Kades-Barnea ad
esplorare il paese; e io gli feci la mia relazione con sincerità di cuore. Ma i miei fratelli che
erano saliti con me, scoraggiarono il popolo, mentre io seguii pienamente l’Eterno, il mio
Dio” (Giosuè 14:7,8).
La relazione dei dodici esploratori sulla qualità del paese è unanime ed obbiettiva: “… è
davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco alcuni dei suoi frutti” (Numeri
13:27). Il paese promesso da Dio è veramente buono. Il regno dei cieli, nel quale il
sacrificio di Gesù ci ha introdotti, è sicuramente “buono”, è una constatazione semplice e
veritiera. Siamo tutti d’accordo sulla bontà del dono di Dio, ma … il modo di procedere in
proposito dipende dalle valutazioni che si fanno.
“Però, il popolo che abita il paese è potente …” (v. 28). Esistono due versioni della realtà,
quella umana, dell’incredulità, e quella della fede e della speranza.
La versione dell’incredulità: “E screditarono presso i figlioli d’Israele il paese che avevano
esplorato” (verso 32). Non scoraggiare, con il tuo comportamento, il popolo di Dio!
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Caleb impersona e rappresenta la seconda versione. Prima: “… calmò il popolo che
mormorava contro Mosè …”, poi disse: “Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché
possiamo riuscirci benissimo” (v. 30). Non sempre la maggioranza ha ragione, Caleb e
Giosuè si distinsero dagli altri dieci esploratori.
Di Caleb è scritto: “… ma il mio servo Caleb, siccome è stato animato da un altro spirito e
mi ha seguito pienamente, io lo introdurrò nel paese nel quale è andato; e la sua progenie
lo possederà” (Numeri 14:24).
La fermezza di Caleb e di Giosuè li spinge a prendere posizione a favore dell’Eterno che li
avrebbe accompagnati, e per questo rischiano di essere lapidati: “Allora tutta la radunanza
parlò di lapidarli; ma la gloria dell’Eterno apparve sulla tenda di convegno a tutti i figli
d’Israele” (Numeri 14:10). Qualcuno un giorno ha affermato: “io e il Signore siamo la
maggioranza”.
La conquista
Dal capitolo 13 del libro dei Numeri al capitolo 14 di Giosuè passano quarantacinque anni,
vale a dire, dall’esplorazione alla conquista (Giosuè 14:10).
Dopo l’esplorazione Caleb affronta il deserto, per quarantacinque anni; quello che aveva
visto nella terra di Canaan diventa l’oggetto della sua speranza. Persevera perché
conserva nel suo cuore la memoria delle ricchezze e dei tesori della terra promessa. La
sua perseveranza è alimentata dalla speranza; e la speranza del credente non è
solamente Canaan in senso generale (cioè il cielo), ma è Cristo stesso.
Prima della conquista è importante la scelta del territorio fatta da Caleb. La regione di
Escol era molto fertile, da lì proveniva il grappolo d’uva portato dagli esploratori (Numeri
13:24). Ma Caleb indirizzò lo sguardo della sua fede verso Hebron, la montagna dalla
quale il Signore aveva parlato, dove erano stati sepolti Abramo, sua moglie Sara, Isacco e
i patriarchi (Gen. 35:27-29; 49:29-33). Hebron è il luogo dei sepolcri e della morte, è la fine
dell’uomo. Che cosa c’è di attraente? Nulla secondo l’uomo naturale; tutto se si tratta della
fede. È un luogo speciale dove il credente trova la fine di se stesso; è la croce di Cristo,
l’inizio di una nuova vita.
Più tardi Hebron diventò una città di rifugio (Giosuè 21), un luogo di benedizione, il punto
di partenza della sovranità di Davide (2 Samuele 2:1-4; 5:1).
Caleb disse a Giosuè: “… ed ora ecco che ho ottantacinque anni; oggi sono ancora
robusto com’ero il giorno in cui Mosè mi mandò; le mie forze sono le stesse di allora, tanto
per combattere quanto per andare e venire. Dammi dunque questo monte del quale il
Signore parlò quel giorno, poiché tu udisti allora che vi stanno degli Anachim e che vi sono
delle città grandi e fortificate. Forse il Signore sarà con me, e io li scaccerò, come disse il
Signore. Allora Giosuè lo benedisse, e diede Ebron come eredità a Caleb” (Giosuè 14:1014).
Caleb è un uomo che sa quello che vuole, e sa come ottenerlo, nonostante la sua età. Il
territorio chiesto da Caleb è lo stesso che aveva scoraggiato il popolo. I dieci esploratori
avevano “screditato” il paese da loro perlustrato proprio a motivo degli abitanti, “i figli di
Anac, della razza dei giganti” (Numeri 13:32-33).
“Forse il Signore sarà con me, e io li scaccerò”, con questa affermazione Caleb diffidava
dunque del Signore? No, ma diffidava di se stesso. La realizzazione dell’intervento divino
è proporzionale alla “sfiducia” in se stesso. È inutile fare alti proclami e condire con “sento
che è la volontà di Dio per me”, (per giustificare) le scelte personali. Lasciamo che siano i
fatti a testimoniare della bontà delle nostre scelte, “affinché conosciate per esperienza
qual sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:2). Paolo
prosegue: “io dico quindi a ciascuno fra voi che non abbia di sé un concetto più alto di
quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede che
Dio ha assegnata a ciascuno”.
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“A Caleb, Giosuè diede una parte in mezzo ai figli di Giuda, come il Signore gli aveva
comandato, cioè: la città di Arba, padre di Anac, la quale è Ebron. E Caleb ne scacciò i tre
figli di Anac: Sesai, Aiman e Talmai, discendenti di Anac” (Giosuè 15:13,14).
Caleb entra nel pieno possesso della sua eredità; la sua perseveranza è coronata dal
successo. Egli è il solo in Israele che sembra abbia cacciato «tutti i suoi nemici», come
descritto nel Libro dei Giudici al cap. 1 dal verso 20.
Questa è una grande lezione per noi. Come Caleb possiamo esplorare per rafforzare la
speranza, relazionare o predicare per proseguire il cammino, combattere per fede per
conquistare le ricchezze della grazia.
La famiglia di Caleb
Caleb fu particolarmente benedetto nel cerchio della sua famiglia, che si trovò impegnata
con lui nello stesso cammino di fede. I familiari di Caleb sono animati dallo stesso
sentimento.
“E Caleb disse: «A chi batterà Chiriat-Sefer e la prenderà io darò in moglie mia figlia
Acsa». Allora Otniel figlio di Chenaz, fratello di Caleb, la conquistò, e Caleb gli diede in
moglie sua figlia Acsa” (Giosuè 15:16-17; Giudici 1:12-13). Il nipote segue degnamente le
orme dello zio, in seguito Otniel diviene il primo giudice d’Israele (Giudici 3). Dopo essere
stato vincitore nel combattimento per se stesso, è eletto per liberare gli altri. Che bella
famiglia!
Anche la figlia di Caleb, Acsa, è un esempio di perseveranza e di intraprendenza:
“E quando lei venne a star con lui, persuase Otniel a lasciarle chiedere un campo a Caleb,
suo padre. Lei smontò dall’asino, e Caleb le disse: «Che vuoi?». Quella rispose: «Fammi
un dono; poiché tu m’hai stabilita in una terra arida, dammi anche delle sorgenti d’acqua».
Ed egli le diede le sorgenti superiori e le sorgenti sottostanti” (Giosuè 15:18-19; Giudici
1:14,15).
Acsa è figura della Chiesa, che ha ricevuto un’eredità, alla quale vuole aggiungere le
benedizioni spirituali (le sorgenti superiori e le sorgenti sottostanti). Ha bisogno «la
benedizione» su ciò che possiede. Per averla persevera nella preghiera e nella
supplicazione.
Facciamo attenzione a quanto tempo è passato da quando abbiamo sentito l’ultima volta:
«Che vuoi?». Sentiremo questa domanda ogni qualvolta saremo spinti dalla fede a
cercare una nuova benedizione.
Conclusione
“… ma il mio servo Caleb, siccome è stato animato da un altro spirito e mi ha seguito
pienamente, io lo introdurrò nel paese nel quale è andato; e la sua progenie lo possederà”
(Numeri 14:24).
“Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato! Io vi dico in verità che
lo costituirà su tutti i suoi beni” (Matteo 24:46,47).
Sforziamoci di conoscere meglio la perseveranza, per applicarla a tutti gli aspetti della vita,
e fare in modo che alla fine della nostra carriera, come Caleb, riceviamo da Dio stesso
quelle parole di approvazione. Egli “aveva pienamente seguito l’Eterno, l’Iddio d’Israele”.
Michele Grieco
mercoledì 25 febbraio 2015
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