Ordine dei Farmacisti della Provincia di Salerno

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Ordine dei Farmacisti della Provincia di Salerno
FEDERAZIONE ORDINI DEI
FARMACISTI
Rassegna Stampa del 21/11/2014
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INDICE
IN PRIMO PIANO
20/11/2014 IlFarmacistaOnline.it 05:10
Fofi stanzia tre borse di studio destinate a farmacisti per partecipazione Master
Altems
7
20/11/2014 IlFarmacistaOnline.it 09:43
ELEZIONI ORDINI PROVINCIALI DEI FARMACISTI
8
SANITÀ NAZIONALE
21/11/2014 Il Sole 24 Ore
Dipendenti sanità, fino a 11mila euro di scarto tra Regioni
10
21/11/2014 Il Sole 24 Ore
Debiti, 4.500 Pa inadempienti
12
21/11/2014 Il Sole 24 Ore
L'etica del lavoro da Triangle a Barletta
14
21/11/2014 La Stampa - Nazionale
NOI ITALIANI RIFORMISTI IMMAGINARI
15
21/11/2014 Il Giornale - Nazionale
«Sto in ansia, dunque sono» Il male oscuro secondo Brera
17
21/11/2014 Il Fatto Quotidiano
Nel vaccino c ' è ossido di ferro: lo ritirano, ma in pochi lo sanno
18
21/11/2014 Il Fatto Quotidiano
La farsa di Medicina : laureati e disoccupati
19
21/11/2014 Il Mattino - Nazionale
Taccuino
20
21/11/2014 ItaliaOggi
Sanitari, riordino a 360°
21
21/11/2014 ItaliaOggi
BREVI
22
21/11/2014 Il Venerdi di Repubblica
diagnosi e terapie: dal cancro si guarisce sempre di più
23
21/11/2014 Il Venerdi di Repubblica
Il cervello si cura abbattendo le sue barriere
24
21/11/2014 Il Venerdi di Repubblica
Nuove app per le diagnosi psichiatriche
25
21/11/2014 L'Espresso
colabrodo croce Rossa
26
21/11/2014 L'Espresso
La violenza dei fragili
27
21/11/2014 L'Espresso
MINISTRI PER CASO
28
21/11/2014 L'Espresso
Il doppio volto di lady Fisco
33
21/11/2014 La Notizia Giornale
Calabria da Gattopardo Dopo l'era Scopelliti è il turno di Oliverio
36
21/11/2014 Internazionale
Quartiere senza legge
37
21/11/2014 Tecnica Ospedaliera
Mobilità sanitaria transfrontaliera. Un fenomeno ancora di nicchia
42
21/11/2014 Tecnica Ospedaliera
Sharjah, EAU Nuovo ospedale materno-infantile e pediatrico
45
21/11/2014 Tecnica Ospedaliera
Procreazione medicalmente assistita Problematiche e criteri progettuali per la
realizzazione
49
21/11/2014 Tecnica Ospedaliera
Una Prostate Unit al Sant'Orsola di Bologna
54
21/11/2014 Tecnica Ospedaliera
Ricoveri italiani a macchia di leopardo
57
21/11/2014 Tecnica Ospedaliera
Anestetici alogenati Limiti di esposizione professionale
62
VITA IN FARMACIA
21/11/2014 Corriere della Sera - Milano
Scontro al vertice sul «tesoro» del Policlinico
65
21/11/2014 La Repubblica - Bologna
Sicurezza, patto prefettura-Federfarma arrivano nuove telecamere anti rapina
67
21/11/2014 La Repubblica - Bologna
Politici, annunci e Sanità
68
21/11/2014 La Repubblica - Milano
I terreni del Policlinico affidati a un ente privato Scontro con la Regione
69
21/11/2014 La Repubblica - Palermo
Slitta la chiusura dei piccoli ospedali L'Ars: "Prima la pagella a tutti i reparti"
71
21/11/2014 La Repubblica - Roma
"Farmacie comunali in sciopero contro la privatizzazione"
72
21/11/2014 La Stampa - Torino
Roma: sì alla riforma "Assunzioni dal 2015" Tensioni sul territorio
73
21/11/2014 La Stampa - Alessandria
Caso fustelle nel dimenticatoio
74
21/11/2014 La Stampa - Alessandria
La prima svolta
75
21/11/2014 Il Messaggero - Ancona
Tavolo della Solidarieta' per trecento famiglie
76
21/11/2014 QN - Il Resto del Carlino - Bologna
Una mostra per aiutare l'ospedale Wamba
77
21/11/2014 QN - Il Resto del Carlino - Imola
Il libretto dello sportivo? Un'odissea
78
21/11/2014 QN - Il Resto del Carlino - Rovigo
Vendeva medicinali scaduti da tre anni Farmacista condannato a cinque mesi
79
21/11/2014 QN - Il Giorno - Lodi
Succo di mela, etilometro e testper evitare incidenti e vittime «Ora la legge
sull'omicidio stradale»
80
21/11/2014 Il Secolo XIX - Imperia
MA IPERCOOP RESISTE ALLA CRISI: IN UN MESE ASSUNTI (O RIASSORBITI) 33
LAVORATORI
81
21/11/2014 Il Secolo XIX - La Spezia
La visita? Un terno al lotto
82
21/11/2014 QN - La Nazione - Empoli
Nuove nomine per le partecipate
83
21/11/2014 QN - La Nazione - Livorno
«Querela-boomerang per Lippi e i suoi assessori»
84
21/11/2014 QN - La Nazione - Prato
Ruba integratori, arrestato
85
PROFESSIONI
21/11/2014 Internazionale
Parliamo di aborto
87
20/11/2014 TOP
CURE PER TUTTI
92
20/11/2014 TOP
DUBBI SUI GENERICI
93
PERSONAGGI
17/11/2014 Corriere.it
L'odissea dei farmaci introvabili Colpa del mercato parallelo
95
IN PRIMO PIANO
2 articoli
20/11/2014
05:10
IlFarmacistaOnline.it
Sito Web
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Fofi stanzia tre borse di studio destinate a farmacisti per partecipazione
Master Altems
La Scuola ALTEMS è una istituzione di alta formazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore,
specializzata nella progettazione e realizzazione di programmi di formazione economico-manageriale postlaurea per l'aggiornamento e il perfezionamento professionale di tutti coloro che operano nell'ambito del
settore sanitario.
20 NOV - La Federazione degli Ordini, nell'ambito delle iniziative a sostegno della formazione professionale,
ha stanziato tre borse di studio, destinate a farmacisti iscritti all'albo, per il finanziamento della quota di
iscrizione al nuovo master in "Competenze e Servizi Giuridici in Sanità", messo a disposizione dall'Alta
Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS). La Scuola ALTEMS è una istituzione di
alta formazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, specializzata nella progettazione e realizzazione di
programmi di formazione economico-manageriale post-laurea per l'aggiornamento e il perfezionamento
professionale di tutti coloro che operano nell'ambito del settore sanitario. Tale master ha lo scopo di fornire, a
coloro che aspirano a svolgere un ruolo manageriale e dirigenziale, o intendano consolidare il proprio
percorso professionale e di carriera nelle istituzioni pubbliche e private operanti nel settore sanitario,
farmaceutico, socio-assistenziale, gli strumenti cognitivi ed operativi necessari per l'aggiornamento delle
proprie competenze, nonché per sviluppare e consolidare competenze organizzative e gestionali. In virtù
dell'accordo di collaborazione stipulato dalla Federazione con la Scuola ALTEMS, dunque, i responsabili del
Master selezioneranno i tre farmacisti meritevoli delle suddette borse di studio ed, inoltre, tutti gli altri iscritti
all'albo potranno usufruire di uno sconto del 20% (pari a 1.200 euro) sulla quota di iscrizione al master. La
domanda di iscrizione dovrà essere presentata entro il 23 novembre p.v., secondo le modalità riportate sul
sito dell'Alta Scuola, all'indirizzo http//altems.unicatt.it, dove sono reperibili anche tutti gli ulteriori dettagli
relativi al Master. Considerata la rilevanza di tale opportunità formativa, si invitano gli Ordini a voler
assicurare la massima diffusione dell'iniziativa presso i propri iscritti.
IN PRIMO PIANO - Rassegna Stampa 21/11/2014
7
20/11/2014
09:43
IlFarmacistaOnline.it
Sito Web
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ELEZIONI ORDINI PROVINCIALI DEI FARMACISTI
Ecco i nomi dei presidenti che guideranno gli Ordini provinciali dei Farmacisti nel triennio 2015-2017
20 NOV - Province Presidente Eletto Agrigento Maurizio Pace Alessandria Ancona Aosta Arezzo Giovanna
Nofri Ascoli Piceno e Fermo Asti Avellino Ettore Novellino Bari e Barletta-Andria-Trani Luigi D'Ambrosio
Lettieri Belluno Manlio Schiavinotto Benevento Bergamo Bologna Paolo Manfredi Bolzano Maximin Liebl
Brescia Francesco Rastrelli Brindisi Cagliari, Carbonia-Iglesias e Medio Campidano Paolo Diana
Caltanissetta Valerio Maria Varrica Campobasso Caserta Catania Catanzaro Vitaliano Corapi Chieti Como
Giuseppe De Filippis Cosenza Cremona Angelo Guarneri Crotone Antonio Megna Cuneo Enrica Bianchi
Enna Ferrara Firenze Foggia Forlì e Cesena Frosinone Lucio Pantano Genova Gorizia Anna Olivetti
Grosseto Imperia Isernia L'Aquila La Spezia Latina Roberto Pennacchio Lecce Lecco Giovanni Gerosa
Livorno Lucca Macerata Massa Carrara Gino Giarelli Mantova Matera Pasquale Imperatore Messina Milano
Lodi Monza e Brianza Andrea Mandelli Modena Napoli Vincenzo Santagada Novara Verbano Cusio e Ossola
Cesare Lapidari Nuoro e Ogliastra Cesare Priamo Garau Oristano Gianfranco Picciau Padova Palermo
Parma Pavia Roberto Braschi Perugia Pesaro Urbino Pescara Giuseppe De Luca Radocchia Piacenza Pisa
Enrico Morgantini Pistoia Andrea Giacomelli Pordenone Potenza Magda Cornacchione Prato Ragusa
Ravenna Domenico Dal Re Reggio Calabria Reggio Emilia Enrico Bertazzoni Rieti Rimini Roma Emilio Croce
Rovigo Salerno Sassari e Olbia-Tempio Roberto Cadeddu Savona Giovanni Zorgno Siena Paolo Savigni
Siracusa Francesco Gibiino Sondrio Taranto Francesco Settembrini Teramo Terni Torino Trapani Leonardo
Galatioto Trento Bruno Bizzaro Treviso Trieste Marcello Milani Udine Michele Favero Varese Alessandro
Rigamonti Venezia Emma Immacolata Piumelli Vercelli e Biella Piero FURNO Verona Massimo MARTARI
Vibo Valentia Massimo De Fina Vicenza Florindo Cracco Viterbo
IN PRIMO PIANO - Rassegna Stampa 21/11/2014
8
SANITÀ NAZIONALE
25 articoli
21/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 9
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Dipendenti sanità , fino a 11mila euro di scarto tra Regioni
I POSSIBILI RISPARMI Se il Molise per i suoi medici spendesse in media quanto le tre Regioni benchmark,
rispamierebbe 5,2 milioni, il Piemonte 55, la Calabria 16
Roberto Turno
ROMA
Regione che vai, stipendio che trovi. Fanno lo stesso lavoro - medici, infermieri e tutto l'esercito dei
dipendenti Ssn - ma guadagnano meno o molto di più a seconda della regione in cui lavorano. Certo, in tre
anni (perfino escludendo il blocco dei contratti) hanno perso in busta paga 1,17 mld, il 3,1% del totale. E sono
dimagriti di numero del 2,8% (-19mila unità). Ma è anche vero che costi e trattamento dei dipendenti della
sanità pubblica sono uno spezzatino all'italiana. Dove il costo medio totale varia dai 62.772 euro della
Campania ai 51.753 del Veneto, 11mila euro in meno (ben il 20%) contro una media di 53mila nelle tre
regioni benchmark (Umbria, Emilia e Veneto). E dove un medico (sono 120mila) può costare in media
120mila euro in Molise e 105mila in Sardegna, e 113mila nelle regioni benchmark. Con la Sardegna al top
per costo per abitante (318 euro), la Lombardia ai minimi (189) e le regioni benchmark a metà strada. Per
non dire della falange (331mila) di infermieri&co appartenenti al "comparto del ruolo sanitario": in Campania
guadagnano in media 47.933 euro, in Sardegna 41mila (43mila nelle regioni benchmark), 6mila euro di gap (il
15%). Ma è tale la numerosità di questa categoria, che se mai si pareggiassero i costi con quelli realizzati
nelle regioni benchmark, in teoria si potrebbero risparmiare fino a 500 mln. Circa 200 mln invece per i medici.
In teoria.
Teoria, certo. Anche perché i tagli in questi anni ci sono stati nel Ssn, eccome. Da Tremonti in poi sono stati
contabilizzati in circa 30 mld. E altre misure scomode e dolorose rischiano di arrivare con quella sorta di Jobs
act per la sanità allo studio in applicazione del «Patto salute» che ha messo in fibrillazione giovani dottori e
sindacati. Certo è che lo studio, mai fatto prima, della Stem, la struttura tecnica della Conferenza StatoRegioni, fornisce ora uno spaccato eloquente del settore proprio mentre i tagli della manovra 2015 rischiano
di colpire la sanità almeno per altri 1,5-2 mld dopo il pesante ridimensionamento di questi anni.
Il rapporto della Stem, che siamo in grado di anticipare, considera il triennio 2010-2012 e fotografa una
maionese impazzita di costi e di spese morigerate e/o esagerate.
A partire dall'uso, e talvolta forse l'abuso, delle indennità concesse dalle aziende sanitarie in base ai tre fondi
di cui dispongono (di funzione, disagio e risultato). Ebbene, capita che in Campania in media queste
indennità pesino sul totale delle retribuzioni per il 23,7% contro il 17,7 della Sardegna e il 20,3 delle regioni
benchmark. Uno sbalzo del 6% tra il massimo e il minimo. Per i medici si va dal 32,6% del Piemonte e il 31,7
del Veneto al 26,1 della Sardegna e il 26,6 della Toscana. Un excursus che per gli infermieri tocca il 19,6% in
Campania e l'11,1 in Basilicata: un 8% di differenza ancora più marcato e decisivo in termini di costi per la
numerosità di questo comparto.
Fatto sta che le regioni benchmark hanno sempre costi sotto la media nazionale. Anche se non mancano
spiegazioni ai risultati soprattutto al Sud e nelle regioni commissariate o sotto piano di rientro. Da una parte
può pesare la presenza di personale più anziano o di grado più elevato. Così come un peso lo hanno avuto i
blocchi del turn over, che hanno richiesto più straordinari, festivi o notturni. Più indennità, insomma. E d'altra
parte le "regioni canaglia" potrebbero appuntarsi una stella al petto: i nostri piani di rientro hanno funzionato,
possono magnificare Campania, Lazio, Puglia, elencando i più sensibili cali di costo e di personale in questi
anni.
Il rapporto Stem sottolinea queste spiegazioni. Ma ammette che omogeneizzando il più possibile le
indennità, e razionalizzando l'organizzazione dei servizi, potrebbero essere «contenute» le differenze tra le
regioni. Altrimenti lo spezzatino resterà sempre realtà. Certo è che se il Molise per i suoi medici spendesse in
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
10
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Spending review. Il rapporto della Stato-Regioni
21/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 9
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
11
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
media quanto le 3 benchmark, risparmierebbe 5,2 mln. Ben 55 mln il Piemonte, 16 mln la Calabria e 23 mln
la Campania. E addirittura 109 mln in meno spenderebbe per gli infermieri sempre la Campania allineandosi
alla media delle tre regioni al top. Sarà teoria. Ma forse non troppo.
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21/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 15.17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Debiti, 4.500 Pa inadempienti
Enti in ritardo sulle certificazioni - Metà delle domande riguarda Province e Comuni L'ULTIMO BILANCIO
DEL MEF Le richieste complessive sono arrivate a quota 9,3 miliardi: oltre 4,6 miliardi si riferiscono alle
amministrazioni locali
Carmine Fotina
ROMA
Ancora dieci giorni e poi tutte le Pubbliche amministrazioni dovrebbero aver risposto alle oltre 20mila
imprese che hanno richiesto la certificazione dei loro crediti commerciali. Doveroso usare il condizionale, visti
i numerosi casi di ritardo segnalati dalle imprese.
Secondo l'ultimo censimento del ministero dell'Economia, aggiornato al 17 novembre, quasi metà delle
istanze di certificazione, in termini di importo, riguarda gli enti locali (Province e Comuni) per oltre 4,6 miliardi
su 9,3 miliardi totali: 50.107 domande presentate su 86.751 totali. Ammonta invece a 1,7 miliardi l'importo
delle istanze relative agli enti del servizio sanitario e a 1,4 miliardi quello di Regioni e Province autonome per
debiti diversi dalla sanità. Il restante va riferito ad amministrazioni statali ed enti pubblici vari.
Le certificazioni in questione sono determinanti affinché le imprese possano richiedere alle banche la
cessione del loro credito in modalità pro soluto (il cedente non deve rispondere dell'eventuale inadempienza
del debitore) con il supporto della garanzia statale. Il decreto 66/2014 che ha introdotto questa possibilità
aveva fissato come termine per le domande, da caricare sulla piattaforma telematica del ministero
dell'Economia, il 31 ottobre. Ogni amministrazione è tenuta a pronunciarsi entro 30 giorni, quindi le ultime
risposte teoricamente dovrebbero giungere al massimo entro la fine di novembre.
Il bilancio però non è ancora soddisfacente. Nel suo ultimo monitoraggio, il ministero dell'Economia ha
elencato le amministrazioni per le quali, in base ai dati aggiornati sulla piattaforma elettronica, risultano
pendenti istanze di certificazione oltre il termine prefissato di 30 giorni. Sono ben 4.522 i debitori che hanno
sforato i tempi per un totale di 14.801 domande con un controvalore di oltre 1,3 miliardi. C'è un po' di tutto
nella lista degli inadempienti: ministeri, Regioni, Province, Comuni, aziende ospedaliere, comunità montane,
università, scuole, anche sedi dell'Agenzia delle Entrate, reparti della Guardia di Finanza.
Quanto alle domande, c'è stata un'accelerazione nelle settimane finali arrivando in totale a 86.751 istanze
presentate da 20.356 aziende ma le Pa zelanti sono solo una minoranza. Si può stimare che, su un importo
totale di 9 miliardi, si è ancora al di sotto di 4 miliardi di crediti per i quali è stata rilasciata certificazione. E non
basta. Perché un'ulteriore distinzione va fatta prendendo in esame, tra quelli certificati, i crediti che hanno tutti
i requisiti per essere oggetto di cessione alle banche con garanzia statale: devono riferirsi solo a spese
correnti (e non in conto capitale) e devono essere stati maturati al 31 dicembre 2013. Il conto, applicando
questi criteri, si ferma intorno ai 2 miliardi .
La tempestività delle risposte e del rilascio delle certificazioni, dove non ci siano valide ragioni per il diniego,
assume un'importanza crescente anche in considerazione di altre modalità di rimborso dei crediti. Come noto,
la cessione alle banche con garanzia dello Stato (con tasso di sconto calmierato) è solo una delle opzioni
possibili. Resta la via maestra della liquidazione diretta e totale da parte delle Pa (ma con tempi ancora più
incerti), che al momento fa registrare pagamenti per 32,5 miliardi su 56,3 miliardi stanziati. Oltretutto devono
essere dotati di certificazione anche i crediti che le imprese puntano a compensare con i debiti fiscali. Una
condizione che dovrà essere rispettata anche da parte di chi usufruirà della proroga destinata a entrare nella
legge di stabilità. Si estende a tutto il 2015 la possibilità di compensare somme iscritte a ruolo con crediti
commerciali vantati nei confronti della Pa. L'operazione è possibile a patto che i crediti siano certificati e la
somma della cartella esattoriale sia inferiore o pari al credito vantato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA La certificazione dei crediti Numeroe importo delle istanze presentate,
suddiviso per tipologia di ente debitore Ambito Amministrazioni N°Istanze presentate Importo Istanze
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pagamenti arretrati. Non rispettato il termine di 30 giorni per 14.800 istanze pari a 1,3 miliardi di crediti
commerciali
21/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 15.17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
presentate Amministrazioni periferiche dello Stato 7.257 405.737.428,44 Amministrazioni Centrali dello Stato
1.032 330.502.991,08 Amministrazioni dello Stato Totale 8.289 736.240.419,52 Enti locali 50.107
4.621.708.733,22 Enti del SSN 20.208 1.767.854.255,30 Altri Enti tenuti alla registrazione ex art. 1, comma 2,
del DLgs. 165/01 910 115.057.721,55 Regioni e Province Autonome 2.093 1.419.636.172,40 Enti Pubblici
Nazionali 1.372 128.895.440,44 Altri Enti tenuti alla registrazione ex art. 1, comma 2, del DLgs. 196/09 16
779.700,66 Totale 74.706 8.053.932.023,57 Amministrazione non accreditata o non Individuata 3.756
525.052.647,33 Totale 3.756 525.052.647,33 Totali 86.751 9.315.225.090,42
21/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 32
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'etica del lavoro da Triangle a Barletta
Cristina Battocletti
«L'amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra», scrisse
Primo Levi in La chiave a stella (1978), uno dei pochi romanzi italiani di letteratura industriale. Di amore per il
lavoro, su cui si costruisce l'identità e la dignità di un individuo, parla Triangle di Costanza Quatriglio,
documentario che passerà il 26 novembre al Torino Film Festival (da oggi fino al 29 novembre nel capoluogo
piemontese) nella sezione "Diritti &Rovesci". Triangle racconta questo sentimento per sottrazione attraverso
esempi deleteri di etica del lavoro. Lo fa dando voce a due stragi che hanno colpito lavoratori tessili a
distanza di cento anni. La prima, avvenuta nel 1911 alla "Triangle" - da cui il titolo del documentario -,
fabbrica di camicette in cui il 25 marzo divampò un incendio che fece 146 vittime, 123 donne e 23 uomini, per
lo più immigrati, chiusi a chiave all'ottavo piano di un grattacielo newyorkese. Fu uno dei fatti che portarono
all'istituzione della festa dell'8 marzo. L'altro evento è il crollo di una palazzina a Barletta il 3 ottobre del 2011,
dove persero la vita cinque donne, dai 36 ai 14 anni, in un maglificio di cui nessuno conosceva l'esistenza
perché le operaie vi lavoravano in nero.
Quatriglio mette in parallelo le storie attraverso testimonianze di sopravvissuti del 1911 e del 2011, con un
montaggio di materiali d'archivio di grande impatto, come già fece in Terramatta, nastro d'argento nel 2012,
basato sul diario "di disonesta vita" del soldato Vincenzo Rabito. Dalle dichiarazioni di tre superstiti
newyorchesi, scovate al "Ladies' Garment Workers' Union Archives", traspare il prevalere del divertimento
dello stare assieme a dispetto della misera paga per il lavoro a cottimo, retribuito 12 dollari alla settimana
senza riposo. Emerge anche il clima di vigilanza stretta sui furti (la porta era chiusa per controllare uno ad
uno gli operai all'uscita) e il terrore delle donne, tra cui molte bambine, che davanti alle fiamme si buttavano
dalla finestra. Quatriglio sdoppia le immagini di repertorio, quasi a dimostrare l'ambiguo dualismo
dignità/necessità che fa il paio con quello diritti/doveri.
A raccontare Barletta è Mariella Fasanella, l'unica uscita viva dalle macerie. Come gli operai della "Triangle"
affiora la gioia di andare al lavoro per stare con le amiche e colleghe, la fierezza della propria abilità
lavorativa: «L'operaia ha tante responsabilità sulla macchina, io le parlo nella mia mente, è come se facessi
una nuova conoscenza». Ma anche la completa ignoranza dei propri diritti: «Mi teneva in nero, ma stavo
bene, in famiglia», e ancora «e che il palazzo non crollava se stavamo in regola?». Dopo l'episodio del 1911
vennero varate negli Stati Uniti nuove leggi sulla sicurezza del lavoro e aumentò il peso dei sindacati in un
crescendo che passato attraverso «il taylorismo, il fordismo e le lotte», come ricorda Quatriglio che si è
occupata anche di diritto alla salute sul lavoro in Con il fiato sospeso, vincitore del premio "Gillo Pontecorvo"
nel 2013, indagine sul legame tra alcuni decessi e l'insalubrità degli ambienti della facoltà di Farmacia a
Catania. Conquiste del '900 che non sono arrivate a Mariella, che dal lavoro nero è passata al «part time a
pezzo», al cottimo di cento anni fa alla "Triangle". Nell'era della globalizzazione e forse proprio a causa di
questa, perché come spiega Mariella: «Arrivava il titolare e diceva, domani non si lavora. Si dispiaceva lui
stesso».
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SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CINEMA A TORINO
21/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
NOI ITALIANI RIFORMISTI IMMAGINARI
LUIGI LA SPINA
Ancora una volta Torino e il Piemonte possono rappresentare un caso esemplare della situazione italiana. La
giunta regionale di centrosinistra, presieduta da Sergio Chiamparino, ha presentato il piano di riforma
sanitaria. Un progetto, che mira a ridurre l'impressionante deficit, accumulato negli anni, dall'assistenza
sanitaria pubblica piemontese, subito apparso sostanzialmente analogo, seppur con qualche variante, a
quello che tentò di varare la precedente amministrazione regionale di centrodestra, poi naufragato tra i dissidi
interni e la fine anticipata della legislatura. PAGINA Aparte invertite, il piano Saitta, dal nome dell'assessore
regionale competente, ha ricevuto la stessa accoglienza riservata a quello di Monferino, il manager a cui l'ex
presidente del centrodestra, Roberto Cota, aveva affidato la guida del progetto di riforma sanitaria: accuse
dall'opposizione, rivolta dei sindaci nelle città in cui è prevista la chiusura di ospedali troppo piccoli, proteste
di primari, medici, infermieri. Al di là del balletto delle polemiche strumentali tra i due schieramenti che si sono
alternati al comando della Regione Piemonte, è ovvio che i progetti si assomiglino molto: gli standard
internazionali di riferimento a cui l'Italia deve adeguarsi e le direttive di Roma per evitare il commissariamento
non lasciano molto spazio alla fantasia riformatrice. Si possono cambiare dettagli e scelte secondarie, ma
l'impianto generale per evitare la bancarotta finanziaria deve restare sostanzialmente immutato. È possibile
che, questa volta, attraverso una maggiore esperienza politica e abilità mediatrice dell'assessore Saitta, la
riforma non sia affossata, ma è probabile che i compromessi con tutte le parti interessate finiscano per
riservarle la solita sorte, quella di un provvedimento poco efficace rispetto agli obbiettivi proclamati. L'esempio
della sanità piemontese è proprio lo specchio dell'Italia di oggi, quella di un Paese che avrebbe bisogno di
riforme radicali, come ammettono tutti, di cambiamenti che non sono nè di destra nè di sinistra, come
riconoscono quasi tutti, perché servono a rimettere la nostra nazione al passo della rivoluzione produttiva,
culturale, sociale che è avvenuta nel mondo, ma che né la destra, né la sinistra, da oltre vent'anni, riescono
ad approvare. O, se qualche riforma viene realizzata, è così azzoppata da mille mediazioni da non servire a
nulla, o quasi. Si parla, da decenni, di semplificare quella burocrazia italiana che affligge i nostri cittadini, le
nostre aziende, le nostre scuole e le nostre università tra mille adempimenti che rallentano la produttività e
scoraggiano chi voglia investire. Lo stesso obiettivo avrebbe una riforma che, come dimostra anche il caso
Eternit, avvicini l'amministrazione del diritto a una vera giustizia. È urgente un piano di salvaguardia del suolo
nazionale, sbriciolato tra frane e alluvioni che denunciano i danni della mancata manutenzione del territorio e
dell'abusivismo edilizio. Tutte questioni, come il problema dell'evasione fiscale e molte altri, che non
dovrebbero essere sbandierate come battaglie di parte tra destra e sinistra, perché sono mali sui quali non
solo la diagnosi è comune, ma anche la terapia è abbastanza condivisa. Eppure, sono lì dalla fine del secolo
scorso e la loro soluzione non appare vicina. Prima, la colpa delle mancate riforme era dell'«anomalia
Berlusconi», tra conflitti di interessi e questioni giudiziarie, che impediva alla grande maggioranza
parlamentare su cui poteva contare di portarle a compimento. Poi, la colpa fu quella di Prodi e degli altri
leader di centrosinistra che, invece, erano angustiati da numeri troppo risicati alle Camere e da profondi
dissensi interni alle variegate coalizioni necessarie per vincere. Ora, anche il decisionismo renziano sembra
avviato alla stesso deludente risultato. Il rimedio a questo impantanamento riformistico dell'Italia, almeno così
pare, arriva sempre dalla stessa ricetta, quella di rafforzare il potere del governo rispetto a quello delle
Camere. Ci provò Craxi, poi le famose bicamerali, compresa quella di D'Alema; in seguito, l'impotenza
dell'esecutivo fu la scusa di Berlusconi per giustificare i suoi fallimenti rispetto ai grandi progetti annunciati.
Adesso, Renzi vuole dimezzare il Parlamento nella speranza di accelerare l'iter dei suoi provvedimenti, ma
siamo sicuri che, quand'anche questa riforma si realizzasse, l'Italia davvero potrà «cambiare verso»?
L'impressione è un'altra. Se la diagnosi della malattia nazionale è condivisa e la terapia non dovrebbe
separare drammaticamente la destra e la sinistra nel nostro Paese, la maggioranza della classe dirigente,
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DESTRA E SINISTRA
21/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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quella che detiene il potere delle principali corporazioni che reggono l'Italia, non ha nessuna volontà di
assumere il farmaco del cambiamento. Perché la vasta platea dei garantiti, politici, alti burocrati,
amministratori pubblici, lavoratori dipendenti che non rischiano il licenziamento, professionisti, sindacalisti e
imprenditori dei settori protetti dalla concorrenza internazionale, detentori di cospicue rendite finanziarie, e
tante altri, dovrebbero voler mutare una situazione che ancora li rende categorie che vivono senza particolari
affanni? Il vero paradosso italiano, però, viene dai non garantiti. Anch'essi, in fondo, sognano, un giorno o
l'altro, di riuscire a passare dall'altra parte, quella dei garantiti. Perché dovrebbero voler cambiare una
condizione che appare un miraggio di tranquillità e di benessere, per estendere costumi di vita mutevoli,
flessibili, faticosi, magari più brillanti e adeguati ai tempi che sono irreversibilmente cambiati, ma anche più
rischiosi, dal momento che sono più competitivi e meritocratici? Se, forse, aveva ragione il generale de
Gaulle, quando riteneva difficile governare un Paese come la Francia con 246 varietà differenti di formaggi,
forse ha ragione pure chi pensa sia altrettanto difficile voler governare l'Italia verso il cambiamento, quando,
da noi, i veri riformisti sono del tutto immaginari.
21/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:192677, tiratura:292798)
«Sto in ansia, dunque sono» Il male oscuro secondo Brera
Giancristiano Desiderio
Il famoso motto di Cartesio Cogito, ergo sum - è stato variamente riscritto daifilosofima
lamigliorereinterpretazione sideve a Gianni Brera.Il grande giornalista lo riformulò così: «Sto in ansia,
dunquesono». Pare,infatti, che l'Arcimatto soffrisse di stati d'ansia e per tenere sotto controllo agitazioni e
palpitazioni e non farle degenerare in angoscia e stati depressivi buttasse giù mezza pillola o di Tavor o di
Control, quasi nulla. Ma la vera pillola magica di Giovannino Brera era la scrittura che è di per sé un
ansiolitico e chi scrive - dice oggi il figlio di Brera, Paolo ha meno bisogno di difendersi dall'ansia. Chissà. Alla
metà degli anni Settanta, Brera scrisseun volumettointitolato Introduzione alla vita saggia ove con ironia
affrontò il tema dell'ansia - della sua ansia - per dire con eleganza che essa, se tenuta sotto controllo, non è
un male ma un bene: una sorta dispia di sicurezza che mette in guardia dai pericoli. Oggi che siamo tutti
ansiosi, il volumetto di Brera pubblicato da Il Mulino è quanto mai prezioso: l'esercizio che invita a fare è
mantenere - anche con l'aiuto di una pillola - il carattere positivo dell'ansia, da cui dipende il progresso su se
stessi, evitando di farsi prendere dal suo carattere negativo -angoscia edepressione - che Giuseppe Berto nel
suo gran librochiamava Il male oscuro . In cosa consiste allora la saggezza secondo Brera? Nel trovare
l'equilibrio o il punto mediano «fra il timore che si spenga e la speranza che lingueggi la fiammella fatidica»
dell'anima. Ma l'Arcimatto era saggio? Il figlio Paolo nella nota posta in coda al volumetto ricorda che la
saggezza era assente nella scelte di vita del padre che «ai bivi dell'esistenza spesso sceglieva da
sconsiderato». Il più delle volte gli andò bene ma non per i motivi che aveva pensato. Come quando
nell'immediato dopoguerra non accettò la direzione di un giornale comunista a Novara, preferendo entrare da
semplice cronista alla Gazzetta dello Sport . La scelta fu azzeccata visto che divenne in poco tempo direttore
della «Rosea» a meno di trent'anni. Il volumetto sulla «vita saggia» di Brera è impreziosito da un Elogio della
pillola che Carlo Verdone fa a mo' di prefazione. Perché? Perché «io sono stato un campione di
benzodiazepine e non mi vergogno affatto di dirlo». Il punto è sempre quello: come tenere a bada l'ansia. Se
non si può essere Seneca o Epitteto che percorrevano stoicamente la via di fuga dalle passioni-ma sarà
vero? -allora rimane «la via della farmacia» che percorsa con intelligenza evita i danni degli stati ansiosi
(gastriti, coliche, ulcere...). Un po' di ansia non fa male e «in fondo - nota Brera -, proprio le ansie del gran
gobbo di Recanati sono alla base della sua fortuna. Quando era limpido, in lui aveva alla meglio il pedante sul
poeta divino». Lo stato d'ansia tendente alla depressione ma commutato in carica positiva dovette essere il
segreto anche di Brera che imparò a mettere, come dice, l'anima «sottovento» per ben alimentare la preziosa
fiammella. Tutto sta nel capire quando intervenire: «Importante è avvertire il bisogno, cioè intuire il momento
in cui l'ansia si dilata ad angoscia, come fumiganti veli di nebbia che alla fine si uniscano in un banco
impenetrabile».
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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«INTRODUZIONE ALLA VITA SAGGIA»
21/11/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 1
(tiratura:100000)
Nel vaccino c ' è ossido di ferro: lo ritirano, ma in pochi lo sanno
Chiara Daina
Daina » pag. 9 Il ritiro del vaccino Meningitec dal mercato ha trascinato centinaia di famiglie nel panico. A
disporlo sono stati due provvedimenti emessi dall ' Agenzia del farmaco italiana (Aifa) il 26 settembre e il 6
ottobre. Sotto accusa undici lotti del farmaco prodotto dalla casa farmaceutica olandese Nuron Biotech, che
sono entrati in commercio in Italia a partire da maggio 2013. A L L ' INTERNO DELLE FIALE è stata
riscontrata " la presenza di corpo estraneo color arancio rossastro identificato come ossido di ferro e acciaio
inossidabile " . Così riporta il sito online dell ' Aifa in data 13 ottobre dopo aver ricevuto la segnalazione dalla
stessa ditta produttrice. Segue un ' altra comunicazione tre giorni più tardi che assicura l ' inesistenza di
potenziali effetti che sarebbero potuti derivare dall ' im piego di queste siringhe. L ' ul tima parola spetta però
alla Commissione tecnica scientifica dell ' Aifa che il 27 del mese scorso dichiara che " non vi sono
indicazioni, ad oggi, che le impurezze (particelle di ossido di ferro), qualora presenti, possano impattare l '
effica cia del vaccino " . Il ritiro, come sempre accade in casi sospetti, è stato cautelativo. Le anomalie,
precisa l ' Aifa, non riguardano tutte le confezioni dei lotti individuati. Ma il timore che qualcosa non sia andato
per il verso giusto rimane. Tanto che una sessantina di famiglie, appresa la notizia, hanno deciso di fare
causa. Si tratta soprattutto di residenti del Lazio, Veneto e Calabria. " L ' ho scoperto grazie a Facebook spiega Sandro Airaldi, di Castrolibero, in provincia di Cosenza, che ha vaccinato suo figlio nel luglio 2013 - un
genitore di un paese vicino al mio, Corigliano, ha postato un avviso. Così mi sono subito informato. Ho
chiamato la Asl, ho chiesto il certificato con il numero di serie del vaccino somministrato al mio bambino e poi
mi sono rivolto a un avvocato " . Il signor Airaldi ha fondato anche un gruppo sul social network " Scandalo
vaccino meningicocco C " , conta 153 iscritti, tutti coinvolti direttamente. " Serve per tenerci aggiornati, visto
che gli organi competenti fanno finta che non sia successo niente. Neanche la asl mi ha avvertito, sono
indignato " . L ' inie zione del vaccino a suo figlio ha provocato febbre alta, vomito e diarrea. " Il pediatra mi
tranquillizzò, sono effetti collaterali comuni, mi disse " . Anche Fabiola Ermo, di Roma ha saputo del ritiro dei
lotti tramite il social network. " Faccio parte di un gruppo di mamme, e una di loro ci ha dato l ' allarme. Ora
vogliamo la verità " . LE FAMIGLIE COINVOLTE si sono affidate all ' avvocato Roberto Mastalia, che sta
predisponendo una denuncia contro l ' Aifa, il ministero della Salute e la casa farmaceutica olandese. " Le
valutazioni dell ' Aifa non tengono conto dei danni che potrebbero manifestarsi in futuro. Al momento la
medicina non li esclude ancora " annota il legale. " Non si può accettare - aggiunge - che a dare per prima l '
avviso sia stata l ' azienda che produce il Meningitec e non gli organi di vigilanza statali. E poi, chi ci dice che
la Nuron Biotech non abbia aspettato di smaltire i lotti prima di denunciare la contaminazione? " . Un altro
dettaglio che potrebbe inquietare le famiglie si trova nel comunicato diffuso sul portale online dell ' azienda: "
Ossido di ferro e acciaio ossidato - si legge - potrebbero produrre reazioni locali e sistemiche simili a quelli
prodotti dal principio attivo di Meningitec " . Conclusione: è difficile stabilire se gli effetti avversi sono quelli
causati normalmente dal vaccino o da quello contaminato. Il compito di controllare i vaccini prima che entrino
sul mercato spetta all ' Istituto superiore di sanità che finora non ha riscontrato stranezze e fa rientrare l '
allarme. NON SI PREOCCUPA neppure Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche
"Mario Negri " . Il suo commento: " Il ritiro di lotti di farmaci è abbastanza frequente. Capita che ci siano delle
impurità. Ma fino adesso non si sono mai rivelate nocive per la salute dell ' uomo. Gli studi sulle conseguenze
a distanza però sono tuttora in corso " .
Foto: La meningite colpisce spesso i bambini, che quindi vengono vaccinati Ansa
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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ANTI-MENINGITE
21/11/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 18
(tiratura:100000)
La farsa di Medicina : laureati e disoccupati
ANOMALIE Non abbiamo i soldi per gli specializzandi, ma anziché evitare di formarne troppi, li facciamo
studiare e poi li mandiamo all ' estero
Bruno Tinti
perare i test, troppi medici non vanno bene; e sarà anche giusto. Ma a questo punto basterebbe calcolare
questo numero chiuso in funzione dei medici specializzati, gli unici che faranno davvero il medico, non in
funzione dei laureati. In altri termini, perché ammettere all'Università 20.000 (numero di fantasia) studenti con
prevedibili 15.000 laureati per poi ammetterne alle specializzazioni solo 5.000? E gli altri 10.000 (che non
solo hanno speso tempo e danaro per laurearsi ma hanno utilizzato risorse della collettività per la loro
formazione - Università e professori li paga lo Stato) che cosa faranno? Se non servono più di 5.000 LA
STORIA dei test per essere ammessi alle specializzazioni mediche si è risolta nel peggiore dei modi: i due
test invertiti, quelli destinati ai cosiddetti servizi (radiologia, anestesia, medicina del lavoro etc) finiti ai medici
e viceversa, sono stati aboliti; dovevate rispondere a 30 domande, vanno bene 28; tutto regolare. Regolare
un accidente. Immaginiamo due esaminandi; il primo ha sbagliato le risposte ai due test aboliti, quindi ha
punteggio pieno, 28; il secondo ne ha sbagliate altre 2 ma ha risposto bene ai test aboliti; anche lui avrebbe
28; invece ha solo 26. Risultato: il primo è ammesso alla specialità e il secondo no. Ovvio che i ricorsi al TAR
si sprecherann o. Al di là della soluzione sbagliata, la vicenda bene evidenzia l'incapacità della Pubblica
amministrazione: in questo caso quella sanitaria; ma inefficienza e insipienza analoghe sono riscontrabili in
ogni settore: mi mettessi a raccontare della Giustizia, riempirei tutte le pagine del giornale. Motivo per cui
torniamo ai test per l'ammissione alle specializza z i o n i . Bisogna sapere che il laureato in Medicina non può
fare a meno di una qualsiasi specializzazione: se non ne ha una può solo fare le guardie e le sostituzioni dei
medici della mutua; insomma non può lavorare. Va bene, si specializzi. Solo che non può, almeno non è
detto che possa. Alla facoltà di Medicina c'è il numero chiuso: bisogna sumedici " ve r i " si limiti l'accesso
all'università in funzione di questo numero, non si creino disoccupati dopo aver speso capitali per formarli.
Tanto più in quanto i non ammessi alle specializzazioni vanno a lavorare in altri Paesi (i medici italiani sono
molto apprezzati, hanno un'ottima preparazione) che non hanno speso una lira per farli s t u d i a re . n Q U E
STA storia induce a pensare, ancora una volta, che si stava meglio quando si stava peggio. Prima della
ennesima riforma, le specializzazioni venivano svolte presso le varie Università; i medici non erano pagati
(borse di studio, guardie, sostituzioni, sbarcavano il lunario alla meno peggio) però intanto imparavano e si
specializzavano. Alla fine potevano lavorare, sempre nel rispetto del numero chiuso per l ' accesso a
Medicina. Poi qualcuno ha cominciato a sollevare il problema: non è giusto che lo specializzando lavori in
ospedale e non venga pagato! Dobbiamo dargli uno stipendio. Sì, ma i soldi dove li prendiamo? Eccoli qui,
bastano per tre specializzandi. Va bene, e gli altri? Fateli entrare in soprannumero, lavorano gratis (un po'
incoerente, ma si salvano capra e cavoli). Poi i baroni, i favoritismi veri o presunti, la "razionalizzazione"
(ottima cosa se la sapete fare): concorso in sede nazionale, chi passa si specializza, gli altri si arrangino. Ma
io ho studiato, sono medico! Peggio per te, vai a lavorare in Inghilterra. Ma ci sarà un limite all ' imbecillità?
Foto: Medici in corsia Ansa
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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GIUSTAMENTE
21/11/2014
Il Mattino - Ed. nazionale
Pag. 39
(diffusione:79573, tiratura:108314)
Volume.
OGGI, ORE 12
A Palazzo Serra di Cassano, in via Monte di Dio 14, si presenterà il IV volume della rivista Todomodo.
Seguirà lo scoprimento di una lapide in ricordo di Gennaro Serra di Cassano.
Presentazione.
OGGI, ORE 18
Nel salone del Circolo Posillipo Ernesto Mazzetti, Mauro Giancaspro, Mario De Rossi e Nino Giugno
parleranno con Antonio Talamo del libro «Uomini e Navi» (edito dalla Compagnia dei Trovatori). Coordinerà il
dibattito il giornalista e scrittore Piero Antonio Toma.
Salute.
DOMANI, DALLE 9
Epatologia nel terzo millennio: al centro congressi dell'Università Federico II la terza edizione del corso di
aggiornamento coordinato da Ernesto Claar (presidente è il dottor Antonio Sciambra), promosso
dall'ospedale evangelico Villa Betania. Oggi, intanto, stessa location per l'Officina Cardiologica presieduta da
Nicolino Esposito e coordinata da Alberto Forni.
Libro.
MERCOLEDÌ, ORE 19
Nuovo appuntamento con la poesia. Presentazione di «Afferra la vita» di Anna Maria Liberatore (Homo
Scrivens editore) da Eva Luna Libreria in piazza Bellini 72. Si parlerà di vita e d'amore con l'autrice ed i
relatori: Maria Ida Avallone, Chiara Tortorelli e Lucio Rufolo.
Pharmexpo.
OGGI, ORE 12
Si inaugura oggi alla mostra d'Oltremare la settima edizione di Pharmexpo, salone dedicato al mercato
farmaceutico e sanitario, organizzato dalla Progecta in collaborazione con la facoltà di farmacia di Napoli,
Federfarma, ordine dei farmacisti.
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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Taccuino
21/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 26
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Sanitari , riordino a 360°
BENEDETTA PACELLI
Mentre la Commissione salute del senato punta a istituire nuove professioni sanitarie (osteopati e
chiropratici), il ministero della salute crea una Cabina di regia tra tutti gli operatori del settore proprio sul
lavoro in ambito sanitario. Il tema della sanità dunque tiene banco tra governo e parlamento. Da una parte
con il disegno di legge voluto dal ministro della salute Beatrice Lorenzin (n. 1134) attualmente in discussione
in commissione sanità che nel riformare le 21 professioni sanitarie istituisce due nuove fi gure, quelle
dell'osteopata e del chiropratico ancora prima di averne defi niti le competenze e la formazione. E monta la
protesta del coordinamento (Conaps) delle professioni sanitarie che attendono una riforma da oltre 8 anni.
«Fa onore al legislatore» scrive Antonio Bortone presidente del Conaps in una lettera aperta inviata al
ministro della Salute Lorenzin, ai senatori membri e al presidente della XII Commissione Igiene e Sanità del
Senato, Emilia Grazia De Biasi (firmataria di questi emendamenti), «porsi il problema di garantire maggiore
sicurezza ai cittadini di fronte a discipline prive di regolamentazione, che comunque operano in campo
sanitario. Ma le regole poste a garanzia dei cittadini e del sistema delle professioni che la salute di questi
devono tutelare, non possono essere violate per assecondare interessi di fi gure non sanitarie e senza titoli
legali. Già oggi», spiega Bortone, «esistono professionisti sanitari che alcuni vorrebbero incluse nel capitolo
chiropratica. E lo fanno con la forza e la serietà della formazione universitaria di base, di quella avanzata
aperta solo a professionisti sanitari, con la disciplina del proprio Codice deontologico e la riconoscibilità del
proprio agire derivante dall'esame di Stato abilitante. Se quindi questo principio fosse approvato nella legge»,
aggiunge, «saremmo costretti a disconoscerlo. Per questo chiediamo che il riferimento alle ''nuove
professioni'' venga totalmente stralciato. Allo scopo, chiediamo con urgenza un confronto con il ministero e
una nuova audizione in XII Commissione».
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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CABINA DI REGIA
21/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 2
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Forum Retail a Milano il 25 e 26 novembre. Torna la mostra/convegno interamente dedicata a sistemi,
soluzioni e tecnologie per il punto vendita e la grande distribuzione organizzata. L'evento dell'Istituto
internazionale di ricerca - Iir è giunto alla 14esima edizione. Un'app per conoscere il mondo dei farmaci e
risparmiare. Si chiama Pharmawizard l'applicazione per smartphone che permette di cercare e confrontare
informazioni uffi ciali sui medicinalie trovare le farmacie. Pharmawizard mette a disposizione degli utenti
informazioni tratte dalla Banca dati del farmaco e dagli open data del ministero della salute. Cercando il nome
del farmaco si può sapere se si tratta di un prodotto di marca, equivalente o della stessa classe terapeutica,
se serve la prescrizione o se rientra nella categoria di automedicazione. Digitando un sintomo, si ottengono
indicazioni sui medicinali da banco per disturbi passeggeri e di lieve entità (raffreddore, tosse ecc.) e, in caso
di bisogno, su dove si trova la farmacia aperta più vicina. Inoltre l'applicazione mette a confronto il prezzo di
un farmaco di marca e quello del suo equivalente. Armando Testa fi rma la campagna internazionale Golden
Lady con Miley Cyrus. Nuova campagna di Golden Lady per il collant seamless, senza cuciture, realizzata
dall'agenzia Armando Testa. Il concept è stato chiamato Golden Lady Rock Your Legs. Protagonista è Miley
Cyrus, immortalata dal fotografo e regista americano Terry Richardson. La campagna prevede diversi
montaggi di fi lm in stile videoclip, ispirati ai live del Bangerz Tour di Cyrus. Il fi lm è stato girato in due giorni
di riprese, a Los Angeles, presso i Siren Studios di Sunset boulevard. Nella stessa location è stato ricreato il
setup per le campagne stampa e punto vendita. Lufthansa dota i suoi piloti dei Surface Pro 3 di Microsoft. La
compagnia aerea ha scelto il tablet Microsoft Surface Pro 3 per i suoi piloti. Per questo ha acquistato più di 5
mila dispositivi che andranno a sostituire i notebook basati su Windows. Il tablet consentirà all'equipaggio di
visualizzare e aggiornare tutte le informazioni rilevanti sui voli: programmi, autorizzazioni alla rotta e
informazioni meteorologiche, direttamente dalla cabina di pilotaggio dell'aereo in modalità remoto. I dispositivi
verranno utilizzati anche per ottimizzare le rotte di volo e ridurre le emissioni complessive.
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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BREVI
21/11/2014
Il Venerdi di Repubblica - N.1392 - 21 novembre 2014
Pag. 71
(diffusione:687955, tiratura:539384)
diagnosi e terapie: dal cancro si guarisce sempre di più
Simona Regina
Itumori sono la seconda causa di morte, dopo le malattie cardiocircolatorie. Oggi, però, la diagnosi precoce e
i continui sviluppi della terapia oncologica riescono sempre più spesso a mettere all'angolo le malattie
neoplastiche. È quello che emerge da uno studio finanziato da Airc e condotto dal Centro di riferimento
oncologico di Aviano in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e con l'Associazione italiana dei
registri tumori. «Per misurare la percentuale di persone guarite in Italia e quanti anni dopo la diagnosi un
paziente possa davvero ritenersi tale, abbiamo preso in considerazione oltre 800 mila persone cui è stato
diagnosticato un tumore tra il 1985 e il 2005. Abbiamo riscontrato che nel 2006 il 27 per cento di quei pazienti
aveva la stessa aspettativa di vita del resto della popolazione. In altre parole, era guarita» spiega Luigino Dal
Maso, epidemiologo del Cro e coordinatore dello studio. «Naturalmente tumori diversi hanno effetti diversi
sulle prospettive di vita». Considerando il tumore del colon-retto, che escludendo i carcinomi della cute è il più
frequente, «la guarigione viene raggiunta dopo circa 7-8 anni dalla diagnosi. E sono ormai guariti il 40 per
cento delle donne e il 30 per cento degli uomini diagnosticati prima del 2006». Dai risultati pubblicati sulla
rivista Annals of Oncology, emerge invece che occorre attendere mediamente venti anni dalla diagnosi
afnché una donna con tumore alla mammella possa ritenersi guarita. «Motivo per cui risultano guarite solo il
12 per cento delle donne del nostro campione. Stimiamo comunque che ormai oltre il 70 per cento delle
pazienti non morirà a causa della malattia». Anche per i tumori che colpiscono laringe, vescica, i linfomi non
Hodgkin e le leucemie la guarigione non si raggiunge entro i venti anni dalla diagnosi, mentre il tumore al
testicolo e alla tiroide possono essere considerati guariti in meno di cinque anni. «La sopravvivenza dei
pazienti oncologici a cinque anni dalla diagnosi, che è comunque uno dei principali indicatori e permette di
valutare l'efcacia del sistema sanitario e dei trattamenti terapeutici, negli ultimi anni è notevolmente
aumentata» spiega Dal Maso. «Un dato importante, considerato che la mortalità è maggiore in prossimità
della diagnosi. In altre parole, oggi i tumori sono sempre più curabili. E questo può anche avere un impatto
non trascurabile sulla pratica clinica e portare a una revisione delle linee guida per la gestione delle visite di
controllo». contrasto corbis getty alamy / ipa
Foto: Sotto, un trattamento di radioterapia oncologica. A destra, dall'alto in basso: cellule cancerose del seno,
cellule del linfoma non Hodgkin e cancro alla gola
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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SCIENZE
21/11/2014
Il Venerdi di Repubblica - N.1392 - 21 novembre 2014
Pag. 74
(diffusione:687955, tiratura:539384)
Il cervello si cura abbattendo le sue barriere
(an.si.)
La cortina pressoché impenetrabile che protegge il cervello (sotto) dall'attacco di sostanze tossiche e infezioni
potrà essere aperta a comando, in caso di necessità terapeutiche. Per la prima volta la barriera
ematoencefalica (Bee) - la saracinesca di sicurezza del cervello, formata da vasi sanguigni costituiti da un
tappeto continuo di cellule endoteliali - è stata infatti oltrepassata in pazienti umani da un team di ricercatori
parigini della start-up CarThera. Lo scopo era creare un varco temporaneo per lasciar passare i farmaci che
vengono bloccati dalla Bee, permeabile solo agli elementi nutritivi. Usando una metodica già sperimentata sui
topi, in cui si accoppia un microimpianto che emette ultrasuoni all'infusione di microbolle, i neuroscienziati
hanno «scompaginato» le cellule endoteliali per circa sei ore: le microbolle iniettate, per efetto degli
ultrasuoni, hanno vibrato, creando spazi tra le cellule. La metodica è stata sperimentata su un gruppo di
pazienti dell'Ospedale Pitié-Salpêtrière di Parigi afetti da tumore al cervello. In questi malati la Bee è
lievemente permeabile ai farmaci e, grazie al microimpianto, dovrebbe esserlo molto di più. E tra qualche
mese si potrà vedere l'efetto delle cure sui tumori. corbis
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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SCIENZE terapie
21/11/2014
Il Venerdi di Repubblica - N.1392 - 21 novembre 2014
Pag. 75
(diffusione:687955, tiratura:539384)
Nuove app per le diagnosi psichiatriche
(simone porrovecchio)
Secondo la rivista scientifca Medical Hypotheses non ci sono dubbi: la psicoinformatica - ovvero i nuovi
metodi terapeutici per la prevenzione e la cura dei disturbi mentali che nascono dalla sinergia di informatica,
psichiatria e psicologia - rappresenta il «più grande cambiamento metodologico dalla nascita della
psichiatria». Una delle fucine della psicoinformatica è l'Università di Bonn, dove team di psicologi, psichiatri e
informatici stanno mettendo a punto app per smartphone dotate di sensori di movimento, del suono o ottici, in
grado di monitorare le condizioni psichiche di chi le usa. Quanto tempo passa al chiuso, e all'aperto, il
paziente? Quanti contatti sociali ha? Che umore rivela il timbro della sua voce? Un algoritmo elabora i dati e
crea un proflo dell'individuo. «Non intendiamo sostituire i medici» dice Alexander Markowetz, uno degli
inventori dell'app tedesca. «Le nostre applicazioni raccolgono ed elaborano dati che il medico può monitorare
in tempo reale». Una seconda versione dell'app misurerà le variazioni del vocabolario nei messaggi di testo:
più ricco il lessico più alto l'umore. «La psicoinformatica migliorerà la diagnostica a disposizione della
medicina» dice la presidente della società tedesca di psichiatria Iris Hauth «ma di certo non deve far nascere
un mercato per la diagnostica fai da te».
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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SCIENZE informatica-mente
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
Pag. 24
(diffusione:369755, tiratura:500452)
colabrodo croce Rossa
C. O.
In teoria doveva essere un decreto rivoluzionario: la Croce Rossa Italiana trasformata da ente pubblico ad
associazione, con un risparmio per le casse dello Stato di 150 milioni di euro a partire dal 2016. nella pratica,
invece, il decreto di riordino della Cri frmato dall'ex ministro Renato Balduzzi sembra un rosario di dannazioni.
non solo nessun risparmio dal 2016 - il governo Letta lo aveva già prorogato all'anno successivo - ma il
rischio di scivolare in avanti fno al 2018. nel frattempo, 900 dipendenti dell'ex ente non saranno riassorbiti e
sulla Cri gravano i ricorsi per la stabilizzazione di 1.500 precari. Cui si aggiungeranno 15 ricorsi alla Corte
costituzionale, se il cammino della legge Balduzzi non sarà interrotto. un incubo a cui il ministero della Salute
pensa di rimediare con una proroga da inserire all'interno della legge di Stabilità. Chi sarà il relatore? «ancora
non si sa», è la risposta uffciale.
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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Riservato
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
Pag. 105
(diffusione:369755, tiratura:500452)
La violenza dei fragili
Chi soffre di schizofrenia e psicosi rischia più di altri di commettere atti gravi. Ma sono alcol, droghe e
mancanza di cure a indurre i comportamenti criminali
michele tansella
Un articolo di Seena Fazel, dell'Università di Oxford, uno dei maggiori esperti di disturbi mentali e violenza,
pubblicato sul primo numero della nuova rivista "Lancet Psychiatry", riporta i risultati di un grosso studio
condotto in Svezia. La ricerca ha coinvolto più di 24 mila pazienti con diagnosi di schizofrenia, confrontati in
un arco di 38 anni con 26 mila loro fratelli e sorelle sani e con circa 500 mila persone della popolazione
generale. Nei 5 anni successivi alla diagnosi il 14 per cento degli uomini e il 5 delle donne sono stati autori di
un grave atto violento, compreso il suicidio, con una frequenza 7,5 volte maggiore rispetto a quella attesa
nella popolazione generale. Sono stati identifcati tre fattori di rischio, già presenti prima della diagnosi: uso di
droghe, criminalità e autolesionismo. Gli stessi fattori di rischio erano presenti nei loro fratelli e sorelle sani e
nelle persone della popolazione generale che, in quel periodo, avevano commesso un grave atto violento. Gli
autori della ricerca concludono che sono necessarie strategie specifche (dirette ai pazienti, come aumentare
l'adesione ai trattamenti) e generali (dirette a tutti, come combattere l'uso di sostanze e l'abuso di alcool).
Qualche anno fa una revisione della letteratura fatta dallo stesso gruppo, pubblicata sulla rivista "Plos
Medicine", aveva riassunto i dati esistenti allora, alquanto eterogenei nei diversi studi. Essi documentavano
tutti un aumento del rischio di atti violenti nei pazienti con psicosi schizofrenica, oscillante tra 1 e 7 volte negli
uomini e tra 4 e 29 volte nelle donne, identifcando come principale fattore di rischio, sia nei pazienti, sia nelle
persone "violente" che non soffrivano di una patologia psichiatrica, l'uso di droghe. Tra le persone che ne
facevano uso il rischio era simile, che avessero o meno la diagnosi di psicosi. Un altro studio epidemiologico
ha riscontrato che il 13 per cento degli 8000 pazienti con schizofrenia considerati aveva commesso atti
violenti, contro il 5,3 della popolazione generale (80 mila persone), ma i malati che non facevano uso di
droghe avevano un rischio appena più alto di quello della popolazione generale. Coloro che le usavano
invece avevano un rischio elevato, ma poco più grande di quello dei fratelli sani, suggerendo che la relazione
tra schizofrenia e violenza fosse infuenzata da fattori genetici e ambientali che agirebbero nella prima
infanzia. Da ricordare, infne, una ricerca condotta in Nuova Zelanda nel 2004 dopo la chiusura dei manicomi,
che ha dimostrato che la percentuale degli omicidi commessi da pazienti psichiatrici era scesa dal 19,5 per
cento del totale degli omicidi nel 1970 al 5 nel 2000, escludendo l'ipotesi che la chiusura degli ospedali
avesse fatto aumentare il fenomeno. Gli atti di violenza e gli omicidi sono spesso riportati con grande
evidenza sulla stampa. I toni sono molto accesi quando si sa o si sospetta che le persone che hanno
commesso il fatto abbiano avuto o abbiano un disturbo mentale. E questo determina un aumento dello stigma
verso i pazienti, con conseguenze pesanti, come la discriminazione e l'ostacolo al loro reinserimento sociale.
La lotta allo stigma prevede, invece, che sui disturbi mentali vengano date informazioni corrette, ispirate a
risultati di ricerche scientifche rigorose, invece che a opinioni. Le credenze, nel settore dei rapporti tra disturbi
mentali, violenza e omicidio, sono caratterizzate da una acritica equazione disturbi mentali uguale violenza,
che non considera le diverse situazioni e il contesto. Bisogna pertanto tentare di fare chiarezza. La
schizofrenia e le altre psicosi sono di fatto associate ad un aumento del rischio di violenza da parte delle
persone con questi disturbi. I fattori principali che aumentano il rischio sono l'uso di sostanze, l'abuso di
alcool, la mancata aderenza ai trattamenti, una storia di comportamenti criminali precedenti la malattia. Il
contesto è importante e le misure da adottare sono una corretta valutazione, nei singoli casi, del rischio e il
miglioramento della qualità e della continuità delle cure. Centro Oms di Ricerca sulla salute mentale,
Università di Verona
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Scienze psichiatria
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
Pag. 36
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MINISTRI PER CASO
Guidi, Lanzetta, Galletti, Martina, Giannini. Deboli, invisibili, inadeguati. Nella squadra di Renzi sono in cinque
a essersi dimostrati inutili. Come confermano i sondaggi. Ecco chi sono
emiliano fittipalDi
C'è Gianluca Galletti, ministro dell'Ambiente tra i pochi ad aver visitato Genova perché, come spiegano da
Palazzo Chigi «nessuno conosce il suo viso, può dribblare contestazioni e pomodori». C'è la titolare degli
Affari regionali e del turismo Maria Carmela Lanzetta, ospite fssa ai convegni della sua Calabria che vanta
presenze al "Palio dei Ciucci" di Cuccaro Vetere e al premio "Caduceo d'oro 2014", organizzato dai farmacisti
di Bari. Ma tra i ministri "per caso", quelli in fondo ai sondaggi che monitorano la fducia degli italiani, c'è
anche Federica Guidi, piazzata allo Sviluppo economico e alle prese con i morsi della crisi industriale (le
acciaierie di Terni in primis) e i suoi confitti d'interessi: l'azienda di famiglia, la Ducati Energia, ha
delocalizzato all'estero le sue attività, operazione che spesso è tra le cause dei licenziamenti. «Non c'è
sindacalista che non rischi di rinfacciarglielo» chiosa un dirigente del Mise. «A mediare ai tavoli così ci va
sempre Claudio». Cioè il viceministro De Vincenti, vero capo ombra del dicastero. Passando dall'invisibile
Maurizio Martina, il bersaniano a capo dell'Agricoltura che sull'Expo si gioca faccia e carriera, fno a Stefania
Giannini - la titolare dell'Istruzione famosa per il pasticcio del concorso per entrare a Medicina - secondo
un'analisi di Datamedia sono dieci i ministri che raggiungono a stento la stima di un elettore su cinque.
Pesano, sul giudizio negativo, tre fattori: l'incapacità comunicativa, l'inadeguatezza e la volontà di Matteo
Renzi di presentare il governo con una sola faccia: la sua. Come annotano i politologi la leadership dell'ex
sindaco è stata fn dal principio autoritaria e monocratica. Il premier non si fda di nessuno, non delega e
governa da solo, con l'aiuto del suo cerchio magico: contornarsi di personalità deboli e ministri fantasma non
è un caso, ma una scelta politica. Che può portare forte consenso personale, ma anche svantaggi nell'azione
amministrativa. GUIDI "LA PORTAVOCE" Partiamo dalla Guidi. Ex presidente dei Giovani di Confndustria e
qualche anno fa in predicato di formare un ticket elettorale con Silvio Berlusconi, secondo Maurizio Landini «è
la donna sbagliata al posto sbagliato». Il suo ministero è il primo fronte della crisi industriale: da Aosta a
Caltanissetta le vertenze sono ormai oltre 150, con 28 mila lavoratori che rischiano il posto. Alle trattative,
però, la Guidi non ci va mai. Al suo posto c'è quasi sempre il viceministro De Vincenti, che ha ottenuto le
deleghe alle relazioni istituzionali con sindacati e imprese, insieme a quelle per l'energia, la competitività e i
rapporti con le Regioni. Il sottosegretario Antonello Giacomelli s'è preso quelle per le telecomunicazioni tanto
care a Berlusconi: fedelissimo di Renzi e buon amico di Denis Verdini, Giacomelli è stato per lustri direttore di
Canale 10. Ora i giochi sul canone Rai e i business su frequenze e tv passano sulla sua scrivania. «Alla Guidi
resta poco da fare, noi la chiamiamo "la portavoce dei suoi vice"» ironizza il dirigente del Mise. «Per ora ha
tagliato circa 350 milioni dal bilancio del ministero, tra cui anche incentivi alle imprese. Alle riunioni del Cipe
non apre mai bocca. Passa gran parte del tempo a rispondere ai question-time in Parlamento e ai convegni».
Non è una novità, per la Guidi: dall'Aspen alla potente Trilateral, non c'è lobby alla quale non s'è iscritta. Sulla
sua "invisibilità" pesano anche i confitti d'interessi dell'azienda di famiglia (la Ducati ha tra i committenti
aziende pubbliche come Poste, Terna, Enel e Fs) e la scelta di papà Guidalberto di delocalizzare all'estero
capannoni e operai: pur avendo ottenuto aiuti dallo Stato, in effetti, la Ducati ha riallocato gran parte della
produzione in Romania, Russia, India, Croazia e Sud America, con conseguente decimazione dei livelli
occupazionali a Bologna. Scelta che lei ha approvato. «O ci si sposta oltre confne o c'è il rischio di farsi
battere dalla concorrenza. In Romania produciamo condensatori a 4 euro l'ora, contro i 23 dell'Italia»
ragionava Federica su "EconomiaItaliana.it" pochi mesi prima di diventare ministro. «I giovani italiani non
amano trasferirsi: pensi che mi sono trovata davanti for di giovanotti sull'orlo del pianto di fronte alla
prospettiva di andare in India per un paio d'anni!». Per la cronaca il ministro dello Sviluppo economico, 278
mila euro guadagnati nel 2013, chiedeva ai suoi dipendenti di dislocarsi a Pune, nello Stato del Maharashtra,
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Primo Piano governo
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a 150 chilometri da Mumbai. LANZETTA CHI? Altro ministro fantasma è Maria Carmela Lanzetta, messa
(senza portafogli) al dipartimento degli Affari regionali, per tradizione ministero di "compensazione" per i
piccoli partiti o qualche politico da sistemare: in passato nel bel palazzo di via della Stamperia sono passati
pezzi da novanta come Graziano Del Rio, Piero Gnudi e Linda Lanzillotta. Simbolo dell'antimafa (quand'era
sindaco di Monasterace la sua farmacia fu bruciata) è fnita nel gabinetto solo per uno sgarbo che Renzi ha
voluto fare al rivale Pippo Civati, che scoprì la Lanzetta portandola in direzione nazionale del partito. «Matteo
l'ha nominata senza nemmeno avvisarlo. Gli serviva una donna, possibilmente del Sud, e che godesse di
buona stampa», spiega un renziano che ha aiutato il premier a formare la squadra di governo. Calabrese di
Mammola, paesino famoso per il suo stoccafsso, e madre di famiglia, la Lanzetta siede in consiglio tra la
Boschi e la Madia, ma è lontana anni luce dall'immagine glamour delle più celebri colleghe: senza un flo di
trucco, indossa solo camicette anni '70 e scarpe basse. Nella Capitale rimane il meno possibile. Preferisce
viaggiare verso Sud, direzione Calabria: nelle ultime settimane ha inaugurato il premio "Palio del Ciuccio" nel
Cilento, ha premiato gli studenti di Valleforita vicino Catanzaro, è stata a Cassano allo Jonio, Botricello,
Aprigliano, Bagaladi e Vibo Valentia, passando dalla direzione marittima di Reggio Calabria, da Gioiosa
Jonica e Rende, dove, recita il comunicato, «ha incontrato la minoranza linguistica albanese». Sui tagli
miliardari che Renzi ha chiesto alle Regioni, invece, dal suo dicastero nemmeno una parola: «Se saranno
garantiti i servizi sanitari? Si vedrà, non conosco i singoli bilanci», ha spiegato davanti ai giornalisti
esterrefatti. L'invisibilità non è solo colpa della Lanzetta: in uffcio non gli fanno toccare palla. In nove mesi la
ministra si è occupata quasi esclusivamente del vaglio normativo sulla legittimità delle leggi regionali, compito
che potrebbe essere svolto da un semplice dipendente degli uffci della Camera. È ancora Del Rio, pare, a
gestire nel tempo libero - i rapporti con le Regioni. E a mettere becco nel budget del dicastero. Secondo
l'ultimo bilancio di previsione di Palazzo Chigi quello degli Affari regionali, turismo e sport resta di tutto
rispetto: la Lanzetta nel 2014 e nel 2015 potrà contare su 95 milioni di cassa, di cui 33,9 di spese correnti (1,7
milioni per il funzionamento, 234 mila di rimborsi spese per missioni, altri 43 mila per il «rimborso diaria a
favore dei ministri e sottosegretari non parlamentari non residenti a Roma»). «È una bravissima donna, ma
un corpo estraneo. Qualche volta si dimenticano persino di convocarla alle riunioni di sua competenza»,
confermano dal Palazzo. Dove non possono però negare la sua modestia: «Se non dovessi sentirmi
all'altezza, sono pronta a rimettere il mandato al premier. Senza drammi» disse la Lanzetta due ore dopo la
sua nomina. GALLETTI SULLA MONNEZZA «Finalmente si è svegliato Galletti, il ministro invisibile!»,
dileggiava lo scorso aprile l'onorevole democrat Marco Miccoli, contestando l'immobilismo governativo sulla
questione dei rifuti di Roma. Oggi il coro di chi considera il commercialista preferito di Pier Ferdinando Casini
uno dei ministri più incorporei della compagine renziana si è allargato. Galletti, all'Ambiente, sulla carta
doveva avviare i piani rifuti, rilanciare le bonifche, istituire gli eco-reati, occuparsi del risanamento dell'Ilva, ma
fnora è fnito in prima pagina solo quando gli animalisti dell'Enpa gli hanno dato dell'«assassino», perché
responsabile dell'uccisione dell'orsa Daniza in Trentino, e perché ha nominato Antonio Agostini, indagato per
abuso d'uffcio, a capo dell'Isin, il nuovo ente per la sicurezza nucleare. Iscritto alla Dc negli anni '90,
assessore al Bilancio nella Bologna forzista di Guido Guazzaloca, di lui si sa che è un fero antipatizzante dei
Simpson (vieta ai quattro fgli di vedere il cartone, «violento quanto e più degli spettacoli di Beppe Grillo»), e
che nei consigli dei ministri mette bocca su tutto. Anche lui è fnito sulla sua poltrona per puro caso: all'Udc
Renzi aveva riservato la casella dell'Agricoltura. Il proflo del commercialista non è, in effetti, quello di un
"green" duro e puro: nuclearista convinto fno all'2010 (ora, interrogato, si schermisce e dice «sull'atomo non
dico come la penso»), favorevole alla privatizzazione dell'acqua, Galletti ha dato l'ok alle trivellazioni («se
sono sicure vanno fatte, non dobbiamo dare messaggi sbagliati agli investitori») e al gasdotto della Tap,
mentre ha abbandonato la Terra dei Fuochi al suo destino. Zero bonifche, zero investimenti, poche persino le
dichiarazioni di prassi. «La questione della Terra dei fuochi è quasi scomparsa dall'agenda nazionale»,
ragiona il presidente dell'Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, «prima che il percolato inquini la falda
acquifera è urgente darsi una mossa». Anche il risanamento dell'Ilva è un mezzo fop: qualche giorno fa la Ue
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
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ha mandato una lettera con cui ci avverte che la procedura d'infrazione contro l'Italia andrà avanti. Tradotto: il
governo non ha fatto abbastanza. Il fantasma Galletti è stato invece assai attivo tra le mura del suo ministero,
che ha infarcito di uomini vicini all'Udc. Per la precisione di "casiniani" doc: Galletti degli amici non si scorda
mai, e a Pier Ferdinando deve tutto. Così ha firmato contratti al portavoce dell'ex ministro Udc Gianpiero
D'Alia, Guido Carpani, al consigliere politico di Casini, Mauro Libè, alla segretaria Carolina Sciomer, all'ex
capouffcio stampa di Casini, Roberta De Marco e a Davide Russo, anche lui vicino a D'Alia. Senza
dimenticare Vittorio Sepe, fno a qualche anno fa presidente dei giovani Udc, e Marco Staderini: da sempre
gran boiardo amato da Casini, Galletti l'ha nominato presidente e ad della Sogesid (vedi "l'Espresso" n. 43),
carrozzone pubblico con 150 dipendenti e 35 milioni di consulenze di cui in molti predicano, inutilmente, la
chiusura. Staderini dovrebbe guadagnare poco sopra i 136 mila euro annui. LORD MARTINA Altro
desaparecido è Maurizio Martina, titolare dell'Agricoltura. Erede di Nunzia De Girolamo e gran maestro
dell'Expo 2015 di Milano, mostra una "scheda di attività" desolante: una sola legge presentata come primo
frmatario a metà agosto alla Camera, due audizioni in Commissione e la ratifca di un «accordo commerciale
europeo con Colombia e Perù». Poi, il vuoto. Eppure il suo è un ministero pesante, che gestisce 7 miliardi
l'anno della Pac: fnora i decreti attuativi dei nuovi indirizzi della politica comunitaria non sono ancora stati
scritti, mentre la riorganizzazione dell'Agea e del Sin - le società pubbliche del ministero fnite in due inchieste
della Procura di Roma - non è ancora partita. Nessun passo avanti nemmeno sul marchio unico del made in
Italy, che dovrebbe essere lanciato all'Expo, e sulla burocrazia che limita l'export nell'agroalimentare.
«Possiamo aumentare le esportazioni del 50 per cento nei prossimi cinque anni» disse Martina appena
nominato ministro. «Ma un prodotto oggi si ferma alla dogana 19 giorni in media. In Francia solo 9, in
Germania 7, in Usa 6». Ad oggi le statistiche non sono cambiate: nessuna norma contro le ineffcienze è stata
partorita, mentre la legge anti-cemento è da mesi su un binario morto. Prodotto tipico delle Frattocchie del
Pds, diventato ministro in quota Bersani ma ormai vicino alle posizioni di Renzi (anche sull'articolo 18),
Martina, tifoso dell'Atalanta che vanta nonni contadini, è sempre elegantissimo. E ha reagito ai tagli al suo
comparto come un lord: senza battere ciglio. La Commissione Bilancio ha cancellato il 31 ottobre i 30 milioni
previsti per i giovani agricoltori, oltre a 150 milioni per il supporto all'export. «Uno schiaffo alle promesse»,
chiosano Coldiretti e Confagricoltura. Che sperano che Maurizio possa rifarsi presto in commissione, e che
faccia miglior figura sull'Expo. Servirebbe un miracolo, però: tra ritardi monstre e inchieste giudiziarie, offerta
turistica carente e scarse risorse pubblicitarie, Martina rischia di pagare in caso di fop anche colpe non sue.
L'ultimo attacco gli è arrivato dall'attivista indiana Vandana Shiva, che ha pesantemente criticato le bozze dei
programmi dell'evento. «Finora non vedo iniziative su temi fondamentali come la giustizia e la sovranità
alimentare, l'agricoltura e la biodiversità: l'Expo rischia di trasformarsi in una fera della colonizzazione
fnanziaria, in una vetrina dello spreco». I DANNI DI STEFANIA Se la fducia per Martina tocca il 21 per cento,
nella classifca di popolarità di Datamedia l'ultima posizione è occupata dal ministro dell'Istruzione Stefania
Giannini. Solo il 17 per cento degli intervistati credono nel suo operato. Tra loro, almeno a rivedere il video
dell'incontro di metà luglio con i parlamentari del Pd, c'è anche Matteo Renzi. «Sulla madre di tutte le
battaglie, la scuola, non abbiamo ancora fatto tutto. Anzi, anzi... Ci siamo capiti...», ha detto senza
nascondere delusione. «Non è un caso» chiosano oggi dal partito «che la Giannini sia stata "commissariata"
con la nomina a sottosegretario di Davide Faraone, l'uomo del premier in Sicilia». Troppi gli errori che il
premier imputa al ministro: i pasticci sul concorso a medicina e le inchieste sulle abilitazioni universitarie (in
Diritto privato si contano oltre 200 ricorsi), gli scontri con la Madia sui prepensionamenti, le polemiche
sull'ipotesi di raddoppiare le ore di presenza a scuola dei docenti (da 18 a 36, poi saltata). La Giannini, che
alle europee ha preso da capolista solo tremila voti portando il partito all'uno per cento, fa spallucce e
continua ad annunciare urbi et orbi che con la Finanziaria il governo «investirà oltre un miliardo sulla scuola.
Una cosa mai vista prima». In realtà i denari serviranno soprattutto ad assumere in blocco 148.100 precari
che galleggiano da decenni nelle graduatorie, e arriveranno da risparmi sullo stesso ministero dell'Istruzione.
Una partita di giro, in pratica: dati alla mano il Miur dovrà tagliare 1,1 miliardi, grazie all'eliminazione dei
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
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membri esterni agli esami, alla «razionalizzazione delle spese di pulizia», allo stop agli scatti di anzianità
(nonostante i nostri prof siano sotto tutti gli standard europei), all'eliminazione delle supplenze di un giorno.
Senza dimenticare la sforbiciata di bidelli, impiegati e qualche decine di milioni di borse di studio. Glottologa,
ex rettore dell'Università per stranieri di Perugia tra il 2004 e il 2013 (la Corte dei Conti sta indagando su un
danno erariale da 525 mila euro in merito ai corsi della "Scuola internazionale di cucina italiana" voluti proprio
dalla Giannini), la ministra deve la sua carriera a Mario Monti e Corrado Passera, che le offrirono un seggio al
Senato. Un altro salto di carriera per la fglia di un gelataio di Ponte a Moiano, vicino Lucca, rettore a 44 anni,
che quattro anni fa Berlusconi aveva già inutilmente corteggiato per una candidatura alle regionali. Ora la
Giannini, dopo essere pure fnita nella bufera per aver speso nel 2011 16 mila euro per trasportare Roberto
Benigni a Bruxelles con un jet Falcon da 10 posti per una lettura della Divina Commedia (i soldi erano
dell'ateneo perugino), si gioca tutti i crediti rimasti sulla riforma della scuola. L'ennesima. Stavolta il progetto
prevede, oltre alla sanatoria dei precari («rischiamo di assumere le persone sbagliate», hanno protestato gli
economisti de "lavoce.info"), l'autonomia dei singoli istituti e l'abolizione degli scatti di anzianità, sostituiti da
aumenti legati al merito individuale dei docenti. «È necessario però chiarire quali sono le conseguenze di una
valutazione negativa o positiva, e come faranno i presidi a selezionare la squadra dei docenti. La proposta di
riforma accenna a questi temi, ma rimane molto vaga», ragiona il professore di economia Michele Pellizzari.
Insomma, si vedrà. Anche perché, in caso di rimpasto di governo, la Giannini rischia di essere la prima a
saltare. Se ne è accorta anche lei, al ritorno dalle ferie estive, quando durante il primo consiglio dei ministri
s'è dovuta difendere dai frizzi e dai lazzi dei colleghi, che per mezz'ora hanno discusso - invece che di edilizia
scolastica - del topless sfoggiato da Stefania sulla spiaggia di Marina di Massa. «Sei stata coraggiosa, hai
stabilito un record» ha sottolineato Renzi. A ragione: i giornali di gossip hanno già sancito che la Giannini è
nella storia, come primo ministro immortalato nudo nella storia della Repubblica». Foto: pag 37: Shutterstock
(2). Pag 38-39: FotoA3(2), Christian Mantuano Foto: Imagoeconomica, FotoA3
Federica Guidi Ministro dello Sviluppo economico in quota Confindustria: secondo un sondaggio di
Datamedia di ottobre, il suo gradimento è sceso a 17 punti.
Stefania Giannini Ministro dell'Istruzione, è entrata al Senato con Scelta Civica. Anche lei in fondo alla
classifica del gradimento con il 17 per cento di consensi.
Gianluca Galletti Ministro dell'Ambiente, è stato indicato dall'Udc. Fedelissimo di Pier Ferdinando Casini, il
sondaggio lo dà in discesa: la fiducia per lui è al 21 per cento.
ALLO SvILUppO EcONOMIcO TUTTI I "dOSSIEr" cALdI SONO IN MANO AL NUMErO dUE, cLAUdIO
dE vINcENTI
Maria C. Lanzetta Ministro degli Affari regionali, è una farmacista vicino a Civati. Sconosciuta agli elettori,
per Datamedia è scesa di un punto, passando dal 18 al 17 per cento.
Decide sempre Matteo
C'è un articolo del decreto "Sblocca Italia" che spiega bene come Matteo Renzi accentri a Palazzo Chigi ogni
decisione di rilievo, annichilendo le velleità dei ministri e degli altri centri di governo. È l'articolo 29, quello
dedicato alla «Pianificazione strategica della portualità e della logistica», norma che dovrebbe rilanciare la
competitività dei nostri porti grazie a nuovi investimenti. Se il primo comma annuncia che «su proposta del
ministero delle Infrastrutture» viene adottato «entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge il piano
strategico nazionale della portualità e della logistica», il secondo comma, due righe dopo, chiarisce chi
comanda davvero, e chi deciderà dove investire soldi. «Allo scopo di accelerare la realizzazione dei progetti,
entro 30 giorni dalla data in vigore della legge, le Autorità portuali presentano alla presidenza del Consiglio
dei ministri un resoconto degli interventi» in corso o da intraprendere: saranno gli uomini di Renzi, dunque, a
selezionare e premiare gli interventi «ritenuti più urgenti». Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi potrà
solo fare da suggeritore. Alla fine, decide Matteo. E.Fitt.
DovESSE ESSErcI uN rImpASTo lA TITolArE DEll'ISTruzIoNE rISchIA DI ESSErE lA prImA A SAlTArE
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
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Maurizio Martina Ministro dell'Agricoltura, si gioca tutto sul successo dell'Expo. Fiducia degli italiani in calo
anche per lui: se Renzi è al 52 per cento, Martina è sceso al 21.
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
Pag. 112
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Il doppio volto di lady Fisco
Meno controlli ma più dati digitali. E capillari. È la ricetta della nuova zarina dell'Agenzia delle Entrate,
Rossella Orlandi. Obiettivo: stanare gli evasori. I rischi, però, sono alti
stefano livadiotti
Convincere gli italiani a pagare spontaneamente nove miliardi di tasse in più entro il 2017. E intanto
continuare a recuperare ogni anno una dozzina abbondante di miliardi dal mare magnum dell'evasione
nazionale, pari a un quinto di quella dell'intera Europa. È l'impegno che, nelle scorse settimane, Rossella
Orlandi, da giugno prima donna alla guida dell'Agenzia delle Entrate, ha preso con il premier. Alla fne della
riunione Matteo Renzi ha dato il via libera al piano. A modo suo: «Se ce la si fa si va ignudi ai Calzaiuoli», ha
detto riferendosi alla strada dello shopping forentino per eccellenza. La Orlandi conosce l'amministrazione
fnanziaria anche meglio delle sue tasche. C'è entrata, a ventiquattro anni, nel 1981. E non ne è più uscita.
Dallo sportello (ha fatto anche quello, nella natìa Empoli) è arrivata fno alla casella di numero due
dell'accertamento, cioè dei controlli, quando ministro delle Finanze era Vincenzo Visco - "Dracula", per i
nemici - e al vertice dell'Agenzia sedeva Massimo Romano, di cui lei ha grande stima. Neanche i nemici
giurati arrivano a contestare la competenza della Orlandi. Che, a dispetto dell'aria paciosa, tutti descrivono
come una tosta. Lo testimonia, se ce ne fosse bisogno, la velocità con cui ha sgombrato il campo
(approdando in Finmeccanica) colui che con il sostegno del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, le ha
conteso fno all'ultimo la poltrona: il numero due dell'Agenzia nell'era di Attilio Befera, Marco Di Capua,
esponente di spicco del "clan dei ferrovieri", come nell'ambiente viene chiamata la pattuglia di fnanzieri che
l'ex generale della Fiamme Gialle e poi direttore del Sismi, Niccolò Pollari, spedì negli anni Novanta alla corte
dell'allora ras delle ferrovie, Lorenzo Necci. Quella della Orlandi ha tutte le caratteristiche della mission
impossible. Lady Fisco, soprannome che detesta, deve far emergere gettito e in fretta, perché Renzi ha
bisogno di quattrini per onorare le tante promesse fatte e quelle che inevitabilmente seguiranno. Per centrare
l'obiettivo potrebbe facilmente incidere sul bubbone dell'evasione fscale, che il governo ha recentemente
stimato in 91 miliardi per i soli tributi erariali, ma che il britannico Richard Murphy, inserito da "International
Tax Review" nell'elenco dei 50 studiosi più infuenti al mondo in materia di fsco, valuta esattamente nel doppio
(180,2 miliardi). Il che vorrebbe dire mettere con le spalle al muro il mondo degli autonomi, che secondo uno
studio della Banca d'Italia ha un tasso di evasione pari al 56 per cento. Ma Renzi non ne vuol sapere. Da
quando siede a Palazzo Chigi, ogni volta che qualcuno parla di evasione lui si volta dall'altra parte. E per
forza: è stata proprio la capacità (che i sondaggi ora segnalano in calo) del suo Pd di attrarre per la prima
volta il consenso di commercianti, artigiani, professionisti e imprenditori, quell'insieme che i politologi
chiamano piccola borghesia urbana e che elettoralmente vale qualcosa come 10-12 milioni di voti, a
regalargli la straordinaria performance delle elezioni europee e consentirgli di consolidare la presa sul
governo (vedere l'articolo a pagina 115). E la Orlandi, che al momento della nomina Renzi lo aveva visto solo
in fotografa e che ora ha fatto capolino alla Leopolda insieme al capo dell'Anticorruzione, Raffaele Cantone, è
un grand commis dello Stato: non va dove la porta il cuore, ma dove le chiede il governo. Così, si è
incamminata su un sentiero che è molto stretto, ma l'unico in grado, almeno teoricamente, di portarla a
raggiungere l'obiettivo di gettito senza entrare in rotta di collisione con le esigenze politiche del capo
dell'esecutivo. Il discorso è semplice: convincere gli italiani a pagare le tasse può costare elettoralmente
meno che costringerli a farlo. Quindi, è la parola d'ordine, ridurre subito al minimo i controlli più invasivi,
eliminare del tutto i blitz spettacolari tipo Cortina d'Ampezzo e Porto Cervo, lasciar fnire su un binario morto
progetti come quello del nuovo redditometro. E far invece capire ai contribuenti che il fsco sa tutto di loro (il
che è assolutamente vero) e che dunque è molto meglio presentare dichiarazioni dei redditi almeno vicine
alla realtà. È un modo più amichevole di mettere comunque le mani nelle tasche dei furbetti del fsco. Un
disegno preciso, supportato da un ragionamento che, nella sua stanza all'ottavo piano del palazzone
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Economia tasse
21/11/2014
L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
Pag. 112
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dell'Agenzia, la Orlandi ripete spesso nelle riunioni con i fedelissimi: il governo Prodi, dice, aveva fatto della
lotta all'evasione una delle sue priorità, e qualcosa era pure riuscito a portare a casa. Proprio per questo,
aggiunge, alla fne gli italiani l'hanno fatto cadere, spianando la strada al ritorno di Silvio Berlusconi e Giulio
Tremonti. Bisogna fare tesoro di questa esperienza, è la conclusione, evitando di ricadere nello stesso errore.
Così parla la Orlandi. E sotto sembra di sentire chiara la voce di Renzi. Appena insediata, la Orlandi, che
mangia regolarmente in mensa e nei primi giorni ha girato in taxi (poi ha requisito senza troppi complimenti
una delle due auto blu a disposizione dei vice), ha piazzato un pacchetto di persone di fducia. Aldo Polito e
Emiliana Bandettini all'accertamento, Corrado Giuseppe Telesca all'amministrazione, Vincenzo Busa alla
presidenza di Equitalia, il braccio armato del fsco per la riscossione, dove ha stoppato una star dei
tremontiani come Luigi Magistro. Poi ha buttato giù il suo piano. Come intenda muoversi, in un Paese dove
nel 2012 i contribuenti persone fsiche hanno dichiarato 800 miliardi (lordi) ma poi i consumi finali delle
famiglie sono risultati pari a 962 miliardi, si capisce fn dalle prime righe della circolare interna che fssa gli
indirizzi operativi per il 2014. «La condivisione, da parte dei cittadini, della strategia fscale è l'unica strada
percorribile per un recupero stabile dell'evasione», è la premessa. La Orlandi chiede agli 11 mila segugi
dell'Agenzia addetti ai controlli di concentrarsi sulle grandi frodi, quelle che possono rendere di più in termini
di gettito (senza intaccare il consenso del governo) e di partire dalle dichiarazioni recenti. In 28 pagine
ridimensiona uno dopo l'altro strumenti come le indagini fnanziarie, gli studi di settore e il redditometro.
Sostiene la Orlandi che è inutile, oltreché impossibile, correre appresso a 6 milioni di imprese e lavoratori
autonomi. Molto meglio tentare una sorta di moral suasion. Usando la tecnologia per raccogliere informazioni
sul contribuente e poi, alla vigilia della scadenza per la dichiarazione dei redditi, mettergli a disposizione il
quadro completo dei dati messi insieme dal fsco, sconsigliandolo così dal tentar di barare in modo troppo
smaccato. Un meccanismo previsto dall'articolo 44 della legge di stabilità 2015. E la cui effcacia è
subordinata all'introduzione dei pagamenti tracciati e della fatturazione elettronica, che sono contenuti nella
delega fscale e dovrebbero soppiantare scontrini e ricevute. Nella stessa direzione va l'arrivo della
dichiarazione dei redditi precompilata, che però, almeno per ora, è limitata (dal 2015) a dipendenti e
pensionati, che già oggi contribuiscono per l'83,5 per cento del gettito Irpef e dunque non avrà un vero
impatto sull'evasione fscale. Il modello-Orlandi potrebbe funzionare, se il contribuente avesse la percezione di
avere a che fare con una macchina fscale effciente (in questo caso, secondo uno studio della
Confcommercio, il gettito salirebbe spontaneamente, in un sol colpo, di 56 miliardi). Non è così. Tutt'altro. In
un Paese dove si possono vincere le elezioni per 24 mila voti (Prodi 2006) il consenso dei lavoratori autonomi
è storicamente l'oggetto del desiderio per ogni premier. Il fsco è stato dunque progettato, e modifcato negli
anni, proprio per lasciare loro la libertà di evadere senza patemi d'animo. Su 6 milioni di potenziali evasori i
controlli si fermano a quota 661 mila (2013) e risultano pure in calo rispetto ai 705 mila del 2010 (in
diminuzione anche la maggior imposta accertata, dai 27,8 miliardi del 2012 ai 24 dello scorso anno). Ma,
secondo la Corte dei Conti, quelli davvero approfonditi non vanno oltre 230-250 mila (le indagini fnanziarie
sono 14 mila, su 650 milioni di rapporti bancari che fanno capo a decine di milioni di soggetti). Anche quando
centrano il bersaglio (cioè nel 94,2 per cento dei casi, secondo il rapporto 2013 del ministero dell'Economia
sull'evasione), consentendo di smascherare i furbetti, portano a poco: viene racimolato in questo modo solo
un cinquantesimo del gettito totale. E chi è colto in castagna ha comunque buone possibilità di cavarsela: nel
2013 quelli che hanno presentato ricorso alla giustizia tributaria sono risultati vincitori nel 45 per cento dei
casi. Quando anche ottiene ragione, poi, lo Stato deve recuperare i quattrini e sono dolori, anche perché gli
ultimi governi hanno pensato bene di tagliare le unghie a Equitalia, che oggi a differenza di una banca
creditrice non può più, per esempio, pignorare un immobile se è l'unico di proprietà del contribuente che ci
risiede anagrafcamente. Risultato: Equitalia nel 2013 è riuscita a recuperare solo 13,1 miliardi. Già così
sarebbe una goccia nell'oceano. Ma non è neanche vero, perché almeno cinque di quei miliardi vengono in
realtà da contribuenti che avevano regolarmente presentato la dichiarazione, salvo poi non pagare quanto
dovuto entro la scadenza, e dunque il fsco non ha scoperto un fco secco. Così, tra il 2000 e il 2012
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L'Espresso - N.47 - 27 novembre 2014
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l'amministrazione ha accumulato 807,7 miliardi da recuperare. Una cifra-monstre, pari alla metà del prodotto
interno lordo, che andrà quasi interamente in fumo: in tredici anni l'Agenzia è riuscita a mettere le mani su
appena 69 miliardi, l'8,5 per cento del totale. L'effcienza, insomma, è quella che è. Né a incutere qualche
timore può essere il sistema delle sanzioni. Quelle amministrative sono troppo buoniste, oltreché mal tarate:
in caso di defnizione bonaria, colpiscono allo stesso modo chi inserisce nella dichiarazione fatture relative a
operazioni inesistenti e chi semplicemente sbaglia nell'applicare regole fscali. Quelle penali, di fatto, esistono
solo sulla carta: secondo l'Institut de criminologie et de droit pénal in Italia i detenuti per reati economici e
fscali sono lo 0,4 per cento del totale, meno di un decimo della media europea. C'è dunque poco da
sorprendersi se le omesse dichiarazioni, il reato degli evasori totali, i veri e propri fantasmi del fsco, sono
cresciute negli ultimi due anni di quasi il 40 per cento. Ma ci sono due dati che più di tutti dimostrano come
l'amministrazione fnanziaria sia considerata poco temibile dai contribuenti. Il primo riguarda i controlli eseguiti:
nel 37,2 per cento dei casi il furbetto smascherato non accetta di pagare il dovuto, né presenta ricorso
davanti alla commissione tributaria. Semplicemente, straccia le carte e le getta nel cestino. Il secondo spiega
come si comportano quelli già scoperti al momento di compilare le dichiarazioni dei redditi degli anni
successivi. Ebbene, nel primo biennio la loro base imponibile fa registrare un incremento del 20 per cento in
caso di accertamento e del 14 per cento in caso di verifca, l'indagine che comporta un accesso fsico degli
ispettori. Poi, passata la paura, tornano a evadere. Come e magari più di prima. Ben sapendo che un
controllo, in media, arriva soltanto ogni trent'anni circa. E che quindi loro hanno già dato. Ecco perché, al di là
delle intenzioni, la moral suasion della Orlandi rischia di tradursi in un fop. Foto: FotoA3(2), Foto:
C.Anzenberger-Fink-Anzenberger/Contrasto
Poveri gioiellieri
Recupero evasione fscale (dati in miliardi di euro) 4,4 Redditi dichiarati dai lavoratori autonomi nel 2012 in
euro 6,4 6,9 Abbigliamento e scarpe Istituti di bellezza Tintorie e lavanderie Autosaloni Parrucchieri Servizi di
ristorazione Taxi Macellerie Gioiellerie Bar e gelaterie 8,1 6.500 7.200 9.100 10.000 13.200 15.400 15.600
16.300 17.300 17.500 Alberghi e affttacamere Fonte: Agenzia delle Entrate 10,5 Imbianchini e muratori 12,7
12,4 23.600 18.310 13,1 Architetti Avvocati Studi medici Farmacie 29.100 58.700 69.500 2006 '07 '08 '09 '10
'11 '12 '13 13* '14 (*) Previsioni Fonte: Dipartimento delle Finanze/Ministero dell'Economia 103.40 0
Nullatenenti in jet
Proprietari di aeromobili per fasce di reddito Numero di soggetti Zero redditi 386 da 1 a 10.000 euro 189 da
10.001 a 50.000 euro 517 da 50.001 a 100.000 euro 317 da 100.001 a 500.000 euro 266 da 500.001 a
1.000.000 euro 33 da 1.000.001 a 10.000.000 euro 43 oltre 10.000.000 euro 25 Fonte: Dipartimento delle
Finanze,GHQWLNLW GHL IXUEHWWL
Tassi medi di evasione e, in nero, le differenze tra il reddito dichiarato in un' indagine anonima e quello
dichiarato al fsco < 44 anni 19,9 3.065 Autonomi e imprenditori € 44-64 € 10,6 1.945 > 64 anni 2,7 € 314
Uomini 17,3 1.945 Donne € %9,9 3.278 1.178 Rentiers (1) € Dipendenti e pensionati con secondo reddito
Nord Centro Sud 56,3 %83,7 %44,6 %14,8 € %17,4 7,9 3.278 € 314 € 2.532 2.936 € € 950 (1) contribuenti
che possiedono solo redditi da fabbricati non adibiti ad abitazione principale presieduto da Enrico Giovannini,
mettendo a confronto i redditi dichiarati dai contribuenti in €
Foto: la reception dell'agenzia delle entrate a roma. a sinistra: rossella orlandi
Foto: porto Cervo, in sArdegnA, è uno dei luoghi simbolo dei Controlli Anti-evAsione A tAppeto
Foto: renzi di chi evade non parla mai. per paura che alle urne i lavoratori autonomi lo abbandonino
Foto: lA sede del ministero dell'eConomiA A romA il problEma è la poca crEdibilità dEgli accErtamEnti: chi
viEnE bEccato dopo 2 anni torna a farE comE prima
21/11/2014
La Notizia Giornale
Pag. 11
Calabria da Gattopardo Dopo l'era Scopelliti è il turno di Oliverio
Il candidato Dem è in politica dal 1980 È stato deputato per quattro legislature e Presidente di Provincia per
due Il centrodestra andrà al voto spaccato Forza Italia rinnega Ncd e Udc e corre da sola
CARMINE GAZZANNI
Sanità devastata; oltre un miliardo di fondi europei che, se non dovessero essere spesi entro dicembre,
torneranno a Bruxelles; la piaga della 'ndrangheta onnipresente in una regione martoriata dalle criminalità.
Senza dimenticare i tanti illeciti compiuti da una giunta che, sebbene avesse dovuto limitarsi all'ordinario visto
il regime di prorogatio dopo la condanna di Giuseppe Scopelliti , ha invece provveduto a nominare una marea
di dirigenti, specie nella sanità. I calabresi si recheranno al voto con uno scenario profondamente
drammatico. E con un desiderio profondo di cambiamento dopo tante stagioni vissute tra inchieste giudiziarie,
connivenze e scandali. IL LUPO Il risultato dovrebbe però essere scontato. Tutti i sondaggi infatti danno per
vincente il candidato del centrosinistra Mario Oliverio , u lupu , come lo chiamano a San Giovanni in Fiore,
suo paese d'origine. E, in effet ti, di lupo si tratta: a lui è legato tutto l'establishment del centrosinistra che, dal
Pci in poi, ha vissuto le varie stagioni fino all'ultima del Pd. Tanto che alle primarie anche lo sfidante renziano
Gianluca Callipo si è dovuto arrendere alla rete di contatti e legami di Oliverio. Un lupo, dicevamo. Un vecchio
lupo anzi, dato che è in politica ormai da 34 anni: prima consigliere regionale, poi assessore regionale,
deputato per ben 4 legislature e, infine, Presidente di Provincia a Cosenza. E, ora, pronto a indossare la
veste di Governatore. L'unica coppa che manca nel suo palmares. SENZA RIVALI Certamente non
dovrebbero impensierirlo gli sfidanti di centrodestra. Non fosse altro che, a dispetto della giunta uscente dove
Forza Italia, Ncd e Udc gestivano la cosa pubblica insieme, le varie anime andranno divise. Forza Italia da
una parte, con Wanda Ferro candidata presidente; e Udc e Ncd insieme in un'unica lista con il senatore
Nicola D'Ascola dall'altra. Una divisione che certamente farà il gioco di Oliverio. I sondaggi, infatti, parlano di
una Ferro tra il 15-20% e di un D'Ascola che a stento supererebbe la soglia dell'8% prevista dalla legge
regionale. Il candidato del Movimento 5 Stelle Cono Cantelmi , invece, dovrebbe attestarsi intorno al 15%.
Non dovrebbe farcela Domenico Gattuso , candidato de L'Altra Calabria. LA SOLITA STORIA Insomma,
Oliverio non dovrebbe avere rivali. La sua vittoria, a meno che non ci siano colpi di scena, non è in
discussione. Il futuro della Calabria, invece, quello sì. Nelle liste a sostegno di Oliverio, infatti, spunta un
esercito di riciclati. Da Elio Belcastro (ex sottosegretario con l'ultimo governo Berlusconi) a Rocco Sciarrone
(candidato con Oliverio ma attuale consigliere provinciale col centrodestra) fino a Flora Sculco (figlia di Enzo,
ex consigliere regionale Margherita, prima di emigrare da Scopelliti). Senza parlare degli indagati (vedi box
sopra). Insomma, se questo è il cambiamento, aveva ragione Tomasi di Lampedusa. Mario Oliverio
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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Il favorito Separati in casa
21/11/2014
Internazionale - N.1078 - 21 novembre 2014
Pag. 54
(tiratura:130000)
Quartiere senza legge
Il barrio del Príncipe, a Ceuta, è la zona più povera di tutta la Spagna. Una terra di nessuno in mano ai
traficanti di hashish. E al centro di una delle rotte più usate dai migranti per entrare in Europa
Jesús Rodríguez, El País, Spagna Foto di Bernardo Pérez
Ci sono due quartieri Príncipe Alfonso a Ceuta: quello della paura e quello della miseria. La zona è da
vent'anni il posto più pericoloso di tutta la Spagna, un sottobosco in cui governano le mafie dell'hashish, i
regolamenti di conti sono all'ordine del giorno e l'estremismo jihadista attecchisce tra i giovani senza lavoro.
La paura è nell'aria. Il Príncipe è un quartiere sfuggito di mano allo stato, una pentola a pressione pronta a
scoppiare. "Qui non arriva la sovranità nazionale e non esiste lo stato di diritto", dice un poliziotto. "È la
Spagna ma non è la Spagna, perché la legge non è rispettata". Al Príncipe Alfonso non c'è spazio per la
polizia (che pattuglia solo di rado il labirinto di strade del quartiere, non ha un commissariato in zona e
interviene solo con le unità speciali) e per i servizi pubblici (le ambulanze e i pompieri non si presentano mai
senza protezione) né, ovviamente, per gli estranei, che rischiano di essere presi a sassate se solo provano
ad afacciarsi nel quartiere dai suoi due punti d'ingresso: il ponte del Quemadero, che porta alla caserma della
Legión española, e calle San Daniel, che collega l'area alla frontiera del Tarajal. Ogni giorno il confine è
attraversato da migliaia di persone che per venti euro trasportano in Marocco le merci provenienti da un polo
industriale in cui non si fabbrica niente. In alcuni casi gli uomini e le donne che fanno la spola dormono e si
nascondono qui, al Príncipe, diventato anche il primo rifugio per i migranti che riescono a passare il confine.
Un quartiere di frontiera in una città di frontiera in un'area di importanza strategica. Morte ai chotas Nel
quartiere regna il silenzio. Stando alle voci che circolano, è pieno d'informatori. Anche questo è un modo per
guadagnarsi da vivere, come l'hashish, che un uficiale della guardia civil definisce "l'unica vera industria del
nord del Marocco, quella che genera più lavoro e soldi e che finanzia il jihadismo". Dall'inizio del 2014 lo
spaccio della droga e le attività collegate hanno causato quattro morti, tutti uccisi in regolamenti di conti.
Nessuno sembra sapere il motivo, neanche le loro famiglie. Fátima è la madre di Mohamed Ennakra, 35 anni,
l'ultimo che è stato ucciso. Una mattina di agosto gli hanno sparato tre volte e mentre cercava di scappare gli
hanno dato il colpo di grazia. "Mohamed non aveva precedenti e non traficava con i soldi. Si guadagnava
qualche euro facendo consegne in motorino. Non era di certo un traficante, era povero in canna", dice Fátima
davanti al portone della sua casa in calle de la Agrupación norte. Capire dove comincia e dove finisce la
strada è impossibile: il quartiere è strutturato in un groviglio di viuzze claustrofobiche larghe non più di un
metro. Gli otto figli di Fátima sono nati tutti al Príncipe. "Se il governo avesse fatto ordine per tempo oggi non
staremmo qui a piangere. I delinquenti sono rimasti e i giovani migliori se ne sono andati. Quando mio figlio è
stato ucciso nessun poliziotto è venuto a farci visita, vengono solo per usare il manganello. Come possiamo
fidarci?". Sua figlia Saba prova a darci qualche indizio in più sulla morte di Mohamed: "Qui per morire basta
conoscere qualcuno che ha un debito di droga. Anni fa gli uomini risolvevano certe cose con una scazzottata,
oggi i ragazzini lo fanno con un colpo di pistola alla nuca. Questa volta è toccato a mio fratello". Al Príncipe
nessuno parla, e chi lo fa vuole restare anonimo. Su un muro qualcuno ha scritto "morte ai chotas ". Nel
gergo della malavita i chotas sono gli informatori della polizia. È un avvertimento. Nel quartiere vige una sorta
di codice d'onore: i panni sporchi si lavano in famiglia. Sembra che tutti sappiano qualcosa e che molti
sappiano tutto. Chi parla, però, è evasivo e si guarda intorno con circospezione. "Ci conosciamo bene, è
come un piccolo paese, sappiamo tutto di tutti". Chi si confida con un estraneo è subito marchiato: dalle mafie
e anche dai servizi d'informazione (polizia, guardia civil , Centro nacional de inteligencia, esercito e polizia
municipale). In questo territorio, del resto, è impossibile usare infiltrati e ancor meno seguire una persona
sospetta senza essere scoperti. Gli unici indizi arrivano dagli informatori e dal controllo delle email e dei
social network. "Grazie alla collaborazione internazionale, soprattutto a quella del Marocco, oggi è più facile
indagare sui jihadisti che sulla criminalità organizzata legata alla droga. Rabat ha sempre ignorato i problemi
SANITÀ NAZIONALE - Rassegna Stampa 21/11/2014
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21/11/2014
Internazionale - N.1078 - 21 novembre 2014
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legati all'hashish", spiega un uficiale della guardia civil . "Nel caso dell'integralismo, invece, i servizi
marocchini reagiscono e collaborano con grande tempestività. In Marocco ci sono due cose che la polizia non
perdona: gli attacchi al re e il jihadismo". In giro ci sono segnali stradali crivellati dai colpi degli aspiranti boss:
un altro avvertimento. I campi aridi e sporchi che circondano il Príncipe sono disseminati di bossoli usati.
Qualcuno ci racconta che pochi giorni prima un capobanda (in tutto ce ne saranno tre o quattro) si aggirava
per il quartiere con un'Hk, una sofisticata arma di fabbricazione tedesca, con un codazzo di ragazzi che lo
acclamavano come fosse Cristiano Ronaldo: "Il supereroe dei ragazzi qui non è Batman, ma il mafioso di
turno che ha la macchina più costosa e la casa più grande. Le armi non mancano, siamo in una città di
militari. È più facile far entrare una Parabellum a Ceuta che spedire un chilo di hashish in Spagna. Quando
arrivi nessuno ti perquisisce". L'ultimo avvocato Cadaveri crivellati. Spari nella notte. Coltellate. Uomini
gambizzati. Uno spazzino con il volto sfigurato da un taglierino perché faceva rumore. Un minorenne che
risponde allo schiafo di un adulto sparandogli. Sono le notizie che ci accolgono al Princípe quando arriviamo
a bordo dell'autobus della linea 8, l'unico che si arrampica fin quassù dal centro di Ceuta. L'ultima corsa è alle
dieci di sera. Per mesi l'autobus è stato scortato dalla polizia, ma quel periodo ormai è finito. Quando arriva la
sera il Príncipe è isolato. Non ci arrivano i taxi e nemmeno i pony che consegnano la pizza. Non c'è una
farmacia di guardia o un internet café. È un mondo a parte. Nel resto di Ceuta, soprattutto nelle zone più
ricche, si sente ripetere una frase: "Che si uccidano tra loro". Secondo il presidente dell'associazione di
quartiere Kamal Mohamed in queste parole è racchiusa la ragione dei problemi del quartiere: "Viviamo in una
situazione di apartheid. Siamo cittadini di serie b perché siamo musulmani e viviamo qui. Paghiamo le tasse
ma non abbiamo gli stessi diritti o gli stessi doveri degli altri. E ovviamente non abbiamo nemmeno le stesse
opportunità. Chi darà un lavoro o una casa a un ragazzo che porta il marchio del Príncipe? È dificile entrare
in questo quartiere, ma è ancora più dificile uscirne". Karim Mohamed ha trent'anni, fa il trasportatore e vive
al Príncipe. I suoi genitori arrivarono negli anni quaranta. Costruirono una baracca che si è espansa fino a
diventare una casa abusiva su cui pagano le tasse ma che uficialmente non appartiene a nessuno. "A partire
dagli anni ottanta", racconta, "Ceuta ha deciso di chiudere un occhio sul narcotrafico. Quella decisione ha
cambiato la vita della gente del quartiere. In precedenza la città aveva già chiuso un occhio sull'edilizia
abusiva. Ma quando è arrivata la droga molti abitanti della zona che facevano i pescatori o i muratori hanno
deciso di cambiare vita e di mettersi a trafficare con l'hashish. E qualcuno gliel'ha lasciato fare, a patto che
non disturbassero il resto della città. Anche studiare era diventato inutile. Chi trasportava la merce
guadagnava migliaia di euro a notte. I giovani sono cresciuti senza legge né prospettive. L'idea era far morire
noi musulmani nel degrado, lasciandoci chiusi qui a mangiare hashish. E così il quartiere - che era povero ma
abitato da gente umile e rispettabile, dove la metà degli abitanti era cristiana e tutti convivevano in pace - è
diventato un ghetto musulmano con le sue regole, le sue abitudini, i suoi padrini. Lo stato si è dimenticato di
noi. Quanti sono i quartieri della Spagna in cui la polizia non entra? Se provi a dire a un ragazzo del Príncipe
che nei bar non si può fumare né, ovviamente, farsi le canne perché una legge lo vieta, lui ti risponderà
stupito: 'Ma credevo che quelle fossero le leggi di Ceuta, non del Príncipe'". Il quartiere è famoso per la
delinquenza, il narcotrafico e gli spettacolari arresti di jihadisti trasmessi in diretta tv. Questa fama sinistra si è
raforzata con la serie televisiva El Príncipe , uno dei programmi più visti del 2014 in Spagna. Qui, però,
nessuno sembra apprezzare il modo in cui è stato dipinto il quartiere. "D'ora in poi sarà dificile liberarci del
marchio di terroristi e prostitute", si lamenta un uomo mentre tutti gli altri intorno annuiscono. "Siamo diventati
i mafiosi del paese". In realtà il vero Príncipe è diverso da quello che si vede in tv. Per descriverlo non serve
ricorrere a esagerazioni: è semplicemente uno dei quartieri più poveri della Spagna e l'unico abitato
esclusivamente da musulmani. Un prodotto del colonialismo, della dittatura e, dopo l'arrivo della democrazia,
dell'abbandono e dell'incuria istituzionali, ma anche della cattiva gestione dei fondi statali ed europei destinati
allo sviluppo di quest'angolo del paese. Nessuno sa dove sono finiti quei soldi. Anche per questo tra la gente
del posto sono sempre più difusi la sfiducia e il vittimismo. Chi vive al Príncipe sa che i politici vengono nel
quartiere solo per le campagne elettorali e sempre scortati dalla polizia. Pochi pensano che il voto sia libero e
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segreto. "Molti votano per il Partito popolare (che governa la città) perché sono convinti che se votassero un
altro partito e la cosa si venisse a sapere perderebbero gli aiuti e i sussidi, che per le famiglie del posto
equivalgono alla metà del reddito", spiega Mohamed Mustafa Madani, 28 anni, l'unico avvocato del quartiere
e una delle poche persone disposte a farsi vedere in giro con noi. "La democrazia non è ancora arrivata". E
perché tu non sei andato via? "Perché sono nato qui e sono l'unico avvocato del quartiere. Ecco perché".
Camminiamo per le strade del Príncipe insieme a Mohamed e poi con altri abitanti della zona. Con Isma
Mohamed, 30 anni, assistente sociale e attivista, e con Motad, che ha ventitré anni e lavora come
apprendista in un laboratorio per 480 euro al mese. Camminiamo tra sguardi di odio e di curiosità, tra insulti e
timidi salam aleikum , tra le normali attività della vita di quartiere e l'inquietante presenza dei boss attaccati ai
cellulari. Tutti sono d'accordo su una cosa: questo non è il Bronx e nemmeno Kabul. Somiglia più a una
favela. È un mondo a parte, sospeso su una collina dove tutto è illegale: le case, l'economia, il mercato del
lavoro, l'occupazione del suolo. Qui vige un culto malato per la soddisfazione dei bisogni immediati. "Le
persone più povere e con un livello culturale più basso", spiegano José Sillero ed Emilio Díaz, che lavorano
nel quartiere, "cercano di cavarsela e di arrangiarsi senza pensare al domani, non capiscono che senso abbia
faticare sui libri per avere un posto di lavoro dieci anni dopo. Lavorano, traficano e spendono. Non fanno
previsioni. I modelli dei ragazzi sono i cattivi del quartiere". C'è una soluzione? "Bisogna impegnarsi. Far
uscire anche solo un ragazzo da queste dinamiche sarà un successo". Al Príncipe i frigoriferi sono vuoti, i
muri delle case rischiano di crollare quando piove, le persone dormono per terra e ogni giorno i genitori
escono per strada per cercare di dare da mangiare ai figli. Chiedono l'elemosina o rubano. Traficano,
trasportano merce in Marocco, vendono sigarette di contrabbando o vestiti contrafatti. Sopravvivono anche
grazie alla solidarietà dei familiari e dei vicini, come nel caso di Dina, un'adolescente che ha deciso di finire le
superiori e che vive con la madre, la nonna e tre fratelli più piccoli in un tugurio infestato dai topi. Non hanno
nessuna fonte di reddito. Una vicina li aiuta e gli dà da mangiare. A casa di Dina si respira povertà, ma
soprattutto dignità. Alcuni mesi fa hanno fatto richiesta per un alloggio popolare. Non hanno ancora ricevuto
risposta. La svolta degli anni ottanta Nessuno sa con esattezza quanti siano gli abitanti del Príncipe, dodici,
quindici, forse ventimila. Almeno tremila di loro non hanno i documenti e di conseguenza non possono
accedere ai servizi sociali o ai programmi pubblici per l'impiego. Nessuno sa quante siano le case (forse
1.500, forse tremila) né quante famiglie ci vivano. E nessuna abitazione ha un certificato di proprietà. A questi
problemi bisogna aggiungere una disoccupazione pressoché totale, un abbandono scolastico del 90 per
cento, un altissimo tasso di analfabetismo funzionale, la mancanza più assoluta di un piano urbanistico (solo
due strade sono carrabili) e l'adesione a norme di morale pubblica più conservatrici di quelle del vicino
Marocco. In questo dedalo di vicoli e di case colorate aggrappate sul versante meridionale del monte Chico, il
controllo del gruppo sull'individuo è asfissiante. Qui le donne usano il velo e vestono secondo la tradizione, e
l'opinione degli altri è sempre fondamentale. Soprattutto sulle questioni religiose. L'organizzazione della
società è matriarcale, ma l'80 per cento delle donne non lavora. Molte famiglie numerose vivono con i 400
euro del salario sociale. La natalità è più alta che nel resto del paese. Nel quartiere non ci sono locali o
negozi, solo alcuni alimentari, bar e barbieri. Non ci sono vetrine, ma ogni giorno qualche anziana signora
espone un po' di frutta e verdura sul selciato di calle María Jaén. Non ci sono zone verdi e l'illuminazione è
quasi inesistente. La raccolta della spazzatura è irregolare e i rifiuti si ammucchiano nel centro del quartiere,
nella piazza di Padre Salvador Cervós, nel suq. Quando piove, il precario sistema fognario fa tracimare per
strada tutta la sporcizia. Al posto dello spagnolo ormai si parla il darija locale, un dialetto arabo con forti
inluenze castigliane. Jorge Sillero è il direttore della scuola Juan Carlos I, frequentata da molti ragazzi disabili
del quartiere: "I bambini parlano sempre peggio lo spagnolo. Non lo usano più perché non ce n'è bisogno:
non parlano mai con persone di fuori. Loro non vanno a Ceuta e da Ceuta nessuno viene fin qui". Miseria,
droga e violenza. Una spirale maledetta. Quando è arrivato l'hashish, negli anni ottanta, i cristiani avevano
lasciato il Príncipe per trasferirsi nelle case popolari. D'altra parte, fino alla metà del decennio, migliaia di
musulmani che vivevano a Ceuta non potevano avere la cittadinanza spagnola (il loro unico documento era la
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tessera statistica, un'inutile carta di riconoscimento soprannominata "la piastrina del cane"). Di conseguenza
non avevano il diritto di accedere alle case popolari né potevano comprare immobili o andare in Spagna.
Erano apolidi, costretti a rimanere chiusi nel loro quartiere. È anche in questo modo che si è alimentato il
risentimento. Poi Ceuta è diventata la capitale dell'hashish. Ogni notte dalla costa partivano circa cinquanta
lance per il Marocco, dove prelevavano tonnellate di droga destinata alla penisola. L'afare era in mano a
pochi boss: El Nene, Abdelhila e Tafo Sodía, che l'anno scorso è stato ucciso nel centro di Ceuta. I soldi
scorrevano a fiumi, al Príncipe e anche a Ceuta, che in quel periodo ha vissuto un boom immobiliare. Poi, nel
1986, circa 15mila musulmani residenti a Ceuta sono riusciti a regolarizzare la loro situazione e a ottenere la
cittadinanza spagnola. È stata una vittoria storica, la riconciliazione tra la Spagna e migliaia di musulmani che
vivevano a Ceuta da decenni. Al Príncipe quel periodo è ricordato con entusiasmo: hashish e documenti in
regola. Ma è su quei soldi facili che si è costruita la maledizione del quartiere. Sospetti e paure Seduto in un
modesto cafè di calle Real, nel cuore di Ceuta, un ex agente dei servizi d'informazione della polizia descrive
l'a s c e s a e i l d e cl i n o d e l m e rc at o dell'hashish: "Era uno stile di vita. I soldi sono arrivati fino al centro
della città, sono serviti a comprare appartamenti, garage, taxi. C'erano molti prestanome. Negli anni novanta
c'erano persone che facevano quattro viaggi a notte: caricavano l'hashish in Marocco, lo portavano fino a
Malaga o a Cadice e poi ricominciavano. Un buon trasportatore poteva guadagnare anche 300 euro al chilo.
La storia è degenerata per l'ambizione delle mafie. Hanno cominciato a traficare in esseri umani, per
guadagnare fino a centomila euro a notte senza correre rischi. Ma l'Unione europea ha preso provvedimenti.
È stato introdotto un sistema integrato di vigilanza esterna con radar e video camere su tutto il litorale. Così è
finita l'epoca del grande trafico di hashish a Ceuta. L'attività si è spostata a Tangeri. E oggi la merce arriva in
Europa con i container". Cos'è successo dopo? "La manna dal cielo era terminata. È stato un terremoto per il
quartiere. Il declino del mercato della droga ha scatenato regolamenti di conti nel mondo della criminalità
organizzata. Sono cominciate le lotte all'ultimo sangue per vecchi debiti e per il poco traffico rimasto. La torta
da spartirsi è piccola. Le sparatorie riguardano soprattutto vicende che risalgono a diversi anni fa, quando i
soldi giravano e i criminali si derubavano a vicenda. Allora nessuno sembrava farci molto caso perché c'era
da guadagnare per tutti, ma ora che la situazione è più dificile si uccide per i vecchi debiti. E tutti i nodi
vengono al pettine. Nel quartiere agiscono gang vecchie e nuove, ragazzini che hanno poco da perdere e che
quindi sono molto pericolosi. È una guerra all'ultimo sangue per quel che resta del business della droga.
Quest'anno ci sono stati quattro morti al Príncipe. La soluzione non è la polizia. Te lo dice un poliziotto". Per
gli estranei e per i giornalisti muoversi nel quartiere non è facile. Nessuno vuole parlare, nessuno vuol essere
fotografato, neanche mentre si taglia i capelli dal barbiere o prende un tè. Chi fa domande considerate
scomode scatena insulti, sguardi di odio e situazioni di tensione che non si sa mai come possano andare a
finire. Le donne non si fanno fotografare per rispetto dei mariti, gli uomini perché hanno paura di essere
identificati con i jihadisti o i narcotraficanti, o semplicemente perché sono ricercati. Gli adolescenti, vestiti
come i ragazzi delle gang latinoamericane, non vogliono finire nelle foto per spacconaggine, gli anziani
perché sono sospettosi. C'è sempre qualcuno nascosto dietro a una finestra pronto a pensare male di un
vicino che parla, o perfino a lanciare un mattone. La minaccia del jihadismo Mentre camminiamo su calle de
San Daniel, davanti al portone di una tappezzeria piena di uomini barbuti dall'aspetto severo, il nostro
sguardo incrocia quello di Hamed Abderrahman Ahmed, conosciuto come Hamido, l'unico cittadino spagnolo
detenuto a Guantanamo. Hamido è stato prigioniero a Guantanamo per due anni e mezzo ed è diventato un
mito del quartiere. La sua casa di calle del Fuerte è meta di pellegrinaggi. È fuggito dal Príncipe per il jihad ed
è tornato per raccontarlo. Estradato in Spagna, è stato processato e assolto. I nostri sguardi si incrociano per
alcuni secondi, poi scompare. Un agente del servizio d'informazione della guardia civil racconta che alla fine
degli anni novanta, quando segnalava a Madrid i pericoli legati alla difusione del jihadismo al Príncipe,
nessuno lo prendeva sul serio: "Le uniche preoccupazioni dello stato erano la sovranità nazionale, le mire
territoriali del Marocco e le attività dei partiti musulmani. Almeno fino agli attentati di Madrid dell'11 marzo
2004. Da allora sono stati stanziati più fondi e sono stati mobilitati agenti molto preparati per indagare sul
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jihadismo. Ma per raggiungere dei risultati c'è bisogno di guadagnarsi la fiducia della gente del Príncipe, e per
riuscirci ci vogliono investimenti, non poliziotti. Assaltare il quartiere e ripulirlo come è stato fatto con le
favelas di Rio de Janeiro? Neanche per scherzo. L'operazione scatenerebbe una battaglia e farebbe dei
morti". Negli ultimi dieci anni al Príncipe, dove oggi ci sono 14 moschee, c'è stato un netto ritorno all'islam. La
crisi economica ha giocato un ruolo importante. La solidarietà della comunità islamica, che va di pari passo
con il proselitismo religioso, oggi arriva dove l'amministrazione non riesce ad arrivare. Dal 2006 nel quartiere
ci sono stati una cinquantina di arresti legati al terrorismo internazionale. Ma Laarbi Maateis, il leader
religioso della città, presidente dell'unione delle comunità islamiche di Ceuta, ripete che al Príncipe il
jihadismo non esiste. "A Ceuta i novanta imam e i cento responsabili delle moschee sono tutti sotto controllo",
spiega Maateis, che veste all'europea e parla con calma e gentilezza. "Le posso assicurare che in tutta la
città non c'è un solo imam estremista. Lo stato non deve temere l'islam di Ceuta, quello che deve fare è
regolarizzare e integrare". Ma il Príncipe è un terreno fertile per l'estremismo? "Il fanatismo non si difonde a
causa di imam estremisti o di una specifica moschea, ma prolifera sui social network. È un discorso che vale
anche per Parigi, Londra o Barcellona. D'altronde è vero che la povertà favorisce l'estremismo, che è
alimentato anche dal fatto di sentirsi cittadini di serie b. Per questo bisogna dare lavoro, fornire servizi e
ripristinare la legalità". Un tempo le condizioni del quartiere erano perfino peggiori di quelle attuali. Oggi non
lontano dal Príncipe ci sono il miglior ospedale della città, cinque o sei scuole, due campi sportivi, due
laboratori che formano apprendisti e un edificio polifunzionale per l'istruzione dove quattro agenti della polizia
municipale lavorano come mediatori sociali fino alle tre di pomeriggio. Qui ha sede anche la Cruz blanca,
l'ong più rispettata del Príncipe, diretta da Isabel Larios, che distribuisce generi alimentari alle famiglie in
cambio del loro impegno su alcuni temi fondamentali come l'istruzione, la salute, lo sport, l'uguaglianza di
genere e il rifiuto della violenza. Da cinque anni anche le autorità locali hanno cominciato a occuparsi della
situazione. Secondo il comune, "tra il 2014 e il 2020 il quartiere sarà oggetto d'investimenti di riqualificazione
per venti milioni di euro". Quando usciamo a piedi dal Príncipe ci rendiamo conto che avremmo voluto
passarci più tempo per capire meglio la vita e le speranze dei suoi abitanti. Poi vediamo un grafito che si
ripete in diversi punti del quartiere. È rivolto agli informatori: "Non fare e non temere. Semina e raccoglierai".
Scende la sera. Il Príncipe è già lontanissimo. u fr EL PAISDa sapere Le enclave di Madrid
u Ceuta, insieme a Melilla, è una delle due enclave spagnole in territorio marocchino, eredità del colonialismo
di Madrid in Africa. Oggi ha lo status di città autonoma ed è governata dal Partito popolare con il
sindacopresidente Juan Jesús Vivas . Ceuta ha 84.180 abitanti e un pil annuo pro capite di 18.771 euro
(2013) contro i 22.300 della media spagnola. u Ceuta e Melilla sono i due principali punti d'ingresso in
Spagna per gli immigrati irregolari. Tra il 2004 e il 2013 circa 28mila migranti africani sono riusciti a penetrare
nelle due enclave superando le barriere di metallo costruite dalla Spagna a partire dalla metà degli anni
novanta.
Foto: In una piazza del quartiere Príncipe. Ceuta, ottobre 2014
Foto: Nessun0 sa con esattezza quanti siano gli abitanti del Príncipe: quindici, forse ventimila. Almeno tremila
non hanno i documenti
Foto: Il quartiere del Príncipe, ottobre 2014
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Mobilità sanitaria transfrontaliera. Un fenomeno ancora di nicchia
Il recepimento della Direttiva 2011/24/UE sull'assistenza sanitaria transfrontaliera non ha modificato lo
scenario attuale, caratterizzato da una forte migrazione di pazienti ma solo all'interno dei confini nazionali e
dalla presenza di pazienti solventi perlopiù provenienti dai cosiddetti Paesi emergenti extra-europei.
PIERLUIGI ALTEA
La Direttiva 2011/24/UE, in Italia recepita con il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 38 sui diritti dei pazienti relativi
all'assistenza sanitaria transfrontaliera, ha inaugurato una nuova stagione per la sanità anche nel nostro
Paese. Tuttavia la sua concreta attuazione sembra ancora lontana. «La direttiva», spiega Filippo Leonardi,
direttore generale di Aiop, l'Associazione italiana ospedalità privata, «prevede che gli Stati membri
dell'Unione Europea predispongano dei National Contact Point (Punti di contatto nazionali), ovvero portali
web gestiti dai Ministeri della Sanità, affinché i cittadini europei possano conoscere l'offerta sanitaria, i costi e
le condizioni di erogazione dei servizi. A oggi, sono ancora pochi gli Stati che si sono adeguati a questa
indicazione: l'Italia, per esempio, ha realizzato all'inizio di quest'anno un Punto di contatto nazionale, ma solo
in modo parziale, perché sul portale compaiono soltanto gli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico,
poco più di 60, un insieme importante ma non rappresentativo dell'offerta ospedaliera complessiva, molto più
ampia e articolata, anche per quanto riguarda le eccellenze. Inoltre, il portale riporta soltanto l'elenco delle
discipline interessate, senza render conto di parametri di qualità, tariffe, né dei medici che operano all'interno
della struttura in questione». Secondo Leonardi, c'è ancora molto da fare, anche se le prospettive sono
buone. «Negli ultimi anni», fa sapere il direttore generale di Aiop, «l'attenzione nei confronti degli ospedali
privati italiani è certamente aumentata, soprattutto da parte dei Paesi emergenti dell'est, in modo particolare
la Russia e la Cina, perché la qualità del servizio sanitario nazionale nel nostro Paese è molto alta. Già
qualche anno fa, l'Oms collocava l'Italia al secondo posto nel rapporto qualità/costi e il Rapporto Bloomberg,
in questi giorni, al terzo dopo Singapore e Hong Kong. La Direttiva 24/2011 dell'Unione Europea ha affermato
il diritto dei cittadini europei di poter ricevere le cure in tutti i Paesi dell'Unione, un principio importante che
tuttavia sembra avere trovato qualche ostacolo: la preoccupazione degli Stati riguardante il pagamento delle
prestazioni che deve essere effettuato da parte del Paese di origine del paziente, perché la norma prevede
che i costi della migrazione sanitaria siano a carico dello Stato di appartenenza del malato». In attesa che il
National Contact Point italiano accolga al proprio interno tutta l'offerta sanitaria pubblica e privata accreditata
disponibile nel nostro Paese, cosa possono fare le singole strutture? «Quello che stanno già facendo alcuni
ospedali», dice Leonardi, «soprattutto quelli che operano in regime privatistico (in Italia sono circa il 10% del
totale), cioè allestire siti internet per pubblicizzare la propria offerta ospedaliera: ma lo stanno già facendo i
grandi gruppi ospedalieri di comprovata eccellenza che hanno realizzato siti disponibili anche in 80 lingue,
visto il loro potenziale extraeuropeo». Resta comunque un problema, fa notare Leonardi. «Purtroppo», dice,
«non siamo ancora capaci di presentarci come sistema Paese, mentre sarebbe auspicabile una
collaborazione vera tra pubblico e privato su questo piano. Anche perché nel nostro caso le richieste che ci
vengono da parte dei pazienti non sono soltanto relative alle prestazioni mediche, ma comprendono servizi
accessori, come quelli alberghieri e turistici, che un paese come l'Italia potrebbe offrire ai massimi livelli, se
solo lo facesse in modo sistematico e coerente anche con l'offerta sanitaria. Il cammino è lungo, anche per gli
altri Paesi, perché questo salto culturale non è stato fatto, neppure dal punto di vista organizzativo, ma la
strada ormai è tracciata e non si torna indietro». Due esperienze emblematiche L'Istituto Europeo di
Oncologia di Milano ha da sempre assistito a un'importante afuenza di pazienti da fuori Regione, con un
trend costante. Oggi il 54% dei pazienti proviene da altre Regioni, in particolare dal Sud. Anche il Centro
Cardiologico Monzino registra un trend stabile che si aggira intorno al 20% di pazienti extra Regione. A dirlo è
Barbara Cossetto, direttore centrale comunicazione, marketing e customer service dell'Istituto Europeo di
Oncologia e del Centro Cardiologico Monzino, entrambi Irccs di Milano. «A fronte della stabilità di queste
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importanti tendenze», spiega Cossetto, «sia Ieo sia Monzino hanno manifestato l'esigenza di soddisfare al
meglio il bisogno dei pazienti extra Regione. Per questo motivo sono stati realizzati dei progetti ad hoc come
Ieo/ Monzino Viaggiare Facile e Medici Ieo/Monzino nella Tua Città. Ieo/Monzino Viaggiare Facile è un
servizio nato per garantire tariffe agevolate ai pazienti su viaggio e sistemazione alberghiera. Per esempio,
sono proposte tariffe speciali su voli Alitalia con riduzioni fino al 50% su determinate classi tariffarie,
compatibilmente con la disponibilità al momento della prenotazione. Medici Ieo/Monzino nella Tua Città è
invece un progetto nato con lo scopo di portare l'esperienza e la qualità delle due strutture nell'ambito di
prevenzione, diagnosi e cura sul territorio nazionale». Rispetto ai pazienti provenienti dall'estero, invece, la
Direttiva 2011/24/UE che consente ai cittadini dell'Unione Europea di varcare le frontiere nazionali per curarsi
all'estero e dunque di venire anche in Italia, non sembra aver modificato il quadro. «Al momento», ricorda
Cossetto, «l'applicazione della direttiva UE è mancante dei decreti attuativi. Il primo passo sarà quello
dell'accreditamento delle strutture ospedaliere pubbliche e private che lo desiderino, presso i Centri di
Contatto Regionali che, con un vero e proprio endorsement, dichiareranno la compatibilità dell'ospedale
rispetto ai criteri di eccellenza richiesti. In secondo luogo resta comunque la necessità per i cittadini di
richiedere un'autorizzazione preventiva alle cure. In tal senso si è già pronunciata la Corte Europea, che ha
negato il rimborso a una cittadina rumena che si era recata in Germania per alcune terapie che nel suo
Paese non era riuscita a ottenere. Data la disparità nell'offerta dei servizi dei diversi Paesi e i vincoli di
sostenibilità dei Sistemi Sanitari Nazionali, si potranno certamente ottenere all'estero solo le prestazioni che il
servizio sanitario del Paese di appartenenza è in grado di erogare. In caso contrario, si potrebbero generare
dei ussi fi nanziari insostenibili per alcuni governi, con il rischio ultimo di creare discriminazioni invece che
facilitazioni nell'accesso alle cure». Nonostante i limiti e i pezzi ancora mancanti di questo puzzle, fa notare
Cossetto, indubbiamente l'introduzione della Direttiva può essere considerata un'importante opportunità per
le strutture sanitarie, in quanto rappresenta una delle modalità di attrazione di pazienti provenienti da altri
Paesi. «Per garantire un adeguato supporto, l'International Patient Offi c, presente sia all'Istituto Europeo di
Oncologia sia al Centro Cardiologico Monzino», spiega Cossetto, «si interfaccia direttamente con i pazienti
che hanno bisogno della documentazione necessaria per richiedere l'accesso a prestazioni sanitarie in Italia,
da presentare alle autorità sanitarie presenti nel Paese di provenienza. L'International Patient Offi ce si
impegna inoltre a offrire una serie di servizi accessori relativi per esempio al viaggio, alla sistemazione
alberghiera, ai transfer da e per l'aeroporto, e servizi di interpretariato e di mediazione culturale.
Un'importante sfi da, in un contesto così dinamico, è dettata dalla crescente necessità di implementare la
notorietà e la reputazione dell'Italia, e in particolare delle nostre strutture, come polo di attrazione in ambito
sanitario». I pazienti che si rivolgono a Ieo e Monzino, fa sapere Cossetto, provengono principalmente da
Federazione Russa, Paesi Arabi, Est Europa, ma anche da altri Paesi come Usa e Sud America. «Le
richieste da parte dei pazienti», spiega, «riguardano principalmente la possibilità di sottoporsi a interventi
chirurgici (per tumori o patologie cardio-vascolari), a trattamenti medici, ma anche a indagini diagnostiche o a
conferme di diagnosi e prevenzione tramite checkup. Le aspettative sono spesso alte e vengono
regolarmente soddisfatte, non solo dall'eccellenza clinica che contraddistingue i due Istituti nel trattamento
delle patologie oncologiche e cardiovascolari, ma anche dai servizi garantiti dall'International Patient Office
che i pazienti confermano essere molto utili e rispondenti alle loro esigenze». C'è solo un problema che
andrebbe superato e che purtroppo non riguarda solo l'ambito sanitario. «Il processo di gestione dei pazienti
internazionali», conclude Cossetto, «dovrebbe raggiungere un maggiore grado di uidità, con particolare
riferimento alle pratiche burocratiche relative al rilascio del visto per tutti coloro che desiderano avvalersi
dell'eccellenza della sanità italiana».
GLI EFFETTI DELLA NORMA SUGLI OSPEDALI Gian Luca Mondovì, Head of International Business
Development presso l'Istituto Clinico Humanitas, spiega perché, a oggi, la Direttiva 2011/24/UE non ha
modificato per nulla lo scenario delle strutture ospedaliere che per vocazione da sempre offrono servizi anche
ai pazienti stranieri. Humanitas attrae i pazienti? «Sì, la nostra realtà ha avuto negli ultimi anni e continua ad
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avere una crescita in termini di capacità attrattiva: sono i pazienti che scelgono di venire nella nostra struttura,
evidentemente grazie alla qualità dei nostri servizi e alla professionalità dei nostri medici». Da dove
provengono e per quali patologie si rivolgono a voi? «Vengono da tutta Italia, sia dal Sud e dal Centro sia
dalle Regioni limitrofe alla Lombardia. Sicuramente si muovono principalmente per patologie complesse o per
nicchie di patologie, come quelle oncologiche o afferenti all'area ortopedica, neurologica e cardiovascolare».
Provengono anche dall'estero? «Sì, anche grazie alle relazioni internazionali che i nostri professionisti
vantano da sempre, perché hanno studiato all'estero, perché partecipano ad attività oltre confine o hanno
rapporti importanti con professionisti e istituzioni straniere. Questi sono elementi che consentono di avere
relazioni internazionali e di attrarre anche i pazienti». Si tratta di pazienti solventi? «Sì, principalmente sono
pazienti paganti, provenienti soprattutto da zone situate al di fuori dell'Unione Europea, perché non riescono
a trovare all'interno del loro Paese un'adeguata risposta qualitativa. Per quando riguarda i Paesi UE, invece, il
modulo S2 permette ai cittadini comunitari, previa autorizzazione, e in linea con le regole operative e tariffarie
del Ssn, di farsi curare anche al di fuori del proprio Stato. Per esempio, per l'ortopedia Lione è stata per tanti
anni un punto di riferimento per molti pazienti italiani, anche se questi spostamenti a mio avviso erano e sono
poco giustificati perché la sanità italiana è di altissimo livello». Com'è cambiato invece lo scenario con
l'avvento della Direttiva 2011/24/UE? «In realtà, aldilà dei buoni propositi in essa contenuti, è cambiato poco
o nulla, perché rispetto alle regole già esistenti per la circolazione dei pazienti nell'ambito comunitario, il
decreto attuativo con il quale l'Italia ha recepito la norma, a oggi non ha portato alcun beneficio ai pazienti
stranieri desiderosi di farsi curare in Italia». Perché? «Perché la procedura è complessa, prevede numerose
autorizzazioni, salvo pochi casi e categorie, ma è anche mancata un'adeguata informazione, perché i
National Contact Point non sono decollati e i cittadini non sanno della loro esistenza. A dire il vero, l'Italia in
questo caso si è mossa prima di altri Paesi, tuttavia la burocrazia e la necessità di anticipare le spese in
attesa di un rimborso agiscono sicuramente da freno». Burocrazia a parte, cosa deve assicurare un ospedale
per risultare attrattivo? «Deve offrire servizi di qualità, ovviamente, ma anche gestire e aiutare il paziente
attraverso servizi accessori al trattamento sanitario, a partire dall'ottenimento del visto per chi proviene dai
Paesi extraeuropei, all'accoglienza quando il paziente decide di varcare le frontiere per venire da noi a farsi
curare. È poi indispensabile che gli operatori conoscano bene le lingue per essere in grado di comunicare
adeguatamente e fornire tutte le informazioni necessarie».
LE NUOVE REGOLE IN BREVE «La direttiva sulle cure transfrontaliere conferisce al tema della mobilità
sanitaria internazionale un impulso senza precedenti. L'apertura al libero mercato pone inevitabilmente in
concorrenza i differenti sistemi nazionali, rappresentando al contempo un'opportunità di sviluppo e una sfi da
per il Servizio sanitario nazionale considerato il probabile aumento del usso di pazienti che si sposteranno tra
i Paesi dell'Unione per ricevere cure». Sono le parole pronunciate dal Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin
, al termine del Consiglio dei Ministri che lo scorso 28 febbraio approvò il decreto legislativo n. 38 del 4 marzo
2014. Tre sono i pilastri portanti della norma di attuazione della direttiva 2011/24/UE: la possibilità di
accedere alle cure inserite nei Lea, salvo deroghe regionali; il rimborso indiretto delle spese sostenute dal
paziente; i limiti alle cure rimborsabili, cioè solo quelle erogate dal Ssn. Restano escluse dalla norma i servizi
di cura e assistenza a lungo termine, i trapianti d'organo e i programmi pubblici di vaccinazione. Inoltre, la
norma prevede che gli Stati possano introdurre un limite all'accesso alle cure nel proprio territorio da parte dei
pazienti stranieri provenienti dai Paesi UE; limiti di rimborsabilità da applicare ai propri cittadini recatisi
all'estero per le cure e infi ne limiti attraverso la richiesta di autorizzazione preventiva per alcune prestazioni.
Infi ne, i cosiddetti Punti di contatto nazionali previsti in ciascuno Stato membro dell'UE svolgeranno un ruolo
determinante nella creazione delle reti di riferimento europee Ern), strumenti utili a far circolare le
competenze cliniche e i sistemi di gestione della sanità, in un'ottica orientata all'armonizzazione europea dei
livelli di cura e assistenza.
Foto: Filippo Leonardi Barbara Cossetto Gian Luca Mondovì
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Sharjah, EAU Nuovo ospedale materno-infantile e pediatrico
L'ampliamento dell'Al Qassimi General Hospital è a tutti gli effetti un ospedale specialistico autonomo e
autosufficiente, frutto della professionalità di un affiatato grup- po di affermate società di progettazione italiane
e internazionali.
GIUSEPPE LA FRANCA
Fondato nel 1976, lo Al Qassimi General Hospital è il principale nosocomio della città di Sharjah, capitale
dell'omonimo emirato. Il progetto del nuovo ospedale materno-infantile fa parte di un programma di
potenziamento delle strutture sanitarie pubbliche dedicate all'infanzia che, negli Emirati Arabi Uniti, sono per
la maggior parte di proprietà di operatori privati, locali e stranieri. Completato nel maggio 2014, l'ampliamento
(43.500 m ) è in grado sia di fronteggiare la domanda di prestazioni sanitarie della popolazione locale, come
dei BARICENTRO NELL'EMERGENZA/URGENZA numerosi cittadini stranieri residenti, sia di permettere la
progressiva ristrutturazione dell'ospedale principale, nel rispetto dei criteri progettuali contemporanei e dei
requisiti tecnici più avanzati. Già interessato da un importante intervento di ampliamento finalizzato alla
costruzione del nuovo dipartimento di Cardiochirurgia, il general hospital dispone oggi di ulteriori 239 posti
letto (di cui 200 di degenza ordinaria) per le specialità di Ostetricia, Ginecologia e Pediatria, situati all'interno
di una struttura dotata di tutti i servizi necessari e caratterizzata da una specifica cura dell'immagine
architettonica. Salute e tradizione La decisione di realizzare il nuovo ospedale per le donne e i bambini
dell'emirato risale al 2007, quando il Ministero dei Lavori Pubblici federale conferì l'incarico professionale a
due importanti società di progettazione internazionale. Affidata alla sede UPA di Abu Dhabi, la commessa è
stata in gran parte sviluppata in Italia dalla stessa UPA e da General Planning con il supporto, per la parte
tecnico-medicale, della società di ingegneria Progetto MCK. Ispirata ai criteri del cosiddetto "Decalogo per
l'Ospedale Modello" definiti dal Ministero della Salute della Repubblica Italiana, la filosofia progettuale è stata
orientata sia dal particolare quadro esigenziale di una struttura specialistica sia dalle peculiarità tipiche della
cultura araba. «Il general hospital di Sharjah», spiega l'arch. Paolo Lettieri (UPA) coordinatore del team
professionale e responsabile del progetto architettonico, «costituisce un classico esempio delle criticità che si
possono riscontrare nella maggior parte delle coeve strutture italiane, quali per esempio il
sottodimensionamento degli spazi operativi e per il pubblico, la quasi totale assenza di riservatezza per i
pazienti e la frammistione nei ussi». A questo già notevole grado di complessità si sono sommate le
problematiche progettuali connesse al rispetto delle tradizioni locali. «In generale, nei Paesi della Mezzaluna
la visita a un ricoverato è considerata un dovere per tutti i componenti del nucleo familiare. A maggior
ragione, eventi come la nascita di un bambino sono l'occasione per incontrare numerose decine di parenti,
più o meno prossimi. La necessità di gestire adeguatamente la grande quantità di visitatori che affollano gli
ospedali in tutti gli orari è ulteriormente compromessa dalla segregazione per sesso che, nei fatti, comporta la
duplicazione di alcune funzioni, dalle sale d'attesa di tutti i reparti fino agli spazi di disimpegno dei servizi
igienici. Queste ragioni hanno sicuramente indirizzato la decisione di realizzare un ospedale espressamente
dedicato alla donna e al bambino, funzionale anche alla costruzione di ulteriori nuove strutture quali il Pronto
soccorso e il Padiglione di degenza per i membri della famiglia reale e le personalità più importanti, in modo
da favorire la progressiva ristrutturazione del corpo ospedaliero principale. Dal punto di vista tecnico, la
creazione di soluzioni che facilitino il rispetto delle usanze locali costituisce un'ulteriore sfi da progettuale che,
normalmente, si traduce in una maggiore attenzione verso l'ottimizzazione delle modalità di controllo degli
accessi e di suddivisione dei percorsi, in rapporto a spazi che devono comunque risultare funzionali ed effi
cienti». Il primato dei ussi Rispetto al progetto originario, a seguito di una contrazione del budget pari a circa
il 12% avvenuta nella fase conclusiva dell'iter progettuale, sono state eliminate le superfi ci commerciali e il
parcheggio sotterraneo previsti e sono state drasticamente ridimensionate le aree destinate alla didattica e ai
servizi non sanitari. Cionostante il progetto, redatto secondo le "Guidelines for Design and Construction of
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Health Care Facilities" dell'American Institute of Architects, ha mantenuto intatta la coerenza, la funzionalità e
le principali caratteristiche tecnico-architettoniche, senza pregiudizio per la qualità dei livelli assistenziali e
delle tecnologie medicali. Il nuovo ospedale è situato all'interno dello stesso isolato urbano del general
hospital e, assieme al nuovo Pronto soccorso, ne occupa per intero l'area centrale e settentrionale (61.000 m
sibile su tutti i lati dal traffi co veicolare e pedonale. Gli ingressi sono distribuiti lungo l'intero perimetro
ospedaliero. «Fin dagli esordi, l'impianto progettuale è stato fortemente basato sull'accurato studio dei
percorsi, al punto che le varianti intervenute non hanno praticamente avuto alcun impatto sull'assetto
spaziofunzionale fi nale. La posizione baricentrica del nuovo Pronto soccorso ha favorito la separazione dei
ussi veicolari per l'emergenza/urgenza rispetto agli altri, consentendo la concentrazione delle aree critiche
verso l'ospedale esistente, mentre lungo il perimetro esterno prospettano le funzioni a carattere prettamente
pubblico e di servizio. Nel nuovo edifi cio abbiamo distinto nettamente i percorsi destinati ai pazienti
ambulatoriali e ai visitatori da quelli per il personale e i pazienti interni, creando due corpi longitudinali dotati
di ingressi indipendenti, collegati tra loro da reparti di degenza a corpo quintuplo, disposti trasversalmente e
scanditi da corti». Nel caso di questo ospedale di medie dimensioni, la distribuzione in verticale delle
specialità si è rivelata la soluzione ottimale per facilitare l'orientamento del pubblico e assicurare linearità ai
percorsi, evitando qualsiasi tipo di interferenze. «L'organizzazione interna vede perciò contrapposte le aree
pubbliche, che si sviluppano lungo una sorta di hospital street lungo la quale potranno essere aggiunte, nel
tempo, ulteriori funzioni didattiche e di servizio, e i principali reparti diagnostico-terapeutici, raggruppati in un
blocco compatto pluripiano. Quest'ultimo è collegato ai reparti di degenza e, tramite il connettivo sanitario, è
direttamente accessibile dal padiglione di degenza per la famiglia reale». Le normative edilizie locali non
permettono la realizzazione di piani interrati abitabili. «In questo caso la costruzione di un piano interrato si
sarebbe rivelata estremamente diffi coltosa sia per la particolare natura del terreno, di consistenza sabbiosa,
sia per la presenza di una falda acquifera molto vicina al livello del suolo. Fortunatamente, il notevole
dislivello esistente tra i due estremi dell'area d'intervento (più di 3 metri) ha permesso di destinare ai servizi
generali il livello inferiore. Di conseguenza la maggior parte dei servizi generali, che in Italia risultano spesso
allocati al piano interrato, godono comunque di un riscontro diretto verso l'esterno. La distribuzione delle
funzioni agli altri livelli riprende uno schema collaudato che, in estrema sintesi, prevede gli spazi per il
pubblico e le aree diagnostiche a maggiore af usso di persone al piano principale e, ai piani superiori, i reparti
di degenza e le altre attività caratterizzate da ussi contenuti». Architettura, economia, igiene La cura
dell'immagine architettonica, la qualità delle soluzioni costruttive e l'elevato livello delle fi niture degli spazi
interni dell'ospedale materno-infantile Al Qassimi testimoniano come, nella cultura locale, l'ospedale
rappresenti un'istituzione civile tra le più importanti e prestigiose per l'intera comunità. «Nei Paesi arabi più
ricchi il livello generale dei servizi sanitari, la preparazione del personale e la dotazione tecnologica è
normalmente di buona qualità, conforme agli standard internazionali. L'ospedale è stato concepito come una
macchina moderna, con forme semplici (rettangolari per l'ingresso e il connettivo, circolari per le funzioni
pubbliche, ellittiche per il padiglione reale) e con un'immagine che richiama concetti di pulizia, effi cienza e
salubrità, scandita da elementi dai toni più scuri quali, per esempio, le fi nestre a nastro sulle facciate o gli
inserti nelle pavimentazioni. Il costo contenuto della manodopera e dei materiali da costruzione giocano
sicuramente a favore della qualità del progetto architettonico. Al contrario, la necessità di importare dall'estero
la quasi totalità delle apparecchiature medicali e tutti i principali sistemi tecnologici costituisce la principale
voce di spesa nella costruzione di un ospedale, costato complessivamente circa 90 milioni di euro. Questo
spiega le ragioni alla base di alcune delle scelte architettoniche. Per esempio, i prospetti dell'ospedale sono
realizzati con una facciata ventilata rivestita di pietra naturale il cui costo di costruzione - proibitivo per un
ospedale italiano - è risultato scarsamente rilevante rispetto al budget complessivo dell'intero edifi cio. Questa
soluzione risponde anche alla duplice esigenza di favorire l'isolamento termico degli spazi interni e di
garantire durabilità alle facciate, messe a dura prova dalle condizioni climatiche del sito. Anche la decisione di
pavimentare gli spazi collettivi utilizzando un prodotto di origine italiana», conclude l'arch. Lettieri, «di colore
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bianco e con caratteristiche fotocatalitiche (ovvero in grado di attivare reazioni chimiche autopulenti) risponde
sia alla volontà di offrire un'immagine piacevole alla vista sia alla necessità di garantire un ambiente il più
possibile coerente con le esigenze igienico-sanitarie dello spazio ospedaliero». Il nuovo Pronto soccorso
dell'Al Qassimi General Hospital è stato realizzato come edificio autonomo rispetto sia al corpo principale, già
equipaggiato con un'area per l'emergenza/ urgenza sottodimensionata rispetto agli standard contemporanei,
sia nei confronti del corpo per l'area materno-infantile di nuova realizzazione. La sua collocazione è strategica
per il nuovo assetto del complesso ospedaliero: il Pronto soccorso si trova infatti in posizione baricentrica
rispetto ai volumi principali. L'accesso pedonale è rivolto verso il parcheggio per gli utenti, mentre quello per
le ambulanze, ombreggiato da una tettoia, è situato lungo il prospetto che fronteggia l'ingresso d'emergenza
dell'ospedale materno-infantile. Oltre a unificare i percorsi esterni per le ambulanze, la differenziazione ta
ingresso pedonale e veicolare ha facilitato la netta separazione dei percorsi interni al Pronto soccorso, che
gravitano tutti attorno all'area del triage. In pratica i due percorsi principali dei pazienti (critici e non) si
sviluppano secondo ussi paralleli in spazi, all'occorrenza, comunicanti tra loro. Le connessioni con il piano
terreno dell'ospedale esistente sono assicurate da due corridoi coperti situati sul fronte opposto rispetto
all'ingresso delle ambulanze. Il progetto prevede anche la possibilità di ampliare gli spazi a disposizione del
Pronto soccorso mediante sopraelevazione, al primo piano, e la conseguente realizzazione di un ulteriore
corridoio di collegamento in quota con l'ospedale generale e con il nuovo edificio materno-infantile.
SCHEMA FUNZIONALE IN VERTICALE Il livello 0 dell'ospedale è eminentemente dedicato ai servizi
generali: il magazzino centralizzato e la cucina, affiancata da spazi per il personale di pulizia e dagli archivi,
dispongono di ingressi autonomi rispettivamente posti lungo i fronti ovest e nord. I Laboratori d'analisi con la
banca del sangue, la Farmacia, il guardaroba, gli spogliatoi e la caffetteria per il personale sono situati al
centro dell'edificio, affacciati sulle corti interne. La fascia a est, incolonnata all'ingresso principale del livello
superiore, è composta da spazi al rustico funzionali al futuro potenziamento dell'attività. Il fronte sud è
prevalentemente occupato dal Pronto soccorso e dalla centrale di sterilizzazione. Sopra di essi si trovano i
principali reparti di diagnosi e terapia: Radiologia, Dialisi e Fisioterapia pediatriche (livello 1); Blocco parto (9
sale parto più 2 sale chirurgiche) e Terapia intensiva neonatale (livello 2); Blocco operatorio (4 sale
chirurgiche) e Terapia intensiva ginecologica e pediatrica (livello 3). Lo sviluppo in verticale delle funzioni
ospedaliere interessa anche i tre corpi edificati trasversali, tutti articolati con sezione a corpo quintuplo,
accessibili da pazienti esterni e visitatori attraverso la hall principale che immette nella hospital street, dalla
quale si raggiungono: Centro fertilità e Ambulatori di Ginecologia, Ostetricia, Neonatologia e Pediatria, oltre al
Dispensario farmaceutico, al Centro prelievi (livello 1), alla caffetteria e agli spazi per il culto; amministrazione
e studi medici (livello 2), degenza di Ginecologia (livelli 3 e 4), Ostetricia e Pediatria(livelli 2, 3 e 4).
DEGENZE VIP Nei Paesi arabi retti da monarchia, gli ospedali pubblici dispongono di un padiglione o di un
reparto di degenza espressamente dedicato alla famiglia reale e a personalità importanti. Nel caso del Al
Qassimi General Hospital, questa funzione è ubicata in un volume pluripiano a pianta ellittica, dotato di
ingresso indipendente e posto in diretta comunicazione con il connettivo sanitario. Situati al livello 1, i 6
ambienti per i degenti vip sono articolati come suite, con una camera di degenza e una seconda camera a
disposizione di un familiare o di un domestico, con servizi igienici distinti. Al piano superiore, destinato ai
membri della famiglia reale, ciascuna delle 3 suite è dotata anche di un ampio living e di una cucinetta
interna. La dotazione di spazi di supporto comprende un banco per il controllo degli accessi e per le attività
infermieristiche, oltre ai normali locali di deposito.
CLIMA E TECNICA COSTRUTTIVA/1 Le particolari condizioni climatiche delle zone costiere della Penisola
Arabica rendono inutile, se non controproducente, la realizzazione di vespai areati a separazione tra il terreno
e il solaio inferiore dell'edifi cio. Il clima è infatti estremamente caldo (tra luglio e agosto la temperatura
massima può superare 48°C) e particolarmente umido. Di conseguenza non s'è la necessità di ventilare,
anche indirettamente, le strutture di fondazione: anzi, così facendo, si corre il rischio di innescare fenomeni di
condensa. Il regime torrenziale delle rare precipitazioni rende comunque necessaria un'estrema cura nella
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posa in opera degli strati impermeabilizzanti, anche per prevenire i danni causati dal deposito della salsedine.
Data la scarsa coesione dei terreni di origine sabbiosa, nel caso di edifi ci strategici quali gli ospedali è
sempre preferibile la realizzazione di strutture di fondazione a platea o a travi rovesce, in grado di assicurare
una risposta adeguata agli effetti del terremoto, in particolare al fenomeno della "liquefazione "del terreno.
SALUBRITÀ, COMFORT E PRIVACY L'impiego di pacchetti murari ad alto potere termofonoisolante e di
facciate ventilate con rivestimento in pietra proveniente dal medesimo areale geografi co contribuiscono,
assieme alle prestazioni delle superfi ci trasparenti, alla riduzione dei consumi per l'illuminazione e la
climatizzazione dell'ospedale, abbattendo anche l'inquinamento acustico. Le scelte in ordine agli allestimenti
interni si distinguono per l'uso di materiali dotati di prestazioni specifi che sotto il profi lo sanitario. È il caso,
per esempio, della pavimentazione bianca presente nell'area d'ingresso e negli spazi pubblici, caratterizzata
da una fi nitura ceramica in materiale fotocatalitico, con funzione antibatterica. Le aree destinate ai pazienti
dispongono di fi nestre con intradosso posto a 60 cm dal pavimento, in modo da consentire la vista
dell'esterno anche ai soggetti allettati. Le vetrate oscurate e la presenza di tende interne a rullo garantiscono
la riservatezza e riducono l'effetto di abbagliamento risultato dell'elevata luminosità ambientale del sito.
I LAVORI Committente Ministero dei Lavori Pubblici, Emirati Arabi Uniti Enti utilizzatori Ministero della Sanità
, Emirati Arabi Uniti Al Qassimi General Hospital Società di progettazione incaricata Urbanism Planning
Architecture Progettazione UPA General Planning Architettura arch. Paolo Lettieri (UPA) arch. Dagmar
Sestak (General Planning) Progetto sanitario, attrezzature medicali Progetto MCK ing. Andrea Bambini
Direzione lavori UPA Illuminazione Artemide Disano Pavimentazioni interne Graniti Fiandre Arredi e
attrezzature sanitarie Malvestio
CLIMA E TECNICA COSTRUTTIVA/2 L'impiego di strutture di strutture di fondazioni dalle ampie superfi ci
d'appoggio favorisce anche la dissipazione passiva del calore verso il terreno, a vantaggio della sostenibilità
energetica, perseguita anche mediante elevate prestazioni termiche dell'involucro edilizio. Si utilizzano
sistemi costruttivi caratterizzati da un'elevata massa termica e da spessi strati termoisolanti, possibilmente
posati con intercapedini ventilate, e superfi ci vetrate colorate e opportunamente ombreggiate, per abbattere i
guadagni solari diretti. Sotto il profi lo impiantistico, gli ospedali necessitano di generosi cavedi tecnici e di effi
cienti sistemi di regolazione delle condizioni climatiche interne (nel Al Qassimi General Hospital l'altezza
interpiano è di circa 4,5 metri) e di fi ltrazione dell'aria, anche per minimizzare gli effetti delle tempeste di
sabbia sulle unità preposte alla climatizzazione e al controllo della qualità dell'aria.
Foto: Livello zero, piano terra +0,0 m Livello 1, piano principale dell'ospedale +4,5 m Ingresso principale
(credit arch. Celso Career II, arch. Paolo Lettieri) Ingresso vip Visitatori Personale medico Pazienti esterni
Ascensore per i visitatori Ascensore per il personale medico Ascensore pulito Ascensore sporco
Foto: Hall di ingresso (credit arch. Celso Career II, arch. Paolo Lettieri)
Foto: Ingresso vip
Foto: L'accettazione (credit arch. Celso Career II, arch. Paolo Lettieri)
Foto: Ingresso del Pronto soccorso (credit arch. Celso Career II, arch. Paolo Lettieri)
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Procreazione medicalmente assistita Problematiche e criteri progettuali
per la realizzazione
Il laboratorio di Procreazione Medicalmente Assistita (Pma) si occupa dell'inseminazione di gameti e della
coltura di embrioni umani e pertanto costituisce il "cuore" dove si svolge la parte più delicata dell'attività di un
centro per la cura dell'infertilità.
ARMANDO FERRAIOLI bioingegnere, Studio di Ingegneria Medica, Ca
A differenza dei laboratori diagnostici, in esso si effettuano colture dette ex vivo, ovvero la coltivazione di
cellule in vitro che poi vengono reintrodotte nel corpo materno (in vivo). La vitalità delle cellule durante la
coltura è fortemente inuenzata dai parametri di laboratorio, che tra l'altro potrebbero avere anche effetti a
lungo termine sul feto. È, per esempio, ben nota l'estrema sensibilità degli ovociti a lievi variazioni di
temperatura che portano alla depolimerizzazione del fuso meiotico con rischi potenziali sulla successiva
segregazione cromosomica. La conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano, nella seduta del 15.3.2012 ha definito i requisiti minimi organizzativi, strutturali
e tecnologici delle strutture sanitarie autorizzate di cui alla legge n. 40/2004 (Centri di Procreazione
Medicalmente Assistita), riferiti agli standard di qualità e sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il
controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di cellule umane. I requisiti definiti
sono in attuazione dei D.lgs. 191/2007 e 16/2010 che recepiscono le Direttive Europee n. 23/2004, 17/2006 e
86/2006. Il documento si applica ai gameti ovvero ovociti e spermatozoi, zigoti, embrioni e tessuti gonadici
destinati ad applicazioni sull'uomo, nel rispetto della normativa vigente e si riferisce alla qualità e sicurezza
delle cellule durante il prelievo, e dei gameti, degli zigoti e degli embrioni durante la manipolazione, la
conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione al centro sanitario in cui saranno applicate.Il campo di
applicazione non si estende all'applicazione clinica sul paziente dei gameti, zigoti ed embrioni con atti
chirurgici, inseminazione o trasferimento di embrioni. Indicazioni per una Pma Si definisce un Centro di Pma
ogni struttura, sanitaria pubblica o privata autorizzata, individuata dalla Regione di competenza, che ha il
compito di prelevare, manipolare, conservare, e distribuire gameti prelevati ai fini di applicazioni di tecniche di
procreazione medicalmente assistita, o zigoti ed embrioni, certificandone la tracciabilità, l'idoneità e la
sicurezza e che opera in conformità ai requisiti e alla normativa vigente. Un Centro Pma si occupa anche
delle fasi di applicazione clinica, non coperte dai requisiti definiti dal decreto citato, in conformità a quanto
definito nella legge 90/2004. Tutte le operazioni connesse alla preparazione, manipolazione, conservazione e
confezionamento dei gameti, zigoti o embrioni destinati ad applicazioni sull'uomo, devono svolgersi in un
ambiente che garantisca una specifica qualità e pulizia dell'aria per minimizzare i rischi di contaminazione,
compresa la contaminazione incrociata tra lavorazioni. L'efficacia deve essere convalidata e controllata.
L'ingresso ai locali deve essere limitato alle persone direttamente coinvolte nel processo. L'accesso deve
prevedere una vestizione specifica e un comportamento che permettano di minimizzare le possibili
contaminazioni dall'esterno che salvaguardi la sicurezza del materiale crioconservato e la sicurezza
personale. Gli ambienti per la crioconservazione dei gameti, degli zigoti e degli embrioni devono presentare
adeguate caratteristiche strutturali e di sicurezza ed essere dedicati a svolgere tale specifica attività e
collegati a un sistema di sicurezza e di allarmi per la rilevazione del livello di ossigeno. Le prestazioni di Pma
comportano attività di diversa complessità tecnica, scientifica e organizzativa, tali da prevedere differenti livelli
di requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi e di personale, distinti per complessità crescente delle strutture
che le erogano. Gli interventi di Pma possono essere effettuati esclusivamente in strutture sanitarie
espressamente autorizzate, con esclusione degli studi professionali. Le strutture autorizzate devono
possedere, per quanto applicabili, i requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi generali previsti dal
Dpr 14.1.1997 (Decreto Bindi), i requisiti della legge 90/2004, quelli della conferenza dei Presidenti delle
Regioni e delle Province autonome del 11.11.2004 e i requisiti eventualmente previsti dalla normativa della
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Regione o Provincia Autonoma nel cui territorio sono ubicate. Tre livelli di Pma Le strutture sanitarie
autorizzate all'esecuzione di tecniche di Pma sono state suddivise in tre livelli. Le strutture di 1° livello
erogano prestazioni di Pma collegate alle seguenti metodiche: • inseminazione sopracervicale in ciclo
naturale eseguita utilizzando tecniche di preparazione del liquido seminale; • induzione dell'ovulazione
multipla associata a inseminazione sopracervicale eseguita con tecniche di preparazione del liquido
seminale; • eventuale crioconservazione dei gameti maschili. Per queste strutture i locali e gli spazi devono
essere correlati alla tipologia e al volume delle attività. Devono essere presenti i requisiti previsti dal Dpr
14.1.1997 per l'assistenza specialistica ambulatoriale e i requisiti eventualmente previsti dalle normative delle
singole Regioni e Province Autonome; idoneo locale per la preparazione del liquido seminale, distinto dai
locali adibiti all'esecuzione delle altre attività ambulatoriali, e collocato all'interno della stessa struttura. In
caso la struttura effettui la crioconservazione dei gameti maschili, il locale deve essere dotato di adeguata
areazione e ventilazione e un adatto locale per la raccolta del liquido seminale. Le strutture di 2° livello
erogano, oltre alle prestazioni indicate per il 1° livello, una o più delle prestazioni collegate alle seguenti
metodiche, eseguibili in anestesia locale e/o analgesia o in sedazione profonda: • fecondazione in vitro e
trasferimento dell'embrione (Fivet); • iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (Icsi); • prelievo
testicolare dei gameti (prelievo percutaneo o biopsia testicolare); • eventuale crioconservazione di gameti
maschili e femminili ed embrioni); • trasferimento intratubarico dei gameti maschili e femminili (Gift), zigoti
(Zift) o embrioni (Tet) per via transvaginale ecoguidata o isteroscopica. Per queste strutture di 2° livello, la
tipologia prevista è quella dell'ambulatorio specialistico con possibilità di chirurgia ambulatoriale, secondo
quanto previsto dal Dpr 14.1.1997 e dalle normative delle singole Regioni e Province Autonome.In aggiunta
ai requisiti previsti per il 1° livello devono essere presenti: a) un locale con spazi, distinti e separati, per la
preparazione utenti e per la sosta dei pazienti che hanno subito l'intervento; tale spazio può essere
opportunamente individuato all'interno del locale visita; b) spazio per la preparazione del personale sanitario
all'atto chirurgico che può essere anche all'interno del locale chirurgico; c) locale chirurgico adeguato per il
prelievo degli ovociti, di dimensioni tali da consentire lo svolgimento dell'attività e l'agevole spostamento del
personale (ginecologo, anestesista e assistente) anche in relazione all'utilizzo dell'attrezzatura per la
rianimazione cardiaca e polmonare di base e l'accesso di lettiga; d) laboratorio per l'esecuzione delle
tecniche biologiche, contiguo o attiguo alla sala chirurgica;il locale chirurgico e la camera biologica devono
essere serviti da gruppo elettrogeno e da gruppo di continuità; • nel locale chirurgico devono essere
assicurati: ricambi d'aria 6 volumi/ora; umidità relativa compresa tra 40-60%; temperatura interna compresa
tra 20-24°C; • filtraggio aria con efficienza 99,97% Hepa (High efficiency particulate air filter); • le superfici
devono risultare ignifughe, resistenti al lavaggio e alla disinfezione, lisce e non scanalate, con raccordo
arrotondato al pavimento che deve essere resistente agli agenti chimici e fisici, levigato e antisdrucciolo; e)
locale dedicato alla crioconservazione dei gameti ed embrioni; il locale deve essere dotato di adeguata
areazione e ventilazione; f) idonea sala per il trasferimento dei gameti in caso di Gift e degli embrioni; questa
sala può coincidere anche con la sala chirurgica o con la sala di esecuzione delle prestazioni previste per il 1°
livello, purché sia collocata in prossimità del laboratorio. Le strutture di 3° livello erogano, oltre alle prestazioni
in2 con superfici resistenti al lavagdicate nel 1° e 2° livello, una o più delle prestazioni collegate alle seguenti
metodiche, eseguibili in anestesia generale con intubazione: • prelievo microchirurgico di gameti dal testicolo;
• prelievo degli ovociti per via laparoscopica; • trasferimento intratubarico dei gameti maschili e femminili
(Gift), zigoti (Zift) o embrioni (Tet) per via laparoscopica. Per le strutture di 3° livello i requisiti minimi strutturali
sono: a) quelli indicati per le strutture di 2° livello e, ove previsto dal livello organizzativo regionale, requisiti
per il day surgery previsti dal Dpr 14.1.1997 e dalle eventuali normative delle singole regioni e province
autonome; b) un laboratorio e locale dedicato per la crioconservazione dei gameti ed embrioni, come per il 2°
livello.Il centro di Pma di 3° livello progettato e realizzato nella Clinica Ruggiero di Cava de' Tirreni (SA) oltre
ai requisiti sopra specificati, essendo ubicato nella Regione Campania ha dovuto rispettare anche i requisiti
minimi e le relative procedure di autorizzazione in linea con quanto disciplinato dalla Dgrc n. 7301 del
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31.12.2001 pubblicata sul Burc dell'11.1.2002 n. 2 e la delibera della Giunta Regionale n. 518 del 7.2.2003
pubblicata sul Burc n. 11 del 10.3.2003. Pertanto i centri di Pma, oltre a rispettare i requisiti minimi strutturali,
tecnologici ed organizzativi per le attività specialistiche ambulatoriali mediche e chirurgiche, devono
comprendere: • un idoneo locale per la raccolta del seme; • una camera biologica così caratterizzata: • locale
di almeno 12 m gio e alla disinfezione, lisce, con raccordo arrotondato al pavimento, quest'ultimo deve essere
non inquinante, del tipo monolitico, resistente agli agenti chimici e fisici, antisdrucciolo; • banchi di lavoro con
superfici decontaminabili; • lavabo clinico. Per le attività in regime di ricovero ovvero le attività che
comportano il ricorso ad interventi e metodiche invasive con l'esecuzione di procedure che prevedono il
prelievo chirurgico di gameti femminili o maschili così come per Zift, Tet, Gift, Icsi ecc., tali attività possono
essere svolte solo nelle strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero a ciclo continuativo e/o diurno
per cui oltre ai requisiti previsti per queste attività dalla delibera regionale citata, devono comprendere anche i
seguenti requisiti minimi per il trattamento di gameti ed embrioni: • una zona filtro per l'accesso e ambienti
che devono essere caratterizzati nel seguente modo; • un ambiente per il trattamento dei liquidi seminali
attiguo a una camera biologica per il trattamento Ivf, colture embrionali e micromanipolazioni, conformata così
come definita nelle attività ambulatoriali; • la camera biologica deve garantire un sistema di aria condizionata
a filtrazione assoluta pressione positiva; • un'area per il transfer adiacente con la camera biologica; • i
pavimenti degli ambienti per il trattamento di gameti ed embrioni e il loro trasferimento, devono essere non
inquinanti, del tipo monolitico, resistente agli agenti chimici e fisici, antisdrucciolo. La struttura degli ambienti
Le attività di crioconservazione e pre-impianto possono essere eseguite solo nelle strutture con regime di
ricovero. Per la crioconservazione di gameti ed embrioni, la struttura deve essere dotata di un locale con
perfetta aerazione e ventilazione, di bidoni per lo stoccaggio e la quarantena dei campioni in numero
adeguato al volume e tipologia dell'attività e un sistema computerizzato per le procedure di crioconservazione
mentre per la diagnosi pre-impianto, la presenza nello stesso complesso, di un laboratorio specialistico di
genetica medica, virologia, microbiologia e sieroimmunologia. Il Centro progettato si avvale delle strutture già
esistenti per le attività medico-chirurgiche. Pertanto i requisiti strutturali, oltre a prevedere quanto già
disciplinato per le attività di ricovero a ciclo continuativo e/o diurno dalla Dgr n. 7301 del 31.12.2001, rispetta
anche i sottoelencati requisiti minimi strutturali richiesti per il trattamento di gameti ed embrioni: • zona filtro
per l'accesso ad ambienti che sono caratterizzati nel seguente modo; • un ambiente per il trattamento dei
liquidi seminali attiguo a una camera biologica per il trattamento Ivf, colture embrionali e micromanipolazioni,
conformata così come definita dalla Dgr n. 518 del 7.2.2003; • la camera biologica garantisce un sistema di
aria condizionata a filtrazione assoluta e pressione positiva; • un'area per il transfer adiacente con la camera
biologica. Il corridoio principale interno al Centro di Medicina della Riproduzione, definito "zona sterile", è
destinato al personale medico, all'approvvigionamento del materiale sterile, al traffico sia di entrata sia di
uscita dei pazienti e del personale paramedico. Su questo corridoio "sterile" si affacciano la sala preparazione
liquido seminale, la camera biologica, la sala transfer e la sala di crioconservazione. Questa tipologia
progettuale nasce da un'attenzione rivolta, non più esclusivamente al personale e all'intervento considerato
da un punto di vista organizzativo, ma anche da un fatto tecnico: l'asepsi degli ambienti per garantire
condizioni igieniche idonee per le tecniche di Pma e gli aspetti legati alla gestione degli accessi e conseguenti
uscite hanno grande importanza sia per il personale sia per il materiale. L'accesso al centro avviene
attraverso una zona filtro corredata di cambio camici e calzari ed è inoltre, dotata di idonei contenitori per
accogliere il cambio sporco (mascherine, copricapi, camici e sovrascarpe). Le pareti divisorie delle sale sono
state rivestite con idoneo rivestimento in vinile omogeneo pressato, in Pvc e poliuretano, avente superficie
non porosa, saldate mediante fresatura e rasatura meccanica dei giunti e successiva immissione a caldo di
cordoncino in cloruro di polivinile di spessore 2 mm. Il rivestimento in Pvc a tutt'altezza di tipo lavabile
garantisce una facile pulizia, disinfettabilità e impermeabilità agli agenti contaminanti. Il pavimento è stato
realizzato in vinilico omogeneo pressocalandrato conduttivo, avente spessore di 2 mm, non inquinante,
resistente agli agenti chimici e fisici e antisdrucciolo. Il pavimento è stato raccordato al rivestimento mediante
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sottosguscio perimetrale preformato in Pvc. La controsoffittatura prevista per il passaggio delle tubazioni
elettriche, gas medicinali e del condizionamento è del tipo metallico con pannelli di acciaio preverniciati,
montati su struttura metallica portante in lamiera di acciaio galvanizzato e preverniciato, il tutto per permettere
una facile pulizia e ispezione degli impianti progettati che si trovano all'interno della stessa ancorché i
controsoffitti sono stati sigillati per una migliore tenuta e pulizia degli stessi. Le porte interne sono del tipo in
lamiera di acciaio, spessore 6/10, zincate, corredate di oblò di visualizzazione. Per quanto riguarda gli
impianti centralizzati gas medicinali sono stati previsti i seguenti gas: ossigeno, protossido d'azoto, aria
compressa medicale 4, aspirazione (vuoto endocavitario), azoto, anidride carbonica. Gli ultimi due gas sono
indispensabili per il funzionamento degli incubatori per le colture cellulari e sono stati centralizzati per evitare
l'uso di bombole di gas, ancorché di capacità ammesse, per evitare inquinamento e ottenere la massima
sterilità. Le reti di distribuzione dei gas medicinali sono state realizzate con tubi in rame stampato, con
saldobrasatura in lega d'argento completamente sgrassata, soffiata con azoto, specifica per uso medicale. Le
prese gas medicinali, poste sugli alettoni pensili e sulle travi testaletto o in apposite cassette murali,
rispettano i requisiti di realizzazione e installazione come specificato dalle norme Uni 9507. Esse sono tali da
evitare assolutamente un qualsiasi errore di intercambiabilità dei vari innesti, con borchia del colore distintivo
di ogni singolo gas e sono dotate di dispositivo rompifiamma. La trave testaletto e/o alettoni pensili sono
conformi alle norme Cei 62.5, Uni En Iso 7396 e al D.lgs. 476/92 (Marcatura CE). Gli impianti elettrici e
assimilati sono stati realizzati a regola d'arte, giusta prescrizione della legge 1.3.1968 n. 186, legge 46/90 e
del regolamento di attuazione del 6.12.1991 n. 417 e sono conformi alle norme Cei 64-8 Sez. 710 e: • alle
prescrizioni di autorità locali, comprese quelle dei VV.F.; • alle prescrizioni e indicazioni dell'Enel; • alle
prescrizioni e indicazioni della Telecom; • alle disposizioni di legge vigenti; • alle norme Cei (Comitato
Elettrotecnico Italiano) ultime edizioni pubblicate. Sono stati inoltre previsti degli impianti speciali quali
l'impianto di diffusione sonora, l'impianto di rilevazioni incendi, e l'impianto controllo accessi. Le condizioni
termoigrometriche sono quelle prescritte nel Dpr del 14.1.1997 "Approvazione dell'atto d'indirizzo e
coordinamento in materia di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l'esercizio delle attività
sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private" e dalla Dgr n. 7301 del 31.12.2001 oltre alle normative
per la Pma citate. L'impianto è del tipo a tutt'aria esterna e senza ricircolo con un numero di ricambi di
aria/ora superiore a 15. La filtrazione dell'aria è assoluta con efficienza Hepa (High efficiency particulate air)
99,97%, e con trattenimento delle particelle con diametro maggiore di 0,3 micron, velocità dell'aria non
superiore a 0,1 m/ sec e pressione positiva rispetto agli ambienti esterni. La temperatura ambiente viene
mantenuta sempre tra 20 e 24°C così come l'umidità con valori compresi tra il 40 e il 60%. Per quanto
riguarda la qualità dell'aria, si è rispettato anche quanto previsto nell'allegato V del D.lgs. n. 16 del 25 gennaio
2010. La classificazione della qualità dell'aria è stata fatta dopo l'installazione e la pulizia degli ambienti
mediante la conta delle particelle aerodisperse e la conta delle contaminazioni microbiologiche. La qualità
dell'aria viene monitorata periodicamente. Per il laboratorio di Pma il controllo particellare dell'aria è effettuato
anche all'interno delle cappe a ussi laminari. La qualità dell'aria nel laboratorio viene mantenuta anche per la
non presenza di aperture (finestre) verso l'esterno e per la ridotta presenza di superfici o di recessi in cui
possa accumularsi polvere. Anche la disposizione della strumentazione è stata predisposta in modo da
permettere facilmente la pulizia sia degli ambienti che degli strumenti stessi. Il laboratorio essendo ubicato in
contiguità con la sala adibita ai prelievi degli ovociti, consente un passaggio diretto nel laboratorio delle
provette contenenti il liquido follicolare. È stato tenuto in massima considerazione il concetto che il laboratorio
di Pma è un ambiente assimilabile a quello della sala operatoria per quanto concerne la sterilità. Tutti i
parametri critici degli strumenti usati nel laboratorio quali, per esempio, gli incubatori vengono monitorati in
maniera costante e associati ad appositi allarmi mediante l'uso di datalogger, posizionati all'interno degli
incubatori, frigoriferi, contenitori di azoto liquido, costituiti da sonde elettroniche collegate a un sistema di
supervisione che permette pertanto la monitorizzazione, l'elaborazione, la comunicazione e la registrazione
dei valori dei sensori e, in caso di valori misurati non corrispondenti al range di tollerabilità, scattando gli
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allarmi che sono collegati con la rete telefonica, avvertono anche attraverso sms i diretti addetti al
funzionamento del laboratorio stesso in modo da permettere un'immediata azione correttiva da parte del
responsabile del sistema senza soluzione di continuità. Sono stati usati in particolar modo sensori di livello
per l'azoto liquido, sensori di temperatura per incubatori e frigoriferi, sensori di livello per l'ossigeno, la CO2 e
l'azoto, sensori di temperatura, di umidità e di pressione per gli ambienti, sensori di movimento e presenza.
Tutti gli strumenti del laboratorio sono alimentati attraverso un gruppo di continuità (Ups) e tutta la clinica è a
sua volta collegata a un gruppo elettrogeno di emergenza che entra in funzione automaticamente in caso di
mancanza di alimentazione. L'Ups assicura poi una continuità assoluta evitando anche microinterruzioni che
potrebbero inficiare l'attività svolta. Il laboratorio è stato attrezzato con dispositivi per il mantenimento della
temperatura ideale dei mezzi di coltura, dei gameti, degli zigoti e degli embrioni durante qualsiasi fase del
trattamento all'esterno degli incubatori mediante l'uso di piani riscaldati e termo block. Tutti i dispositivi
deputati al mantenimento della temperatura e della percentuale di CO2 vengono monitorati con termometri e
misuratori di CO2 e/o pHmetri opportunamente tarati e collegati sul sistema di supervisione che è stato
predisposto anche per la registrazione digitale dei parametri. Le attrezzature e i materiali che incidono su
parametri critici di lavorazione o stoccaggio come per esempio temperatura, pressione, numero di particelle,
livello di contaminazione microbica ecc. sono identificati e sottoposti a vigilanza, allarmi e interventi correttivi
adeguati per individuarne le disfunzioni e i difetti e per garantire che i parametri critici rimangano
costantemente al di sotto dei limiti accettabili e tutte le attrezzature che dispongono di una funzione di
misurazione critica, sono tarate su un parametro di riferimento reperibile, qualora esista. Il laboratorio è stato
attrezzato con cappa a usso laminare per assicurare la sterilità dell'ambiente di lavoro, bagnomaria
termostatato, microscopio ottico a contrasto di fase per la corretta visualizzazione dei gameti maschili,
centrifuga, pipettatrice, n. 2 incubatori a CO2 che simulano le condizioni fisiologiche di temperatura, umidità e
pH, invertoscopio, microscopio ottico per l'analisi del liquido seminale, micromanipolatore (applicato ad
invertoscopio) per effettuare la tecnica di inseminazione intra-citoplasmatica (Icsi) e per la valutazione degli
ovociti ed embrioni, stereomicroscopio per lo screening degli ovociti e altre tecniche di fecondazione (Fivet),
sistema automatizzato programmabile per la crioconservazione di ovociti ed embrioni e un adeguato numero
di contenitori criogenici. L'ambiente destinato alla criopreservazione presenta caratteristiche strutturali e di
sicurezza per lo svolgimento di tale specifica attività. L'accesso in tale area è ovviamente consentito solo a
personale qualificato e formalmente autorizzato e sono state prese appropriate misure di sicurezza in caso di
rottura o malfunzionamento dei contenitori criogenici e dei sistemi di crioconservazione. L'accesso ai
contenitori criogenici è controllato, così come il loro riempimento e la loro pulizia e manutenzione. Poichè un
abbassamento della tensione di ossigeno nel locale può avvenire sia per la rottura e/o malfunzionamento di
un criocontenitore con conseguente fuoriuscita di azoto liquido, sia durante alcune fasi operative che
prevedono il travaso del mezzo criogenico e/o la frequente introduzione del mezzo stesso di materiali a
temperatura ambiente, il locale è stato dotato di impianto di aerazione meccanico per il ricambio normale
dell'aria e di un sistema di estrazione forzata che entra automaticamente in funzione se i sensori di ossigeno
e di azoto all'uopo predisposti segnalano valori al di fuori del range normale per cui il sistema assicura un
numero di ricambi tali da salvaguardare l'incolumità della persona addetta che oltre a essere adeguatamente
formato e addestrato sui rischi relativi alla manipolazione di un liquido criogenico, deve utilizzare sempre e
comunque i dispositivi di protezione individuale in accordo al D.lgs. 81/08 e norme correlate. Le scelte
progettuali sono state operate dopo aver considerato tutti gli aspetti del problema utilizzando le soluzioni più
adatte in base al reale fabbisogno, al giusto dimensionamento tenendo conto della crescita organica e con la
ragionevole lungimiranza delle prestazioni che serviranno. Tutte le soluzioni impiantistiche adottate
consentono sensibili risparmi di risorse nel caso, frequente, di adattamenti successivi e di impianti a nuove
emergenti situazioni.
Foto: Clinica Ruggiero di Cava de' Tirreni (SA)
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Una Prostate Unit al Sant'Orsola di Bologna
Il policlinico bolognese ha varato un'unità multidisciplinare e un percorso diagnostico-terapeutico
specificamente dedicati al carcinoma prostatico. Obiettivo: offrire al paziente una scelta consapevole tra tutte
le opzioni di cura oggi disponibili, migliorando l'appropriatezza del trattamento.
ROBERTO FRAZZOLI
Il paziente che si rivolge al chirurgo si sente consigliare l'intervento chirurgico, mentre a quello che va dal
radioterapista viene raccomandata la radioterapia. Oggi, in linea di massima, la cura del carcinoma prostatico
funziona così: l'approccio è perlopiù settoriale e mono-disciplinare, le nuove opzioni (come la sorveglianza
attiva del tumore) non sono adeguatamente considerate, gli accertamenti diagnostici sono spesso eccessivi,
pazienti e operatori sanitari hanno le idee confuse. La comunità medica sa molto bene qual è la soluzione per
superare questo stato di cose: è la creazione di unità multidisciplinari o "dipartimenti d'organo" specificamente
dedicati alla prostata - analogamente a quanto già avviene per il tumore della mammella - all'interno dei quali
le diverse specialità possano collaborare in modo collegiale e individuare la soluzione migliore per ogni
singolo paziente. Purtroppo, però, per varie ragioni le iniziative dedicate alla prostata scontano un netto
ritardo rispetto a quelle rivolte al carcinoma mammario, sebbene non manchino linee guida specifiche. Anche
in Italia, tuttavia, iniziano a fare la loro comparsa importanti esempi di Prostate Unit: la prima esperienza di
questo tipo è nata nel 2005 all'Istituto Nazionale Tumori di Milano, e ora una nuova iniziativa viene messa in
campo dall'Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant'Orsola-Malpighi di Bologna. La Prostate Unit bolognese e
il relativo percorso diagnostico-terapeutico sono stati presentati ufficialmente lo scorso 20 giugno dal fautore
dell'iniziativa, il professor Giuseppe Martorana, direttore dell'Unità Operativa di Urologia, nel corso di un
incontro svoltosi all'interno del policlinico. Prostata e mammella: analogie e differenze Sotto molti aspetti, il
carcinoma prostatico per gli uomini può essere considerato l'equivalente del tumore al seno per le donne:
Martorana ha infatti ricordato che i dati di incidenza, diffusione e mortalità delle due patologie sono simili. Nel
caso della mammella, tuttavia, si registra da anni un livello di attenzione più alto e una maggiore maturità
dell'approccio terapeutico, con numerose iniziative specifiche tra cui le campagne di screening e la creazione
di Breast Unit anche negli ospedali italiani. Il relativo ritardo delle iniziative riguardanti la prostata può essere
attribuito a vari fattori, come ha ricordato Martorana: tra essi il diverso atteggiamento dei maschi nei confronti
della propria salute e la maggiore complessità delle opzioni terapeutiche (il trattamento della mammella,
infatti, segue una filiera semplice e standardizzata). Inoltre - come ha ricordato un altro dei relatori presenti
all'incontro, Maurizio Leoni, dirigente Governo Clinico dell'Azienda Sanitaria e Sociale della Regione EmiliaRomagna - nel caso della prostata non esistono dati certi sull'utilità delle campagne di screening. Scarsa
appropriatezza diagnostica e terapeutica La mancanza di un approccio adeguato al carcinoma prostatico
comporta spesso una scarsa appropriatezza sia nella fase diagnostica sia in quella terapeutica. Per quanto
riguarda il primo dei due aspetti, Martorana ha sottolineato che oggi spesso i medici richiedono l'esecuzione
di esami anche in presenza di bassi valori del marker prostatico, che il 60% delle indicazioni fornite dalle
biopsie prostatiche non è corretto e che "la prostata è l'unico organo in medicina per il quale si fanno biopsie
random". Leoni, dal canto suo, ha parlato di "sovradiagnosi": la potenza delle odierne tecniche diagnostiche
porta a scoprire anche tumori alla prostata che nel 50% dei casi non rappresentano una minaccia per il
paziente. Per quanto riguarda la terapia, Martorana ha sottolineato - come dicevamo in apertura - che spesso
il paziente riceve consigli diversi a seconda dello specialista interpellato. Un problema confermato anche da
Riccardo Valdagni, direttore del Programma Prostata all'INT di Milano anch'egli presente all'incontro - che ha
citato i risultati di un recente studio. «Alla faccia delle linee guida, gli specialisti tendono a preferire e
raccomandare la modalità che essi stessi praticano». Questa situazione viene ritenuta non più accettabile,
anche alla luce di alcuni elementi nuovi: oggi esistono tecniche radiologiche innovative capaci di produrre
diagnosi più precise, e sono disponibili nuove opzioni terapeutiche altrettanto efficaci di quelle tradizionali.
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Attualmente le opzioni principali, ugualmente efficaci, sono la prostatectomia radicale, la radioterapia radicale
e la brachiterapia; nelle forme di malattia meno aggressive, inoltre, è possibile differire il trattamento radicale
e inserire il paziente in un protocollo di sorveglianza attiva, senza rischiare una progressione e una
compromissione della prognosi. Il paziente deve essere libero di scegliere tra le diverse opzioni terapeutiche,
ha affermato Valdagni, sulla base dei rispettivi effetti collaterali, che hanno conseguenze diverse sulla qualità
della sua vita. La Prostate Unit di Bologna Su queste basi, due anni fa il Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di
Bologna ha quindi dato vita al progetto di creazione di una Prostate Unit multidisciplinare, nell'ambito della
quale il contributo e la collaborazione simultanea di tutti gli specialisti (radiologi, medici nucleari, urologi,
radioterapisti, oncologi, patologi e psicologi) possa offrire i risultati e le garanzie migliori per i pazienti
consentendo di personalizzare la terapia ottimale per ogni singolo malato. Il progetto comprende anche
l'introduzione di un apposito percorso diagnostico-terapeutico (PDT), che permetterà di offrire al paziente
l'approccio terapeutico più opportuno, valutato attentamente in maniera collegiale e ritagliato sulle sue specifi
che necessità. Questo comporterà numerose ripercussioni positive per il paziente e per la collettività, in
termini di riduzione delle indicazioni terapeutiche inappropriate e dei trattamenti "eccessivi". Si registrerà
inoltre, secondo Martorana, una considerevole riduzione dei costi sanitari, grazie alla prescrizione delle sole
indagini diagnostiche necessarie, senza trascurare la possibilità di evitare le importanti sequele dei
trattamenti radicali, che spesso compromettono in modo signifi cativo la qualità di vita del paziente.
Ripercorrendo la storia dell'iniziativa, Martorana ha fatto riferimento alla diffi coltà del passaggio da un
approccio monodisciplinare a uno multidisciplinare, soprattutto in una realtà come quella del Sant'Orsola che
ha una forte tradizione chirurgica: un terzo di tutte le prostatectomie della Regione Emilia-Romagna viene
infatti eseguito nel policlinico bolognese. Tra i fattori che hanno facilitato la creazione della nuova Prostate
Unit, il professore ha citato la recente decisione della Regione Emilia-Romagna di dare vita a un percorso
diagnostico-terapeutico specifi camente rivolto alla prostata. Martorana ha comunque sottolineato che
l'iniziativa bolognese è tuttora in divenire. Come ha precisato Massimo Annichiarico, direttore sanitario
dell'Ausl di Bologna, per il momento non sono ancora state attivate politiche fi nalizzate a far convergere sulla
nuova struttura del Sant'Orsola tutti i pazienti affetti da carcinoma prostatico.
IL PROGETTO PER STEP E ALTRE INIZIATIVE La Prostate Unit del Sant'Orsola di Bologna partecipa al
progetto nazionale PerSTEP, Percorso Teorico Pratico in ambito uro-oncologico. L'iniziativa PerSTEP è stata
attivata nel 2012 da SIUrO (Società Italiana di Urologia Oncologica) e Cipomo (Collegio Italiano dei Primari
Oncologi Medici Ospedalieri) con il contributo di Sanofi. Il progetto inizialmente ha coinvolto quattro centri: la
Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l'Ospedale Sant'Anna di Como, il Policlinico
Sant'Orsola Malpighi di Bologna e l'Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Recentemente l'iniziativa è entrata
in una seconda fase che prevede la partecipazione di quindici centri in Italia. A livello europeo gli obiettivi di
un miglioramento nella diagnosi e terapia del tumore alla prostata vengono perseguiti dall'associazione
Europa Uomo (European Prostate Cancer Coalition), rappresentata in ventidue paesi. Referente italiano
dell'organismo europeo è l'associazione Europa Uomo Italia Onlus.
IL PROGRAMMA PROSTATA DELL'INT DI MILANO Il principale esempio di Prostate Cancer Unit esistente
in Italia è rappresentato dal Programma Prostata dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano, nato nel 2005 e uffi
cializzato come unità operativa nel 2009. Riccardo Valdagni, direttore del programma, ha descritto le modalità
di lavoro della struttura milanese, tra le quali spicca la "prima visita" multidisciplinare del paziente e la
discussione collegiale dei casi, con la partecipazione di medici di numerose specialità. Un effetto di questo
approccio, per i pazienti che giungono all'INT dopo essere già stati visitati altrove, è che talvolta la proposta
terapeutica che è stata fatta in altre strutture viene cambiata. Valdagni ha inoltre segnalato il crescente
ricorso alla modalità di sorveglianza attiva del tumore alla prostata, opzione applicata a una percentuale
sempre maggiore di pazienti.
LA CERTIFICAZIONE DELLE PROSTATE CANCER UNIT Uno dei principali vantaggi offerti dalla creazione
di unità multidisciplinari specializzate nella cura di un singolo organo è la possibilità di convogliare su una
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sola struttura un numero elevato di pazienti affetti dalla stessa patologia, il che consente al personale medico
(radiologi, chirurghi ecc.) di fare pratica su moltissimi casi e quindi di accumulare un'esperienza specifi ca
nella diagnosi e cura di quello specifi co organo. Anche per le nascenti Prostate Cancer Unit - così come già
avviene per le Breast Unit dedicate al tumore della mammella - si dovrà quindi giungere alla defi nizione di
parametri basati sul numero dei pazienti trattati, per distinguere le strutture e i medici realmente specializzati
da quelli che non lo sono. A livello europeo l'obiettivo della defi nizione di requisiti minimi per la certifi cazione
e l'accreditamento delle PCU viene perseguito dalla "Prostate Cancer Unit Initiative in Europe", promossa da
Organization of European Cancer Institutes, European School of Oncology e Deutsche Krebsgesellschaft. A
breve inizierà la fase di certifi cazione, a cui seguirà quella di individuazione degli indicatori di qualità e
successivamente di accreditamento. Ente certifi catore e accreditatore sarà la già citata Organization of
European Cancer Institutes (OECI).
Foto: Giuseppe Ma rtorana
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Ricoveri italiani a macchia di leopardo
In Italia una stessa tipologia di malato può essere gestita in modo anche molto diverso nelle varie Regioni,
ma c'è una tendenza complessiva al miglioramento dell'erogazione appropriata dell'assistenza ospedaliera. È
quanto emerge dal "Rapporto annuale sull'attività di ricovero ospedaliero - Dati Sdo 2013", redatto dal
Ministero della Salute.
PAOLA GREGORI
La raccolta e l'analisi delle informazioni è stata quest'anno particolarmente accurata. Infatti è migliorata la
qualità della compilazione dei moduli ed è diminuito il numero degli errori; la relazione è stata stilata
analizzando i dati di rilevazioni effettuati con un elevato livello di completezza, superiore al 99% per gli istituti
pubblici e privati accreditati. I risultati sono stati ottenuti analizzando complessivamente quasi 10 milioni di
schede. La validità del rapporto è stata quindi rafforzata rispetto allo scorso anno. Il documento si presenta
anche ampliato rispetto ai precedenti, con numerose tavole, sono stati arricchiti soprattutto i capitoli dedicati
agli indicatori di domanda e mobilità e agli indicatori economici. I dati Sdo 2013 dipingono il panorama
disomogeneo di una sanità che vede premiati i suoi sforzi verso una migliore efficienza e appropriatezza dei
servizi a livello nazionale ma che ancora deve fare i conti con profonde disuguaglianze tra le Regioni. Le
differenze per patologia, per genere e per fascia di età Analizzando più in dettaglio i dati, non si può non
notare una marcata differenza in base alla patologia, al genere e alle fasce di età, che dimostra chiare
esigenze da prendere in considerazione nel pianificare risposte più mirate alle necessità della popolazione.
Tra le cause di ospedalizzazione in regime ordinario, la principale è rappresentata dal parto che, pur non
essendo una condizione patologica, è responsabile di 301.440 dimissioni. A seguire le problematiche relative
alle patologie cardiovascolari, come insufficienza cardiaca e shock, quelle respiratorie, come edema
polmonare e insufficienza respiratoria, interventi chirurgici per sostituzione di articolazioni maggiori o
reimpianto degli arti inferiori. La principale causa di ricovero in regime diurno è rappresentata dalla
somministrazione di chemioterapia (non associata a diagnosi secondaria di leucemia acuta) con 1.565.788
giornate (-3,3% rispetto all'anno 2012). È interessante osservare quale sia la distribuzione delle dimissioni in
Italia. Lo studio permette di evidenziare quali siano le fasce d'età più a rischio per uomini e donne. I primi
hanno una maggiore propensione al ricovero entro il primo anno e tra i 70-80 anni, mentre le seconde tra i
30-40 anni e dopo gli 85, con picchi attorni ai 90. Questa differenza di genere è facilmente imputabile ai
momenti più delicati della vita femminile, cioè l'età fertile, con la gravidanza e il parto, e al fatto che la donna
è più longeva. L'attività per acuti in regime ordinario (colore verde) è prevalente in ogni fascia d'età, seguita
dall'attività per acuti in regime diurno. L'attività di riabilitazione risulta invece significativa per pazienti over 60.
Il tasso di ospedalizzazione per acuti è di 104 dimissioni per mille abitanti in regime ordinario e di circa 38 in
quello diurno. Come ci aspettava queste ospedalizzazioni incidono molto più rispetto a quelle per
lungodegenze (tasso: 1,56) e riabilitazione (5,43). Si osserva una discreta variabilità regionale. Se la media
totale italiana delle dimissioni degli acuti è di circa 142 per mille, in regioni come Valle d'Aosta, Molise,
Campania, questo valore supera i 160, scendendo per contro sotto i 130 a in Piemonte, Lombardia, Veneto,
Toscana (figura 2). Il tasso di ospedalizzazione con cui gli uomini vengono ricoverati per episodi acuti in
regime ordinario in media è rio e diurno è pari, rispettivamente, al 7,6% e all'8%, con un lieve incremento
rispetto all'anno precedente. La mobilità per riabilitazione in regime ordinario è del 15,2%, in quello diurno del
10,8%, mentre per la lungodegenza è del 4,2%. Valori, questi, in linea o in lieve diminuzione rispetto all'anno
precedente. La mobilità attiva varia molto: per il regime ordinario va dall'1,7% dei sardi al 27,4% dei molisani,
mentre quella passiva dai 3,7% in Lombardia ai 23,2% di Molise e Basilicata; per il regime diurno si
confermano più a disagio i molisani, con una mobilità attiva del 26,2% (contro lo 0,8% della Sardegna) e una
passiva del 22% (superati solo dalla Basilicata con 28,6%), contro il 4,5% sardo. Nei valori particolarmente
bassi emersi per Sardegna e Sicilia, tuttavia, un ruolo non marginale viene svolto dalla difficoltà oggettiva
degli spostamenti dall'Isola al Continente. È la diagnosi di tumore la spinta più forte verso la ricerca di centri
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Tecnica Ospedaliera - N.10 - novembre 2014
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più specializzati o affidabili: per questa categoria di pazienti il numero di ricoveri per acuti in regime ordinario
è di oltre 560 mila unità, con una mobilità del 9,4% (quasi due punti percentuali in più rispetto a quella
generale), il corrispondente numero per il regime diurno è di quasi 190 mila unità, con una mobilità del 7,4%.
Anche le terapie oncologiche forniscono una forte spinta verso la ricerca di un centro migliore, in particolare
la radioterapia: in questo caso, su un numero di ricoveri per acuti di oltre 14.600 persone in regime ordinario
e 4.300 in quello diurno, la di circa il 10,6%, mentre quello per le donne è di 11,3%, per entrambi i generi i
picchi si raggiungono in Valle d'Aosta, Umbria e in Puglia, tra le regioni più virtuose la P.A. di Trento e il
Veneto. I valori, per il regime diurno, scendono a 3,74% nel maschio contro il 40,38 nell'altro sesso. Più
contenute le differenze di genere per quanto riguarda il tasso di ospedalizzazione per riabilitazione (0,5% per
gli uomini vs 0,56% nelle donne) e per lungodegenza (0,16% vs 0,21%). Tutti i tassi di ospedalizzazione a
livello nazionale per acuti, in regime sia ordinario sia diurno, diminuiscono rispetto all'anno precedente,
tuttavia la variabilità regionale è piuttosto ampia. L'età che richiede maggiore supporto clinico (tabella 1) è
quella dei neonati sotto l'anno, in particolare se di sesso maschile. I piccoli del Molise hanno maggiore
probabilità di ricovero, seguiti dai pugliesi e dagli abruzzesi. Infanzia più tranquilla invece per bimbi trentini,
friulani e soprattutto veneti. Nella terza età comorbidità e maggiore suscettibilità alle malattie portano
nuovamente molti in ospedale, con tassi che crescono a partire dai 65 anni, impennandosi oltre i 75 anni,
soprattutto tra i maschi. La riabilitazione è richiesta soprattutto nella terza età, periodo in cui è molto più
frequente, per ovvi motivi, anche la necessità di lungodegenza. Per capire quanto la regione di appartenenza
sia in grado di soddisfare i bisogni della salute del paziente, è stata poi analizzata la mobilità interregionale.
Complessivamente, a livello nazionale, quella per acuti in regime ordinamobilità è del 27% e del 23,4%.
Anche la chemioterapia fa spesso paura, persino di più nel proprio centro di riferimento: gli oltre 65mila
ricoveri per acuti in regime ordinario e i 164.700 in quello diurno vengono "movimentati" da una mobilità
rispettivamente del 14,6% e del 6,5%. Un discorso a parte va fatto per l'età del paziente. Si è visto che nei
giovani fino ai 17 anni la mobilità per acuto raggiunge l'8,7% in regime ordinario e il 12, 6% per quello diurno.
Efficienza e complessità Il rapporto annuale dedica ampio spazio anche all'analisi dei dati di efficienza. Due
gli indicatori usati: • l'indice comparativo di performance (ICP), cioè il rapporto tra la degenza media
standardizzata per case-mix di un dato erogatore e la degenza media nazionale, che consente di misurare e
confrontare l'efficienza e l'efficacia dei diversi erogatori rispetto allo standard (valori sopra l'unità indicano
efficienza inferiore allo standard poiché a parità di casistica il ricovero è più lunga mentre valori sotto l'unità
efficienza superiore perché la degenza è più breve) • l'indice di case-mix (ICM), cioè il rapporto tra il peso
medio del ricovero di un dato erogatore e quello del ricovero standard nazionale (valori sopra l'unità indicano
una casistica più complessa rispetto allo standard, mentre valori sotto l'unità una complessità maggiore). Dal
confronto di questi due indicatori si ottiene un identikit della situazione nelle varie Regioni, che appare subito
piuttosto disomogenea e pressoché costante rispetto allo scorso anno. Rispetto allo scorso anno le
caratteristiche delle Regioni sono rimaste costanti. Mettendo in un grafico ICM (ascisse) e ICP (ordinate)
(figura 3) si ottengono quattro quadranti. Quello inferiore destro individua le Regioni più virtuose, cioè gli
erogatori ad alta efficienza, con una casistica ad alta complessità e una degenza più breve della media. Tra
queste Emilia Romagna e Toscana. Veneto, Friuli, Lombardia, Marche, Piemonte e Liguria trovano invece
collocamento nel quadrante superiore destro, insieme alle Regioni nelle quali una maggior durata della
degenza non è imputabile a inefficienza organizzativa ma da una maggiore complessità dei casi affrontati.
Campania, Umbria e Sicilia, come le altre Regioni del quadrante inferiore sinistro, sono invece caratterizzate
da una degenza media inferiore alla media, determinata però dal ricovero di casi meno complessi, non da
elevata efficienza organizzativa. Fanalino di coda le Regioni localizzate nel quadrante superiore sinistro,
come Valle d'Aosta, Molise, Lazio, Abruzzo, Sardegna e Calabria. Secondo i dati ricavati, infatti, in queste
zone sarebbe auspicabile un intervento attivo per migliorare l'efficienza organizzativa in quanto la durata della
degenza è più alta dello standard nonostante la complessità della casistica trattata sia inferiore. Indicatori di
efficacia e appropriatezza Esiste una stretta correlazione tra il ricorso inappropriato alle strutture ospedaliere
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e l'inadeguatezza del livello territoriale. L'analisi di indicatori di appropriatezza organizzativa (come per
esempio la percentuale di dimissioni da reparti chirurgici o di ricoveri diurni diagnostici, entrambe con Dgr
medico) possono fornire indicazioni non solo sul corretto uso del setting ospedaliero ma anche sulle capacità
assistenziali degli altri livelli di assistenza. Di conseguenza questo rapporto dà ampio spazio all'analisi della
qualità, dell'efficacia, dell'appropriatezza clinica e organizzativa dell'assistenza ospedaliera. A questo
proposito sono stati analizzati i tassi di ospedalizzazione per varie condizioni cliniche, laddove valori più bassi
indicano una migliore efficienza dell'assistenza sanitaria, sia come efficacia dei servizi territoriali sia come
ridotta inappropriatezza del ricorso all'ospedalizzazione. Per quanto riguarda l'inappropriatezza clinica, un
esempio emblematico può essere quello del parto che, come detto, è la prima causa di ricovero. È infatti
interessante notare che, sebbene il valore nazionale dei cesarei (sul totale dei parti) sia del 36,3%, esista una
forte discrepanza interregionale. Si distinguono Regioni in cui pare che l'uso di questa tecnica sia eccessivo:
nella Campania, per esempio, la percentuale sale al 61,4%, nel Molise al 47,3%, in Puglia e in Sicilia a quasi
il 45%. Dati sconcertanti se paragonati a quelli del Friuli, con il 23,4, delle P.A. di Trento e Bolzano, della
Toscana, con circa il 25%, del Veneto con il 26,6%, della Lombardia con il 28,5%. Discrepanze tali da essere
difficilmente non imputabili a inappropriatezza clinica. Per avere un'idea della ridotta accessibilità e
funzionalità dei servizi territoriali, e quindi delle lacune da colmare, si può vedere il tasso di ospedalizzazione
(TO) nelle singole malattie. A incidere maggiormente sono le malattie cardiache (TO=339/100.000 italiani
adulti, TO=1.197/100.000 anziani over 65). Anche qui però la situazione può variare in modo importante. Un
abruzzese, per esempio, ha un rischio molto maggiore (TO=485/100.000 italiani adulti, TO=1.695/100.000
anziani over 65) rispetto a un sardo (TO=270/100.000, e per gli over 65 TO=999/100.000) o a un toscano
(TO=292/100.000, e per gli over 65 TO=940/100.000). Anche il diabete non controllato fa danni
(TO=16/100.000), con picchi nella P.A. di Bolzano, in Sardegna e in Emilia Romagna. Nel caso di
complicanze questi valori salgono molto (TO=31,6% su scala nazionale) con picchi in Puglia e Lombardia. Un
problema consistente è rappresentato anche dalle malattie polmonari croniche (TO=87/100.000), con una
punta di 157,5/100.000 in Valle d'Aosta, ma con Regioni virtuose (con TO attorno ai 50) come Piemonte, P.A.
Trento, Toscana. Tra gli indicatori di rischio in ambito ospedaliero al primo posto si collocano i traumi ostetrici
in parto naturale con l'ausilio di strumenti (2.607/100mila dimissioni in regime ordinario). Dare alla luce un
bambino è più pericoloso nella P.A. di Trento (6.111/100.000), nelle Marche (6.622/100.000), in Veneto
(4.638/100.000) e in Emilia Romagna (4.568/100.000), mentre è più sicuro in Umbria (446/100.000). Al
secondo posto sempre i traumi ostetrici in parto naturale, ma senza l'ausilio di strumenti (775,4/100.000),
soprattutto nelle Marche (2037/100.000), in Friuli (1381/100.000), nel Molise (1366/100.000) e in Veneto
(1329/100.000). Al terzo posto si collocano le dimissioni in regime ordinario con diagnosi secondarie di
infezioni post chirurgiche (220/100.000): Abruzzo (85,6/100.000) e Molise (82/100.000) sono virtuose, mentre
fanalini di coda sono Emilia Romagna (350,5/100.000), Toscana (329/100.000) e Liguria (326/100.000).
Indicatori economici Il report 2013 si presenta arricchito e riorganizzato nei contenuti nel capitolo dedicato agli
indicatori economici. In particolare, i dati vengono raggruppati e viene riportata la distribuzione della
remunerazione teorica delle prestazioni ospedaliere per età e genere, dettagliata nella composizione per tipo
di attività e regime di ricovero. Emerge subito che la quasi totalità della spesa ospedaliera è dovuta ai ricoveri
per acuti in regime ordinario. Nuovamente si nota un'asimmetria tra maschi e femmine: il massimo relativo è
per le donne in età fertile, per gli uomini invece si nota un incremento più rapido a partire dai 50 anni, per
raggiungere il picco tra i 70 e gli 80 anni, superata questa età si assiste a un rapido decremento, che
probabilmente può essere spiegato, almeno in parte, dalla diversa aspettativa di vita tra i due generi. I punti di
massimo si osservano nelle over 90 (circa 600 milioni di euro), e per i neonati sotto l'anno (quasi 500 milioni
di euro per i maschi e quasi 400 per le bambine), infine negli anziani tra i 70 e gli 80 anni (300-400 milioni
euro per gli uomini, 300 milioni per le donne). La remunerazione complessiva si attesta su un totale di circa
29,1 miliardi, così suddivisi: circa 26,6 miliardi di euro per l'attività per acuti (gran parte richiesti per il regime
ordinario), poco più di 2 miliardi per l'attività di riabilitazione e circa 455 milioni per la lungodegenza. Nella
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distribuzione della remunerazione teorica per le attività per acuto si nota una maggiore richiesta da parte
degli istituti privati (26,6 miliardi) rispetto a quelli pubblici (20,4 miliardi). In entrambi i casi la fetta maggiore va
alla Lombardia (2,96 miliardi nel pubblico e 4,4 nel privato), mentre fanalino di coda è la Val d'Aosta,
probabilmente anche per la popolazione meno numerosa (poco più di 60 mila euro nel pubblico e di 63 mila
nel privato). Indicatori per il controllo esterno I dati raccolti sono stati anche usati per effettuare valutazioni
generali su alcuni fenomeni che riguardano i ricoveri per acuti in regime ordinario. In particolare sono stati
raccolti i dati relativi ai casi di trasferimento verso un altro istituto di cura entro i primi due giorni di ricovero, le
percentuali di casi complicati, di casi con Drg 469 e 470, con Drg atipici, quali l'intervento chirurgico non
correlato con la diagnosi principale esteso (468), sulla prostata (476) e non esteso (477). La percentuale di
trasferiti è simile a quelli dell'anno precedente, pari a un valore nazionale complessivo di circa 1,4% e di 0,7%
entro il secondo giorno. Per individuare eventi comportamentali opportunistici nella compilazione della scheda
di dimissione ospedaliera, come per esempio forzare l'attribuzione del ricovero a un Drg di maggiore
complessità e, conseguentemente, più remunerativo, si è valutata la percentuali di casi complicati, che
misura la quota di ricoveri afferenti ai Drg omologhi (medesima diagnosi o intervento ma distinti da presenza
o meno di ulteriori patologie complicanti) con complicanze rispetto al totale di ricoveri afferenti ai Drg
omologhi. Il valore medio nazionale è di circa il 32%, stabile rispetto all'anno precedente, e la variabilità
regionale va dal 25,7% della Lombardia al 41,3% della Liguria. Analoghi al 2012 anche i singoli valori
regionali.
Confronto 2012-2013 Nel complesso, dall'analisi dei dati storici sull'assistenza ospedaliera, emerge un trend
positivo: il numero complessivo dei ricoveri e delle giornate erogate è in diminuzione a partire dal 2005. In
particolare, da un confronto con l'anno precedente si osserva che nel 2013 sono calate le ospedalizzazioni, la
loro durata e l'attività totale effettuata per gli acuti. Guardando i dati, rispetto al 2012 si è ridotto il numero
complessivo dei ricoveri ordinari per acuti del 2,9% e di quelli in regime diurno del 7,6%, con una
corrispondente diminuzione delle giornate di degenza, rispettivamente, del 3,5% e del 7,9%. Appare quindi
probabile una migliore efficacia del sistema di assistenza in generale nella cura del paziente. Da diversi anni
la degenza media per acuti si mantiene costante intorno al valore di 6,7-6,8 giorni, mentre notizie positive per
quanto riguarda quella per Riabilitazione e per Lungodegenza, in decremento dal 2009. Sempre rispetto al
2012, i ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza in regime ordinario sono diminuiti del 24%, cioè del doppio
della riduzione osservata nel 2012, e quelli in regime diurno di circa il 10%. Dati molto positivi che fanno ben
sperare per l'efficacia delle modifiche gestionali attuate. Per quanto riguarda le singole patologie, rispetto al
2012 si è ridotto il ricorso all'ospedalizzazione per le malattie polmonari croniche, per il diabete, sia non
controllato sia con complicanze, per l'asma nell'adulto, per l'inuenza nell'anziano e per le patologie correlate
all'alcool. Per esempio, l'ospedalizzazione per insufficienza cardiaca si riduce di circa 4 punti per 100mila
abitanti negli italiani adulti, e di 28 punti per 100mila abitanti negli anziani over 65, quella per amputazione nei
pazienti diabetici diminuisce di circa 0,7 punti per 100mila italiani. L'attività totale per gli acuti si è ridotta
complessivamente del 4,3%: la diminuzione va da un minimo di 1,5% in Abruzzo e di 1,8% in Campania a un
massimo di circa 11% in Sicilia e di 9,5% in Calabria, unica eccezione in Valle d'Aosta, dove aumenta del
3,2%. Questa omogeneità nel Bel Paese si apprezza anche per quanto riguarda la composizione dell'attività
per acuti, che complessivamente si è ridotta dal 27,1% al 26,1% del totale nel regime diurno, fanno
eccezione, con una leggera crescita in controtendenza: Marche, Valle d'Aosta, Campania, Lazio e Abruzzo.
Le diminuzioni più consistenti si sono osservate in Sicilia, Basilicata e P.A di Trento. Il tasso di
ospedalizzazione per acuti in Italia si riduce da 108 a 104 dimissioni per mille abitanti in regime ordinario e da
circa 42 a circa 38 in quello diurno. Valori di ospedalizzazioni più bassi confermano una migliore assistenza
sanitaria nel suo complesso, sia come efficacia dei servizi territoriali, sia come ridotta inappropriatezza del
ricorso di ospedalizzazione.
Tabella 1. Tassi di ospedalizzazione per fasce d'età, tipo attività e regime di ricovero (per mille
abitanti), anno 2013 Fasce d'età Acuti Riabilitazione Lungodegenza Regime ordinario Regime diurno
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Regime ordinario Regime diurno Meno di un anno Da 1 a 4 anni Da 5 a 14 anni Da 15 a 24 anni Da 25 a 44
anni Da 45 a 64 anni Da 65 a 74 anni 75 anni e oltre Totale Tassi di ospedalizzazione calcolati sui soli
ricoveri di residenti in Italia e dimessi da strutture pubbliche e provate accreditate. Esclusi i casi con tipo di
attività, regime di ricovero o genere errati. La voce "lungodegenza" comprende le dimissioni in regime
ordinario e regime diurno.
Foto: Tasso di ospedalizzazione standardizzato per età e genere Attività per acuti in regime ordinario e diurno
- Anno 2013 225 Attività per acuti in regime ordinario - Anno 2013
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SICUREZZA SERGIO ROVESTI docente di Igiene generale e applicata
Viene ricostruita la situazione relativa ai limiti di esposizione agli anestetici alogenati. L'esposizione agli
anestetici attualmente in uso deve essere mantenuta al livello più basso possibile. Una recente rassegna
della letteratura conclude affermando che l'esposizione professionale agli anestetici inalatori non è senza
rischio (1). Il datore di lavoro è quindi tenuto a valutare i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori
derivanti dalla presenza di tali anestetici aerodispersi all'interno delle sale operatorie, prendendo in
considerazione tra l'altro i valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici (2). Con questo
articolo si cerca di fare il punto sui limiti di esposizione professionale agli anestetici alogenati. La circolare
ministeriale n. 5 del 14.3.1989 riporta i limiti di esposizione professionale proposti dall'ACGIH (American
Conference of Governmental Industrial Hygienists) e dal Niosh (National Institute for Occupational Safety and
Health) (3). Riguardo agli anestetici alogenati, la circolare riferisce che l'ACGIH prevede un TLV-TWA
(Threshold Limit Value - Time-Weighted Average) per alotano (50 ppm) ed enuorano (75 ppm) e che il Niosh
ha consigliato, nella seconda metà degli anni Settanta, un limite di 2 ppm (valore ceiling) per l'insieme degli
anestetici alogenati. Si può rilevare come il valore del Niosh sia notevolmente inferiore a quelli dell'ACGIH.
Documenti Niosh Sulla base di documenti del Niosh, compreso quello pubblicato nel 1977 (4), riguardo al
valore di 2 ppm si può osservare quanto segue: è un REL-C (Recommended Exposure Limit-Ceiling) con
l'indicazione di [60-minute] come periodo di riferimento, è stato definito analizzando campioni medi (periodo di
campionamento non superiore a 1 ora), si può abbassare a 0,5 ppm in caso di coesposizione a protossido
d'azoto ed è stato determinato per gli anestetici di vecchia generazione quali alotano, metossiuorano ed
enuorano. ACGIH, NIOSH e nuovi anestetici Per gli anestetici di nuova generazione sviluppati a partire dagli
anni 1980 e utilizzati nella pratica clinica attuale, ossia isouorano, desuorano e sevouorano, né l'ACGIH né il
NIOSH hanno proposto limiti di esposizione professionale. A questo riguardo, nel 2006 il Niosh ha pubblicato
un avviso per la raccolta di informazioni utili per stabilire un REL per i nuovi anestetici (5). Lavori scientifici La
sopra citata circolare del 1989 prevede per l'isouorano un valore urinario di riferimento uguale a 18 nmoli/l
(dosato nelle urine prodotte in 4 ore di esposizione e prelevate alla fine dell'esposizione). Questo limite
biologico è uguale a quello suggerito da Imbriani et al. nel 1988 e ottenuto dopo 4 ore di esposizione
ambientale media a 2 ppm di anestetico (6). Valori urinari corrispondenti a 2 ppm di concentrazione
ambientale media sono stati messi a punto anche per desuorano e sevouorano (7,8). L'esame di lavori italiani
pubblicati su riviste censite da PubMed evidenzia come l'esposizione professionale agli anestetici di nuova
generazione venga valutata misurando o calcolando valori mediati nel tempo (periodi di esposizione
solitamente superiori a un'ora) che vengono confrontati con il limite di 2 ppm proposto dal Niosh per gli
anestetici di vecchia generazione. Infatti, tenuto conto che gli anestetici alogenati sono paragonabili tra loro,
si ritiene che per interpretare i dati del monitoraggio ambientale dell'esposizione ai nuovi anestetici si possa
utilizzare il limite di 2 ppm stabilito per i vecchi anestetici (7,9). Linee guida Ispesl e norma Uni La circolare
sopra indicata è citata in due documenti relativamente recenti, ossia le linee guida ISPESL (ex Istituto
Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro ora Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli
Infortuni sul Lavoro e le Malattie Professionali) del 2009 (10) e la norma Uni (Ente Nazionale Italiano di
Unificazione) del 2011 (11). Questi documenti considerano il limite di 2 ppm (valore ceiling) di anestetico
come un TLV-C (Threshold Limit Value - Ceiling). Riguardo al TLV, si può osservare che TLV un marchio
registrato di ACGIH e che non risulta che l'ACGIH abbia proposto un TLV-C per gli anestetici alogenati. Tali
documenti interpretano quindi il Niosh REL-C 2 ppm [60-minute] come ACGIH TLV-C 2 ppm, con la
conseguenza che il limite di 2 ppm di anestetico, quale valore di punta, non dovrebbe essere superato in
qualsiasi momento dell'esposizione lavorativa. Quest'ultima osservazione può essere importante per la
gestione di dati istantanei di anestetico eccedenti 2 ppm, misurati in particolare durante sedute di chirurgia
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Anestetici alogenati Limiti di esposizione professionale
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pediatrica con induzione e/o mantenimento dell'anestesia in maschera. Conclusioni Nell'attesa dell'eventuale
definizione di limiti di esposizione professionale a isouorano, desuorano e sevouorano da rispettare nel
nostro Paese, il datore di lavoro deve adoperarsi affinché il rischio sia eliminato o ridotto al minimo e, se
necessario, scegliere i valori limite di riferimento scientificamente più appropriati. TESTO UNICO SULLA
SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO Isouorano, desuorano e sevouorano non figurano (l'ultimo
aggiornamento è del 2012) nell'elenco degli agenti chimici di cui all'allegato XXXVIII del D.Lgs 81/2008,
recante i valori limite di esposizione professionale (12).
BIBLIOGRAFIA 1) Tanguay C, Penfornis S, Métra A, Bédard S, Mathews S, Bussières J-F. Exposition
professionnelle aux gaz anesthésiques pour inhalation - Partie 1. Bulletin d'information toxicologique
2012;28:20-37 2) D.Lgs 9.4.2008, n. 81. Attuazione dell'articolo 1 della legge 3.8.2007, n. 123, in materia di
tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Decreto integrativo e correttivo: GU n. 180 del
5.8.2009 - SO n. 142/L 3) Circolare 14.3.1989, n. 5. Esposizione professionale ad anestetici in sala operatoria
. Ministero della Sanità (Dir. Gen. S.I.P. - Div. III n. 403/13.2/380) 4) Niosh. Criteria for a recommended
standard: occupational exposure to waste anesthetic gases and vapors . US Department of Health, Education
and Welfare , Niosh, Pub. No. 77-140. Cincinnati (OH), Niosh, 1977 5) Hall A. Request for information on
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environmental and biological measurements in operating room personnel . J Toxicol Environ Health
1988;25:393-40 7) Alessio A, Zadra P, Negri S, Maestri L, Imberti R, Ghittori S, Imbriani M, Cavalleri A.
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Accorsi A, Morrone B, Domenichini I, Valenti S, Raffi GB, Violante FS. Urinary sevourane and hexauoroisopropanol as biomarkers of low-level occupational exposure to sevourane . Int Arch Occup Environ Health
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di sicurezza e di igiene del lavoro nel reparto operatorio . Roma, Ispesl, 2009 11) Norma Uni 11425:2011.
Impianto di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata (VCCC) per il blocco operatorio
Progettazione, installazione, messa in marcia, qualifica, gestione e manutenzione . Milano, Uni, 2011 12) D.
Interm. 6.8.2012. Recepimento della direttiva 2009/161/UE della Commissione del 17.12.2009 che definisce il
terzo elenco di valori indicativi di esposizione professionale in attuazione della direttiva 98/24/CE del
Consiglio e che modifica la direttiva 2009/39/CE della Commissione. GU n. 218 del 18.9.2012
VITA IN FARMACIA
19 articoli
21/11/2014
Corriere della Sera - Milano
Pag. 5
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Nel mirino la Fondazione Sviluppo Ca' Granda chiamata a gestire oltre un miliardo di terreni dell'ospedale Ieri
resa dei conti al Pirellone. La Regione: no alla deregulation negli appalti. Polemiche anche sulle nomine
Simona Ravizza
Oltre 1 miliardo di euro di beni pubblici, terreni agricoli, cascine, case coloniche è destinato a uscire dal
Policlinico per confluire in una scatola privata, la fondazione Sviluppo Ca' Granda . L'annuncio della delicata
operazione sul patrimonio rurale è dei mesi scorsi, ma ieri, al rush finale, si è scatenato uno scontro ai
massimi livelli. L'Avvocatura regionale e l'assessorato della Sanità di Mario Mantovani contro la presidenza
del Policlinico, guidata da Giancarlo Cesana, leader storico di Cl e dal luglio 2009 a capo dell'ospedale.
Per il Pirellone la questione richiede grande attenzione. Con il passaggio di cascine e terreni alla fondazione
Sviluppo Ca' Granda , tutti quei beni - frutto di sei secoli di lasciti e donazioni - potrebbero essere gestiti
senza più gare di appalto pubbliche, né concorsi per le assunzioni. È quello che, secondo i ben informati, la
Regione vuole evitare. Non solo: al centro del conflitto c'è anche la governance della Fondazione. A Palazzo
Lombardia viene considerata inopportuna la nomina annunciata di Achille Lanzarini, destinato a ricoprire il
ruolo di direttore generale del nuovo ente. Oggi Lanzarini è il coordinatore dell'Ufficio del patrimonio del
Policlinico e negli ultimi due anni, con un contratto di collaborazione, ha guidato le scelte sui progetti di
valorizzazione degli immobili e dei terreni (come lo sgombero di viale Montello 6 e la creazione di un fondo
per la vendita e il social housing delle case e dei palazzi, con Cassa depositi e prestiti e Fondazione Cariplo).
Ma ci sono perplessità sul manager, proprio per la vicinanza ai vertici del Policlinico: Lanzarini è il marito della
portavoce di Cesana, Paola Navotti.
Toni di voce alti, due ore di riunione animata al Pirellone. Il risultato? L'operazione immobiliare si farà, ma con
garanzie di procedure ad evidenza pubblica. Il Policlinico è stato obbligato a precisare nello statuto della
nuova Fo ndazione Sviluppo Ca' Granda che applicherà per gli acquisti il codice degli appalti pubblici e che
non potrà acquistare direttamente macchinari e materiale per la ricerca. La Sviluppo Ca' Granda si candida,
infatti, a produrre soldi proprio per la ricerca del Policlinico: ma tutti i fondi raccolti dovranno essere erogati in
contanti, non con beni acquistati. Il timore è che insieme alla gestione dei terreni si possano avviare business
che sfuggano ai controlli pubblici. Del resto la posta in gioco è alta: 85 milioni di metri quadrati (l'1%
edificabile) 90 cascine, 300 case ex coloniche.
Il cda della Fondazione Sviluppo Ca' Granda sarà, comunque, lo stesso del Policlinico. Nel marzo 2014,
quando è stata illustrata per la prima volta l'operazione, l'ospedale aveva denunciato una serie di criticità sul
patrimonio rurale: « Deprezzamento dei canoni, degrado dei fabbricati e 170.000 metri quadrati di amianto».
Di qui l'affondo: «La gestione di una proprietà fondiaria così importante richiede competenze nel settore
immobiliare e agronomico, che esulano dalle competenze sanitarie».
Fin qui le polemiche sui terreni. Ma il patrimonio del Policlinico è composto anche da palazzi e case, per un
valore di 400 milioni. Dall'11 novembre gli edifici sono confluiti in un fondo immobiliare gestito da Polaris Real
Estate. L'ospedale detiene il 62% delle quote; il 33% l'ha acquistato Cassa Depositi e Prestiti, con un
investimento di 110 milioni; il 5% è di Fondazione Cariplo, con 17,5 milioni. Così il Policlinico ha incassato la
metà dei soldi necessari per la costruzione del nuovo ospedale (pari a 200 milioni). Gli altri saranno reperiti
con la vendita di alcuni palazzi .
SimonaRavizza
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Le proprietà della Ca' Granda Palazzi e appartamenti Terreni agricoli LE QUOTE Valore complessivo 1.390
appartamenti 300 case ex coloniche 85 milioni di metri quadrati in 65 palazzi d'Arco Valore complessivo 53%
costruiti tra il 1870 e il 1900 29% costruiti tra il 1901 e il 1940 18% costruiti dopo il 1940 Ospedale Policlinico
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Scontro al vertice sul «tesoro» del Policlinico
21/11/2014
Corriere della Sera - Milano
Pag. 5
(diffusione:619980, tiratura:779916)
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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110 mila metri quadrati Fondo Immobiliare Ca' Granda è stato costituito l'11 novembre 2014 Il Fondo è
gestito da Polaris Real Estate Sgr, società di gestione del risparmio specializzata in fondi etici dedicati al
social housing 62% Fondo Investimenti per l'Abitare - FIA (gestito da CDP Investimenti Sgr) 33%
Investimento di 110 milioni di euro 5% Fondazione Cariplo 400 milioni di euro 1,1 miliardi di euro 90 cascine
Fondazione Sviluppo Ca' Granda Sarà dotata del diritto di usufrutto temporaneo (30 anni) del patrimonio
rurale, non della proprietà La governance della Fondazione Sviluppo Ca' Granda è in capo al consiglio di
amministrazione Investimento di 17,5 milioni di euro
La vicenda
I vertici del Policlinico hanno promosso due operazioni sul patrimonio immobiliare Le case e i palazzi sono
confluiti in un fondo immobiliare, i terreni in una fondazione di diritto privato
Foto: Il confronto Giancarlo Cesana ( sopra ), presidente del Policlinico; Mario Mantovani, assessore
regionale alla Salute
21/11/2014
La Repubblica - Bologna
Pag. 9
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Sicurezza, patto prefettura- Federfarma arrivano nuove telecamere anti
rapina
LA PREFETTURAe Federfarma si alleano per contrastare le rapine in farmacia. Il prefetto Ennio Mario
Sodano e il presidente di Federfarma Bologna, Massimiliano Fracassi, ieri hanno sottoscritto un protocollo
d'intesa per aumentare la sicurezza dei negozi con l'installazione di sistemi di videoallarme collegati con le
forze dell'ordine. Federfarma avrà il compito di informare gli associati sulle opportunità a disposizione, mentre
la prefettura curerà gli aspetti di informazione e raccordo con le forze di polizia nei luoghi dove saranno
installati gli impianti. Prevista pure un'attività congiunta di monitoraggio del sistema per apportare eventuali
migliorie. «Gli strumentia disposizione sono tra le cose migliori che si possono fare per mettere in campo dei
deterrenti contro i malintenzionati - dice il prefetto Sodano - Servirà l'impegno di Federfarma perché gli
strumenti tecnici delle farmacie dovranno dialogare con i nostri». Fracassi ricorda che a livello nazionale le
farmacie sono al terzo posto nella classifica degli esercizi che subiscono più rapine. «Spesso sono anche
isolate e per questo diventano obiettivo di azioni criminose. Questo accordo dà tranquilllità a noi e ai nostri
clienti, faremo tutto quello che si potrà fare perché diventi subito operativo».
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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L'ACCORDO
21/11/2014
La Repubblica - Bologna
Pag. 19
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Politici, annunci e Sanità
DA quanti anni ormai ci troviamo a lottare contro le liste d'attesa nella Sanità, delle difficoltà che incontra un
cittadino che voglia effettuare accertamenti diagnostici in strutture pubbliche o quando ci vengono proposte
destinazioni assurde. Poi d'improvviso ecco il miracolo. A venti giorni dalle elezioni regionali il signor
Bonaccini e l'assessore Lusenti in un'intervista pubblicata su Repubblica il 2 novembre, annunciano "uno
strategico piano di intervento per la soluzione dell'annoso e scandaloso problema". Alla lettura dell'articolo mi
sono chiesta: ma questi signori dove sono stati fino ad oggi? Non ho mai avuto occasione di conoscere
Bonaccini ma mi risulta essere da tempo consigliere regionale; per quanto riguarda il dott.
Lusenti, ho avuto occasione in questi anni di segnalargli casi di malasanità, disservizi per quanto riguarda le
liste d'attesa e, non ultimo, la grave situazione di disagi e disservizi, venutasia creare con la chiusura tre
giorni la settimana del Cup del Poliambulatorio di Baricella, peraltro attivata senza nessuna informazione
preventiva e in assenza di servizi alternativi. Nella risposta data da Lusenti alla interrogazione presentata dal
consigliere Bignami, si evidenzia chiaramente una mancanza assoluta di conoscenza del territorio di Baricella
e, alla mia e-mail a lui inviata con la quale lo invitavo a informarsi e ad ascoltare le richieste dei cittadini che si
erano mobilitati e, a far sì che le risorse venissero ridistribuite in maniera più equa, a tutto questo non ha dato
nessuna risposta.
Si raggiunge il ridicolo quando, nella parte dell'intervista riguardante le garanzie, Lusenti cita: "dovrà essere
garantito l'accesso negli ospedali più vicini". Ma non era lui che sentenziava che la chiusura della Maternità
dell'ospedale di Porretta non sarebbe stata un problema in quanto le donne in attesa di un bambino potevano
tranquillamente partorire all'ospedale Maggiore? Cari signori, è finita l'epoca delle promesse elettorali, i
cittadini sono stanchi e arrabbiati.
Diana Zanetti
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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LE LETTERE [email protected]
21/11/2014
La Repubblica - Milano
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
I terreni del Policlinico affidati a un ente privato Scontro con la Regione
Cesana vuole come direttore il marito della sua portavoce L'assessorato impone la procedura pubblica per gli
appalti Sul tappeto la gestione di aree agricole che valgono 800 milioni di euro
ALESSANDRA CORICA
GIORNATA di tensione tra il Policlinico di Milano e la Regione. Al centro, la questione del patrimonio
dell'ente.
Che, con i suoi 85 milioni di metri quadrati di terreni agricoli, è il principale proprietario fondiario della
Lombardia. La direzione della struttura ha deciso di creare un ente parallelo, la Fondazione sviluppo, con lo
stesso cda e lo stesso presidente del Policlinico, ma un altro direttore generale. Obiettivo: far fruttare il
patrimonio fondiario e destinare gli utili alla ricerca. Palazzo Lombardia a luglio ha approvato il progetto con
una delibera ad hoc, salvo poi negli ultimi giorni frenare sull'ok allo statuto del nuovo ente. Che, pur essendo
fondato da un ente pubblico quale il Maggiore, sarà una fondazione di diritto privato. Di qui i dubbi, e lo
scontro tra l'ospedale - guidato dal ciellino Giancarlo Cesana - e Palazzo Lombardia. E le modifiche apportate
ieri, al termine di un vertice tra i tecnici della direzione generale Salute, gli avvocati della Regione e la
direzione del Policlinico, al regolamento del nuovo ente.
Il progetto della Fondazione sviluppo è stato elaborato da via Sforza per far fruttare il tesoretto da 800 milioni
di euro rappresentato dal patrimonio rurale dell'ospedale. Un progetto ambizioso, che rientra in quello più
ampio di valorizzazione del patrimonio del Policlinico che ha portato nei mesi scorsi anche alla creazione di
un fondo immobiliare, il Fondo Ca' Granda, per gestire le case dell'ospedale: due settimane fa la Cassa
depositi e prestiti è entrata ufficialmente nel progetto, versando oltre 100 milioni di euro. Un'operazione
apprezzata dalla Lega: «In un periodo di così grave crisi economica il "Fondo Ca' Granda" interviene sul
territorio milanese con un investimento da quasi 350 milioni», ha detto il leghista Massimo Garavaglia,
assessore al Bilancio.
La creazione della nuova fondazione, che dovrà occuparsi anche del patrimonio artistico (la quadreria del
Policlinico conta oltre mille opere), rientra allora in questa operazione. Ma ha sollevato non pochi dubbia
Palazzo Lombardia. Soprattutto sul fronte della trasparenza della governance della nuova fondazione. La
Regione ha chiesto che il nuovo ente, seppur di diritto privato, applichi il codice pubblico degli appalti, e che
non acquisti materiali e macchinari all'ospedale, ma si limiti a erogare i fondi necessari (a garanzia che gli utili
ricavati dai terreni siano usati solo per la ricerca e l'assistenza). Sul piatto, anche la nomina del direttore del
nuovo ente: l'incarico nelle intenzioni del Policlinico dovrebbe essere assegnato ad Achille Lanzarini, uomo
vicinoa Cesana (è sposato con Paola Navotti, portavoce del presidente del Policlinico) e già al lavoro
all'ospedale da alcuni anni, nell'ufficio che gestisce il patrimonio e che ha condotto anche le operazioni di
sgombero degli stabili di via Canonica e Montello, per molti anni "in mano" alla 'ndrangheta. Gli stabili sono
stati venduti l'anno scorso alla Cassa depositi e prestiti per 17 milioni di euro. La nomina di Lanzarini, in quota
Comunione e liberazione, non avrebbe convinto appieno i vertici regionali: di qui, la tensione delle ultime ore.
Quello del patrimonio del Policlinico è un tema che suscita polemiche da anni. L'ospedale oltre ai terreni
agricoli possiede anche 1.390 immobili. Tra questi, molti appartamenti a Milano che, come raccontato da
Repubblica, sono in affitto con canoni inferiori a quelli di mercato, seppur situati in zone di pregio. «Non c'è
nessuno scandalo - replicano i vertici del Maggiore, il presidente Cesana e il direttore Luigi Macchi - perché il
problema della fondazione Irccs è noto da anni. Come da anni è noto che l'attuale cda lo sta affrontando. E
anche comunicando: nel 2011 la Fondazione ha avviato la cosiddetta operazione trasparenza, mettendo a
disposizione tutti i dati». Anche perché, i canoni di affitto, dicono dall'ospedale, possono essere a canone
libero o concordato (con i sindacati), «e il canone dei contratti a canale libero è stato fissato tramite bando
pubblico con base d'asta definita dalla valutazione dell'Agenzia delle Entrate».
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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La sanità
21/11/2014
La Repubblica - Milano
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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GIANCARLO CESANA Presidente della fondazione Policlinico MASSIMO GARAVAGLIA Assessore
regionale al bilancio, leghista LE FACCE PER SAPERNE DI PIÙ www.policlinico.mi.it www.istitutotumori.mi.it
Foto: VIA SFORZA L'ingresso del Policlinico: contestata la nuova fondazione che gestirà i suoi beni immobili
21/11/2014
La Repubblica - Palermo
Pag. 6
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Slitta la chiusura dei piccoli ospedali L'Ars: "Prima la pagella a tutti i
reparti"
PASSA la risoluzione "salva-ospedali" in commissione Sanità dell'Ars. E al governo Crocetta non resta che
accettare uno stop al piano di riordino che prevedeva l'alleggerimento immediato della rete ospedaliera. Il
testo, passato con il parere favorevole della giunta regionale, impegna l'assessorato alla Salute a procedere
a una valutazione preventiva di tutti i reparti siciliani, sia pubblici sia privati. Nei fatti viene per ora scongiurata
la prevista chiusura di otto piccoli ospedali.
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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IL PROVVEDIMENTO
21/11/2014
La Repubblica - Roma
Pag. 15
(diffusione:556325, tiratura:710716)
" Farmacie comunali in sciopero contro la privatizzazione"
SCIOPERO dei lavoratori Farmacap contro la privatizzazione della società capitolina che gestisce 44
farmacie comunali, un asilo nidoe servizi sociali. «Il 27 novembre gli oltre 350 lavoratori Farmacap saranno in
sciopero e manifesteranno in Campidoglio per chiedere al sindaco e alla sua maggioranza di mantenere la
promessa di rilanciare l'azienda speciale pubblica spiega Nando Simeone, delegato Filcams Cgil Farmacap quel giorno si fermeranno le farmacie, l'asilo nido e i servizi sociali».
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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LA VERTENZA
21/11/2014
La Stampa - Torino
Pag. 55
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Roma: sì alla riforma "Assunzioni dal 2015" Tensioni sul territorio
ALESSANDRO MONDO
Roma approva, il Piemonte ribolle. Via libera dal ministero al piano di revisione della rete ospedaliera
approvato mercoledì dalla giunta regionale. Apprezzamento totale per il cambio di passo della Sanità
piemontese, a detta dell'assessore Saitta, affiancato dal direttore dell'assessorato Moirano: pare che la
riforma degli ospedali, unita alla chiusura dei bilanci 2011 e 2012 delle Asl abbia fatto breccia. Risultato: entro
fine anno verrà formalizzata alla Regione la possibilità di derogare in parte al blocco del turn-over per le
assunzioni di medici e infermieri. «Da gennaio, sempre nel rispetto dei conti delle Asl, dovremmo poter
assumere», annuncia Saitta. I direttori
Sempre ieri si è chiuso il bando per i nuovi direttori generali delle Asl: 200 le domande arrivate da tutta Italia.
«Sarebbe interessante scoprire dov'è finita la proposta di legge sulla trasparenza preparata prima delle
elezioni regionali dal capogruppo del Pd Gariglio, con la collaborazione dei radicali», incalza Giulio Manfredi,
segretario Associazione radicale Adelaide Aglietta. Le opposizioni
Ieri è stata anche la giornata delle prime tensioni, in Regione e sul territorio. Levata di scudi a Moncalieri per
la chiusura dell'emodinamica, con il supporto dei Cinque Stelle (Bertola): il vicesindaco Paolo Montagna
minaccia un presidio permanente e, fin da subito, una raccolta firme; Saitta apre al confronto con
l'amministrazione. In Consiglio regionale Forza Italia (Pichetto) chiede una seduta straordinaria sulla riforma
degli ospedali: i berlusconiani e i Cinque Stelle, irritati dalle lungaggini nella trasmissione della delibera,
hanno fatto ostruzionismo in commissione Bilancio. Le accuse dei Cinquestelle
Particolarmente duro lo scontro con il M5S (Bono, Batzella), che sulla base di un primo esame della delibera,
accusano l'assessorato di voler sopprimere anche il servizio di oncologia per il Dea di Casale: «Scelta da
stigmatizzare, visto il dramma Eternit». Saitta li accusa di cinismo: «Non sanno leggere i dati. Come possono
sostenere che a Casale non ci sarà più l'oncologia quando nella delibera si legge che implementeremo le
specialità in base alle competenze e all'alta professionalità lì presenti?».
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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Sanità
21/11/2014
La Stampa - Alessandria
Pag. 53
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Caso fustelle nel dimenticatoio
PIERO BOTTINO
Ci furono le congratulazioni dell'allora ministro della Salute, Renato Balduzzi, ai Nas di Alessandria per
l'inchiesta portata avanti a tempo di record. Chissà cosa direbbe ora, quasi tre anni dopo, con la «chiusura
indagini» da parte della Procura di Alessandria ancora di là da venire. Ma forse, visto che è passato al Csm,
potrebbe interessargli capire che cosa è successo dell'inchiesta sullo scandalo della Farmacia dell'Ospedale.
I novesi se ne ricordano bene. Era la fine di gennaio del 2012 quando, dall'oggi al domani, la Farmacia
dell'Ospedale fu chiusa dopo un'ispezione dei Nas. Solo il giorno dopo si scoprì che tutto era partito da
un'inchiesta de Le Iene, la trasmissione di Italia Uno: erano riuscite a infiltrare un giovane collaboratore
dotato di mini camera nella farmacia filmando una serie di comportamenti apparentemente abbastanza
abituali, ma al di fuori della norma, anzi della legge.
Almeno tre le puntate in cui furono messi in onda servizi sul «caso Novi». Furono filmati sacchi di farmaci
senza fustelle (cosa vietata) che venivano poi apposte sulle ricette predisposte da medici compiacenti.
Alcune confezioni sarebbero state rivendute, la maggior parte finivano nella spazzatura. L'obiettivo era
incassare comunque dall'Asl il corrispettivo, visto che si trattava di farmaci «passati dalla mutua».
Era appunto una specie di «mutuo soccorso» quello stabilitosi fra la farmacia e alcuni medici cittadini. La
titolare Pierfrancesca Lavezzaro, assieme a tre collaboratrici, fu indagata per truffa all'Asl (che annunciò di
volersì costituire parte civile) e si parlò di cinque o sei medici coinvolti, un paio furono addirittura riconosciuti
dalle immagini. Ma un conto è la sommaria giustizia in tv, un altro quella vera: fino a quando l'indagine non
sarà chiusa non si ha la certezza né sulle persone né sugli eventuali capi d'accusa.
I Nas svolsero un lavoro imponente che durò oltre sei mesi: c'erano da controllare 37 mila ricette e 3400
pazienti. Oltre 300 furono sentiti per capire se quei medicinali erano stati veramente prescritti oppure no. Pare
che il quadro uscito dagli interrogatori fosse abbastanza inquietante. Atti trasmessi in Procura, poi il lungo
silenzio.
Nel frattempo la Farmacia dell'Ospedale riapriva, dapprima con un direttore nominato dall'Ordine dei
Farmacisti, che però rinunciava, poi il 29 febbraio con due giovani dottoresse, una di Valenza e una di
Tortona. Pierfrancesca Lavezzaro invece pare si sia stabilita da tempo in Liguria.
Non è che finirà tutto in prescrizione? Di certo il procedimento giudiziario parte con un notevole handicap: il
termine per la truffa semplice è di sei anni, ormai tre sono andati. E c'è ancora da chiedere il rinvio a giudizio,
ottenerlo, fare il processo in primo grado (salvo patteggiamenti), poi l'eventuale appello e, caso mai, la
Cassazione. Ecco, visto come è andato a finire il processo Eternit, anche in questo caso non c'è molto da
stare tranquilli.
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
NOVI LIGURE. furono le «iene» a scoprire il giro di ricette falsificate
21/11/2014
La Stampa - Alessandria
Pag. 53
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Il 28 gennaio, subito dopo la prima punta de Le Iene sul caso fustelle, spuntavano i primi nomi dei medici
coinvolti. Alcuni furono addirittura riconosciuti, nonostante le schermature, attraverso i video trasmessi.
Rischiano, assieme alla titolare della farmacia.
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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La prima svolta
21/11/2014
Il Messaggero - Ancona
Pag. 40
(diffusione:210842, tiratura:295190)
JESI
Duecento famiglie segnalate dai servizi sociali e altre cento che necessitano di assistenza. Sono numeri da
capogiro quelli del Tavolo della Solidarietà, attivato dal Comune di Jesi, per andare incontro alle situazioni di
disagio sempre più numerose visto il momento economico. Famiglie straniere ma anche jesine, in netto
aumento rispetto a qualche anno fa, che non solo hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese ma che non
sanno come sopravvivere. Un'emergenza alla quale il comune ha deciso di rispondere con il progetto Spreco
Zero volto ad evitare che le eccedenze alimentari e gli oggetti ancora in buone condizioni finiscano nei
cassonetti. L'idea è semplice ma funzionale: supermercati, negozi, aziende mettono a disposizione quei
prodotti che non vengono venduti ad esempio perché la confezione non è perfetta o perché sono vicini alla
data di scadenza e le associazioni della città si preoccupano di raccogliere i prodotti per ridistribuirli.
L'Adra, sezione dell'agenzia umanitaria avventista della città che ha aderito al progetto, ogni settimana
distribuisce 90 monoporzioni e risponde alla richiesta di aiuto di 16 famiglie: «Almeno la metà di queste sono
jesine - precisa Monia Ceccarelli dell'associazione - qualche anno fa erano solo stranieri. Si tratta dei
cosiddetti esodati cioè persone tra i 35 e i 45 anni escluse dal mondo del lavoro per motivi anagrafici che non
sanno come andare avanti. Chiedere aiuto per queste persone non è facile, per questo motivo solo una parte
viene segnalata dai servizi sociali mentre il resto arriva spontaneamente». Oltre ad Adra è coinvolta anche la
mensa di S.Francesco di Paola per la suddivisione dei turni che altrimenti sarebbero doppi. A far funzionare
questo meccanismo solidale sono la Gemeaz e la Camst che forniscono i pasti delle rispettive mense, i
supermercati Sì con Te, Coop e Ipersimply che mettono a disposizione i prodotti non più commercializzabili,
le aziende Fileni, Baldi, Cooperlat e Martellini che garantiscono cibi di prossima scadenza. A questi soggetti e
alle associazioni Andra, Amicizia a Domicilio, San Vincenzo de Paoli e Caritas diocesana l'amministrazione
dedica il premio nazionale "Vivere a spreco zero" promosso da Last Minute Market assegnato al Comune da
una giuria di esperti. La premiazione avverrà lunedì a Bologna, alla presenza del Ministro dell'Ambiente,
nell'ambito della convention internazionale "Stop food waste, feed the planet". Il Comune sta lavorando per
estendere questo importante servizio anche al recupero di indumenti usati e medicinali. Per questo sono
state contattate le farmacie e quelle attività che possono dare il loro contributo.
Eleonora Dottori
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VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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Tavolo della Solidarieta' per trecento famiglie
21/11/2014
QN - Il Resto del Carlino - Bologna
Pag. 26
(diffusione:165207, tiratura:206221)
Una mostra per aiutare l'ospedale Wamba
UNA MOSTRA, tante visite guidate ed una cena di beneficenza. Con queste iniziative Andrea Venturelli,
farmacista di Ponte Ronca, vuole fare conoscere e sostenere l'esperienza dell'ospedale Wamba, uno dei
principali presidi sanitari dell'intero Kenya, fondato e voluto da medici cattolici che ogni anno dedicano ferie e
risorse alla cura delle popolazioni dell'Africa. «Con il sostegno del consorzio delle farmacie di cui anche noi
facciamo parte ho promosso una mostra a Cà la Ghironda con immagini che raccontano la realtà di questo
bellissimo ospedale messo in un'area sperduta lontana dalle grandi città», spiega il dottor Venturelli che per
queste due settimane (la mostra resterà aperta fino al 30 novembre) farà la guida per classi, parrocchie e
gruppi che vogliano conoscere un'esperienza della quale sanitari e volontari italiani sono giustamente
orgogliosi. Per dare un aiuto concreto si può acquistare il catalogo della mostra e anche partecipare alla cena
in programma il 29 novembre al ristorante Giocondo, presso il museo d'arte zolese. Info www.hellowamba.it
Image: 20141121/foto/564.jpg
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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SOLIDARIETA'A PONTE RONCA
21/11/2014
QN - Il Resto del Carlino - Imola
Pag. 13
(diffusione:165207, tiratura:206221)
SONO andata dalla segreteria della pediatra di mia figlia per rinnovare il libretto dello sportivo di cui ha
bisogno sia per motoria a scuola sia per la sua attività sportiva extrascolastica. La segretaria dice che dal 3
novembre è obbligatorio un Ecg e che la prassi prevede che o la scuola o la società sportiva mi rilasci una
richiesta, io torni dalla segretaria la quale mi fa un'impegnativa e coi tempi dell'Asl ovviamente il posto ci sarà
a primavera 2015. E nel frattempo? Mia figlia non pratica sport? No, abbiamo anche la seconda soluzione
ovvero l'Ecg a pagamento e loro hanno il nominativo di un medico che lo fa per 30 euro invece di 35 , tariffa
di uno noto ambulatorio privato imolese. Le dico che mi rifiuto perchè è un chiaro gesto di clientelismo e che
farò per mia figlia un'autodichiarazione sperando che per il momento basti. A casa comincio a fare ricerche su
internet e trovo che per l'attività non agonistica' non è obbligatorio l'Ecg, ma al limite dopo la visita sono i
medici a prescrivere accertamenti specifici. Provo a chiedere in Farmacia e mi dicono che c'è una direttiva
della Regione che obbliga quindi per l'attività sportiva non agonistica almeno un Ecg (vale anche se lo hai
fatto dai 5 anni in su). Chiamo la Medicina sportiva ma non risponde nessuno. Allora chiamo l'Urp dell'Asl
dove una prima impiegata non ne sa nulla e la seconda mi dice che questa settimana il direttore dell'Asl e i
medici stanno mettendo a punto un iter privilegiato per i minori che devono fare questo Ecg. Ora se le cose
stanno così la situazione è davvero grave innanzitutto perché le famiglie non hanno avuto le giuste
informazioni da nessuno e in più si inducono i cittadini ad un esborso ad un medico messo a disposizione
apposta per farti un esame che a quanto pare non è obbligatorio. Sarebbe interessante che la cosa venisse
chiarita per tutti i genitori nella mia stessa situazione, anche perché in linea di principio sono d'accordo col
provvedimento ma mi rifiuto di fare un esame a pagamento visto che mantengo già un sistema sanitario
nazionale. Annalisa Gagliano, Dozza
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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Il libretto dello sportivo? Un'odissea
21/11/2014
QN - Il Resto del Carlino - Rovigo
Pag. 4
(diffusione:165207, tiratura:206221)
Vendeva medicinali scaduti da tre anni Farmacista condannato a cinque
mesi
Roberta Merlin
CONTINUAVA a vendere farmaci scaduti. E lo faceva da almeno tre anni. Il farmacista Romeo Tomaini, di
Frassinelle, è finito nei guai in seguito a un controllo dell'Ulss 18, effettuato nell'ambito di indagini periodiche
di settore, realizzate a tutela dell'ambiente e della salute pubblica. Sul bancone della sua farmacia, infatti,
sono state rivenute numerose confezioni di farmaci scaduti da almeno tre anni. Non solo medicine da banco',
ma anche antibiotici e altri medicinali per la cura di patologie mediche anche importanti. Il farmacista, davanti
all'azienda sanitaria e in aula, si è difeso dicendo di non essersi accorto, in mezzo al grande quantitativo di
merce presente sugli scaffali, della presenza di queste scatole, non più commerciabili secondo la legge. Una
distrazione che però non è passata inosservata all'attento controllo dei sanitari, che hanno subito provveduto
a denunciare il farmacista per detenzioni di medicinali scaduti. E il tribunale di Rovigo non l'ha perdonato: ieri
mattina il giudice Laura Contini ha dunque condannato il farmacista di Frassinelle a cinque mesi di
reclusione, pena sospesa, e a una multa di 70 euro. Un episodio, quello dei farmaci scaduti, che ha destato
molta preoccupazione tra i clienti della frequentatissima farmacia, soprattutto per chi non ha l'abitudine di
controllare la scadenza dei farmaci anche appena acquistati. Anche se il periodo di validità dei medicinali
viene deciso dal produttore sulla base di studi di stabilità condotti prima della commercializzazione del
farmaco e l'evenienza che, alla data di scadenza, il farmaco abbia cambiato la sua tossicità generale è
piuttosto rara. In pratica, l'arco di tempo definito come periodo di stabilità', definito dalla data di scadenza ,
serve a garantire l'efficacia del prodotto. Secondo la farmacopea italiana un medicinale deve infatti
mantenere almeno il 90% delle quantità in principi attivi dichiarati in etichetta per tutto il suo tempo di validità.
L' articolo 443 del codice penale stabilisce però che chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o
somministra medicinali guasti o imperfetti è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni'. Roberta Merlin
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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FRASSINELLE POLESINE ROMEO TOMAINI E' FINITO NEI GUAI PER UN CONTROLLO DELL'ULSS
21/11/2014
QN - Il Giorno - Lodi
Pag. 3
(diffusione:69063, tiratura:107480)
Succo di mela, etilometro e testper evitare incidenti e vittime «Ora la legge
sull'omicidio stradale»
LAURA DE
di LAURA DE BENEDETTI LODI SUCCO di mela al posto dell'alcol, etilotest monouso in omaggio e un
percorso da compiere fra birilli indossando occhiali che simulano la percezione visiva distorta che si ha
quando si è ubriachi. L'iniziativa, che si svolgerà domenica dalle 9 alle 12,30 nelle piazze della Vittoria e
Broletto, è promosso dall'Associazione familiari e vittime della strada (Aifvs) e dal Comune di Lodi con
l'Azienda farmacie comunali. «I produttori della Val di Non porteranno succo di mela, da degustare a offerta
libera spiega Marina Dordoni, referente Aifvs . Lo slogan sarà guida con calma; tornare a casa è bello'. Io ne
sono qualcosa: ho perso mio marito e tre cugini in incidenti: spesso, dopo anni di tribunali, non arriva giustizia
e c'è solo tanto dolore». L'assessore Simone Piacentini aggiunge: «Come immagine della campagna
abbiamo scelto una candela che si spegne, lasciando una scia di fumo: quando muore qualcuno, resta il
ricordo. La velocità uccide, ma non è la sola: ci sono anche abuso di alcol e droghe sottolinea l'assessore
Simone Piacentini . Mi auguro sia approvata la legge sull'omicidio stradale». «IN QUESTI due mesi di servizio
spiega Angelo Di Legge, comandante polizia locale ho predisposto 4 servizi notturni: 6 persone sono risultate
positive all'etilometro, 15 negative. E quando, come 7 giorni fa, una persona che barcollava si è rifiutata di
sottoporsi al test, è scattata automaticamente la sanzione, come fosse un'ammissione di colpa. L'obiettivo
non è fare repressione: segnaliamo la nostra presenza con i cartelli, facciamo educazione stradale nelle
scuole e, domenica, vogliamo far capire cosa significa bere e mettersi al volante: chi indosserà quegli appositi
occhiali, oltre a compiere il percorso, dovrà cercare di aprire un lucchetto. Mostreremo le nostre
apparecchiature e distribuiremo etilotest: non misurano il livello di alcol ma danno responso positivo o
negativo. Nei prossimi giorni si riunirà l'osservatorio provinciale; intanto, stiamo partecipando a un bando
regionale per acquistare lo strumento che rileva l'uso di droghe». L'assessore Andrea Ferrari anticipa:
«Vogliamo parlare con i titolari dei locali perché si dotino di etilotest». [email protected]
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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L'INIZIATIVA IN PIAZZA VITTORIA E BROLETTO
21/11/2014
Il Secolo XIX - Imperia
Pag. 15
(diffusione:103223, tiratura:127026)
MA IPERCOOP RESISTE ALLA CRISI: IN UN MESE ASSUNTI (O
RIASSORBITI) 33 LAVORATORI
SILVIA CAMPESE
SAVONA. In un momento estremamente drammatico per l'occupazione, qualche segnale positivo arriva dal
Centro Commerciale il Gabbiano di corso Ricci. Nonostante alcune chiusure e alcuni passaggi da un marchio
ad un altro, il saldo dell'ultimo mese risulta più che positivo. Tra ottobre e novembre, infatti, sono 33 i
lavoratori assunti o riassorbiti dalle nuove aperture. Un segnale positivo che permette di tirare un sospiro di
sollievo e di garantire un Natale sereno a quelle famiglie che temevano di trovarsi senza un'entrata proprio
sotto le feste. A temere per il futuro erano stati soprattutto i lavoratori del Brico, travolti dalla crisi e dalla
concorrenza di altri centri commerciali nel savonese. La svolta, al centro commerciale in cui sorge l'Ipercoop,
è stata segnata con forza da due nuove aperture: la Farmacia Saettone, che ha dato occupazione a nove
dipendenti, e l'apertura, nell'ex sede di Brico, al piano terra, del marchio Scarpe & Scarpe, che ha
controbilanciato e riassorbito i dipendenti lasciati a casa dal "Fai da te" e ha creato nuovi posti occupazionali.
Per un totale di 24 nuovi posti di lavoro. Un numero significativo a fronte delle continue chiusure che si
registrano in città e in altri centri commerciali. Soddisfazione da parte di Coop Liguria che ha lavorato,
insieme ai sindacati, per "salvare" i lavoratori perdenti posto e per invitare nuovi marchi ad approdare nel
centro più longevo di Savona. «Abbiamo lavorato molto -dicono da Coop Liguria - per tutelare i lavoratori e
per individuare nuovi partner per il centro commerciale Il Gabbiano. Quello che ci impegna soprattutto è la
ricerca di interlocutori che investano a lunga scadenza, credendo nell'operazione intrapresa, e che,
soprattutto, abbiano la serietà di garantire, a fine mese, lo stipendio ai dipendenti». Al giorno d'oggi,
purtroppo, un fatto non scontato. «Per questo siamo soddisfatti - concludono - sperando che questa
controtendenza rispetto al generale andamento del terziario si confermi anche nei prossimi mesi». Dopo la
crisi dell'industria, infatti, il commercio è uno degli ambiti che più sta risentendo dello stallo economico, con
ovvie ricadute sugli operatori, costretti in molti casi a chiudere. Un segnale, quindi, che fa ben sperare e che
dovrà essere confermato nei prossimi mesi ma che permette di guardare al futuro con un po' più di ottimismo.
Foto: Il centro commerciale "Il Gabbiano"
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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AL CENTRO "IL GABBIANO" DUE NUOVE APERTURE: LA FARMACIA SAETTONE E "SCARPE &
SCARPE"
21/11/2014
Il Secolo XIX - La spezia
Pag. 25
(diffusione:103223, tiratura:127026)
La visita? Un terno al lotto
Più facile trovare posto se ci si rivolge al Cup piuttosto che in farmacia
SILVA COLLECCHIA
«PRENOTARE una visita specialistica o un esame diagnostico a Sarzana? E' come giocare al lotto: se sei
fortunato, ma soprattutto se scegli "la strada giusta" o il momento adeguato, fai presto, altrimenti conviene
rivolgersi altrove. Se poi ha soldi in tasca, vai da un privato senza pensarci troppo su». E' questo l'amaro
sfogo di un pensionato sarzanese di 77 anni. Il nonnino ha problemi alla prostata e fa fatica a camminare a
causa di una lombo sciatalgia che non gli dà tregua. Purtroppo si tratta di due patologie per le quali, al
momento è davvero difficile fare una prenotazione per essere curati. Da una parte vi è il problema legato alle
liste d'attesa che pare non finiscono più, dall'altro in discussione è anche il metodo per la prenotazione. Infatti
chi prenota tramite Cup, ha maggiori possibilità di trovare un posto in tempi ravvicinati. I problemi sorgono
spesso per le prenotazioni telefoniche tramite l'apposito numero verde dell'Asl e quelle effettuate da
parecchie farmacie. I dati che Il Secolo XIX ha verificato di persona sono indicativi. Per recarsi dal fisiatra per
curarsi i dolori che affliggono la maggior parte delle persone, (come l'anziano che si è rivolto al Secolo XIX) a
Sarzana l'agenda non è disponibile fino a febbraio ad accettare nuove prenotazioni. «La visita fisiatrica le
garantiamo che sarà fatta entro il 2015 - ci dicono al telefono - ma al momento non sappiamo quando». Ma
non è tutto. Dall'Asl 5 ci assicurano che il Distretto avrebbe aperto una finestra per le prenotazioni per i primi
tre mesi del nuovo anno e che pertanto è possibile essere visitati in tempi abbastanza contenuti. Per quanto
siamo riusciti a comprendere, l'inghippo starebbe nel fatto che l'operatore telefonico addetto alle prenotazioni
"vede" solo posti disponibili nella sua griglia relativi ai 30 giorni successivi dal momento della chiamata.
Pertanto essendo ancora novembre al momento nessun posto libero per una visita fisiatrica sarebbe visibile
per i prime tre mesi dell'anno nuovo nonostante siano stati resi disponibili dal Distretto. Per urologia, dove
prenotare una visita è davvero complicato e i tempi sono biblici, viene a galla un paradosso all'italiana. Se è
vero che per essere visitati normalmente dall'urologo di turno bisogna attendere a lungo per chi soffre di
calcoli e accede direttamente al Centro di calcolosi del San Bartolomeo, il tempo massimo per la prima visita
(salvo in casi eccezionali), non supera i 10 giorni. Anche in questo caso i dati non hanno bisogno di alcun
commento. I pazienti che saranno visitati questa mattina hanno tutti prenotato nel periodo di tempo compreso
tra il 27 ottobre e il 17 novembre. Ma anche in questa "isola felice" della sanità locale si registra un'anomalia
nelle prenotazioni che confermerebbe che qualcosa non funziona a dovere al momento dell'appuntamento.
Infatti tra le visite in programma stamani (nonostante nei mesi precedenti non vi siano stati nè intoppi nè
problemi e le visite siano state tutte fatti in tempi veloci) una persona ha fatto la prenotazione il 17 giugno
scorso: ben cinque mesi fa.
Foto: LISTE CHIUSE A FISIATRIA
Foto: Le nuove prenotazioni si potranno fare solo nel 2015
Foto: Pazienti in attesa di prenotare una visita specialistica al Cup
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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SLALOM DEI PAZIENTI TRA LISTE D'ATTESA E DIVERSI SISTEMI DI PRENOTAZIONE
21/11/2014
QN - La Nazione - Empoli
Pag. 15
(diffusione:136993, tiratura:176177)
Mario Mannucci
NUOVE nomine per le società partecipate di Pontedera. Per la Fondazione Pontedera Teatro il Comune ha
prorogato per un anno i suoi rappresentanti, mentre per l'azienda delle farmacie li ha rinnovati. Come è noto,
l'amministrazione comunale ha da tempo aperto a tutti i cittadini la possibilità di entrare nei consigli delle
società partecipate, rapporto che pur resta fiduciuario e sotto la completa responsabilità del sindaco. E se
aveva sollevato aspre polemiche la conferma di Fabio Minisci nel cda di Ecofor (che si occupa di rifiuti
industriali) per la società della farmacie ex comunali, dove il comune è in minoranza rispetto alla società
Alliance, sono stati prescelti Paolo Mannini, quarantottenne di Viareggio, per il consiglio di amministrazione
(prende il posto di Renzo Ciangherotti), Fabrizio Tellini, 51 anni di Pisa come sindaco revisore e Francesco
Scuffi, 42 anni di Bientina, revisore supplente. Come detto, c'è invece la proroga per un anno di Antonio
Chelli, 60 anni, alla presidenzae della Fondazione Teatro, Sergio Giuntoli, 64 anni nel consiglio di
amministrazione, Matteo Sarti e Barbara Simoneschi sindaci revisori. Tutti di Pontedera. Mario Mannucci
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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Nuove nomine per le partecipate
21/11/2014
QN - La Nazione - Livorno
Pag. 14
(diffusione:136993, tiratura:176177)
«Querela-boomerang per Lippi e i suoi assessori»
CECINA «LA QUERELA del sindaco alla Lista Arcobaleno sarà un boomerang. Ancora più sorprendente è la
compattezza con cui la giunta ha appoggiato l'iniziativa del sindaco. Questi assessori dimostrano un basso
spessore politico, danno l'impressione di essere in balia degli umori del sindaco». Lo aferma il Movimento 5
Stelle di Cecina, che affermna ancora: «Nell'arena politica bisogna accettare qualsiasi critica, anche quelle
forti e indirizzate personalmente, anche quelle eventualmente scorrette. A queste si risponde con i fatti,
dimostrando di essere una persona per bene: il tempo è la migliore medicina, chiude la bocca ai delatori».
«LA MOSSA del sindaco aggiunger il M5S dimostra un certo nervosismo, abbiamo la sensazione che si
voglia mandare un avviso ai naviganti, puntare una istola a colui che ha intenzione di muovere una critica. Ci
chiediamo fra l'altro se questa querela sarà a carico dei cittadini o l'avvocato sarà pagato personalmente dal
sindaco e dai componenti della giunta? Il Comune ha molti problemi di bilancio, non dispone di grandi risorse
e non crediamo sia salutare spendere denari in questo modo». E ANCORA: «Sulle vendita delle farmacie,
dopo una prima disponibilità che però è stata tradita dal neo sindaco, anche il Movimento 5 Stelle è stato
molto duro nelle sue critiche. Sia chiaro: il M5S non rinnega una sola parola di quanto dichiarato sui mezzi
d'informazione. Chiediamo al sindaco Lippi e a tutti gli assessori di ritirare la querela e riportare il confronto
politico nel suo alveo naturale. Pertanto, vi chiediamo di fermarvi e riflettere. Se non intendente recedere
assumetevi le eventuali spese, i cittadini non hanno nessuna voglia di spendere i loro soldi in questo modo.
La vostra iniziativa rischia di far piombare la dialettica politica, il sale della democrazia, in un Vietnam
giudiziario. Vi è il rischio di un quinquennio di accuse, di querele e controquerele, di testimoni e delatori.
L'avallo politico della querela da parte del Pd è la notizia più triste, poteva essere il momento della riflessione,
di una sospensione del giudizio». «E INVECE NO concludono i grillini anche qui ha prevalso la teoria
dell'uomo forte al comando. Noi del M5S non ci stiamo e non ci facciamo silenziare da nessuno, diremo tutto
quello che i cittadini avranno il diritto di sapere, la verità, costi quel che costi. Siamo convinti che la strategia
del sindaco e del Pd, che probabilmente a questo punto è la stessa cosa, non funzionerà e darà solo fiato alle
trombe alle opposizioni; una parola, opposizioni: parola che con tutto il rispetto le consigliamo di scrivere nel
suo diario, signor sindaco. Ebbene si, esistiamo!». Image: 20141121/foto/1106.jpg
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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CECINA ANCHE I 5 STELLE CONTRO LA MOSSA DEL SINDACO: «ADDIO SALE DELLA DEMOCRAZIA»
21/11/2014
QN - La Nazione - Prato
Pag. 11
(diffusione:136993, tiratura:176177)
Ruba integratori, arrestato
ORE 11 di mercoledì mattina, in una farmacia Etrusca affollata di clienti, va in scena una rapina impropria con
il malvivente, vistosi scoperto dai dipendenti, che inizia a tirare calci e a scaraventare contro di loro qualsiasi
cosa gli si parasse sotto mano. Ma è stata la prontezza dei farmacisti e del personale del dottor Gennaro
Brandi a bloccare la furia di un cinese di 46 anni che ha fatto man bassa di prodotti costosi, integratori di olio
di pesce. Era da qualche giorno che alla farmacia Etrusca il cinese, che poi è stato arrestato da una volante
della polizia di Stato, era tenuto sott'occhio proprio perché oltre a prendere prodotti come acqua distillata e
siringhe al banco era stato visto arraffare prodotti costosi. E l'altra mattina, il cinese, conosciuto per essere un
consumatore di droga, aveva nascosto sotto la giacca otto scatole di integratori ricchi di Omega 3, che poi
avrebbe rivenduto per riprendere dai 20 ai 50 euro, per un valore di circa 300 euro. I dipendenti della
farmacia si sono avvicinati all'orientale e gli hanno detto di rimettere la roba al suo posto; a queste parole ha
reagito dando in escandescenza, forse perché sotto effetto di sostanze stupefacenti. A questo punto sono
stati fatti uscire i clienti dalla porta posteriore e il cinese è stato trattenuto grazie all'intervento di tutti i
dipendenti, anche un filippino che lavora in farmacia. Arrestato dai poliziotti, il cinese è stato processato per
direttissima al Tribunale di Prato. L'orientale è recidivo e la Procura ha chiesto la custodia cautelare in
carcere. Image: 20141121/foto/1905.jpg
VITA IN FARMACIA - Rassegna Stampa 21/11/2014
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IL FATTO BLOCCATO DAI FARMACISTI DELL'ETRUSCA
PROFESSIONI
3 articoli
21/11/2014
Internazionale - N.1078 - 21 novembre 2014
Pag. 40
(tiratura:130000)
Parliamo di aborto
Scegliere di interrompere una gravidanza ha la stessa valenza morale della decisione di avere un figlio. Ma la
guerra contro la libertà delle donne continua. La denuncia di una scrittrice statunitense
Katha Pollitt, The Nation, Stati Uniti
Io non ho mai abortito, ma mia madre sì. Non me ne parlò mai, ma stando a quanto ho ricostruito dopo la sua
morte dal suo dossier dell'Fbi - che mio padre, il vecchio estremista, aveva richiesto insieme al suo successe nel 1960, perciò come quasi tutti gli aborti di quell'epoca fu illegale. L'agente che si occupava del
suo dossier scrisse che quella primavera era in cura da un medico per problemi ginecologici, e mi piace
pensare che fosse un modo cavalleresco per metterla al riparo da ulteriori indagini, ma forse ne era all'oscuro
anche lui e si limitò a scrivere quello che sapeva. Per un certo periodo sono stata arrabbiata con lei, come si
è arrabbiati con i morti per aver conservato i loro segreti fino a quando è troppo tardi per fare domande.
Pensavo di avere diritto a un po' di onestà, invece dei racconti - o almeno in aggiunta a questi - sulle nove
proposte di matrimonio che aveva già ricevuto quando conobbe mio padre, se ne innamorò al primo sguardo
e fuggì con lui tre mesi dopo, appena compiuti i 21 anni. Sapere che aveva abortito avrebbe potuto aiutarmi.
Avrebbe potuto fornirmi un'immagine più realistica della vita quando ero una donna giovane e molto
romantica senza la minima idea di come stessero le cose. Quando mi chiedo perché da tanto tempo sono
assillata dal problema del diritto all'aborto, mi domando se aver saputo dell'aborto di mia madre - la sua
illegalità, il fatto che non l'avesse detto a mio padre, l'impossibilità di conoscere le sue ragioni o i suoi
sentimenti su quella esperienza - non sia parte della risposta. Mi sorprendo a chiedermi: l'intervento fu
eseguito da un vero medico? Fu gentile con lei? Rispettoso? Fece del suo meglio per evitarle il dolore? Lei si
fece accompagnare da qualcuno? Ricordo di averla sentita parlare con la sua amica Judy di un'altra donna
che aveva avuto "un raschiamento", l'eufemismo che all'epoca si usava spesso per indicare un aborto, perciò
forse la sua cerchia di amiche la indirizzò da un buon medico. Forse la sua amica Judy la aspettò nella sala
d'attesa - se c'era una sala d'attesa - e dopo la riportò a casa in taxi e le fece una tazza di tè. Spero di sì.
Sarebbe ingiusto se la mia dolce, fragile mamma avesse dovuto affrontare tutto questo da sola. Cosa
significa che mia madre aveva dovuto violare la legge per porre termine a una gravidanza? Significa che
l'America sostanzialmente le aveva detto: è il ventesimo secolo, perciò ti permettiamo di votare e andare
all'università, di avere una famiglia e un lavoro - non un gran lavoro, non quello che desideravi, perché
purtroppo quello è riservato agli uomini - e i tuoi conti aperti ai grandi magazzini, e il tuo abbonamento
all'Heritage book club. Ma sotto questa normale e progressista vita borghese della New York di metà
novecento c'è la vita segreta e clandestina delle donne, e quella devi gestirtela fuori dalla legalità. Se
l'operazione va storta, muori o la polizia ti arresta, potrai prendertela solo con te stessa, perché la vera
ragione per cui sei sulla Terra è partorire figli, e puoi sottrarti a questo dovere solo a tuo rischio e pericolo.
Oggi è diverso Mi chiedo se mia madre sapeva che sua nonna era morta di aborto dopo aver dato alla luce
nove figli, quando era ancora in Russia durante la prima guerra mondiale, o se la madre l'aveva tenuta
all'oscuro di quel segreto come lei aveva fatto con me. La vita delle donne oggi è diversa, così diversa che
corriamo il rischio di dimenticare com'era un tempo. Legalizzare l'aborto non ha semplicemente salvato le
donne dalla morte, dalle lesioni fisiche e dalla paura di essere arrestate, non ha solo permesso alle donne di
studiare e lavorare liberandole dai matrimoni forzati e dai troppi figli. Ha cambiato il loro modo di vedere se
stesse: non più madri per destino, ma per scelta. Finché ha la possibilità di abortire, perfino una donna
convinta che l'aborto sia un omicidio compie una scelta quando decide di tenersi il bambino. Può sentirsi in
dovere di avere quel figlio: Gesù o i suoi genitori o il suo ragazzo le dicono che deve farlo. Ma in realtà non è
obbligata. Sceglie di avere quel bambino. La sentenza Roe contro Wade (con cui, nel 1973, la corte suprema
statunitense ha di fatto neutralizzato le restrizioni di molte leggi americane sull'aborto) ha dato alle donne una
PROFESSIONI - Rassegna Stampa 21/11/2014
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In copertina
21/11/2014
Internazionale - N.1078 - 21 novembre 2014
Pag. 40
(tiratura:130000)
PROFESSIONI - Rassegna Stampa 21/11/2014
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libertà che non è sempre gradita - anzi, a volte è piuttosto dolorosa - ma è diventata parte integrante di quello
che sono. Una cosa che quella sentenza non ha fatto, però, è rendere l'aborto una questione privata. Un
mese fa la corte suprema ha bloccato una legge del Texas che imponeva alle cliniche dove si poteva abortire
requisiti così onerosi in tutto lo stato ne erano rimaste aperte solo otto; la Louisiana ha approvato una legge
simile, ora temporaneamente bloccata da un giudice; i legislatori del Missouri adesso pretendono un periodo
di attesa di 72 ore per chi si rivolge all'unica clinica superstite dello stato. A volte aspetto di leggere queste
notizie e penso: che strano, il parere del giudice Harry Blackmun nel caso Roe contro Wade metteva al
centro la privacy, ma la parte più privata del corpo di una donna e la decisione più privata che potrebbe dover
prendere nella sua vita non sono mai state così pubbliche. Tutti possono interferire - perfino, secondo i
cinque cattolici conservatori della corte suprema, i datori di lavoro. Se l'amministratore delegato di Hobby
Lobby, la catena di negozi per il tempo libero, decide che cose come la pillola del giorno dopo e la spirale
sono "abortive" e proibite da Dio, allora ha il diritto di escluderle dalla sua copertura sanitaria, anche se non
sa come funzionano questi metodi. È religione, i fatti non contano, soprattutto quando è in gioco la libertà
delle donne. Forse l'errore di Blackmun fu proprio pensare che una donna potesse rivendicare il diritto alla
privacy. La casa di un uomo è il suo castello, ma il corpo di una donna non è mai stato completamente suo.
Storicamente, è appartenuto alla nazione, alla comunità, al padre, alla famiglia, al marito (nel 1973, quando fu
emessa la sentenza sul caso Roe, lo stupro coniugale era legale negli Stati Uniti). Perché non dovrebbe
appartenere anche a un ovulo fecondato? E se quell'ovulo ha il diritto di vivere e crescere nel suo corpo,
perché una donna non dovrebbe essere considerata legalmente responsabile del destino dell'embrione e
costretta a un parto cesareo se il dottore ritiene che sia meglio così, o essere messa sotto accusa se assume
sostanze illegali e partorisce un bambino morto o malato? Incidenti come questi si ripetono negli Stati Uniti
già da qualche tempo. Negare alle donne il diritto di interrompere la gravidanza è l'altro modo di punire le
donne per il loro comportamento durante la gravidanza, e se non proprio punire, almeno controllare. A marzo
del 2014 il parlamento del Kansas ha avanzato una proposta di legge che impone ai medici di denunciare
ogni aborto, spontaneo o meno, anche all'inizio della gravidanza. Viene quasi da pensare che le persone
contrarie all'indipendenza delle donne e alla loro partecipazione alla vita sociale siano ancora all'attacco. Non
possono far tornare indietro le donne del tutto, ma possono usare il loro corpo per tenerle sotto sorveglianza.
E questa rilessione genera un desiderio. Il rimedio ideale Sicuramente - mi scopro a fantasticare - esiste
qualcosa, una qualche sostanza di uso comune, che le donne possono bere dopo il sesso, o alla fine del
mese, per non restare incinte senza che nessuno lo sappia. Qualcosa che si possa comprare al
supermercato, o magari diverse cose da mescolare insieme, prodotti così sicuri e comuni che non possano
mai essere vietati, da preparare a casa, in grado di ripulire l'utero e lasciarlo rosa, lucido e vuoto senza
bisogno di sapere se eri incinta o stavi per rimanerlo. Un infuso di Earl Grey, Lapsang souchong e
cardamomo macinato, poniamo. O la Coca-Cola con un cucchiaino di Nescafé e una spolverata di pepe di
cayenna. Cose che avete già in un armadietto, in attesa che una persona intelligente le metta insieme, una
madre casalinga laureata in chimica che armeggia in cucina a tarda notte. Qualcosa come i miscugli di erbe
che la scrittrice Jamaica Kincaid ricorda della sua infanzia: "Quando ero piccola e vivevo in un'isola dei
Caraibi, un'isola abitata per lo più da discendenti di continua a pagina 45 » gente portata lì dall'Africa con la
forza, ogni tanto mia madre e le sue amiche si riunivano in un punto del nostro giardino e chiacchieravano
sorseggiando una bevanda calda e molto scura che avevano fatto con diverse foglie e la corteccia degli
alberi. Senza che mi dicessero esplicitamente qualcosa, alla fine mi resi conto che queste pozioni servivano a
liberare il ventre da qualunque cosa potesse ostacolare la loro capacità di gestire l'andamento quotidiano
delle loro vite. Questa pulizia del ventre, in altri termini, era una componente dell'economia domestica".
Provate a pensarci: nessun farmacista che si rifiuta di accettare la vostra ricetta per l'anticoncezionale o la
pillola del giorno dopo; nessun fanatico religioso che vi insegue nel parcheggio della clinica gridando
"Infanticida!" e vi toglie la targa dalla macchina, sperando che vi salga la pressione del sangue e l'intervento
sia rinviato, nessun bisogno di informare i vostri genitori o di ottenere il loro permesso. Tutto il complicato
21/11/2014
Internazionale - N.1078 - 21 novembre 2014
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sistema che oggi governa l'aborto scomparso per sempre. La pillola abortiva RU486, oggi più conosciuta
come mifepristone, puntava a raggiungere questo obiettivo: qualunque medico poteva prescriverla nel suo
studio e nessuno doveva esserne informato. Un'inchiesta pubblicata nel 1999 dal New York Times Magazine
la definiva "la piccola bomba" che "può riscrivere la politica e la percezione dell'aborto" anticipandolo e
reintegrandolo nella normale prassi medica. È l'antica speranza che una sola scoperta tecnologica o
scientifica basti a risolvere una volta per tutte un problema sociale. Ma questa fantasticheria ci fa dimenticare
che la nuova scoperta sarà comunque inserita nel sistema esistente e coinvolgerà gli esseri umani esistenti.
Per una serie di ragioni - la dificoltà nel procurarsi il farmaco, le leggi che regolamentavano l'aborto
farmacologico con la stessa severità di quello chirurgico, la paura degli antiabortisti - solo pochi medici che
non si erano mai occupati di aborto hanno cominciato a prescriverla. Che le donne vogliano interrompere
precocemente la gravidanza, che molte di loro preferiscano un farmaco alla chirurgia, che sarebbe un bene
liberare le donne dall'incubo degli antiabortisti, tutto questo non ha avuto nessuna importanza. Quello che le
donne vogliono semplicemente non conta. "Fidatevi delle donne" è uno slogan famoso nel movimento per il
diritto all'aborto. Suona un po' sentimentale, non è vero? Fa parte del vecchio armamentario femminista,
come quel "potere della sorellanza" che oggi molte persone considerano ridicolo. Ma "fidatevi delle donne"
non significa che ogni donna è saggia e buona e ha magici poteri d'intuizione. Significa che nessun altro può
prendere una decisione migliore perché nessun altro vive la sua vita, e dal momento che sarà lei a dover
convivere con quella decisione - non voi, non i legislatori dello stato o la corte suprema - è molto probabile
che stia facendo del suo meglio in una situazione dificile. Mezze misure Il dottor George Tiller, che praticava
l'aborto a Wichita, in Kansas, ed era uno dei pochissimi a eseguire l'intervento anche dopo la
ventiquattresima settimana, sfoggiava una spilla con la scritta "Fidatevi delle donne". A differenza della
grande maggioranza degli statunitensi, non condannava una donna che chiedeva di abortire in fase di
gravidanza avanzata giudicandola pigra o stupida o troppo impegnata a fare sesso per occuparsi del
problema con maggior anticipo. Non pensava che il corpo smettesse di essere suo perché era incinta.
Ebbene, ecco cosa ha ottenuto fidandosi delle donne: nel 2009 è stato ucciso in chiesa a colpi di pistola da
Scott Roeder, un attivista cristiano di estrema destra nemico del governo e dell'aborto, convinto di avere il
diritto di uccidere perché, come disse a un giornalista, "le vite dei bambini non nati erano in pericolo". Mentre
il processo Roe contro Wade seguiva il suo percorso nei tribunali e vari stati riformavano le loro leggi per
consentire l'aborto in caso di stupro, incesto, malformazione fetale e altre situazioni particolari, la femminista
radicale Lucinda Cisler, che dirigeva l'organizzazione New Yorkers for abortion law repeal (newyorchesi p er
l'abrogazione della legge sull'aborto), metteva in guardia dalle mezze misure che lasciavano le donne nelle
mani dello stato e dei medici. Temeva che, una volta stabilite delle limitazioni al diritto fondamentale di
abortire, "in seguito per giudici e legislatori sarebbe stato molto dificile cancellarle". A un'assemblea pubblica
sollevò un foglio di carta con la legge ideale sull'aborto: era bianco. Cisler giudicò la Roe contro Wade una
sconfitta, e probabilmente aveva ragione, perché quelli che allora sembravano dettagli secondari con il tempo
si sono rivelati pericolosi punti deboli. La straordinaria deferenza mostrata nei confronti dei medici e delle loro
valutazioni confermò l'idea che la volontà della donna di mettere fine a una gravidanza di per sé non
bastasse: doveva essere approvata da un'autorità rispettabile, all'epoca quasi sempre un uomo. Inoltre, il
divieto quasi assoluto di un aborto tardivo implicava l'idea che il feto avesse diritti superiori a quelli della
donna. Non è difficile vedere come questi semi siano germogliati nella mortificante trafila di oggi, che
sostanzialmente nega la capacità della donna di decidere indipendentemente sulla sua gravidanza:
informazione e consenso dei genitori o in alternativa autorizzazione del giudice, periodi di attesa, consultori
familiari, testi imposti dal governo pieni di propaganda antiabortista che i medici devono leggere alle pazienti
e così via. In un certo senso, però, Lucinda Cisler aveva anche torto: se nel 1973 la corte suprema avesse
convenuto che la migliore legge sull'aborto era non averne nessuna, probabilmente oggi ci troveremmo più o
meno allo stesso punto. Avrebbero prevalso il potere e la determinazione del movimento antiabortista e gli
scrupoli, le esitazioni e la mancanza di impegno di quasi tutti quelli che a parole sono favorevoli alla libertà di
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Internazionale - N.1078 - 21 novembre 2014
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scelta femminile. È semplicemente dificile accettare che le donne appartengano a se stesse. Eppure le donne
continuano a provarci. Rimandano il pagamento dell'afitto o delle bollette per racimolare i 500 dollari
necessari a un aborto nel primo trimestre. Attraversano in auto diversi stati per raggiungere una clinica e
dormono in macchina perché non possono permettersi un motel. Non lo fanno perché sono sgualdrine senza
cuore, o perché odiano i bambini o perché non sono consapevoli delle alternative. Le alternative le
conoscono fin troppo bene. Viviamo, come ha scritto la giornalista femminista Ellen Willis, in una società
"attivamente ostile alle aspirazioni delle donne a una vita migliore. In questo contesto la donna con una
gravidanza non desiderata rischia una terribile perdita di controllo sul proprio destino". L'aborto, sosteneva
Willis, è una forma di autodifesa. Probabilmente non lo consideriamo in questo modo perché non crediamo
che le donne abbiano il diritto a un sé. Si pensa che debbano vivere per gli altri. Caratteristiche che sono
considerate normali e auspicabili negli uomini - ambizione, fiducia in se stessi, franchezza - sono percepite
come egoistiche e aggressive nelle donne, soprattutto quando hanno figli. Forse è per questo che la privacy
delle donne conta così poco nel dibattito sull'aborto: solo un sé può avere una privacy. E solo a un sé si può
riconoscere l'uguaglianza. Molte giuriste femministe, compresa la giudice della corte suprema Ruth Bader
Ginsburg, hanno sostenuto che l'aborto avrebbe dovuto essere legalizzato per motivi di uguaglianza piuttosto
che di privacy. La gravidanza e il parto, dopotutto, non sono solo esperienze fisiche e mediche. Sono anche
esperienze sociali che, negli Stati Uniti di oggi, così come quando l'aborto venne criminalizzato, negli anni
settanta dell'ottocento, aiutano a limitare la capacità delle donne di partecipare alla vita sociale al pari degli
uomini. Vivremmo in un mondo diverso oggi se il giudice Blackmun avesse basato il diritto all'aborto sulla
necessità di eliminare la subordinazione delle donne? Forse le stesse persone che non riconoscono il diritto
delle donne alla privacy sarebbero pronte a dire: "Bene, se le donne non possono essere uguali senza
l'aborto, significa che dovranno restare al loro posto". Un salto indietro I giornali raccontano il ritorno
dell'aborto illegale negli stati dove le cliniche hanno chiuso. Oggi le donne della Rio grande Valley, in Texas,
devono percorrere centinaia di chilometri per raggiungere una clinica (nessun problema, ha detto la giudice
Edith Jones, basta guidare velocemente). Così attraversano la frontiera messicana per comprare il
misoprostolo che provoca l'aborto ed è venduto liberamente come farmaco antiulcera. Anche dove abortire è
possibile, le donne non vogliono o non possono andare in una clinica. Perché sono immigrate senza
documenti e hanno paura di essere arrestate o non hanno soldi o perché c'è troppa vergogna intorno
all'aborto e temono di essere viste da qualcuno che le conosce. Ma ora che le cliniche stanno scomparendo,
sempre più donne statunitensi non hanno altra scelta che cercare le pillole, come fanno le donne in Irlanda e
in altri paesi dove l'interruzione volontaria di gravidanza è illegale. Alcune finiranno in rianimazione. Alcune
riporteranno lesioni anche gravi. Altre potrebbero morire. È questo che avranno ottenuto le leggi che dicono
di proteggere le donne dalle cliniche "pericolose". È questo che il cosiddetto movimento "per la vita" avrà fatto
alla vita. Un'unica scoperta o invenzione raramente mantiene la sua promessa di profondo cambiamento
sociale. Perfino la pillola anticoncezionale, un progresso immenso rispetto ai metodi maldestri e pericolosi
che l'hanno preceduta, non è stata all'altezza delle aspettative: negli Stati Uniti la metà delle gravidanze è
accidentale. Eppure io immagino mia madre, seduta in cucina con il suo accappatoio a fiori gialli e azzurri, in
un giorno qualunque del 1960, che ritaglia articoli del New York Times come le piaceva fare. Accende una
sigaretta e sorseggia la sua bevanda calda e scurissima mentre il sole penetra dalla finestra e inonda di luce
la stanza. Dobbiamo rimettere le donne vere - donne come mia madre - al centro delle nostre discussioni
sull'aborto. I loro avversari sono stati molto eficienti nello spostare le considerazioni di tipo morale sul
contenuto di un grembo femminile: oggi perfino un ovulo fecondato non ancora impiantato è un bambino. A
meno che non siano coraggiosissime, le donne che vogliono abortire sono state ricacciate nell'ombra. È
diverso quando a parlare è la vittima di uno stupro o una donna con una gravidanza desiderata che si è
trasformata in una catastrofe medica. Errore di valutazione Ma perché una donna non può semplicemente
dire: "Questo non è il momento giusto per me"? Oppure "due bambini (o uno, o nessuno) bastano"? Perché
una donna, solo perché le è capitato di restare incinta, deve giustificarsi se sceglie di non avere un figlio? È
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come se pensassimo che la maternità è la condizione naturale di una donna, dalle prime mestruazioni alla
menopausa. È come dire che una donna ha bisogno di un segnale di Dio per non dire di sì a ogni zigote di
passaggio, anche se, come la maggior parte delle donne che abortiscono, ha già dei figli. C'è un profondo
disprezzo per le donne in tutto questo, e anche una mancanza di rispetto per l'importanza della maternità.
Per molti anni gli esperti hanno escluso che l'aborto un giorno potesse essere fortemente limitato e hanno
schernito i sostenitori della libertà di scelta quando ammonivano che sia il diritto sia l'accesso all'interruzione
di gravidanza e perfino la contraccezione erano in pericolo. Tutti pensavano che il Partito repubblicano non
avrebbe rischiato di svegliare il gigante addormentato, cioè l'elettore della strada più o meno favorevole alla
libertà di scelta. Oggi vediamo che le cassandre avevano ragione. Dov'è quel gigante? In alcuni stati si sta
stiracchiando e alzando in piedi: la Virginia oggi è passata nelle mani dei democratici perché i repubblicani al
potere si sono spinti troppo in là, chiudendo cliniche, cercando di imporre ecografie transvaginali eccetera. In
altri stati il gigante continua a sonnecchiare, paralizzato da idee conlittuali e poco meditate sulle donne, il
sesso, la famiglia, le minoranze, il governo, e la sensazione generale che l'America stia andando a rotoli. u gc
Stefan Hoederath (GETTY IMAGES), SHAWN THEW (EPA/ANSA), FONTE: CENTER FOR
REPRODUCTIVE RIGHTS, VICTORIA HERRANZ (DEMOTIX/CORBIS)
Da sapere L'aborto nel mondo Proibito o consentito se la vita della donna è in pericolo Consentito per
salvaguardare la salute della donna Consentito su basi socioeconomiche Consentito senza restrizioni
Da sapere L'Italia e gli obiettori u Secondo l'ultima relazione annuale del ministero della salute sull'
applicazione della legge 194 , che riporta i dati definitivi del 2012, in Italia in media sette ginecologi su dieci
sono obiettori di coscienza, con un picco di più di 8 su 10 nelle regioni del sud. Le strutture con reparto di
ginecologia e ostetricia che efettuano l'interruzione volontaria di gravidanza sono il 64 per cento del totale,
con il primato negativo del Molise dove solo in una struttura su quattro si può abortire. Ministero della salute
Obiettori di coscienza nei reparti di ginecologia e ostetricia in Italia, % Ginecologi Anestetisti Personale non
medico Italia settentrionale 64,1 37,6 34,1 Italia centrale 68,1 50,0 44,1 Italia meridionale 80,4 67,5 76,3 Italia
insulare 75,7 67,2 65,8 Media 69,6 47,5 45,0 Fonte: Ministero della salute
Da sapere La sindrome inesistente u Secondo uno studio uscito nel 2009 sulla Harvard Review of
Psychiatry, l'idea che per la maggior parte delle donne abortire sia un trauma ( sindrome postaborto ) non ha
nessun riscontro scientifico. Nel 2013 Corinne H. Rocca dell'università della California di San Francisco,
insieme ad altri autori, ha pubblicato una ricerca sulle condizioni emotive delle donne statunitensi una
settimana dopo aver abortito o aver ricevuto il divieto di abortire. Lo studio è stato condotto su 843 donne che
hanno abortito o non hanno potuto farlo perché avevano superato di poco il limite gestazionale consentito. È
emerso che il 90 per cento delle donne che avevano abortito si sentiva sollevato. Anche l'80 per cento delle
donne che provavano rimorso rispetto all'aborto riteneva di aver fatto la scelta giusta. Le donne che non
avevano potuto abortire, invece, hanno provato più pentimento e rabbia e meno sollievo e felicità di chi
l'aveva fatto. Perspectives on Sexual and Reproductive Health, Ansirh
L'AUTRICE Katha Pollitt è una saggista femminista statunitense. Gli articoli pubblicati in queste pagine sono
degli estratti del suo ultimo libro Pro: reclaiming abortion rights (Picador 2014).
Foto: Manifestazione contro la marcia antiabortista a Berlino, 20 settembre 2014
Foto: Manifestanti a favore e contro l'aborto. Washington, 2012
Foto: La parte più privata del corpo di una donna e la decisione più privata della sua vita non sono mai state
così pubbliche
Foto: Viviamo, come ha scritto Ellen Willis, in una società attivamente ostile alle aspirazioni delle donne a una
vita migliore
Foto: Manifestazione a favore dell'aborto a Madrid, 8 febbraio 2014
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TOP - N.47 - 27 novembre 2014
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CURE PER TUTTI
Secondo una recente indagine Doxa, commissionata da Teva Italia, gli italiani ^individuano nella prevenzione
e nell'uso degli equivalenti una speranza &£ per il futuro del nostro Sistema sanitario
Ci sono comportamenti all'apparenza semplici, quasi banali, che sono in grado di cambiare il mondo. 0
quanto meno, il "nostro" mondo. Se si parla di salute, per esempio, soprattutto di questi tempi, è evidente che
esistono alcuni atteggiamenti che ciascuno di noi può attuare affinchè le cure siano un po' meno costose e
più accessibili per tutti. Gli italiani lo sanno bene, secondo quanto emerge da un'indagine Doxa, presentata il
30 ottobre nella splendida cornice della Terrazza Martini a Milano, commìssiata da Teva Italia, azienda leader
nel settore farmaceutico, da sempre impegnata nel rendere accessibili cure di alta qualità attraverso lo
sviluppo, la produzione e la commercializzazione di medicinali equivalenti, di farmaci innovativi, specialità
farmaceutiche e principi attivi. Secondo il campione intervistato - composto da 600 soggetti, uomini e donne
di età compresa tra i 18 e i 64 anni - la "prevenzione" e l'impiego di "farmaci equivalenti" sono due strumenti
efficaci per combattere gli sprechi e garantire al Servìzio sanitario nazionale sostenibilità ed efficienza.
Eppure, nonostante l'interesse dimostrato dalla maggior parte degli italiani, resta ancora qualche reticenza.
Dai risultati è smerso infatti che esistono principalmente tra gli italiani quattro atteggiamenti riferiti alla
sostenibilità della cura: la figura del "partecipativo", ovvero colui che con ottimismo ritiene di poter "fare molto
attraverso il proprio atteggiamento e il proprio comportamento quotidiano", quella dell" arrabbiato" che crede
"dì fare già molto attraverso le tasse e che pretende da medici, farmacisti e Istituzioni un maggiore impegno",
!"'auto-indulgente", convinto "di poter fare molto poco in qualità di singolo" e il "fatalista", "convinto che "sia
inutile darsi molto da fare a cercare soluzioni perché nel sistema italiano le cose non cambiano mai". - » .<• .
È molto importante evidenziare" spiega Massimo Sumberesi, Managing Director di Doxa Marketing Advice
che tra questi archetipi, non è solamente il partecipativo ad avere un ruolo attivo, ma in qualche modo anche
l'arrabbiato, sebbene le sue energie si concentrino nell'invettiva e siano eteroriferite". Continua: "Al contrario,
l'auto-indulgente e il fatalista hanno un atteggiamento passivo e pessimista, tendono a giustificare se stessi
e/o accusare genericamente il sistema di malfunzionamento". In generale, comunque, gli italiani ritengono
che lo "sperpero di risorse da parte della pubblica amministrazione" (64%), la "scarsa equità sociale" (63%) e
I'"opportunismo e la scarsa onestà di chi è al potere" (59%) siano le principali minacce alla sostenibilità del
sistema. Al quarto posto troviamo anche "l'alto costo dei farmaci". "Si tratta di un aspetto che chiama in causa
direttamente le aziende farmaceutiche" afferma Hubert Puech d'Alìssac, AD di Teva Italia "in realtà occorre
sottolineare come i progressi scientifici registrati negli ultimi 50 anni siano stati enormi e spesso possibili
proprio grazie all'impegno e alle risorse investite dall'industria farmaceutica". Continua: "Inoltre le aziende che
producono farmaci equivalenti, sono state in grado di far risparmiare al Sistema sanitario italiano 1,5 MLD di
€ negli ultimi 6 anni. Teva in particolare è un esempio di realtà che oltre a rendere più accessibili le cure con i
farmaci equivalenti continua a impegnarsi e a investire in ricerca e sviluppo per creare nuove soluzioni
terapeutiche e prodotti specialistici innovativi." Proprio l'utilizzo dei farmaci equivalenti è stato poi indicato dal
campione come uno tra i "comportamenti virtuosi" a garanzia di cure più accessibili per tutti. A pensarlo è il
29% degli intervistati, mentre il 38% ritiene che "le autorità sanitarie dovrebbero effettuare più controlli sul
SSN" e il 30% che "sarebbe necessaria una maggiore prevenzione, soprattutto se si parla di certe malattie".
Gli italiani, in particolare, chiedono di avere più notizie sul farmaco equivalente: sebbene il trend di consumo
dei generici sia in crescita, il 26% del campione intervistato sostiene "di non averne mai parlato con il proprio
medico curante". Non va meglio in farmacia: cala infatti rispetto al 2013 la percentuale di farmacisti (dal 58 al
53%) che "spesso o con una certa frequenza" propone la sostituzione del griffato con il suo equivalente.
"L'indagine dimostra che vi sono ancora molti pregiudizi sui farmaci dal nome generico e che, quindi, è
necessaria ancora molta informazione", spiega Silvio Garattini, scienziato e ricercatore in farmacologia,
direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri".
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20/11/2014
TOP - N.47 - 27 novembre 2014
Pag. 77
Sono la mamma di un bambino di 4 anni. Secondo lei posso fidarmi dei tarmaci generici anche per mio figlio?
Bice, Tarante Molti sono i pregiudizi sui farmaci equivalenti che, se autorizzati dal Ministero, sono da
considerarsi sicuri. Tuttavia, specialmente nel caso dei bambini, vanno sempre e comunque somministrati
sotto stretto controllo oediatrico.
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DUBBI SUI GENERICI
PERSONAGGI
1 articolo
17/11/2014
Corriere.it
Sito Web
Salute
L'indisponibilità di alcune categorie di medicinali in farmacia è un fenomeno che non si blocca. Nonostante la
circolare del ministero della Salute del giugno scorso abbia introdotto un sistema di responsabilità e di
controlli ben precisi e più stringenti, le farmacie registrano ancora la «scomparsa» di farmaci antitumorali,
antidepressivi, per il trattamento del morbo di Parkinson e dell'ipertensione, nonché di antiepilettici,
broncodilatatori, anticoagulanti e di preparati anti-colesterolo. Tutti gli «attori» della filiera del farmaco sono
impegnati a trovare una soluzione al problema, ma non è così semplice. Da una parte, infatti, Federfarma,
Farmindustria e la stessa Agenzia italiana del farmaco individuano nel «mercato parallelo» dei medicinali
all'interno della Ue - e dunque nella catena della distribuzione - la causa principale delle carenze. Dall'altra, i
grossisti della distribuzione puntano il dito sulle aziende produttrici - che a loro dire limiterebbero i quantitativi
«a monte» - e comunque su un sistema regionale che concederebbe in modo indiscriminato e senza controlli
autorizzazioni a diventare distributori. Il commercio parallelo di medicinali, occorre ricordarlo, è consentito da
leggi europee che si ispirano al principio della libera circolazione delle merci. In cosa consiste? Grossisti e
farmacisti autorizzati comprano medicinali destinati al mercato italiano, che mediamente costano il 30% in
meno rispetto al resto d'Europa, perché è il Servizio sanitario nazionale a negoziare il prezzo con l'industria
farmaceutica. Poi rivendono i medicinali su mercati dove i prezzi di vendita sono superiori, come in Germania,
nel Regno Unito o nei Paesi scandinavi, e quindi guadagnano sulla differenza. Secondo Aifa, per altro,
l'indisponibilità di farmaci si verifica in alcune regioni più che in altre. Le stesse regioni probabilmente
(Campania in primis), dove sono concentrate gran parte delle 360 farmacie che a detta dell'Associazione
distributori farmaceutici sfruttano le licenze non per fare attività di distribuzione ma solamente per l'export
parallelo. Che la questione delle autorizzazioni alla distribuzione sia un punto cruciale, lo sottolineano anche
Aifa e Federfarma nazionale: «Continuiamo a fare pressione sulle Regioni - spiega il presidente Annarosa
Racca - perché diano le autorizzazioni soltanto ai veri grossisti e non a chi vuole solo esportare». Anche tra
chi si dedica al mercato parallelo, tuttavia, si fanno dei distinguo: «Le farmacie autorizzate alla distribuzione
dovrebbero anche essere in regola con le Gpdp (Good parallel distribution practice, ndr) che sono le norme di
buona distribuzione stilate dalla Commissione europea - sottolinea Claudia Rinaldi, referente
dell'Associazione titolari di autorizzazioni all'importazione parallela di medicinali dall'Europa (Aip) -. In Italia
invece siamo in pochi e c'è un problema di controlli».In realtà, le Regioni hanno fatto partire controlli a
tappeto. «Le Asl stanno facendo ispezioni sui grossisti: non su tutti i 1.100 distributori italiani, ma su quelli
maggiormente conosciuti, cioè i nostri iscritti» si lamenta Sergio Sparacio, presidente di Adf. In generale,
produttori, distributori e farmacie invocano un ripensamento delle regole. Lo ha detto anche il Tribunale di
Roma che ha archiviato la denuncia presentata un anno fa da Federfarma Lazio sulla vicenda, ma ha
sottolineato che «la rarefazione di determinate categorie di farmaci, quantitativamente inidonei a far fronte
alle richieste dell'utenza, è conseguenza negativa di un assetto normativo carente».
PERSONAGGI - Rassegna Stampa 21/11/2014
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L'odissea dei farmaci introvabili Colpa del mercato parallelo