Stralcio volume

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UN’INTRODUZIONE AL CONTRACT DEL DCFR:
LA (NECESSARIA?) BILATERALITÀ
DELLA FORMAZIONE DEL VINCOLO
Carlo Marchetti
SOMMARIO: 1. La definizione di contratto nel DCFR, ed il rapporto tra contratto ed obbligazione.  2.
La scelta del DCFR: la tradizionale concezione del contratto come accordo.  3. Dalle declamazioni alle regole.
1. La definizione di contratto nel DCFR, ed il rapporto tra contratto ed
obbligazione
Il DCFR contiene, tanto nell’art. 1:101 del Libro II, quanto nelle Definizioni, una
esplicita definizione di contratto.
Si tratta, in effetti, di una scelta ben precisa e consapevole dei redattori, scelta
che segna un momento di stacco non irrilevante rispetto ai PECL. In quella sede, infatti, la Commissione per il Diritto Europeo dei Contratti aveva ritenuto preferibile,
in ciò peraltro proseguendo l’impostazione propria anche dei Principi Unidroit, non
includere nelle regole modello proposte una vera e propria nozione di contratto, evitando così di assumere una espressa posizione su un tema, quello definitorio, in realtà più sofferto e complesso di quanto si possa supporre 1. L’articolato dei PECL,
mosso dal primario intento di offrire un sistema di regole (o più precisamente, ap1
Sottolinea Carlo Castronovo (nella Prefazione all’edizione italiana dei Principi di diritto europeo
dei contratti, Parte I e II, Milano, 2001, p. XXII) come in effetti “[i] Principi fornisc[a]no una definizione nascosta del contratto, che si rinviene all’art. 2:201; definizione nascosta perché quella che appunto risulta come l’essenza del contratto è incorniciata nella disciplina della formazione”. Il primo
commento dell’art. 2:101 dei PECL, peraltro, si apre proprio con una indicazione della nozione di contratto utilizzata: e tuttavia, la primaria finalità di tale commento sembra essere non tanto quella di offrire una definizione “autosufficiente”, necessaria per fini tassonomici, del concetto di contratto, quanto
piuttosto quella (come pure Castronovo sottolinea) di richiamare, come nucleo essenziale di riferimento, soltanto la figura pacificamente comune a tutti gli ordinamenti di contratto come fonte di obbligazioni, così non coinvolgendo le figure contrattuali volte a produrre effetti reali. Come meglio vedremo
in seguito, peraltro, l’analisi complessiva dei commenti e delle note dei PECL appaiono mostrare minor
timidezza rispetto al vero e proprio testo. Sul punto si veda anche A. Gentili, I principi del diritto contrattuale europeo: verso una nuova nozione di contratto?, in Riv. dir. priv., 1, 2001.
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punto, di regole modello) contrattuali quanto più possibile neutre rispetto agli specifici bagagli culturali di questo o quel sistema municipale, introduce la materia illustrando senz’altro le modalità mediante le quali il “contratto” – non espressamente
definito – può perfezionarsi (art. 2:101). E subito – ad ulteriore testimonianza dell’urgenza di lasciare fuori campo le peculiarità non condivise dalle diverse esperienze nazionali – , si precisa, nei PECL, che nessun requisito “ulteriore” rispetto a quelli
espressamente enunciati sarà necessario per considerare un contratto correttamente
perfezionato: non la causa, legge l’interprete, non la consideration, non la forma, e
così via 2.
L’art. II-1:101 del DCFR, invece, si propone di offrire una definizione del contratto autosufficiente e rigorosa dal punto di vista concettuale e sistematico: il contratto, si dice, è un “agreement which is intended to give rise to a binding legal relationship or to some other legal effect”. La scelta è stata dunque quella di non seguire
la cautela che aveva ispirato i principi Unidroit ed i PECL, ma di proporre una ben
chiara soluzione al problema definitorio del termine “contract”. A tal proposito, ciò
che ai fini di queste note deve essere subito sottolineato, è che tale scelta, come è
evidente, ha voluto anzitutto ribadire, in linea con la più piana tradizione della cultura giuridica occidentale, che è contract soltanto un agreement, soltanto un accordo 3.
E poiché per raggiungere un accordo occorre essere almeno in due, l’articolo in
commento aggiunge alla definizione, a scanso di equivoci, che il contract può essere
“a bilateral or multilateral juridical act”, con ciò naturalmente volendo riferirsi non
al numero di soggetti destinati ad assumere obbligazioni a seguito del contratto, ma
al numero di soggetti che devono concorrere con una loro manifestazione di volontà
al prodursi dell’“evento”-contratto.
Se si guarda alla tecnica definitoria utilizzata di per sé considerata, e se la si
compara con altre tecniche usate nei codici continentali, si deve osservare come il
DCFR abbia inteso, con l’art. II-1:101, non già elencare tutti gli elementi costitutivi
necessari affinché possa esser accertata l’esistenza di un (valido) contratto, quanto
piuttosto enucleare l’unico elemento costitutivo (o gli unici elementi costitutivi) che
non possono mancare affinché un contratto esista, fatta salva la necessità, mutevole
a seconda dei singoli contratti, di altri elementi 4. Il DCFR sceglie, insomma, di pre2
Sulle connotazioni essenziali della nozione di contratto prescelta dai PECL vedi diffusamente anche C. Castronovo, Il contratto nei «principi di diritti europeo», in Europa e dir. priv., 2001, p. 787, in
cui ci si sofferma sugli sforzi compiuti dai redattori nell’adottare un nucleo comune della definizione di
contratto, che esprimesse un common core accettabile e riconoscibile ad opera delle tante tradizioni
giuridiche coinvolte.
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Si noti che rispetto ai PECL, e più precisamente rispetto al commento al relativo all’art. 2:101 già
richiamato, il DCFR espressamente esclude che il perimetro di riferimento del termine contratto debba
essere limitato agli accordi dai quali derivano obbligazioni. Si legge, nei Comments, che la definizione
proposta vuole coprire anche accordi idonei a produrre “altri effetti giuridici”, quali ad esempio la modifica di un contratto già esistente e, soprattutto, il trasferimento di diritti reali.
4
Si ricordino, in punto di tecniche definitorie, le riflessioni di P.G. Monateri, La sineddoche – Formule e regole nel diritto delle obbligazioni e dei contratti, Milano, 1984.
Un’introduzione al contract del DCFR
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sentare sin da principio il genotipo contrattuale prescelto, identificandolo, appunto,
nell’accordo, nel consenso.
Da dove origina la posizione assunta dai redattori del DCFR, sia quanto alla scelta
stessa di offrire una definizione di contratto quale che sia, sia quanto alla scelta di
definire il contract come consenso? Iniziamo con la scelta di definire di per se stessa
considerata.
Sul piano generale, sembra potersi dire che quella che abbiamo considerato “cautela” nei PECL e nei Principi Unidroit deve esser piuttosto apparsa ai redattori del
DCFR come disordine concettuale. Come bene indicato nella Introduction, è infatti
sembrato indispensabile adottare – si ripete: su di un piano generale – un apparato
concettuale più chiaro e più coerente rispetto a quello proprio dei PECL, ed uno dei
più importanti strumenti prescelti per perseguire l’obiettivo è stata proprio una maggiore attenzione alla accuratezza terminologica. “A primary purpose of the DCFR –
si legge al par. 50, quando la Introduction si occupa di segnalare alcuni tratti distintivi del DCFR rispetto ai PECL – is to try to develop clear and consistent concepts
and terminology”: la scelta di proporre una terminologia univoca, e dunque anche la
scelta di definire il contratto, origina allora dalla precisa volontà di proporre un nuovo, coerente ed ordinato apparato concettuale.
In tale ottica, merita di essere pure sottolineato, non fosse altro per il dibattito
che ne è derivato, come nell’ordine concettuale che si è voluto presentare, una delle maggiori urgenze avvertite dai redattori, prima ancora della inclusione nel testo
di un “contract defined”, è stata quella di ben distinguere il “contratto” dalla “obbligazione” 5. Nei documenti di soft law in materia contrattuale, in effetti, la giustapposizione tra l’una e l’altra categoria tende ad opacizzarsi, vuoi perché non è
avvertita come categorizzazione indispensabile (se pur ben nota) per il giurista di
common law rispetto a quanto non possa dirsi per il civilian 6, vuoi perché laddove
5
Tale distinzione, secondo i redattori implicita nel testo del PECL, è resa esplicita nel testo del
DCFR anche per il tramite della divisione strutturale che separa la disciplina del “contratto”, contenuta
nel Libro II, dalla disciplina delle “obbligazioni”, inclusa invece nel Libro III (cfr. in particolare le considerazioni svolte nella Introduction), p. 27. La riproposizione nel DCFR dell’autonomia della categoria dell’obbligazione da un lato e del contratto dall’altro lato, come si diceva nel testo, non è passata
inosservata, ed anzi ha suscitato vivaci critiche. Si vedano, ad esempio, R. Schulze, T. Wilhelmsson,
From the Draft Common Frame of Reference towards European Contract Law Rules, in European Review of Contract Law, 2, 2008, p. 154, i quali tra l’altro sottolineano come la scelta di ben rimarcare la
distinta categorizzazione di obbligazioni e contratti concorre a rendere il testo eccessivamente dogmatico, e come tale poco utile nell’ottica dell’armonizzazione del diritto contrattuale europeo in cui pur il
DCFR dovrebbe porsi. Gli Autori finiscono così per auspicare che le prossime versioni del documento
possano acquisire una configurazione più “pragmatic and oriented towards the real problems rather
then conceptual structure” (p. 166).
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Se pure la distinzione non è certo ignorata in common law, storicamente in detti sistemi si registra la
tendenza ad un certo assorbimento nella categoria contrattuale di un’ampia serie di fattispecie produttive
di vincoli obbligatori. È il caso, ad esempio, dell’arricchimento senza causa, la cui confluenza latu sensu
nella categoria del contratto deriva principalmente dalla mancata elaborazione di una autonoma categoria
idonea ad accoglierlo. Cfr. sul punto, ad esempio, S.A. Smith, Atiyah’s Introduction to the Law of Contract, Oxford, 2005, p. 30. Vedi anche H. Collins, The Law of Contract, Cambridge, 2003, p. 3.
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è soltanto la materia contrattuale ad essere regolata (ed è il caso ovviamente sia di
Unidroit sia dei PECL) il ricorso ad una categoria concettuale (le obbligazioni) che
vuole catturare anche relazioni che contrattuali non sono appare meno urgente 7.
Nel DCFR, invece, il concetto di contratto torna ad essere ben distinto dal concetto
di obbligazione, volendosi, in perfetta coerenza con la solida tradizione continentale di derivazione tedesca, con il primo descrivere un evento, mentre con il secondo una posizione relazionale la quale può ma non necessariamente deve derivare
da un contratto 8.
I redattori del DCFR, insomma, nel percorso che conduce alla definizione puntuale di contratto, riportano prima di tutto al centro dell’impianto concettuale di riferimento la distinzione tra contratto e obbligazione: il contract è un agreement, un bilateral or multilateral juridical act, ed è cosa concettualmente autonoma rispetto alla obligation, definita come un “duty to perform which one party to a legal relationship, the debtor, owes to another party, the creditor” (art. III-1:102), e che, si potrebbe dire, sopravvive al contratto-evento, perdurando sino alla soddisfacente esecuzione di tutti gli obblighi che dal contratto sono derivati 9.
Sempre sul punto, si deve anche sottolineare come l’esigenza di rompere la correlazione biunivoca che nella gran parte compilazioni precedenti era stata affermata
tra contratto e obbligazione si raccorda pure alla scelta del DCFR, di centrale importanza e già accennata, di riportare il contratto oggetto della disciplina al centro anche
delle vicende traslative di diritti proprietari. Sino a che infatti le vicende proprietarie
ed in particolare le modalità con cui si trasferiscono i diritti reali rimangono al di
fuori del perimetro del testo (è il caso dei PECL), l’allineamento del piano del contratto con quello della obbligazione non desta particolari difficoltà, nemmeno dal
punto di vista teorico classificatorio. Il DCFR, per quanto ciò non a tutti sia piaciu-
7
Ed infatti corpose sono le censure mosse al DCFR per aver travalicato i compiti assegnatigli, finendo per edificare non tanto un quadro comune per il diritto contrattuale quanto un quadro comune
per un (non richiesto, dicono i critici) più ampio diritto delle obbligazioni. Si veda soprattutto, ancora,
R. Schulze, T. Wilhelmsson, From the Draft Common Frame of Reference towards European Contract
Law Rules, in European Review of Contract Law, 2, 2008, p. 154 ss., S. Whittaker, The «Draft Common Frame of Reference» – An assessment commissioned by the Ministry of Justice, United Kingdom,
nov. 2009, il quale ultimo, ad esempio, sottolinea come la trattazione separata del contratto rispetto alle
obbligazioni abbia finito per nascondere, dice l’Autore: “seppellire”, molte regole squisitamente contrattuali così ingenerando incertezze e incongruenze.
8
Sulla distinzione tra “contratto” e “obbligazioni” operata dal DCFR si veda anche L. Antoniolli,
F. Fiorentini, A Factual Assessment of the Draft Common Frame of Reference by the Common Core
Evaluating Group, Trento e Trieste, 2009. Sulla distinzione, come già si è ricordato, insiste particolarmente anche la Introduction, in cui ad esempio (p. 31) si precisa che “under the DCFR it is not the contract which is performed. A contract is concluded; obligations are performed. Similarly, a contract is
not terminated. It is the contractual relationship, or particular rights and obligations arising from it,
which will be terminated”.
9
Sui rapporti tra le categorie concettuali di contratto e di obbligazioni nelle altre esperienze di soft
law europee si veda anche P. Rescigno, Il contratto in generale, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e
P. Rescigno, Milano, 2009, p. 40 ss.
Un’introduzione al contract del DCFR
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to 10, decide invece di occuparsi anche di come la proprietà dei beni si trasferisce, vicenda cui è dedicato l’intero Libro VIII. Di qui la necessità di presentare il contratto
come momento genetico non solo di un rapporto meramente obbligatorio, ma anche
della vicenda traslativa (sia pure in possibile concorso con altri requisiti): di qui
dunque un’ulteriore ragione, quanto meno nell’ottica dei redattori, per edificare un
impianto tassonomico in cui contratto e rapporto obbligatorio rimanessero bene distinti.
Ed in effetti, se si guarda alla disciplina del Chapter 2 del Libro VIII (intitolato
Transfer of ownership based on the transferor’s right or authority), si ha modo di
verificare come in materia di trasferimento di diritti reali, il DCFR non abbia accolto
un principio consensualistico puro, avendo invece preferito un modello per così dire
misto, che lascia (un centrale) spazio anche al cumulo tipicamente germanistico tra
modus e titulus. Affinché l’effetto reale possa prodursi, infatti, è necessario, in via
alternativa, o che le stesse parti abbiano raggiunto un accordo in merito al momento
in cui la proprietà è destinata a radicarsi presso l’acquirente, oppure che venga perfezionata la consegna del bene o un adempimento “equivalente” alla consegna. A
ben guardare, peraltro, pur essendo la consegna del bene un modus necessario soltanto nel silenzio delle parti, è chiaro che è proprio questo invece il perno attorno al
quale la vicenda traslativa di beni mobili, secondo il DCFR, deve svolgersi: se
l’ambizione (almeno teorica) è quella di un corpus di regole destinate a disciplinare
qualunque contratto, è evidente che il numero di vicende traslative nelle quali esisterà un espresso accordo dei contraenti circa le modalità (if any) ed i tempi del passaggio proprietario sarà quantitativamente piuttosto modesto. Ed allora, per tornare alle
ragioni della emancipazione del contratto rispetto al rapporto obbligatorio, nella vicenda traslativa, secondo l’impianto definitorio e concettuale del DCFR, il contratto
non può certo confondersi con lo svolgimento di una relazione intersoggettiva caratterizzata da intrecci di reciproci diritti ed obblighi. Il contratto, in queste ipotesi, deve necessariamente rimanere (si ripete: nell’ottica concettualmente rigorosa dei redattori) un evento (e non una relazione), ed in particolare un evento che fornisce
all’acquirente un titolo (entitlement, nella terminologia del VIII-2:101) che, una volta accompagnato dalla consegna del bene, ne consente l’acquisizione.
L’approccio alle nozioni di contratto da un lato ed obbligazioni dall’altro lato è
dunque un approccio che nel DCFR emerge con ordine e coerenza, lineare rispetto
alla tradizione germanistica che indubbiamente anima lo scheletro di fondo dell’intero testo. Rimangono però, già se ne accennava, le molte critiche di chi si attendeva
dall’opera un testo europeo di regole utili per la pronta redazione e messa in opera di
un contratto, funzione che in effetti viene ostacolata, anziché agevolata, da una caratterizzazione eccessivamente dogmatica della disciplina. Ed è proprio questa la ragione che ha indotto la Commissione Europea a muoversi verso un testo ben più
snello ed agile come è la proposta dell’ottobre 2011 di Regolamento del Common
10
Vedi ancora soprattutto R. Schulze, T. Wilhelmsson, From the Draft Common Frame of Reference towards European Contract Law Rules, in European Review of Contract Law, 2, 2008, p. 154.
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European Sales Law (CESL) 11. Nel CESL, in effetti, l’approccio tassonomico volto a
tener distinto il momento genetico – il contratto evento – dallo svolgersi della relazione viene, insieme a molto altro, abbandonato. La scelta, piuttosto, è stata quella di
offrire uno strumento dal campo di applicazione ben più limitato (consistente nella
vendita di beni mobili o nella fornitura di digital content), e connotato da una struttura che seguisse in modo fluido il “ciclo di vita” del contratto, così accogliendo le
molte istanze volte ad una “recontrattualizzazione” del DCFR 12.
2. La scelta di merito del DCFR: la tradizionale concezione del contratto
come accordo
Il bisogno d’ordine concettuale che agita i redattori conduce poi, si diceva, all’esplicita e non rivoluzionaria assunzione dell’accordo come genotipo di contratto;
scelta, questa, che si limita ad accogliere il sostrato proprio della tradizione romanistica, quale poi sviluppata nel diritto comune ed oltre, del contratto come consensus
in idem placitum 13. Elevare l’accordo a paradigma di ciò che è contract, a sua volta,
porta a proclamare – come in effetti si proclama nell’art. II-1:101 – la necessaria bilateralità (o multilateralità) del contratto.
La scelta di per sé si colloca, ancora una volta, nel solco di una tradizione che in
realtà è condivisa dalla gran parte della dottrina (da Puchta in poi) e delle codificazioni europee, quanto meno nell’interpretazione datane dalla scuola. Secondo l’insegnamento della dottrina francese, evocherebbe, ma vedremo subito come si tratti di
una lettura tutt’altro che necessitata, l’indispensabile presenza di un accordo la definizione di contratto del Code Napoleon (che presenta nell’art. 1101 il contrat come
una convention, salvo però poi introdurre la precisazione, su cui tra breve si tornerà,
11
Si vedano, tra l’altro, i contributi sopra citati nella nota 5, così come, ad esempio, R. Zimmermann, The Present State of European Private Law, 57 Am. J. Comp. L. 479 (2009), il quale, tra una serie di rilievi critici mossi nei confronti del DCFR, osserva pure come in esso via sia una “inclination to
blur the lines between texbook and legislation” (p. 492). Sono d’altra parte proprio queste le perplessità
avvertite dalla Commissione Europea nel momento di incaricare l’Expert Group di redigere il nuovo
c.d. feasibility study da cui è poi derivata la proposta di regolamento del Common European Sales Law:
l’invito, tra l’altro, è stato in effetti quello di “develop a text that would not only be concise, but also be
user-friendly, both in its language and structure so it could be understood and used by business and
consumers who would not necessarily be specialist in the area of contract law” (nella accompagnatoria
del feasibility study, p. 6).
12
Vedi in particolare A. Veneziano, Conclusion of contract, in Towards a European Contract Law,
Reiner Schulze e Jules Styck (ed.), Munich, 2011, p. 88.
13
Si vedano, su questi temi, ad esempio, le considerazioni di G. Alpa in G. Alpa, M.J. Bonell, D.
Corapi, L. Moccia, V. Zeno-Zencovich, Diritto privato comparato: Istituti e problemi, Roma-Bari, 1999,
p. 148 ss., e, per quanto più specificamente attiene i profili storici del diritto romano, V. Marotta in E.
Cantarella, V. Marotta, B. Santalucia, A.A. Schiavone, E. Stolfi, U. Vincenti, Diritto privato romano,
Un profilo storico, Torino, 2010.
Un’introduzione al contract del DCFR
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dell’art. 1108); evoca poi la centralità dell’accordo il codice civile italiano (art. 1321)
ed il costante insegnamento della dottrina tedesca; e ancora, condivisa sia pure meno
dominante e soprattutto meno significativa (per le ragioni su cui pure vedi subito infra), è l’assunzione dell’agreement come epicentro del contract nei Paesi di common
law. La declamazione dell’art. II-1:101 del DCFR, pertanto, bene si accomoda nella
tradizione del pensiero europeo.
E tuttavia, se si guarda all’incidenza sul piano operazionale del paradigma della
bilateralità, la scelta del DCFR si presta ad una serie di riflessioni critiche peraltro
ben note alla dottrina ormai non solo italiana.
Lo studio comparato dei principali sistemi europei continentali dimostra infatti,
come meglio di tutti ha sottolineato Rodolfo Sacco 14, che in realtà tra le regole operazionali applicate, ad esempio, dai giudici francesi vi è quella di assicurare una protezione di fatto contrattuale anche alle promesse unilaterali gratuite (vale a dire non
corrisposte), nelle quali in effetti manca qualunque tipo di accettazione; il che, peraltro, non crea eccessivi sconquassi nel sistema, considerato che lo stesso Code Civil,
nell’art. 1108, richiede per la validità del contratto il solo consenso della parte che
assume un’obbligazione. Analogamente, il diritto tedesco sembra assicurare, sempre
a livello operazionale, un enforcement di matrice contrattuale alle proposte di attribuzione patrimoniale gratuita non accettate soprattutto per il tramite dell’equiparazione, in questi casi, del mero silenzio all’accettazione espressa. L’esperienza italiana a tal proposito è ancor più significativa (nonostante vi sia una solida e notissima
tradizione dottrinale volta a dimostrare il contrario), poiché esiste una disposizione
codicistica (l’art. 1333 c.c.) che in modo espresso chiama contratto quella promessa
che, ponendo obbligazioni solo a carico del proferente, non richiede accettazione alcuna 15. Dal diritto continentale vivente emergono allora testimonianze, volendo qui
molto semplificare alcuni esiti di un dibattito tutt’altro che semplice, che conducono
a ridimensionare, nella ricerca di una nozione di contratto che sveli il vero, la centralità del consenso inteso come scambio di due o più manifestazioni di volontà, così
pure inevitabilmente ridimensionando la centralità del dogma della formazione bilaterale del contratto 16. Con ciò peraltro aprendosi la via, su di un piano ancor più ge14
Si vedano, tra i tanti contributi dedicati dall’Autore al tema, R. Sacco e G. De Nova, Il contratto,
in Trattato di diritto civile, Torino, 2004, p. 243 ss., R. Sacco, La conclusione dell’accordo, in E. Gabrielli (a cura di), I contratti in generale, contributi di P. Rescigno et al., Torino, 2006, p. 61, nonché la
voce “contratto con obbligazioni a carico del solo proponente” in Digesto civ., V, Agg. Torino, 2010, p.
406 ss.
15
È qui inutile anche solo richiamare per sommi capi il pluridecennale dibattito italiano sui temi
che si stanno menzionando. Ci si limita dunque solo a richiamare una recente sentenza di Cassazione in
cui, a prescindere dallo specifico tema del contendere, viene confermata la riconduzione della fattispecie di cui all’art. 1333 c.c. a quella del contratto che si forma per via unilaterale, e dunque senza accordo inteso come duplice manifestazione di volontà: Cass. Sez. II, 31 ottobre 2008, n. 26325 in Riv. not.,
1, 2010.
16
Discorrendo in merito a possibili prospettive di riforme codicistiche, Sacco a proposito dei modi di
formazione del contratto ricorda e ribadisce che “[il] contratto-negozio può essere a formazione unilaterale, se obbliga solo il proponente. E allora smettiamo di legare l’idea del contratto all’idea della formazio-
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nerale, ad una lettura del contratto che ne individui la forza motrice ultima più nella
promessa, ed in particolare nella promessa che ingenera affidamento, che non nell’accordo 17.
L’osservazione e lo studio del diritto contrattuale di common law, ed in particolare – visto l’orizzonte “geografico” del DCFR – del diritto contrattuale inglese, offre
ulteriori conferme delle tendenze che si sono ora registrate. Al proposito, conviene
preliminarmente ricordare come il fascino del genotipo contrattuale costituito dall’agreement abbia per la verità da sempre una minore incidenza in Inghilterra rispetto a quanto non si possa dire per l’Europa continentale 18. Nella sua genesi storica, il
contract infatti viene percepito soprattutto come strumento idoneo a punire la condotta fraudolenta di chi non tiene fede ad una promise, e la lettura del contratto in
termini di promessa – più che di accordo – risulta, nelle riflessioni della dottrina,
tutt’oggi più viva che mai 19. Certo, il diritto contrattuale inglese si snoda tutto sulla
ne bilaterale” (R. Sacco, Il problema della riforma (La conclusione del contratto), in Il diritto delle obbligazioni e dei contratti verso una riforma? Le prospettive di una novellazione del Libro IV del Codice Civile nel momento storico attuale, in Riv. dir. civ., 2006, p. 201). Per una critica all’adesione al modello consensualistico tradizionale propria anche dei Principi Acquis vedi anche F. Addis, La formazione
dell’accordo, in I «Princìpi» del diritto comunitario dei contratti, a cura di G. De Cristofaro, Torino,
2009, il quale (p. 334) lamenta che con la scelta degli Acquis di ignorare la pluralità procedimentale della
formazione del contratto, “quest’ultima oggi viene qui nuovamente ricacciata nella mistica del consenso,
intesa come incontro, fusione delle volontà e dunque come modello esclusivo di formazione del contratto”.
17
Si tratta, come evidente, di temi di vertice che meriterebbero ben altro approfondimento, soprattutto sotto il profilo della effettiva idoneità della nozione di “promessa” a catturare l’intero perimetro
delle figure contrattuali. Richiamiamo soltanto, ed ancora una volta, per tutti, le posizioni di R. Sacco
elaborate, tra l’altro, nelle opere da ultimo citate nonché il suo Il Fatto, l’atto, il negozio giuridico, Torino, 2005, ove l’attenzione viene soprattutto rivolta all’idea di una categoria sovraordinata che più che
alla promessa di per sé considerata (forse non perfettamente adatta, ad esempio, per i contratti produttivi di effetti reali) guarda all’ancor più ampio principio del nemo potest contra factum proprium venire.
Per alcune recenti (o recentemente riproposte) considerazioni critiche circa il superamento del paradigma del contratto come accordo vedi invece, ad esempio, G.B. Ferri, La nozione di contratto, in Trattato dei Contratti diretto da P. Rescigno, I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino, 2006.
18
Per analisi, inglesi e statunitensi, che dedicano particolare attenzione ad una nozione di contract
incentrata sulla promise si vedano anzitutto i classici C. Fried, Contract as Promise: A Theory of Contractual Obligation, Cambridge, 1981, e prima ancora F. Pollock, Principles of Contract: a Treatise on
the General Principles Concerning the Validity of Agreements in the Law of England, London, 1936, in
cui si rinviene la storica definizione di contract come “a promise or a set of promises” cui il diritto dà
forza vincolante. J. Beatson, Anson’s Law of Contract, 2002, descrive la law of contract come “that
branch of the law which determines the circumstances in which a promise shall be legally binding on
the person making it”. Vedi anche S.A. Smith, Contract Theory, Oxford, 2007, e R. Brownsword, Contract Law, Oxford, 2006, per il quale ultimo, in particolare, elemento necessario di ogni contratto è e
rimane, appunto, la promessa, sia essa “express, implied, imputed, or constructed”. E ancora, vedi T.
M. Scanlon, Promises and Contracts, in P. Benson, “The Theory of Contract Law”, Cambridge, 2001,
secondo cui “the similarity between a promise and a contract is so obvious that it is natural to suppose
that there is much to be learned about one of these notions by studying the other, or even that the legal
notion of a contract can be understood by seeing it as based on the moral idea of a promise”.
19
Sulla nota origine del contratto come rimedio a tutela della violazione di una promessa, si veda,
nella letteratura italiana, soprattutto G. Alpa, Contratto e common law, Padova, 1987, p. 14: “[…] nel
Un’introduzione al contract del DCFR
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ricerca e sulla individuazione di quali ulteriori elementi, oltre alla promessa di per se
stessa considerata, si debbano riscontrare nella singola fattispecie affinché di contract possa parlarsi: ma il linguaggio che chiama il contratto, appunto, “promessa” è
un linguaggio che i giudici, gli studiosi, i pratici adoperano e condividono quotidianamente. Ed in un quadro concettuale di tale natura, la presa della necessaria bilateralità della formazione del vincolo contrattuale risulta inevitabilmente allentata, come la vicenda degli unilateral contract (contratti per i quali è pacifica e “naturale”
l’assenza della dichiarazione del promissario) bene dimostra.
Se poi guardiamo al trattamento inglese delle promesse sprovviste di consideration, si deve anzitutto osservare come la struttura tipica della forma richiesta per
l’enforcement di tali promesse – il deed –, non prevede l’accettazione espressa di colui a favore del quale la promessa è formulata. Vi è una certa tradizione, è vero, che
suggerisce e ricorda che il deed non è un contract: ma a ben vedere si tratta di una
declamazione che appare ormai tralatizia, spesso giustificata dalla volontà di non rinunciare, a livello teorico, all’idea del contratto quale scambio, altro genotipo, questo, ben noto e diffuso nella cultura giuridica anglosassone e quanto mai adatto all’utilizzo dello strumentario concettuale importato dalla law and economic analysis.
Ma in realtà, ormai, nella letteratura anche manualistica corrente nessun più traveste
il deed con qualcosa diverso da quello che in effetti è: una forma richiesta per l’efficacia di alcune tipologie di contratti, la quale non contempla la necessità dell’accettazione 20.
Lo studio delle promesse sprovviste di consideration in Inghilterra (ed ancor di
più negli Stati Uniti), inoltre, svela il costante e sempre crescente peso di promesse
gratuite riconosciute vincolanti anche senza forma, per il tramite degli istituiti che
derivano dalla dottrina dell’estoppel: promesse, queste, che vengono riconosciute
come vincolanti non già in quanto accettate dal destinatario, ma in quanto capaci di
ingenerare affidamento 21. E nonostante, anche qui, qualche ritrosia di natura ancora
common law, la disciplina del contratto si fonda, alle origini, sull’idea di danno derivante dalle violazioni della promessa e, quindi, la nozione di tort e quella di contract assumono molti punti di contatto
[…]. Essenzialmente l’idea di contratto sorge da quella di assumpsit, connessa al trespass, cioè alla
azione concessa contro chi non aveva adempiuto o aveva adempiuto inesattamente”. Per una recente ed
efficace sintesi, a livello manualistico, dell’evoluzione del diritto contrattuale inglese cfr. pure l’americano G. Klass, Contract Law in the Usa, New York, 2010, p. 28.
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Si legga, ad esempio, S.A. Smith, Atiyah’s Introduction to the Law of Contract, Oxford, 2005, p.
58, il quale, pur sottolineando la diversa origine storica delle norme disciplinanti i deed, sviluppatesi
all’interno della law of covenant anziché nell’alveo da cui invece origina la moderna law of contract,
ossia dal trespass, non nutre dubbi sul fatto che una promessa o un accordo nella forma di deed “is
plainly a contract”.
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Si noti che la nozione di affidamento cui si riferisce la dottrina dell’estoppel appare, pur nell’incertezza che ancora circonda l’istituto, piuttosto ampia, non essendo necessario che tale affidamento
venga esplicitato dal promissario ed essendo invece sufficiente che esso sia prevedibile o noto al promittente: “according to this doctrine, a promise may be enforced in certain circumstances if it is relied
upon by the promisee. The main difference between an estoppel and an enforceable conditional promise, so far as reliance is concerned, is that for an estoppel the reliance need not be specified by the
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Carlo Marchetti
una volta teorica, i tentativi di confinare da un punto di vista tassonomico queste
forme di protezione in territori diversi rispetto a quello contrattuale non sembrano
destinati a durare ancora a lungo 22. Ed ancora, la tradizione di common law tratta da
sempre come contract la prestazione di garanzie, diremmo noi, fideiussorie. Ma tali
garanzie, che devono risultare da atto scritto in forza dello Statute of Frauds del
1677, vengono formate con la sola sottoscrizione del garante: un’altra tipologia, dunque, di contratti a formazione unilaterale 23.
Il diritto inglese concorre allora in modo assai significativo a promuovere nella
cultura giuridica europea una concezione di contratto nella quale la formazione bilaterale non occupa una posizione dominante, così pure concorrendo ad accreditare
sempre di più l’idea di contratto più che come accordo come promessa che ingenera
affidamento 24.
Anche il dibattito europeo di oggi, peraltro, seppure non (ancora) troppo frequentemente talora segnala l’opportunità di una lettura del fenomeno contrattuale sempre più
orientata verso la nozione di promessa affidante. Nello studio coordinato da Bénédicte
Fauvarque-Cosson e Denis Mazeaud per l’Association Capitant, ad esempio, ampio spazio è proprio dedicato allo studio della tendenza che muove il contratto verso una nozione basata sulla reliance, così come dei molti modelli di promesse unilaterali – come
tali sprovviste di accettazione – di fatto in tutto e per tutto equiparate ai contratti 25.
promisor as a condition of the promise. It is enough that the promisee relies on the promise” Così S.A.
Smith, op. cit., p. 124. L’affidamento è poi solo uno degli elementi che permettono di accedere alla dottrina dell’estoppel, essendo inoltre richiesta la presenza di una promessa chiara ed inequivocabile, e la
situazione di pregiudizialità ed “ingiustizia” che si manifesterebbe nel caso in cui la promessa non venisse adempiuta: cfr. tra i vari M.C. Wishart, Contract law, Oxford, 2010, p. 162, e, nella letteratura australiana, M. Spence, Protecting Reliance: the emergent doctrine of equitable estoppel, p. 1.
22
E del resto negli Stati Uniti è del 1932 l’inclusione dell’estoppel nel Restatement on Contracts,
come si rileva con preoccupazione nel classico Gilmore, The Death of Contract, Columbus, 1974.
23
G.H. Treitel, The law of contract, London, 2007, p. 19 ss.
24
Come già si è ricordato nel testo, particolare importanza in tale ottica assume la lunga storia degli
unilateral contracts, categoria di contratti caratterizzati, appunto, dall’irrilevanza della accettazione. Già
molti decenni orsono il giudice Bowen, scrivendo la propria opinion di Carlill v Carbolic Smoke Ball Co
[1893] 1 QB 256, dava per scontato che molti contratti non richiedono, per loro natura, alcuna accettazione: “[…] how are we to find out whether the person who makes the offer does intimate that notification of
acceptance will not be necessary in order to constitute a binding bargain? In many cases you look to the
offer itself. In many cases you extract from the character of the transaction that notification is not required, and in the advertisement cases it seems to me to follow as an inference to be drawn from the
transaction itself that a person is not to notify his acceptance of the offer before he performs the condition,
but that if he performs the condition notification is dispensed with. It seems to me that from the point of
view of common sense no other idea could be entertained. If I advertise to the world that my dog is lost,
and that anybody who brings the dog to a particular place will be paid some money, are all the police or
other persons whose business it is to find lost dogs to be expected to sit down and write me a note saying
that they have accepted my proposal?”. Per una recente ed acuta analisi che legge nel contratto una promessa che ingenera ragionevole affidamento, a prescindere dalla bilateralità del percorso di formazione
dello stesso cfr. soprattutto il già citato R. Brownsword, Contract law, Oxford, 2006, p. 22.
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V. European Contract Law – Materials for a Common Frame of Reference: Terminology, Guiding Principles, Model Rules, Association Henri Capitant des Amis de la Culture Juridique Française