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REUTERS/PICHI CHUANG/CONTRASTO
DOSSIER LE TIGRI D’ORIENTE
Gli artigli del drago
“Il popolo cinese si è alzato in piedi”. Era il 1949 quando Mao Zedong salì al potere
in un paese fiacco, ancorché vivo, dopo il lungo “secolo dell’Umiliazione”. Il Grande
Timoniere riunificò una nazione allo sbando, militarizzandola. Sessanta anni dopo,
per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, la Cina è il quinto esportatore di
armi al mondo.
di Alessandra Spalletta
AGI China 24
\ Wu Tzeng-dong usa
il ferro di resti
d’artiglieria per
realizzare un “Coltello
Kinmen” nella sua
fabbrica a Kinmen.
La Cina è oggi il quinto
esportatore di armi al
mondo.
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L
a seconda potenza economica del pianeta punta ad affermare anche la propria forza militare. Da quando ha iniziato a produrre armi sofisticate, Pechino
compra sempre meno armi e ne vende sempre
di più. Il Drago non svela le cifre ufficiali. I
dati resi noti a marzo sono elaborati dal think
tank di Stoccolma, Sipri, che dal 1950 pubblica
il rapporto annuale Trends in International
Arms Transfer. I cinesi – scandiscono i ricercatori svedesi – vendono armi soprattutto al
Pakistan, storico alleato di Pechino, alimentando le ansie dell’India, comune rivale. Islamabad compra il 55% delle armi cinesi, un
trend destinato a consolidarsi.
L’India non è l’unico paese asiatico a temere
la forza militare della Cina. Il “Sogno cinese”
del nuovo presidente Xi Jinping ha uno spiccato lato militare. E in molti si chiedono quanto
sia ferreo il controllo del vertice politico sull’esercito, alla luce della recente aggressività
dei soldati impegnati nelle dispute territoriali.
Con un budget militare che nel 2013 aumenterà del 10,7%, l’obiettivo è contenere la penetrazione della marina americana e rafforzare
il controllo sul Mar Cinese Meridionale e sulle
diverse isole che Pechino rivendica ma la cui
titolarità è contestata, tra gli altri, da Giappone,
Filippine, Vietnam e Brunei. L’anno scorso per
la prima volta il Consiglio di Stato ha definito
le questioni territoriali di “prioritario interesse”
per il governo cinese, e quest’anno anche il Libro Bianco della Difesa (pubblicato il 17 aprile
scorso) non lascia dubbi sulla determinazione
dell’esercito ad attaccare “se siamo attaccati”.
Il Pakistan non è l’unico paese a comprare
armi dai cinesi: nel periodo 2008-2012, Asia e
Oceania hanno fatto da ricettacolo per il 74%
east european crossroads
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CINA
numero 48 luglio/agosto 2013
 Chi vende e chi compra
l commercio mondiale di armi ha
visto una crescita del 17% tra il
2008 e il 2012, rispetto al periodo
precedente. Stati Uniti (30%) e
Russia (26%) fanno la parte da
leone, seguono Germania e
Francia; la fetta della torta
spettante alla Cina è passata in
cinque anni dal 2% al 5%.
Le esportazioni della Cina sono
cresciute del 162% dal 2008 al
2012 rispetto al quinquennio
precedente. Islamabad, storico
alleato di Pechino nell’Asia del
Sud, assorbe buona parte delle
armi vendute dalla Cina: un trend
destinato a consolidarsi,
spiegano i ricercatori svedesi, alla
luce del pianificato fabbisogno
pakistano di aerei da
combattimento, sottomarini e
fregate. Il Pakistan era già emerso
l’anno scorso come il principale
I
paese ricevente della Cina, che
dal 2007 vende all’alleato anche
fregate 3 F-22P (Zulfiquar) e carri
armati MBT-2000.
Nonostante dal periodo 20032007 al 2008-2012, il volume
delle importazioni cinesi sia
sceso dal 12% al 6%, la Cina
continua a comprare prodotti
bellici, soprattutto alla Russia.
Il design e lo scafo della prima
portaerei cinese, consegnata nel
2012, sono di importazione ucraina.
L’aereo da combattimento più
importante e quello “prodotto su
larga scala”, il J-10 e il J-11, hanno
il motore russo AL-31FN. Nel 2012
la Cina ha ordinato 55 elicotteri
Mi-17 dalla Russia e ha negoziato
con Mosca possibili accordi per
la fornitura di aerei da
combattimento Su-35 e
sottomarini.
REUTERS/STRINGER/CONTRASTO
dell’export, l’Africa per il 13%. Anche la Birmania, il Bangladesh e il Venezuela si rivolgono al Gigante asiatico per l’acquisto di prodotti per la difesa. L’aumento dell’export di armi è un trend di
lungo periodo: il think tank svedese lo aveva
già segnalato nel 2010 in parallelo a una declinazione delle importazioni, complice l’embargo
adottato dall’Europa dopo i fatti di Tiananmen
nel 1989. La crescita delle esportazioni (+162%
dal 2008 al 2012) è una conseguenza dell’ammodernamento delle forze armate. Il principale
cliente del Drago non compra armi leggere ma
sofisticati sistemi d’arma, come il cacciabombardiere JF-17.
In entrata, nonostante i progressi dell’industria militare, la Cina è ancora blandamente dipendente da altri paesi per l’approvvigionamento di motori per gli aerei da combattimento,
che importa dalla Russia, e altre componenti e
prodotti di design, che compra dalla Francia,
dalla Svizzera, dalla Gran Bretagna, dall’Ucraina
e dalla Germania. L’embargo non viene preso
alla lettera, ciascun paese europeo lo interpreta
in modo diverso. L’Italia non fa eccezione, nonostante le cifre del nostro export impallidiscano
di fronte a quelle dei cugini europei.
Una Cina guerrafondaia? Dopo la pubblicazione del rapporto del Sipri, Pechino non è
stata zitta. La portavoce degli esteri Hong Lei
ha piccatamente ribadito la posizione ufficiale:
“La Cina ha sempre adottato un atteggiamento
prudente e responsabile nell’esportazione delle
armi […] e dà piena attuazione ai vincoli imposti
dalle leggi internazionali.”
“La Cina non dovrà mai essere un mercante
della morte”: con questo mantra Pechino criticava negli anni Settanta l’embargo di armi e
tecnologie adottato dai paesi occidentali come
“leva a scopi ideologici”. All’epoca, però, le
esportazioni di armi cinesi erano irrisorie. La
musica è cambiata negli ultimi 20 anni, quando
il Drago ha mostrato i suoi artigli.
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