east_48_Gli_artigli_del_drago
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74-75 Cina Spalletta+BOX_Layout 1 17/06/13 18.38 Pagina 74 REUTERS/PICHI CHUANG/CONTRASTO DOSSIER LE TIGRI D’ORIENTE Gli artigli del drago “Il popolo cinese si è alzato in piedi”. Era il 1949 quando Mao Zedong salì al potere in un paese fiacco, ancorché vivo, dopo il lungo “secolo dell’Umiliazione”. Il Grande Timoniere riunificò una nazione allo sbando, militarizzandola. Sessanta anni dopo, per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, la Cina è il quinto esportatore di armi al mondo. di Alessandra Spalletta AGI China 24 \ Wu Tzeng-dong usa il ferro di resti d’artiglieria per realizzare un “Coltello Kinmen” nella sua fabbrica a Kinmen. La Cina è oggi il quinto esportatore di armi al mondo. 74 L a seconda potenza economica del pianeta punta ad affermare anche la propria forza militare. Da quando ha iniziato a produrre armi sofisticate, Pechino compra sempre meno armi e ne vende sempre di più. Il Drago non svela le cifre ufficiali. I dati resi noti a marzo sono elaborati dal think tank di Stoccolma, Sipri, che dal 1950 pubblica il rapporto annuale Trends in International Arms Transfer. I cinesi – scandiscono i ricercatori svedesi – vendono armi soprattutto al Pakistan, storico alleato di Pechino, alimentando le ansie dell’India, comune rivale. Islamabad compra il 55% delle armi cinesi, un trend destinato a consolidarsi. L’India non è l’unico paese asiatico a temere la forza militare della Cina. Il “Sogno cinese” del nuovo presidente Xi Jinping ha uno spiccato lato militare. E in molti si chiedono quanto sia ferreo il controllo del vertice politico sull’esercito, alla luce della recente aggressività dei soldati impegnati nelle dispute territoriali. Con un budget militare che nel 2013 aumenterà del 10,7%, l’obiettivo è contenere la penetrazione della marina americana e rafforzare il controllo sul Mar Cinese Meridionale e sulle diverse isole che Pechino rivendica ma la cui titolarità è contestata, tra gli altri, da Giappone, Filippine, Vietnam e Brunei. L’anno scorso per la prima volta il Consiglio di Stato ha definito le questioni territoriali di “prioritario interesse” per il governo cinese, e quest’anno anche il Libro Bianco della Difesa (pubblicato il 17 aprile scorso) non lascia dubbi sulla determinazione dell’esercito ad attaccare “se siamo attaccati”. Il Pakistan non è l’unico paese a comprare armi dai cinesi: nel periodo 2008-2012, Asia e Oceania hanno fatto da ricettacolo per il 74% east european crossroads 74-75 Cina Spalletta+BOX_Layout 1 13/06/13 00.27 Pagina 75 CINA numero 48 luglio/agosto 2013 Chi vende e chi compra l commercio mondiale di armi ha visto una crescita del 17% tra il 2008 e il 2012, rispetto al periodo precedente. Stati Uniti (30%) e Russia (26%) fanno la parte da leone, seguono Germania e Francia; la fetta della torta spettante alla Cina è passata in cinque anni dal 2% al 5%. Le esportazioni della Cina sono cresciute del 162% dal 2008 al 2012 rispetto al quinquennio precedente. Islamabad, storico alleato di Pechino nell’Asia del Sud, assorbe buona parte delle armi vendute dalla Cina: un trend destinato a consolidarsi, spiegano i ricercatori svedesi, alla luce del pianificato fabbisogno pakistano di aerei da combattimento, sottomarini e fregate. Il Pakistan era già emerso l’anno scorso come il principale I paese ricevente della Cina, che dal 2007 vende all’alleato anche fregate 3 F-22P (Zulfiquar) e carri armati MBT-2000. Nonostante dal periodo 20032007 al 2008-2012, il volume delle importazioni cinesi sia sceso dal 12% al 6%, la Cina continua a comprare prodotti bellici, soprattutto alla Russia. Il design e lo scafo della prima portaerei cinese, consegnata nel 2012, sono di importazione ucraina. L’aereo da combattimento più importante e quello “prodotto su larga scala”, il J-10 e il J-11, hanno il motore russo AL-31FN. Nel 2012 la Cina ha ordinato 55 elicotteri Mi-17 dalla Russia e ha negoziato con Mosca possibili accordi per la fornitura di aerei da combattimento Su-35 e sottomarini. REUTERS/STRINGER/CONTRASTO dell’export, l’Africa per il 13%. Anche la Birmania, il Bangladesh e il Venezuela si rivolgono al Gigante asiatico per l’acquisto di prodotti per la difesa. L’aumento dell’export di armi è un trend di lungo periodo: il think tank svedese lo aveva già segnalato nel 2010 in parallelo a una declinazione delle importazioni, complice l’embargo adottato dall’Europa dopo i fatti di Tiananmen nel 1989. La crescita delle esportazioni (+162% dal 2008 al 2012) è una conseguenza dell’ammodernamento delle forze armate. Il principale cliente del Drago non compra armi leggere ma sofisticati sistemi d’arma, come il cacciabombardiere JF-17. In entrata, nonostante i progressi dell’industria militare, la Cina è ancora blandamente dipendente da altri paesi per l’approvvigionamento di motori per gli aerei da combattimento, che importa dalla Russia, e altre componenti e prodotti di design, che compra dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Gran Bretagna, dall’Ucraina e dalla Germania. L’embargo non viene preso alla lettera, ciascun paese europeo lo interpreta in modo diverso. L’Italia non fa eccezione, nonostante le cifre del nostro export impallidiscano di fronte a quelle dei cugini europei. Una Cina guerrafondaia? Dopo la pubblicazione del rapporto del Sipri, Pechino non è stata zitta. La portavoce degli esteri Hong Lei ha piccatamente ribadito la posizione ufficiale: “La Cina ha sempre adottato un atteggiamento prudente e responsabile nell’esportazione delle armi […] e dà piena attuazione ai vincoli imposti dalle leggi internazionali.” “La Cina non dovrà mai essere un mercante della morte”: con questo mantra Pechino criticava negli anni Settanta l’embargo di armi e tecnologie adottato dai paesi occidentali come “leva a scopi ideologici”. All’epoca, però, le esportazioni di armi cinesi erano irrisorie. La musica è cambiata negli ultimi 20 anni, quando il Drago ha mostrato i suoi artigli. DOSSIER 75