etty hillesum - PARROCCHIA DI LONGUELO

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etty hillesum - PARROCCHIA DI LONGUELO
ETTY HILLESUM
TESTIMONE DI
DIO
NELL’ABISSO DEL MALE
(Middelburg 15 gennaio 1914 – Auschwitz, 30 novembre 1943)
Itinerario per l’eucaristia feriale | Quaresima 2014
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«Penso anche alla figura di Etty Hillesum, una giovane olandese di
origine ebraica che morirà ad Auschwitz. Inizialmente lontana da
Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive:
“Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo.
Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo
coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri”
(Diario). Nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in
mezzo alla grande tragedia del Novecento, la Shoah. Questa
giovane fragile e insoddisfatta, trasfigurata dalla fede, si
trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace
di affermare: “Vivo costantemente in intimità con Dio”».
(BENEDETTO XVI, Udienza generale 13 febbraio 2013)
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LA VITA
Esther Hillesum conosciuta col nome di Etty, nasce il 15 gennaio
1914 a Middelburg in Olanda, in una famiglia della borghesia
intellettuale ebraica. Il padre, Levie (detto Louis), era un professore
di lingue classiche e in seguito preside del liceo di Deventer,
incarico che ricoprì fino al 1940, quando gli venne revocato a causa
delle leggi razziali. La madre di Etty, Rebecca Bernstein (detta Riva)
nacque a Potcheb, in Russia, nel 1881, ma nel 1907, travestita da
soldato, si rifugiò in Olanda per scampare a un pogrom. Qui sposa
Louis Hillesum. La coppia ebbe tre figli: Etty, Misha e Jaap, questi
ultimi eccezionalmente dotati l’uno nel campo della musica,
divenne un pianista di talento e l’altro nelle scienze, studiò
medicina e durante la guerra lavorò, in qualità di medico, presso
l’Ospedale israelitico di Amsterdam. Nel 1926 Esther s’iscrive al
liceo classico di Deventer. Sei anni dopo si trasferisce ad
Amsterdam, dove si laurea in giurisprudenza nel 1939. S’iscrive poi
alla facoltà di lingue slave, impartisce lezioni di russo e si interessa
anche agli studi di psicologia. Nel marzo 1937 Etty va ad abitare
presso la casa di Hendrik Wegerif (detto Han), nella quale anche
suo fratello Jaap aveva vissuto per un certo periodo. Etty si occupa
della gestione della casa, lavoro per il quale riceve una paga da
Hendrik, anziano vedovo cristiano padre di quattro figli. I rapporti
tra Esther e quest’uomo presto si trasformano in una relazione
sentimentale.
La casa del «Diario»
Sarà proprio in quella casa che Etty inizierà a scrivere il suo Diario
(dal marzo 1941) dove annota la sua trasformazione spirituale e le
sue vicende umane prima del trasferimento al campo di
Westerbork. Nel 1939 infatti il governo olandese, in accordo con la
principale organizzazione ebraica presente in Olanda, decide di
riunire lì i rifugiati ebrei, tedeschi o apolidi, che vivono nei Paesi
Bassi, pensando ad una loro futura ri-emigrazione. Il 10 maggio
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1940 i tedeschi irrompono in Olanda: cinque giorni dopo la regina
e il governo si rifugiano in Inghilterra.
L’incontro decisivo con Julius Spier
Nel febbraio del 1941 avviene l’incontro più importante della vita di
Etty: quello con lo psicanalista Julius Spier, allievo di Carl Gustav
Jung e iniziatore della psicochirologia, la scienza che studia la
psiche di una persona partendo dall’analisi delle mani. Ebreo
tedesco fuggito da Berlino nel 1939, Spier tiene ad Amsterdam dei
corsi serali durante i quali invita gli studenti a presentargli le
persone che poi diventeranno oggetto del suo studio. Bernard
Meylink, un giovane studente di biochimica che vive nella casa di
Han, propone Etty. L’incontro con Spier è per Esther folgorante:
decide subito di prendere un appuntamento privato con lui per
cominciare una terapia. Diventa sua paziente e assistente, poi
amante e compagna intellettuale, nonostante la notevole differenza
di età (lei ha 27 anni e lui 54) e il fatto che entrambi siano già
impegnati in una relazione. Quest’incontro segnò il via
all’evoluzione della sua sensibilità in direzione sempre più
spirituale (sebbene laica e aconfessionale), come testimonia nel suo
diario. Tra i mesi di maggio e giugno 1942 nei Paesi Bassi viene
portata a compimento l’attuazione delle leggi di Norimberga, che
vietano agli ebrei, tra le altre cose, di usare trasporti pubblici,
telefonare, sposarsi con persone non ebree. Dalla radio giunge la
notizia (riportata da Etty nel suo diario, in data 29 giugno) che in
Polonia sono stati uccisi 700.000 ebrei. Etty prende coscienza del
piano nazista: lo sterminio della popolazione ebraica. Il 1° luglio
1942 il campo di Westerbork passa sotto il comando tedesco,
diventa luogo di raccolta e smistamento per gli ebrei prigionieri
diretti ad Auschwitz.
Assunta dal Consiglio Ebraico
Il 16 luglio Etty viene assunta come dattilografa al Consiglio
Ebraico di Amsterdam, sezione assistenza alle partenze. L’incarico
non le piace, e venuta a conoscenza della decisione, da parte del
Consiglio Ebraico di Amsterdam, di aprire una sezione nel campo
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di Westerbork, fa richiesta di trasferimento. La sua domanda è
accettata: il 30 luglio 1942 comincia a lavorare al dipartimento di
aiuto sociale alle persone in transito. A Westerbork gode di una
certa libertà, che le consente di mantenere contatti con l’esterno e
di scrivere numerose lettere. Torna talvolta ad Amsterdam, e
proprio durante uno dei suoi soggiorni nella capitale olandese le
viene trovato un calcolo biliare, è perciò costretta a una lunga
degenza presso l’ospedale israelitico. Il 15 settembre 1942 Julius
Spier muore per un tumore al polmone. Etty, che in quel momento
si trova ad Amsterdam con lui, ha il permesso delle autorità
tedesche di partecipare al funerale. Il 5 giugno 1943 Etty torna al
campo di Westerbork: rifiuta l’aiuto che molti suoi amici le offrono
per nasconderla e sfuggire così alla persecuzione nazista. Affida a
un’amica, Maria Tuinzing, gli undici quaderni del diario (il settimo
però andrà perduto), chiedendole di darli allo scrittore Klaas
Smelik per pubblicarli alla fine della guerra, qualora lei non
dovesse tornare più. Nello stesso mese arrivano a Westerbork anche
i suoi genitori e il fratello Mischa, arrestati durante una retata. A
luglio le autorità tedesche decidono che metà dei membri del
Consiglio Ebraico presenti nel campo di Westerbork. Deve tornare
ad Amsterdam, mentre gli altri devono rimanere perdendo però
ogni libertà di circolazione e comunicazione. Etty decide di restare.
Sul treno per Auschwitz
Il 7 settembre 1943 la famiglia Hillesum sale su un treno diretto in
Polonia. Durante il viaggio Etty riesce a gettare un biglietto
indirizzato all’amica Christiane ed è l’ultimo scritto di Esther. Verrà
ritrovato lungo la linea ferroviaria e spedito: «Christine, apro a caso
la Bibbia e trovo questo: Il Signore è il mio estremo rifugio. Sono
seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà,
mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. Abbiamo lasciato il
campo cantando». I genitori di Esther muoiono qualche giorno
dopo la partenza, non è chiaro se durante il tragitto o al loro arrivo
uccisi in una camera a gas. Etty muore ad Auschwitz il 30 novembre
1943. Stessa sorte per suo fratello Mischa, il 31 marzo 1944. Jaap
Hillesum, deportato a Bergen Belsen nel febbraio 1944, muore il 27
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gennaio 1945 sul treno che liberava i prigionieri del campo, vittima
probabilmente di un’epidemia di tifo.
La pubblicazione dei diari
Nell’autunno del 1943 vengono pubblicate clandestinamente ad
Amsterdam due lettere che Etty aveva scritto dal campo nel
dicembre 1942 e il 24 agosto 1943. Ma per la pubblicazione
complessiva delle sue opere bisognerà aspettare molti anni: il Diario
viene pubblicato per la prima volta in Olanda nel 1981 dall’editore
Gaarlandt. E nel 1982 vengono pubblicate le Lettere scritte a
Westerbork col titolo Il cuore pensante della baracca.
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TOCCA NOI AIUTARE DIO
L’itinerario di una giovane ebrea che affrontò l’assurdità del male
I Paesi Bassi sono invasi da Hitler il 10 maggio 1940. Un
commissario del Reich dirige il paese con mano di ferro. La
resistenza si organizza subito. Nel febbraio del ’41 uno sciopero
generale cerca di opporsi alla deportazione dei Giudei; ma questa
proseguirà ininterrotta e arriverà a un vero genocidio: 104 mila
morti su una comunità di 140 mila. Alcune ore prima della
capitolazione dell’esercito olandese, il 14 maggio 1940, una giovane
donna ebrea di 26 anni incontra in una via di Amsterdam uno dei
suoi antichi professori di diritto; c’era in quei giorni un fuggi fuggi
verso l’Inghilterra: «Gli chiesi: credete che fuggire serva a qualcosa?
Mi rispose: i giovani devono restare. E io: pensate che la democrazia
vincerà? E lui: certamente, ma bisognerà sacrificarle qualche
generazione». La sera stessa il prof. Bonger si tirò una pallottola in
testa. Ester – Etty – scrive nel suo diario: «Bonger non è un caso
isolato. È tutto un mondo che crolla. Ma il mondo continuerà; e io
con lui, fino a un nuovo ordine... Queste scomparse ci lasciano
come spogliati, ma io mi sento così ricca interiormente che questa
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spogliazione non ha ancora fatto tutto il suo cammino fino in fondo
alla mia coscienza».
Curiosa ragazza questa Etty. Anche se suo nonno era stato un
rabbino, lei non è stata educata religiosamente. Il papà insegna in
un liceo, la madre russa era sfuggita ai progrom. Ha due fratelli più
giovani: Misha, pianista già noto, e Jaap, medico. Dopo una laurea
in psicologia e studi di russo, si lancia nella psicologia. Nel febbraio
del 1941 incontra un uomo che avrà su di lei un’influenza
determinante: Julius Spier, ebreo berlinese emigrato, discepolo di
Carl Gustav Jung; è psicochirologo e il suo metodo di analisi si basa
sull’osservazione delle mani dei suoi pazienti. In realtà è una specie
di istrione prodigiosamente dotato e, insieme, un maestro spirituale
molto acuto ed equilibrato. Angosciata, depressa, Etty è all’inizio
letteralmente posseduta da Spier di cui diviene l’amante. E però
questo legame le permetterà di affermare la sua personalità, di
sviluppare una fede intensa «in ciò che c’è di più profondo in me e
che per comodità chiamo Dio», come scrive nel diario che sarà il
grande strumento e testimone di questa sua crescita interiore.
Qualche giorno dopo, quando i tedeschi rispondono allo sciopero
generale con una severa repressione, una frase di Spier la fa
riflettere: «Basterebbe un uomo solo degno di questo nome perché
si possa credere nell’uomo, nell’umanità...».
Mano a mano la morsa si stringe attorno ai Giudei, Etty si convince
che la sola via d’uscita è interiore: «Sabato 14 giugno, le 7 di sera.
La storia va avanti: arresti, terrore, campi di concentramento,
sorelle fratelli genitori strappati arbitrariamente dai loro cari. Si
cerca il senso di questa vita; ci si domanda se ne ha ancora uno. Ma
questo è un affare da decidere, solo a solo, davanti a Dio. Forse
ogni vita ha il suo senso; forse occorre tutta una vita per scoprire
questo senso». Il 19 febbraio del 1942 viene a sapere che un amico è
morto sotto la tortura. Invece di lasciarsi andare a lamenti e
invettive, medita: «La sporcizia degli altri è anche in noi. E io non
vedo altra soluzione che quella di rientrare in noi stessi e di
estirpare dalle nostre anime quella sporcizia».
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La «soluzione finale» è in cammino. Le leggi di Norimberga
vengono estese ai Paesi Bassi. Secondo il loro modo sinistro di
procedere i nazisti associano le vittime all’eliminazione dei loro
fratelli. Viene messo in funzione un Consiglio giudaico che
organizza la deportazione: «Per umiliare bisogna essere in due:
colui che umilia e colui che si vuole umiliare; ma soprattutto colui
che vuole lasciarsi umiliare». Il 15 luglio Etty entra nel Consiglio
giudaico cercando di aiutare, alleviare i suoi fratelli. Ma ben presto
questa situazione privilegiata le diviene insopportabile. Potrebbe
forse entrare nella clandestinità, ma constata che le famiglie
normali ebree non ne hanno la possibilità. Per solidarietà decide di
raggiungere il campo di Westerbork. «Bene, accetto questa nuova
certezza: vogliono il nostro annientamento. Ora lo so. Non darò
fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se gli altri non
capiranno cos’è in gioco per noi ebrei... Continuo a lavorare e a
vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di
significato». E là, nel campo, fin dai primi giorni, a contatto con la
paura degli uni e il fatalismo degli altri, le miserie morali in cui tutti
sono costretti a vivere, è sul punto di scoppiare. «Sono tempi di
spavento, mio Dio. Questa notte, per la prima volta, sono rimasta
sveglia, nel buio: gli occhi brucianti; con immagini di indicibile
sofferenza umana che mi scorrono incessantemente davanti. Ti
prometto una cosa, mio Dio: mi guarderò dall’attaccare al giorno
presente, come dei pesi, le angosce che m’ispira il domani... a ogni
giorno basta la sua pena. Cercherò di aiutarti, mio Dio, a non
estinguerti in me. Ma non posso garantirti niente in anticipo. Una
cosa però mi sembra sempre più chiara: non sei tu che puoi aiutare
noi, ma noi che possiamo aiutare te; e facendo questo aiutiamo noi
stessi. È tutto ciò che ci è possibile salvare in questo momento, ed è
anche la sola cosa che conta: un po’ di te in noi, mio Dio». Questo
Dio che ella prega non lo considera un Altro, esterno a noi, ma ciò
che c’è in lei di più profondo. E tuttavia un giorno in cui spiega a
un vecchio militante marxista che «il più piccolo atomo di odio che
noi aggiungiamo a questo mondo lo rende più inospitale di quanto
già lo sia», questi si meraviglia: «Ma... sarebbe un ritorno al
cristianesimo!». E lei: «Ma sì, il cristianesimo, perché no?».
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Nel campo Etty si fa tutta a tutti. Aiuta, cura, consola, incoraggia, dà
sollievo ai corpi e alle anime. I suoi compagni la chiamano «il cuore
pensante della baracca». Scrive: «Vorrei essere un unguento versato
su tante piaghe». Sono le ultime parole del suo diario. Suo fratello
Mischa, il pianista promesso a una carriera internazionale, protetto
da un famoso direttore d’orchestra, potrebbe essere risparmiato e
avere un trattamento speciale; egli rifiuta a meno che tutta la sua
famiglia abbia questo trattamento. Forse anche come rappresaglia,
tutti gli Hillesum sono imbarcati, il 7 settembre 1943, con
destinazione Auschwitz. Secondo un comunicato della Croce
Rossa, Etty Hillesum è morta ad Auschwitz il 30 novembre del
1943, a 29 anni. I suoi genitori e suo fratello Mischa, pure, sono
scomparsi ad Auschwitz. Jaap, l’altro fratello, morirà il 17 aprile
1945 dopo la liberazione, durante il viaggio di ritorno in Olanda.
(da Comunità Redona | n. 406 | settembre 2013)
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1ª settimana
IL DESTINO DI UN POPOLO
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Lunedì 10 marzo – CRONISTA E TESTIMONE DELLA STORIA
Dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse
un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante
martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia
com’è ora e non è mai stata in passato – non in questa forma
totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all’Europa intera.
Dovrà pur sopravvivere qualcuno che lo possa fare. Anch’io dovrei
essere in futuro una piccola cronista (Diario 10 luglio 1942)
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Mio Dio, è un periodo troppo duro per persone fragili come me.
So che seguirà un periodo diverso, un periodo di umanesimo.
Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che
conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane.
L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di
prepararli fin d’ora in noi stessi (Diario 20 luglio 1942)

In futuro sarò il cronista delle nostre vicissitudini. Le comporrò
in una lingua nuova e le conserverò in me stessa, se non avrò
possibilità di scriverle. […] La vita tornerà a zampillare, e mi
verranno le parole giuste per testimoniare ciò che dovrà essere
testimoniato (Diario 28 luglio 1942)

Martedì 11 marzo – JULIUS SPIER «L’OSTETRICO DELLA MIA ANIMA»
Ti sono immensamente grata perché talvolta mi permetti di starti
accanto, ciò è d’importanza fondamentale per il mio futuro
sviluppo, ne sono persuasa. Di fatto tua sei la prima persona grazie
alla cui vicinanza io possa educarmi. Quella con te potrebbe
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diventare la prima amicizia non dilettantesca della mia vita (Diario
10 agosto 1941)
È così significativo che tu sia entrato nella mia vita, non avrebbe
potuto essere diversamente (Diario 16 settembre 1942)

La grande opera che [Spier] ha svolto sulla mia persona: ha
dissotterrato Dio dentro di me e lo ha portato alla vita. E adesso
sarò io a continuare, scavando alla ricerca di Dio nel cuore di tutti
gli uomini che incontrerò, in qualsiasi luogo di questa terra. [Spier
è stato] l’ostetrico della mia anima (Lettere 11 settembre 1942 e
Diario 24 settembre 1942)

Sei tu che hai liberato le mie forze, tu che mi hai insegnato a
pronunciare con naturalezza il nome di Dio. Sei stato
l’intermediario tra Dio e me, e ora che te ne sei andato la mia strada
porta direttamente a Dio e sento che è un bene. Ora sarò io
l’intermediaria per tutti quelli che potrò raggiungere (Diario 15
settembre 1942)
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Spier guarisce le persone insegnando loro ad accettare il dolore
(Diario 14 dicembre 1941)
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Mercoledì 12 marzo – LA COSCIENZA DELLA SHOAH
Naturalmente, non si potrà mai più riparare al fatto che alcuni
ebrei collaborino a far deportare tutti gli altri ebrei. Più tardi la
storia dovrà pronunciarsi su questo punto (Diario 28 luglio 1942)

Sono salita un momento su una cassa che si trova fra i cespugli
per contare il numero dei vagoni merci, erano trentacinque,
preceduti da alcuni vagoni di seconda classe per la scorta. I vagoni
merci erano completamente chiusi, ma qua e là mancavano alcune
assi, e dalle aperture spuntavano mani a salutare, proprio come le
mani di chi affoga. Il cielo è pieno di uccelli, i lupini violetti stanno
là così principeschi e così pacifici, su quella cassa si sono sedute a
chiacchierare due vecchine, il sole splende sulla mia faccia, e sotto i
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nostri occhi avviene una strage, è tutto così incomprensibile. Io sto
bene. Affettuosamente, Etty (Lettere 8 giugno 1943)
Ma stanotte io vestirò tutti i bambini piccoli e tenterò di calmare
le madri, e questo lo definisco «aiutare», potrei maledirmi da sola:
sappiamo bene che abbandoneranno le persone indifese e malate
del campo alla fame, al caldo e al freddo, alla vulnerabilità e alla
distruzione, eppure le vestiamo noi stessi e le accompagniamo ai
nudi carri bestiame, e se non sono in grado di camminare le
portiamo sulle barelle. Ma che cosa succede qui, che misteri sono
questi, in quale meccanismo funesto siamo impigliati? Non
possiamo liquidare il problema dicendo che siamo tutti dei vili. E
poi, non siamo così cattivi. Ci troviamo di fronte a interrogativi più
profondi (Lettere 24 agosto 1943)

Sono accanto agli affamati, ai maltrattati e ai moribondi, ogni
giorno – ma sono anche vicina al gelsomino e a quel pezzo di cielo
dietro la mia finestra, in una vita c’è posto per tutto. Per una fede in
Dio e per una misera fine (Diario 2 luglio 1942)

Giovedì 13 marzo – CONDIVIDERE IL DESTINO DI UN POPOLO
Ci si sente sempre occhi e orecchi di un tratto di storia ebraica,
talvolta si prova il bisogno di essere anche una piccola voce (Lettere
24 agosto 1943)
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E così pare che il mio caso sia bloccato. Ho chiesto al notaio dalla
gamba corta: ora dovrei fare i salti di gioia, vero? Ma io non voglio
affatto avere quei foglietti per cui gli ebrei si fanno reciprocamente
a pezzi: perché devono toccare proprio me? Vorrei trovarmi in tutti
i campi che sono sparsi per tutta l’Europa, vorrei essere su tutti i
fronti; io non voglio per così dire «stare al sicuro», voglio esserci,
voglio che ci sia un po’ di fratellanza tra tutti questi cosiddetti
«nemici» dovunque io mi trovi, voglio capire quel che mi capita; e
vorrei che tutti coloro che riuscirò a raggiungere – so che sono in
grado di raggiungerli, fammi guarire, mio Dio – possano capire
questi grandi avvenimenti come li capisco io. E cosa significa tutto
questo se non ho l’amore? (Diario 2 ottobre 1942)
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Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale
annientamento. Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure,
non sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi
ebrei. […] E trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se
non ho quasi più il coraggio di dirlo (Diario 3 luglio 1942)

Mi si dice: una persona come te ha il dovere di mettersi in salvo,
hai tanto da fare nella vita, hai ancora tanto da fare. Ma quel poco o
molto che ho da fare lo posso dare comunque, che sia qui in una
piccola cerchia di amici, o altrove, in un campo di concentramento.
E mi sembra una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di
ritenersi troppo preziosi per condividere con gli altri un «destino di
massa» (Diario 11 luglio 1942)

Ognuno deve vivere con lo stile suo. Io non so farmi avanti per
garantirmi quella che può sembrare la mia salvezza, mi pare una
cosa assurda e divento irrequieta e infelice. Quella lettera in cui
faccio domanda al Consiglio Ebraico […] per un po’ mi ha fatto
perdere l’equilibrio […]. Le mie battaglie le combatto dentro di me,
contro i miei propri demoni; ma combattere in mezzo a migliaia di
persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la
nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho
neppure paura, non so, mi sento così tranquilla, […] mi sento in
grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza
soccombere. So tutto quel che capita e la mia testa rimane lucida
(Diario 14 luglio 1942)
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All’amico Klaas Smelik, Etty ha dichiaro senza mezzi termini:
«Voglio condividere il destino del mio popolo» (cfr. Yves Bèriault,
Etty Hillesum, Testimone di Dio nell’abisso del male)
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Venerdì 14 marzo – L’INCONTRO CON IL CRISTIANESIMO
È proprio l’unica possibilità che abbiamo, Klaas, non vedo altre
alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se
stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E
convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo
lo rende ancora più inospitale. E Klaas, vecchio e arrabbiato
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militante di classe, ha replicato sorpreso e sconcertato insieme: Sì,
ma… questo sarebbe di nuovo cristianesimo. E io, divertita da tanto
smarrimento, ho risposto con molta flemma: Certo, cristianesimo –
e perché poi no? Che io possa rimanere sana e forte! (Diario 23
settembre 1942)
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2ª settimana
LA RAGAZZA CHE NON VOLEVA INGINOCCHIARSI
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Lunedì 17 marzo – L’AMORE PER L’UMANITÀ E LA CREAZIONE
Io guardo il tuo mondo in faccia, Dio, e non sfuggo alla realtà per
rifugiarmi nei sogni – voglio dire che anche accanto alla realtà più
atroce c’è posto per i bei sogni –, e continuo a lodare la tua
creazione, malgrado tutto! (Diario 18 maggio 1942)
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Bisogna vivere con se stessi come con un popolo intero […].
Cammino accanto agli uomini come se fossero piantagioni e osservo
quant’è cresciuta la pianta dell’umanità (Diario 22 settembre 1942)
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Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e
colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il
secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione,
questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose
che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna
umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei.
Stamattina pedalavo lungo lo Stadionkade e mi godevo l’ampio cielo
ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata.
Dappertutto c’erano cartelli che ci vietano le strade per la
campagna. Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è
pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non
possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po’
spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’
di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre
forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: con il nostro
sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, con il nostro odio e con la
millanteria che maschera paura. Certo ogni tanto si può esser tristi
e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia
così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli.

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Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di
me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza
falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo
prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e
«lavorare se stessi» non è proprio una forma d’individualismo
malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima
sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà
liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo,
se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di
diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È
l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e
pagine. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può esser
espresso in una parola come in dieci volumi. Sono una persona
felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore
1942, l’ennesimo anno di guerra (Diario 19 giugno 1942)
Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te,
mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa
di te. E cerco di disseppellirti dal loro cuore. Mio Dio (Diario 15
settembre 1942)
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Se penso alle facce della scorta armata in uniforme verde, mio
Dio, quelle facce! […] Mi sono trovata nei guai con la frase che il
tema fondamentale della mia vita: «E Dio creò l’uomo a sua
immagine». Questa frase ha vissuto con me una mattina difficile
(Lettere 24 agosto 1943)
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Martedì 18 marzo – LA RAGAZZA CHE NON VOLEVA INGINOCCHIARSI
Ieri sera, subito prima di andare a letto, mi sono trovata
improvvisamente in ginocchio nel mezzo di questa grande stanza,
tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara. Un gesto spontaneo: spinta
a terra da qualcosa che era più forte di me. Tempo fa mi ero detta:
mi esercito nell’inginocchiarmi. Esitavo ancora troppo davanti a
questo gesto che è così intimo come i gesti dell’amore, di cui pure
non si può parlare se non si è poeti (Diario 14 dicembre 1941)
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E pensare che una volta appartenevo anch’io a quella categoria di
persone che di tanto in tanto pensano di se stesse: sì, in fondo io
sono una persona religiosa. O qualcos’altro di positivo. E ora mi
capita di dovermi inginocchiare di colpo davanti al mio letto,
persino in una fredda notte d’inverno. Ascoltarsi dentro. Non
lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da fuori, ma quello
che s’innalza dentro. È solo un inizio, me ne rendo conto. Ma non è
più un inizio vacillante, ha già delle basi (Diario 31 dicembre 1941)

Com’è strana la mia storia – la storia della ragazza che non sapeva
inginocchiarsi. O con una variante: della ragazza che aveva imparato
a pregare. È il mio gesto più intimo, ancor più intimo dei gesti che
ho per un uomo. Non si può certo riversare tutto il proprio amore
per una persona sola… (Diario 10 ottobre 1942)

Mercoledì 19 marzo – SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE
Giovedì 20 marzo – DIO DENTRO DI ME. IO NELLE MANI DI DIO
Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella
sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è
coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna
dissotterrarlo di nuovo (Diario 26 agosto 1941)

Qualche volte ho la sensazione di avere Dio dentro di me, aveva
detto un paziente a Spier, per esempio quando ascolto la Passione di
Matteo. […] Queste parole mi accompagnano già da settimane: si
deve avere il coraggio di dirlo. Avere il coraggio di pronunciare il
nome di Dio (Diario 14 dicembre 1941)
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«Il mondo rotola melodiosamente dalla mano di Dio»: ho avuto in
mente le parole di Verwey per tutto il giorno. Anch’io vorrei
rotolare melodiosamente dalla mano di Dio (Diario 9 marzo 1941)

Negli ultimi tempi, molto lentamente, sta crescendo in me una
grande fiducia, una fiducia davvero grande. Un sentirsi sicuri nella
tua mano, mio Dio. Non mi capita più così spesso di sentirmi
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separata dalla profonda corrente nascosta in me (Diario 21
dicembre 1941)
Dio, ti ringrazio per la grande forza che mi dai: il centro interiore
da cui viene regolata la mia vita sta diventando sempre più forte e
cardinale. […] Dio, credo di collaborare ben con Te, noi lavoriamo
bene insieme. Ti sto offrendo uno spazio sempre più ampio in cui
vivere, e comincio a esserti fedele. […] Il centro forte irraggia il suo
influsso fino alle più lontane periferie (Diario 9 gennaio 1942)
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In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa,
gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che
ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che
presta ascolto alla parte più essenziale e profonda dell’altro. Dio a
Dio (Diario 17 settembre 1942)
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Venerdì 21 marzo – «MIO DIO, PRENDIMI PER MANO»
Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa
resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno
addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo
migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di
pace. […] Cercherò di non avere paura. E dovunque mi troverò, io
cercherò d’arrangiare un po’ di quell’amore, di quel vero amore per
gli uomini che mi porto dentro. Ma non devo neppure vantarmi di
questo «amore» (Diario 25 novembre 19841)
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In questo momento, ognuno si dà da fare per salvare se stesso: ma
un certo numero di persone – un numero persino molto alto – non
deve partire comunque? Il buffo è che non mi sento nelle loro
grinfie, sia che rimanga qui, sia che io venga deportata. […] Non mi
sento nelle grinfie di nessuno, mi sento soltanto nelle braccia di
Dio per dirla con enfasi; e sia che ora io mi trovi qui, a questa
scrivania terribilmente cara e familiare, o fra un mese in una nuda
camera e familiare, o fra un mese in una camera del ghetto o
fors’anche in un campo di lavoro sorvegliato dalle SS, nelle braccia
di Dio credo che mi sentirò sempre. Forse mi potranno ridurre a
pezzi fisicamente, ma di più non mi potranno fare. […] E se non
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potrò sopravvivere, allora si vedrà chi sono da come morirò (Diario
11 luglio 1942)
Non capisco niente del gelsomino. Del resto non c’è bisogno. Si
può benissimo credere ai miracoli in questo ventesimo secolo. E io
credo in Dio, anche se tra breve i pidocchi mi avranno divorata in
Polonia (Diario 1° luglio 1942)
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3ª settimana
IL PARADOSSO: AIUTARE DIO
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Lunedì 24 marzo – LA FORZA-PREGHIERA PER GLI ALTRI
Quando prego, non prego mai per me stessa, prego sempre per gli
altri, oppure dialogo in modo pazzo, infantile o serissimo con la
parte più profonda di me, che per comodità io chiamo «Dio». Non
so, trovo così infantile che si preghi per ottenere qualcosa per sé.
[…] Mi sembra infantile anche pregare perché un altro stia bene:
per un altro si può solo pregare che riesca a sopportare le difficoltà
della vita. E se si prega per qualcuno, gli si manda un po’ della
propria forza (Diario 15 luglio 1942)
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Si dovrebbe pregare giorno e notte per quelle migliaia. Non si
dovrebbe stare neanche un minuto senza preghiera (Diario 3
ottobre 1942)
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Quando Liesl me l’ha raccontato, ho saputo all’istante che stasera
avrei dovuto pregare anche per quel soldato tedesco. Una delle
tante uniformi ha ora un volto. Ci saranno ancora altri volti su cui
potremo leggere e capire qualcosa. E questo soldato soffre anche
lui. Non ci sono confini tra gli uomini sofferenti, si patisce sempre
da una parte dall’altra e si deve pregare per tutti. Buona notte
(Diario 3 luglio 1942)
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Martedì 25 marzo – SOLENNITÀ DELL’ANNUNCIAZIONE
Mercoledì 26 marzo – TUTTA LA FORZA, L’AMORE, LA FIDUCIA
Dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni per pensare agli
altri, che amiamo. Voglio dir questo: si deve tenere a disposizione
di chiunque s’incontri per caso sul nostro sentiero, e che ne abbia
bisogno, tutta la forza e l’amore e la fiducia in Dio che abbiamo in
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noi stessi, e che ultimamente stanno crescendo in modo così
meraviglioso in me. […] E perfino dalla sofferenza si può attingere
forza […] O si pensa soltanto a se stessi e alla propria
conservazione, senza riguardi, o si prendono le distanze da tutti i
desideri personali, e ci si arrende. Per me, questa resa non si fonda
sulla rassegnazione che è un morire, ma s’indirizza là dove Dio per
avventura mi manda ad aiutare come posso – e non a macerarmi nel
mio dolore e nella mia rabbia (Diario 7 luglio 1942)
Giovedì 27 marzo – NOI DOBBIAMO AIUTARE DIO
Preghiera della domenica mattina. Mio Dio, sono tempi tanto
angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli
occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su
immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una
piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie
preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa
esperienza. Ogni giorni ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti
affinché tu non venga distrutto dentro di me […]. Diventa sempre
più evidente che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover
aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che
possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente
conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse
possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di
altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che Tu non possa far molto per
modificare le circostanze attuali ma anche se fanno parte di questa
vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai Tu
a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore,
cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare
te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che
all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo
aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te,
mio Dio. […] Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che
non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.
[…] Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo
modo t’impedirò di abbandonarmi. Come me vivrai tempi magri,
mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma
credimi, io continuerà a lavorare per te e a esserti fedele e non ti
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caccerò via dal mio territorio. […] Il gelsomino dietro casa è
completamente sciupato dalla pioggia e dalle bufere di questi ultimi
giorni […] ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire
indisturbato, esuberante e tenero come sempre […]. Vedi come ti
tratto bene. Non ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma
ti porto persino un gelsomino […] Voglio che Tu stia bene con me
(Diario 12 luglio 1942)
Venerdì 28 marzo – LA VITA È UNA COSA BUONA. COMUNQUE
E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio. Su tutta
la superficie terrestre si sta estendendo piano piano un unico,
grande campo di prigionia e non ci sarà quasi più nessuno che
potrà rimanerne fuori […] Ho una fiducia così grande: non nel
senso che tutto andrà sempre bene nella mia vita esteriore, ma nel
senso che anche quando le cose mi andranno male, io continuerò
ad accettare questa vita come una cosa buona. […] Partirò sempre
dal principio di aiutare Dio il più possibile e se questo mi riuscirà,
bene, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri (Diario 11
luglio 1942)
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Eppure, in un momento di abbandono, io mi trovo sul petto nudo
della vita e le sue braccia [della vita, ndr] mi circondano così dolci e
protettive, e il battito del suo cuore non so ancora descriverlo: così
lento e regolare e così dolce, quasi smorzato, ma così fedele, come
se non dovesse arrestarsi mai, e anche così buono e misericordioso.
Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra, o altre
insensate barbarie umane, potranno cambiarvi qualcosa (Diario 30
maggio 1942)
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4ª settimana
DIO NON È RESPONSABILE DEL MALE
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Lunedì 31 marzo – «FARE LA NOSTRA PARTE, DENTRO DI NOI»
Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a
predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne
vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di
strappar via il nostro marciume. Non credo che si possa migliorare
qualcosa del mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte
dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare
in noi stessi, non altrove. […] Vivere solo in funzione di quell’unico
momento di vendetta: questo non ci interessa proprio. […] Sono
così a buon prezzo, quei sentimenti di vendetta. Era proprio una
luce, oggi (Diario 19 febbraio 1942)
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Martedì 1° aprile – TOTALMENTE INCAPACE DI ODIARE
Un’altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza
di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e
l’ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi
orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di
noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi (Diario 27
febbraio 1942)
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Io non odio nessuno, non sono amareggiata. Una volta che
l’amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa
infinito. Se sapessero come sento e come penso, molte persone mi
considererebbero una pazza che vive fuori della realtà. Invece vivo
proprio nella realtà che ogni giorno porta con sé. L’uomo
occidentale non accetta il «dolore» come parte di questa vita: per
questo non riesce mai a cavarne fuori delle forze positive. […] Si
deve anche essere capaci di vivere senza libri e senza niente.
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Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e
abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani una
preghiera (Diario 14 luglio 1942)
Klass, non si combina niente con l’odio, la realtà è ben diversa da
come ce la costruiamo. Prendi quel nostro assistente. […]
quell’uomo era pieno d’odio per quelli che potremmo chiamare i
nostri carnefici, ma anche lui avrebbe potuto essere un perfetto
carnefice e persecutore di uomini indifesi. Eppure mi faceva pena.
Riesci a capire qualcosa? […] abbiamo ancora così tanto da fare con
noi stessi, che non dovremmo neppure arrivare al punto di odiare i
nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi. E
non ho neppure finito quando dico che anche fra noi esistono
carnefici e persone malvagie (Diario 23 settembre 1942)
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«Dopo la guerra, due correnti attraverseranno il mondo: una
corrente di umanesimo e un’altra di odio». Allora ho saputo di
nuovo che avrei preso posizione contro quell’odio (Diario 20
settembre 1942)
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Mercoledì 2 aprile – I RESPONSABILI SIAMO NOI. NON DIO
Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi ad esserlo verso di
lui. So quel che può ancora succedere […] Eppure non riesco a
trovare assurda la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di
noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili
siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di
concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le
notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo
questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto (Diario 29
giugno 1942)
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Sono pronta a tutto, a ogni luogo di questa terra nel quale Dio mi
manderà, sono pronta in ogni situazione e nella morte a
testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non
è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora.
Abbiamo ricevuto in noi tutte le possibilità per sviluppare i nostri
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talenti, dovremo ancora imparare a far buon uso di queste nostre
possibilità (Diario 7 luglio 1942)
Giovedì 3 aprile – LA SOFFERENZA E LA DIGNITÀ
La sofferenza non è al di sotto della dignità umana. Cioè: si può
soffrire in modo degno, o indegno dell’uomo. Voglio dire: la
maggior parte degli occidentali non capisce l’arte del dolore, e così
vive ossessionata da mille paure […] Si deve accettare la morte,
anche quella più atroce, come parte della vita. […] Si deve anche
avere la forza di soffrire da soli, e di non pesare sugli altri con le
proprie paure e coi propri fardelli (Diario 1° luglio 1942)

Una cosa è certa: dobbiamo accettare tutto dentro di noi,
dobbiamo essere pronti a tutto e sapere che le «cose ultime» non
possono esserci sottratte; allora, con quella pace interiore, sapremo
ben compiere i passi necessari. Non dobbiamo romperci la testa e
avere timore, ma pensare con calma e chiarezza. Nel momento in
cui dovrò decidere, saprò che cosa fare. […] Se sopravvivrò a questo
tempo e se allora dirò: la vita è bella e ricca di significato, bisognerà
pur credermi. Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e
non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose
superflue di questa vita, è stato inutile. […] Liesl diceva: «È certo
una grazia che ci sia concesso di sopportare tutto questo» (Diario 24
luglio 1842)
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Venerdì 4 aprile – LA LEZIONE PIÙ DIFFICILE
Dovrò ancora imparare questa lezione e sarà la lezione più
difficile, mio Dio: prendere su di me il dolore che m’imponi tu e
non quella che mi sono scelta io (Diario 2 ottobre 1942)
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La realtà è qualcosa che bisogna prendere su di sé, con tutto il
suo dolore e con tutte le sue difficoltà, e intanto che la si sopporta,
la nostra pazienza aumenta. Ma l’idea del dolore – non il dolore
“vero”, che è fruttuoso e può render la vita preziosa –, quella va
distrutta. E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita
come inferriate, allora si libera la vita vera e la vera forza che sono
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in noi, e allora si avrà anche la forza di sopportare il dolore reale,
nella nostra vita e in quella dell’umanità (Diario 30 settembre 1942)
Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza forza, mio Dio, ma
sono piuttosto le mille piccole preoccupazioni quotidiane a saltarmi
addosso e a mordermi come altrettanti parassiti (Diario 12 luglio
1942)
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5ª settimana
BALSAMO PER MOLTE FERITE
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Lunedì 7 aprile – PERDONARE SE STESSI. PERDONARE DIO
Questo momento storico così come lo stiamo vivendo adesso, io
ho la forza di sostenerlo, di portarlo tutto sulle mie spalle senza
crollare sotto il suo peso, e posso perfino perdonare Dio, che le
cose vadano come devono andare. Il fatto è che si ha tanto amore in
sé, da riuscire a perdonare Dio!! (Lettere probabilmente luglio 1942)
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Spier dice: è il momento di mettere in pratica il detto: ama i tuoi
nemici. E se lo diciamo noi [ebrei], bisognerà pur credere che sia
possibile (Diario 25 luglio 1942)
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Bisogna vivere con se stessi come con un popolo intero. Allora si
conoscono tutte le qualità degli uomini, buone e cattive. E se
vogliamo perdonare agli altri, dobbiamo prima perdonare a noi
stessi i nostri difetti. È forse la cosa più difficile, come constato così
spesso negli altri e un tempo anche in me, ora non più: sapersi
perdonare per i propri difetti e per i propri errori. Il che significa
anzitutto saperli generosamente accettare (Diario 22 settembre 1942)
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Martedì 8 aprile – L’AMORE PER L’UMANITÀ
Qui molti sentono languire il proprio amore per l’umanità, perché
questo amore non è nutrito dall’esterno. […] Questo amore del
prossimo è come un ardore elementare che alimenta la vita. Il
prossimo in sé ha ben poco a che farci. Maria cara [amica di Etty],
qui [a Westerbork] di amore non ce n’è molto eppure mi sento
indicibilmente ricca, non saprei spiegarlo a nessuno (Lettere 8
agosto 1943)
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Capisco benissimo che gli uomini abbiano potuto inventare
qualcosa come l’inferno. Il mio inferno non lo vivrò più – l’ho già
sperimentato una volta ed è bastato per una vita intera –, ma posso
vivere molto intensamente quello degli altri (Diario 9 ottobre 1942)
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Mercoledì 9 aprile – UN BICCHIER D’ACQUA IN MEZZO AGLI ORRORI
Non voglio essere il cronista di orrori. Ce ne saranno abbastanza.
E neanche di fatti eccezionali. Ancora questa mattina ho detto a
Jopie: eppure arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella.
E credo in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti
«orrori» e dire ugualmente che la vita è bella. […] Mi sono svegliata
con la gola secca, ho afferrato il mio bicchiere ed ero così
riconoscente per quel sorso d’acqua fresca, ho pensato: se solo
potessi andare in giro fra quelle migliaia di uomini ammassati
laggiù e potessi offrire un sorso d’acqua ad alcuni di loro. […] E alla
fine di ogni giornata mi dicevo sempre: voglio tanto bene agli
uomini. Non provavo amarezza per quel che veniva fatto loro,
sempre invece amore per come degli uomini fossero capaci di
sopportare il dolore, ne fossero capaci per impreparati che fossero,
dentro di sé (Diario 8 ottobre 1942)
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Giovedì 10 aprile – «ESSERE BALSAMO PER MOLTE FERITE»
«Sono distesa qui da ieri sera, e intanto comincio ad assorbire una
piccola parte del gran dolore che dev’essere assorbito su tutta la
terra. Comincio a mettere al coperto un po’ del dolore che patiremo
quest’inverno. Non si può farlo una volta sola. […] Quando soffro
per gli uomini indifesi, non soffro forse per il lato indifeso di me
stessa? […] Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho
distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati. E da tanto
tempo. […] Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite» (Diario
13 ottobre 1942)
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Venerdì 11 aprile – «NON LA MIA, MA LA TUA VOLONTÀ»
Ma non devo volere le cose, devo lasciare che le cose si compiano
in me ed è proprio ciò che sto facendo. Che sia fatta non la mia, ma
la tua volontà (Diario 3 ottobre 1942)
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In me non c’è un poeta, in me c’è un pezzetto di Dio che
potrebbe farsi poesia. In un campo deve pur esserci un poeta, che
da poeta via anche quella vita e la sappia cantare. Di notte, mentre
ero coricata nella mia cuccetta, circondata da donne e ragazze che
russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano
silenziosamente, o si giravano e rigiravano – donne e ragazze che
dicevano così spesso durante il giorno: «non vogliamo pensare»,
«non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze» –, a volte
provavo un’infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che mi
passassero davanti gli avvenimenti, le fin troppe impressioni di un
giorno fin troppo lungo, e pensavo: «Su, lasciatemi essere il cuore
pensante di questa baracca». Ora voglio esserlo un’altra volta.
Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di
concentramento (Diario 3 ottobre 1942)
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Ma sì, mi hai fatta poeta, aspetterò pazientemente che maturino le
parole della mia doverosa testimonianza: cioè che vivere nel tuo
mondo è una cosa bella e buona, malgrado tutto quel che ci
facciamo reciprocamente noi uomini. Il cuore pensante della baracca
(Diario 15 settembre 1942)
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Da un finestrino del treno per Auschwitz, Etty gettò una cartolina
che fu raccolta da un contadino e spedita all’indirizzo di Christine
van Nooten, Deventer. Aveva scritto: «Apro a caso la Bibbia e trovo
questo: “Il Signore è il mio alto ricetto”. La partenza è arrivata
inaspettata, nonostante tutto. Abbiamo lasciato il campo cantando.
Arrivederci».
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(* le citazioni sono tutte prese dal Diario 1941 – 1943 e dalle Lettere
nell’edizione Adelphi del 2013. Se qualcuno volesse approfondire la vicenda
biografica e spirituale di Etty consiglio: Fratel MichaelDavide SEMERARO,
Etty Hillesum: Dio matura, ed. la meridiana e Etty Hillesum. Umanità tradicata
in Dio, ed. Paoline; A. BARBAN e A.C. DALL’ACQUA, Etty Hillesum, Osare Dio,
Cittadella editrice; Etty Hillesum, Pagine mistiche, tradotte e commentate da
Cristiana DOBNER, Sylvie GERMAIN, Una coscienza ispirata, ed. Lavoro; Yves
BÉRIAULT, Etty Hillesum. Testimone di Dio nell’abisso del male, ed. Paoline)
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