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Foglio di
informazione
professionale
N.59
30 novembre 1998
I NUOVI FARMACI ANTIOBESITÀ
Stampa e televisione hanno dato recentemente ampio risalto ai nuovi farmaci antiobesità. Il farmacista, che è l’operatore
sanitario più facilmente raggiungibile, certamente riceverà numerose richieste di informazioni. Per questo si è ritenuto
utile presentare un breve profilo di questi principi attivi di prossima commercializzazione anche nel nostro paese.
Sul mercato italiano i soli farmaci anoressizzanti attualmente disponibili sono l’amfepramone (o dietilpropione - ad es.
Tenuate Dospan) e la fendimetrazina (Plegine), che agiscono entrambi come agonisti adrenergici: favorendo la
liberazione di catecolamine e bloccandone la ricaptazione, inibiscono il centro ipotalamico della fame, diminuendo
l’appetito. Limitatamente al trattamento della bulimia, è autorizzata anche la fluoxetina (Prozac). In quanto inibitore del
reuptake della serotonina (SSRI), la fluoxetina aumenta la concentrazione cerebrale di questo importante mediatore dei
processi che regolano la fame e il peso corporeo. Anche altri principi attivi della stessa classe (es. paroxetina,
fluvoxamina), avendo lo stesso meccanismo d’azione, probabilmente hanno analogo effetto ma questo deve essere
confermato da studi adeguati.
I primi mesi di quest’anno sono state ritirate dal commercio fenfluramina e dexfenfluramina, anch’essi farmaci ad
azione serotoninergica, e si sono così ridotte le possibilità di trattamento farmacologico dei pazienti obesi. Questo ha
contribuito ad accrescere l’attesa per i nuovi prodotti.
Il farmaco che ha ottenuto i maggiori onori della cronaca e interi servizi televisivi è l’orlistat (Xenical - Roche, data
prevista di commercializzazione in Italia: Marzo 1999). Derivato sintetico della lipstatina (prodotto naturale dello
Streptomyces toxytricini), l’orlistat inibisce le lipasi gastriche e pancreatiche, gli enzimi che idrolizzano i grassi
introdotti con la dieta in acidi grassi liberi e in monoacilgliceroli assorbibili. Il blocco di questi enzimi si traduce in una
ridotta digestione dei trigliceridi alimentari, in una diminuzione della solubilità e dell’assorbimento del colesterolo e
delle vitamine liposolubili. Complessivamente, l’assorbimento dei grassi viene ridotto del 30% circa. Il farmaco deve
essere somministrato in concomitanza con i pasti (immediatamente prima, durante o subito dopo); viene assorbito solo
in piccolissima parte e agisce perciò prevalentemente nel lume dell’intestino tenue. Di conseguenza gli effetti
indesiderati si manifestano soprattutto a livello intestinale, con una incidenza direttamente proporzionale alla dose
assunta. Quelli riportati con maggior frequenza sono dolore addominale, emissione di feci molli, liquide o oleose, e più
chiare, flatulenza, nausea, vomito, bisogno impellente di defecare, incontinenza fecale. Tali disturbi compaiono
soprattutto all’inizio del trattamento e si risolvono spontaneamente alla sua sospensione. Anche la quantità di grassi
presente negli alimenti introdotti ha una notevole influenza: un regime dietetico a basso contenuto lipidico aumenta la
tollerabilità del farmaco. La riduzione dell’assorbimento delle vitamine liposolubili (soprattutto della vitamina E) per
trattamenti di breve durata (2-3 mesi) non è tale da richiedere integrazioni ma va tenuta presente in quei pazienti che
hanno abitudini alimentari scorrette (o predisposti al malassorbimento come quelli con la sindrome dell’intestino corto o
fibrosi cistica). Negli studi clinici l’orlistat è stato somministrato a vari dosaggi in pazienti sottoposti
contemporaneamente a regime dietetico ed esercizio fisico. I risultati sono stati superiori a quelli ottenuti col placebo,
raggiungendo però la significatività statistica solo alla dose di 120 mg x 3/die: mediamente la perdita di peso conseguita
è stata pari al 5-10% del peso iniziale. Negli studi della durata di due anni, nel corso del secondo anno una parte dei
pazienti ha recuperato, nonostante il trattamento, parte del peso perso. Al momento non sono note interazioni
clinicamente importanti. I casi di cancro al seno, evidenziati nel corso degli studi in donne trattate con orlistat, hanno
destato inizialmente molta preoccupazione ma non sembrano da mettere in relazione con l’assunzione del farmaco.
Altro farmaco di cui si è diffusamente parlato è la sibutramina. Già disponibile all’estero con il nome di Meridia, in
Italia non sarà in commercio prima della metà del prossimo anno col nome di Reductil (Knoll). Si tratta di un’amina
terziaria, sviluppata originariamente come antidepressivo. Nel corso degli studi clinici si è notata subito la sua maggiore
efficacia come dimagrante che come antidepressivo e la ricerca è stata approfondita in questa direzione. Ben assorbita
per via orale, una volta metabolizzata, dà luogo a due metaboliti, potenti inibitori del reuptake della serotonina e della
noradrenalina, che fanno aumentare la concentrazione di questi neurotrasmettitori nel cervello. Per spiegare l’efficacia
della sibutramina nel ridurre il peso corporeo sono stati proposti due meccanismi d’azione: da un lato il farmaco riduce
l’assunzione di cibo inducendo il senso di sazietà grazie alla sua attività serotoninergica, dall’altro, aumenterebbe il
dispendio energetico, stimolando la termogenesi (attivazione dei recettori β3). La lunga emivita dei metaboliti consente
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una sola somministrazione al giorno. Nel corso degli studi clinici, della durata fino ad un anno, i pazienti trattati con
sibutramina hanno avuto un calo di peso superiore a quello dei pazienti trattati con placebo, anche se complessivamente
di modesta entità. La perdita di peso è risultata massima nell’arco di sei mesi ed è stata mantenuta nei restanti sei. La
dose ottimale sembra essere di 10 mg al giorno, aumentabile a 15 mg se tollerata (dose massima 20 mg). Mal di testa,
bocca secca, stitichezza e insonnia sono stati gli effetti indesiderati più frequenti ma le reazioni avverse più
preoccupanti sono state l’aumento della pressione e della frequenza cardiaca, potenzialmente pericolose in pazienti
obesi che sono già a rischio per problemi cardiovascolari. Al momento il farmaco non sembra causare anomalie delle
valvole cardiache come quelle che hanno portato al ritiro di fenfluramina e dexfenfluramina e non ci sono segnalazioni
di ipertensione polmonare primaria. Tuttavia la sibutramina è controindicata nei pazienti che hanno una storia di
malattia coronarica, insufficienza cardiaca, disturbi del ritmo o ipertensione non controllata. Cautela viene
raccomandata anche in caso di arteriopatie periferiche, esiti di ictus/TIA e ipertiroidismo. Viene controindicata
l’assunzione contemporanea con altri farmaci seroroninergici, come gli SSRI o farmaci antiemicranici in quanto si può
scatenare una rara ma pericolosa “sindrome serotoninica”. Controindicati anche litio, meperidina, pentazocina, fentanyl
e destrometorfano. Il farmaco non deve essere assunto prima di due settimane dalla sospensione di MAO-inibitori. E’
opinione diffusa che, fino a quando non si avranno dati più precisi sulla sua sicurezza a lungo termine, la sibutramina
debba essere utilizzata con molta cautela.
Il terzo principio attivo di cui si è molto parlato è la leptina, sulla cui disponibilità in commercio tuttavia non è al
momento possibile fare ipotesi di sorta. Si tratta di una proteina formata da una catena di 167 aminoacidi, prodotta dagli
adipociti i quali, “avvertendo” quando il tessuto adiposo è in eccesso, segnalano al cervello, attraverso questo ormone,
di ridurre l’assunzione di cibo o di aumentare il dispendio energetico (i recettori della leptina sono infatti molto
concentrati nell’ipotalamo). Per l’uso in terapia è stata sintetizzata, grazie alla tecnica ricombinante, la metionil-leptina
(Amgen), destinata alla somministrazione parenterale, dal momento che per via orale verrebbe distrutta dagli enzimi
digestivi. Il farmaco è ancora nelle fasi preliminari di studio: i primi risultati, pur se ottenuti su un numero molto
limitato di pazienti, in studi di breve durata e non aventi l’obiettivo di valutarne l’efficacia, sono incoraggianti: dopo un
mese di trattamento con leptina alla dose più alta il 30-45% dei pazienti aveva perso mediamente 1,9 kg vs 0,4 con il
placebo e dopo 6 mesi 7,2 kg vs 0,7 col placebo, con un chiaro effetto dose-dipendente. Il monitoraggio dei parametri
ematici, della funzionalità epatica e renale non ha rivelato alcuna alterazione significativa. I pazienti hanno solamente
lamentato arrossamento, prurito e bruciore al sito di iniezione. Tra i numerosi problemi aperti quello più importante è
che poco si sa di quest’ormone e del suo ruolo sul metabolismo e sul controllo dell’appetito [es. perché non tutti i
pazienti rispondono? i pazienti obesi sono tali perché hanno sviluppato una sorta di “resistenza” nei confronti della
leptina? la comparsa, nei pazienti trattati, di anticorpi anti-leptina deve destare preoccupazione?]. A ciò va aggiunto il
grosso inconveniente rappresentato dalla via di somministrazione.
Questi nuovi trattamenti, così come quelli già esistenti, non sono destinati a persone che vogliono perdere qualche chilo
per ragioni estetiche ma, come tutti i farmaci, devono essere impiegati quando esista una patologia, in questo caso
l’obesità, e andranno presi in considerazione solo dopo che i provvedimenti non farmacologici (dieta, esercizio fisico e
psicoterapia) abbiano fallito.
Bibliografia: Cerulli J et al. Update on the pharmacology of obesity. Ann Pharmacother 1998; 32:88 - Proietto J. New
and old antiobesity drugs. MJA 1998; 168:409 - Chow M. Focus on sibutramine. Formulary 1997;32:1025 Sibutramine for obesity. Medical Letter 1998;40:32 - Phillips DF. Leptin passes safety tests, but effectiveness varies.
JAMA 1998; 280: 869.
A cura della dott. Daniela Zanfi - Farmacie Comunali Riunite, Reggio Emilia
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