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 IL DIRITTO D’IMMAGINE (LA TUTELA DELLE IMMAGINI) LA TUTELA DELL’IMMAGINE
SOMMARIO:
1. La nozione giuridica di immagine.
2. I presupposti per il lecito utilizzo dell’immagine altrui.
3. Gli strumenti di tutela contro l’abuso dell’immagine.
1. La nozione giuridica di immagine.
La nozione giuridica di immagine differisce da ciò che per essa si intende secondo il senso comune.
Secondo quest’ultimo il termine immagine fa riferimento alla globale rappresentazione di un individuo
agli occhi della collettività. In questo senso l’immagine coincide con quell’insieme di attributi della persona che la caratterizzano nei rapporti sociali o professionali ed è sinonimo soprattutto di reputazione e
identità personale.
Nel linguaggio giuridico, ed in un senso restrittivo, per immagine si intendono invece solo le sembianze,
le fattezze e l’aspetto fisico di una persona.
Questa preliminare precisazione terminologica era necessaria poiché l’ordinamento giuridico protegge
l’immagine in una maniera particolare e parzialmente distinta dagli altri attributi della personalità.
2. I presupposti per il lecito utilizzo dell’immagine altrui.
La tutela riservata al ritratto emerge dal combinato disposto di una norma del Codice Civile con la legge
sul diritto d’autore.
Il primo stabilisce che qualora l’immagine sia stata esposta o pubblicata fuori dai casi consentiti dalla
legge (cioè artt. 96 e 67 L. 633/41), ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona
interessata, l’autorità giudiziaria può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni. Si tratta
di una norma importante soprattutto per quanto riguarda gli strumenti di tutela contro l’abuso dell’immagine, ma per la disciplina sostanziale occorre esaminare la legge sul diritto d’autore, la quale dispone
innanzitutto che il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio
senza il suo consenso, salvi alcuni casi (che saranno esaminati in seguito) in cui il consenso non è
necessario.
Il consenso della persona cui l’immagine si riferisce è di norma manifestato espressamente (ad esempio inserito in un contratto). Per la legge, tuttavia, è egualmente sufficiente un consenso tacito (cioè
ricavato da comportamenti incompatibili con la volontà di non prestare il consenso) oppure presunto da
circostanze di vario genere. Ad esempio, la spontanea sottoposizione all’esecuzione di un servizio
fotografico presso un’agenzia fotografica fa presumere il consenso tacito alla diffusione del proprio
ritratto.
Una volta prestato il consenso può essere sempre revocato.
Un principio importante ormai consolidato in giurisprudenza è che il consenso (sia espresso che tacito)
deve essere considerato specifico, nel senso che l’immagine non può essere utilizzata in contesti o per
fini diversi da quelli al quale il consenso si riferiva. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha stabilito che
la riproduzione dell’immagine di persona notoria, effettuata a fini pubblicitari senza il suo consenso,
costituisce lesione del diritto esclusivo sul proprio ritratto (Cassazione civile Sez. I, 2 maggio 1991 n.
4785).
Un’altra sentenza motiva molto efficacemente le ragioni della necessità che il consenso sia considerato
circoscritto e specifico, spiegando che la situazione soggettiva di una persona può mutare anche rapidamente e la pubblicazione diffusa dell’immagine, che in un certo periodo della vita poteva essere
sembrata consona a sé stessi, può, in seguito, non trovare più rispondenza nelle mutate esigenze e
connotazioni della personalità dell’individuo. Anche per questo, continua il Tribunale di Roma, l’efficacia
del consenso, idoneo a far venire meno l’illiceità della divulgazione del ritratto di una persona, deve
essere contenuta entro il rigoroso ambito della prestazione, nei limiti in cui il consenso stesso fu dato
(limite oggettivo della diffusione) e con riguardo esclusivo al soggetto o ai soggetti nei cui confronti fu
prestato (limite soggettivo).
Da tutto ciò consegue che è da considerarsi illecito un uso dell’immagine per fini o in contesti diversi da
quelli per i quali fu prestato il consenso della persona ritratta.
E’ chiaro che l’incertezza dei confini oggettivi e soggettivi del consenso è maggiore quando questo è
tacito o presunto e quindi nulla dispone al riguardo. In questi casi spetterà al giudice condurre l’indagine
sull’accertamento di tali limiti. Una sentenza del Pretore di Roma resa in data 16 giugno 1990 ha stabilito: “In assenza di consenso espresso del soggetto ritratto alla divulgazione della propria immagine,
ovvero se il limite del consenso non risulta esplicitamente, l’autorizzazione prestata dall’interessato alla
divulgazione della propria immagine, ove non sia in concreto limitata nel tempo o comunque sottoposta
a vincoli, deve intendersi prestata illimitatamente e subordinata solo al criterio del c.d. uso prevedibile,
con esclusione delle utilizzazioni che ne ledono il decoro, onore o reputazione”. (Nella specie, è stata
ritenuta lecita la pubblicazione di una foto di modella sulla copertina di un rotocalco, senza il consenso
dell’interessata).
Una volta chiariti i limiti del consenso, bisogna aggiungere che esso non sempre è necessario. La
stessa legge sul diritto d’autore prevede una serie di ipotesi in cui la riproduzione, esposizione o messa
in commercio dell’immagine altrui può realizzarsi a prescindere dall’autorizzazione dell’interessato.
L’art. 97 della legge prevede che non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o
di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti,
cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo
in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione
od anche al decoro nella persona ritrattata.
Per lo specifico tema che interessa in questa sede andremo ad esaminare soltanto il caso della notorietà della persona ritratta, chiarendo la portata e i limiti di tale disposizione.
In questo caso, affinché si possa prescindere dal consenso della persona ritratta, devono ricorrere due
condizioni: che la persona sia celebre e che la riproduzione della sua immagine sia collegata a fatti di
interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
In altre parole deve sussistere una finalità informativa con cui la notorietà della persona deve coniugarsi, ovvero il fatto in oggetto deve essersi svolto in pubblico.
Inoltre, la prevalenza dell’interesse pubblico non è assoluta ma deve arrestarsi, secondo una sentenza
del Tribunale di Milano, alla soglia della non desiderata indiscrezione sulle più gelose vicende personali
di un soggetto, anche se celebre. Si tratta, in sostanza, del complicatissimo bilanciamento del diritto di
cronaca con quello alla riservatezza.
3. Gli strumenti di tutela contro l’abuso dell’immagine.
L’uso della immagine di persone note senza il loro consenso ovvero al di fuori dei casi sopra descritti
rappresenta un vero e proprio atto illecito. Il danno che può derivarne è sia di natura morale che di
natura patrimoniale.
In particolare il danno patrimoniale riguarda la lesione del diritto allo sfruttamento economico della
propria immagine e la riduzione del suo valore commerciale, nonché e la lesione del diritto di sfruttare
la propria notorietà.
Il criterio spesso utilizzato dai giudici per valutare il danno derivante dallo sfruttamento pubblicitario non
autorizzato dell’altrui immagine è stato quello del prezzo che l’interessato avrebbe richiesto per acconsentire a tale uso.
I mezzi di tutela contro l’abuso dell’immagine altrui sono previsti dalla sopra citata norma del codice
civile e si distinguono in azione inibitoria e risarcimento del danno.
La persona lesa può richiedere al giudice che ordini la cessazione dell’abuso che può essere realizzata, a seconda dei casi, con il ritiro dal commercio o il sequestro dell’opera utilizzata (ad esempio del
periodico in cui le foto sono pubblicate), con la sua distruzione o con la sua modificazione (ad esempio
asportando le parti che contengono l’immagine della persona lesa). Il rimedio della inibitoria mira a
tutelare soprattutto gli aspetti non patrimoniali della persona (come nome e reputazione) e può essere
richiesto anche con una procedura d’urgenza disciplinata dall’art. 700 del codice di procedura civile.
Per quanto riguarda il danno squisitamente patrimoniale, si può richiedere il risarcimento, si è detto, per
lesione del diritto allo sfruttamento commerciale della propria immagine. Ciò determina una perdita
economica sia per il fatto di non potere più offrire l’uso del ritratto per lo stesso scopo, sia per la procurata difficoltà alla migliore commercializzazione della immagine per usi diversi, anche a causa di un
effetto “inflazionistico”.
Per effetto dell’entrata in vigore della c.d. legge sulla privacy si sono aperti spiragli anche per la risarcibilità di danni meramente morali.
CONDIZIONI DI VENDITA
Lo Studio Fotografico L’Immagine rispetta tutte le disposizioni di legge in tema di:
- trasparenza delle condizioni di acquisto;
- diritto di recesso.
A tal fine gli acquisti effettuati nell’ambito del servizio dello Studio Fotografico L’Immagine sono soggetti
alla normativa di cui al D.L. 15 gennaio 1992 n. 50 vigente in materia di esercizio del diritto di recesso.
Il diritto di recesso può essere esercitato entro 10 (dieci) giorni dalla data di ricevimento del prodotto.
Il consumatore che intenda esercitare il diritto di recesso deve:
a) inviare entro 10 (dieci) giorni dalla ricezione del prodotto una raccomandata con avviso di ricevimento, contenente: la manifestazione di volontà di avvalersi dei benefici concessi dal D.L. 15 gennaio 1992
n.50
In alternativa il consumatore può:
b) inviare un telegramma entro 10 (dieci) giorni dalla ricezione del prodotto o un fax allo stesso soggetto
sopra indicato al numero telefonico +39 056427405, indicando quanto appena sopra specificato. In
entrambi i casi la comunicazione deve essere confermata dalla ditta entro 48 ore dal ricevimento del
telegramma o del fax mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
In qualsiasi caso le comunicazioni di cui ai punti a) e b):
- devono essere spedite a Studio Fotografico L’Immagine Via Aquileia 19B, 58100 - Grosseto - Italia:
- si intendono spedite in tempo utile se consegnate all’ufficio postale entro il termine di cui sopra
- devono contenere l’indicazione del prodotto relativo.
- devono essere controfirmate dallo stesso soggetto che ha stipulato il contratto o formulato la proposta
contrattuale
In entrambe le soluzioni di cui ai punti a) e b) colui che intende esercitare il diritto di recesso deve:
- entro lo stesso termine di 10 (dieci) giorni dalla ricezione della merce (ai fini della scadenza del
termine la merce si intende restituita nel momento nel quale viene consegnata all’ufficio postale o allo
spedizioniere), rispedire al mittente a mezzo posta il prodotto relativamente al quale intende esercitare
il diritto di recesso. Il prodotto dovrà essere corredato della bolla di consegna e/o dalla bolla di accompagnamento merci allegata al prodotto al momento della consegna.
Le spese di spedizione sono a carico del consumatore.
Oltre quelle appena sopra specificate condizione necessaria per l’esercizio del diritto di recesso è
comunque la sostanziale integrità del prodotto (restituzione in normale stato di conservazione in quanto
sia stata custodita ed eventualmente adoperata con l’uso della normale diligenza).
Entro 30 (trenta) giorni dalla ricezione della comunicazione nella quale il consumatore esprime la volontà di esercitare il diritto di recesso ed una volta avuto restituito il prodotto il cui acquisto risulta
oggetto di recesso, lo Studio Fotografico L’Immagine provvederà al rimborso mediante bonifico bancario.
Il suddetto rimborso si riferisce esclusivamente al prezzo del prodotto, così come evidenziato nella nota
d’ordine e nella bolla di consegna: in ogni caso le spese accessorie di spedizione e consegna a domicilio del prodotto non saranno oggetto di rimborso e, pertanto, rimarranno a carico del consumatore.
GARANZIE INFORMAZIONI
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prodotto: uso e manutenzione, dimensione e confezioni inviando un e-mail a [email protected]
lo Studio Fotografico L’Immagine garantisce tutti gli articoli per un periodo di sei mesi dalla data di
spedizione, escludendo batterie e accumulatori, lampade, parti di usura e malfunzionamenti dovuti a
uso improprio, incuria,
cadute e simili.
PAGAMENTO
Il pagamento dei beni oggetto di compravendita avviene in contrassegno al ricevimento del pacco.
SPEDIZIONE
La spedizione avverrà a mezzo corriere con addebito di € 15,50 come contributo di spese di trasporto.
La decisione della Corte
Il lavoratore, oltre ai motivi d’impugnazione di cui detto, sosteneva che la Corte d’appello era pervenuta
alla decisione impugnata senza fare alcun apprezzamento su fatti, su antefatti, sulle pregresse vicende
processuali, sul comportamento inadempiente del datore di lavoro, ignorando così l’inadempimento
dell’azienda ai propri obblighi e la perdurante situazione di frustrazione in cui egli versava. In verità, le
critiche mosse dal lavoratore alla sentenza di secondo grado venivano bocciate dalla Cassazione.
Per i giudici supremi, difatti, il giudice d’appello spiegava, con dovizia di argomentazioni, le ragioni che
avevano portato l’azienda a licenziare l’ingegnere, vagliando attentamente le risultanze istruttorie e
sottoponendo ad accurato esame la condotta che si era tradotta in una ´lesione dell’immagine della
società Amet, ad opera del suo dipendente’. Per la Corte suprema i giudici di merito non avevano
violato alcuna norma giuridica, né per quanto riguarda il principio costituzionale dell’articolo 21 Cost., di
cui il diritto di critica costituisce significativa espressione, né per quanto attiene ai principi fissati dall’articolo 2105 c.c.
Per i giudici di legittimità, ´la forma della critica non è civile non soltanto quando è eccedente rispetto
allo scopo informativo da conseguire o difetta, di serenità o obiettività o, comunque, calpesta quel
minimo di dignità e di immagine cui ogni persona fisica o giuridica ha sempre diritto, ma anche quando
non è improntata a leale chiarezza; ciò si riscontra allorquando si ricorra al sottinteso sapiente, agli
accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, specie nei titoli di
articoli o pubblicazioni, o comunque all’artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono
notizie neutre, nonché alle vere e proprie insinuazioni’.
Il diritto di cronaca deve rispettare due principi:
€ il principio della continenza sostanziale,
€ il principio della continenza formale.
Il principio della continenza sostanziale è quello secondo il quale i fatti narrati devono corrispondere a
verità, mentre il principio della continenza formale consiste nell’esposizione dei fatti che deve avvenire
misuratamente senza eccedere l’intento informativo.
Tenendo presente le considerazioni fatte, la Corte di cassazione riteneva infondate le censure mosse
nei confronti della sentenza dei giudici d’appello di Bari: la decisione dei giudici di secondo grado era
stata adottata con una motivazione corretta da un punto di vista logico-giuridico, non potendosi giustificare il comportamento del dipendente rifacendosi al diritto di cronaca (prima censura).
LESIONE DEL DIRITTO ALL’IMMAGINE
Dr.ssa Gabriella Da Campo
Per diritto all’immagine si intende, un diritto della persona a che la propria immagine non venga, divulgata, esposta o comunque pubblicata, senza il suo consenso e fuori dai casi previsti dalla legge.
Questa, una definizione un po’ approssimativa di tale Diritto che merita un maggiore impegno interpretativo. Il Diritto all’immagine rientra nella categoria dei diritti della persona, visti come Diritti assoluti e
riceventi una tutela giuridica ai sensi dell’art. 2043 C.C. Questa norma prevede una esposizione al
risarcimento del danno a carico del soggetto che con un fatto doloso o colposo rechi ad altri un danno
ingiusto. Questa disposizione normativa ha posto una tutela generalizzata a una categoria di diritti
problematica, a causa della sua inerenza agli aspetti interiori della persona e non patrimoniali. Alcuni
autori riferiscono questi Diritti ad un unico diritto della persona a cui ricollegano diverse facoltà. Avverso
tale tesi cd. “monistica”, una cd. “pluralistica” che identifica molteplici Diritti della persona tutelati (ex art.
2043), attraverso la “Tutela Acquiliana”. Il referente costituzionale di questi diritti è costituito dall’art. 2
Cost., in particolare. Il diritto all’immagine è disciplinato dall’art. 10 c.c. il quale dispone: qualora l’immagine della persona o dei genitori,del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui
l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei suoi congiunti, l’Autorità Giudiziaria, su richiesta dell’interessato,
può disporre che cessi l’abuso salvo il risarcimento del danno. Dalla lettera della norma rileva un primo
aspetto, particolarmente significativo; sembrerebbe che la pubblicazione dell’immagine o la sua esposizione sia possibile, liberamente fino a dove la legge lo consenta, ma questa prima lettura va opportunamente integrata con gli articoli 96 e 97 della L.633/’41, i quali si pongono tra loro nei termini di regola
– eccezione. L’art.96 L. 633/’41 stabilisce che sia necessario il consenso del soggetto, la cui immagine
venga esposta, riprodotta o messa in commercio e ammette la revoca del consenso da parte del soggetto interessato, introducendo così la principio del “consenso” che si integra con l’art. 10 c.c. L’art. 97
L. 633/’41 dispone, che si possa prescindere dal consenso, nei casi in cui ciò sia giustificato da motivi
di, notorietà del personaggio ritratto, o dall’ ufficio pubblico ricoperto, o dalla necessità di, giustizia,
polizia, scopi scientifici, didattici, culturali, o quando la riproduzione sia collegata a fatti o avvenimenti,
cerimonia di interesse pubblico o svoltosi in pubblico. La ratio giustificatrice della norma è chiara: in
questi casi l’eccezione alla regola del consenso è motivata da esigenze superiori rispetto alla tutela del
Diritto all’immagine, aventi parimenti fondamento nella Costituzione, ma considerato il principio del
“bilanciamento degli interessi” in queste ipotesi prevalgono. La divulgazione di immagini raffiguranti
personaggi pubblici, mostrano aspetti problematici soprattutto con riguardo alla tutela della “privacy”,
quando si trascende in raffigurazioni che poco o nulla hanno a che vedere con la dimensione pubblica
del personaggio celebre e che guardano ad aspetti privati e intimi del soggetto ritratto. Secondo alcuni
autori, la tutela della “pricacy” dovrebbe soccombere rispetto al diritto di cronaca, ogni qualvolta il personaggio famoso è a conoscenza che i luoghi da lui frequentati lo espongono a “fotoreporter”, che ne
captano e pubblicano fatti attinenti la vita privata dei vip (cd. Paparazzi). Ritornando ai problemi interpretativi posti dall’articolo 10 c.c. si evidenzia un ulteriore limite alla possibilità di divulgazione di immagine altrui, e cioè il rispetto del decoro e della reputazione del personaggio ritratto; entrambi i valori
trovano riconoscimento costituzionale nell’art. 41 Cost. , ed attengono alla dignità della persona, anche
se la reputazione ha connotati obiettivi, in quanto si sostanzia nell’opinione di cui il soggetto gode nella
società. Le forme di tutela giurisdizionale previste dall’ordinamento giuridico ai diritti sono: LA TUTELA
PREVENTIVA, LE RESTITUZIONI E IL RISARCIMENTO DEI DANNI. La tutela risarcitoria può spiegare tutta la sua efficacia nell’ambito di interessi di tipo patrimoniale; Ma riferita ai Diritti della persona si
mostra insufficiente per diversi ordini di ragioni:
1) La sua “intempestività” essendo successiva rispetto alla lesione di interessi difficilmente o per nulla
reintegrabili nella loro originaria condizione.
2) Il limite posto dall’art. 2059 c.c. secondo quanto affermato dalla Giurisprudenza, la quale esclude la
risarcibilità del danno non patrimoniale frutto di lesione a diritti della personalità che non costituiscano
reato. Bisogna tuttavia riconoscere, una sorta di apertura da parte della Giurisprudenza e dello stesso
legislatore, nell’ampliare i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale; riferendoli alla tutela ex art.
2043 c.c.(Giurisprudenza) o prevedendone direttamente la risarcibilità ex art.29 comma IX, L.675/’96.
3) Difficile determinazione del “quantum” di risarcimento del danno in termini economici.
La tutela tramite il meccanismo della “Restituzioni” riferito alle lesioni dei Diritti della Personalità sembra
impraticabile, essendo questi alieni da qualsiasi substrato materiale.
Le argomentazioni fin qui esposte dovrebbero condurre a ritenere che le forme di tutela più consone ad
una protezione reale ed efficace dei Diritti della personalità siano costituiti dalla “Tutela Preventiva”,
attribuendo una collocazione secondaria al risarcimento del danno. I mezzi di tutela predisposti dall’ordinamento avverso gli abusi dell’immagine altrui sono proprio, L’inibitoria ( esempio di tutela preventiva
) e il risarcimento del danno. Avendo accertato che il modello più utile di tutela dei Diritti della personalità, in generale, e del Diritto all’immagine, in particolare, è la tutela Preventiva, consideriamo “l’ordine
inibitorio del Giudice”. I rimedi inibitori sono molteplici, e occorre verificare se si possa estendere l’applicazione anche a casi non espressamente indicati. Ossia è configurabile una inibitoria atipica avente
valenza generale? Secondo alcuni autori vista l’atipicità dell’illecito civile, ne consegue l’atipicità dell’inibitoria.
Altri autori, ancorano l’atipicità dell’inibitoria all’art. 700cpc. La tutela cautelare potrà applicarsi ogni
qual volta si tema la minaccia di un pregiudizio imminente e irreparabile verso un diritto, adottando così
le misure cautelari idonee a preservarlo sino alla futura decisione.
Gli elementi indefettibili ai fini di tale tipo di tutela sono: Il cd. Periculum in mora, Il cd, fumus boni iuris
e l’obbligo di instaurare successivamente un giudizio di merito. Ricorrendo tali requisiti spetterà al
Giudice individuare la misura più consona ai fini della tutela nel caso di specie. Appare opportuno
segnalare che anche il risarcimento del danno può adempiere a funzione di prevenzione, nella forma
delle cd. “ Pene Private”.
Non è meno educativo osservare cosa succede con i font: i caratteri tipografici. I font un tempo si
compravano in costosissimi fogli trasparenti e, se la dimensione era sbagliata o non ti piaceva come
veniva il lavoro, dovevi tornare nel negozio di grafica e venderti l’altro rene per acquistare una diversa
dimensione o un diverso typeface di trasferibili Letraset – i migliori. Oggi, se proprio non ci dovessero
bastare le decine di font presenti già nello stesso computer che abbiamo comprato, migliaia di altri tipi
di font si possono scaricare gratis in vari siti dove gli stessi autori del carattere li pongono alla pubblica
attenzione. Qual è il trucco? A volte quelli che puoi scaricare non sono tanto completi quanto le versioni
poste in vendita (mancano alcune lettere accentate o i caratteri speciali); altre volte l’autore si premura
di dire: “se il mio carattere lo usi per i fatti tuoi va bene, ma se lo usi commercialmente, mi dovresti
pagare i diritti che, dai, non sono poi così esosi”.
E qui sta, daccapo, il problema: se lo usi commercialmente. Alla faccia della proprietà intellettuale.
Certo: se il tuo lavoro trova forma in un testo copiabile all’infinito, da una parte hai il vantaggio di
accedere a una platea virtualmente globale, ma dall’altra hai il diritto di proteggere il tuo lavoro da chi
non si fa solo spettatore e, come tale: apprezza, approfondisce, divulga e sostiene. L’autore ha diritto a
tutelare il suo lavoro da vari tipi di cattivo riutilizzo. Qualche esempio:
A) quando qualcun altro lo usa per accorciare e semplificare la propria strada verso l’ideazione, quale
che ne sia l’esito economico (plagio).
B) quando qualcun altro lo usa per riempire gratuitamente di contenuti una propria “vetrina” commercialmente redditizia ma vuota (clonazione).
C) quando qualcun altro lo utilizza per recare danno o frodare altri non in proprio nome, e così anche
recar danno all’autore dell’opera (falso ideologico). Eccetera eccetera.
Alcuni, pochi, lavori nascono tecnicamente predisposti contro alcuni di questi rischi (cd e dvd con codici
anticopia e antiinvasione, ecc) ma gli altri oggetti, in fondo, sono solo veicoli di diffusione per lo sforzo
creativo di un gruppo di persone non esclusi i tecnici, i produttori, i grafici e così via.
Posso io/legge vietare che si cloni un cellulare o una carta di credito che veicolano dunque informazioni
e denaro privati ad uso privato? Sì: devi, si dirà. Posso io/legge ostacolare la comunicazione della
conoscenza ivi inclusi i testi stessi di cui è composta questa conoscenza? Pertanto informazioni e valori
del tutto pubblici, anzi democratici? No: si dirà, non devi; né posso, aggiungo io. Ma, diamine, c’è un
limite a tutto. Peccato che questo limite oscilli a seconda del target, dal periodo economico, del luogo di
produzione e diffusione. Mi spiegava un editore che, sotto una certa soglia di prezzo, i libri “se li comprano”, sopra tale soglia “se li fotocopiano”. Ma vorrei far notare che la questione è ancora un’altra.
Finché diffondere equivale ad evangelizzare, nessuno mai chiederà un tallero per ogni citazione dalla
Bibbia. Nonappena, però, il Verbo Unico viene meno, nonappena il pluralismo e la democrazia si inverano – chissà perché – nella logica dell’economia di mercato, ogni informazione diviene una forma di
follow up della vendita, optional del bene o servizio acquistato, branch del customer care. E scambiarsi
queste informazioni sembra divenire illegale come forare un acquedotto e irrigare nascostamente il
proprio orto. Come scaricare sul proprio conto in banca gli interessi passivi di una somma gigantesca
sottratta e poi resa mezz’ora dopo, da un hacker old style alla multinazionale prescelta. E no. Questa
circolazione non è interesse privato o, se lo è, non lo è solamente. Come il rito protestante: officiato dai
fedeli stessi. Ci sarà una via di mezzo fra l’ecumenismo del pensiero unico e l’isteria da cortiletto
recintato?
Prendiamo il web. Cosa sono i blog? Che sono le chat e i forum? Finestre, gigantesche finestre nelle
quali alcune informazioni passano ed altre no. Passa ciò che sta a cuore ai più: dunque tutto e il
contrario di tutto. Ma questo ammasso virtualmente amorfo nasconde un pregio: la virtuale estensione
degli oggetti d’attenzione al di là degli interessi delle nicchie di mercato. Posso far conosce un aerografo a un fabbro e un mandala ad un ingegnere. Quel che la gente si scambia è conoscenza: tradotta in
termini effusivi, affettivi, si dirà. Allora? Quando è strapieno e saturo il mercatone dell’offerta commerciale e nominalmente anche di quella culturale, quando gli idoli si moltiplicano fino a non starci più nel
tempio, il culto torna a farsi domestico. E la comunicazione, intasata nei media lineari (le pagine del
giornale, le fasce orarie della tv) tracima nella rete delle reti: nella multidimensionalità le cui gerarchie
sono, per ora, poco visibili e si chiamano “terze parti”.
Certo: la vita è altrove rispetto al web, forse, ma ciò che anima la vita vera può certamente venire da lì.
Se nel mio tempo libero, o mentre lavoro, sento solo gli mp3 che scarico dalla rete è segno che il mio
rapporto col web non è solo virtuale. Se infatti è stato messo il tassametro ai siti come Napster e se non
si trova quasi più un mp3 gratuito sarà anche perché si è capito che la finestra poteva essere trasformata, appunto, in vetrina. Ma questo è sempre il pensiero dirigistico del “comprate il mio prodotto”. Se la
prestazione d’opera intellettuale fosse correttamente inscritta nella società in cui viviamo non si cercherebbe di spingerne artificialmente il flusso nel tentativo di monetizzarlo: si sarebbe perfettamente a
posto a seguito del riconoscimento di tale prestazione d’opera.
Quando ci passiamo di mano in mano un suono o un’immagine, quando ci passiamo di bocca in bocca
una nozione, oltre a renderla più incerta e quindi personalizzata e vibrante dell’urgenza di una verifica,
la riportiamo in vita come cultura viva, proprietaria di chi l’assume e l’accetta o la rifiuta e nel farlo
l’approfondisce. Non come le collane di libri acquistati e non letti che, per quanto detenuti, non sono mai
del tutto posseduti.
Tornando a noi, gli esecutori possono allora ben costruire il proprio edificio (sonoro se rientriamo nell’esempio della musica) con lo spoglio delle costruzioni altrui, esattamente come gli architetti dell’antichità (a Roma le basiliche cristiane sono costruite con tonnellate di materiali marmorei di recupero:
lavoro manuale e lavoro intellettuale imperiali): basta dare a Cesare quel ch’è di Cesare: cioè informando l’utente (lettore, ascoltatore, spettatore) di ciò che lui/lei potrebbe essere interessato ad approfondire. Il testo trova altrove la proprio redditività e nel suo trascorrere attraverso la società si fa contesto,
prende valore di reference, si ipertestualizza, si apre volontariamente e rinvia esplicitamente ad altro da
sé. Ogni testo lo fa, più o meno, anche senza volerlo: tuttavia il testo visivo contemporaneo prende
coscienza del suo statuto reticolato e se ne appropria sfruttandone le potenzialità strutturali e comunicative.
PROPRIETA’ DEI NEGATIVI E DEGLI ORIGINALI DELLE IMMAGINI
Molti fotografi paiono concentrare l’interesse su di un aspetto del problema - appunto, la proprietà del
negativo - che è in realtà un aspetto secondario, solo derivato da quello che è il punto determinante: il
tipo di cessione di diritti di sfruttamento economico (vedi diritto d’autore).
Per una ricerca “intelligente” sul web, clicca qui.
In parole semplici, il problema risiede in questo; il negativo (o la diapositiva) in origine appartiene,
evidentemente, al fotografo. Dato che, in sé, l’originale non ha valore, se viene ceduto ad altri, ciò
avviene perché a questi si riconosce il diritto di far uso di quel negativo.
In sostanza, il negativo (o un equivalente, come la diapositiva originale) viene ceduto alla persona che
ha il diritto di farne uso, per il tempo che tale diritto permane e per gli usi che si sono concordati. Se il
fotografo cede il diritto di utilizzo per la realizzazione di un catalogo, il cliente ha diritto a detenere
l’originale per il tempo necessario a questo uso; per essere fiscali, se la concessione del diritto di
utilizzo è della durata di un anno, il cliente potrebbe trattenere il negativo per questa durata di tempo.
Se, invece, il fotografo cede i diritti di utilizzo senza limiti di tempo, il cliente ha diritto a trattenere il
negativo per questo periodo: cioè, senza limiti di tempo.
Non si tratta, dunque, di stabilire “di chi è il negativo”, quanto piuttosto: “chi, in questo momento, gode
dei diritti di sfruttamento economico dell’opera?”.
E evidente che, se il cliente acquista il diritto di utilizzo di un’immagine, scaduto il termine di sua competenza deve restituire l’originale, mezzo col quale tale diritto si esercita. Ci si trova nella stessa situazione di chi prende in affitto un appartamento per una stagione; al termine della stagione restituirà le
chiavi, e non ha senso che si impunti per trattenerle. Quello che è scaduto è il diritto all’uso dell’appartamento, ed è sciocco discutere sul possesso del mazzo di chiavi.
Nel caso delle fotografie effettuate su commissione le disposizioni della legge 633/41 (articoli 87 e
seguenti), fanno sì che, nel caso di semplici fotografie ed in assenza di accordi scritti, l’originale e tutti
i diritti siano automaticamente del cliente pagante, quando:
a) La foto sia stata commissionata dal cliente, e non ci sia alcuna traccia scritta della destinazione d’uso
prevista.
b) La foto non sia stata direttamente commissionata, ma ritragga cose in possesso del cliente, e sia
stata a questo venduta in seguito (senza traccia scritta di destinazione d’uso).
c) La foto non sia stata necessariamente commissionata appositamente, né ritragga cose del cliente
ma, semplicemente, il fotografo abbia ceduto al cliente il negativo, percependo un compenso, e senza
redigere alcun accordo specifico.
DI CHI È L’ORIGINALE, NEL CASO DEL RITRATTO - MATRIMONIO
Unica situazione in cui i diritti e la proprietà del negativo non passano al committente è quello in cui il
soggetto dell’immagine... sia il cliente stesso.
Con una catena logica piuttosto complessa, infatti, la Legge giunge a sancire come, nel caso che
“l’oggetto” ritratto sia il committente stesso, la proprietà del negativo resta al fotografo (vedi pubblicabilità delle foto di ritratto).
Infatti, all’articolo 98 della Legge si indica come la persona ritratta possa pubblicare o riprodurre la sua
immagine senza bisogno di consenso del fotografo. Ora, il fatto che si indichi come non necessario il
“permesso” alla pubblicazione implica necessariamente che il diritto di uso di quella fotografia non
appartenga già, automaticamente, alla persona ritratta, che è comunque dispensata da chiedere l’autorizzazione. Se in questo caso valesse la regola generale dell’articolo 88 (diritti passati automaticamente al committente), non avrebbe senso specificare che il titolare dei diritti è dispensato dal chiedere
l’autorizzazione a terzi. In realtà, evidentemente, la persona ritratta non è dunque considerata proprietaria di tali diritti e, dunque non è proprietaria del negativo.
Ad ogni buon conto, anche la Corte di Cassazione si è pronunciata in tal senso, con sentenza del 28/6/
1980 n. 4094: la proprietà dei negativi di ritratto e di cerimonie come matrimonio e simili è del fotografo,
e non del committente.
Suprema corte di Cassazione civile, sez I, 28/06/1980 n. 4094, reperibile - fra gli altri - in Giust. civ.
Mass. 1980, fasc. 6. Foro it. 1980, I, 2121, Giust. civ. 1980, I, 2101, che recita: “Nell’ipotesi di ritratto
fotografico eseguito su commissione, regolata dall’art. 98, I. 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto d’autore, il
committente, diversamente da quanto stabilito dall’art. 88 comma 3 di detta legge per le fotografie di
cose in suo possesso, non acquista il diritto esclusivo di utilizzazione della fotografia, il quale rimane al
fotografo, pur concorrendo con quello della persona fotografata o dei suoi aventi causa di pubblicare e
riprodurre liberamente la fotografia medesima, salvo il pagamento al fotografo di un equo corrispettivo
nel caso che la utilizzino commercialmente. Nell’ipotesi indicata, pertanto, ove manchi un diverso patto,
deve ritenersi che il fotografo conserva la proprietà del negativo e non è tenuto a consegnarlo al committente.”
Una casistica estremamente vasta, che consiglia - evidentemente - di porre nero su bianco eventuali
accordi differenti.
Versione 00.04.10