Black Africa Story

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Black Africa Story “il primitivismo di oggi accumula in sé l’esperienza di molti secoli; e per chi sa cogliere questo carattere non sara’ difficile riconoscere in lui la suprema espressione del moderno”. (A. Soffici) Premessa sull’arte tribale nera Le sculture in mostra sono state create da popolazioni africane abitanti in una zona di circa 4000 km che va dal Mali all’Angola: 300 etnie circa, tutte dedite all’agricoltura; questo e’ un aspetto fondamentale, perché radica l’essere umano al territorio nel quale lavora, creando un legame di continuità fra i viventi e i defunti. Queste opere sono state prodotte in un periodo che può essere stimato fra 80 e 200 anni fa (ma esistono sculture in legno create un migliaio di anni fa). Ma hanno ereditato una tradizione antichissima, della quale ricordo le tappe principali: -­‐ Grotta di Bomblos (Sud Africa), dove sono state trovate delle pitture rupestri sistematiche, primo esempio artistico della storia umana: -­‐ Pitture rupestri del Tassili (10.000-­‐5.000 a.C.) -­‐ Civiltà di Nok (Nigeria) che produceva terrecotte di grandezza naturale di fattura mirabile nel 300 a.C. -­‐ Regni di Ife e Benin dal 1200 al 1850 d.C., che realizzano bronzi stupendi. Quando i primi europei arrivarono in Africa nera (1490 d.C.) trovarono regni ben organizzati nei quali la vita era prospera e questi incontri si svolgevano all’insegna della pace. Con la scoperta dell’America (1492) si sviluppo’ tuttavia il traffico di schiavi (45-­‐45 milioni di persone in 350 anni, nei termini demografici dell’epoca). Il continente venne letteralmente svuotato, il conflitto fra i popoli divento’ la regola, molte etnie si rifugiarono nei posti più impervi per sfuggire al massacro. Il colonialismo fu solo l’ultimo atto (1840-­‐1960) di questi crimini. Si può dunque dire che l’arte tribale e’ stata un atto di resistenza all’opera dei colonizzatori, una continuazione della loro civiltà’ tradizionale nella quale si riflette l’antica grandezza. Il primo concetto che devo sottolineare e’ che si tratta di un’arte assolutamente religiosa: dice l’antropologo Leo Frobenius (1910): “l'intensità’ con cui questi uomini lavorano alle opere artistiche e partecipano alle cerimonie religiose, operando pero’ con coerenza e silenzio; qui tutto vive; la vita stessa e’ poesia, altissima ma incomunicabile: la mistica ha dato alla vita la forma dell’opera poetica”. E ancora, più concettualmente, l’artista Juan Gris “le sculture negre, animate di spirito religioso, rappresentano manifestazioni dirette ed esatte di grandi principi ed idee generali. Come non ammettere un’arte che, avanzando in questo modo, riesce ad identificare ciò che è generale ogni volta in modo diverso”. I neri non hanno templi nei quali sacrificare al Dio; il loro rapporto con le cose sacre è diretto, si svolge all’interno della natura, è parte della natura stessa. Il secondo concetto è che la scultura è un’arte assolutamente maschile. Come nella religione cristiana e musulmana, la donna è esclusa dall’ufficio delle funzioni religiose, ignora il processo della meditazione mistica e quindi non può rappresentare gli strumenti del culto. Pero’ l’essere femminile e’ rappresentato con maggior frequenza nelle sculture (il 70% circa delle statue), come se l’uomo sentisse il bisogno di compensare l’esclusione della donna dal potere con altre forme di riconoscimento umano. Infine ricordo che ogni gruppo etnico ha un suo stile caratteristico: ogni esperto, vedendo un oggetto, sarà in grado di attribuirlo ad un determinato popolo. Va detto poi che esistono delle vere e proprie “Accademie“ di scultura, specie presso i popoli organizzati in classi nobili. Tuttavia la regola è che le sculture sono prodotte dal fabbro del villaggio che si ispira alle forme proprie dell’etnia: ma anche cosi’, non e’ mai capitato di incontrare, all’interno della stessa tipologia, due forme identiche; come dicono gli africani, scolpire e’ molto facile e la scultura si rinnova ogni volta all’interno della stessa tipologia. La Religione africana Il fondamento del misticismo africano riposa su un principio basilare: l’energia vitale (“mana”), di origine sovrannaturale, investe con la sua forza tutti gli essere animati; trascende cosi’ anche i limiti dell’umano abbracciando anche il cosmo. In quanto energia fisica, il mana non si spegne con la morte: come energia rimane (“nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”) ma con una diversa essenza e forma, assomigliando pero’ a quella precedente; e’ un’ energia spirituale (“anemos” in greco, “un soffio in nulla” in Rilke); slegato dalle necessita’ esistenziali, il mana delle creature defunte e piu’ potente di quello dei viventi. In questo contesto le forze vitali del mondo invisibile esercitano un’influenza continua sul mondo dei viventi: non solo gli uomini, ma anche le altre forme di vita, gli animali e le piante rientrano in questa idea del “tutto invisibile” che, tuttavia e’ ordinato in senso gerarchico basato sulla diversità delle forme vitali originarie. Gli esseri umani vivono dunque in continua simbiosi con il mana dei defunti, avendo la certezza che diventeranno essi stessi forze spirituali: da questo deriva il profondo misticismo dei neri che si manifesta in ogni istante dell’esistenza. Gli strumenti di culto: statue, maschere, feticci Tutte le etnie africane credono che esista un Dio che per molte popolazioni un tempo viveva a contatto con gli esseri umani; ma un avvenimento lo allontanò: degli schizzi di fango che imbrattarono il suo manto, o forse un pestello lanciato troppo in alto gli ferì un occhio… Comunque si discostò per quel tanto che gli serviva per non essere disturbato; in verità, “Dio è troppo grande per essere rinchiuso in una stanza” (detto Ashanti); di conseguenza il Dio unico non viene mai rappresentato nelle sculture. Questa divinità creò l’universo “l’essere Uno si dotò di due occhi – li chiuse: venne generata la notte – li aprì: nacque il giorno. La notte si incarnò nella luna. Il giorno si incarnò nel sole. Il sole sposò la luna… Procrearono il tempo temporale divino” (Cosmologia Mande). Il luogo destinato alle creature viventi è la terra: con i loro riti gli africani costringono gli antenati e le altre forze invisibili a congiungere la loro energia con quella dei viventi, a partecipare al loro destino, in uno stretto rapporto di scambio dal quale tutti sono vivificati. L’arte africana è dunque funzionale al culto: lo scultore rappresenta il “mana” nelle frome proprie dell’etnia per dargli una sede che stabilisce un contatto fra la forza invocata e l’uomo. Gli africani quindi non si esprimono attraverso un’arte “astratta”, ma assolutamente mistica. Un fenomeno simile avviene anche nell’arte religiosa occidentale: ma, coerente alle sue origini greche e romane, il nostro artista si è sempre mosso nell’ambito dell’imitazione della natura. Le forme spirituali africane sono rappresentate invece con grande libertà formale, perché la loro religione esalta la trasformazione fisica operata dalla morte: la trasfigurazione formale è l’essenza stessa della spiritualità. Le statue Queste sculture rappresentano il momento statico dell’arte africana: sono parte dell’arredo di altari collocati in posti suggestivi; fonti, colline, alberi dalla forma particolare, come se il fedele sentisse il bisogno di lasciare un segno poetico che renda il luogo assolutamente umano, oppure in un posto specialmente caro all’interno della casa. Il rapporto con la statua è fisico, immanente non solo perché spesso rappresenta qualcuno con il quale si è uniti da un rapporto di sangue, ma anche perché la relazione è tattile (lo dicono le usure!): dopo i sacrifici e le libagioni, seguono le manipolazioni e le carezze. Attraverso questo calore l’antenato torna a vivere: statua e vivente sono uniti da un rapporto simbiotico. Le sculture più importanti sono costituite dagli antenati, mitici (Adamo ed Eva) o storici, cioè persone di grande valore della famiglia. Ma tanti sono i temi toccati: le maternità, i bambini, gli eroi equestri, i filosofi mistici. In conclusione è il momento nel quale rifulge l’ascesi etica dell’antenato, perché la vita è intesa come acquisizione progressiva di sapienza: “l’uomo deve soffrire nel venire al mondo e nell’andare via; maturità è tutto” (Shakespeare, Re Lear). Le maschere Queste sculture sono il momento dinamico dell’arte africana: superando i confini del reale, le maschere inseriscono l’uomo in una dimensione nella quale attinge alle energie più potenti del cosmo, grazie alle quali rinasce con forze nuove. Infatti le cerimonie che prevedono l’utilizzazione di maschere sono vere e proprie cosmologie che rigenerano tempo e spazio, riaffermando la verità e la presenza del mito nella vita quotidiana. Devo ricordare che la maschera non è solo la scultura, ma tutto il travestimento: l’uomo scompare, non rimane di lui alcun riferimento visibile; dicono i Dogon “quando balla l’uomo diventa il cavallo del Dio”: il Dio invocato e l’esser emano sono la stessa cosa. Nelle lingue africane non esiste un termine che corrisponda al nostro “maschera”: non si dice “maschera Ntomo”, ma “Ntomo” e basta. Si tratta di un ribaltamento concettuale, uomo e Dio sono la stessa cosa. In altre parole, la funzione della maschera è quella di operare un cambiamento religioso: i ragazzi in adulti, i notabili in capi, i defunti in antenati, la semina in raccolto, la malattia in salute, un delitto in una sentenza. Ma, di per sé, la maschera non è l’essere che rappresenta, costituisce solo l’apparenza destinata ad ingannare la forma scolpita, si “specchia” in essa, venendo indotta ad avvicinarsi al mondo degli uomini. Dice lo studioso J. Laude : “La maschera è la trappola e lo specchio del Dio”. Feticci Queste sculture sono uno strumento di difesa o offesa dell’uomo, e, alo stesso tempo, di fervente preghiera. Dice, con brillante sintesi, l’antropologo Auge “innanzi tutto è un Dio oggetto, poi un insieme parole, per continuare con un insieme di preghiere, di formule, di prescrizioni e di divieti che costituiscono le prescrizioni per l’uso, diverse per ogni Dio oggetto; ma è anche una forma, una materia, una sintesi del mondo dove si incontrano gli elementi del mondo animale, vegetale e minerale”. La forma del feticcio è un mistero, perché se fosse visibile o conoscibile, questo lo renderebbe vulnerabile e neutralizzabile. “Ci ispirano una strana familiarità: strana perche´questi dei-­‐oggetto non ci riguardano, non sono concepiti per noi; familiarità perché conservano qualcosa di umano che ci sfugge e ci provoca” (Auge). Black Africa Story Statue maschere e feticci sono le sculture che utilizzerò per la mostra, integrati da una porta che rappresenta una bambina. Tuttavia questo non esaurisce il settore dell’arte africana: olifanti, anelli, bracciali, pipe e altro sono decorati, lavorati con un finissimo senso artistico. Una grande facilità nel produrre oggetti di alta qualità artistica. Black Africa Story perché in una società assolutamente mistica, ogni momento importante della vita è rappresentato dalle sculture. L’origine dell’universo ed i primi animali Secondo i miti di molte etnie l’universo compare al suono di un’immensa armonia prodotta dalla prima madre (la moderna scienza universale parla di “big bang”); la crescita delle creature comincia lentamente. Prima compaiono piccole forme di vita, i ragni, le lucertole, le rane, i granchi; dai nove ai dodici animali: umili bestie ma importantissime nei miti, perché hanno assistito a tutta la creazione, e conoscono quindi tanti fenomeni ai quali non hanno assistito gli esseri più evoluti. Quindi queste creature vanno rispettate, perché sono portatrici di grandi verità. Nascono poi le forme biologiche più evolute: cavalli, antilopi, scimmie, etc. anche loro sono venuti all’esistenza prima dell’uomo, e, a loro volta, hanno avuto tempo per apprendere molte cose: l’antilope, grattando il terreno con gli zoccoli, ha insegnato all’uomo a coltivare; il leopardo, con il suo coraggio ed astuzia, la nobiltà etica e le tecniche di caccia e così di seguito. Gli esseri umani arrivano alla fine di questo processo e da ogni animale imparano qualche cosa, formando con loro un rapporto simbiotico, fertile di grande qualità estetica: un bisogno dell’artista, ma anche una richiesta delle persone. Come diceva una donna Lobi (un popolo di modesti agricoltori del Burkina Faso) “ bere acqua da una coppa è necessario, ma farlo usando un recipiente decorato è una grande gioia”. Quindi una grande sensibilità estetica comune a creatori ed utilizzatori. Come mi ha detto un’antiquaria del Mali “una scultura è un oggetto che non ti stanchi mai di guardare”. Le sculture in mostra sono ordinate in modo da permettere un “viaggio” nella cultura africana: nascita dell’universo e ruolo degli animali e degli esseri umani (gli antenati, la procreazione, i bambini, gli adolescenti, la maturità, la malattia, la vecchiaia, la morte). Avrei avuto bisogno di mostrare tanti più oggetti per essere esauriente, ma mi sono dovuto adattare ai limiti numerici derivanti da un’esposizione effettuata in una scuola. Ogni momento, ogni scultura è un attimo poetico: mi auguro che vi commuovano. Io, dopo una frequentazione che supera i quarant’anni, sono innamorato di questa arte “che non mi stanco mai di guardare” . CATALOGO OPERE 1. BAULE’, Costa d’Avorio: Maschera BONU AMNEN. Gli spiriti della boscaglia hanno ciascuno il proprio santuario nel quale ricevono sacrifici. Come dimostrano i fori, questa maschera è stata utilizzata in molte occasioni. Si notano in essa molteplici animali: le corna nella zona superiore sono quelle dell’antilope, nell’inferiore le zanne dell’elefante; il muso è del coccodrillo, per i Baulè simbolo della fertilità femminile. Ci sono poi tre animali “nascosti” nella composizione: nella parte superiore la testa viola (colore della fertilità) le braccia/corna e le zampe/zanne sono quelle della scimmia (GBEKRE), animale simbolo della fertilità maschile. Quindi dei chiari, forti riferimenti alla sessualità che, trattandosi di animali, è un richiamo alla fertilità della terra: la maschera veniva utilizzata per riti di crescita dei prodotti agricoli. In termini occidentali la maschera è di evidente forma barocca. Dimostra un centinaio di anni. 2. KWELE, Gabon: Maschera di iniziazione nella forma di antilope. (per il commento sulle iniziazioni, vedi n.9) L’antilope è uno dei temi più ricorrenti nell’arte africana: meravigliose, ad esempio, sono le “TI-­‐
WARA” del Mali, animali rappresentati orizzontalmente o verticalmente; ma l’eleganza dell’antilope ispira molte etnie che la evocano nella oro arte. Esiste il mito (a cui ho già accennato) che l’antilope abbia insegnato agli uomini a coltivare, perché ha l’abitudine di “grattare” il terreno con gli zoccoli. Essendo questa una maschera per le iniziazioni dei giovani, i membri della società segreta hanno voluto ricordare agli adolescenti le regole che governano l’agricoltura. Ma guardiamo l’aspetto formale: si tratta di una scultura “classica” (in termini africani); definizione del vocabolario “scultura di prim’ordine, considerata modello di stile”. Si tratta infatti di un oggetto assolutamente equilibrato, con una manifesta aspirazione all’eleganza; nulla si potrebbe aggiungere o togliere senza rovinare l’armonia. Opera perfetta. E’ chiaro soprattutto il processo di trasformazione artistica: prendo come modello la testa di un’antilope e la trasfiguro in una forma assoluta, un’idea che brilla come un lampo. Ma alla fine devo ricordare le parole di un saggio Bambara: ”la scultura è fatta per ricordare un’antilope, e infatti sembra un’antilope, ma non è un’antilope, è un mistero”. Entra in scena l’essere umano Quando vengono creati gli uomini il mondo è già stato creato e ordinato dal Dio affiancato dai numi minori: le regole fondamentali sono quindi già state istruite. Tutte le etnie riconoscono la presenza delle divinità: alcune di esse, come gli Yoruba della Nigeria, conoscono un Panteon la cui complessità è paragonabile a quella dei greci e romani e gli animali conoscono le leggi fondamentali. Ma gli uomini devono istituire le loro norme. Da questo punto di vista si può dire che gli esseri umani procedono guardando costantemente al passato, tenendo conto delle regole stabilite giorno per giorno dagli antenati; d’altra parte la società è governata dagli anziani, per cui ogni decisione vine presa tenendo conto della storia del gruppo. 3. TSOGO (Gabon), sommità di un reliquiario. Questa scultura rappresenta uomo e donna come forze contrapposte ma unite in quanto complementari; simbologia molto ricorrente nell’arte africana, utilizzata da diverse etnie per ricordare la radicale diversità biologica e culturale dei due esseri, ma che è anche la condizione indispensabile per un fertile rapporto dialettico, perché alla fine, in questo modo uomo e donna si integrano e si completano. È questa la premessa ideologica che giustifica la rigida divisione dei ruoli che caratterizza la società africana tradizionale: nel campo delle attività sociali, ad esempio, l’uomo combatte, caccia, disbosca: suo è lo spazio “freddo” della foresta. La donna accudisce la prole, coltiva e trasforma i prodotti della terra: suo è lo spazio “caldo” del villaggio. In termini cosmologici l’uomo è aria e fuoco, la donna è acqua. La donna è “vuoto” (la tazza e la conchiglia, per esempio), l’uomo è un “pieno” (il naso). L’uomo è rosso e marrone, la donna è nero (la notte) e ocra (la terra). Soprattutto nel campo dell’arte i modi di espressione sono assolutamente diversi. L’uomo, che medita, realizza tutte le immagini che appartengono alla sfera del sacro, conosciute solo dai maschi, in materiali “duri”: legno, avorio, pietra e metalli; si esprime con forme plastiche essendo la scultura la sua arte per eccellenza. L’arte della donna è “pubblica” : abbellisce gli spazi comuni del villaggio e della dimora; in questo senso gioca un ruolo positivo nell’armonia sociale del gruppo. Utilizza materiali morbidi e fluidi, terra, pigmenti, acqua, fibre vegetali. Inoltre si esprime con forme lineari e geometriche, formando composizioni concatenate, nelle quali brilla il suo ingegno rigorosamente logico e razionale. Il colore di questa scultura è bianco, che è il colore della morte: le ossa degli antenati si trovano nel cestino sottostante. La composizione è arricchita da uno stupendo “ricamo” metallico, semplice e nobile. Il manufatto dimostra un’età di 80 – 100 anni. 4 DOGON (Mali): Coppia di antenati Una scultura di carattere ben diverso dalla precedente: si tratta di progenitori mitici del gruppo, rappresentati uniti. Presso i Dogon la poligamia è poco diffusa al di fuori della cerchia nobile. Essendo agricoltori, è fondamentale che la coppia si mantenga salda per meglio affrontare le vicissitudini. L'uomo abbraccia la donna; tuttavia questo gesto affettuoso lascia trasparire il rapporto gerarchico che esiste fra i due: l'uomo protegge, quindi comanda. Le mani della donna sono sul ventre materno. La scultura è ricoperta da una patina grigia (miglio impastato) tipica dei Dogon. L'oggetto ha più di 200 anni. Procreazione, maternità, bambini La sterilità è il peggior flagello che possa toccare un individuo: si interrompe l'infinita catena che ha portato alla vita tanti esseri umani. Così, è come se la lotta per esistere praticata dagli antenati, fosse stata assolutamente inutile. Tanti sono i rimedi ai quali gli africani ricorrono per evitare questa sciagura, considerata la massima disgrazia e l'arte riflette l'imperativo categorico di procreare ad esempio piccoli feticci portati dalle donne nel perizoma che rappresentano i nascituri, maschere nell aforma di luna piena e così via. 5 ASHANTI (Gana): statua per la fertilità “AKUABA” Questa scultura viene tenuta dale giovani donne sul perizoma per aumentare la loro capacità di avere bambini, che si vorrebbe che fossero intelligenti e belli; si notano infatti: − la fronte alta, simbolo in tutta l'Africa di intelligenza; − le pieghe di grasso sul collo, segno di bellezza; − i lineamenti molto delicati, grande pregio estetico. Nella parte posteriore, la decorazione a “farfalle” che, secondo alcuni studiosi, rappresenta i nascituri. 6 LOBI, Burkina Faso – Costa d'Avorio: Statua per la fertilità Questa scultura era utilizzata per chiedere figli: nella parte anteriore è rappresentata la futura madre, in quella posteriore la testa del nascituro. L'idea è molto bella: la donna “contiene in sé” il figlio; già prima della nascita è “presente” in lei, tutto il suo essere è dedicato al nascituro. Non si tratta di una rappresentazione isolata; altri popoli come gli Tsogho del Gabon e gli Ibo della Nigeria esprimono un concetto simile. Lo stile della scultura è assolutamente classico: pur essendo giovane la donna è pesante, forte; il baricentro della scultura è il ventre materno. “Leggero' invece è il figlio e dolcissima l'espressione del suo volto. Da notare la presenza di sacrifici, effettuati con miglio impastato che coprono tutta la statua. 7 VILI, repubblica Democratica del Congo: maternità “PFEMBA” Madre e figlia indossano un copricapo a chiocciola, anmale associato all'essere femminile perché vive in zone umide, dove acqua e terra si fondono (gli elementi dai quali è formata la donna). L'atteggiamento della madre è molto aggressivo: è disposta a tutto pur di difendere la piccola; a questa attitudine fa da contrappunto la balda, simpatica espressione sicura nelle braccia di tale madre. La statua dimostra una ottantina d'anni. 8 LEGA, Repubblica Democratica del Congo, Decorazione di porta con la scultura di una bambina Un adagio africano recita “ogni nascita è la rinascita di un antenato”; da cui il posto sociale attribuito ai bambini prima delle iniziazioni: il bambino viene dal mondo degli spiriti e non è ancora entrato nel mondo umano (iniziazioni). Da questo deriva l'atteggiamento simbiotico di difesa da parte della madre e quello distaccato del padre. Molto simpatica ed interessante questa scultura: evidentemente decorava una porta alla quale era fissata con chiodi; la costruzione è apparentemente elementare (ricorda una bambola) con la graziosa collana (la conchiglia è il simbolo femminile per eccellenza) ed il gonnellino di rafia. Al centro la decorazione a forma di cubo (“Esprit de geometrie”) nella zona che corrisponde al futuro ventre materno. Iniziazioni Le società tradizionali sono organizzate in società segrete, e questo termine non si riferisce all'esistenza della società, ma al sapere che trasmette. Si dice che le società segrete sono legate a “riti di passaggio” perché con questi si passa da uno stato sociale ad un altro. Il più importante è quello che segna il passaggio dallo stato di adolescenti a quello di adulti iniziati; poi un secondo livello più ristretto (ad esempio “guerrieri”) fino al vertice occupato dalle persone più anziane. La conoscenza più importante è di tipo mistico; per questo dalle iniziazioni mistiche sono escluse le donne, perché le loro iniziazioni hanno un carattere plastico (ad esempio imparare a cucinare). 9 TSOGO, gabon: maschera da iniziazione I colori bianco e rosso sono propri delle iniziazioni: infatti si muore per uno stato (bambino) e si rinasce in un altro (adulto). Questa scultura propone un modello ideale di adulto: elegante, curato (la barba appuntita) ed intelligente (la meravigliosa fronte laccata di rosso); è virile (la “cresta” che decora la testa) e sa tenere le braccia a freno. Ricordo un adagio Bambara (Mali) rivolto agli iniziati “tenete la bocca chiusa, tenete la bocca chiusa: la bocca è il nemico”. La maschera ha 80 – 100 anni. 10 PUNU, Gabon: maschera MUKUYE il periodo durante il quale i giovani sono segregati per le iniziazioni è piuttosto lungo (dai 6 mesi ai 3 anni); le prove alle quali sono sottoposti sono molto severe (“e dato che la realtà è spesso dura, pesante, spesso angosciosa, addirittura crudele, i riti di iniziazione devono essere tutto ciò”). Le madri quindi provano una grande inquietudine nel lasciare i loro figli. Per rassicurarle, i neri hanno creato queste maschere dall'espressione dolce e sorridente, la cui funzione è di consolarle. Questa maschera danza sui trampoli in occasione della partenza e del ritorno dei giovani al villaggio. Elegantissima è la coiffure che decora la testa della donna. Quanto all'espressione orientale, ho visto fotografie di inizio '900 con donne Punu che, truccate, assomigliano molto ai tratti della scultura. L'oggetto dimostra un'età di 80-­‐100 anni. Dopo l'adolescenza e prima della maturità Superate le iniziazioni i giovani si accingono ad entrare nella maturità: fase durante la quale non hanno ancora i pieni diritti, ma tuttavia sono prossimi ad avere le prerogative del potere. Particolarmente delicata è la posizione della donna; dice l'antropologo Alfred Adler “ dal momento che sono iniziate, le ragazze sono pronte per entrare nel circuito degli scambi matrimoniali che sono una prerogativa maschile. Con la dote pagata dal futuro marito la donna diventa merce di scambio preziosa”. 11 KONDE, Mozambico, Statua di giovane donna Il colore della scultura è ocra, riferimento alla terra che la giovane dovrà coltivare. Indossa un elegante copricapo. Indossa un elegante copricapo, che le conferisce una notevole grazia. I seni sono piccoli; gli occhi sono abbassati, segno di modestia ed accettazione, come è confermato dalla posizione in ginocchio. Le gambe ( come sempre accade con le donne rappresentate in questo periodo) sono leggermente divaricate per ricordare il dono della verginità. Bellissima è la decorazione a triangoli in rilievo, caratteristica tipica delle donne Konde. 12 FANG, Gabon, Statua di vergine Un mito ricorrente nell'Africa nera narra di una fanciulla morta prima di conoscere le gioie del matrimonio e della maternità; per i Dan è una forza gentile che raccoglie cibo e denaro per i ragazzi nel periodo delle iniziazioni; per altri, come appunto i Fang, è uno spirito vendicativo e crudele associato alla morte. Tremenda è la sua forza: la scultura ha una possente energia e i fedeli l'hanno cosparsa di sacrifici (quella specie di resina sul corpo della scultura). Gli oggetti del Gabon erano ben conosciuti dagli artisti del '900. Di questo parlerò diffusamente più avanti al punto 18. L'oggetto dimostra 100 anni circa. 13 BAULE', Costa d'Avorio, maschera di giovane La particolare acconciatura ci dice che l apersona rappresentata è un giovane. Avvicinandosi alla maggiore età gli è spuntato un becco/fallo di proporzioni notevoli: e dunque pronto per il matrimonio. Ma il becco/fallo ci dice anche che è mistero per prendere la parola nelle assemblee degli iniziati. Le borchie di ottone, simboli di ricchezza, sono una sorta di augurio per la sua vita a venire. Questa maschera è stata indossata in molte occasioni e dimostra circa 80-­‐100 anni. La maturità Ben poche sono le comunità nere nelle quali esiste un equilibrio “istituzionale” fra uomo e donna e ancora meno numerose sono quelle nelle quali sono gli esseri femminili a prevalere. All'interno della famiglia teoricamente l'uomo detiene lo “jus vitæ et necis” come il “pater familiæ” romano: tuttavia la società africana raramente punisce, si cerca sempre di recuperare socialmente chi compie un delitto, e certe pene sono assolutamente teoriche. L'uomo detiene poi il potere mistico e politico, che esercita tramite le società segrete. Poi il potere delle armi e la realizzazione di tutti i compiti sociali duri e faticosi. La donna è molto abile nella gestione del clan familiare: è razionale, ha una grande lucidità nel settore economico. Poi è lei a gestire i figli: è oggetto quindi di grande rispetto, come dimostrano le numerose statue che le vengono dedicate. Tuttavia nella campagna gravosissimo è il suo compito, perché a lei spetta coltivare, trasformare i prodotti della terra, e in generale, il travaglio quotidiano. Il pensiero mistico Il misticismo e il fondamento stesso del potere dell'uomo, essendo la società africana permeata di religione in ogni manifestazione della vita, da cui le numerose sculture che ritraggono l'uomo nell'atteggiamento del pensatore: immobile, in perfetto equilibrio, atarassico, immerso nel pensiero. 14 BANGWA, Camerun: statua commemorativa di re I Bangwa sono una piccola etnia del Camerun famosa per la qualità delle sculture regali: queste statue erano contenute in uno speciale edificio in stretto contatto con i crani degli antenati più ragguardevoli. Il re è rappresentato seduto: ricco di collane è il petto, mentre le braccia sono ornate di armille in avorio. La scultura era di colore rosso fuoco che traspare dalle zone in cui si è disintegrata la patina grigia del tempo. Il re è rappresentato nell'atteggiamento meditativo, con la testa appoggiata dolcemente sulla mano. Sulla nuca è scolpito un ramarro, uno degli animali primordiali legato al pensiero e all'astuzia. La scultura ha più di 100 anni. 15 IBO, Nigeria: “statua di IKEN GA” Il rituale di IKENGA celebra “l'energia della mano destra”, ovvero la forza fisica e le qualità belliche dell'individuo. Tipici sono l'aggressività del viso, il lungo coltello (macete) e la testa del nemico vinto. In questa scultura il coltello, di forma slanciata, viene ripreso dalle “ali” che ornano la testa, conferendo alla testa uno slancio verticale di grande eleganza. La statua dimostra ben più di 100 anni. 16 YORUBA, Nigeria: maschera EPA La gloria della donna! Nella parte sottostante due forze astratte a forma di coppa (probabilmente due figure opposte che si contendono il potere). Nella parte superiore, dallo stile più naturalistico, si racconta una storia del gruppo al quale la maschera appartiene. Nel caso specifico è il mito di Oya, sposa fedele di Shango, Dio del Tuono, diventato una divinità dopo la morte. Oya è rappresentata a cavallo, privilegio raro in Africa, perché il quadrupede è di per sé, un segno di potere dal quale la donna è normalmente esclusa. Nella mano destra la divinità tiene in mano una bandiera, simbolo di comando regale; nella mano destra un gallo, simbolo del sacrificio. Le redini del cavallo sono tenute da un “ilari”, servo del dio e messaggero. Il quadro è completato dai “Laba” servitori con svariati compiti. È il trionfo dell'essere femminile nel pieno del suo potere. Probabilmente si conosce l'artista che ha scolpito l'oggetto, Bamgboye, della regione di nord-­‐est (Odo-­‐owa) dell'etnia. Si tratta di una scultura che dimostra 80-­‐100 anni. I feticci o il maleficio Ho già spiegato nella premessa la funzione dei feticci: rivolti alla difesa o all'offesa, sono un momento inquietante della cultura africana, perché smuovono in noi dei sentimenti non controllabili, perché comunque ci colpiscono, ci fanno paura, per il mistero del quale sono intrisi. In Africa nera il corpo è concepito come un'espressione dell'ordine e dell'armonia che devono sempre accompagnare la vita. La malattia spezza l'armonia, è una sorta di maledizione gestita, canalizzata dai fȇticheurs. Così, se la natura della malattia è “magica”, magica dovrà essere anche la cura. Così alcune popolazioni scolpiscono statue e maschere per esorcizzare i fȇticheurs. 17 YOMBE, gabon-­‐Congo, maschera feticcio “Umano, troppo umano”. Straordinaria la forza di questa scultura: talmente realista da farci trovare assolutamente indifesi; da una parte la “nobiltà” propria dell'arte romana, dall'altra un'inquietudine senza fine come si prova “guardando l'abisso del Mæstrom”(Poe). Nella parte superiore i chiodi, usati per difendersi o per offendere; poi lo specchio utilizzato per “trattenere” l'immagine di chi si avvicina. Lo sguardo è terribile. Il marrone/rossiccio è colore tipicamente maschile: su tutto il corpo ci sono grumi di colore. Ai lati una raffinatissima decorazione in fibre vegetali. È importante notare che nella zona sotto il mento è stato fatto un buco: la maschera era quindi esposta in determinate occasioni. La scultura dimostra un centinaio di anni. 18 PENDE, Repubblica Democratica del Congo, maschera della deformità' Le deformazioni, le amputazioni, lo stravolgimento delle parti del corpo, derivanti dalla lebbra o dalla poliomielite sono per i neri espressioni evidenti dell'opera negativa dei fȇticheurs. Il viso è stravolto: ma bisogna dire che la forma di questa maschera, a quarto di luna, è tipica della tipologia. Si vuole forse suggerire un legame fra la malattia e questa fase lunare? La maschera ci ricorda singolarmente la maschera dell'ultima figura a destra nelle “Damoiselles d'Avignon” di Picasso. Su 20 oggetti (scelti per logica, non per forma) questa è la seconda scultura che ci ricorda l'arte moderna. Quindi l'arte africana spazia in un'infinita di forme e solo occasionalmente ci ricorda quel periodo della nostra arte. Sulla base della somiglianza della forma è facile dire “mi ricorda un Brancusi, sembra un Picasso”: è l'approccio più errato (e ci siamo passati tutti, però!). L'opera d'arte che proviene da un'altra cultura va esaminata in sé, sulla base dei presupposti logici e culturali che hanno dato vita all'opera. In particolare le sculture africane vogliono dare una sede corporea alle energie invisibili: partono quindi dal mondo della trasformazione, creando una forma con effimeri legami con la realtà, mentre l'arte occidentale parte generalmente dall'imitazione della natura. Le sculture africane sono parte di una coreografia teatrale, con musica e danza, sono poi oggetto di manipolazione e carezze; quelle occidentali sono concepite per essere ammirate staticamente in musei o case. In conclusione sono d'accordo con Picasso quando dice “le statuette africane che mi trascino dappertutto sono testimoni piuttosto che esempi formali”. La vecchiaia L'esame delle sculture che rappresentano la tarda età inducono a credere che per gli africani col trascorrere del tempo, si accentuano gli aspetti positivi e negativi del carattere dei singoli individui. L'uomo, maturato attraverso l'ascesi mistica, gioca un ruolo positivo anche nella vecchiaia, ed è un fatto importante, perché è al vertice delle società segrete. Ben diverso il ruolo delle donne: per esempio, nella società Gelede (Yoruba, Nigeria), l'anziana prende la forma di un rapace e, in queste spoglie, porta grandi danni alla comunità; così, spesso, la sua espressine è ghignante e si capisce che l'essere rappresentato è cattivo; non più madre né coltivatrice, diventa “vecchia strega” (come diciamo noi!). 19 MBETE, Gabon, Maschera per riti di fertilità “Durante l'iniziazione gli anziani conducono i giovani verso una conoscenza più profonda dell'intimità, della sessualità e dei rituali. Così, essendo ancora vulnerabili, non si avventurano alla cieca nel territorio sconosciuto che è la vita adulta” (Föllmi, Origini). I colori di questa maschera sono il nero (femminile) e il rosso (maschile): quindi veniva utilizzata per riti legat ala fertilità. Come ci dice però chiaramente la sua espressione, il ruolo della maschera era negativo, come conferma la bocca bianca. Lo stile della scultura a me ricorda lo stile delle maschere dell'arte romana. Si tratta di un oggetto antico, che ha oltre 100 anni. 20 FANG MABEA, Gabon, feticcio per la fertilità maschile L'uomo anziano confeziona e distribuisce pozioni magiche utilizzate per accrescere la fertilità maschile. Il corno, in Africa simbolo fallico per eccellenza, termina con un ricciolo, forse per ricordare il problema del postulante (problemi legati alla sessualità). Gli incavi, a forma di mandorla degli occhi, creano una sorta di maschera; altri due incavi si trovano in corrispondenza delle spalle e hanno una forma simile: potrebbero simboleggiare il sesso femminile. Vicino al fallo, intorno agli occhi, sulle mani, lungo la schiena la statua è decorata con materiale rossiccio, simbolo di fertilità maschile; è interessante notare che los tesso materiale è stato posto nei buchi fatti dalle termiti: questo indica che si trattava di un'opera molto preziosa utilizzata anche dopo il danneggiamento (cosa assai rara). Tutto è vivo in questa scultura dalle linee moto mosse, tutto è simpatico e palpitante. Mentre la donna (terra ed acqua) è “pesante”, l'uomo (aria e fuoco) è leggero: interamente sua è la “vis comica”, suo è il sorriso.