Disciplina del rapporto di lavoro dei lavoratori disabili

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Disciplina del rapporto di lavoro dei lavoratori disabili
COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO
Disciplina
del rapporto di lavoro
dei lavoratori disabili
Assunzione Ai lavoratori avviati mediante il cd. collocamento obbligatorio vanno appli­
cate le norme valide per la generalità dei lavoratori, quindi dovrà essere fatta
la comunicazione di assunzione telematica entro il giorno antecedente
l’instaurazione del rapporto di lavoro utilizzando il modello UNILAV.
Tipologie contrattuali L’assunzione dei lavoratori iscritti nelle categorie protette può avvenire con
qualsiasi tipologia contrattuale, compreso il contratto a tempo determinato. A tal proposito, il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro
ha avanzato istanza di interpello e il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, con la risposta all’interpello n. 66 del 31.7.2009, ha confermato che la
procedura del collocamento mirato risponde all’esigenza di garantire l’inseri­
mento dei disabili in ambienti di lavoro che siano il più possibile conformi
alle loro capacità lavorative, favorendo al contempo azioni positive e soluzione
di problemi connessi alle relazioni interpersonali che si instaurano sui luoghi
di lavoro. Per il Ministero ciò che rileva è il raggiungimento dell’obiettivo
dell’inserimento lavorativo di tali soggetti, non risultando invece menzionata
espressamente quale tipologia contrattuale debba obbligatoriamente essere
scelta per perseguirlo. Inoltre, l’art. 7, comma 1, della norma ­ concernente il
duplice strumento utilizzabile per l’assunzione del disabile, consistente da un
lato nella richiesta di avviamento ai Servizi competenti, dall’altro nella
stipulazione di convenzioni ex art. 11 legge n. 68/1999 ­ non contempla
divieti o prescrizioni rispetto all’utilizzo di determinate fattispecie contrat­
tuali. Come la stessa Direzione generale per l’attività ispettiva ricorda, anche
la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11440 del 26 ottobre 1991 ha ritenuto
«non incompatibile con il sistema del collocamento obbligatorio (…) l’appo­
sizione del termine di durata al contratto di lavoro stipulato con soggetto
appartenente alle categorie protette, avviati al lavoro nel sistema del colloca­
mento obbligatorio previsto da detta legge, che non intende garantire (…)
unicamente la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato».
Sempre la Suprema Corte, con sentenza n. 14823 del 22 novembre 2001,
emessa in relazione ad una controversia avente per oggetto la stipulazione di
un contratto di lavoro part time per l’assunzione di lavoratori disabili, ha
ritenuto compatibile con il sistema del collocamento obbligatorio sia il
contratto a tempo parziale, che il contratto a termine e di formazione e lavoro.
Ciò a condizione che tali contratti siano riconducibili alla libera volontà del
lavoratore e siano stipulati nel rispetto dei requisiti di legge.
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Per concludere, l’art 11 della legge, concernente le convenzioni di integra­
zione lavorativa, fa testuale riferimento al contratto a termine, quale tipolo­
gia contrattuale fruibile dalle aziende per l’assunzione delle categorie protet­
te pertanto, il Ministero del lavoro ha ammesso l’assunzione di un lavoratore
disabile, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato ai sensi e
nel rispetto del Dlgs n. 368/2001.
Tuttavia, poiché allora non erano computabili tra i dipendenti i lavoratori a
termine con contratto inferiore a 9 mesi, l’interpello n. 66/2009 concluse
che, quindi, non erano computabili nella quota di riserva i lavoratori occupa­
ti con contratto a tempo determinato di durata non superiore a 9 mesi, e,
dunque, per quanto riguarda la copertura della quota di riserva, l’assunzione
con contratto a tempo determinato poteva non consentire l’adempimento
degli obblighi occupazionali, laddove la durata dello stesso contratto fosse
stato inferiore a 9 mesi.
Importante
­ L’assunzione dei lavoratori iscritti nelle categorie protette può avvenire con
qualsiasi tipologia contrattuale, compreso il contratto a tempo determinato;
­ anche per la Corte di Cassazione sono compatibili con il sistema del collocamento
obbligatorio i contratti a tempo parziale, i contratti a termine e quelli di formazione e lavoro.
Ai sensi dell’art 54, comma 1, lett. f), Dlgs n. 276/2003, fra i soggetti che
possono essere assunti con contratto di inserimento ­ che si rammenta è un
contratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di
adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato
contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del
lavoro alcune categorie di lavoratori ­ vi sono le «persone riconosciute affette,
ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o
psichico».
A tal proposito, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha chiarito,
con la risposta all’interpello n. 17/2008, che per interpretare la suddetta
disposizione occorre considerare il regolamento Ce n. 2204 del 12.12.2002,
il quale, in materia di aiuti di Stato a favore dell’occupazione, definisce
lavoratore disabile «qualsiasi persona riconosciuta disabile ai sensi della
legislazione nazionale o qualsiasi persona affetta da un grave handicap
mentale o psichico».
Stante quanto sopra, il Ministero ha ritenuto che il referente normativo cui
occorre guardare per individuare i soggetti con i quali è possibile stipulare il
contratto d’inserimento è rappresentato dall’art. 1 della legge n. 68/1999,
ossia «le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche o sensoriali e
ai portatori di handicap intellettivo che comportino una riduzione della
capacità lavorativa superiore al 45%» accertata dalle apposite commissioni
mediche istituite presso le Unità sanitarie locali.
Contratto di inserimento
La legge n. 92/2012 ha abrogato gli articoli dal 54 al 59 del Dlgs n. 276/2003,
relativi al contratto di inserimento, ma nei confronti delle assunzioni effettuate
fino al 31.12.2012 continuano ad applicarsi le disposizioni abrogate nella
formulazione vigente anteriormente all’entrata in vigore della Riforma del
mercato del lavoro.
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Interruzione della Come già chiarito in altra occasione, è possibile computare nella quota di
procedura di avviamento riserva anche i disabili assunti al di fuori delle procedure di collocamento
obbligatorio ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità civile non inferiore al
60% o un’invalidità derivante da infortunio sul lavoro o malattia professionale
superiore al 33% e l’inabilità a svolgere le mansioni precedentemente assegna­
te. Inoltre il Ministero del lavoro, nella risposta all’interpello n. 40/2008, ha
precisato che la computabilità dei lavoratori in possesso della certificazione
attestante i suddetti gradi di invalidità non è subordinata alla preventiva
iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio dei disabili, né alla
stipula di una convenzione con i Servizi competenti, ma deve essere semplice­
mente comunicata ai citati Servizi competenti. In merito, lo stesso Ministero
ha altresì chiarito che, qualora il dipendente abbia ottenuto la necessaria
certificazione in costanza di rapporto di lavoro, non può considerarsi imputa­
bile al datore di lavoro la scopertura venutasi a determinare nel lasso di tempo
intercorso fra la richiesta di verifica dello stato invalidante ed il successivo
accertamento sanitario. «Di conseguenza, qualora siano già in corso delle
procedure di avviamento obbligatorio da parte dei Servizi competenti, queste
saranno sospese in attesa dell’esito dell’accertamento sanitario. Detta sospen­
sione, evidentemente, sarà solo parziale se il numero dei lavoratori per i quali
venga richiesta la visita di controllo risulti inferiore a quello degli avviamenti
in corso. In caso di accertamento negativo circa la sussistenza del grado di
invalidità utile ai fini del computo del lavoratore nella quota di riserva,
tuttavia, anche al fine di evitare possibili manovre dilatorie, potrà valutarsi
l’imputabilità al datore di lavoro della scopertura venutasi a determinare nel
lasso di tempo intercorso fra la sospensione delle procedure di avviamento e
l’accertamento medico. Ciò, in particolare, quando non sia stata effettivamen­
te riscontrata alcuna invalidità ovvero sia stata riscontrata una percentuale di
invalidità notevolmente e quindi prevedibilmente inferiore alla soglia utile ai
fini del collocamento obbligatorio. In simili ipotesi, i Servizi competenti ne
daranno notizia alla Direzione provinciale del lavoro, per le valutazioni di
competenza sull’eventuale imputabilità al datore di lavoro dell’infruttuosa
sospensione delle procedure di avviamento e sull’irrogazione delle conseguen­
ti sanzioni amministrative. Resta salva, evidentemente, la possibilità di con­
cordare con i servizi competenti una dilazione dell’obbligo, nell’ambito delle
convenzioni previste dall’art. 11 della legge n. 68/1999».
­ La computabilità dei lavoratori assunti al di fuori delle procedure per il cd.
collocamento obbligatorio ed in possesso della certificazione attestante un’invalidi­
tà civile non inferiore al 60% o un’invalidità derivante da infortunio sul lavoro o
malattia professionale superiore al 33% e l’inabilità a svolgere le mansioni prece­
dentemente assegnate, va semplicemente comunicata ai servizi competenti.
­ Se il dipendente ottiene la necessaria certificazione in costanza di rapporto di lavoro, non può
considerarsi imputabile al datore di lavoro la scopertura venutasi a determinare nel lasso di
tempo intercorso fra la richiesta di verifica dello stato invalidante ed il successivo accertamento
sanitario.
Periodo di prova Al contratto di lavoro del disabile è legittimo apporre un periodo di prova,
così come confermato dalla Corte costituzionale, sentenza n. 255 del
18.5.1989 (anche se a proposito della legge n. 482/1968), ma, in questo caso
l’esperimento deve riguardare mansioni compatibili con lo stato di invali­
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dità o di minorazione fisica del lavoratore e l’esito della prova non deve essere
assolutamente influenzato da considerazioni di minor rendimento dovute
all’infermità o alle minorazioni.
Giurisprudenza
Corte costituzionale, sentenza n. 255 del 18.5.1989
(…)
Si rileva, quindi, che, per gli invalidi civili e assimilati, il rapporto di lavoro ha il suo titolo costitutivo non già nell’atto di avviamento al lavoro
dell’autorità amministrativa ma nell’atto negoziale in cui si concreta l’assunzione la quale, pur essendo vincolata all’esterno per il profilo del
previsto obbligo a contrarre, è compiuta nell’ambito dell’autonomia privata mediante un atto di volontà delle parti, cioè mediante un
contratto. La sua stipulazione è resa necessaria anche dal fatto che la richiesta all’autorità amministrativa è numerica e non contiene alcuna
specificazione, onde tutte le modalità relative allo svolgimento del rapporto (orario, mansioni, qualifica ecc.) devono essere stabilite
successivamente con un atto bilaterale.
La stessa legge non contiene alcuna prescrizione particolare e specifica in ordine al contenuto del rapporto.
Occorre, peraltro, salvaguardare l’autonomia delle parti e l’iniziativa dell’imprenditore, sia pure nei limiti fissati dall’art. 41 della Costituzione.
Questa Corte ha già esaminato (ordinanza n. 872/1988) la questione della legittimità costituzionale delle stesse norme come interpretate dalla
Corte di Cassazione ed ora di nuovo denunciate, e ne ha dichiarato la manifesta infondatezza.
Non sussiste alcun impedimento che vieta la previsione o per contratto collettivo o per patto intervenuto tra le parti, da includersi nel
contratto, del patto di prova, da stipularsi per atto scritto, ex art. 2096 c.c.
Il lavoratore può rifiutarsi di sottoporsi alla prova adducendo un giusto o giustificato motivo. Il rifiuto è soggetto al sindacato del giudice. Se
esso risulta ingiustificato, il datore di lavoro è liberato dall’obbligo della stipulazione; in caso contrario (sussistenza del giusto o giustificato
motivo) il datore di lavoro deve egualmente stipulare il contratto di lavoro.
Inoltre, l’esperimento deve riguardare mansioni compatibili con lo stato di invalidità o di minorazione fisica del lavoratore e l’esito della prova
non deve essere assolutamente influenzato da considerazioni di minor rendimento dovute alla infermità o alle minorazioni. Infine, il recesso
del datore di lavoro deve avere una adeguata motivazione.
In caso di controversia, la corretta conduzione e il corretto espletamento della prova sono soggetti al sindacato del giudice al quale potrà
rivolgersi il lavoratore che ritiene leso il proprio diritto.
(…)
D’altra parte la Corte di Cassazione, sezioni unite, nella sentenza n. 1104
dell’1.3.1989, ha affermato che l’esperimento del periodo di prova va effet­
tuato con mansioni confacenti con le menomazioni dell’invalido e con la sua
residua capacità lavorativa. In caso contrario, il recesso datoriale, fondato
sull’esito negativo della prova, è nullo ed il dipendente può chiedere la
reintegrazione nel posto di lavoro.
Al contrario, sarà quindi valido il recesso datoriale qualora lo stesso sia adegua­
tamente motivato e risulti svincolato da valutazioni relative alla minorazione
dell’invalido (Corte di Cassazione, sentenza n. 6810/1992). La durata del
periodo di prova è determinata dalla contrattazione collettiva, fatta salva la
possibilità di ampliarne la durata, a seguito di stipula di una convenzione.
­ È legittimo apporre un periodo di prova al contratto di lavoro del disabile da
assumere ai sensi della legge n. 68/1999, ma la prova deve riguardare mansioni
compatibili con lo stato di invalidità e di minorazione fisica del lavoratore e l’esito
della stessa non deve essere influenzato da considerazioni di minor rendimento
dovute all’infermità o alle minorazioni;
­ l’esperimento del periodo di prova va effettuato con mansioni confacenti con le menomazioni
dell’invalido e con la sua residua capacità lavorativa; se così non fosse, il recesso datoriale per
mancato superamento del periodo di prova, sarebbe nullo ed il lavoratore potrebbe chiedere la
reintegrazione nel posto di lavoro;
­ è valido il recesso datoriale adeguatamente motivato e svincolato da valutazioni relative alla
minorazione dell’invalido;
­ la durata del periodo di prova è determinata dalla contrattazione collettiva, ma, a seguito di
stipula di convenzione, è possibile ampliarne la durata.
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Trattamento economico Ai lavoratori assunti ai sensi della legge n. 68/1999, si applica il trattamento
e normativo economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi (art. 10,
comma 1, legge n. 68/1999); inoltre, ai sensi del comma 2, art. 10, della
legge n. 68/1999, il datore di lavoro non può chiedere al disabile una
prestazione non compatibile con le sue minorazioni.
Aggravamento Come stabilito dall’art. 10, comma 3, legge n. 68/1999, in caso di aggravamen­
della salute del disabile to delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del
lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle
mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute.
Anche il datore di lavoro, nelle medesime ipotesi può chiedere che vengano
accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue
minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda.
L’organo competente a svolgere i necessari accertamenti sono le Commissioni
mediche preposte, presso le Ausl, integrate da un operatore sociale e da un
esperto della patologia da esaminare, così come chiarito dal Ministero del
lavoro, nella risposta all’interpello n. 31/2008.
Qualora si riscontri una condizione di aggravamento che sia incompatibile con
la prosecuzione dell’attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con
riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto
alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompati­
bilità persista.
Per espressa previsione del legislatore, la richiesta di accertamento e il periodo
necessario per il suo compimento non costituiscono causa di sospensione del
rapporto di lavoro ma lo stesso può essere risolto nel caso in cui, anche attuando i
possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la suddetta commissione
accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda.
Normativa
Legge n. 68/1999 - Art. 10, comma 2
Il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni.
Mansioni cui assegnare Come espressamente previsto dalla legge n. 68/1999, il lavoratore disabile deve
il disabile essere assegnato a mansioni compatibili con le sue mansioni ed il datore di
lavoro non può chiedergli una prestazione non compatibile con le sue residue
capacità lavorative. Questo comporta di fatto una limitazione dello ius variandi
datoriale e il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di essere adibito ad alcune
mansioni che ritiene incompatibili con il suo handicap senza incorrere in
sanzioni. Se però intervengono variazioni dell’organizzazione aziendale ­
proprio come avviene nel caso di aggravamento dello stato di salute del disabile
­ ai sensi dell’art. 10, comma 3, legge n. 68/1999, il disabile può chiedere che
venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato
di salute.
Anche il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di
salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa
continuare ad essere utilizzato presso l’azienda, dopo la riorganizzazione
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aziendale. Come già chiarito a proposito dell’aggravamento dello stato di
salute del disabile, la richiesta di accertamento e il periodo necessario per il
suo compimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro
ma il lavoratore può essere licenziato nel caso in cui la commissione compe­
tente accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno
dell’azienda. Tuttavia, per giurisprudenza, sia nel caso di aggravamento dello
stato di salute che di riorganizzazione aziendale, occorre verificare se il
disabile possa essere adibito ad una diversa attività equivalente alle mansioni
già assegnate o anche a mansioni inferiori, attribuendo al datore di lavoro il
cd. onere di repechage (Cassazione, sent. n. 7755 del 7.8.1998).
Normativa
Corte di cassazione, sentenza n. 7755 del 7.8.1998
(…)
Tutto ciò sta a significare che l’assegnazione del lavoratore, divenuto fisicamente inidoneo all’attuale attività, ad attività diverse e riconducibili
alla stessa mansione, o ad altra mansione equivalente, o anche a mansione inferiore, può essere rifiutata legittimamente dall’imprenditore se
comporti aggravi organizzativi e in particolare il trasferimento di singoli colleghi dell’invalido.
In conclusione, rilevata la permanente e parziale infermità del lavoratore, il datore soddisferà l’onere, impostogli dall’art. 5, legge n. 604/1966,
di provare il giustificato motivo di licenziamento, dimostrando che nell’ambito del personale in servizio e delle mansioni già assegnate ­
eventualmente comprendendovi i riservatari di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482 ­ un conveniente impiego dell’infermo non è possibile o
comunque compatibile col buon andamento dell’impresa. Al lavoratore rimarrà l’eventuale onere di contrastare la detta prova, indicando a
sua volta specificamente le mansioni esercitabili e provando la sua idoneità ad esse.
(…)
Il lavoratore disabile grave di cui alla legge n. 104/1992, ai sensi del comma 6 Trasferimento
dell’art. 33 della medesima legge, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di del disabile
lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito in altra sede,
senza il suo consenso. Mentre il diritto a scegliere la sede di lavoro è un diritto
potestativo («ove possibile») il diritto a non essere trasferito è un diritto assoluto.
La limitazione al trasferimento, tuttavia, è solo relativa ad altra sede e non
all’interno della stessa unità operativa per cui, il datore può spostare il
lavoratore all’interno della stessa sede, salvo il diritto del disabile di dimo­
strare che il trasferimento interno sia discriminatorio.
Al contrario, la prova della legittimità e giustificatezza del trasferimento
presso altra sede, senza il consenso del lavoratore, grava sul datore di lavoro.
Importante
Il diritto del «disabile grave» a non essere trasferito in altra sede senza il suo previo
consenso è un diritto assoluto.
È invece legittimo lo spostamento dello stesso nella stessa unità operativa purché
non legato a motivazioni discriminanti.
Ai sensi dell’art. 7, comma 1, legge n. 68/1999, i datori di lavoro, pubblici e Licenziamento
privati, sono tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei del disabile
soggetti che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisi­
to, per infortunio sul lavoro o malattia professionale, eventuali disabilità. L’art.
4, comma 4, della medesima legge, a proposito dei lavoratori divenuti inabili
allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malat­
tia, specifica che per gli stessi l’infortunio o la malattia non costituiscono
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giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui gli stessi possano essere
adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori. Tutta­
via in caso di destinazione a mansioni inferiori i disabili mantengono il diritto
alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni
di provenienza ma, se non è possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o
inferiori, i lavoratori in questione vengono avviati, dagli uffici competenti
presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative,
senza inserimento nella graduatoria. Benché le due norme sembrino in contra­
sto, si ritiene che la seconda sia una specificazione della prima, ed a sostegno di
questa interpretazione, la dottrina richiama la direttiva 2000/78/Ce sul divieto
di discriminazione la quale, all’art. 5 prevede soluzioni ragionevoli per garantire
il rispetto del principio di parità di trattamento dei disabili.
Normativa
Dir. 2000/78/Ce - Art. 5 - Soluzioni ragionevoli per i disabili
Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di
lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un
lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte
del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo
sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili.
D’altra parte, il considerando n. 17 della citata direttiva afferma che la stessa
non prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento dell’occupazio­
ne né prevede la formazione di un individuo non competente, non capace o
non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione,
fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili.
In materia, la Cassazione ritiene che solo qualora il datore riesca a dimostrare
l’obiettiva impossibilità di reperire mansioni confacenti con la disabilità
sopravvenuta o il rifiuto del lavoratore di svolgere mansioni inferiori, sussista
un giustificato motivo di licenziamento (Cass. n. 5112/2007). Quindi, il
licenziamento intimato al disabile per giustificato motivo soggettivo, a
seguito di impossibilità di adibirlo ad altre mansioni per la riorganizzazione
aziendale, sarà lecito se il datore riesca a dimostrare l’obiettiva impossibilità
di reperire mansioni confacenti con la disabilità o il rifiuto del lavoratore di
svolgere mansioni inferiori o equivalenti. In caso di crisi, ristrutturazione
aziendale, licenziamento collettivo per riduzione del personale e simili, è
possibile licenziare un disabile per giustificato motivo oggettivo (Cass. n.
15049/2009) ma il licenziamento è annullabile se al momento della risolu­
zione del rapporto di lavoro risulta non rispettata la quota d’obbligo.
Normativa
Legge n. 68/1999 - Art. 10, comma 4
Il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo
oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il
numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all’articolo 3 della presente legge.
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