La rassegna di oggi

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La rassegna di oggi
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 2 marzo 2017
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Bye bye Trump, Jacuzzi delocalizza in Friuli (M. Veneto, 2 articoli)
Il mattone in ripresa: la ristrutturazione affare da 50 miliardi (Piccolo)
Bilanci, gli enti locali chiedono più tempo (M. Veneto)
Uti Carnia al Tar contro l’addio di Paularo (M. Veneto)
Deputati e big di palazzo tra gli sponsor di Orlando (Piccolo, 3 articoli)
Travanut lascia il Pd per il Misto: «Non metterò in crisi i colleghi» (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 6)
Spettro cassa integrazione alla Sertubi (Piccolo Trieste)
La crescita inarrestabile dei nuovi poveri (Piccolo Trieste)
Consumi, freno tirato su abbigliamento e spesa (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Reddito di sostegno, non arrivano i soldi (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Protesta dei poliziotti Silp-Cgil davanti alla questura (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Senza 3 milioni crac delle Terme romane (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Manutentori forestali, sindacati contro la Regione (M. Veneto Udine)
Dalla Net disdetta a Daneco. Bioman gestirà San Giorgio (M. Veneto Udine, 2 articoli)
Indennità, parola al prefetto (M. Veneto Udine)
«Troppi 39 richiedenti asilo»: Tolmezzo contro il piano (M. Veneto Udine)
Electrolux, vertice al Ministero (M. Veneto Pordenone)
Scuola, festa della donna con sciopero (M. Veneto Pordenone)
Appalto ex Monti, attesa sulle verifiche (Gazzettino Pordenone)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Bye bye Trump, Jacuzzi delocalizza in Friuli (M. Veneto)
di Elena Del Giudice - Trump vuole tutte le aziende Usa negli States e Jacuzzi torna in Friuli, in
barba a Trump. E’ di ieri l’annuncio che la multinazionale fondata negli Usa dai fratelli Jacuzzi,
emigrati nel secolo scorso da Casarsa della Delizia e stabilitisi in California, ha deciso di trasferire
nello stabilimento italiano di Valvasone-Arzene parte della produzione che oggi realizza negli Stati
Uniti. Si tratta di alcuni modelli di mini-piscine idromassaggio da esterno (meglio note come Spa).
Una mossa, quella del trasferimento di produzioni dagli Usa all’Italia, che rappresenta anche un
«brutto colpo» per la politica “America First” del presidente Trump che sta creando qualche
problema di strategie alle aziende. Uno schiaffo, quello di Jacuzzi, che ha avuto un avvio con
l’apertura del suo quartier generale europeo “marketing, sales and contract” a Milano. Ora il brand
sposta pure la manifattura di alcune delle vasche più famose del mondo in Friuli. Una decisione che
«integra e supporta l’apertura avvenuta da pochi mesi dell’Headquarter Europeo Jacuzzi Emea a
Milano». «Ma lo sgambetto (che non pare manifestamente ostile) alle politiche di Trump arriva
dalla localizzazione della produzione delle spa in prossimità dei principali Paesi potenziali
acquirenti: Gran Bretagna, Francia, Germania, Svizzera, Paesi Scandinavi, Russia e Italia». La
scelta dell’Italia sta poi nel fatto che in nostro Paese «grazie «all’alta vocazione manifatturiera e
agli standard qualitativi elevati» è il luogo più adatto visto che combina grandi vantaggi logisticodistributivi, dovuti alla collocazione geografica alla presenza di un polo produttivo già avviato e che
verrà rafforzato. Dunque dopo l’apertura avvenuta del quartier generale europeo marketing a
Milano, anche questa decisione rientra nella strategia dell’azienda di potenziare la propria presenza
in Europa e Asia nel mercato delle Spa. L’obiettivo a breve è quello di superare la quota di mercato
per questo segmento di prodotto del 20 per cento entro i prossimi tre anni, e questo anche grazie a
nuovi investimenti in ricerca e sviluppo che dovrebbero attestarsi attorno al milione di euro. La
scelta di incrementare i volumi dello stabilimento pordenonese ha evidentemente più di una
motivazione. Innanzitutto quella di Valvasone-Arzene è l’unica fabbrica Jacuzzi in Italia, avviata
negli anni 70 dai fondatori dell’azienda, i fratelli Jacuzzi, che avevano voluto in questo modo
rendere omaggio alla propria terra d’origine creando una filiale dell’azienda - all’epoca familiare,
oggi controllata da Apollo Management Fund - che generasse opportunità di lavoro. Un’altra
ragione sta nel riportare a regime uno stabilimento che, al pari di altri e di quasi tutti i settori, ha
risentito della crisi economica. Tanto che i livelli occupazionali si sono sensibilmente ridotti nel
corso degli anni, attestandosi su poco più di 150 addetti. E sebbene il settore dell’edilizia - a cui
quello sanitario e del benessere è collegato - registri qualche segnale di ripresa, la saturazione degli
impianti a Valvasone-Arzene non è ancora stata raggiunta, tanto che l’azienda ha fatto ricorso ai
contratti di solidarietà. Il segmento di mercato che, invece, presenta segnali di maggiore dinamismo,
è quello legato allo sviluppo del turismo del wellness. «Nei prossimi 3 anni Jacuzzi otterrà un
incremento del 50 per cento per volumi produttivi e di affari nel mercato delle Spa, questo anche
grazie allo sviluppo del settore contract: il nostro obiettivo è quello di accrescere la nostra quota per
l’area Europa al di sopra del 20 per cento», ha dichiarato a questo proposito Fabio Felisi, presidente
e general manager Jacuzzi per l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) e Asia. «Questo
ambizioso obiettivo sarà raggiungibile generando vantaggio competitivo attraverso la creazione di
prodotti premium: sono previsti - ha spiegato ancora Felisi - investimenti per oltre 1 milione di euro
nel settore ricerca e sviluppo che permetteranno di sfruttare al meglio le eccellenze operative del
gruppo e di ottimizzare i sistemi produttivi e la distribuzione a livello globale, in un’ottica di lean
production e industria 4.0».
Bolzonello: «Siamo attrattivi per infrastrutture, finanza e ricerca»
testo non disponibile
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Il mattone in ripresa: la ristrutturazione affare da 50 miliardi (Piccolo)
Il mercato del mattone prosegue a navigare a vele spiegate nell’economia italiana. Nel 2016, per il
terzo anno consecutivo, il settore immobiliare ha fatto registrare una crescita a doppia cifra
(+18,4%), superando il milione di compravendite di immobili. Il 5% del patrimonio residenziale del
Belpaese, inoltre, è da ristrutturare perchè totalmente inagibile, un affare che potenzialmente
riuscirebbe a smuovere 50 miliardi di euro di investimenti. Sul fronte delle compravendite, secondo
l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, emerge che il mattone ha
ottenuto un risultato che non veniva raggiunto dal 2011. L’incremento più alto ha interessato il
settore produttivo (+22,1%), seguito dalle pertinenze (+19,2%), dal residenziale (+18,9%), dal
commerciale (+16,6%) e dal terziario (+12,5%). Tra le grandi città il mercato delle abitazioni è
stato particolarmente vivace a Torino, che incrementa le compravendite del 26,4% rispetto al 2015,
a Bologna (+23,7%), Genova (+22,9%) e Milano (+21,9%). Si guarda sempre con maggiore
interesse al recupero degli immobili residenziali esistenti. In Italia i due terzi del patrimonio è stato
costruito nel secolo scorso e la metà prima della seconda guerra mondiale. Il 5% dello stock totale
(2.450 metri quadri), secondo un rapporto realizzato da Scenari Immobiliari in collaborazione con
Paspartu Italy, è da ristrutturare perchè inagibile. L’anno scorso nel quadro delle compravendite le
case da ristrutturare hanno rappresentato la fetta più consistente con 95 mila abitazioni acquistate
(18,6%). Il nuovo ha rappresentato il 15,7% delle transazioni, mentre per gli appartamenti già
ristrutturati ci sono state 335 mila acquisti. La città di Roma, con un incremento del 20,6%, è in
testa alla top ten dei capoluoghi italiani per il plusvalore che si ottiene dopo la ristrutturazione degli
immobili. Dopo la capitale si collocano Venezia (19,7%), Firenze (18,9%), Napoli (17,8%), Bari
(17,3%), Milano (17,1%), Bologna (16%), Brescia (15,4%), Catania (15,1%) e Genova (11,7%). Il
guadagno medio in euro a Roma si attesta a 71 mila euro mentre a Milano è pari a 44 mila euro.
Anche il mercato immobiliare in Friuli Venezia Giulia mostra segnali di riprese, secondo
l’Osservatorio di Casa.it relativo ai primi due mesi del 2017, in cui rispetto allo stesso periodo dello
scorso anno la domanda di abitazioni è cresciuta del +5,7%, mentre i prezzi confermano il processo
di stabilizzazione (+0,6%) già evidenziato nei mesi scorsi, con un valore medio di 1.460 euro/mq. Il
budget a disposizione delle famiglie per l’acquisto è di circa 116.800 euro. Per quanto riguarda i
prezzi degli immobili in offerta sul mercato, tra le città della regione registrano segno positivo
Pordenone (+1,3%) e Udine (+1,1%). Prezzi in leggero calo a Gorizia (-0,7%) mentre restano stabili
a Trieste. Il capoluogo giuliano (2.100 euro/mq) e Udine (1.920 euro/mq) sono le città più care,
mentre Gorizia (1.390 euro/mq) e Pordenone (1.520 euro/mq) le più economiche. Sempre nei primi
due mesi la domanda è cresciuta in tutte le città della regione (+5,7%), seppure con valori variabili.
La più dinamica risulta Trieste (+6,2%). Seguono Udine (+4,9%), Gorizia (+4,6%) e Pordenone
(+3,5%).
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Bilanci, gli enti locali chiedono più tempo (M. Veneto)
I bilanci di previsione vanno approvati entro il 31 marzo ma i Comuni attendono ancora di
conoscere con esattezza la quota del riparto relativo ai trasferimenti ordinari per poter elaborare il
documento contabile. «Senza l’esatta quantificazione delle risorse assegnate a ogni municipio dalla
Regione rischiamo pericolose approssimazioni – denuncia il primo cittadino di Gemona, Paolo
Urbani (nella foto) –, non si può continuare a lavorare in questo modo e pertanto chiediamo che il
termine del 31 marzo sia fatto slittare. È impossibile approvare i bilanci nel giro di un mese. Li
dobbiamo ancora completare, portare in giunta, quindi mandare alle minoranze con un congruo
anticipo prima dell’approvazione in consiglio comunale e abbiamo un solo mese». Non è la prima
volta che accade. È ormai anzi quasi una prassi che i dati relativi ai trasferimenti vengano
comunicati tardivamente se non a bilanci già approvati. «Ma si può lavorare in questo modo? –
domanda retorico il sindaco –. Con cifre che spesso conosciamo solo grazie a una telefonata fatta
all’ufficio di turno? Rivendico a nome mio e dei colleghi una comunicazione scritta con gli importi
esatti dei trasferimenti». Risultato della somma di tre quote – specifica, ordinaria e di perequazione
– che al netto della prima, identica all’anno scorso, dipendono la seconda dal valore delle funzioni
comunali trasferite alle Unioni territoriali intercomunali (Uti) e la terza da un regolamento che
ancora non è stato approvato. Interpellato sul riparto l’assessore regionale alle Autonomie locali,
Paolo Panontin, tranquillizza i sindaci: «Gli importi saranno comunicati a breve. Nel giro di qualche
giorno». (m.d.c.)
Uti Carnia al Tar contro l’addio di Paularo (M. Veneto)
Sull’uscita del Comune di Paularo dall’Uti della Carnia sarà chiamato a esprimersi il Tribunale
amministrativo regionale. Così ha deciso il comitato di presidenza dell’Uti, guidato dal sindaco di
Tolmezzo, Francesco Brollo, deliberando di ricorre al Tar per l’annullamento della delibera di
fuoriuscita dell’ente locale affidando l’incarico all’avvocato Marco Marpillero di Udine affinché
assista e rappresenti l’Uti nella predisposizione del ricorso. Spesa imputata a bilancio: 9.500 euro.
«Che spero non abbiano il coraggio di girare in qualche modo al mio Comune. Sarebbe un vero
controsenso» sbotta il sindaco di Paularo, Daniele Di Gleria. Il primo cittadino un ricorso forse
anche lo aspettava, ma non dall’Uti. «Semmai dalla Regione. E invece no. Nonostante nessuno
durante l’assemblea dei sindaci entrati in Unione avesse sollevato l’ipotesi di impugnare la delibera,
il comitato di presidenza - riunito subito dopo - venerdì ha preso l’iniziativa che sa tanto di un
ordine calato dall’alto, di un caso opportunismo politico: qualcuno sta già cullando l’idea di una
candidatura alle Regionali 2018». La prospettiva di finire dinnanzi al Tar non sembra tuttavia
preoccupare più di tanto il sindaco che a tirare i remi in barca non pensa neanche lontanamente.
«Sono anzi più determinato di prima - afferma -. A suo tempo ho sbagliato ad entrare in Uti. Lo
ammetto senza problemi. Mi sono ricreduto, convinto che la riforma spoglia i Comuni di personale
e servizi, allontanando l’ente dai bisogni dei cittadini e per questo sono uscito». Paularo intende
dunque tenere duro. Per ora è l’unico Comune di quelli entrati in Unione ad aver cambiato idea e
fatto dietro front, in barba alla previsione normativa che fissa in un minimo di 10 anni la
permanenza degli enti locali all’interno delle 18 Uti. Al suo fianco, il sindaco conta - oltre ai
colleghi “ribelli” - anche la consigliera regionale Barbara Zilli (Ln) che si è già messa all’opera per
l’ennesima interrogazione. «Non mi stancherò mai di denunciare la gravità delle scelte che derivano
dalla legge 26/2014. Il Pd ha scritto ancora una pagina vergognosa nel libro delle Uti, grazie alla
complicità di sindaci che evidentemente preferiscono i diktat folli di Serracchiani rispetto alla tutela
degli interessi dei carnici» dichiara Zili che poi aggiunge: «Non solo non viene presa in
considerazione la libera decisione democratica del consiglio comunale di Paularo, ma si
preannuncia un altro scontro nelle aule dei tribunali. Chi paga, alla fine, sono sempre i cittadini».
(m.d.c.)
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Deputati e big di palazzo tra gli sponsor di Orlando (Piccolo)
In Fvg il ministro incassa il sostegno dei deputati Brandolin e Blazina e di consiglieri come
Martines e Rotelli - testo non disponibile
Belci mette in guardia dal reducismo
L’ex segretario Cgil: «Serve una ricetta innovativa e inclusiva» - testo non disponibile
Il partito triestino fa il pieno di iscritti
Nel 2016 aumento del 30% dei militanti saliti a quota 700 - testo non disponibile
Travanut lascia il Pd per il Misto: «Non metterò in crisi i colleghi» (M. Veneto)
L’eco delle scelte romane compiute dalla minoranza Pd è rimbalzato ieri in Consiglio regionale
dove a saltare sulla barca del nuovo Movimento democratico e progressista è stato Mauro Travanut,
passato al gruppo Misto. La scelta non è un fulmine a ciel sereno, nazi, era annunciata, ma ieri
Travanut ha formalizzato il passaggio. Che la casacca del Pd stesse stretta e scomoda al consigliere
di Cervignano era risaputo e l’adesione al neonato Movimento ne è solo la conferma. «Non sono
mai stato nel solco né di Renzi né della Serracchiani – ha detto ieri sera –. Nonostante ciò ho avuto
in questi tre anni e mezzo un rapporto corretto e un piacevole confronto umano con i compagni del
gruppo» ha aggiunto assicurando che continuerà in futuro a garantire l’approccio critico che lo ha
contraddistinto fin qui. «Non ho alcun interesse a mettere in difficoltà la maggioranza – ha
continuato Travanut –, ma conto di poter condurre le mie analisi con ancora maggiore profondità e
autonomia di pensiero politico». Firmato l’atto di uscita dal Pd e l’adesione al Misto, Travanut si
prepara a portare avanti nell’aula di piazzale Oberdan le istanze dei Democratici e progressisti, forte
anche della conoscenza con Roberto Speranza. «Per ora sono solo, ma non dispero. Vediamo cosa
accadrà dopo il congresso del Pd» ha concluso, ricordando alcuni dei motivi che l’hanno spinto a
dire addio al Pd: «Negli ultimi tre anni c’è stato il tentativo di portare nel partito la cultura della
società dello spettacolo, del fare per il fare, senza avere la capacità di agire. Penso alle politiche sul
lavoro. Cancellare l’articolo 18 è stato un grande schiaffo, come togliere l’Imu sulla prima casa,
scelta che lo sappiamo non avvantaggia certo le classi più bisognose».(m.d.c.)
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CRONACHE LOCALI
Spettro cassa integrazione alla Sertubi (Piccolo Trieste)
Oggi e domani i servizi mensa dei nidi, delle scuole materne, elementari e medie di Trieste,
subiranno variazioni, perché le dipendenti della Dussmann, la società titolare dell’appalto mense
siglato dall’amministrazione comunale a fine 2015, scendono in sciopero. Contro condizioni di
lavoro difficili e proposte economiche che, di fatto, hanno messo con le spalle al muro intere
famiglie. Il servizio però non verrà interrotto ma sostituito con un pranzo al sacco o un menù
semplificato come previsto dal capitolato. I sindacati prevedono una massiccia adesione alle due
giornate di sciopero da parte delle 154 lavoratrici (oltre ad una decina di precari). In tante hanno
preso parte all’assemblea dello scorso giovedì. Le organizzazioni sindacali hanno contestato
quell’appalto fin dal principio. Dai dati forniti dai sindacati la Dussmann, rispetto alla gestione
precedente della Cir Food, ha ridotto di circa un quarto il totale monte ore settimanale delle
lavoratrici.di Massimo Greco Le preoccupazioni, espresse una ventina di giorni fa dai sindacati,
erano purtroppo correttamente riposte: due riunioni con la dirigenza hanno confermato la fase di
difficoltà - soprattutto commerciale - nella quale si trova Sertubi, la fabbrica specializzata in tubi di
ghisa, gestita dal gruppo indiano Jindal. Il management aziendale cerca in questo momento di
governare la situazione critica in modo non traumatico, “manovrando” sulle ferie arretrate per 13
settimane e fermando la produzione fino al 17 marzo. Ma il direttore generale Massimiliano Juvara
è stato esplicito con gli esponenti di Fim Cisl e Uilm, le due sigle che hanno rappresentanze
all’interno dello stabilimento in via von Bruck: se a maggio il quadro non evolve positivamente e il
mercato non inverte la rotta, Sertubi farà ricorso alla Cassa integrazione. Non è piaciuto a sindacati
e lavoratori sentire riecheggiare l’ammortizzatore sociale in una realtà industriale che alcuni anni fa
ha subìto la chiusura dell’area “a caldo” con la perdita di 130 posti su 210. La più pesante crisi
industriale affrontata nel territorio triestino nell’ultimo quinquennio. Adesso Sertubi occupa 72
addetti, equamente spartiti tra colletti bianchi e tute blu. I numeri del 2016, squadernati dalla
dirigenza all’attenzione di Fim e Uilm, non sono allegri: la produzione - rispetto all’anno
precedente - è scesa di oltre un terzo, da 28 mila a 17 mila tonnellate. Non solo: se nel 2015 lo
stabilimento triestino ha “concluso” la lavorazione su 20 mila t di tubi, nel 2016 la fabbrica nell’ex
Arsenale si è fermata a quota 12 mila. Ma il vero problema è commerciale, come dimostra il
sovrastoccaggio di tubi: il magazzino è passato da 11 mila a 14.500 tonnellate, con un
appesantimento della gestione finanziaria. L’Iraq, che aveva assorbito gran parte della produzione
triestina, ha rallentato i pagamenti e il ritardo delle lettere di credito -riferiscono i sindacati - si è
ripercosso sul ritmo delle commesse. Una lieve ripresa del mercato italiano non ha bilanciato lo
zoppicante andamento mediorientale. Fim e Uilm, attraverso i segretari territoriali Umberto
Salvaneschi e Antonio Rodà, iniziano ad alzare il tiro: «Poca produzione, molto magazzino: non
vogliamo che Trieste venga ridotta a un deposito di tubi. C’è un evidente problema di strategia
commerciale, motivato in buona parte dall’aver puntato solo sull’Iraq: una volta calati gli ordini di
Baghdad, non è scattata una soluzione di riserva». «Di Sertubi si erano occupate le istituzioni,
soprattutto la Regione Fvg con la stessa presidente Serracchiani al tempo della questione-dazi concludono Salvaneschi e Rodà - e adesso pensiamo sia determinante un rinnovato pressing della
Regione sul gruppo Jindal per avere garanzie sul futuro della fabbrica».
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La crescita inarrestabile dei nuovi poveri (Piccolo Trieste)
di Gianpaolo Sarti - L’occupazione non riprende e le aziende continuano ad arrancare e a chiudere.
L’ultimo report della Caritas consegna quindi un’altra drammatica fotografia, che parla di povertà e
nuove povertà. Sono migliaia le persone che a Trieste, per tutto il 2016, hanno bussato alle porte di
preti, suore, volontari e operatori specializzati. Per domandare un aiuto, spesso disperato. Al
secondo piano della Curia, nel palazzo vescovile di Cavana, il direttore don Alessandro Amodeo
osserva turbato il foglio che ha appena stampato dal computer. Prende la calcolatrice, fa due conti,
tira una riga. Il 10%. «Sì, i nostri assistiti sono aumentati del 10%», sospira. La fredda contabilità di
quelle tabelle che il sacerdote si gira e rigira tra le mani dice che oggi c’è un esercito di 1.017
italiani e stranieri che si rivolge al Centro di ascolto per pagare una bolletta, l’affitto o debiti con le
finanziarie per acquisti poco accorti. Al supermercato di via Chiadino, l’Emporio della solidarietà,
si sono recati invece in 2.500 per fare la spesa gratuitamente. Nel frattempo la mensa di via
dell’Istria ha preparato 255mila pasti, 700 ogni santo giorno. Lì non guardano la carta d’identità.
«Se uno ha fame mangia e basta», taglia corto don Alessandro. Ma è chiaro che anche là, per un
pranzo, arriva ormai di tutto: dal profugo afghano al commerciante triestino sul lastrico. Dalla
coppietta di giovani senza un impiego, al clochard. Il centro di ascolto Sono dunque 1.017 le
persone accolte nel 2016 dal centro di ascolto di via Cavana 15. Erano 925 l’anno prima (+9,9%).
Per la maggioranza, pari al 52,4%, sono italiani, per tre quarti triestini. Il 47,6% invece è straniero.
Il servizio, come noto, assicura aiuto nel pagamento di bollette, affitti e debiti per acquisti contratti
con le finanziarie. L’intenzione, oltre che aiutare chi ha bisogno sostenendo le spese altrimenti
ingestibili, è creare percorsi di accompagnamento personalizzati: capire chi si ha di fronte,
innanzitutto. Perché spesso dietro al disagio economico, causato magari dalla perdita del posto di
lavoro, si nasconde anche altro: alcolismo, sostanze e dipendenze da gioco, ad esempio. Al Centro
di ascolto cercano anche forme di mediazione con le società e gli enti per rateizzare gli arretrati.
Non mancano ormai i commercianti e i ristoratori piegati dalle tasse. L’emporio della solidarietà È
un vero e proprio supermercato, aperto nel 2013, dove possono andare a fare la spesa le persone in
difficoltà economica accertata dal Centro di ascolto, le parrocchie e gli assistenti sociali. Si trova in
via Chiadino. Stando ai dati della Caritas, sono 2.500 le persone che hanno usufruito del servizio
nel corso 2016, a fronte dei 1.900 del 2015. Si tratta di 150 nuclei familiari al mese. Il 60,1% è
composto da italiani residenti, il 39,9% da stranieri. La mensa La mensa Caritas di via dell’Istria ha
erogato durante il 2016 ben 255mila pasti. Nel 2015 ci si fermava a 230 mila. La cucina prepara da
mangiare ogni giorno per 700 persone: 140 per il refettorio “Giorgia Monti” della struttura del
Teresiano, 380 per la mensa cittadina, e altri 200 per Casa Malala di Fernetti che ospita i migranti.
«Da noi viene gente di tutti i tipi - afferma don Alessandro - ci sono sia richiedenti asilo,
nell’ambito del sistema di accoglienza, sia triestini». Tra loro c’è chi ha perso il lavoro, padri
separati, ex imprenditori e commercianti, giovani senza un impiego e barboni. «C’è di tutto osserva il direttore -. È proprio dalla mensa che spesso ci si rende conto della situazione in cui
versano in tanti e di cosa possa significare oggi la povertà a Trieste. Purtroppo anche in questo caso
il dato è in continuo incremento - aggiunge - ed è difficile capire quando il contesto socioeconomico migliorerà. Ciò che mi fa riflettere è vedere anche giovani, che magari arrivano in
coppia. Mi domando, dentro di me, come sia possibile che non abbiano neppure quattro o cinque
euro per prendersi un pezzo di pizza. Noi diamo da mangiare a tutti. Certo, dopo il terzo o il quarto
accesso - precisa il sacerdote - iniziamo a informarci un po’, a domandare il nome e la situazione
che ha spinto la persona a venire da noi per cercare di capire se si può aprire un percorso di
accompagnamento di uscita dal disagio».
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Consumi, freno tirato su abbigliamento e spesa (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Giù le vendite nel settore abbigliamento (-10% secondo un’indagine fatta con i
negozianti della città), calano anche gli affari nei supermercati (-2,5%). Ma aumentano gli acquisti
di altri beni durevoli (auto e moto, mobili, elettrodomestici, prodotti informatici). Come a dire: si
rinuncia a un maglione nuovo, magari si riducono le quantità di cibo acquistate al supermercato ma
tutti vogliono avere il cellulare dell’ultima generazione, una vettura più che dignitosa,
l’elettrodomestico che ti semplifica la vita. L’osservatorio Confcommercio «Una tendenza che trova
corrispondenza piena anche nel nostro Osservatorio - conferma Gianluca Madriz, presidente di
Confcommercio Gorizia -. Complice anche il fine d’anno, c’è stato un incremento considerevole di
vendite di nuove tecnologie. E anche il mercato dell’auto ha ripreso con decisione, grazie alle
campagne promozionali che si concentrano alla fine di ogni anno». Ma è l’abbigliamento a segnare
il passo. E non solo. «L’andamento di tutti gli altri settori - annota Madriz - continua a mantenere
un livello di sofferenza alto. Anche lo sport, che era un settore trainante, non sta cogliendo risultati
particolarmente positivi. Non siamo usciti dalla crisi». Negli ultimi sei anni, stima l’associazione
che riunisce 350mila Pmi del commercio e dell’artigianato, il commercio al dettaglio ha perso 7,7
miliardi di euro di incassi in Italia, una cifra equivalente a un “risparmio” forzato di 300 euro per
famiglia. A Gorizia (e provincia) la situazione è ancora peggiore perché di parla di 400 euro.
«Stiamo vivendo un periodo - taglia corto Benedetto Kosic, uno dei decani dei commercianti di via
Rastello - di estrema difficoltà. Nel mio settore (quello dell’abbigliamento sportivo, ndr) c’è
staticità. Tutto è fermo. Forse, vedo nei consumatori un po’ più di fiducia ma da qui a dire che
siamo fuori dal tunnel ce ne passa». Queste le dinamiche di mercato che si registrano a Gorizia e
dintorni. I numeri di Findomestic Su questi dati si innestano quelli dell’Osservatorio Findomestic
sui cosidetti “beni durevoli”. E qui l’aumento dei consumi è del 7,2% (solo Trieste fa meglio con un
+7,5%). Cresce, poi, il reddito medio anche nelle province di Gorizia (+2,6% per una cifra di
18.880 euro); di Udine (+3,2% per un controvalore di 20.448 euro) e Pordenone (+2% con 19.328
euro). Andamento positivo per il settore delle auto nuove. Il mercato della mobilità è protagonista di
una crescita brillante in tutte le province: Gorizia (+15,1%), Trieste (+19,2%), Pordenone (+12,6%)
e Udine (+11,6%). La spesa delle famiglie nel capoluogo si attesta su 638 euro, a Udine su 730
euro, a Pordenone su 797 euro e infine a Gorizia su 690 euro. Nel segmento delle auto usate si
registra complessivamente una buona crescita dei consumi (+4,7%). «Gorizia - analizza
Findomestic - segna una crescita del +5,7% (per un controvalore in termini di spesa di 42 milioni di
euro ); seguono Udine (+4,9% con 186 mln di euro), Pordenone (+4,7% con 100 mln di euro) e
Trieste (+3,8% con 75 mln di euro). Buona performance anche per gli acquisti dei motoveicoli:
Gorizia è in testa alla classifica con un incremento del 16,6%, segue Udine che registra un +14,3%
mentre Trieste si attesta al +5,8%. Chiude Pordenone con una crescita pari al +2,8%. Valori positivi
per il comparto dei mobili che vede aumentare i consumi in particolare nel capoluogo ( +2,4% per
66 milioni di euro). Buone performance anche per le altre province del territorio: Gorizia (+2,3%),
Pordenone (+1,2%) e Udine (+0,8%). In termini di spesa, Udine è in testa alla classifica con 149
milioni di euro complessivamente. Altri beni durevoli In linea con il trend positivo nazionale
(+3,2%) crescono anche i valori relativi ai beni del comparto degli elettrodomestici grandi e piccoli
in tutta la regione del Friuli Venezia Giulia (3,3%). Trieste e Pordenone raggiungono la percentuale
del 3,6%, con una spesa complessiva di rispettivamente 19 mln di euro e 24 mln di euro. Seguono
Gorizia (3,5%) e Udine (3%), per un controvalore in termini di spesa pari a 11 milioni di euro e 43
mln di euro. Si registra una crescita contenuta n el segmento dell’elettronica di consumo: Pordenone
(+0,3%), Gorizia (+0,2%), Trieste (+0,2%). Resta stabile, invece, Udine.
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Reddito di sostegno, non arrivano i soldi (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Centinaia di nuclei famigliari sul territorio dell’Uti “Collio-Alto Isonzo”, e dunque migliaia di
cittadini in difficoltà economica, attendono l’erogazione delle misure di sostegno al reddito offerte
da Regione e Stato. Ma i soldi tardano ad arrivare, la strada per accedere ai fondi è terribilmente
macchinosa, e più in generale i provvedimenti stessi sembrano aver fallito il loro obiettivo finale,
quello di reinserire nel mondo del lavoro i beneficiari dei contributi. A tracciare un quadro della
situazione sono stati ieri mattina in Municipio a Gorizia Ettore Romoli, nelle sue vesti di presidente
dell’Uti “Collio-Alto Isonzo”, Maura Clementi, responsabile del Servizio sociale dell’Uti ed Enrico
Barba e Andrea Aiza, dei Servizi sociali. Tra l’ottobre 2015 e il 31 agosto 2016 sono stati erogati
poco meno di tre milioni di euro (2.966.426) in risposta a 880 domande per la Mia, la Misura attiva
di sostegno al reddito della Regione, a fronte di un totale di 943 domande prese in carico. Dal 1
settembre 2016, però, il regolamento della Mia è stato modificato, e al tempo stesso è stata varata
una nuova misura di sostegno, questa volta statale, il Sostegno per l’inclusione attiva (o Sia). E così
dal 1 settembre al 31 gennaio 2017 sono già altre 387 le domande prese in carico, di cui solo 54
hanno trovato risposta, per un importo di 41.470 euro (bisogna sommare altre 70 richieste per
febbraio). E’ un ingorgo burocratico, anche perché le richieste devono essere verificate dall’Inps e
si sovrappongono in molti casi alle richieste per la Mia. Questo perché le due misure di sostegno
vantano criteri d’accesso differenti, che non escludono però necessariamente l’una o l’altra: la Mia
può essere richiesta ad esempio da famiglie residenti in Friuli Venezia Giulia da almeno 24 mesi,
con un reddito inferiore a 6mila euro, mentre la Sia da famiglie residenti in Italia da almeno 24
mesi, con un reddito inferiore a 3mila euro e in presenza di almeno un componente minorenne, un
figlio disabile o una donna in gravidanza. Va da sè che ci saranno famiglie che avranno diritto ad
una sola di queste misure, o anche ad entrambe. Non bastassero tutte queste complicazioni, ad oggi
mancano le disponibilità finanziarie per liquidare i benefici del primo bimestre 2017, con i soldi che
non sono stati trasferiti dalla Regione alle Uti, ci sono problemi di compatibilità informatica tra i
sistemi di Inps e Regione che rallentano le verifiche e, spesso, le risposte che arrivano dall’Inps non
sono complete. Ma non è tutto. Per accedere ai fondi i nuclei famigliari devono sottoscrivere un
“patto di inclusione”, avviando percorsi per l’inserimento nel mondo del lavoro. (m.b.)
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Protesta dei poliziotti Silp-Cgil davanti alla questura (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Poliziotti in piazza davanti alla questura nella giornata di domani. L’obiettivo? Gettare luce sulle
condizioni in cui si ritrovano ad operare i poliziotti. Due gli ordini dei problemi sul tavolo: da quelli
locali a quelli nazionali. «È ancora irrisolto il nodo delle sedi. La Polizia - attacca il segretario
provinciale del Silp-Cgil, Patrik Sione - lavora all’interno di strutture fatiscenti, a cominciare dalla
Questura che versa in condizioni a dir poco disagiate. C’è poi la questione della possibile apertura
di un mini-Cie: questo distoglierebbe dal controllo del territorio 50 agenti di Polizia. Non possiamo
permettercelo. Siamo sempre di meno e sempre più vecchi». Continua il sindacato: «Da sempre
denunciamo problemi di organici, di mezzi e di strutture, anche nella nostra città. Dopo 20 anni
abbiamo l’occasione storica, grazie anche alle risorse che abbiamo ottenuto con la nostra battaglia
sindacale, di ottenere un riordino interno delle carriere necessario per far funzionare meglio le forze
dell’ordine e dare più sicurezza ai cittadini. Invece, nei giorni scorsi, è stato emanato un decreto,
che dovrà essere discusso in Parlamento, assolutamente irricevibile che ci penalizza ancora di più.
Per questo motivo, domani saremo davanti alla Questura per un presidio e un volantinaggio».
Un’iniziativa che si svolge contemporaneamente in tutta Italia perché il sindacato pensa che ci siano
ancora possibilità per modificare il provvedimento in Parlamento. «In genere, il sindacato pretende
nuove risorse: invece stavolta chiediamo che i soldi già stanziati siano spesi meglio. Un agente deve
avere la possibilità di progredire in carriera, non rimanere bloccato a vita come avviene adesso
perché non si fanno più concorsi interni. I titoli, i meriti e le professionalità di chi fa il poliziotto da
una vita devono essere valorizzati, non depauperati. L’intero sistema Polizia di Stato deve
funzionare in maniera più efficiente e per farlo il personale in divisa va fatto crescere
professionalmente e culturalmente, non costretto a “morire” nel suo ruolo e nella sua qualifica
attuali». Conclude Sione: «Con una Polizia di Stato sempre più anziana, con una età media di 47
anni e con 18.000 poliziotti in meno in tutta Italia, in un contesto di esigenze crescenti in materia di
sicurezza, un riordino interno delle carriere malfatto rischia di compromettere ancor più la nostra
“mission”, che è quella di garantire la sicurezza dei cittadini. Questa azione di protesta che si svolge
domani, dalle 9 alle 13, è solo il primo passo della mobilitazione del Silp i cui toni sono destinati ad
aumentare se le nostre richieste, volte a ottenere un provvedimento più equo ad invarianza di spesa,
non troveranno ascolto». (fra.fa.)
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Senza 3 milioni crac delle Terme romane (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Giulio Garau - Ultima chiamata per le Terme Romane, anzi «ultimo campanello» rimarca il
sindaco di Monfalcone, Anna Cisint. Perché se la Regione non trova 3 milioni di euro per tappare il
buco, ovvero per pagare banca e fornitori, il Comune chiude la struttura e porta i libri in Tribunale.
Un finale che il Comune, dopo che sono stati spesi e investiti un sacco di soldi, pubblici, non vuole
scrivere. «Vogliamo fare la nostra parte e siamo pronti con un progetto» mette in chiaro Cisint, ma
ora serve che la Regione «faccia subito la sua parte» e garantisca alla struttura di camminare con le
proprie gambe. Bisogna trovare 3 milioni, garantire che oltre alla balneoterapia ci sia la
fisiokinesiterapia assicurata dalla convenzione con i ticket. Poi fare una gara per affidare la
gestione. Che non può essere lasciata alla IciCoop che ha partecipato al project financing e che ora,
dopo il fuggi fuggi generale si è trovata con il cerino in mano a fare un mestiere che non è il suo
attraverso la società Terme Romane partecipata al 100%. «Perdiamo almeno mille euro al giorno»
confessano il presidente delle Terme Romane Gianfranco Colautti e il vicepresidente Davide
Zanuttin. «Una situazione drammatica» insiste il sindaco Cisint. A testimoniarlo la stessa presenza
dei due vertici della società alla conferenza stampa organizzata in Comune dove è stato consegnato
anche un pro-memoria, lo hanno poi ribadito a voce, in cui si spiega che «siamo pronti a restituire le
chiavi al Comune e chiedere i danni se non troviamo una via d’uscita». C’è tutta la crono-storia
nella nota della società Terme Romane che nella parte finale riporta un paragrafo che non lascia
dubbi: «Il lungo tempo trascorso, la mancata riqualificazione dell’area circostante (quella famosa
prevista dalla fantomatica Italia Navigando che doveva realizzare un marina e altre strutture), il
mutato contesto ambientale, normativo ed economico hanno irrimediabilmente compromesso la
gestione economica dello stabilimento termale. Già alla fine del 2015 la società Terme Romane ha
chiesto al Comune l’attivazione delle procedure previste per il riequilibrio contrattuale o, in
alternativa, la risoluzione della convenzione». Una vicenda che rischia di finire in Tribunale con
tutte le variabili del caso. E sono in gioco anche gli attuali 16 posti di lavoro (8 dipendenti, 8 con
partita Iva). Secondo il sindaco Cisint se interviene la Regione e parte «un progetto di rilancio che
stiamo studiando» con accanto il via alla fisiokinesiterapia, la struttura sta in piedi. «Nel 2014 sono
state erogate 8mila 586 prestazioni - spiega Zanuttin - nel 2015 sono diventate 18mila 509, poi nel
2016, e solo alla fine dell’anno è stato possibile erogarne alcune con accreditamento, sono state
15mila 408. Ma a gennaio e febbraio di quest’anno con i ticket abbiamo dato assistenza a 4mila 436
pazienti». Facendo una proiezione a spanne, tolto il mese di agosto che è il più problematico, i
numeri ci sono tutti. Una situazione molto complessa illustrata nei tratti principali dal sindaco Cisint
che ha bocciato in maniera netta l’operato delle giunte precedenti, quelle di Gianfranco Pizzolitto e
Silvia Altran. «Quel project financing non era sostenibile - accusa Cisint - se sai che devi lanciare
un’attività devi avere un piano di sviluppo ancora di più se poi durante la strada cambiano le
condizioni». Condizioni che sono cambiate da subito quando il contributo di 70mila euro annuali è
stato convertito in conto capitale o il fatto che la Regione avrebbe dovuto dare 300-350mila euro
sulla base dei servizi finanziabili. Temi che lo stesso sindaco ha sollevato con la Regione: «Ho
inviato un messaggio alla presidente Debora Serracchiani - spiega - ne ho parlato pure con
l’assessore Sara Vito e la questione è stata valutata a fondo con il vicepresidente Sergio Bolzonello
nell’incontro organizzato dal capogruppo Pd, Diego Moretti. La Regione deve accollarsi le terme e
lanciarle in un percorso di turismo sanitario. I rappresentanti monfalconesi Vito e Moretti devono
farsi carico di questa situazione. Quanto conta Monfalcone? Voglio un risultato. Bolzonello ha dato
disponibilità, ora chiedo una voce nel bilancio di assestamento. Hanno dato milioni a Grado e Arta
Terme? Devono trovare 3milioni per Monfalcone».
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Manutentori forestali, sindacati contro la Regione (M. Veneto Udine)
di Gino Grillo - Fillea Cgil e Filca Cisl denunciano le criticità contrattuali dei 150 dipendenti del
servizio dei manutentori forestali in capo alla Regione e chiedono un tavolo urgente, minacciando
l’apertura di una vertenza legale. Aumenti contrattuali congelati; accordi integrativi disattesi;
dipendenti sottoinquadrati e sottopagati, precariato che si trascina da sette anni. Questi alcuni dei
“nodi” che riguardano gli operai del Servizio gestione territorio montano, bonifica e irrigazione
della nostra Regione, impegnati quotidianamente in interventi di sistemazioni idraulico-forestali,
manutenzione di piste forestali, malghe, parchi, sentieri, foreste dal Tarvisiano alla Carnia, dal
Cansiglio al Carso, da Palmanova a Pagnacco, a Gorizia. Criticità che da circa due anni sono state
sottoposte alla Regione «senza ricevere alcuna risposta concreta, in molti fanno orecchie da
mercante» attaccano i sindacalisti di Filca Cgil Udine e Pordenone Francesco Gerin e Alesandro
Conte e di Fillea Cisl Alto Friuli e Pordenone Valentino Bertossi e Paolo Fregonese, unitamente
alle Rsu degli operai. «Questi lavoratori rappresentano una eccellenza per la regione e rivestono,
con la manutenzione di 36 mila opere di difesa del territorio, un ruolo di primaria importanza nel
sistema di difesa idrogeologica del territorio – spiegano i sindacalisti – . Dal luglio 2015 sono in
attesa dello sblocco (lo scatto è di 40 euro) dell’aumento contrattuale previsto dal contratto che
regola il rapporto di lavoro del servizio in amministrazione diretta. L’inquadramento è il medesimo
del comparto privato dell’edilizia e non quindi il comparto unico regionale. Una grave
inadempienza dell’amministrazione regionale – sottolineano i sindacati – alla quale si aggiunge il
capitolo dedicato al contratto integrativo che dopo l’avvio di due piattaforme nel 2014 e nel 2016,
attende ancora risposte». Per una ventina di operai in particolare si pone la questione relativa alla
messa in regola del rispettivo inquadramento. Da un anno è stata avviata una trattativa per gestire i
passaggi di livello di persone «che sono sottoinquadrate e sottopagate, ma di fronte troviamo
sempre un muro di gomma» tuonano i rappresentanti di Filca e Fillea che ritengono manchi da parte
dei vertici della direzione regionale la volontà di risolvere le questioni aperte. «Da sette anni non ci
sono assunzioni a tempo indeterminato nonostante una ventina di pensionamenti e nonostante l’età
media di 50 anni, alta, degli attuali dipendenti. Chiediamo urgentemente – terminano i sindacalisti –
un tavolo di confronto vero e concreto con l’assessore regionale Cristiano Shaurli altrimenti
dovremo valutare altre strade tra cui quella legale».
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Dalla Net disdetta a Daneco. Bioman gestirà San Giorgio (M. Veneto Udine)
di Francesca Artico - Disdetta alla Daneco, la gestione dell’impianto di San Giorgio di Nogaro
passa alla Bioman. Ad annunciarlo la stessa Net: «A seguito delle inadempienze della Daneco, la
ditta che gestiva l’impianto di raccolta dei rifiuti di Net Spa, la società ha convocato d’urgenza il
cda lunedì 27 febbraio, per la risoluzione del contratto con la ditta. Il giorno successivo, il blocco
dell’attività dell’impianto ha spinto la Net a sollevare immediatamente la Daneco per garantire la
continuazione del servizio, affidato alla ditta veneta Bioman». Da due mesi i 17 lavoratori di
Daneco che operano nel nuovo impianto di San Giorgio non percepiscono gli stipendi. Va
sottolineato che per la razionalizzazione dell’impianto di San Giorgio Net ha effettuato un
investimento da 8,5 milioni di euro. Con questo nuovo impianto, realizzato con il supporto nella
progettazione dell’Università di Udine, Net punta a una tipologia di raccolta innovativa e a
consolidare la strategia del recupero e del riciclo del materiali. La sua operatività permetterà a Net il
fermo di quello di Udine per avviare l’intervento di una nuova linea di trattamento di rifiuti organici
biodegradabili mediante gestione anaerobica e compostaggio. «É terminata l’epoca della mera
raccolta di rifiuti per poi smaltirli - afferma il direttore generale Massimo Fuccaro - Da diversi anni
Net è focalizzata al recupero e al riciclo dei materiali. In questo impianto viene trattato il rifiuto
secco residuo, per poter poi ulteriormente recuperare il materiale che i cittadini non riescono a
differenziare. Il secco residuo è un rifiuto che ha scarso interesse per le aziende private, in quanto
non consente una elevata redditività. Ma a noi piacciono le sfide ed è proprio per questo che la Net
si è specializzata in questo tipo di trattamento. Stiamo dimostrando, e le basse tariffe ne sono la
prova, che si può svolgere un servizio pubblico a bassa redditività con efficienza ed economicità».
Il trattamento del secco porterà nel 2017 a una ulteriore riduzione delle tariffe. «L’ultimazione
dell’impianto di San Giorgio rientra nelle azioni previste dal piano industriale della Net Spa commenta Fuccaro -: il piano di riconversione degli impianti, redatto nel 2015, ha un tempo di
attuazione di 5 anni». Perché è importante la rifunzionalizzazione del sito di San Giorgio? «Qui si
prepara la frazione secca del rifiuto indifferenziato - spiega - per renderlo idoneo al successivo
recupero di materie prime secondarie (Mps) e di combustibile solido secondario (Css) o energetico
in altri impianti grazie alla separazione della frazione putrescibile residuale ancora presente nel
rifiuto». Tre le linee di produzione: la A per il trattamento della frazione secca residua di rifiuti
urbani per la produzione di rifiuto da avviare ad impianti di recupero di materia e in subordine di
energia per 71 mila tonnellate all’anno. La B per il trattamento dei rifiuti ligneo- cellulosici
provenienti dalla raccolta differenziata (15.500 tonnellate all’anno). La C stazione di trasferimento
dei rifiuti biodegradabili di cucine e mense provenienti dalla raccolta differenziata (15.500
tonnellate all’anno).
Il sindacato: gli operai stiano sereni
Fiadel e Fit-Cisl: «I lavoratori stiano sereni: nella decisione di Net di disdire Daneco e far
subentrare la Bioman nessuno verrà lasciato a casa. Noi saremo lì a difendere il posto di lavoro di
questi lavoratori» - testo non disponibile
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Indennità, parola al prefetto (M. Veneto Udine)
Il rebus delle indennità da assegnare ai vigili è sul tavolo del prefetto, Vittorio Zappalorto. Cgil,
Cisl e Uil, ieri, hanno inviato al rappresentante del Governo la richiesta di convocazione del tavolo
di conciliazione. Cisal e Ugl non hanno aderito, preferiscono andare in piazza e procedere con le
assemblee. L’appuntamento è per domani, dalle 11.30 alle 13, sotto la loggia del Lionello e
domenica, dalle 16.30 alle 18.30, nella sede del circolo Nuovi orizzonti, ai Rizzi. Su quest’ultima
data, però, resta un’incognita: considerato che l’assemblea è stata indetta in concomitanza alla
partita di calcio Udinese-Juventus, potrebbe profilarsi l’interruzione di pubblico servizio. Anche la
Cisl alza la voce, ma lo fa in modo pacato inviando a tutti gli iscritti il volantino “riprendiamoci la
contrattazione”. «Spiace comunicare che per dare gambe all’accordo del 20 ottobre sono passati in
vano 5 mesi». Inizia così la lista delle rivendicazioni prima di sollecitare la convocazione del tavolo
sindacale. Il referente della Funzione pubblica, Giovanni Di Matola, assicura che domenica gli
iscritti Cisl lavoreranno: «Le iniziative di piazza - spiega - rischiano di pregiudicare le sottili
relazioni sindacali in essere». Dello stesso avviso il collega della Cgil, Roberto Boezio: «Serve un
confronto serio, la convocazione del tavolo è urgente per iniziare a ragionare serenamente sulle
problematiche e risolvere. L’obiettivo del sindacato è fare in modo che i lavoratori non ci
rimettano». Fino a quando non sarà fatta chiarezza i vigili di Udine non riceveranno l’indennità di
responsabilità, ai colleghi di Campoformido e Tavagnacco invece mancano i turni. Sulla questione
interviene pure la consigliera comunale, Claudia Gallanda (M5s). Ha presentato un’interrogazione
in consiglio comunale. Dal sindaco, Furio Honsell, e dalla giunta vuole sapere perché non vengono
più pagate le indennità di responsabilità e di turnazione ai vigili di Udine e Tavagnacco e come
l’Uti (Unione territoriale intercomunale) intende risolvere la questione. Gallanda ricorda inoltra che
più volte il vertice dell’Uti aveva assicurato che il passaggio del personale dai Comuni all’Uti, non
avrebbe compromesso il trattamento economico garantito finora agli agenti della polizia locale. La
questione, insomma, continua ad alimentare anche il dibattito politico.
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«Troppi 39 richiedenti asilo»: Tolmezzo contro il piano (M. Veneto Udine)
di Tanja Ariis - «I 39 migranti destinati a Tolmezzo sono eccessivi». Lo aveva detto il segretario
tolmezzino della Lega Nord, lo sostiene il consigliere comunale di opposizione Dario Zearo, che ha
presentato relativa interrogazione nell’ultimo Consiglio. Ma anche il sindaco, Francesco Brollo, ne
è convinto: il numero assegnato alla città dal Piano-migranti del prefetto di Udine non tiene conto
dei servizi che Tolmezzo dà già in merito al territorio. È vero, Tolmezzo oggi non ha migranti
ospitati in strutture nel proprio territorio, ma ha in carico 6 minori stranieri non accompagnati (1
ospitato in a Faedis, 5 a Cercivento, spesa prevista per il 2017 203 mila e 186 euro, nel 2016 era
stata di 217 mila e 79 euro, rispetto ai quali manca al Comune un rimborso di quasi 39 mila euro
dallo Stato, mentre nel 2015 la spesa era stata di 162 mila e 909 euro, rimborsati) e soprattutto è
meta ogni giorno dei tanti migranti accolti in altri paesi carnici che scendono a valle per corsi di
lingua e per trascorrervi le giornate. Per Zearo i 39 migranti «andranno a ingrossare le fila dei tanti
nullafacenti che si ritrovano», già alla stazione dei bus. Il prefetto è stato informato, come ha
confermato Brollo a Zearo, circa la petizione sottoscritta da 2.500 cittadini tolmezzini contro
l’eventuale richiesta di ospitare in città, anche in strutture non di proprietà comunale, profughi,
migranti, richiedenti asilo. Brollo ha riferito che la Prefettura ha scritto a tutti i Comuni il 3 febbraio
una missiva a carattere ricognitivo per sondare la possibilità con i Comuni di evitare i cosiddetti
arrivi calati dall’alto attraverso la clausola di salvaguardia (impedisce poi allo Stato di collocare
altri migranti nel Comune), garantita dall’attivazione dei progetti Sprar. Nell’ottica di un approccio
territoriale a questo tema connesso ai Servizi sociali (che secondo la riforma andranno poi esercitati
in Uti)la risposta, ha detto Brollo, «deve essere sovracomunale». È stata così avviata una prima
formale ricognizione con gli altri Comuni. «Tolmezzo – ha proseguito – come tutti gli altri Comuni
che vogliono lavorare insieme, farà la sua parte in modo integrato, approfondendo quella che può
essere la fattibilità di aderire al progetto Sprar, che vede i Comuni protagonisti e non passivi rispetto
agli arrivi. Se vogliamo salvaguardare Tolmezzo e la Carnia da arrivi imposti dall’alto, c’è solo un
sistema: aderire allo Sprar, farlo con gli altri Comuni, potendo tra l’altro chiedere che sul territorio
vengano famiglie, non persone singole. In ogni caso sono d’accordo che il numero ipotizzato dalla
prefettura è eccessivo». Al prefetto è stato chiesto un incontro insieme agli altri Comuni per
affrontare il tema in ottica territoriale: sarà stamattina alle 9.30 in prefettura.
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Electrolux, vertice al Ministero (M. Veneto Pordenone)
di Giulia Sacchi - Risposte dal ministero sulla decontribuzione dei contratti di solidarietà e da
Electrolux sul progetto di reindustrializzazione di parte del sito di Porcia, che consentirebbe di
scongiurare 100 dei 356 esuberi. E’ quanto si attendono i sindacalisti Maurizio Marcon (Fiom),
Gianni Piccinin (Fim) e Roberto Zaami (Uilm) dall’incontro del 6 aprile al ministero dello Sviluppo
economico. Un summit di verifica dell’accordo del 2014 e monitoraggio sull’andamento degli
stabilimenti italiani della multinazionale. Decontribuzione. Sulla questione della decontribuzione
della solidarietà, pilastro dell’intesa di tre anni fa, non ci sono ancora risposte dal Governo.
Nell’incontro di ottobre, da parte di quest’ultimo non c’erano state certezze, tant’è che il sindacato
aveva chiesto a chiare lettere al ministero di «rispettare gli impegni assunti con lavoratori e azienda,
con l’intesa 2014, per non mettere a repentaglio la buona riuscita del processo di riorganizzazione,
gli investimenti e soprattutto centinaia di posti di lavoro». Pure l’amministratore delegato di
Electrolux Italia, Ernesto Ferrario, aveva messo in evidenza che «se dovesse venire meno la
solidarietà, si metterebbe a rischio la sostenibilità del piano industriale». La solidarietà, tra l’altro,
scadrà il 2 agosto: dopo di che l’ammortizzatore si dovrebbe rinnovare per un altro anno. I sindacati
hanno già manifestato al Governo preoccupazione per la scadenza del 2018 che, coi nuovi limiti
agli ammortizzatori introdotti col Jobs act, può tradursi in Electrolux in un ricorso generalizzato ai
licenziamenti come soluzione alle riorganizzazioni delle imprese. Reindustrializzazione. Il piano è
fermo: nei mesi scorsi, la multinazionale ha annunciato che sono al vaglio le proposte di tre aziende,
di cui due del Triveneto, e al contempo ha garantito che, in mancanza di investitori terzi, realizzerà
in prima persona interventi di riassorbimento, mantenendo più volumi nel sito di Porcia. I sindacati
temono che il progetto di reindustrializzazione stia sfumando, visto che al momento non ci sono
risultati concreti, e che la strada più percorribile sembri essere il piano B prospettato da Elctrolux.
Le forze sociali hanno sottolineato che è sì fondamentale salvare l’occupazione, ma «la
reindustrializzazione aveva un significato diverso rispetto a quello di progettualità alternative.
Ricordiamo che i volumi sono legati all’andamento dei mercati». Intanto il progetto per riassorbire
50 esuberi, impiegando alcuni lavoratori nel magazzino ricambi dell’azienda, ha raggiunto a quota
36 ricollocati. I sindacati. «L’incontro di aprile è importante: ci aspettiamo risposte da ministero e
azienda su questioni cruciali – hanno commentato Marcon, Piccinin e Zaami –. Si dovrà fare il
punto rispetto a quanto è stato realizzato sinora e quanto ancora dovrà essere tradotto in realtà. Il
Governo dovrà chiarire la questione della decontribuzione, su cui da mesi attendiamo riscontro, e
l’azienda su ciò che intende fare per la reindustrializzazione».
Scuola, festa della donna con sciopero (M. Veneto Pordenone)
«Sciopero delle donne e dei precari: che sia un 8 marzo a braccia incrociate a scuola». Protesta al
profumo di mimosa per l’ammiraglia sindacale Flcgil che, ieri a Pordenone, ha confermato
l’adesione allo sciopero globale “Non una di meno” indetto con le bandiere Cobas, Unicobas e
frange minori. «Cgil della scuola e della funzione pubblica aderiscono allo sciopero delle donne e
dei precari – ha confermato ieri Mario Bellomo –. C’è chi farà assemblee nei propri luoghi di
lavoro, chi parteciperà a cortei, flashmob, chi farà conferenze, chi letture in piazza, ognuna a suo
modo, in mille modi diversi. Se i supplenti e le donne si fermano, si ferma il mondo della scuola».
Difficile prevedere i numeri delle adesioni. «Chiediamo il contratto a scuola e più servizi per le
donne lavoratrici e famiglie – sostengono gli attivisti Cobas con Luigina Perosa -. Le donne e le
straniere hanno diritto alle pari opportunità». (c.b.)
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Appalto ex Monti, attesa sulle verifiche (Gazzettino Pordenone)
Lara Zani - Mentre l’Aas5 annuncia un’indagine su tutte le strutture della provincia adibite
all’accoglienza dei richiedenti asilo, alla ex caserma Monti si profila il passaggio del testimone da
una realtà locale quale la Croce rossa guidata dal presidente Giovanni Antonaglia (che dall’estate
scorsa ha gestito la struttura guadagnandosi unanime apprezzamento) a uno dei colossi nazionali
dell’accoglienza, che ha in gestione numerose strutture nel sud Italia ma che negli ultimi mesi si è
candidata anche per l’assegnazione di alcuni centri nel nord. Si tratta della cooperativa sociale Senis
Hospes di Senise (Potenza), l’unica assieme alla Croce rossa a essersi classificata nella graduatoria
provvisoria delle realtà in possesso di tutti i requisiti necessari per gestire l’hub, mentre altre quattro
cooperative - una locale, altre tre di altre regioni - sono state escluse. Senis Hospes si è tuttavia
classificata davanti alla Croce rossa, che era stata invece l’unica a candidarsi per il primo bando, e
ora attende l’esito della fase di verifica che la Prefettura è chiamata a svolgere sul soggetto
vincitore. L’ipotesi dell’esclusione della Croce rossa dalla gestione dell’hub fa discutere.
L’assessore alle Politiche sociali del Comune di Pordenone Eligio Grizzo - in un’intervista a
TelePordenone - non nasconde il rammarico per la perdita di risorse a danno del territorio, dal
momento che il sodalizio guidato da Antonaglia aveva fra l’altro impiegato parte di quanto stanziato
per l’accoglienza dei richiedenti asilo assumendo personale: nella ex caserma Monti sono infatti
impiegati un coordinatore, quattro turnisti impegnati per otto ore al giorno, due volontari part-time e
un’altra volontaria laureata in lingue chiamata a insegnare l’italiano, oltre a un mediatore culturale
che conosce tutti i dialetti delle varie zone dell’Afghanistan e del Pakistan. Lo stesso assessore non
esclude, una volta che la procedura sarà completata e saranno disponibili tutti gli atti, un possibile
ricorso da parte della Croce rossa. Quanto alle preoccupazioni per il passaggio della gestione a uno
dei colossi dell’accoglienza, Grizzo rileva che la gestione dei grandi centri si è rivelata un
fallimento in tutta Italia. A commentare l’esito del bando è anche la lista civica Pordenone 1291:
«Siamo dispiaciuti - sottolinea Marco Salvador - per questo risultato, che conclude l’esperienza
davvero molto positiva della gestione dell’hub da parte della Croce rossa italiana. In attesa delle
verifiche del caso, certamente la possibile esclusione della Cri è una perdita per il territorio.
Ringraziamo il presidente Antonaglia per l’ottimo lavoro svolto, al quale ha affiancato anche il
supporto a coloro che, non avendo diritto all’ospitalità, dormono all’addiaccio. Ci auguriamo che la
nuova cooperativa, se confermata, prosegua il lavoro di gestione sul solco tracciato dalla Croce
rossa». Intanto ieri in Prefettura si è svolto un vertice sul caso dell’alloggio, al Dandolo di Maniago,
che era stato oggetto di tre denunce alla Procura per le condizioni igieniche e la presenza di topi,
mentre il Servizio di prevenzione dell’Aas5 ha annunciato un’indagine su tutte le strutture.
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