Applicant Aptitude Assessment
Transcript
Applicant Aptitude Assessment
Lilibeth di Morgana D. Baroque ~ Copyright ©2014 by Morgana D. Baroque Tutti i diritti riservati ~ Questo racconto è un prodotto dell'immaginazione dell'autrice. I personaggi e gli avvenimenti sono frutto di fantasia, tranne nel caso di figure storiche, luoghi ed eventi, che vengono utilizzati fittiziamente. Qualsiasi riferimento a persone o fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente casuale. ~ Quella sera il presidente della BW Software, Bennett Wandal, uscì dal suo ufficio e le persone in piedi nel corridoio applaudirono per congratularsi con lui dell'accordo stipulato quella mattina con la Krasnov Corporation. La Krasnov Corporation era una delle società più potenti del pianeta, guidata dal russo Sergey Yaroslav Yakovlevich Krasnov, chiamato la bestia del nord, uomo invischiato in innumerevoli affari loschi tanto da essere considerato più un criminale che un uomo d'affari; un criminale spaventosamente facoltoso ed influente. Tutti lo sapevano, ma nessuno osava ostacolarlo, perché chi ci provava faceva sempre una misteriosa e brutta fine. E mai che si trovasse una prova che potesse far risalire al signor Krasnov. Bennett Wandal sorrise con sufficienza, nel suo naturale modo di fare arrogante. Era un uomo alto, dai capelli e gli occhi castani; uno sguardo severo e cupo e un naso aquilino. Salutò tutti con un cenno della mano continuando a camminare spedito verso l'ascensore, seguito da due sue guardie del corpo e tre avvocati. Di sotto, nell'atrio del grattacielo, c'erano alcuni giornalisti che lo attendevano per fargli qualche domanda sull'accordo firmato quella mattina, ma lui si rifiutò di parlarne. «Niente domande, prego. L'unico commento è che siamo molto onorati e soddisfatti dell'accordo con la Krasnov Corporation.» continuavano a ripetere gli avvocati. Giunto fuori, Bennett Wandal, salì sulla limosine nera che l'accompagnò a casa, una bellissima villa in stile coloniale fuori città. Arrivatovi entrò in casa e anche le domestiche si congratularono con lui, il quale neppure rispose. Si diresse in sala da pranzo e vide che non era ancora stato apparecchiato. «Martha!» gridò nervoso. Subito una signora corpulenta e dall'andatura goffa arrivò di corsa. “Il signor 'cazzo' è tornato”, pensò Martha. «Sì, signor Wandal?» chiese la donna in tono gentile. «Dove cazzo è la mia cena?» chiese infatti Bennett. «Sua moglie ha apparecchiato in cucina, ha insistito perché fosse lei a preparare la cena, ha detto che voleva farle una sorpresa per festeggiare l'accordo con la Krasnov Corporation.» spiegò Martha. «Quanto volte ti ho detto di non permetterle di cucinare, cazzo!?» sbraitò nervoso Bennett. «Lo so, signore, ma lei ha insistito tanto a...» «Quella è più incapace di una capra! Qualsiasi cosa faccia è un disastro, cazzo!» «Signore, mi permetta di dirle che sua moglie è una donna deliziosa e molto gentile, è solo un po' incerta perché ha timore di sbagliare. Ma io premierei la sua buona volontà. È tanto cara e adora fare tutto per lei.» si azzardò a dire Martha, infastidita dalle accuse ingiuste di Bennett. «Sì, sì, come no. Vai va, torna a pulire i cessi. Ci penso io a quella cretina.» disse crudelmente l'uomo. Si allontanò e Martha gli mostrò il dito medio alle spalle. «Ingrato figlio di puttana.» borbottò Martha tornando goffamente di sopra. «Ha un angelo per moglie e la tratta a quel modo, lo stronzo. Un angelo che ama un diavolo, ecco cosa sono! Quanto vorrei che venisse un altro diavolo a portargliela via! Un diavolo più forte e cazzuto che dia una bella lezione a quel coglione!» Bennett aprì le porte scorrevoli dell'immensa cucina che si sviluppava tutt'attorno e vide che il grande tavolo di legno al centro era apparecchiato in maniera deliziosamente rustica. C'era anche un buon odore di soffritto, di verdure grigliate e di curry. Lilibeth, sua moglie, era ai fornelli a canticchiare e a girare le verdure nel wok. Era una giovane donna dai lunghi boccoli castani setosi e lucenti che ricadevano dolcemente sulla schiena; gli occhi erano due brillanti zaffiri scuri che esprimevano dolcezza. Indossava un paio di larghi pantaloni neri e una camicia bianca con sopra il grembiule per non sporcarsi. Era scalza, come sempre. Lilibeth adorava andare in giro scalza, mentre era una delle tante cose che faceva imbestialire Bennett. Un grosso cane nero anziano di nome Notte si aggirava per la cucina zoppicando vistosamente e Bennett storse il naso. «Quante cazzo di volte ti ho detto che questo cazzo di cane non lo voglio nella mia cazzo di cucina!?» gridò lui. Lilibeth si girò a guardare il marito con occhi sgranati dal timore: non si era ancora accorta della sua presenza. La donna chiamò dolcemente il cane e gli aprì la porta per farlo uscire in giardino; poi guardò il marito e gli sorrise docilmente. «Perdonami Bennett.» disse la sua voce soave come il soffio del vento primaverile. «“Perdonami Bennett, perdonami Bennett”, ma continui a farlo!» la rimproverò lui. Lei abbassò lo sguardo rimanendo in silenzio, sapendo che qualsiasi cosa avrebbe detto non avrebbe fatto altro che innervosirlo maggiormente. Quando Bennett arrivò da lei l'afferrò per i capelli e si chinò a baciarla ruvidamente, come la baciava sempre. Era un assalto violento, quasi un morderla. Lilibeth restò impassibile, così lui si allontanò e l'ammonì con lo sguardo, dandole poi uno schiaffo, sempre tenendole la testa ferma con l'altra mano. «Baciami.» le ordinò freddamente. Si chinò a baciarla ancora, ma anche questa volta lei non riuscì a ricambiare; allora lui le diede un altro schiaffo, più forte. «Baciami!» le ordinò scuotendole la testa. Lei singhiozzò e i suoi occhi color del cielo al crepuscolo si colmarono di lacrime. In uno slancio fece quello che faceva sempre quando aveva timore e voleva implorarlo di non farle male: si alzò sulla punta dei piedi e si abbracciò delicatamente a lui, posandogli la testa sulla spalla. «Ben, ti prego...», sussurrò. Bennett la spinse lontano e lei perse l'equilibrio cadendo a terra, guardando il marito con occhi spauriti. Bennett cominciò a camminare per la cucina buttando ogni tanto qualcosa dal tavolo: la saliera, le posate, i fiori che lei aveva posto in un vasetto di vetro, il vasetto di vetro... «Sono tuo marito, ho ogni diritto su di te! Stai diventando irrispettosa, devo forse conferire con gli anziani della nostra chiesa?» la minacciò Bennett. «Oh, no, ti prego Ben, no!» lo implorò Lilibeth. «Non ti stai comportando da moglie devota, lo capisci? Rientro e ti trovo scalza, ancora! Quando ti ho presa in moglie provenivi da un'umile famiglia di naramiti, timorati da Dio, e allora io ti ho chiesta in moglie, certo di avere tra le mani una pietra preziosa e invece...! Conosci bene le leggi della nostra religione, eppure ti comporti come una cagna randagia! Sono il presidente della BW, sono ricco da fare schifo, potrei ripudiarti e risposarmi senza problemi, mentre tu saresti marchiata per sempre come una peccatrice e allontanata da ogni naramita, lo sai questo!?» Lilibeth si rialzò in piedi e annuì a testa bassa, controllando il pianto silenzioso. «E allora perché continui ad essere... così!?» disse indicandola. «Continui a disobbedire alle leggi e continui a far girare per casa quel cane rognoso! Cretina! E continui a stringerti a me per chiedere scusa! Se vuoi chiedermi scusa devi cadere in ginocchio, così si chiese scusa! Vuoi chiedermi scusa?» Lei non alzò la testa e lui corse da lei per tirarle la testa indietro e guardarla in viso. Lilibeth si spaventò di quell'assalto e trattenne il respiro guardandolo con timore. «Allora, vuoi chiedermi scusa!?» le sbraitò in faccia Bennett. «S...sì...», balbettò Lilibeth. «Allora mettiti in ginocchio!» Così dicendo la spinse nuovamente sul pavimento. «Ecco così, brava. Vedi, è tanto difficile? Non mi sembra, no? Ora chiedi scusa.» «Scu... scusa...» «Non ho sentito.» «Scusa, Ben.» «Non ho sentito!» «Perdonami, Ben.» «Non ho sentito, cazzo!» Inaspettatamente, Lilibeth si alzò e corse di sopra, in camera da letto. Bennett le corse dietro. Entrambi arrivarono di corsa al piano di sopra, e Lilibeth andò a rannicchiarsi in un angolo di quella grandissima stanza da letto arredata in stile barocco, sulle tonalità di bianco e oro. Bennett entrò e richiuse la porta con un colpo forte. «Vieni subito qui, cazzo!» gridò indicando davanti ai suoi piedi con l'indice. «Ti prego... mi fai paura, Ben.» implorò Lilibeth tra le lacrime, nell'angolo opposto della stanza. Bennett socchiuse gli occhi guardandola. «E fai bene ad averne! Ora vieni subito qui!» Lilibeth scosse vigorosamente la testa e Bennett fece una smorfia di rabbia che gli trasformò il viso. «Vieni subito qui, maledetta puttana, è l'ultima volta che te lo dico!» Lilibeth piangeva di petto non nascondendo le lacrime copiose, mentre le sue spalle tremavano visibilmente. Bennett andò da lei e la prese per i capelli per poi trascinarla brutalmente verso il centro della stanza gridando insulti. «Signor Wandal?» chiamò un uomo da dietro la porta. «Che cazzo vuoi!?» sbraitò Bennett. «Mi perdoni, signore, ma di sotto c'è un'auto della Krasnov Corporation che l'attende.» Bennett impallidì. «Cosa?» chiese sconvolto. «Sì, un uomo della Krasnov ha chiesto di lei.» «E... e perché?» domandò Bennett col cuore che gli batteva forte. «Non saprei.» Bennett andò in fretta ad aprire. «Cosa... cosa vogliono?» chiese ancora l'uomo con l'intonazione di un bimbo spaventato. «Non lo so, signore, ma quelle persone è meglio non farle attendere.» Dieci minuti dopo, l'auto arancione e nera della Krasnov Corporation sfrecciava per le strade della città. Dentro c'erano Bennett – con in testa un cappuccio nero – e tre uomini vestiti in eleganti completi chiari, i quali non pronunciarono una sillaba per tutto il viaggio. Giunti a destinazione, due degli uomini presero Bennett per le braccia e lo condussero all'interno di un edificio, mentre il terzo camminava calmo davanti a loro. Bennett si ritrovò presto in una stanza fredda che odorava di muffa. Venne fatto sedere su una sedia di legno con i braccioli e ad essi gli legarono le braccia; le gambe glie le legarono invece belle larghe alle gambe della sedia. Appena gli tolsero il cappuccio Bennett notò l'uomo in piedi di fronte a lui che lo fissava severamente. Era Nikolay, segretario personale di Sergey Krasnov. Nikolay era un uomo di mezz'età con i capelli brizzolati e gli occhi nocciola, un uomo dallo sguardo fermo e deciso, ma che stranamente infondeva anche molta serenità. Non certo per Bennett che in quel momento non riusciva a provare un sentimento diverso dalla paura. Spostò infatti preoccupato lo sguardo sui due grossi dobermann ai lati dell'uomo brizzolato, due grossi cani muscolosi e ringhianti tenuti per la catena da due uomini incappucciati che nascosti nell'ombra quasi non si vedevano; dunque sembrava quasi che i due cani fossero due bestie appartenenti all'oscurità, un'oscurità che a malapena riusciva a trattenerle. «Signor Wandal», cominciò a dire Nikolay con un forte accento russo, «lasci che le presenti Veleno e Buio, i due cuccioli del signor Krasnov.» Bennett deglutì a vuoto, provando il desiderio di fuggire. «Sa, signor Wandal», ricominciò a dire Nikolay, «noi della Krasnov Corporation odiamo tante cose: i traditori, i bugiardi, gli stupidi col potere, il vino scadente, chi fa del male agli animali, chi parla durante i film e le catenine d'oro sul petto peloso.» Bennett aggrottò la fronte nel sentire quel discorso bizzarro, ma non disse nulla, era troppo spaventato per farlo. «Ma ci sono due cose», ricominciò a dire Nikolay facendo un gesto con la mano destra, «due cose che odiamo più di tutte queste messe assieme. E sono: chi non mantiene fede agli accordi, chi ci sottovaluta e chi ci corregge.» «Queste sono tre cose.» puntualizzò Bennett. I due uomini in piedi accanto a lui gli tirarono entrambi un pugno allo stomaco e Bennett si piegò in due dal dolore. Nikolay restò impassibile a guardarlo mentre i cani si agitavano e si alzavano sulle zampe posteriori, ringhiando e sbavando fissando Bennett, probabilmente eccitati dall'azione violenta compiuta dai due uomini accanto a lui. «“E chi ci corregge”, signor Wandal. Non era difficile capire che non avrebbe dovuto farlo, no? Ciò mostra quanto lei sia stupido. E questo la mette negli stupidi col potere della prima categoria. Male.» disse Nikolay. «Che cosa... volete da me?» chiese Bennett quasi senza voce. «Quello che era negli accordi, signor Wandal: il microchip.» affermò sereno Nikolay. Bennett mugolò di timore e chinò maggiormente il capo. «Mmh», iniziò a dire Nikolay scuotendo il capo, «questa sua reazione non promette niente di buono. Ma gli accordi erano chiari, signor Wandal: la Krasnov Corporation avrebbe stipulato quel contratto con lei avendo in cambio il microchip. Noi abbiamo tenuto fede alla nostra parola, come sempre facciamo, ed ora pretendiamo che lei faccia altrettanto. Allora, signor Wandal, il microchip?» «Io... non... non ce l'ho...», confessò Bennett. «Suppongo che intende dire che ancora non ce l'ha perché ha bisogno di più tempo per recuperarlo. Non è così, signor Wandal?» domandò Nikolay con accondiscendenza. «No, intendo dire che...» Bennett non riuscì a concludere la frase. «“Che”? Parli, signor Wandal, non ha nulla da temere.» disse Nikolay con un'intonazione che faceva presumere tutt'altro. «Non... non... non so dove sia. I miei uomini l'hanno cercato a lungo e non era dove avrebbe dovuto essere.» disse Bennett. «Dunque era come dicevo io: ha solo bisogno di più tempo per trovarlo, no?» «Sì.» rispose Bennett, ma dentro di sé sapeva che forse non avrebbe avuto mai modo di ritrovarlo. Ma si guardò bene dal dirlo. Al momento doveva solo tornare a casa. «Bene, allora non dovrà fare altro che recuperarlo. Quanto tempo crede le ci vorrà?» Bennett non rispose, allora i due uomini gli tirarono rudemente indietro la testa. «Io... non lo so.» disse infine Bennett. Nikolay allargò le narici: stava perdendo la pazienza. «Le conviene darci una scadenza e rispettarla, signor Wandal, se non vuole perdere tutto quello che ha, compresa la sua vita, se lo riterremo necessario.» lo minacciò Nikolay con calma spaventosa. Bennett cominciò a tremare visibilmente e i tre uomini scossero il capo disgustati. «Signor Wandal, la smetta di tremare in questo modo imbarazzante, non l'abbiamo neppure torturata ancora.» disse calmo Nikolay. «Vi prego...», implorò Bennett in un sussurro disperato, sentendosi solo e impaurito come mai lo era stato. Nikolay gli sorrise gentilmente. «È affascinante, non trova, signor Wandal? Nella mente umana non esiste tempo o spazio: basta spaventarci in maniera profonda per tornare ad essere bambini in preda alla paura, come fossimo stati abbandonati dai genitori in una foresta buia. Quello che ci ha ferito da piccoli continua a farlo anche dopo trent'anni, come se tutti quei decenni non fossero mai passati, come fossimo stati feriti ieri. Affascinante davvero. Molte volte ho visto uomini vicino alla morte tornare bambini imploranti. Ma mi perdoni, sto divagando. Mi dica, quando potremo avere ciò che vogliamo?» Bennett iniziò a piangere forte, singhiozzando come non aveva mai fatto. Nikolay fece un verso spazientito con la bocca. «Questo pianto cosa significa, signor Wandal?» disse in un sospiro infastidito. «Io... io non so quando potrò darvi ciò che volete.» riuscì a dire Bennett. Nikolay strinse forte le labbra assumendo un'espressione contrita. «Il signor Krasnov non ne sarà contento.» osservò Nikolay prendendo il telefono dalla giacca per chiamare il suo capo. Mise il vivavoce in modo che anche Bennett potesse sentire e parlare direttamente con lui. «Il mio microchip?» chiese la profonda voce maschile di Sergey Krasnov anch'egli con forte accento russo, appena rispose alla chiamata. «Buonasera, signore. Sono spiacente di informarla che il signor Wandal non è in possesso del microchip e che per il momento non sa quando potrà averlo.» lo informò Nikolay. Si sentì un grugnito nervoso e poi la voce di Sergey che ordinò: «Tagliategli le palle!» «No!» gridò Bennett. «Parliamone, d'accordo? Signor Krasnov ripagherò al danno che le ho arrecato, lo giuro! Le darò la mia casa, il mio conto in banca, le mie auto, tutto ciò che possiedo!» Nikolay aggrottò la fronte. «È forse idiota, signor Wandal?» mormorò rivolto a Bennett. «Sta offrendo denaro ad un uomo a cui non basterebbero tre vite per spendere ciò che guadagna?» «Non me ne faccio un cazzo dei tuoi ridicoli possedimenti!» sbraitò infatti Sergey nervoso. “Cosa le dicevo?”, sembrò dire Nikolay con gli occhi a Bennett. «Allora lavorerò per lei gratuitamente, per sempre se necessario!» riprese a dire forte Bennett verso il telefono. «Sarò il suo più fedele cane, mi arruoli tra i suoi fidati, per favore! La prego, signore, la prego!» Seguì un'interminabile istante di silenzio: Sergey stava riflettendo. «Voglio quel microchip, Bennett. Ti do tre mesi di tempo.» lo informò Sergey. Bennett fece un grandissimo sospiro di sollievo. «Oh, grazie! Grazie, signor Krasnov, grazie, grazie! Lei è davvero...» «Ma in questi tre mesi, per essere certo che non farai il furbo, mi prenderò tua moglie.» precisò Sergey facendo impallidire Bennett. «Co...cosa? No!» esclamò Bennett sconvolto. «Le palle.» ordinò ancora Sergey. Subito i due uomini ai lati presero delle grandi cesoie da chissà dove e Bennett gridò forte. I due dobermann tirarono la catena abbaiando forte, desiderosi di sbranarlo. «Aspetti, aspetti! Signor Krasnov, mia moglie non è come le altre donne, non le piacerebbe, siamo di religione naramita.» disse Bennett. «Che significa?» chiese Sergey. «Il Naramismo è una religione che conta pochi prescelti e soprattutto alle donne è richiesta una rigida disciplina. Essendo mia moglie naramita non le è permesso depilarsi, né lavarsi i capelli più di una volta a settimana, né tenerli sciolti ma solo legati in trecce; né le è permesso truccarsi o usare prodotti per la bellezza.» spiegò Bennett. «Merda...», mormorò Sergey disgustato. «Kolya», disse poi in russo, rivolto a Nikolay, «assicurati che si depili e si lavi prima di portarmela, non voglio scoparmi un ratto con le trecce.» «Da, sjer.» rispose Nikolay. «La prego, signor Krasnov, mia moglie è una buona donna, e anche se ribelle non merita di essere sottomessa ad un uomo che...» «Che cosa ha fatto da essere definita ribelle?» chiese Sergey curioso. «È che ultimamente sta mostrando vanità proibite, come quelle di possedere oli da bagno profumati e perfino un deodorante al profumo di fiori selvatici.» disse Bennett. «Nientemeno!» lo prese in giro Sergey. «Sì! Naturalmente non l'ho detto al consiglio degli anziani, altrimenti avrebbero preso dei seri provvedimenti nei suoi confronti.» «E cosa dirai al consiglio riguardo al fatto che l'hai data a Sergey Krasnov per essere la sua puttana?» chiese crudamente Sergey. «Terrò il segreto, ovviamente, altrimenti sarò costretto a ripudiarla.» «Quindi mi sembra di capire che a te non dà fastidio se me la scopo.» disse Sergey. «No, ma solo perché so che lei non godrà nel farlo, anzi, ne soffrirà, in quanto sarà sua schiava sessuale. Comunque è un sacrificio che sono pronto a fare.» disse Bennett con freddezza. «Che uomo coraggioso.» commentò Sergey disgustato. «Un'ultima cosa: c'è qualcosa che le è sessualmente proibito fare? Non saprei, se le chiedessi di succhiarmi l'uccello scapperebbe via gridando “il diavolo vuole violentarmi”?» «Il sesso orale è sporco e proibito per noi, perché non atto alla procreazione; ma sarà contro la sua volontà, quindi lo farà.» spiegò Bennett. «E vorrei vedere.» osservò Sergey. «In realtà è proibito qualsiasi atto che riconduce ad un puro piacere fisico e non al concepimento.» «Povera piccola, il sesso anale sarà per lei traumatico, allora.» disse Sergey. «Il sesso... cosa? No! Non quello, signore! Quello è un atto non solo impuro ma del diavolo!» esclamò Bennett. «Lo sapevo io.» borbottò Sergey. «Vi prego, signore, non quello! Fatele qualunque altra cosa, ma non quella! Neppure io potrei più accettarla come moglie dopo un simile abominio!» affermò Bennett quasi spaventato. «Problemi tuoi. Le farò tutto quello che vorrò, dove vorrò e come vorrò. Non ti offendi se te la restituisco un po' ammaccata, no? Altrimenti posso sempre tagliarti le palle. Cosa preferisci: che ti tagli le palle o che usi tua moglie come la mia cagna personale?» chiese Sergey. Bennett strinse le mascelle. «Allora?» lo spronò Sergey. «Mia moglie.» disse Bennett. «Ma che marito premuroso. Lasciatelo andare e portatemi sua moglie stasera stessa, portatela nella villa a Black-Aster. Bennett...?», lo chiamò Sergey e Bennett restò in ascolto col cuore in gola, «prega che la tua femmina sia di mio gradimento.» Detto ciò chiuse la telefonata e Bennett venne slegato. «È... è molto crudele?» chiese Bennett guardando Nikolay. «Chi, il signor Krasnov? Oh, no, è docile come un cucciolo! Signor Wandal, lei che dice? Perché crede venga chiamato la bestia del nord? Il signor Krasnov è spaventosamente crudele, ma può anche essere sopportabilmente violento se si fa come dice lui. Le consiglio di dire a sua moglie di obbedire ad ogni ordine del signore, se vuole che gli venga restituita che ancora cammina con le sue gambe.» Bennett deglutì e si lasciò mettere il cappuccio, pensando che in fondo era un bene che lui l'avesse sempre trattata male, era così abituata ad un uomo violento; anche se Sergey Krasnov sarebbe stato di certo un uomo immensamente più violento di lui. «Cosa?» chiese Lilibeth indietreggiando impaurita. Bennett andò a sedersi sul letto passandosi la mano tra i capelli. «Hai capito bene. Adesso vai, ti aspettano di sotto.» Lilibeth si guardò attorno e sorrise incredula. «Ben, stai dicendo sul serio?» «Beth, vai, cazzo, non farli innervosire maggiormente!» la rimproverò lui stringendo i pugni. Lilibeth iniziò a singhiozzare piano mentre il suo viso impallidiva spaventosamente. «Ti prego, Ben, non darmi a... lui!» lo implorò. «Non ho potere contrattuale, lo capisci!? Devo obbedire altrimenti mi tagliano le palle! E tu non vuoi che me le taglino, no? Tu vuoi avere figli un giorno, no?» Lei annuì e lui allargò le braccia. «Allora non vedo perché esitare! Scendi e ricorda di essere obbediente.» Lilibeth si riavvicinò a lui e gli cadde in ginocchio davanti, guardandolo con i suoi occhi blu lucidi di lacrime di paura. «Ben...», iniziò singhiozzando. «Non cominciare, Beth!» si lamentò lui alzandosi in piedi. «Sono gli accordi.» «Ben, mi stai dando in pasto a Sergey Krasnov! Alla bestia del nord! Come puoi farlo? Lo sanno tutti che è un criminale spietato! Ha le mani in tutto e riesce a controllare chiunque, quel mostro è libero di fare quello che più gli piace! Si dice che nei terreni delle sue proprietà ci siano seppellite più persone che nei cimiteri della città; si dice che dopo che le donne entrano nelle sue ville si perde traccia di loro; si dice che tenga i suoi due dobermann a digiuno per settimane, rinchiusi in celle buie e che li nutra con carne umana per addestrarli a sbranare i suoi nemici; si dice che schiavizzi donne bellissime, le quali devono sottostare agli ordini di lui e dei suoi uomini spietati. Ecco, è questa la fine che farò, Ben: sarò una puttana che lui userà non solo per sé – che già è spaventoso abbastanza! – ma anche per i suoi uomini senza cuore! Ti prego, non farmi questo, Ben, ti imploro!» Per tutta risposta Bennett andò ad aprire la porta, facendole cenno di uscire. «Da moglie devi obbedire a tuo marito senza possibilità di replica. Ricorda che sei stata cresciuta per essere mia moglie, la mia serva e la mia amante.» affermò Bennett asciutto. «Ma tu, come marito, hai il dovere di proteggermi...», tentò di dire Lilibeth. Bennett s'incupì. «Io cosa? Io non ho nessun dovere! Il mio dovere di marito è quello di nutrirti e darti una casa e non mi pare di mancare a questi miei doveri! Sei tu che stai mancando di rispetto ai tuoi doveri, cazzo! E ora vai, prima che mi arrabbi e ti ripudi come moglie! Vuoi che ti butti in mezzo ad una strada? È questo che vuoi?» la minacciò Bennett. Lilibeth andò singhiozzando alla porta. «Ben...», alitò guardandolo e toccandolo sul braccio. «Ho paura... ho paura che mi uccida...» «Non ti ucciderà, vuole solo tenerti come caparra. Semplicemente ti sbatterà e ti tratterà come una puttana, ma se sarai buona non ti farà troppo male. E io non dirò nulla a nessuno di quanto accaduto, così non dovrò ripudiarti. Ora vai, ti porteranno a depilarti le gambe prima di portarti da lui.» «Cosa? Ma è contro la...» «Va, è tardi.» disse Bennett dandole un bacio sulla fronte e spingendola piano fuori dalla stanza. Richiuse la porta e andò a buttarsi sul letto a fissare il soffitto. Allungò una mano e si toccò i testicoli, sospirando sollevato. ~ La splendida villa di Sergey Yaroslav Yakovlevich Krasnov era immersa nel bosco di Black-Aster ed era la dimora preferita dell'uomo. Sergey stava scendendo la scalinata interna di marmo bianco che portava al piano inferiore della villa. Due uomini in un completo bianco lo seguivano e per quanto grossi e minacciosi fossero non arrivavano ad avere la sua mole. Infatti Sergey era davvero molto alto e aveva una muscolatura impressionante. I suoi capelli erano neri e gli occhi di un verde scuro dai riflessi cangianti, a seconda della luce. Le sue labbra erano sempre tirate come in una smorfia di disprezzo e le sue grandi mani dalle venature scolpite erano due morse dalle quali era impossibile liberarsi. L'uomo indossava solo un paio di pantaloni bianchi di lino ed era scalzo, come lui amava essere quando era a casa. L'enorme salotto che stava attraversando era arredato con lunghi divani bianchi, tappeti di pelo sintetico, tanti specchi sulle pareti e anche sulle colonne attorno; era un locale abbellito da pregiate tende di broccato chiaro, lampadari di cristallo e varie sculture moderne. La parete sulla destra era un'unica grande vetrata dalla quale si poteva ammirare il giardino interno della villa, illuminato da tante luci soffuse. In quel momento gli innaffiatoi erano in funzione e i due grossi dobermann che tanto avevano spaventato Bennett, stavano ora giocando come due cuccioli allegri con l'acqua che veniva spruzzata in aria. Sergey si diresse all'immenso atrio della casa e lì gli andò incontro Nikolay. «Dov'è la mia nuova puttana?» chiese Sergey con voce ferma. Nikolay distolse lo sguardo e non rispose, allora Sergey fece una smorfia di nervosismo, in un gesto di delusione. «Merda. Dalla tua espressione suppongo sia brutta, non è così? Allora te la sbatti tu, Kolya!» disse rivolto a Nikolay. «No, Sergey, non è affatto brutta ed è tutto fuorché una “puttana”, te l'assicuro. È di una dolcezza disarmante e di una docilità che ti stordisce. Io e i ragazzi siamo stati toccati dal suo modo di fare.» confessò Nikolay. «I soliti coglioni. Falla entrare.» ordinò Sergey. Nikolay uscì e tornò un minuto dopo seguito dai due uomini e da Lilibeth. La ragazza indossava una lunga camicia da notte di cotone bianco col collo alto e le maniche lunghe. Era scalza e spettinata, ma era bellissima. Era anche molto spaurita. Si strinse le mani alle spalle e si guardò attorno tra lo stupito e l'intimorito. Sergey deglutì quando guardò quel viso angelico talmente delicato da fargli venire l'inusuale desiderio di accarezzarla. Guardò quel corpo che tremava impercettibilmente; ma tremava, lui lo vedeva. Gli occhi blu della ragazza lo guardarono per qualche istante, poi si abbassarono a guardare il pavimento. Nikolay e i due uomini che l'avevano accompagnata indietreggiarono fino alla porta d'entrata, come se temessero di dover assistere a qualcosa di spiacevole. Sergey avanzò da lei e Lilibeth non riuscì a stare al suo posto tanto era il timore, così indietreggiò fino al muro; sbatté contro la parete e Sergey la guardò strisciare lentamente a terra con la schiena, alzando su di lui due occhi lucidi dalla paura. Sergey la osservò: aveva il viso delicato e armonioso, la pelle di Luna, le labbra socchiuse, i capelli castani e brillanti, gli occhi due toccanti lapislazzuli che sembravano accarezzarlo e il corpo talmente fragile che lui si chiese se avrebbe potuto reggere alla sua foga animale. L'uomo piegò la testa di lato e corrugò la fronte prima di chiedere incredulo: «Questa è la moglie di Bennett?» «Sì.» confermò Nikolay. Sergey la fissò ancora a lungo, osservando ogni centimetro della ragazza. «L'ultima donna a cui ho visto indossare questa merda è stata mia nonna.» commentò Sergey. Lilibeth alzò ancora lo sguardo su Sergey e subito l'uomo in piedi al fianco destro di Sergey esclamò: «Chi ti ha dato il permesso di alzare lo sguardo sul capo, cagna!?» La ragazza sussultò ed abbassò la testa, mentre Sergey – senza neppure voltarsi – alzò il braccio per dare un colpo in faccia all'uomo che aveva parlato, il quale gridò sommessamente piegandosi in due dal dolore e coprendosi il volto con le mani. «Guardami.» ordinò la voce calma di Sergey e lei obbedì, guardando per un attimo il viso sanguinante dell'uomo a fianco a Sergey. «Come ti chiami?» chiese Sergey. «Li... libeth.» Nikolay emise un sospiro accompagnato da un "oh" di tenerezza, incantato da quella voce tremula e sussurrante. «Libeth, sarai la mia puttana, dovrai fare tutto ciò che ti ordinerò, perciò vedi di non farmi incazzare.» le disse Sergey. Lilibeth annuì vigorosamente. «Sarò buona... Ma è Lilibeth.» precisò lei. «Cosa?» chiese Sergey. «Il mio nome, è Lilibeth.» ripeté lei. Sergey la guardò socchiudendo gli occhi. «Non me ne frega un cazzo del tuo nome, tanto ti chiamerò “troia” e dovrai correre quando lo farò, hai capito!?» Lei emise un singulto e annuì chinando il capo e asciugandosi le lacrime con mano tremante. Sergey la guardò a lungo. “Non sembra sforzarsi di essere docile”, pensò l'uomo, “ma possibile che lo sia davvero così tanto?” Intanto l'uomo alla destra di Sergey aveva smesso di sanguinare e si stava faticosamente rialzando in piedi, tirando su col naso. Sergey osservò Lilibeth attentamente, immaginando il momento in cui l'avrebbe posseduta, e quel pensiero gli scaldò subito il sangue nelle vene. La immaginò nuda sotto di sé, tremante e arrendevole... «Alzati.» le ordinò. Lilibeth si alzò in piedi contorcendosi le mani mentre Sergey ammirava quel viso soave. “Che pelle liscia...”, pensò l'uomo. Sergey guardò Nikolay. «È obbediente.» osservò. Nikolay annuì. «O se lo è, signore! Infatti non l'abbiamo neppure dovuta legare in auto.» rivelò Nikolay. Sergey la guardò ancora a lungo. «Spogliati.» le ordinò. Lilibeth trasalì a quelle parole. Spogliarsi? Lì, adesso, davanti a tutti? Per lei mostrare la nudità era qualcosa non solo di proibito, ma soprattutto di traumatizzante. Guardò gli altri cinque uomini presenti e divenne leggermente rossa sulle guance; le si poteva ora leggere in volto tutto l'imbarazzo che provava nel doversi spogliare di fronte a quegli sconosciuti. Comunque non esitò troppo per non indispettire Sergey e con mani insicure tentò di abbassarsi la camicia da notte, ma non ci riuscì; allora cominciò a slacciarla dal petto con mani tremanti, ma dopo molto maneggiare con i lacci ancora non riusciva a denudarsi. Sergey s'innervosì e le puntò un dito contro esclamando: «Non ripeto mai un ordine due volte!» «C'è il nodo!» esclamò lei impaurita, affannandosi per scioglierlo, con occhi che si alzavano spesso su Sergey con sguardo preoccupato. Sergey abbassò subito la mano, sentendosi quasi in colpa di averla spaventata. Strano, mai nessuno era riuscito a farlo sentire colpevole di qualcosa. L'uomo la vide addirittura tentare di strappare la stoffa, ma senza riuscirci. Sergey guardò l'uomo alla sua destra, quello con naso sanguinante. «Zado.» disse chiamandolo per nome e facendogli cenno col capo di avvicinarsi alla ragazza. Zado andò da lei e l'afferrò violentemente per la gola per poi gridarle in faccia: «Spogliati!» Sergey allargò le narici e colpì Zado con un pugno al fianco con forza tale da farlo stramazzare al suolo con un urlo di dolore. «La mia richiesta era di aiutarla con il vestito, non di gridarle contro, coglione!» sbraitò Sergey. L'uomo alla sinistra di Sergey – che invece si chiamava Iade – scosse il capo guardando l'amico a terra e andò lui da Lilibeth; sfilò un pugnale preso da chissà dove e con una mossa veloce tagliò i lacci, sorridendole e accarezzandole il viso, tornando poi sereno al suo posto. Zado tornò, invece, mezzo strisciante accanto a Sergey, rimanendo seduto a terra, troppo dolorante per muoversi. Intanto Lilibeth lasciò cadere a terra la camicia da notte, restando solo con un paio di culottes bianche di cotone e un reggiseno anch'esso di cotone bianco, di quelli che davvero usava la nonna di Sergey. Girò il viso di lato, profondamente imbarazzata. Sergey, invece, restò impassibile, anche se le sue mascelle si serrarono forte; gesto che faceva sempre quando era stupito, piacevolmente stupito. Lilibeth aveva un corpo delizioso, delicato e setoso, col seno piccolo, la vita stretta, lo stomaco piatto. Gli altri cinque uomini chinarono il capo di lato, pendendo ridicolmente con il corpo per poterla ammirare meglio ed emettendo un "oh!" di compiacimento. Infine Sergey guardò Iade e gli fece un cenno col capo e Iade annuì e andò subito da Lilibeth; la prese in braccio e seguì Sergey, seguito a sua volta dagli altri quattro uomini. Arrivarono nel grande salone e Lilibeth si strinse contro Iade singhiozzando piano, provando tanto timore. Iade la strinse più forte e le sussurrò all'orecchio: «Non temere, andrà tutto bene se obbedirai al signor Krasnov.» Quelle parole ebbero l'effetto di rassicurarla, nonostante si rendesse conto che forse erano state dette solo per gentilezza. Iade la mise a terra sul grande tappeto peloso, poi andò a sedersi. Nei due divani messi uno di fronte all'altro presero posto Iade, Zado, Nikolay e gli altri due uomini. Tutti e cinque si misero comodi e restarono in silenzio a guardare Lilibeth. Sergey, invece, andò a sedersi su una grande poltrona bianca posta davanti alla ragazza. Con calma si versò da bere dal tavolino sulla sua sinistra; riempì un bicchiere squadrato di whisky iniziando a sorseggiarlo, tenendo gli occhi su Lilibeth e mettendola in profonda soggezione con quel suo sguardo inquisitore. La ragazza, infatti, abbassò la testa e chiuse gli occhi, desiderando essere altrove; ma stranamente non si sentiva in pericolo. “Sono mezzo nuda di fronte a sei uomini, tra cui uno tra i più pericolosi e potenti della nazione, in una villa di sua proprietà immersa nel suo bosco, eppure non sono spaventata a morte come dovrei. Perché?”, pensò stupita. «Lo sai cosa sei?» chiese l'imperiosa voce di Sergey distogliendola dai suoi pensieri. Lilibeth lo guardò intimidita, ma non rispose. «Non lo sai?» chiese Sergey in tono beffardo. «Come, non ti hanno detto cosa saresti diventata?» Le labbra rosee di Lilibeth tremolarono prima di rispondere: «La... la sua puttana, signor Krasnov?» Sergey fece un sorriso compiaciuto. «Brava.» E sorseggiò il suo whisky. «E sei pronta ad esserlo?» Lei si strinse nelle spalle e strofinò un ginocchio all'altro, come una bimba in preda al timore. «S...sì.» disse incerta. «Sì? Sicura? Dunque se ti ordinassi di levarti quelle mutande – che sono un'offesa a tutto il genere femminile – e di metterti nuda a quattro zampe e soddisfare i miei uomini lo faresti?» chiese Sergey, godendo di quel gioco crudele atto a spaventarla. Lilibeth singhiozzò forte ma si tappò subito la bocca con la mano, temendo di infastidirlo col suo pianto e questo colpì molto Sergey, e anche i cinque uomini presenti, i quali si scambiarono tutti un'occhiata complice. «Allora?» domandò Sergey. «Se... se mi rifiutassi, lei cosa... cosa mi farebbe?» chiese Lilibeth prendendo coraggio. I cinque uomini sui divani guardarono attentamente Sergey, curiosi di sentire la sua risposta. Sergey posò il bicchiere e la guardò serenamente. «Ti farei molto male.» rispose con naturalezza. I cinque uomini sul divano annuirono tra loro: sì, era quella la risposta che si aspettavano da lui. «Oh.» disse semplicemente Lilibeth, quasi come fosse sollevata. Sergey corrugò la fronte in un'espressione stupita. «Non sembri impaurita.» osservò l'uomo. Lilibeth gli sorrise docilmente alzando una spalla nuda e distogliendo lo sguardo da lui, ma senza perdere quel suo sorriso angelico e ammaliante. Sergey e i cinque uomini erano storditi da quella dolcezza spontanea e quel sorriso era veramente qualcosa di incredibile! Non era un sorriso fatto consapevolmente per addolcirlo, ma era un sorriso spontaneo che sarebbe riuscito ad accarezzare l'anima di chiunque. «Sono spaventata a morte», confessò Lilibeth in un soffio, «ma sono anche pronta a fare quello che vuole, signor Krasnov. Solo non... non mi uccida, la prego.» ansimò infine, abbassando gli occhi. Nikolay si trattenne dall'andare da lei e stringerla a sé in un gesto paterno. Sergey, invece, mosse le labbra dentro e fuori più volte, fissandola in silenzio, quasi come la stesse studiando. Sembrava non essere stato toccato da quelle parole, ma in realtà aveva avuto l'impressione che quella voce soave si fosse infranta contro di lui come un'onda violenta contro gli scogli. «Pronta a fare quello che voglio, eh?» chiese Sergey passandosi il dorso dell'indice sulle labbra serrate, osservandola attentamente. «Abbaia.» ordinò poi tranquillo. Lilibeth si contorse timidamente le dita. Sergey attese per qualche minuto, fissandola severamente. Lilibeth abbassò spesso lo sguardo sulle proprie mani, rialzandolo sul viso di Sergey e trovandoci sempre quell'espressione spaventosamente impassibile. Ma certamente non diceva sul serio, non poteva dire sul serio. «Mettiti in ginocchio e abbaia.» disse ancora Sergey scandendo bene l'ordine. «Non farglielo ripetere una terza volta, ti prego.» le disse Nikolay con tono calmo. Lilibeth si girò a guardare Nikolay e trovò l'uomo fissarla con sguardo affettuoso. «Obbedisci.» aggiunse piano l'uomo, addolcendo maggiormente lo sguardo, come se volesse implorarla di non fare innervosire Sergey, in modo da risparmiarsi dolore. Lilibeth deglutì e guardò nuovamente Sergey. I loro occhi sembrarono fondersi... Alla fine Lilibeth piegò le gambe e cadde in ginocchio sul tappeto, senza distogliere lo sguardo dal gigante vestito in bianco. «Bau!» disse la sua voce carezzevole. Sergey fece un mezzo sorriso compiaciuto mentre gli altri restarono stranamente seri. Lilibeth si era aspettata di essere derisa o di vederli quantomeno ridacchiare, invece restarono impassibili e allora Lilibeth comprese che non avrebbero mai riso di lei perché anche loro, nonostante potessero sembrare amici di Sergey, erano al servizio dell'uomo e quindi sapevano bene cosa significasse dover obbedire ad un suo ordine, anche al più bizzarro. «Bau!» “abbaiò” ancora Lilibeth. Sergey si mise più comodo, allargando meglio le gambe. «Brava cagnetta.» disse con voce roca, una voce che in un'altra circostanza le avrebbe fatto tutto un altro effetto. «Sei la mia cagnetta?» chiese l'uomo con lo stesso tono carezzevole. Lilibeth aprì la bocca per rispondere: “Sì, signore”, ma poi ci rifletté e decise di restare nel ruolo fino a quando lui non le avrebbe ordinato di smettere. Così rispose a quella domanda con un forte: «Bau bau!» I cinque uomini sui divani commentarono tra loro l'intelligenza della ragazza nell'aver capito di non rispondere con le parole. Nikolay la guardò con un caldo sorriso, come se fosse orgoglioso di lei. Ma quello più colpito di tutti era Sergey: tutte le donne a cui aveva ordinato di fare cose bizzarre avevano pianto supplicandolo di non farglielo fare. Invece lei... Sergey prese nuovamente il bicchiere e bevve un sorso. «Scodinzola.» ordinò adesso. Lilibeth si mise a quattro zampe e chiuse gli occhi per trattenere le lacrime d'imbarazzo, poi iniziò a muovere il sedere. Gli uomini sui divani mostrarono interesse a quei movimenti, tranne Nikolay, che ormai era chiaro vedesse la ragazza sotto una luce puramente affettiva. «Ma che brava cagnetta.» commentò Sergey sorridendo soddisfatto. Ma quella strana atmosfera venne rotta dall'arrivo di uno dei dobermann di Sergey che corse a montare Lilibeth come per accoppiarsi con lei. Subito i cinque uomini sui divani si alzarono per cacciarlo via, ma il cane ringhiò minacciosamente contro di loro e continuò a tentare di montare la ragazza, la quale gridava spaventata tentando di allontanarsi dall'animale. Zado e Iade lo tiravano per il collare per allontanarlo da lei, mentre Nikolay tentava di tirar via Lilibeth da sotto di lui. Sergey fece una simpatica espressione di insofferenza guardando quella scena grottesca, e si portò una mano agli occhi. I cinque uomini lottavano col cane, lo rimproveravano, si davano suggerimenti su come fare, si insultavano per le idee stupide che tiravano fuori e poi... Bang! Uno sparo riempì l'aria. Tutti e cinque gli uomini, Lilibeth, e persino il dobermann s'immobilizzarono e alzarono gli occhi su Sergey, il quale stava stringendo in mano un'elegante pistola nera e argentea, la prima pistola regalatagli da suo padre. «Veleno.» disse Sergey rivolto al cane, facendogli un cenno con la testa. Il dobermann comprese e obbedì, allontanandosi subito a testa china, trotterellando verso il giardino. Nikolay aiutò Lilibeth a rialzarsi e la osservò in volto, facendo un verso di disappunto quando vide il vistoso graffio sulla guancia sinistra della ragazza. «Quello stupido cane!» esclamò Nikolay accarezzando il viso di Lilibeth. Sergey posò la pistola sul tavolino e si avvicinò a lei. Tutti gli altri si allontanarono da Lilibeth, come dei predatori minori intimoriti dal predatore più feroce. Sergey si fermò davanti a lei e la fissò negli occhi. Lilibeth fece altrettanto, ma con sguardo completamente diverso; lo sguardo di un gattino impaurito che fissa dall'orso che ha di fronte. La ragazza abbassò lentamente gli occhi sulle grandi mani di Sergey, mani bellissime, le mani di un uomo forte, molto forte... Sergey la prese per la vita, la sollevò senza sforzo e se la mise in spalla, come fosse stata leggerissima, dirigendosi ai piani superiori, nella sua grande camera da letto. La camera da letto di Sergey Krasnov era esattamente come lui: imponente e bellissima. Era un'ampia stanza con il pavimento in marmo nero lucido, i muri erano specchi, il lampadario era una scultura di ferro battuto dalla forma navale, le rifiniture sembravano lavori in filigrana d'argento, i tessili della stanza erano scuri ed eleganti, i mobili squadrati e neri, il letto era a due piazze e mezza. Ma la cosa che fece battere forte il cuore di Lilibeth fu la gabbia cubica al centro della stanza, una gabbia dalle fini sbarre argentee e la copertina nera di velluto all'interno; ci poteva stare comodamente una donna messa a quattro zampe, oppure seduta. Sergey la portò nella sala da bagno della camera e la mise a terra sul morbido tappeto davanti a tre lavandini circolari di vetro nero. In fondo c'era una vasca circolare blu posta davanti alla vetrata che dava sul giardino interno. Lilibeth guardò la parete a specchio sopra i lavandini, guardò la sua immagine e quella di Sergey riflesse e rabbrividì nel guardare la differenza dei loro corpi: lui alto e massiccio, lei esile e tremante. Sergey frugò nel mobile e prese del disinfettante e del cotone, iniziando poi a disinfettarle il graffio sulla guancia. Lilibeth restò ferma col cuore che le batteva forte, così forte che ebbe il bizzarro timore che lui potesse sentirlo. «Smetti di tremare.» disse la voce calma di Sergey. Lilibeth tentò di controllarsi, ma non ci riuscì. «Mi perdoni, signor Krasnov ma è difficile non...» «E smettila di chiamarmi “signor Krasnov”!» disse lui seccato, sempre senza distogliere gli occhi dal graffio che stava curando. Lilibeth guardò quel viso mascolino concentrato su di lei e le venne lo strano desiderio di accarezzarlo. «Come... come la devo chiamare?» gli chiese in un soffio. Sergey fermò la mano e la fissò negli occhi, facendola stringere nelle spalle dal timore. «Padrone.» affermò serio. Lei lo guardò ancora per qualche secondo poi annuì. «Sì, Padro...» «Stavo scherzando. Per chi cazzo mi hai preso?» la interruppe lui. «Puoi darmi del tu, chiamami Sergey; ma solo in intimità, davanti agli altri chiamami signor Krasnov.» Lilibeth annuì e poi distolse lo sguardo più volte, sentendosi a disagio per la vicinanza con quell'uomo dalla stazza “opprimente”. «Capisco il tuo smarrimento», ricominciò a dire Sergey tornando a disinfettarla, «non ti saresti mai aspettata che uno come me potesse avere il senso dell'umorismo, nessuno se lo aspetta. Il fatto che io abbia senso dell'umorismo destabilizza tutti, e la cosa mi piace. Amo studiare le reazioni umane, soprattutto mi piace testare le persone, vedere fino a che punto possono arrivare per paura.» Si fermò ancora e la guardò a lungo. «E sono curioso di vedere fino a che punto sei disposta ad arrivare tu.» «Se... se vuoi», cominciò a dire lei, «te lo dico io fino a che punto mi posso spingere, non... non c'è bisogno di mettermi alla prova.» Quel parlare fece sorridere Sergey. «Ah sì? E fino a che punto saresti disposta a spingerti?» chiese lui. Lilibeth lo guardò negli occhi e Sergey sentì un calore dolce al petto. Strano... Nessuno era mai riuscito a fargli provare quella sensazione così piacevole solo con lo sguardo. «Fino al punto che reputerò necessario per preservare la mia vita. Sarò buona, sarò obbediente, farò tutto ciò che...», la dolce voce ora tremula di Lilibeth si smorzò e lei abbassò la testa per trattenere le lacrime. Sergey strinse forte le labbra, non capendo perché quell'arrendevolezza – che solitamente lui disprezzava e puniva – lo toccasse nel profondo. E infatti, per contrastare quella che lui considera una propria debolezza imperdonabile, tirò indietro le spalle e alzò velocemente il braccio per stringere il delicato collo di Lilibeth nella morsa della sua mano. La giovane donna socchiuse la bocca e allargò gli occhi, fissandolo ora con timore. Gli strinse le mani attorno al polso e chiuse gli occhi per qualche istante, poi li riaprì per fissare Sergey negli occhi. L'uomo fissava a sua volta quei bellissimi occhi blu; due occhi che esprimevano una naturale dolcezza d'animo; due occhi che lo supplicavano chiaramente di non farle male... «Non fare promesse che non puoi mantenere!» la rimproverò la grossa voce di Sergey. Lilibeth sussultò e alzò per un secondo le spalle in un gesto istintivo di timore. La forte mano di Sergey si strinse maggiormente attorno alla sua gola e Lilibeth deglutì vistosamente, mentre il suo respiro si faceva più frequente. «Non... non volevo farti arrabbiare, Sergey. Perdonami...», balbettò Lilibeth a fior di labbra, timorosa di farlo innervosire maggiormente. Sergey aggrottò la fronte nel sentire quelle parole pronunciate con sincera docilità, perché qualcosa lo toccò dentro, in un punto sconosciuto e questo lo disturbò oltremodo. Allora l'uomo reagì nel solo modo che conosceva: con la forza, con la violenza, con la minaccia. Strinse più forte la mano attorno al collo di Lilibeth e le labbra di lei tremolarono. Sergey fissava Lilibeth con mascelle serrate; Lilibeth fissava Sergey con occhi lucidi di lacrime calde di paura. Lilibeth sentiva quella mano sprigionare una forza incredibile, sentiva che avrebbe benissimo potuta ucciderla se avesse voluto. “Oh Dio, fa che non stringa di più! Potrebbe farlo anche senza volerlo, potrebbe non rendersi conto della sua forza su di me...”, era infatti il timoroso pensiero di Lilibeth. Sergey, intanto, l'attirò a sé e quella strattonata costrinse Lilibeth a mettersi in punta di piedi, ed ora le gambe della ragazza erano tese e quasi traballanti; e nonostante questo Sergey si chinò ancora un bel po' su di lei per ad averla ad un pelo dal suo viso. Quella loro differenza di altezza non rassicurava certo Lilibeth, anzi, la faceva sentire minacciata come fosse tra gli artigli di un predatore. «Tu», iniziò a dire Sergey in un sibilo, mostrando i suoi denti bianchi, «sei mia, è ovvio che posso farti qualsiasi cosa io voglia! Dunque, furbetta, smetti di atteggiarti da serva devota, perché non sai neppure quello che ti aspetta! Non voglio promesse e frasi leziose, voglio vedere i fatti, voglio vedere che obbedisci, hai capito?» Lilibeth inghiottì un singhiozzo e annuì con la testa, per quanto le fosse possibile muoverla. «S...sì, ho capito.» rispose con voce incerta. «Credi di riuscire a sopravvivere questi mesi?» chiese lui con un sorriso beffardo. Lilibeth chiuse gli occhi per qualche secondo. «Non... non lo so.» rispose, non riuscendo a trattenere una lacrima che le scivolò dall'occhio sinistro. Sergey la fissò ancora per qualche istante e poi la lasciò andare malamente e Lilibeth cadde a terra; restò seduta sul pavimento a guardarlo impaurita, toccandosi il collo, dove il segno rosso della mano di lui contrastava con la sua pelle candida. «Saprai presto quello che ti aspetta, perché questa notte voglio sbatterti come dico io. Non temere, sarò buono visto che è la tua prima volta con me e non te lo metterò dietro. Visto? Posso essere anche buono. Non fare quella faccia, so tutto della tua religione, ma non me ne frega un cazzo. Ora sei mia e farai ciò che piace a me.» Inaspettatamente per Lilibeth, Sergey le indicò in mezzo alle gambe. «Abbassa quelle oscene mutande.» le ordinò. Lilibeth deglutì e le abbassò un po', facendogli scuotere il capo. «Innanzitutto depilati la passera, non mi piacciono i boschi di peli. Qui c'è tutto l'occorrente per raderti completamente.» «Completamente?» domandò Lilibeth stupita. «Sì. Voglio vederti liscia e rosa. Tieni, indossa questo babydoll nero e gli slip e raggiungimi in camera.» disse tirandole addosso un babydoll cortissimo di tulle nero. «Niente tacchi, sono certo che saresti ridicola e non voglio vedere donne goffe, mi smorzano il piacere. A me piacciono le donne che sanno camminare disinvolte coi tacchi a spillo.» Lilibeth raccolse il babydoll da terra e lo fissò a lungo, poi le sfuggì dalle labbra un fievole: «Sono tra le mani del diavolo.» Sergey fece un sorriso estremamente compiaciuto, come se gli avesse appena fatto un grande complimento, poi uscì dalla stanza lasciandola sola. Lilibeth controllò il pianto e soprattutto il tremore, guardando il babydoll che aveva in mano e portandoselo al petto. “O Dio, ti supplico, dammi la forza di sopravvivere a questo mostro. Non so neppure se riuscirò a resistere questa notte tra le mani di questo diavolo che violerà il mio corpo, infangando la mia anima e dandomi il dolore e l'umiliazione più profonda della mia vita”, fu la sua supplica fatta col pensiero. Dieci minuti dopo, Lilibeth uscì dal bagno depilata e col babydoll addosso. Era bellissima. Era molto più femminile, anche se il suo camminare insicuro, nonostante scalza, toglieva un po' di quell'essenza. La camera da letto era illuminata con una luce calda per via delle tante candele accese sparse per la stanza e per le due abat-jour accanto al grande letto; c'erano anche degli strani cristalli che non aveva notato prima, i quali muovendosi appesi al soffitto riflettevano della delicata luce brillante per tutta la camera, creando un'atmosfera molto intima. Sergey era seduto su una grande poltrona nera, con le braccia sui braccioli, la schiena ben appoggiata allo schienale e le gambe larghe. Era nudo, ma tra le gambe aveva un asciugamano bianco che copriva la sua virilità. Lilibeth strinse le labbra nel guardare quel corpo colossale senza vestiti; il petto dell'uomo era massiccio da far paura, così come le sue grandi spalle e le braccia dai muscoli duri; ma le sue gambe erano la cosa più magnifica, in particolare quelle cosce marmoree. “Le sue cosce...”, si ritrovò a pensare Lilibeth. La ragazza restò ferma a contorcersi le mani, a dieci passi da lui, sotto lo sguardo indagatore dell'uomo. «In ginocchio.» le ordinò calmo Sergey e lei obbedì subito. «Vieni qui.» aggiunse l'uomo, volendola vedere gattonare e lei gattonò lentamente da lui. Sergey sembrava apprezzare molto i movimenti inconsapevolmente sensuali della ragazza, perché si portò il dorso dell'indice sulle labbra, cosa che faceva sempre ogni volta che tentava di controllarsi. Lilibeth giunse davanti a lui e restò in attesa e guardandola, Sergey sembrò perdersi in lontani pensieri. “È terrorizzata da me. Sta tremando al solo pensiero di quello che potrei farle. Questo è normale. Quello che non è normale è perché diavolo tutto ciò mi tocca il cuore invece di eccitarmi come dovrebbe!?”, si chiese lui stupito. «Baciami.» le ordinò. Lilibeth si sollevò sulle ginocchia avvicinandosi al suo viso, ma Sergey aggrottò la fronte scostandosi disgustato. «Cosa fai!? Intendevo baciami il cazzo!» sbraitò l'uomo. Lilibeth lo guardò mortificata, stringendosi nelle spalle. «Oh... scusami...», mormorò prima di rimettersi comoda in ginocchio. Cominciò a baciarlo dolcemente sulle cosce e Sergey restò piacevolmente stupito dei brividi che quelle labbra delicate gli davano. Quelle inusuali attenzioni gli piacquero. Invece di baciarlo subito sul membro lo stava baciando su tutte le cosce, forse per ritardare il momento in cui lo avrebbe preso in bocca, ma la cosa non gli dispiacque affatto. Le cosce erano una zona che fino a quel momento lui non aveva mai considerato erogena, eppure adesso – sotto le labbra calde di quella ragazza delicata – provava un piacere sublime. La verità era che nessuna donna lo aveva mai baciato con quella lentezza, con quella devozione; le donne che possedeva erano solitamente delle donne rampanti pronte a tutto, che però non mostravano segni di tenerezza, forse perché convinte che lui non avrebbe gradito. Infatti nessuna aveva mai fatto qualcosa di così riguardoso nei suoi confronti, e soprattutto di spontaneo. Le donne che possedeva non si donavano mai con abbandono, non erano rilassate né tantomeno spontanee nel loro agire. Questa donna, invece, lo stava stupendo non poco con quei baci delicati sulla pelle. La cosa che a Sergey piacque più di tutte fu che Lilibeth teneva gli occhi chiusi mentre lo baciava, come se volesse godere al meglio di quel momento. Lo baciava con dolcezza, senza fretta, senza preoccuparsi che lui potesse indispettirsi. Sergey si portò ancora la nocca dell'indice tra i denti mentre la guardava baciarlo quasi con venerazione. Che creatura delicata. Ma lo stupore aumentò quando lei gli strofinò piano la guancia sulla coscia e sospirò come estasiata, per poi ricominciare a baciarlo. Sergey fermò il mordere sul dito e restò a fissare attonito Lilibeth mentre il cuore gli batteva forte come mai aveva fatto. Quel sospiro... Che gesto meravigliosamente femminile, un gesto che gli fece fluire il sangue al membro, il quale s'inturgidì in pochi istanti. Dopo molti minuti di queste attenzioni delicate, Sergey prese la mano di Lilibeth e se la portò tra le gambe, sotto l'asciugamano e corrugò la fronte quando vide la faccia stranita di lei. «Cosa c'è?» chiese Sergey. «Niente, scusami.» rispose Lilibeth ritraendo la mano. «Quando faccio una domanda non voglio scuse, voglio risposte. Ho chiesto cosa c'è, sembra tu non abbia mai toccato un cazzo duro!» esclamò Sergey. Lilibeth abbassò la testa e non rispose e l'uomo cominciò a capire. «Porca puttana, non hai mai toccato un cazzo duro?» chiese Sergey. Lilibeth non rispose e allora lui le alzò il mento con due dita per poterla guardare in faccia. «Rispondi.» la spronò. «No... non l'ho mai toccato.» confessò Lilibeth. «Ma ci scopavi o no con Bennett!?» domandò Sergey incredulo. «Sì, ma...» «“Ma”?» «Ma non lo toccavo, mi penetrava e basta.» spiegò Lilibeth ad un attonito Sergey. L'uomo scosse il capo, ridacchiando ma affatto divertito. «Ti rifarai con me, non temere.» le disse, prima di scostare l'asciugamano scoprendo il suo grosso membro. Lilibeth restò per quasi un minuto a fissare a bocca socchiusa quella verga fiera e marmorea che si ergeva fino a toccare lo stomaco dell'uomo. «Apri la bocca.» disse lui, ma Lilibeth alzò gli occhi su di lui e iniziò a scuotere piano il capo. «Non... non posso, è una cosa... sporca.» balbettò, e un istante dopo gattonò lontano, restando a guardare Sergey. L'uomo la fissò negli occhi rimanendo al suo posto. «Conto fino a due», disse finalmente lui con estrema e spaventosa calma, «dopodiché vengo a prenderti e – credimi – rimpiangerai amaramente di avermi fatto alzare.» Ma Lilibeth restò al suo posto. L'uomo gigantesco la guardò con rimprovero, ma non con odio, come si sarebbe aspettata. Non le aveva gridato contro, non l'aveva insultata, come avrebbe fatto Bennett; era rimasto seduto tranquillo a parlarle calmo, anche se persino da calmo era minaccioso da far paura. «Uno...», cominciò a contare Sergey. «No, ti prego! Va bene, va bene, aspetta!» esclamò lei gattonando subito nuovamente verso di lui con una velocità che lo fece quasi sorridere. Sergey si mise comodo e Lilibeth restò a fissare quella verga dalle bellissime venature, proprio come le sue mani forti. Si mise seduta più comoda sui talloni, restando in ginocchio, poi si avvicinò e afferrò gentilmente quel pene grosso dalla radice e trasalì quando ne sentì la durezza marmorea e soprattutto quando vide che le sue dita neppure riuscivano a toccarsi. Guardò Sergey negli occhi e socchiuse le labbra per poi prendere in bocca per metà il suo membro. Cominciò a succhiare piano, stupendosi del buon sapore di quella mascolinità turgida. Alzò gli occhi su Sergey come per assicurarsi che quello che stava facendo fosse di suo gradimento e Sergey la stupì quando allungò una mano per sfiorarle la guancia. «Brava.» le disse roco. Lilibeth rimase immobile, tenendolo in bocca. Coraggiosamente si allontanò dal membro continuando a fissare Sergey. «Brava?» chiese incredula. Sergey le sfiorò un ciuffo castano e setoso vicino alla guancia. «Sì. Sei brava perché nonostante il timore obbedisci, risparmiandomi stupide implorazioni. E brava anche perché succhi proprio bene. Prendilo in bocca e continua.» le disse tranquillo. Lilibeth lo prese nuovamente in bocca con più sicurezza, sentendosi più tranquilla e stranamente più in confidenza con quel colosso che fino a poco prima le incuteva una paura incontrollabile. Si mise più sollevata con le gambe e iniziò a muovere la testa su e giù stringendo la bocca ritmicamente e muovendo la lingua sul frenulo. Sergey buttò indietro la testa artigliando i braccioli della poltrona e contraendo lo stomaco. Lilibeth mugolò nel vederlo così eccitato e continuò con più passione. Sergey tornò a guardarla e lei fece lo stesso. Si fissarono negli occhi: quelli intensi e lucidi di piacere di lui e quelli dolci e maliziosi di lei. Ma successe qualcosa... Lilibeth si allontanò un secondo da lui per sorridergli dolcemente. Sergey rimase stordito nel guardare quell'inaspettato e dolcissimo sorriso, un sorriso che lo toccò profondamente. Ma Lilibeth divenne subito seria, rendendosi conto di averlo fatto ancora, di aver fatto ciò per cui Bennett l'aveva sempre rimproverata e spesso anche punita. Si scostò da Sergey tenendo gli occhi bassi. «Non... non volevo sorridere, scusami, non succederà più.» mormorò intimidita. Sergey le sollevò gentilmente il viso con un dito e la guardò dritta negli occhi, penetrandola con quello sguardo scrutatore. Lilibeth socchiuse la bocca quando il pollice di lui le sfiorò dolcemente le labbra. «Perché chiedi scusa? Trovo delizioso che mi sorridi mentre lo succhi.» le disse calmo. Lilibeth chiuse gli occhi quando la grande mano dell'uomo si posò sulla sua guancia, coprendole tutto il lato del viso. Oh, che calore piacevole! Che sensazione di... protezione. Sì, proprio lui, che per Lilibeth era la persona più spaventosa con la quale essere in compagnia, le stava donando una sensazione piacevole. Quante volte in quella circostanza aveva temuto la mano di suo marito... Sergey le infilò piano il pollice in bocca e restò in attesa, fissando quella bocca calda; l'uomo non disse nulla, rimase col dito nella bocca di Lilibeth, la quale comprese cosa lui le stesse chiedendo e cominciò a succhiarglielo. Sergey mugolò soddisfatto, muovendo il dito dentro e fuori, mentre con l'altra mano strinse forte il membro iniziando a muoverla lentamente su e giù. La visione di lui che si masturbava ebbe su Lilibeth un effetto inaspettato: provò un piacere fisico che non conosceva. Era sempre stato un suo sogno segreto quello di poter guardare un uomo che si masturbava davanti a lei e vederlo fare a Sergey Krasnov era qualcosa di incredibile! Succhiò ancora il dito di lui guardando quella forte mano che si muoveva con forza sempre maggiore sul membro rigido. Sergey le sfilò il pollice dalla bocca e l'afferrò fermamente per i capelli, con l'altra mano prese la sua verga dalla radice e le spinse piano la testa verso di essa. «Apri la bocca e succhiami forte, zaychik.» le disse roco. Lilibeth si chiese cosa mai significasse zaychik, ma suppose fosse un modo volgare di chiamarla in russo. Aprì la bocca e lo accolse con un mugolio di piacere, succhiando forte e fissandolo negli occhi. Sergey divenne leggermente rosso in volto, il suo stomaco si contrasse e i suoi occhi brillarono di desiderio. Le spingeva ritmicamente la testa sul membro, facendola muovere secondo il suo piacere e dicendole in maniera esplicita quanto fosse brava nell'usare la bocca. Lilibeth si stupì di trovare estremamente eccitanti parole che fino al giorno prima avrebbe invece trovato disgustose e addirittura offensive. Ma con quest'uomo tutto aveva un altro sapore. Tutto sapeva di complicità, di naturalezza. Ecco, le sembrava che non esistesse più niente di sporco, ma solo di proibito, di gustosamente proibito. Sergey si sentì presto sul punto di godere e questo lo turbò non poco, visto che solitamente possedeva un grande autocontrollo. Allontanò Lilibeth da sé ed entrambi restarono ansimanti a fissarsi negli occhi. L'uomo si alzò in piedi e la se la mise in spalla, andando deciso verso il letto; la buttò sopra con poca gentilezza e le strappò di dosso le mutandine e Lilibeth sentì il cuore sul punto di esplodere sapendo che adesso l'avrebbe posseduta selvaggiamente. Ma Sergey la stupì quando si sdraiò comodamente supino tra i cuscini e la prese per la vita facendola sedere cavalcioni sul suo petto. Lilibeth restò un attimo interdetta, abbassò la testa per guardarlo stupita e Sergey capì che la ragazza non aveva idea di quello che lui voleva fare. «Siediti sulla mia faccia, zaychik, voglio leccarti.» le disse Sergey. A quelle parole Lilibeth sussultò e tentò di rialzarsi da lui, ma le mani dell'uomo la tennero saldamente per i fianchi. «No, Sergey, è... è...», balbettò titubante Lilibeth sentendosi strana per il calore tra le gambe dovuto al contatto con la pelle calda dell'uomo, «è una cosa... impura...» «Chi lo dice?» chiese Sergey corrugando la fronte. «La mia religione.» rispose Lilibeth. «Sei nella mia dimora adesso, piccola, e qui vige una sola religione: la mia. Qui comando io e si fa solo quello che dico io. Hai capito?» le chiese stringendo le mani sulla sua pelle morbida. «Perdonami, Sergey, ma ciò che dici è... è una cosa blasfema e io non intendo... Oh!» Lilibeth rimase a bocca aperta e senza fiato quando Sergey la sollevò per le natiche e la spinse sulla sua faccia, cominciando a baciarla con trasporto tra le gambe. Era la prima volta che Lilibeth sentiva la bocca di un uomo sulla sua femminilità e la cosa la fece quasi piangere d'imbarazzo, ma al contempo le procurò un calore crescente allo stomaco e al petto. Abbassò timidamente gli occhi su quello che Sergey stava facendo e incrociò lo sguardo intenso dell'uomo intento a baciarla con la lingua su tutte le labbra, sul clitoride e persino all'entrata della sua femminilità. Lilibeth deglutì a vuoto e si costrinse mentalmente a distogliere gli occhi da quelli dell'uomo, ma non vi riuscì; era come incantata a guardarlo leccarla con tale passione da stupirla. Lo faceva con foga, ma senza goffaggine o frettolosità, era una foga controllata, come la fame di uno che sta sbranando qualcosa di gustoso. E proprio quella era la cosa che più stordiva Lilibeth: che a lui piaceva da morire quello che stava facendo. Sergey emise qualche mugolio gutturale di apprezzamento e da come la teneva ferma e seduta su di lui era chiaro che non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Lilibeth sentì la testa leggera e dovette chiudere gli occhi; sospirò più volte e cominciò ad ansimare sommessamente; allungò le mani davanti a lei e le strinse attorno alla testata in ferro battuto del letto. «Oh...», alitò buttando la testa indietro e sedendosi meglio su di lui. Sergey si eccitò maggiormente nel vederla godersi quelle attenzioni sconosciute e socchiuse gli occhi guardandola. Era bellissima, era bellissima ed inconsapevole di esserlo e questo la rendeva ancora più affascinante, quasi ammaliante; anzi, decisamente ammaliante. Quasi senza rendersene conto, Lilibeth cominciò a muoversi sulla bocca di Sergey e lui allungò la mano afferrandosi la verga e iniziando a masturbarsi per assecondare quell'estrema eccitazione che bruciava in lui. Lilibeth si rese conto di muoversi su di lui e abbassò lo sguardo, fissandolo con labbra socchiuse. Guardò l'uomo “mangiarla” con piacere, mugolando soddisfatto e muovendo la mano sul suo membro e questo la fece sentire strana, piacevolmente strana. Non riusciva a credere che quell'uomo che le stava donando quel piacere immenso fosse Sergey Krasnov, la bestia del nord! Dopo molti minuti Sergey l'allontanò gentilmente da sé facendola rotolare su un fianco e tirandola verso di lui da dietro, in modo che la schiena di Lilibeth aderisse al suo petto. Sergey le sollevò la coscia e strusciò il suo membro duro tra le sue labbra bagnate. «No... Sergey, ti prego, non così, non come gli animali. Un uomo e una donna si guardano negli occhi.» disse Lilibeth timidamente. Sergey rimase interdetto per qualche secondo e poi annuì. «E sia.» Scese deciso dal letto, andò da lei e la prese in braccio; la portò davanti al grande comò sul quale c'era un'enorme specchiera e la mise a terra, facendola piegare in avanti. Lilibeth si tenne con le mani al bordo del comò, mentre dietro di lei Sergey le tirò piano la testa indietro e la baciò sul collo. Entrambi fissavano lo specchio, nel quale i loro sguardi si fondevano. «Così va bene?» chiese Sergey con voce roca. Lilibeth chiuse gli occhi e trattenne il respiro nel sentire le labbra dell'uomo sulla pelle. «Sei... crudele...», si lamentò Lilibeth riaprendo gli occhi e rivelando uno sguardo lascivo e lucido di piacere. «E tu sei bellissima.» disse Sergey toccandola tra le gambe prima di cominciare a penetrarla lentamente col suo membro marmoreo. Lilibeth socchiuse la bocca e trattenne il respiro, stringendo forte le mani sul comò, certa che da un momento all'altro lui l'avrebbe posseduta con foga animale. Ma per il momento Sergey non mostrava alcuna intenzione di possederla selvaggiamente, era intento a godersi ogni singola lenta e sempre più profonda spinta in lei. Lilibeth lo vide chiudere gli occhi e lo udì mormorare qualcosa in russo. «Sei così calda.» disse qualche istante dopo in un sussurro eccitato. Continuò a spingersi in lei con ritmo costante, anche se tremendamente intenso. Lilibeth guardava nello specchio il suo seno sobbalzare ad ogni spinta e trovò la cosa molto erotica. Quel seno che sempre era stato ignorato da suo marito e che lei, invece, aveva sempre stimolato quando in solitudine si toccava nell'eccitazione. La masturbazione era peccato per la loro setta e lei si sentiva infinitamente sporca ogni volta che cadeva in tentazione. Pregava per giorni interi, temendo di bruciare all'inferno per il peccato impuro commesso. Spesso riusciva a cacciare la tentazione, ma qualche volta era più forte di lei... «Toccati.» le ordinò Sergey. A proposito di tentazione. Tra le mani di Sergey sentiva di essere nelle mani del demone del peccato! “È contro la mia volontà, è un sacrificio che da moglie faccio per mio marito”, pensò Lilibeth. Ma dentro di sé cominciava a nascere qualcosa di inaspettato: un piacere sottile e caldo, un piacere che non aveva il sapore dell'errore. Ecco: era come se sentisse che quello che stava facendo con Sergey fosse giusto; si rendeva conto di quanto tutto ciò fosse assurdo, ma era così. Allungò una mano tra le proprie gambe e cominciò a toccarsi sul clitoride, sentendo quelle piacevolissime onde di piacere increspare tutta la sua pelle calda. Il corpo gigantesco di Sergey dietro di lei, il suo odore mascolino, il suo respiro irregolare, le sue spinte crescenti, il suo sguardo felino, tutto di lui era magnifico! Lilibeth chiuse gli occhi e mosse la mano più velocemente, iniziando ad ansimare forte. Sergey si rese conto che il piacere più puro stava prendendo possesso di lei e la cosa gli piacque parecchio. L'uomo aumentò la profondità delle sue spinte tanto da farla sussultare ad ogni colpo. Si guardarono negli occhi allo specchio ed entrambi compresero che stavano per perdere il controllo. Ed infatti fu quello che accadde, che squisitamente accadde, che violentemente accadde. Sergey si allontanò da lei e la trascinò nuovamente sul letto, buttandola sopra con forza; si sdraiò su di lei, pesante e caldo; Lilibeth piegò le gambe e glie le strinse attorno alle cosce, ansimando un emozionato: «Ti prego...» Sergey esaudì quella supplica e la penetrò come una pugnalata, facendole inarcare la schiena. Iniziò a muoversi dentro di lei in un ritmo serrato, guardandola negli occhi. Lilibeth aprì la bocca e lasciò che il suo piacere si esprimesse con dei lunghi e acuti mugolii, mentre i suoi occhi blu e colmi di lacrime di godimento fissavano il volto arrossato di Sergey. L'uomo incalzò le spinte e Lilibeth si avvinghiò strettamente a lui, artigliandogli le spalle dure. «Oh, Sergey! Sì, sì, sì, ti prego!» gridò lei prossima all'orgasmo. Sergey venne colpito in pieno petto da quel donarsi sincero della ragazza. E poi era così dannatamente bella! Si chinò su di lei nascondendo il volto sul suo lato del viso, concentrandosi sul piacere che cresceva in lui in maniera incontrollabile. Poche volte in vita sua aveva provato quelle emozioni. Ed era strano, perché l'amplesso con Lilibeth non era stato neppure troppo curato e i preliminari erano stati pressoché assenti; e poi lei non era stata di certo ammiccante o invitante come le altre donne con cui solitamente faceva sesso; eppure quel breve tempo con lei gli aveva fatto perdere completamente il controllo come mai gli era successo. Era sul punto di godere, gli sarebbero bastate nemmeno una decina di spinte. E fu allora che si fermò. Lilibeth lo guardò stupita. Sergey si sedette comodo tra le gambe di lei e la penetrò con due dita, che cominciò a muovere con decisione. «Ah! No...», ansimò Lilibeth portandosi le mani tra le gambe. Sergey glie le allontanò e continuò imperterrito a penetrarla velocemente. «Sergey...», stridette Lilibeth inarcando la schiena, «perché?» «Perché voglio vederti godere.» rispose lui nell'affanno del piacere. E quanto gli piaceva penetrarla con le dita, guardare la sua femminilità depilata e liscia tutta arrossata dalla foga del sesso. Cominciò a muovere il pollice dell'altra mano sopra il clitoride, senza fermare le sue dita decise. Lilibeth girò il viso di lato, borbottò qualcosa, ansimò, stridette ancora, strinse le lenzuola con le mani e le sue cosce tremarono. «Dai, piccola, vieni! Fai vedere al terribile Sergey Krasnov quanto ti piace essere penetrata fino in fondo. Oh sì, così, bagnati tutta, da brava. Fammi vedere come godi.» la spronò Sergey con voce roca, mentre il suo membro duro pulsava per il bisogno di entrare in lei. Lilibeth mosse il bacino verso di lui e s'irrigidì tutta, trattenendo il respiro per qualche istante prima di gridare di piacere. «Oh sì!» commentò Sergey sorridendo soddisfatto. Mentre il corpo di Lilibeth era ancora scosso dall'orgasmo, Sergey fece scivolare fuori le sue dita e la penetrò a fondo con la sua mascolinità, liberando la sua foga animale. Si spinse in lei in maniera animale per qualche minuto prima di raggiungere il piacere più sublime con dei grugniti profondi. Uscì da Lilibeth un secondo prima dell'orgasmo e lasciò che il suo liquido caldo la bagnasse sullo stomaco e sul petto. Lilibeth rimase incantata nel guardare quella verga pulsante emettere un getto così potente da raggiungerla persino sulla guancia. Sergey la guardò con sguardo strano, poi rotolò di fianco portandosi un braccio sugli occhi e Lilibeth sentì così tanto la distanza dell'uomo che non ebbe il coraggio di guardarlo in volto. Sergey si alzò e andò calmo al bagno a farsi una doccia e Lilibeth si sedette sul letto, indecisa su cosa fare. Si guardò e si ripulì dello sperma di Sergey con dei fazzoletti presi dal comodino; indossò nuovamente il babydoll e raggiunse l'uomo nella sala da bagno. La doccia era in una stanza adiacente alla sala da bagno ed era grande quanto una piccola camera. Era una stanza di marmo bianco con al centro quattro pareti di vetro dentro le quali c'erano tre quadrati argentei di getto che cadeva dal soffitto. Sergey era dentro, già sotto il getto centrale, guardò Lilibeth e strinse le labbra. «Cosa vuoi?» le chiese. Lilibeth distolse lo sguardo sentendosi in profondo imbarazzo e desiderando fuggire. Si era forse dimenticata quello che era per lui? Fare la doccia insieme a lui, che idea sciocca! «Niente, scusa.» rispose timidamente prima di girare le spalle e andarsene. «Lilibeth.» la chiamò prima che uscisse. Lei si girò a guardarlo e lui aggiunse: «Non voglio trovarti in camera quando esco dalla doccia, va a dormire nella stanza accanto, anche lì hai a disposizione una sala da bagno tutta per te.» Lilibeth si sentì stranamente triste a quelle parole. Avrebbe dovuto essere felice di non passare troppo tempo con quell'uomo, invece si ritrovò a desiderare di dormire accanto a lui, magari stretta al suo corpo caldo. «S...sì. Buonanotte.» disse lei accennando un sorriso e uscendo dal bagno. Quando Sergey si ritrovò solo serrò forte le mascelle ed emise un ringhio potente. Era stordito, confuso, quasi spaventato. Non capiva il perché di quelle sensazioni così devastanti. O forse sì e le negava a se stesso... ~ Nelle due settimane seguenti la “procedura” da parte di Sergey fu la stessa. Faceva sesso con lei e l'abbandonava subito dopo, con freddezza fastidiosa. A volte la usava senza neppure rivolgerle la parola, soprattutto quando la prendeva di giorno, magari impegnato nei suoi affari. La faceva chiamare mentre lui era nel suo studio al telefono con qualche pezzo grosso e lei lo doveva soddisfare con la bocca; e durante il tempo in cui Lilibeth era in ginocchio tra le sue grosse gambe a soddisfarlo, lui la fissava intensamente, accarezzandole la testa e il viso. Era gentile nei gesti e questo la confondeva, e le faceva battere a mille il cuore! Però poi, una volta soddisfatto, tornava freddo e distante. Oltretutto Lilibeth lo vedeva poco perché era sempre impegnato con i suoi affari ed era proprio vero che erano loschi, perché spesso venivano a conferire con lui degli uomini che tutto erano tranne uomini d'affari, di affari puliti perlomeno. Spesso Sergey usciva la sera e stava via anche tutta la notte e Lilibeth sapeva che era in compagnia di altre donne, a volte anche più di una. Una sera aveva sentito delle risate femminili provenire dallo studio di Sergey ed era andata a vedere di nascosto: lui era seduto sul divano davanti al camino a bere il suo vino e davanti a lui tre donne bellissime e in lingerie ballavano e si toccavano intimamente. Lilibeth era corsa di sopra in camera sua a vomitare. Perché poi? Perché stava male per lui? Lei era sposata, doveva pensare solo a tornare da suo marito! E doveva essere felice che lui si distraeva anche con altre donne. Anche se in realtà lei amava essere presa da lui. Sì, amava essere sua e la passione con la quale la prendeva, la premura con la quale la faceva godere, l'intensità con la quale la guardava la facevano tremare d'emozione. E ancora non l'aveva presa dietro, come a lui piaceva. La sera che aveva vomitato, Nikolay era andato da lei perché l'aveva sentita rimettere e l'aveva consolata con affetto, come faceva sempre. Lilibeth aveva trovato in Nikolay quasi un padre, pronto a farla sorridere, a distrarla e soprattutto a rassicurarla. E Nikolay le aveva anche rivelato cosa significava zaychik, il nomignolo col quale Sergey la chiamava in intimità. Significava “coniglietto”. Lilibeth aveva sorriso: era il coniglietto di Sergey, la cosa le piaceva. In quella villa stava bene. Sergey le aveva anche permesso di portare Notte, il cane nero che Lilibeth aveva in casa, il quale rinacque a nuova vita giocando libero tutto il giorno con Veleno e Buio. Sergey, invece, aveva scoperto una cosa su Lilibeth che non si sarebbe aspettato: aveva scoperto che era bravissima a disegnare abiti, proprio come facevano i veri stilisti, e che ne aveva creati parecchi nel corso degli anni, senza mai mostrarli a nessuno. Era rimasto sinceramente impressionato dalla sua bravura e le disse che non c'era affatto niente di male nel farlo, visto che lei si vergognava in quanto cosa proibita dalla sua setta. Era da due settimane nella villa a Black-Aster. Sarebbe cambiato qualcosa? Qualche giorno dopo Lilibeth era nel parco privato a disegnare i suoi abiti sdraiata sulla poltrona di bambù con i tre cani che giocavano poco distanti da lei. Era una giornata talmente calda da sembrare quasi primaverile. Lilibeth era scalza, ma indossava un delizioso abito corto di chiffon verde chiaro regalatole da Sergey. Nikolay la andò a chiamare dicendo che proprio Sergey la stava attendendo nella sua camera da letto. Lilibeth lasciò il suo libro coi figurini e corse nella villa, dirigendosi di sopra. Bussò alla porta di Sergey e lui l'aprì, facendole un cenno con la testa di entrare. Lilibeth entrò e andò accanto al letto, cominciando a spogliarsi. Quando Sergey la vide denudarsi provò un calore allo stomaco. Andò da lei e le mise le mani sulle spalle nude. «No. Non ti ho fatta chiamare per quello.» le disse dolcemente. «Oh.» si limitò a dire lei. Sergey le lasciò andare le spalle e lei si rivestì, guardandolo negli occhi e attendendo di sentire la vera ragione per la quale l'aveva fatta chiamare. «Stasera ci sarà una serata di gala molto importante e voglio che vieni con me.» disse Sergey. «Oh!» esclamò ancora Lilibeth. Sergey corrugò la fronte quando la vide abbassare lo sguardo. «Cosa c'è?» le chiese. «Ti prego, no... non mi va di essere presentata come...», Lilibeth non riuscì a finire la frase e lui allargò le narici, come fosse stato offeso da quelle parole. «Non ti va di essere presentata come la mia puttana? È questo che volevi dire?» le chiese Sergey prima di afferrarla per la gola facendole sollevare la testa. «E guardami in faccia quando mi parli!» Lilibeth deglutì a vuoto e strinse entrambe le mani attorno al polso dell'uomo. «Sergey...», lo chiamò in un ansimo. Sergey cominciò a spingerla indietro senza lasciarle il collo. «Hai paura che ti possa trattare da puttana, non è così? Che magari ti faccia spogliare nuda per poi invitare tutti i presenti a sbatterti? Lilibeth, ma che cazzo hai in quella testa!? Come puoi anche solo pensare che io possa umiliarti di fronte agli altri!?» sbraitò, profondamente ferito da quell'idea. Ma la lasciò subito andare quando udì un mugolio di paura sfuggirle dalle labbra. Non voleva spaventarla, quello era semplicemente il suo modo di mostrare disappunto. Lilibeth si toccò il collo e poi cadde in ginocchio davanti a lui, guardandolo con occhi spauriti. «Perdonami, Sergey, non volevo offenderti.» Sergey rimase interdetto. «E alzati!» le ordinò con espressione quasi disgustata e lei comprese che non aveva apprezzato che si fosse messa in ginocchio. Si rialzò, sentendosi una stupida. «Ti prego non arrabbiarti, io volevo solo scusarmi.» mormorò imbarazzata. «E per chiedere scusa ti metti in ginocchio!?» gridò Sergey stringendo i pugni. Poi serrò le labbra, capendo tutto. «Bennett voleva che chiedessi scusa mettendoti in ginocchio, non è così?» Lilibeth annuì con la testa e Sergey prese un profondo respiro per calmare il suo nervosismo. La guardò a lungo, senza dire una parola. Lilibeth distolse lo sguardo più volte, ma alla fine riuscì a sostenere quello impassibile dell'uomo. Sergey socchiuse gli occhi come se la stesse studiando, poi disse: «Fammi vedere come chiedi scusa tu, invece.» Lilibeth si contorse le dita per qualche istante, poi si avvicinò a lui e si sollevò sulle punte dei piedi per poi stringersi dolcemente a lui, sfiorandogli il collo con le labbra. Entrambi chiusero gli occhi. Lilibeth gli baciò la gola e vi strofinò contro la guancia, tornando giù con i piedi e indietreggiando di un passo. Entrambi aprirono gli occhi. «Beh, questo è», Sergey si schiarì la gola, «questo è decisamente molto meglio.» Lilibeth sorrise e Sergey sentì un tremore al cuore alla vista di quel sorriso soave, il sorriso di una creatura docile e buona. «Anche io devo chiederti scusa. Perdonami se ho gridato, non volevo spaventarti, piccola.» le disse Sergey prendendole una mano e baciandone teneramente il dorso. Lilibeth sospirò sommessamente: quanto desiderava fare l'amore con lui! Ma restò al suo posto e si limitò a sorridergli. «Ora che ci siamo chiariti, torniamo alla serata di stasera. Vieni.» disse Sergey conducendola nell'enorme cabina armadio, al centro della quale c'era qualcosa di alto e dalla forma umana, coperto da un telo di raso bianco. «Questo è l'abito che metterai stasera per la cena di gala.» disse Sergey tirando via il telo. La reazione di Lilibeth toccò il cuore di Sergey. La giovane donna, infatti, fissò l'abito con occhi increduli, guardò incredula Sergey, poi nuovamente l'abito e poi ancora Sergey; il suo corpo venne leggermente scosso da singhiozzi silenziosi e le sue mani tremanti salirono a coprirle la bocca. Quell'abito era uno degli abiti che aveva disegnato lei stessa. Era il suo abito. Era uno splendido abito lungo color cipria, di chiffon e tulle, tempestato di piccolissimi cristalli. Che sensazione unica ed emozionante per Lilibeth vedere il suo disegno prendere vita, diventare reale! I suoi occhi blu si colmarono di lacrime e guardò Sergey ancora una volta prima di cominciare a piangere tremando tutta. Sergey si avvicinò a lei e le prese il viso tra le mani. «Piccola.» mormorò intenerito. Lilibeth allontanò le mani dalla bocca e le strinse gentilmente attorno ai polsi di Sergey, tentando di controllare quel pianto spontaneo. «È... è bellissimo, Sergey, non ho... non ho parole per ringraziarti.» Sergey le sorrise. «Vieni qui.» mormorò prendendola tra le braccia. Che creatura delicata e sensibile aveva tra le mani. «Grazie, Sergey, grazie.» sussurrò riconoscente Lilibeth sul petto di Sergey, il quale le accarezzò i capelli profumati stringendola più forte. «Non devi ringraziarmi, quell'abito è tuo. Io ho solo dato il tuo disegno a dei sarti che hanno dato corpo all'anima che avevi racchiuso in quel disegno.» Restarono stretti in quell'abbraccio per alcuni minuti, godendo l'uno del calore dell'altra, poi Sergey l'allontanò riluttante da sé. «Allora, oltre al tuo bellissimo abito indosserai anche una parure di diamanti coordinata e... Che c'è? Sembri preoccupata.» osservò Sergey. «No, è solo che la cosa mi intimidisce. Intendo, questa serata. Sembra una cosa importante e temo di non sapere come comportarmi.» rispose lei con voce soave. Sergey la guardò a lungo, socchiudendo gli occhi. «Non mi dire che non sei mai stata ad una serata di gala?» Lilibeth abbassò la testa stringendo forte le labbra. «Rispondi.» la spronò Sergey. «No, non ci sono mai stata.» confessò Lilibeth. «Possibile che Bennett non ti ci abbia mai portato? Eppure è risaputo che è un uomo mondano.» «Sì, è vero, ma ci andava da solo o con altri uomini d'affari come lui.» spiegò Lilibeth. «Non capisco come faceva a lasciarti sola in casa rinunciando a passare una serata con te.» commentò Sergey. «È molto geloso, non sopporta che gli altri uomini mi guardino.» «Ma non ha esitato a darti a me come puttana.» osservò crudamente Sergey. Lilibeth pensò che era vero e questo la destabilizzava, perché era sempre stata convinta che Bennett la tenesse lontana dal mondo per gelosia, o meglio per amore, perché ci teneva a lei, e invece poi era stato pronto a darla in pasto ad uno tra gli uomini più crudeli e pericolosi da lui conosciuti. «Anche io sono geloso di te», confessò Sergey distraendola da quei tristi pensieri, «e non esiterei ad uccidere con le mie mani chiunque ti manchi di rispetto o persino chiunque osi importunarti; ma non potrei mai imprigionarti, neppure in una bellissima villa. Bennett non solo era geloso, ma era anche un vile, temeva di perderti, temeva che tu potessi renderti conto che esistono uomini migliori di lui.» «Io non l'avrei mai fatto, sono una moglie devota.» «Oh, piccola, tu non puoi sapere quanta insicurezza si può celare nel cuore di un uomo che ha qualcosa di prezioso tra le mani e sa di non meritarlo.» disse Sergey con un mezzo sorriso. Lilibeth si sentì lusingata da quelle parole. «Allora come dovrò comportarmi questa sera?» chiese la ragazza pronta a vivere quella nuova avventura. «Sii te stessa, sei una donna naturalmente elegante e di classe, li ammalierai tutti.» “Come hai fatto con me”, pensò Sergey. Verso le due di notte Sergey e Lilibeth erano di ritorno a casa. Sergey fermò la Rolls-Royce Wraith nera e argentea davanti alla villa di Black-Aster e subito uno dei due uomini di guardia alla porta si avvicinò per andare ad aprire lo sportello di Lilibeth, ma Sergey lo fermò aprendo il suo sportello ad apertura inversa e scendendo sicuro dall'auto. «Faccio io.» disse l'uomo. Lilibeth dormiva beatamente sui sedili comodi, spettinata ma splendida nel suo abito di chiffon e cristalli. Sergey aprì piano lo sportello e la prese delicatamente in braccio, lasciando l'auto nelle mani dei suoi uomini. Una volta dentro gli andò incontro Nikolay con indosso il suo pigiama blu di seta. «Oh, la mi piccola.» mormorò Nikolay non appena vide Lilibeth addormentata tra le forti braccia di Sergey. «A quanto pare la tua piccola non regge l'alcol, Kolya.» disse Sergey dirigendosi di sopra seguito da Nikolay. «Oh, povera piccola. Non avresti dovuto farla bere tanto, Sergey. Cosa ha bevuto? Vodka? Cognac? Whisky?» chiese Nikolay. «Champagne. Mezzo bicchiere.» rispose Sergey, salendo le scale senza mostrare nessuna fatica nel portare Lilibeth. «E per il resto, com'è andata?» chiese Nikolay. «Divinamente, come direbbe la vecchia Miss Olystar.» rispose Sergey. «C'era anche lei alla serata?» domandò Nikolay. «Sì, e ha parlato a lungo con Lilibeth. In privato è poi venuta a dirmi che è una donna “divina, adorabile e molto raffinata”.» «Nientemeno.» «E questa volta non ha esagerato, Lilibeth è stata meravigliosa. Ha parlato amabilmente con tutti; ha ascoltato in silenzio e con attenzione anche i discorsi più noiosi; ha elargito sorrisi sinceri a tutti, dai camerieri agli ospiti più illustri, trattando tutti allo stesso modo; ha riso graziosamente e non ha mai fatto commenti inopportuni su nessuno. Il suo abito, poi, era il più bello. Le ho presentato uno stilista, il quale ha osservato l'abito e le ha fatto una miriade di complimenti. Dovevi vederla, Kolya, era raggiante di felicità nel poter solo parlare con uno stilista. Nessuno la conosceva, segno che veramente Bennett non l'ha mai fatta vedere in giro. Mi è stata accanto tutta la sera, ascoltando i miei discorsi d'affari con i canadesi senza mostrare noia o distrazione.» «Che meraviglia. È andato tutto benissimo, allora.» disse Nikolay. «Sarebbe andato tutto benissimo se non avessi portato con me anche quei due idioti!» esclamò Sergey. «Zado e Iade?» chiese Nikolay. «Loro.» «Cos'hanno combinato stavolta?» domandò Nikolay. Sergey era arrivato davanti alla sua porta, si fermò e si girò a guardare Nikolay. «Hanno scatenato una rissa nelle cucine della villa del senatore. Ho dato loro l'ordine di non tornare a casa prima di domani, non voglio vederli fino ad allora. Vado a riposare, buonanotte, Kolya.» «Oh! E non... non porti Lilibeth nella sua camera?» chiese Nikolay. «No, ho voglia di passare il resto della notte con lei.» rispose Sergey. «Intendi...? Oh! Ma... ma sta dormendo.» osservò Nikolay in tono triste. Sergey lo guardò intensamente negli occhi ma non gli rispose, facendogli capire con lo sguardo che non apprezzava simili osservazioni accusatorie. Aprì la porta della sua camera e la richiuse in faccia a Nikolay, il quale sospirò e tornò tristemente nella sua stanza. Sergey andò a posare delicatamente Lilibeth sul letto e si spogliò della giacca, del gilet e del papillon, restando solo con la camicia candida, i pantaloni scuri e le scarpe eleganti. Girò attorno al letto fissando Lilibeth mentre si sbottonava i primi bottoni della camicia. Si fermò accanto alla ragazza e le scostò i capelli dal viso, poi la scosse dolcemente per la spalla, finché non la svegliò. «Ohu...», mugolò Lilibeth tenendosi la testa e chiudendo nuovamente gli occhi. Si guardò attorno e appena vide Sergey gli sorrise spontaneamente. L'uomo ricambiò il sorriso, buttandosi seduto sulla sua poltrona preferita. «Alzati.» le ordinò. Lilibeth si alzò a fatica dal letto, traballando più volte e massaggiandosi le tempie. «Spogliati.» ordinò ancora Sergey. Questa volta Lilibeth fu sveglia in un istante, anche se leggermente stordita. Si tolse le eleganti scarpe dorate col tacco alto, sulle quali aveva camminato egregiamente tutta la sera, nonostante non avesse mai indossato scarpe col tacco; e si tolse anche la parure di diamanti, posandola sul comodino. Si girò di spalle e abbassò lentamente la cerniera dell'abito color cipria, mostrando la sua splendida schiena nuda, una schiena che Sergey amava. Lasciò cadere l'abito a terra, voltandosi a guardare Sergey, che la osservava in silenzio, sfiorandosi le labbra col dorso dell'indice. Lilibeth indossava solo un paio di slip neri e delle calze autoreggenti anch'esse nere. «Nella gabbia.» ordinò Sergey asciutto. Lilibeth si girò a guardare la gabbia al centro della camera e deglutì. «Sergey...» «Nella gabbia.» ripeté lui cupo. Lilibeth andò ad aprire la gabbia e vi entrò gattonando, richiudendola dall'interno. Restò seduta al centro di essa guardando Sergey in timido silenzio. Sergey si alzò per andare a versarsi da bere, poi andò a sedersi su un'altra comoda poltrona, una posta proprio di fronte alla gabbia. Lilibeth lo guardò in silenzio sedersi comodo e soddisfatto e sorseggiare il suo cognac, mentre la guardava con intenso interesse. «A quattro zampe.» le ordinò calmo. Lilibeth obbedì poggiando le mani a terra, ma Sergey gli fece cenno col dito di girarsi di spalle. «Voltati», le disse infatti, «voglio guardarti da dietro.» Lilibeth obbedì ancora e si voltò di schiena, sentendo lo sguardo dell'uomo quasi toccarla. «Scosta le mutandine e allargati bene le labbra.» le disse con voce più bassa, segno che l'eccitazione stava crescendo in lui. E anche Lilibeth si sentiva stranamente eccitata. Provava un eccitazione diversa dalla solita che provava quando lui la prendeva; questa volta era un'eccitazione più languida, più profonda, più squisitamente erotica. Lilibeth scostò le mutandine sulla natica e con le sue dita eleganti allargò le sue labbra carnose, sentendo l'aria accarezzarla sulla pelle bagnata ed esposta. Sentì infatti anche la rugiada della sua femminilità colare sulla gabbia e quasi se ne vergognò, ma il verso gutturale di apprezzamento che fece Sergey cancellò l'imbarazzo e la eccitò maggiormente. «Sbrodoli addirittura, mia zaychik. Così mi piaci, piccola ingorda; così ti voglio: bagnata e vogliosa.» commentò Sergey con voce carezzevole e sensuale, una voce che le fece formicolare di piacere i capezzoli. «Muovi quel tuo bel culetto.» le ordinò mettendosi seduto più comodo. Lilibeth cominciò a muoversi graziosamente, dondolando lentamente il sedere avanti e indietro, a destra e a sinistra, cominciando ad ansimare piano. Sergey sorrise soddisfatto, provando l'impellente desiderio di penetrarla. Ma voleva giocare anche un po' insieme a lei. «Strusciala tra le sbarre della gabbia.» le ordinò poco dopo. Lilibeth obbedì e iniziò a strusciarla sulle sottili sbarre della gabbia, provando un piacere inaspettato quando sentì il clitoride sfregarsi contro il ferro. «Oh...», le sfuggì dalle labbra e il suo ritmo aumentò per poter godere appieno di quelle sensazioni intense. Sergey bevve un sorso e ridacchiò piano. «Che succede, piccola ingorda, vuoi essere penetrata?» le chiese Sergey iniziando a sbottonarsi i pantaloni. «Oh, sì!» ansimò Lilibeth leccandosi vogliosamente le labbra. «Penetrati con un dito.» le ordinò Sergey e lei lo fece subito. Sergey guardò Lilibeth penetrarsi dolcemente con un dito e i mugolii di piacere che inondarono la camera gli fecero pulsare in maniera quasi dolorosa l'erezione sotto la stoffa. Sergey guardò con occhi lucidi di piacere la carne rosea di Lilibeth gocciolare, e quel dito che entrava e usciva velocemente per assecondare la voglia crescente in lei gli fece stringere le mascelle. Era bellissima. Era così che voleva la sua donna: impeccabile nelle serate mondane e sessualmente disinibita quando si donava a lui. Il godimento di Lilibeth, però, cominciò a crescere in maniera incredibile, tanto che la ragazza iniziò a penetrarsi con foga sempre maggiore, ansimando e gemendo senza ritegno. Sergey comprese che era vicina al piacere, allora bevve l'ultimo sorso di cognac abbandonando il bicchiere a terra; si alzò e andò da Lilibeth. Si piegò sulle ginocchia e infilò nella gabbia una mano per afferrarle il polso e allontanarle le dita dalla sua femminilità e l'altra glie la posò sulla natica per accarezzarla dolcemente. «Buona, piccola.» le disse roco, invitandola a calmarsi. Lilibeth quasi si vergognò di aver perso il controllo. Chiuse gli occhi e cominciò a controllare il respiro, godendosi le carezze della mano di Sergey sul suo sedere. Sentì poi l'altra mano accarezzarla all'interno delle cosce e poi sulla vulva. Lilibeth allargò le narici e prese un profondo respiro, sapendo già cosa voleva fare: voleva essere lui a penetrarla con le dita. E fu quello che fece. Il grosso dito di Sergey cominciò a sfiorarla sulle labbra, mentre l'uomo osservava con eccitazione quella carne esposta e lucida tutta per lui. La toccò sul clitoride e Lilibeth stridette di piacere, facendolo sorridere compiaciuto. Spostò il dito all'entrata della sua vagina calda e lentamente si spinse il lei, penetrandola fino in fondo. Lilibeth alzò la testa e ansimò forte mentre Sergey cominciava a muovere il dito dentro e fuori. «Oh, sì, ti prego...», singhiozzò Lilibeth afferrandosi con le mani alle sbarre della gabbia. Sergey le teneva il sedere fermo con la mano sinistra e con la destra la penetrava a fondo, in un ritmo sempre più febbrile. Lilibeth iniziò ad emettere dei lunghi suoni di godimento, muovendo il sedere contro la mano di Sergey, facendolo sbattere alla gabbia. L'uomo arricciò le labbra e inspirò l'aria, in un gesto di estremo apprezzamento che faceva raramente. Ora che conosceva Lilibeth lo faceva decisamente più spesso. «Sergey!» gridò lei andando a toccarsi il seno con la mano. «Che c'è piccola, mmh? Ti piace? Ti piace essere sbattuta dalle mie dita, piccola ingorda?» le chiese Sergey lasciandole la natica per andare con quella mano a liberare il suo membro e a masturbarsi, mentre masturbava lei. «Oh, sì, ti prego! Sbattimi ancora, ancora, ancora...», lo implorò Lilibeth stringendosi i capezzoli. Era veramente sull'orlo dell'orgasmo e si stupì di quanto velocemente riuscisse a raggiungerlo con quell'uomo. Sergey smise di penetrarla improvvisamente e le diede una sonora sculacciata su quel sedere tondo ed esposto. «Girati.» le ordinò, lasciando andare anche il suo pene rigido. Non voleva godere troppo in fretta, voleva godersi la sua coniglietta fino in fondo e Lilibeth lo comprese. Si girò restando a quattro zampe e i suoi occhi di lapislazzuli brillarono di emozione quando incontrarono quelli verdi di lui, altrettanto carichi di emozione. «Calmiamoci, piccola, va bene?» sussurrò lui infilando una mano nella gabbia per accarezzarle il viso. Lilibeth chiuse gli occhi e annuì, godendosi quel tocco caldo sulla pelle. «Sei bellissima.» commentò Sergey facendole riaprire gli occhi. Lilibeth lo ringraziò con un dolcissimo sorriso. E non poteva ringraziarlo in maniera migliore, visto che lui adorava quel sorriso toccante. «E anche un po' maialina?» chiese lei ridacchiando. Oh, quanto piaceva a Sergey quando giocava a quel modo! «Un po'?» scherzò lui alzando un sopracciglio, facendola ridere più forte. «E' colpa tua, sei tu il demone perverso!» lo accusò Lilibeth leccandosi le labbra. «E' vero», iniziò a dire Sergey chinandosi sul volto di lei fino a farle sentire il suo respiro caldo sulla pelle, «ho fatto di te la mia piccola ingorda, lasciva e insaziabile vittima. E ti adoro per questo.» Sergey le sfiorò col dito le labbra, invitandola a tirare fuori la lingua e quando lei lo fece lui sfregò la propria lingua su quella di Lilibeth. Era la cosa che più si avvicinava ad un bacio, anche se prettamente sessuale. Lilibeth si accontentava di quello, anche se dentro di sé sognava di ricevere da lui un bacio vero, profondo, sconvolgente. Ma era giusto così, lei era sposata, aveva un uomo a cui dare baci carichi di sentimento. No? Quando Sergey si allontanò le sfiorò le labbra con le proprie e Lilibeth sospirò estasiata. Ma l'atmosfera tornò ad essere caldamente erotica quando lui le sorrise in maniera sorniona e le disse: «Ora usa questa tua bocca vogliosa per succhiarmi per bene. E... Lilibeth? Voglio che tu lo faccia con passione, come se volessi mangiarlo, hai capito?» Lilibeth annuì con la testa, già inumidendosi le labbra. Sergey si mise piegato su un ginocchio, afferrò il suo membro dalla radice e lo infilò nella gabbia, dove subito Lilibeth lo accolse nella sua bocca cominciando a succhiarlo forte, muovendo la testa avanti e indietro. «Brava, piccola, prendilo tutto dentro.» disse Sergey eccitato. Lilibeth usava la sua bocca con passione, come lui voleva; si tenne con le mani alle sbarre e chiuse gli occhi mentre si muoveva contro di lui succhiandolo con forza. Sergey abbassò gli occhi su di lei e la guardò prenderlo in bocca e la visione di quella donna bellissima intenta a soddisfarlo lo colmò di piacere. Lilibeth quasi sentì lo sguardo dell'uomo su di sé, allora alzò gli occhi per guardarlo e gli sorrise, come suo solito. Sergey provò quella sensazione unica che solo lei gli dava quando gli sorrideva durante il sesso. Allungò una mano per accarezzarle la guancia, dicendole quanto fosse brava nel prenderlo in bocca e incitandola a succhiarlo più forte. Lilibeth si eccitò in maniera incredibile e cominciò a toccarsi tra le gambe, facendo sorridere Sergey. Quando Lilibeth iniziò ad ansimare forte, prossima all'orgasmo, Sergey si aggrappò anche lui alla gabbia incapace di controllarsi oltre. Sentirla godere a quel modo lo faceva impazzire! «Sì, piccola, toccati! Fammi vedere come godi, fammi vedere quanto ti piace succhiarlo!» la incitò Sergey eccitando anche se stesso con quelle parole. Lilibeth raggiunse l'orgasmo come suo solito: con un urlo gutturale e continuo, seguito da tanti mugolii e ansimi sconnessi. Il suo corpo delicato venne attraversato da brividi infiniti e il suo corpo sembrava ora stremato. Cadde sdraiata sulla coperta in vellutino della gabbia, abbandonando Sergey, che però non si risentì. Era soddisfatto e anche felice di vederla sazia di piacere. L'afferrò per i capelli sollevandole la testa e lei comprese che voleva venirle in faccia, come piaceva a lui. Sergey, infatti, cominciò a masturbarsi con foga e Lilibeth socchiuse la bocca sospirante dalle labbra rosse e lo guardò negli occhi, leccandosi le labbra voluttuosamente per eccitarlo maggiormente. Sergey era più rosso in viso e aveva il respiro corto e smorzato; i suoi muscoli erano tesi e lo stomaco sussultava per assecondare le onde di piacere che si avvicinavano. Il suo liquido caldo e abbondante, come sempre, inondò il volto di Lilibeth. La ragazza emise dei mugoli soddisfatti, tenendo la bocca aperta fino a quando lui non smise di godere. Aprì gli occhi e trovò Sergey a guardarla con occhi inteneriti, come ogni volta appena finito. E non poteva essere altrimenti per l'uomo, visto che guardare la dolce Lilibeth col suo sperma sulle guance e sulle labbra gli faceva sempre uno strano effetto. Un piacevolissimo effetto. E come se non bastasse Lilibeth sapeva anche come farsi amare di più, visto che adesso fece quello che lui adorava dopo l'orgasmo: si avvicinò a baciargli con dolcezza i testicoli. Sergey lasciò andare le braccia lungo i fianchi, chiuse gli occhi, buttò la testa indietro e sospirò forte, godendosi quelle coccole che adorava. «Vai a lavarti.» disse poi improvvisamente, con quel suo solito tono freddo che usava dopo ogni amplesso. Ecco, adesso Lilibeth provò una sensazione di tristezza, quasi di malinconia, sapendo di dover andarsene. Sergey andò verso il letto a fare una telefonata a Nikolay e lei andò in bagno a lavarsi il viso e tra le gambe. Quando uscì dal bagno sentì Sergey che chiudeva la telefonata in russo. Andò verso di lui solo per prendere il suo abito a terra e se lo posò addosso, quasi vergognandosi della sua nudità. Sergey era in piedi, nudo e bellissimo di fronte a lei, fissandola con freddezza. Lilibeth si schiarì la gola e distolse lo sguardo. «Grazie... grazie per la bella serata. Dolcenotte.» disse Lilibeth prima di voltarsi per andare via. Ma questa volta qualcosa accadde. La grande mano di Sergey l'afferrò per il polso. Lilibeth si girò a guardarlo e lui l'attirò a sé. Lilibeth quasi sbatté contro il suo corpo massiccio. Alzò gli occhi su di lui e restò incantata a guardare quell'espressione adesso più gentile. Sergey le prese il viso tra le mani e si chinò a baciarle le labbra. «Sarà una dolce notte perché resterai qui con me.» alitò Sergey. A Lilibeth quasi mancò il respiro. I suoi occhi luccicarono e questo toccò Sergey. «Vuoi che resti?» chiese Lilibeth incredula. «Sì, zaychik.» rispose Sergey. Lilibeth gli sorrise teneramente e Sergey la prese in braccio per poi posarla delicatamente sul letto. S'infilarono sotto le coperte e si sdraiarono su un fianco, fronte a fronte, guardandosi negli occhi in silenzio. Cominciò a piovere e in quel silenzio intimo si sorrisero. Sergey allungò una mano e iniziò ad accarezzarla dolcemente sul viso. Sembrava volesse dirle qualcosa, ma non lo fece. Lilibeth, invece, non aveva assolutamente intenzione di dire nulla; qualsiasi cosa avesse detto avrebbe rovinato l'atmosfera intima e inusuale che li avvolgeva. No, era perfetto così: il silenzio, il calore dei loro corpi, i loro sguardi, lo scrosciare della pioggia, la luce soffusa. Sarebbe stato meraviglioso per Lilibeth addormentarsi ogni notte cullata da quella tenerezza. Ma ancora due mesi e poi sarebbe tornata da Bennett. Cacciò quel pensiero, sentendosi in colpa di provare gioia nell'essere tra le braccia di Sergey Krasnov. La mattina dopo Lilibeth si svegliò sola nel letto e provò una grande tristezza. Guardò l'orologio sul comodino: era quasi ora di pranzo. Sgranò gli occhi, sentendosi in colpa d'aver dormito così tanto. Pioveva ancora, ma molto più dolcemente; e il Sole che brillava illuminando le gocce di pioggia rendeva l'atmosfera incantevole. Sembrava piovessero cristalli. Lilibeth si alzò e andò a guardare fuori dalle vetrate, ammirando il panorama del parco e del bosco di Sergey illuminato di quella romantica luce dorata. Sorrise, si stiracchiò e andò a fare una lunga doccia; con l'accappatoio di Sergey addosso andò in camera sua per vestirsi. Indossò un lungo abito bianco di maglia morbida, dorato sui polsi e sui bordi. Si asciugò bene i capelli e si sedette sulla toeletta di legno bianco che le aveva regalato Sergey: una toeletta dalle forme settecentesche ricca di trucchi e prodotti per la bellezza. Lilibeth aveva scoperto un meraviglioso mondo femminile e aveva imparato – grazie ad un esperto di bellezza che le aveva insegnato come truccarsi e pettinarsi – ad esaltare la sua delicata bellezza. Si truccò leggermente e si legò i capelli in uno chignon; indossò degli stivali bianchi abbelliti col pizzo e scese di sotto. Corrugò la fronte quando udì decine di voci provenire dalla sala da pranzo. Erano voci miste, non erano le solite voci maschili dei soci in affari di Sergey. Si sentivano voci di persone sia giovani che anziane, di uomini, di donne e persino di bambini. Lilibeth si fermò guardandosi attorno, non sapendo se andare ad aprire la doppia porta bianca della grande sala da pranzo, che a quell'ora era certamente imbandita di ogni bontà. Mise le mani sui pomelli dorati, ma prima che potesse aprire si sentì prendere gentilmente per la vita. Chiuse gli occhi sentendo subito l'odore e il calore di Sergey. L'uomo la fece voltare e la guardò con sguardo contrito. «Mi dispiace, zaychik, ma avevo dimenticato che giorno fosse oggi. Sono arrivati questa mattina e resteranno per tutta la settimana.» le disse Sergey respirando a fondo. Lilibeth udì delle grasse risate, dei rumori di piatti che si rompevano e le urla di donne che sbraitavano. Tutto in russo. «Chi... chi sono?» domandò Lilibeth guardando preoccupata Sergey. Intanto degli uomini iniziarono ad intonare un canto russo battendo le mani a tempo. «Sergey, non... non sono tuoi nemici, vero?» chiese Lilibeth. Sergey le prese le mani e sgranò gli occhi. «Peggio. Sono la mia famiglia.» rispose l'uomo. Inaspettatamente Lilibeth cominciò a ridacchiare divertita mentre Sergey restava impassibile. «Se quella fosse la tua famiglia non rideresti.» borbottò Sergey. «Vieni.» le disse poi prendendola per mano. Sergey prese un profondo respiro e aprì la porta della sala da pranzo, accompagnando all'interno Lilibeth. La sala era immensa: con un tavolo da almeno cinquanta persone al centro, tende di velluto bianco alle vetrate, tappeti di pelo sintetico bianco sparsi ovunque, un grande camino acceso e tanti complementi color madreperla. La tavola era apparecchiata in maniera impeccabile, con tovaglia di raso bianco, calici di cristallo, piatti di porcellana finissima, posate d'argento, vasi di fiori freschi e candelabri accesi. All'interno, sparsi per la stanza, c'erano venti persone e tutte quante si zittirono quando videro Lilibeth. «Lei è Lilibeth.» disse Sergey in russo. Lilibeth sorrise a tutti, accennando un timido saluto con la mano, ma nessuno mosse un muscolo. Infine avanzò verso di loro un elegante signore sulla sessantina, dagli occhi verdi e i capelli scuri, un bellissimo uomo dal volto ruvido. Lilibeth comprese che era il padre di Sergey, la loro somiglianza era impressionante. «E' la donna che ti scopi, non è così?» chiese in russo l'uomo. «Questa sgualdrina non dovrebbe neppure sedere a tavola con noi!» concluse l'uomo stringendo il pugno. Lilibeth non aveva capito una parola di quel che aveva detto, ma dal tono di voce e dall'espressione dell'uomo aveva capito che non erano state parole gentili. Chinò la testa provando un profondo imbarazzo, intuendo cosa l'uomo avesse detto. Sergey guardò Lilibeth e quando la vide intimidita provò un dolore al petto. «No, piccola», iniziò a mormorarle mettendole la mano sotto al mento e sollevandole la testa, «non abbassare mai la testa. Tu sei la mia ospite gradita, a differenza loro; se c'è una benvenuta qua sei tu.» Lilibeth gli sorrise e Sergey le carezzò la guancia col dorso della mano. Sergey divenne spaventosamente serio quando si girò a guardare l'uomo che aveva parlato. Lasciò Lilibeth e andò calmo da lui, torreggiandolo, anche se persino l'altro era molto alto. Lilibeth vide Sergey parlare tra i denti all'uomo, dicendogli qualcosa in russo di particolarmente minaccioso e grave, a giudicare dagli sguardi di tutti. Quando Sergey finì di ringhiare quello che aveva da dire seguì un silenzio durante il quale tutti i presenti restarono attoniti a fissare Sergey; poi, incredibilmente, tutti si voltarono quasi all'unisono a fissare Lilibeth e un secondo dopo si levò un vociare allegro. Molte persone andarono da Lilibeth per presentarsi e darle il benvenuto, alcuni parlando un perfetto inglese, altri con un marcato accento russo. Lilibeth ricambiò timidamente il calore inaspettato di quegli sconosciuti, soprattutto perché era intenta a guardare Sergey che veniva stretto in un forte abbraccio dall'anziano uomo con cui aveva parlato. Anche altri uomini andarono ad abbracciare Sergey, ridendo e dandogli delle forti pacche sulle spalle e Lilibeth si chiese cosa mai avesse detto loro. «Allora tu sei Lilibeth. Che nome delizioso.» cominciò a dire una grossa donna sulla quarantina con un forte accento russo, stringendo Lilibeth nel suo abbraccio stritolante. «Io sono cugina di secondo grado di Sergey. Devi scusare ma mia famiglia non potuta venire tutta, solo io e miei figli.» disse indicando due bambini forzuti che si stavano picchiando sul tappeto. Lilibeth sorrise alla donna, impacciata. «Bella, che bella!» esclamò una donna sulla cinquantina, con le sue mani cicciotte che strinsero la faccia di Lilibeth fino a farle assumere un'espressione ridicola. A turno la salutarono tutti e alla fine Lilibeth barcollò, toccandosi la faccia arrossata e leggermente gonfia. Si sentì sostenere dalle forti mani di Sergey e si girò a guardarlo. Lui scosse il capo facendo un verso di disappunto con la lingua nel vederla strapazzata a quel modo. «Mi dispiace.» alitò dispiaciuto, ma Lilibeth lo stupì quando fece una risatina contenta. «No, mi piace l'affettuosità della tua famiglia. Ma cosa hai detto loro? Sembravano così ostili con me all'inizio.» osservò Lilibeth. Sergey fece un sorriso strano e si chinò a baciarla sul collo, per poi sussurrarle all'orecchio: «E' un segreto, mia curiosa zaychik.» Lilibeth sorrise e sospirò, accettando quel mistero. «Vieni, piccola.» disse guidandola dall'anziano uomo col quale aveva parlato. «Papà, questa è Lilibeth, Lilibeth questo è mio padre.» disse Sergey. L'uomo prese la mano di Lilibeth e le fece il baciamano. «Molto piacere, Lilibeth, mi chiamo Alexander, ma tu puoi chiamarmi Alexander, mia cara.» disse l'uomo in un inglese impeccabile. Lilibeth aggrottò la fronte a quelle parole e guardò Sergey, il quale alzò simpaticamente le sopracciglia. «Oh, la ringrazio... ehm, Alexander.» disse Lilibeth. «E' molto bella e sembra anche dolce e gentile.» commentò nudamente Alexander rivolto al figlio, facendo arrossire Lilibeth. Sergey disse qualcosa in russo al padre e poi accompagnò Lilibeth a conoscere gli altri. «Questo è mio zio Boris; mio cugino Borislav; i miei nipoti Kirill e Lyov; mio cugino Vladimir; mio zio Radimir; mia zia Annushka e la sorella Ludmila.» diceva Sergey mentre tutti stringevano la mano a Lilibeth. Lilibeth salutò educatamente tutti quanti. Quando conobbe tutti, Sergey invitò tutti a sedersi a tavola e quello per Lilibeth fu il pranzo più divertente di tutta la sua vita. Sergey e il padre erano seduti nei due posti capotavola; Lilibeth alla destra di Sergey e poi tutto il resto della famiglia. Lilibeth venne a sapere che la madre di Sergey era morta quando lui era solo un bambino e questo la ferì molto. Forse anche a causa della mancanza del calore materno era divenuto ciò che era. Venne a sapere che era cresciuto con il padre e i tre fratelli, assenti perché Sergey aveva litigato con loro da anni. E anche questo rattristò Lilibeth. «Famiglia!» gridarono Zado e Iade entrando nella sala e andando a sedersi anche a loro a tavola, accolti dalla famiglia di Sergey con grida e risa. Il vociare era assordante, come anche i rumori delle posate sui piatti che i bambini si divertivano a fare. Arrivò anche Nikolay, che andò a sedersi accanto al padre di Sergey, col quale parlava in confidenza. Ad un tratto quattro uomini si alzarono per fare un brindisi verso Sergey e cominciarono a cantare una canzone in russo, agitando in aria le loro bottiglie di vodka. Le donne ridevano e i bambini litigavano. Lilibeth si tenne la tempia per un attimo. I pranzi con la famiglia di Bennett erano sempre molto castigati e silenziosi, e spesso lei teneva gli occhi bassi per tutto il pranzo, imbarazzata dagli sguardi rimproveranti dei parenti di Bennett quando l'uomo raccontava delle sue disobbedienze. Lilibeth sentì la mano di Sergey posarsi sulla sua e allora lo guardò. «Tutto bene?» chiese Sergey. «Sì.» rispose Lilibeth con un sorriso. «Sono un po' rumorosi, ma sono persone sincere e...» «Sergey, li adoro.» confessò Lilibeth stringendogli la mano. «Davvero?» domandò Sergey aggrottando la fronte. Evidentemente gli veniva difficile crederlo. «Sì. Sono come te: grandi, grossi, spaventosi, ma dal cuore d'oro.» rispose Lilibeth prima di bere un sorso di acqua. Sergey sembrò stupirsi parecchio a quelle parole. «Tu mi consideri generoso?» domandò Sergey. Lilibeth annuì contenta e Sergey fece un sorriso enigmatico. «E non hai ancora ricevuto il regalo che ti farò il prossimo mese.» disse Sergey prendendo il bicchiere di vodka dalle mani del bambino seduto alla sua sinistra, che stava per ingollarlo. Lilibeth sgranò gli occhi e chiese eccitata: «Un regalo? Per me?» Sergey annui, mentre il bambino alla sua sinistra giocava col coltello a fare lo spadaccino insieme al fratello seduto vicino a lui. «Oh, ti prego, Sergey, ti prego, dimmi cos'è?» stridette Lilibeth contenta come una bambina. Sergey si passò il dito sulle labbra, mentre l'assordante vociare e cantare degli altri riempiva la stanza. «In realtà i regali sono due, ma servono entrambi per lo stesso scopo. Ti do degli indizi: uno dei due ha a che fare con la moda e con Parigi.» «O mio Dio!» quasi gridò Lilibeth portandosi la mano alla bocca. «E l'altro?» domandò ancora. «L'altro è un oggetto.» rivelò Sergey. «Oh... Un abito?» chiese Lilibeth. «No.» «Un gioiello?» «No.» «Un paio di scarpe?» Sergey ridacchiò. «No, piccola, è qualcosa di più importante. Ed è fatto di carta.» A quelle parole Lilibeth si arrese, non riuscendo davvero a capire cosa potesse essere. «Avrai entrambi i regali quando sarà il momento e saranno più sconvolgenti di quello che pensi. Forse ti lasceranno anche dell'amaro in bocca, ma un giorno mi ringrazierai.» aggiunge criptico Sergey. Lilibeth sospirò e annuì: avrebbe atteso pazientemente quei due misteriosi regali, anche se non le piaceva l'idea che le avrebbero lasciato l'amaro in bocca. Il pranzo continuò in maniera normale. Normale per i canoni della famiglia Krasnov. Alla fine del pranzo Sergey portò via Lilibeth, lasciando Zado e Iade a litigare violentemente accanto al camino, tenuti fermi dagli uomini della famiglia Krasnov, che invece se la ridevano; altri cantavano ancora a tavola; Nikolay e il padre di Sergey parlavano fitto fitto e le donne erano finite a ballare la salsa in cucina insieme ai camerieri, dove una radio la suonava ad alto volume. Sergey andò in garage e indicò le sue dieci auto personali a Lilibeth. «Scegli.» le disse. «Per fare cosa?» chiese la ragazza. «Per fuggire.» rispose Sergey allargando simpaticamente gli occhi. «Cosa? Dove?» domandò Lilibeth. «Nel mio rifugio segreto che nessuno conosce. A parte Nikolay. E' una baita di lusso ad Aspen.» disse Sergey. «Ma sono quasi quattro ore di macchina.» osservò Lilibeth. «Ascolta Lilibeth», cominciò a dire Sergey prendendole il viso tra le mani,«io amo la mia famiglia, ma al momento preferisco passare il mio tempo con te. Tu non puoi neppure immaginare quanto siano indiscreti. Non potremmo più fare l'amore quando vogliamo perché non ci lascerebbero mai soli e io non ho intenzione di rinunciare a te. Staremo via per tutta la settimana, sposterò tutti i miei impegni di lavoro, saremo solo io e te. Quindi, mia piccola coniglietta che fa troppe domande e mi fa perdere tempo prezioso, scegli l'auto!» «Sergey!» gridarono le voci di alcune persone che si avvicinavano. «Sono come gli zombi.» osservò Sergey a voce bassa, guardando verso la villa. «Lilibeth, scegli, presto.» disse poi rivolto alla ragazza. Lilibeth ignorò tutte le auto sportive e andò verso un grosso fuoristrada nero lucido di cera. «Ottima scelta.» disse Sergey aprendo lo sportello a Lilibeth e spingendola dentro dal sedere, dandole una giocosa sculacciata prima di richiudere lo sportello. Andò a montare alla guida e partì poco prima che alcuni cugini arrivassero in garage. Lilibeth si allacciò la cintura di sicurezza e si tenne saldamente al sedile mentre Sergey guidava concentrato ad alta velocità per il viale alberato della strada d'entrata. I suoi uomini lo salutarono con rispetto e il grande cancello in fondo si aprì grazie alla fotocellula posta su un albero. Una volta in strada Sergey si girò a guardare Lilibeth e sorrise. «Liberi.» disse cambiando marcia. «E' bello essere liberi.» commentò Lilibeth sorridendo anche lei e guardando poi fuori dal finestrino la splendida campagna del Colorado. Sergey si girò a guardare Lilibeth più volte, capendo quanto la ragazza non si sentisse libera e doveva essere un incubo non poter decidere della propria vita. Serrò le mascelle e si concentrò sulla guida. «Non ho neppure un vestito di ricambio.» disse Lilibeth girandosi a guardarlo. «Ne compreremo di nuovi.» disse Sergey non cogliendo il problema. Lilibeth sorrise. «Dev'essere bello.» disse la ragazza. «Cosa?» chiese Sergey. «Poter fare quello che si vuole. Alzarsi la mattina e decidere se lavorare o meno e avere comunque un introito sicuro; partire all'improvviso senza preoccuparsi di nulla e di nessuno, sapendo che c'è chi si prende cura della casa e degli animali; avere la possibilità di viaggiare dove e quando si vuole senza render conto a nessuno.» sospirò lei allungando una mano per toccargli la sua. «Lo stai facendo. Dimmi cosa provi.» le chiese Sergey curioso di conoscere i suoi stati d'animo. «Provo una grande emozione! E anche un senso di leggerezza che non ho mai provato prima!» esclamò Lilibeth muovendo le mani come per esprimersi meglio. «E questo è nulla.» disse piano Sergey. «Cosa vuoi dire? Hai in mente altri viaggi?» domandò Lilibeth. «Oh sì, piccola.» rispose lui allungando una mano per accarezzarle il volto. Si guardarono intensamente e l'atmosfera nell'abitacolo si fece subito intima. «Sai cosa ci vorrebbe per rendere questo viaggio ancora più piacevole?» chiese lui roco. Lilibeth si bagnò le labbra e abbassò lo sguardo tra le gambe di lui. «Credo di saperlo...», mormorò la ragazza chinandosi su di lui per sbottonargli i pantaloni. La mano di Sergey le sciolse lo chignon e affondò tra i morbidi capelli di lei. Si mise più comodo e fissò la strada, sentendo la bocca calda di Lilibeth prendere in bocca la sua turgidità. «Brava.» mormorò lui accarezzandola. Sarebbe stato un viaggio lungo, ma immensamente piacevole... Era la mattina del terzo giorno nella baita di Sergey posta tra i monti innevati di Aspen. Non aveva esagerato, era veramente una baita di lusso. Era grandissima e con decine di stanze; fatta in mattoni ma rivestita di legno pregiato sia all'interno che all'esterno. L'arredamento era squisitamente rustico e tutti gli ambienti erano spaziosi e pulitissimi. Lilibeth adorava quel posto, ancora più della villa a BlackAster; lo trovava più intimo e caldo, ma forse era per il fatto che fossero soli. Era mattina presto e Lilibeth si svegliò a causa di un suono ritmico che veniva da fuori. Si alzò a sedere e vide che Sergey non era a letto. Si alzò, indossò la pesante vestaglia nera dell'uomo e si avvicinò al camino acceso della camera: Sergey aveva già fatto il fuoco. Andò di sotto e chiamò Sergey, ma lui non rispose; andò allora a guardare fuori dalle vetrate del salone e lo vide lì fuori, sotto la neve a tagliare la legna per i camini. Era lui dunque la causa di quei rumori. Tagliava con l'accetta i tronchi e li buttava su un mucchio già pronto per il camino. Lilibeth sorrise nel guardarlo: era bellissimo. Indossava dei jeans e una camicia a quadri che aveva scoperto adorava. Lilibeth andò in cucina e preparò la colazione. Apparecchiò il tavolo di legno e poi preparò una tazza di cioccolata calda con un po' di panna e si diresse fuori da Sergey. Non appena lui la vide smise di tagliare la legna e le sorrise caldamente. Prese la tazza con una mano e con l'altra attirò Lilibeth a sé. «Saresti la mia moglie ideale.» disse l'uomo. Lilibeth distolse lo sguardo. «Ma sono già la moglie di qualcuno.» commentò tristemente lei. «Già, ma potrebbe sempre succedere qualcosa di brutto a quel coglione di Bennett e tu diverresti una splendida vedova.» disse crudamente Sergey. Lilibeth si allontanò subito da lui, infastidita da quei discorsi e lui se ne rese conto. Andò accanto a lei e la guidò in casa. «Vieni, piccola, è freddo qua fuori.» Una volta dentro fecero colazione in cucina, parlando del film d'orrore che avevano visto la notte prima in salotto e Sergey non riuscì a smettere di ridere quando Lilibeth descrisse con accurata intelligenza tutte le semplici accortezze che i protagonisti avrebbero dovuto prendere per evitare di essere uccisi. Sergey si rese conto che più stava con lei più stava bene. Ogni giorno trovava qualcosa in più in Lilibeth che la rendeva unica ai suoi occhi. Ogni giorno scopriva una donna completa: non solo elegante, delicata, dolce e intelligente, ma anche inaspettatamente divertente e creativa. Adorava vederla disegnare i suoi abiti, vederla provare nuove ricette in cucina, vederla fare spese stando attenta a risparmiare. E adorava quella splendida donna selvaggia a letto. E per Lilibeth era lo stesso. Stava scoprendo un uomo che non conosceva, un uomo che le piaceva da morire non solo tra le lenzuola. Stava scoprendo un uomo che amava la cioccolata calda, che amava girare scalzo per casa, che si prendeva cura degli animali affamati nella neve, che sbadigliava rumorosamente grattandosi la schiena, che cantava in russo sotto la doccia e che la colmava di tenere attenzioni. Qualcosa di strano stava accadendo tra di loro. Adesso restavano per ore a guardarsi negli occhi dopo aver fatto l'amore; restavano in silenzio a guardarsi, sorridendosi e toccandosi in viso, come se nel mondo non ci fosse nessun altro. La cosa che stupiva Lilibeth era che Sergey non aveva mai accennato a volerla prendere dietro, come le aveva detto la prima volta. Una volta glie l'aveva chiesto timidamente e lui non aveva risposto, anzi, era caduto in un lungo silenzio. “Faccio il cazzo che mi pare”, le aveva detto soltanto, come fosse infastidito. A parte quel particolare spiacevole, Lilibeth sentiva come se stesse vivendo una meravigliosa vita parallela e non sapeva come avrebbe fatto a tornare ad essere prigioniera di suo marito due mesi dopo, rinchiusa nella villa di Bennett per sempre. Quando le venivano questi pensieri andava a chiudersi in bagno per piangere da sola, ma forse Sergey se n'era accorto e non diceva nulla, perché quando usciva l'abbracciava forte senza dire una parola. Però quello era il suo destino e nessuno poteva cambiarlo. ~ Un mese dopo Sergey si sedette comodo sul divano della villa di Bennett Wandal, con Zado e Iade in piedi dietro di lui. «E'... è un piacere vederla, signor Krasnov. Questa sua visita mi lascia perplesso e anche preoccupato, credevo di avere tre mesi di tempo per recuperare il microchip.» balbettò Bennett sforzandosi di sorridere. «Non m'importa più del microchip, ho trovato qualcosa di più prezioso.» disse Sergey. «Oh. Be...bene, signore.» disse Bennett con accondiscendenza. Per i minuti seguenti nessuno parlò e Sergey fece una smorfia di disgusto rivolto a Bennett. «Non mi hai neppure chiesto come sta Lilibeth.» lo accusò con disprezzo. «Beh, mi perdoni, ma non... non credo di volerlo sapere. Oddio, è qui per questo? E' successo qualcosa? E' morta?» chiese Bennett preoccupato. «No, non l'ho uccisa se è questo che intendi dire.» disse Sergey tagliente. «Oh no, no, signore, non intendevo...» «Comunque sono qui per parlare di lei.» disse Sergey asciutto, prima di posare sul tavolino di cristallo davanti a lui dei documenti. «Che cosa sono?» chiese Bennett prendendoli in mano e leggendo. Sbarrò gli occhi e scosse il capo. «Cosa!? No! Questo è inconcepibile per me!» quasi gridò Bennett ributtando i documenti sul tavolino. «Io non andrò via di qui se non firmi quei documenti.» disse Sergey appoggiandosi allo schienale. «Ma sono i documenti del divorzio tra me e Beth! E' una follia, noi siamo naramiti! Io non posso firmarli e lei non può costringermi a farlo!» esclamò Bennett. «Oh, sì, invece.» rispose calmo Sergey con un grande sorriso. «Io non...» «Tu firmerai quei documenti e la faccenda finirà qua.» scandì la voce calma ma minacciosa di Sergey, un voce che non ammetteva repliche. Bennett si coprì il volto con le mani, restando così per qualche istante. «Altrimenti?» chiese Bennett tornando a guardare Sergey. «Mmm, non saprei...», disse quest'ultimo fingendosi pensieroso, «potrei prelevare la tua società, oppure potrei rovinarti infangando il tuo nome. O entrambi. O potrei fare in modo che tu abbia un brutto incidente... Sai, i miei cuccioli sono rimasti a bocca asciutta per non averti potuto assaggiare la volta scorsa.» «Signor Krasnov, la prego... Lilibeth è mia moglie.» lo implorò Bennett. «A quanto dicono questi documenti non più.» rispose Sergey con naturalezza. «Esigo di poter parlare con lei.» disse poi Bennett alzando il mento. «E perché mai?» chiese Sergey incupendosi. «Perché non ho ancora firmato, dunque è ancora mia moglie!» affermò Bennett deciso. «Una moglie che non hai esitato a dare in pasto ad uno stronzo come me.» commentò Sergey nervoso. «Io sono pronto ad ignorare il fatto che la sua purezza sia stata violata, ma la rivoglio con me, Beth è mia moglie, è cosa mia.» disse Bennett. «È qui che ti sbagli, Bennett, non si può possedere una persona. Puoi possedere il suo amore, la sua devozione, ma non lei. E non si può costringere qualcuno ad amarci. Il tuo è sempre stato solo puro egoismo.» osservò Sergey. «E da quando lei fa discorsi di questo tipo?» chiese Bennett allargando le braccia. «Da quando ho conosciuto Lilibeth.» rispose calmo Sergey. «Signor Krasnov, proprio per questo motivo, proprio perché anche lei ha potuto amare l'anima meravigliosa che è mia moglie mi può capire se desidero che sia solo mia.» «No, non lo capisco affatto.» «Come può dire questo, come può dire di non capire? Anche lei la desidera come la desidero io e vuole averla tutta per sé!» «No, io voglio che Lilibeth sia libera, come merita di essere. Io voglio che sia felice, voglio che segua l'istinto, voglio che sia padrona della sua vita e solo allora la vorrò come mia, solo se sarà lei a scegliere di esserlo.» disse Sergey. «Lei vuole lasciarla andare? Ma è assurdo! Signor Krasnov, mi ascolti...» «No, ho già perso troppo tempo. Lei deve firmare quei fogli e voglio che lo faccia adesso!» ribatté Sergey diventando minaccioso. «Io non firmo!» sbraitò Bennett battendo i pugni sul tavolino. Sergey lo fissò negli occhi per qualche secondo, poi, con calma, con molta calma, prese la sua pistola nera e argentea dal fianco e la puntò con mano spaventosamente ferma contro Bennett, senza battere ciglio. «Conto fino a due.» disse Sergey con voce grave. «Uno...» «Una penna, grazie!» esclamò Bennett prima di firmare in tutta fretta. ~ Quella sera Sergey portò Lilibeth a cena fuori. Fermò la sua porsche davanti al ristorante “La Perle Noire” e subito due uomini in divisa rossa aprirono le loro portiere e presero in custodia l'auto. Sergey li ringraziò e prese la mano di Lilibeth, conducendola all'interno. Sergey indossava un elegante completo nero che lo rendeva irresistibile agli occhi di Lilibeth. La ragazza, invece, indossava un abito da sera di chiffon e pizzo color vino, dalle lunghe maniche di tulle abbellite da paillettes. Al collo aveva un collier di smeraldi regalo di Sergey proprio qualche ora prima. I capelli erano legati in alto, ma qualche boccolo castano scendeva deliziosamente sul collo. Nell'atrio li attendeva un uomo vestito con un completo verde scuro, che si rivolse a Sergey in francese, salutandolo con riverenza; baciò poi la mano di Lilibeth e li condusse in sala. Lilibeth rimase affascinata dall'immensa sala dove si trovavano decine di coppie sedute a dei tavoli rotondi. Il lusso dei tessuti, dei complementi e delle rifiniture era magnifico. Ma l'uomo in verde li accompagnò in un posto diverso. Arrivò, infatti, davanti a dei graziosi gradini di legno di una scala a chiocciola e tolse il cordone rosso che ne chiudeva l'accesso; li condusse di sopra e Lilibeth rimase incantata a guardare la stanza circolare dalle splendide vetrate dalle quali si poteva ammirare lo Sloan's Lake. Le luci viola della città in fondo davano un tocco di magia al panorama. La cosa più incredibile era che la sala era vuota, c'era solo un tavolo al centro apparecchiato con finezza. «Grazie.» disse Lilibeth in russo a Sergey quando l'uomo le scostò la sedia. Sergey sorrise teneramente. Era stata lei a chiedere a Nikolay di darle lezioni di russo e l'uomo aveva accettato volentieri. «Buona serata, signori. Verranno presto dei camerieri a servirvi.» disse l'uomo prima di andarsene. Quando Sergey e Lilibeth restarono soli si sorrisero. In quei due mesi avevano instaurato un rapporto stranamente solido, e nonostante le loro diversità di carattere, erano sempre in sintonia. Scambiarono qualche parola, poi arrivò il cameriere, il quale li salutò educatamente e poi lasciò sul tavolo un cofanetto di cristallo colorato. Il cameriere se ne andò e Lilibeth rimase stupita. «Cos'è?» chiese Lilibeth guardandolo. «E' il regalo di cui ti avevo parlato tempo fa.» le rivelò Sergey. Lilibeth trattenne il respiro e guardò l'uomo. «Sergey...», mormorò emozionata. «Aprilo.» «Mi sento le mani tremare...», gli confessò. «Non essere sciocca, non l'hai ancora aperto.» disse Sergey aprendo lo champagne al fresco nel cestello. Lilibeth aprì il cofanetto e aggrottò la fronte: c'era un biglietto aereo e altri documenti. Alzò gli occhi verso Sergey, non comprendendo cosa fossero. «È la tua nuova vita.» le spiegò l'uomo riempendole il calice. «Cosa?» domandò Lilibeth confusa. Sergey rimise a posto lo champagne e si sedette comodo guardando Lilibeth negli occhi: era arrivato il momento di spiegarsi. «Nel cofanetto ci sono un biglietto di sola andata per Parigi e i documenti della tua casa a Villa Montmorency, nel quartiere più esclusivo della città. Partirai con Zado e Iade, che si occuperanno di proteggerti. Ti ho aperto un conto personale da usare come più ti piace. Avrai una carta di credito senza limiti, l'auto e l'autista personale, i facchini per le compere, i guardiani per la villa, le domestiche... Insomma, tutto ciò di cui puoi aver bisogno per la vita di tutti i giorni. Ho assunto uno stilista che ti seguirà personalmente nel tuo percorso all'Accademia della Moda e potrai mettere in scena le tue creazioni nelle sfilate a te dedicate. Da questo momento sei una donna libera e seguirai i tuoi sogni. Ah, hai divorziato da Bennett, sei una donna libera anche legalmente e sentimentalmente.» Lilibeth rimase a bocca aperta a fissare Sergey per lungo tempo e lui ridacchiò nel vederla così attonita. «Stai... scherzando?» «No.» «Sono... sono divorziata?» chiese incredula. «Sì.» «Una villa a Parigi? Un corso di moda? Delle sfilate? Io... io... io non... non capisco...», balbettò Lilibeth toccandosi la tempia. «Sergey, perché? Perché fai questo? Io credevo che tu volessi che io fossi solo tua.» «Ed è così. Ma non voglio possedere una donna spaurita che si sente inferiore a me, quella è roba per individui come Bennett. Lilibeth, sei una creatura meravigliosa e sono certo che la tua dolcezza non verrà mai scalfita per nessuna ragione, ma prima di tutto voglio che tu sia una donna indipendente, libera e soprattutto felice. Vai, insegui i tuoi sogni, avverali, e poi ci rincontreremo.» Lilibeth tremò leggermente e Sergey alzò il calice. «Alla tua nuova vita, piccola.» disse l'uomo con voce intensa. Lilibeth cominciò a singhiozzare e Sergey venne toccato da quella dolcezza d'animo. Si alzò e l'aiutò ad alzarsi per poi prenderla per le braccia e cominciare a ballare con lei in quella sala spaziosa e intima. Una soave musica aleggiava nell'aria e sembrava esprimere i sentimenti che Lilibeth e Sergey provavano in quel momento. L'uomo la strinse più forte a sé e le sussurrò: «Non piangere, ti prego.» Lilibeth si strinse a lui, ma non riuscì a proferire parola; non riuscì a dirgli tutto ciò che avrebbe voluto. “Voglio restare con te”, riuscì solo a pensare. Sergey si fermò e quando Lilibeth alzò il viso per guardarlo vi trovò nel suo volto un'espressione di estrema tenerezza. Poi, lentamente, molto lentamente, Sergey l'attirò a sé mettendole un braccio attorno alle spalle e prendendole gentilmente il mento con l'altra mano. Si chinò su di lei e Lilibeth trattenne il respiro quando comprese che stava per baciarla. Chiusero gli occhi e quando le loro labbra si trovarono si schiusero dolcemente, pronte ad assaggiare l'una l'anima dell'altro. La lingua di Sergey era calda e anche se dura, i suoi movimenti erano delicati. Lilibeth si arrese a lui, lasciando che le invadesse la bocca, godendosi quel bacio colmo di forza e dolcezza, di passione e premura. Dunque quello era un bacio. Che sensazione unica e profonda! Non era solo qualcosa che riguardava la bocca, ma tutto il corpo. E anche lo spirito. Lilibeth, infatti, si sentiva leggera, quasi debole; sentiva i muscoli rilassarsi e il sangue fluire più velocemente. Si sentiva come una bambola di pezza tra le mani di un uomo che invece aveva il pieno controllo di ciò che faceva. “Oh, Sergey...”, pensò Lilibeth provando una struggente sensazione nel cuore. Sarebbe stato bellissimo poter vivere quelle emozioni per tutta la vita... ~ Parigi, sette mesi dopo Quella sera a Parigi c'era la sfilata della stilista Lilibeth Lynkaster (chiamata soltanto “Lilibeth” nel mondo della moda) che si teneva alla Fashion Tower, una cattedrale sconsacrata che Lilibeth e altri tre stilisti avevano acquisito per trasformarla in un luogo di moda. I suoi abiti da sogno avevano incantato il mondo e l'avevano portata in breve tempo ad una vertiginosa ascesa. Aveva guadagnato talmente tanto che aveva comprato una villa tutta sua appena fuori Parigi, sia per essere immersa nella campagna – che adorava – sia perché non voleva sfruttare troppo la generosità di Sergey restando nella sua villa a Montmorency. Nella sua nuova casa non aveva domestici o facchini: aveva pagato il biglietto a Martha, la sua vecchia domestica di Denver, assumendola come unica persona per prendersi cura della villa. Però – su ordine di Sergey – Zado e Iade erano rimasti con lei per la sua sicurezza. E Sergey lo sentiva spesso, sia per telefono che per email. Le faceva sapere come stava Notte, il suo cane, e scambiavano qualche parola riguardo alla nuova vita di Lilibeth. La ragazza gli chiedeva spesso consigli su nuovi contratti e su come agire in certe situazioni, e Sergey le aveva sempre consigliato giusto. Si sentiva riconoscente verso di lui, perché senza il suo aiuto non avrebbe potuto raggiungere il successo in maniera così veloce. Era un sogno. Un sogno imperfetto, perché l'unica cosa che le mancava per essere completamente felice era avere Sergey accanto. Nell'immensa sala che ricordava un mondo sommerso, con tonalità di blu intenso e argento e musiche di arpa, tutte le centinaia di invitati si alzarono in piedi al termine della sfilata per applaudire estasiati Lilibeth. Tutte le modelle, con indosso i suoi abiti incantevoli, erano presenti sul palco ad applaudire anche loro. Arrivò Lilibeth, bellissima e sorridente, e un tripudio di voci si levò al cielo. La giovane donna camminò per tutta la passerella, salutando con la mano il pubblico e ringraziandoli con dei graziosi inchini. Indossava un tailleur bianco e delle scarpe rosse col tacco a spillo. Era un incanto. Dietro le quinte arrivarono decine di persone a congratularsi personalmente con lei, e Lilibeth ringraziò tutti calorosamente. Arrivarono Zado e Iade a consegnarle dei fiori da parte di ammiratori e Lilibeth ringraziò gentilmente anche loro, chiedendo di mettere i fiori da una parte. La serata proseguì per alcune ore, nelle quali Lilibeth fece un po' di relazioni pubbliche, parlando con altri stilisti e con persone facoltose. Verso le due di notte si congedò e tornò a casa con Zado e Iade. Arrivata alla sua villa, Iade le aprì lo sportello e l'aiutò a scendere. Lilibeth salutò i due uomini augurando loro buonanotte, sapendo che sarebbero andati a divertirsi nei locali per tutta la notte. Lei entrò in casa, si tolse il lungo cappotto bianco e si diresse nel grande salotto. L'arredamento della villa era moderno e sulle tonalità chiare. Il salotto dove entrò aveva una grande vetrata che si affacciava sul giardino giapponese e le luci poste nei viali erbosi dava un tocco suggestivo. Ricordava la villa di Sergey a Black-Aster. Lilibeth andò verso il tavolino di cristallo rosa e prese la posta, leggendo con attenzione le lettere. Il suo sguardo cadde verso il tavolo della sala da pranzo sulla sinistra e aggrottò la fronte vedendo quel grandissimo mazzo di fiori posto nel vaso di porcellana nera. Lilibeth andò da quella parte e socchiuse la bocca dallo stupore quando vide che era un magnifico mazzo di rose bianche e farfalle di cristallo colorato. C'era un'unica rosa rossa al centro del mazzo. «Oh...», le sfuggì dalle labbra. C'era anche un biglietto. Lo prese e lo lesse: “Voltati”. Lilibeth si voltò e vide Sergey appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate. Le lettere e il biglietto caddero dalle mani di Lilibeth, la quale rimase a guardare a bocca aperta e occhi lucidi l'uomo davanti a sé. Non lo ricordava così imponente! Era magnifico! «Sei incantevole.» le disse la roca voce di Sergey. Lilibeth singhiozzò e poi corse da lui, abbracciandolo con forza. Sergey sorrise intenerito e la strinse a sé, godendo di quel corpo delicato e profumatissimo. Quando si scostarono si sorrisero a lungo. «I tuoi abiti sono meravigliosi, piccola.» disse Sergey. «Eri alla Fashion Tower stasera?» chiese Lilibeth stupita. «Sì. E sono rimasto folgorato dalle tue creazioni.» «Grazie.» disse Lilibeth senza voce. «Hai lavorato sodo, hai inseguito i tuoi sogni, ti sei azzardata, sei rimasta fedele alla tua etica e hai raggiunto il successo senza mai perdere la tua dolcezza, non male per una zaychik spaventata.» commentò Sergey allungando una mano per posargliela sulla guancia. Lilibeth chiuse gli occhi e si godette il calore di quella mano forte. Che ricordi bellissimi gli dava quel tocco. «Sono orgoglioso di te, piccola. Guardati, sei una donna libera, indipendente, intraprendente; capace di lottare per ciò in cui crede e docile nell'ottenerlo. Se quando ti ho conosciuta eri la donna dei miei sogni, adesso sei la donna della mia più splendida realtà, Lilibeth.» aggiunse Sergey con voce calda. Lilibeth sentì le gambe tremarle a quelle parole, ma mantenne un contegno. Sergey la guardò dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa, trovandola bellissima. Poi andò verso il mazzo di fiori, prese la rosa rossa e tornò davanti a Lilibeth, porgendogliela. Lilibeth prese la rosa e gli sorrise dolcemente. «Grazie.» alitò la ragazza. Sergey si chinò a baciarla sul collo e le sussurrò all'orecchio: «Guarda tra i suoi petali.» Si scostò da lei e Lilibeth infilò le dita tra i vellutati petali della rosa; socchiuse la bocca, tirando fuori dal fiore un anello d'oro con piccoli brillanti incastonati. Lilibeth guardò Sergey con stupore e lui sorrise vedendola così sconvolta. L'uomo prese l'anello e glie lo infilò all'anulare. «Lilibeth, vuoi diventare mia moglie?» chiese Sergey accarezzandole il viso. Lilibeth trattenne il respiro e rimase a fissare Sergey come fosse sotto un incantesimo. La sua espressione era così sconvolta che Sergey cominciò a preoccuparsi. Avanzò di un passo e Lilibeth indietreggiò di due come fosse spaventata, ma mise male il piede e cadde a terra storcendosi la caviglia. Sergey corse subito da lei e la prese in braccio senza fatica, andando a metterla seduta sul grande tavolo lucido. Lilibeth ricordò la prima volta che l'aveva presa in braccio, nella villa di Black-Aster, quella notte che era stata portata da lui. Era passato quasi un anno, ma i brividi erano gli stessi. Sergey le prese il volto tra le mani, fissandola intensamente. «Hai bisogno di tempo, piccola? Prenditi tutto il tempo che vuoi, è una scelta importante, me ne rendo conto. Io stesso l'ho vagliata per mesi, ma ho compreso da subito che volevo averti accanto tutta la vita. Comprendo il tuo stupore, ma mi manchi, Lilibeth, mi manchi come mai nessuno mi è mancato nella vita. I tuoi dubbi... E' per la mia famiglia, non è vero? Ti prometto che saranno discreti, che non verranno a svegliarci la mattina quando saremo accoccolati a letto a farci tenerezze o a scopare selvaggiamente. E voglio confessarti un'altra cosa: non ho mai tentato di prenderti dietro, come invece volevo fare all'inizio, perché mi ero innamorato di te e non sopportavo l'idea di violarti a quel modo, visto che tu l'avresti vissuto come un trauma. Quando accadrà voglio che tu sia consapevole di essere tra le mani dell'uomo che ti ama. » confessò Sergey a cuore aperto. Lilibeth si portò una mano alla bocca e cominciò a tremare e a piangere di emozione. «Sergey...», disse guardandolo con occhi colmi di sentimento. «Niente “Sergey”, rispondi alla domanda. Vuoi essere mia moglie?» domandò Sergey prendendole le mani tra le sue. Lilibeth controllò i singhiozzi e riprese piano il controllo di sé. «Sì.» rispose in un alito. Sergey le sorrise e l'abbracciò stretta, sospirando sollevato. Lilibeth si avvinghiò a lui e sfogò un breve pianto liberatorio, viste tutte le emozioni che provava in quell'istante. Sergey la prese in braccio e si diresse di sopra, nella camera da letto. «Ora che sono la futura signora Krasnov è giunto il momento di regalarti qualcosa di speciale.» disse Lilibeth con un sorriso malizioso che fece ridere Sergey. «No», iniziò a dire l'uomo guardandola intensamente, «questa notte lo faremo dolcemente, voglio che tu abbia un ricordo tenero di quando ti ho chiesto di essere mia moglie. Poi, domattina, possiamo anche fare quelle deliziose cosine perverse e animali che tanto ci piacciono. Domani dai il giorno libero a Martha, perché ti farò urlare senza ritegno.» Lilibeth rise e si strinse a lui, inspirando il suo odore buono e maschile. «Sergey... se è un sogno non svegliarmi.» mormorò Lilibeth sospirando. «Non può essere un sogno perché siamo in due a viverlo.» disse Sergey aprendo la camera da letto. E per Sergey e Lilibeth mai notte fu più intensa. - FINE -