Applicant Aptitude Assessment

Transcript

Applicant Aptitude Assessment
Lilibeth
di
Morgana D. Baroque
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Copyright ©2014 by Morgana D. Baroque
Tutti i diritti riservati
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Questo racconto è un prodotto dell'immaginazione dell'autrice. I personaggi e gli
avvenimenti sono frutto di fantasia, tranne nel caso di figure storiche, luoghi ed eventi,
che vengono utilizzati fittiziamente. Qualsiasi riferimento a persone o fatti realmente
accaduti è da considerarsi puramente casuale.
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Quella sera il presidente della BW Software, Bennett
Wandal, uscì dal suo ufficio e le persone in piedi nel
corridoio applaudirono per congratularsi con lui dell'accordo
stipulato quella mattina con la Krasnov Corporation. La
Krasnov Corporation era una delle società più potenti del
pianeta, guidata dal russo Sergey Yaroslav Yakovlevich
Krasnov, chiamato la bestia del nord, uomo invischiato in
innumerevoli affari loschi tanto da essere considerato più un
criminale che un uomo d'affari; un criminale
spaventosamente facoltoso ed influente. Tutti lo sapevano,
ma nessuno osava ostacolarlo, perché chi ci provava faceva
sempre una misteriosa e brutta fine. E mai che si trovasse
una prova che potesse far risalire al signor Krasnov. Bennett
Wandal sorrise con sufficienza, nel suo naturale modo di
fare arrogante. Era un uomo alto, dai capelli e gli occhi
castani; uno sguardo severo e cupo e un naso aquilino.
Salutò tutti con un cenno della mano continuando a
camminare spedito verso l'ascensore, seguito da due sue
guardie del corpo e tre avvocati. Di sotto, nell'atrio del
grattacielo, c'erano alcuni giornalisti che lo attendevano per
fargli qualche domanda sull'accordo firmato quella mattina,
ma lui si rifiutò di parlarne.
«Niente domande, prego. L'unico commento è che siamo
molto onorati e soddisfatti dell'accordo con la Krasnov
Corporation.» continuavano a ripetere gli avvocati.
Giunto fuori, Bennett Wandal, salì sulla limosine nera che
l'accompagnò a casa, una bellissima villa in stile coloniale
fuori città. Arrivatovi entrò in casa e anche le domestiche si
congratularono con lui, il quale neppure rispose. Si diresse in
sala da pranzo e vide che non era ancora stato
apparecchiato.
«Martha!» gridò nervoso.
Subito una signora corpulenta e dall'andatura goffa arrivò di
corsa.
“Il signor 'cazzo' è tornato”, pensò Martha.
«Sì, signor Wandal?» chiese la donna in tono gentile.
«Dove cazzo è la mia cena?» chiese infatti Bennett.
«Sua moglie ha apparecchiato in cucina, ha insistito perché
fosse lei a preparare la cena, ha detto che voleva farle una
sorpresa per festeggiare l'accordo con la Krasnov
Corporation.» spiegò Martha.
«Quanto volte ti ho detto di non permetterle di cucinare,
cazzo!?» sbraitò nervoso Bennett.
«Lo so, signore, ma lei ha insistito tanto a...»
«Quella è più incapace di una capra! Qualsiasi cosa faccia è
un disastro, cazzo!»
«Signore, mi permetta di dirle che sua moglie è una donna
deliziosa e molto gentile, è solo un po' incerta perché ha
timore di sbagliare. Ma io premierei la sua buona volontà. È
tanto cara e adora fare tutto per lei.» si azzardò a dire
Martha, infastidita dalle accuse ingiuste di Bennett.
«Sì, sì, come no. Vai va, torna a pulire i cessi. Ci penso io a
quella cretina.» disse crudelmente l'uomo.
Si allontanò e Martha gli mostrò il dito medio alle spalle.
«Ingrato figlio di puttana.» borbottò Martha tornando
goffamente di sopra. «Ha un angelo per moglie e la tratta a
quel modo, lo stronzo. Un angelo che ama un diavolo, ecco
cosa sono! Quanto vorrei che venisse un altro diavolo a
portargliela via! Un diavolo più forte e cazzuto che dia una
bella lezione a quel coglione!»
Bennett aprì le porte scorrevoli dell'immensa cucina che si
sviluppava tutt'attorno e vide che il grande tavolo di legno al
centro era apparecchiato in maniera deliziosamente rustica.
C'era anche un buon odore di soffritto, di verdure grigliate e
di curry. Lilibeth, sua moglie, era ai fornelli a canticchiare e a
girare le verdure nel wok. Era una giovane donna dai lunghi
boccoli castani setosi e lucenti che ricadevano dolcemente
sulla schiena; gli occhi erano due brillanti zaffiri scuri che
esprimevano dolcezza. Indossava un paio di larghi pantaloni
neri e una camicia bianca con sopra il grembiule per non
sporcarsi. Era scalza, come sempre. Lilibeth adorava andare
in giro scalza, mentre era una delle tante cose che faceva
imbestialire Bennett. Un grosso cane nero anziano di nome
Notte si aggirava per la cucina zoppicando vistosamente e
Bennett storse il naso.
«Quante cazzo di volte ti ho detto che questo cazzo di cane
non lo voglio nella mia cazzo di cucina!?» gridò lui.
Lilibeth si girò a guardare il marito con occhi sgranati dal
timore: non si era ancora accorta della sua presenza. La
donna chiamò dolcemente il cane e gli aprì la porta per farlo
uscire in giardino; poi guardò il marito e gli sorrise
docilmente.
«Perdonami Bennett.» disse la sua voce soave come il soffio
del vento primaverile.
«“Perdonami Bennett, perdonami Bennett”, ma continui a
farlo!» la rimproverò lui.
Lei abbassò lo sguardo rimanendo in silenzio, sapendo che
qualsiasi cosa avrebbe detto non avrebbe fatto altro che
innervosirlo maggiormente. Quando Bennett arrivò da lei
l'afferrò per i capelli e si chinò a baciarla ruvidamente, come
la baciava sempre. Era un assalto violento, quasi un
morderla. Lilibeth restò impassibile, così lui si allontanò e
l'ammonì con lo sguardo, dandole poi uno schiaffo, sempre
tenendole la testa ferma con l'altra mano.
«Baciami.» le ordinò freddamente.
Si chinò a baciarla ancora, ma anche questa volta lei non
riuscì a ricambiare; allora lui le diede un altro schiaffo, più
forte.
«Baciami!» le ordinò scuotendole la testa.
Lei singhiozzò e i suoi occhi color del cielo al crepuscolo si
colmarono di lacrime. In uno slancio fece quello che faceva
sempre quando aveva timore e voleva implorarlo di non farle
male: si alzò sulla punta dei piedi e si abbracciò
delicatamente a lui, posandogli la testa sulla spalla.
«Ben, ti prego...», sussurrò.
Bennett la spinse lontano e lei perse l'equilibrio cadendo a
terra, guardando il marito con occhi spauriti. Bennett
cominciò a camminare per la cucina buttando ogni tanto
qualcosa dal tavolo: la saliera, le posate, i fiori che lei aveva
posto in un vasetto di vetro, il vasetto di vetro...
«Sono tuo marito, ho ogni diritto su di te! Stai diventando
irrispettosa, devo forse conferire con gli anziani della nostra
chiesa?» la minacciò Bennett.
«Oh, no, ti prego Ben, no!» lo implorò Lilibeth.
«Non ti stai comportando da moglie devota, lo capisci?
Rientro e ti trovo scalza, ancora! Quando ti ho presa in
moglie provenivi da un'umile famiglia di naramiti, timorati
da Dio, e allora io ti ho chiesta in moglie, certo di avere tra le
mani una pietra preziosa e invece...! Conosci bene le leggi
della nostra religione, eppure ti comporti come una cagna
randagia! Sono il presidente della BW, sono ricco da fare
schifo, potrei ripudiarti e risposarmi senza problemi, mentre
tu saresti marchiata per sempre come una peccatrice e
allontanata da ogni naramita, lo sai questo!?»
Lilibeth si rialzò in piedi e annuì a testa bassa, controllando
il pianto silenzioso.
«E allora perché continui ad essere... così!?» disse
indicandola. «Continui a disobbedire alle leggi e continui a
far girare per casa quel cane rognoso! Cretina! E continui a
stringerti a me per chiedere scusa! Se vuoi chiedermi scusa
devi cadere in ginocchio, così si chiese scusa! Vuoi chiedermi
scusa?»
Lei non alzò la testa e lui corse da lei per tirarle la testa
indietro e guardarla in viso. Lilibeth si spaventò di
quell'assalto e trattenne il respiro guardandolo con timore.
«Allora, vuoi chiedermi scusa!?» le sbraitò in faccia Bennett.
«S...sì...», balbettò Lilibeth.
«Allora mettiti in ginocchio!» Così dicendo la spinse
nuovamente sul pavimento. «Ecco così, brava. Vedi, è tanto
difficile? Non mi sembra, no? Ora chiedi scusa.»
«Scu... scusa...»
«Non ho sentito.»
«Scusa, Ben.»
«Non ho sentito!»
«Perdonami, Ben.»
«Non ho sentito, cazzo!»
Inaspettatamente, Lilibeth si alzò e corse di sopra, in camera
da letto. Bennett le corse dietro. Entrambi arrivarono di
corsa al piano di sopra, e Lilibeth andò a rannicchiarsi in un
angolo di quella grandissima stanza da letto arredata in stile
barocco, sulle tonalità di bianco e oro. Bennett entrò e
richiuse la porta con un colpo forte.
«Vieni subito qui, cazzo!» gridò indicando davanti ai suoi
piedi con l'indice.
«Ti prego... mi fai paura, Ben.» implorò Lilibeth tra le
lacrime, nell'angolo opposto della stanza.
Bennett socchiuse gli occhi guardandola.
«E fai bene ad averne! Ora vieni subito qui!»
Lilibeth scosse vigorosamente la testa e Bennett fece una
smorfia di rabbia che gli trasformò il viso.
«Vieni subito qui, maledetta puttana, è l'ultima volta che te
lo dico!»
Lilibeth piangeva di petto non nascondendo le lacrime
copiose, mentre le sue spalle tremavano visibilmente.
Bennett andò da lei e la prese per i capelli per poi trascinarla
brutalmente verso il centro della stanza gridando insulti.
«Signor Wandal?» chiamò un uomo da dietro la porta.
«Che cazzo vuoi!?» sbraitò Bennett.
«Mi perdoni, signore, ma di sotto c'è un'auto della Krasnov
Corporation che l'attende.»
Bennett impallidì.
«Cosa?» chiese sconvolto.
«Sì, un uomo della Krasnov ha chiesto di lei.»
«E... e perché?» domandò Bennett col cuore che gli batteva
forte.
«Non saprei.»
Bennett andò in fretta ad aprire.
«Cosa... cosa vogliono?» chiese ancora l'uomo con
l'intonazione di un bimbo spaventato.
«Non lo so, signore, ma quelle persone è meglio non farle
attendere.»
Dieci minuti dopo, l'auto arancione e nera della Krasnov
Corporation sfrecciava per le strade della città. Dentro
c'erano Bennett – con in testa un cappuccio nero – e tre
uomini vestiti in eleganti completi chiari, i quali non
pronunciarono una sillaba per tutto il viaggio. Giunti a
destinazione, due degli uomini presero Bennett per le
braccia e lo condussero all'interno di un edificio, mentre il
terzo camminava calmo davanti a loro. Bennett si ritrovò
presto in una stanza fredda che odorava di muffa. Venne
fatto sedere su una sedia di legno con i braccioli e ad essi gli
legarono le braccia; le gambe glie le legarono invece belle
larghe alle gambe della sedia. Appena gli tolsero il cappuccio
Bennett notò l'uomo in piedi di fronte a lui che lo fissava
severamente. Era Nikolay, segretario personale di Sergey
Krasnov. Nikolay era un uomo di mezz'età con i capelli
brizzolati e gli occhi nocciola, un uomo dallo sguardo fermo
e deciso, ma che stranamente infondeva anche molta
serenità. Non certo per Bennett che in quel momento non
riusciva a provare un sentimento diverso dalla paura. Spostò
infatti preoccupato lo sguardo sui due grossi dobermann ai
lati dell'uomo brizzolato, due grossi cani muscolosi e
ringhianti tenuti per la catena da due uomini incappucciati
che nascosti nell'ombra quasi non si vedevano; dunque
sembrava quasi che i due cani fossero due bestie
appartenenti all'oscurità, un'oscurità che a malapena riusciva
a trattenerle.
«Signor Wandal», cominciò a dire Nikolay con un forte
accento russo, «lasci che le presenti Veleno e Buio, i due
cuccioli del signor Krasnov.»
Bennett deglutì a vuoto, provando il desiderio di fuggire.
«Sa, signor Wandal», ricominciò a dire Nikolay, «noi della
Krasnov Corporation odiamo tante cose: i traditori, i
bugiardi, gli stupidi col potere, il vino scadente, chi fa del
male agli animali, chi parla durante i film e le catenine d'oro
sul petto peloso.»
Bennett aggrottò la fronte nel sentire quel discorso bizzarro,
ma non disse nulla, era troppo spaventato per farlo.
«Ma ci sono due cose», ricominciò a dire Nikolay facendo un
gesto con la mano destra, «due cose che odiamo più di tutte
queste messe assieme. E sono: chi non mantiene fede agli
accordi, chi ci sottovaluta e chi ci corregge.»
«Queste sono tre cose.» puntualizzò Bennett.
I due uomini in piedi accanto a lui gli tirarono entrambi un
pugno allo stomaco e Bennett si piegò in due dal dolore.
Nikolay restò impassibile a guardarlo mentre i cani si
agitavano e si alzavano sulle zampe posteriori, ringhiando e
sbavando fissando Bennett, probabilmente eccitati
dall'azione violenta compiuta dai due uomini accanto a lui.
«“E chi ci corregge”, signor Wandal. Non era difficile capire
che non avrebbe dovuto farlo, no? Ciò mostra quanto lei sia
stupido. E questo la mette negli stupidi col potere della
prima categoria. Male.» disse Nikolay.
«Che cosa... volete da me?» chiese Bennett quasi senza voce.
«Quello che era negli accordi, signor Wandal: il microchip.»
affermò sereno Nikolay.
Bennett mugolò di timore e chinò maggiormente il capo.
«Mmh», iniziò a dire Nikolay scuotendo il capo, «questa sua
reazione non promette niente di buono. Ma gli accordi erano
chiari, signor Wandal: la Krasnov Corporation avrebbe
stipulato quel contratto con lei avendo in cambio il
microchip. Noi abbiamo tenuto fede alla nostra parola, come
sempre facciamo, ed ora pretendiamo che lei faccia
altrettanto. Allora, signor Wandal, il microchip?»
«Io... non... non ce l'ho...», confessò Bennett.
«Suppongo che intende dire che ancora non ce l'ha perché
ha bisogno di più tempo per recuperarlo. Non è così, signor
Wandal?» domandò Nikolay con accondiscendenza.
«No, intendo dire che...» Bennett non riuscì a concludere la
frase.
«“Che”? Parli, signor Wandal, non ha nulla da temere.» disse
Nikolay con un'intonazione che faceva presumere tutt'altro.
«Non... non... non so dove sia. I miei uomini l'hanno cercato
a lungo e non era dove avrebbe dovuto essere.» disse
Bennett.
«Dunque era come dicevo io: ha solo bisogno di più tempo
per trovarlo, no?»
«Sì.» rispose Bennett, ma dentro di sé sapeva che forse non
avrebbe avuto mai modo di ritrovarlo. Ma si guardò bene dal
dirlo. Al momento doveva solo tornare a casa.
«Bene, allora non dovrà fare altro che recuperarlo. Quanto
tempo crede le ci vorrà?»
Bennett non rispose, allora i due uomini gli tirarono
rudemente indietro la testa.
«Io... non lo so.» disse infine Bennett.
Nikolay allargò le narici: stava perdendo la pazienza.
«Le conviene darci una scadenza e rispettarla, signor
Wandal, se non vuole perdere tutto quello che ha, compresa
la sua vita, se lo riterremo necessario.» lo minacciò Nikolay
con calma spaventosa.
Bennett cominciò a tremare visibilmente e i tre uomini
scossero il capo disgustati.
«Signor Wandal, la smetta di tremare in questo modo
imbarazzante, non l'abbiamo neppure torturata ancora.»
disse calmo Nikolay.
«Vi prego...», implorò Bennett in un sussurro disperato,
sentendosi solo e impaurito come mai lo era stato.
Nikolay gli sorrise gentilmente.
«È affascinante, non trova, signor Wandal? Nella mente
umana non esiste tempo o spazio: basta spaventarci in
maniera profonda per tornare ad essere bambini in preda
alla paura, come fossimo stati abbandonati dai genitori in
una foresta buia. Quello che ci ha ferito da piccoli continua a
farlo anche dopo trent'anni, come se tutti quei decenni non
fossero mai passati, come fossimo stati feriti ieri.
Affascinante davvero. Molte volte ho visto uomini vicino alla
morte tornare bambini imploranti. Ma mi perdoni, sto
divagando. Mi dica, quando potremo avere ciò che
vogliamo?»
Bennett iniziò a piangere forte, singhiozzando come non
aveva mai fatto. Nikolay fece un verso spazientito con la
bocca.
«Questo pianto cosa significa, signor Wandal?» disse in un
sospiro infastidito.
«Io... io non so quando potrò darvi ciò che volete.» riuscì a
dire Bennett.
Nikolay strinse forte le labbra assumendo un'espressione
contrita.
«Il signor Krasnov non ne sarà contento.» osservò Nikolay
prendendo il telefono dalla giacca per chiamare il suo capo.
Mise il vivavoce in modo che anche Bennett potesse sentire e
parlare direttamente con lui.
«Il mio microchip?» chiese la profonda voce maschile di
Sergey Krasnov anch'egli con forte accento russo, appena
rispose alla chiamata.
«Buonasera, signore. Sono spiacente di informarla che il
signor Wandal non è in possesso del microchip e che per il
momento non sa quando potrà averlo.» lo informò Nikolay.
Si sentì un grugnito nervoso e poi la voce di Sergey che
ordinò:
«Tagliategli le palle!»
«No!» gridò Bennett. «Parliamone, d'accordo? Signor
Krasnov ripagherò al danno che le ho arrecato, lo giuro! Le
darò la mia casa, il mio conto in banca, le mie auto, tutto ciò
che possiedo!»
Nikolay aggrottò la fronte.
«È forse idiota, signor Wandal?» mormorò rivolto a Bennett.
«Sta offrendo denaro ad un uomo a cui non basterebbero tre
vite per spendere ciò che guadagna?»
«Non me ne faccio un cazzo dei tuoi ridicoli possedimenti!»
sbraitò infatti Sergey nervoso.
“Cosa le dicevo?”, sembrò dire Nikolay con gli occhi a
Bennett.
«Allora lavorerò per lei gratuitamente, per sempre se
necessario!» riprese a dire forte Bennett verso il telefono.
«Sarò il suo più fedele cane, mi arruoli tra i suoi fidati, per
favore! La prego, signore, la prego!»
Seguì un'interminabile istante di silenzio: Sergey stava
riflettendo.
«Voglio quel microchip, Bennett. Ti do tre mesi di tempo.»
lo informò Sergey.
Bennett fece un grandissimo sospiro di sollievo.
«Oh, grazie! Grazie, signor Krasnov, grazie, grazie! Lei è
davvero...»
«Ma in questi tre mesi, per essere certo che non farai il
furbo, mi prenderò tua moglie.» precisò Sergey facendo
impallidire Bennett.
«Co...cosa? No!» esclamò Bennett sconvolto.
«Le palle.» ordinò ancora Sergey.
Subito i due uomini ai lati presero delle grandi cesoie da
chissà dove e Bennett gridò forte. I due dobermann tirarono
la catena abbaiando forte, desiderosi di sbranarlo.
«Aspetti, aspetti! Signor Krasnov, mia moglie non è come le
altre donne, non le piacerebbe, siamo di religione naramita.»
disse Bennett.
«Che significa?» chiese Sergey.
«Il Naramismo è una religione che conta pochi prescelti e
soprattutto alle donne è richiesta una rigida disciplina.
Essendo mia moglie naramita non le è permesso depilarsi, né
lavarsi i capelli più di una volta a settimana, né tenerli sciolti
ma solo legati in trecce; né le è permesso truccarsi o usare
prodotti per la bellezza.» spiegò Bennett.
«Merda...», mormorò Sergey disgustato. «Kolya», disse poi in
russo, rivolto a Nikolay, «assicurati che si depili e si lavi
prima di portarmela, non voglio scoparmi un ratto con le
trecce.»
«Da, sjer.» rispose Nikolay.
«La prego, signor Krasnov, mia moglie è una buona donna, e
anche se ribelle non merita di essere sottomessa ad un uomo
che...»
«Che cosa ha fatto da essere definita ribelle?» chiese Sergey
curioso.
«È che ultimamente sta mostrando vanità proibite, come
quelle di possedere oli da bagno profumati e perfino un
deodorante al profumo di fiori selvatici.» disse Bennett.
«Nientemeno!» lo prese in giro Sergey.
«Sì! Naturalmente non l'ho detto al consiglio degli anziani,
altrimenti avrebbero preso dei seri provvedimenti nei suoi
confronti.»
«E cosa dirai al consiglio riguardo al fatto che l'hai data a
Sergey Krasnov per essere la sua puttana?» chiese
crudamente Sergey.
«Terrò il segreto, ovviamente, altrimenti sarò costretto a
ripudiarla.»
«Quindi mi sembra di capire che a te non dà fastidio se me
la scopo.» disse Sergey.
«No, ma solo perché so che lei non godrà nel farlo, anzi, ne
soffrirà, in quanto sarà sua schiava sessuale. Comunque è un
sacrificio che sono pronto a fare.» disse Bennett con
freddezza.
«Che uomo coraggioso.» commentò Sergey disgustato.
«Un'ultima cosa: c'è qualcosa che le è sessualmente proibito
fare? Non saprei, se le chiedessi di succhiarmi l'uccello
scapperebbe via gridando “il diavolo vuole violentarmi”?»
«Il sesso orale è sporco e proibito per noi, perché non atto
alla procreazione; ma sarà contro la sua volontà, quindi lo
farà.» spiegò Bennett.
«E vorrei vedere.» osservò Sergey.
«In realtà è proibito qualsiasi atto che riconduce ad un puro
piacere fisico e non al concepimento.»
«Povera piccola, il sesso anale sarà per lei traumatico,
allora.» disse Sergey.
«Il sesso... cosa? No! Non quello, signore! Quello è un atto
non solo impuro ma del diavolo!» esclamò Bennett.
«Lo sapevo io.» borbottò Sergey.
«Vi prego, signore, non quello! Fatele qualunque altra cosa,
ma non quella! Neppure io potrei più accettarla come moglie
dopo un simile abominio!» affermò Bennett quasi
spaventato.
«Problemi tuoi. Le farò tutto quello che vorrò, dove vorrò e
come vorrò. Non ti offendi se te la restituisco un po'
ammaccata, no? Altrimenti posso sempre tagliarti le palle.
Cosa preferisci: che ti tagli le palle o che usi tua moglie come
la mia cagna personale?» chiese Sergey.
Bennett strinse le mascelle.
«Allora?» lo spronò Sergey.
«Mia moglie.» disse Bennett.
«Ma che marito premuroso. Lasciatelo andare e portatemi
sua moglie stasera stessa, portatela nella villa a Black-Aster.
Bennett...?», lo chiamò Sergey e Bennett restò in ascolto col
cuore in gola, «prega che la tua femmina sia di mio
gradimento.»
Detto ciò chiuse la telefonata e Bennett venne slegato.
«È... è molto crudele?» chiese Bennett guardando Nikolay.
«Chi, il signor Krasnov? Oh, no, è docile come un cucciolo!
Signor Wandal, lei che dice? Perché crede venga chiamato la
bestia del nord? Il signor Krasnov è spaventosamente
crudele, ma può anche essere sopportabilmente violento se
si fa come dice lui. Le consiglio di dire a sua moglie di
obbedire ad ogni ordine del signore, se vuole che gli venga
restituita che ancora cammina con le sue gambe.»
Bennett deglutì e si lasciò mettere il cappuccio, pensando
che in fondo era un bene che lui l'avesse sempre trattata
male, era così abituata ad un uomo violento; anche se Sergey
Krasnov sarebbe stato di certo un uomo immensamente più
violento di lui.
«Cosa?» chiese Lilibeth indietreggiando impaurita.
Bennett andò a sedersi sul letto passandosi la mano tra i
capelli.
«Hai capito bene. Adesso vai, ti aspettano di sotto.»
Lilibeth si guardò attorno e sorrise incredula.
«Ben, stai dicendo sul serio?»
«Beth, vai, cazzo, non farli innervosire maggiormente!» la
rimproverò lui stringendo i pugni.
Lilibeth iniziò a singhiozzare piano mentre il suo viso
impallidiva spaventosamente.
«Ti prego, Ben, non darmi a... lui!» lo implorò.
«Non ho potere contrattuale, lo capisci!? Devo obbedire
altrimenti mi tagliano le palle! E tu non vuoi che me le
taglino, no? Tu vuoi avere figli un giorno, no?»
Lei annuì e lui allargò le braccia.
«Allora non vedo perché esitare! Scendi e ricorda di essere
obbediente.»
Lilibeth si riavvicinò a lui e gli cadde in ginocchio davanti,
guardandolo con i suoi occhi blu lucidi di lacrime di paura.
«Ben...», iniziò singhiozzando.
«Non cominciare, Beth!» si lamentò lui alzandosi in piedi.
«Sono gli accordi.»
«Ben, mi stai dando in pasto a Sergey Krasnov! Alla bestia
del nord! Come puoi farlo? Lo sanno tutti che è un criminale
spietato! Ha le mani in tutto e riesce a controllare chiunque,
quel mostro è libero di fare quello che più gli piace! Si dice
che nei terreni delle sue proprietà ci siano seppellite più
persone che nei cimiteri della città; si dice che dopo che le
donne entrano nelle sue ville si perde traccia di loro; si dice
che tenga i suoi due dobermann a digiuno per settimane,
rinchiusi in celle buie e che li nutra con carne umana per
addestrarli a sbranare i suoi nemici; si dice che schiavizzi
donne bellissime, le quali devono sottostare agli ordini di lui
e dei suoi uomini spietati. Ecco, è questa la fine che farò,
Ben: sarò una puttana che lui userà non solo per sé – che già
è spaventoso abbastanza! – ma anche per i suoi uomini senza
cuore! Ti prego, non farmi questo, Ben, ti imploro!»
Per tutta risposta Bennett andò ad aprire la porta, facendole
cenno di uscire.
«Da moglie devi obbedire a tuo marito senza possibilità di
replica. Ricorda che sei stata cresciuta per essere mia moglie,
la mia serva e la mia amante.» affermò Bennett asciutto.
«Ma tu, come marito, hai il dovere di proteggermi...», tentò
di dire Lilibeth.
Bennett s'incupì.
«Io cosa? Io non ho nessun dovere! Il mio dovere di marito è
quello di nutrirti e darti una casa e non mi pare di mancare a
questi miei doveri! Sei tu che stai mancando di rispetto ai
tuoi doveri, cazzo! E ora vai, prima che mi arrabbi e ti ripudi
come moglie! Vuoi che ti butti in mezzo ad una strada? È
questo che vuoi?» la minacciò Bennett.
Lilibeth andò singhiozzando alla porta.
«Ben...», alitò guardandolo e toccandolo sul braccio. «Ho
paura... ho paura che mi uccida...»
«Non ti ucciderà, vuole solo tenerti come caparra.
Semplicemente ti sbatterà e ti tratterà come una puttana, ma
se sarai buona non ti farà troppo male. E io non dirò nulla a
nessuno di quanto accaduto, così non dovrò ripudiarti. Ora
vai, ti porteranno a depilarti le gambe prima di portarti da
lui.»
«Cosa? Ma è contro la...»
«Va, è tardi.» disse Bennett dandole un bacio sulla fronte e
spingendola piano fuori dalla stanza. Richiuse la porta e
andò a buttarsi sul letto a fissare il soffitto. Allungò una
mano e si toccò i testicoli, sospirando sollevato.
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La splendida villa di Sergey Yaroslav Yakovlevich Krasnov
era immersa nel bosco di Black-Aster ed era la dimora
preferita dell'uomo.
Sergey stava scendendo la scalinata interna di marmo bianco
che portava al piano inferiore della villa. Due uomini in un
completo bianco lo seguivano e per quanto grossi e
minacciosi fossero non arrivavano ad avere la sua mole.
Infatti Sergey era davvero molto alto e aveva una
muscolatura impressionante. I suoi capelli erano neri e gli
occhi di un verde scuro dai riflessi cangianti, a seconda della
luce. Le sue labbra erano sempre tirate come in una smorfia
di disprezzo e le sue grandi mani dalle venature scolpite
erano due morse dalle quali era impossibile liberarsi. L'uomo
indossava solo un paio di pantaloni bianchi di lino ed era
scalzo, come lui amava essere quando era a casa. L'enorme
salotto che stava attraversando era arredato con lunghi
divani bianchi, tappeti di pelo sintetico, tanti specchi sulle
pareti e anche sulle colonne attorno; era un locale abbellito
da pregiate tende di broccato chiaro, lampadari di cristallo e
varie sculture moderne. La parete sulla destra era un'unica
grande vetrata dalla quale si poteva ammirare il giardino
interno della villa, illuminato da tante luci soffuse. In quel
momento gli innaffiatoi erano in funzione e i due grossi
dobermann che tanto avevano spaventato Bennett, stavano
ora giocando come due cuccioli allegri con l'acqua che
veniva spruzzata in aria. Sergey si diresse all'immenso atrio
della casa e lì gli andò incontro Nikolay.
«Dov'è la mia nuova puttana?» chiese Sergey con voce ferma.
Nikolay distolse lo sguardo e non rispose, allora Sergey fece
una smorfia di nervosismo, in un gesto di delusione.
«Merda. Dalla tua espressione suppongo sia brutta, non è
così? Allora te la sbatti tu, Kolya!» disse rivolto a Nikolay.
«No, Sergey, non è affatto brutta ed è tutto fuorché una
“puttana”, te l'assicuro. È di una dolcezza disarmante e di
una docilità che ti stordisce. Io e i ragazzi siamo stati toccati
dal suo modo di fare.» confessò Nikolay.
«I soliti coglioni. Falla entrare.» ordinò Sergey.
Nikolay uscì e tornò un minuto dopo seguito dai due uomini
e da Lilibeth. La ragazza indossava una lunga camicia da
notte di cotone bianco col collo alto e le maniche lunghe.
Era scalza e spettinata, ma era bellissima. Era anche molto
spaurita. Si strinse le mani alle spalle e si guardò attorno tra
lo stupito e l'intimorito. Sergey deglutì quando guardò quel
viso angelico talmente delicato da fargli venire l'inusuale
desiderio di accarezzarla. Guardò quel corpo che tremava
impercettibilmente; ma tremava, lui lo vedeva. Gli occhi blu
della ragazza lo guardarono per qualche istante, poi si
abbassarono a guardare il pavimento. Nikolay e i due uomini
che l'avevano accompagnata indietreggiarono fino alla porta
d'entrata, come se temessero di dover assistere a qualcosa di
spiacevole. Sergey avanzò da lei e Lilibeth non riuscì a stare
al suo posto tanto era il timore, così indietreggiò fino al
muro; sbatté contro la parete e Sergey la guardò strisciare
lentamente a terra con la schiena, alzando su di lui due occhi
lucidi dalla paura. Sergey la osservò: aveva il viso delicato e
armonioso, la pelle di Luna, le labbra socchiuse, i capelli
castani e brillanti, gli occhi due toccanti lapislazzuli che
sembravano accarezzarlo e il corpo talmente fragile che lui si
chiese se avrebbe potuto reggere alla sua foga animale.
L'uomo piegò la testa di lato e corrugò la fronte prima di
chiedere incredulo:
«Questa è la moglie di Bennett?»
«Sì.» confermò Nikolay.
Sergey la fissò ancora a lungo, osservando ogni centimetro
della ragazza.
«L'ultima donna a cui ho visto indossare questa merda è
stata mia nonna.» commentò Sergey.
Lilibeth alzò ancora lo sguardo su Sergey e subito l'uomo in
piedi al fianco destro di Sergey esclamò:
«Chi ti ha dato il permesso di alzare lo sguardo sul capo,
cagna!?»
La ragazza sussultò ed abbassò la testa, mentre Sergey –
senza neppure voltarsi – alzò il braccio per dare un colpo in
faccia all'uomo che aveva parlato, il quale gridò
sommessamente piegandosi in due dal dolore e coprendosi il
volto con le mani.
«Guardami.» ordinò la voce calma di Sergey e lei obbedì,
guardando per un attimo il viso sanguinante dell'uomo a
fianco a Sergey.
«Come ti chiami?» chiese Sergey.
«Li... libeth.»
Nikolay emise un sospiro accompagnato da un "oh" di
tenerezza, incantato da quella voce tremula e sussurrante.
«Libeth, sarai la mia puttana, dovrai fare tutto ciò che ti
ordinerò, perciò vedi di non farmi incazzare.» le disse
Sergey.
Lilibeth annuì vigorosamente.
«Sarò buona... Ma è Lilibeth.» precisò lei.
«Cosa?» chiese Sergey.
«Il mio nome, è Lilibeth.» ripeté lei.
Sergey la guardò socchiudendo gli occhi.
«Non me ne frega un cazzo del tuo nome, tanto ti chiamerò
“troia” e dovrai correre quando lo farò, hai capito!?»
Lei emise un singulto e annuì chinando il capo e
asciugandosi le lacrime con mano tremante. Sergey la
guardò a lungo.
“Non sembra sforzarsi di essere docile”, pensò l'uomo, “ma
possibile che lo sia davvero così tanto?”
Intanto l'uomo alla destra di Sergey aveva smesso di
sanguinare e si stava faticosamente rialzando in piedi,
tirando su col naso.
Sergey osservò Lilibeth attentamente, immaginando il
momento in cui l'avrebbe posseduta, e quel pensiero gli
scaldò subito il sangue nelle vene. La immaginò nuda sotto
di sé, tremante e arrendevole...
«Alzati.» le ordinò.
Lilibeth si alzò in piedi contorcendosi le mani mentre Sergey
ammirava quel viso soave.
“Che pelle liscia...”, pensò l'uomo.
Sergey guardò Nikolay.
«È obbediente.» osservò.
Nikolay annuì.
«O se lo è, signore! Infatti non l'abbiamo neppure dovuta
legare in auto.» rivelò Nikolay.
Sergey la guardò ancora a lungo.
«Spogliati.» le ordinò.
Lilibeth trasalì a quelle parole. Spogliarsi? Lì, adesso, davanti
a tutti? Per lei mostrare la nudità era qualcosa non solo di
proibito, ma soprattutto di traumatizzante. Guardò gli altri
cinque uomini presenti e divenne leggermente rossa sulle
guance; le si poteva ora leggere in volto tutto l'imbarazzo
che provava nel doversi spogliare di fronte a quegli
sconosciuti. Comunque non esitò troppo per non
indispettire Sergey e con mani insicure tentò di abbassarsi la
camicia da notte, ma non ci riuscì; allora cominciò a
slacciarla dal petto con mani tremanti, ma dopo molto
maneggiare con i lacci ancora non riusciva a denudarsi.
Sergey s'innervosì e le puntò un dito contro esclamando:
«Non ripeto mai un ordine due volte!»
«C'è il nodo!» esclamò lei impaurita, affannandosi per
scioglierlo, con occhi che si alzavano spesso su Sergey con
sguardo preoccupato. Sergey abbassò subito la mano,
sentendosi quasi in colpa di averla spaventata. Strano, mai
nessuno era riuscito a farlo sentire colpevole di qualcosa.
L'uomo la vide addirittura tentare di strappare la stoffa, ma
senza riuscirci.
Sergey guardò l'uomo alla sua destra, quello con naso
sanguinante.
«Zado.» disse chiamandolo per nome e facendogli cenno col
capo di avvicinarsi alla ragazza.
Zado andò da lei e l'afferrò violentemente per la gola per poi
gridarle in faccia:
«Spogliati!»
Sergey allargò le narici e colpì Zado con un pugno al fianco
con forza tale da farlo stramazzare al suolo con un urlo di
dolore.
«La mia richiesta era di aiutarla con il vestito, non di gridarle
contro, coglione!» sbraitò Sergey.
L'uomo alla sinistra di Sergey – che invece si chiamava Iade –
scosse il capo guardando l'amico a terra e andò lui da
Lilibeth; sfilò un pugnale preso da chissà dove e con una
mossa veloce tagliò i lacci, sorridendole e accarezzandole il
viso, tornando poi sereno al suo posto. Zado tornò, invece,
mezzo strisciante accanto a Sergey, rimanendo seduto a
terra, troppo dolorante per muoversi. Intanto Lilibeth lasciò
cadere a terra la camicia da notte, restando solo con un paio
di culottes bianche di cotone e un reggiseno anch'esso di
cotone bianco, di quelli che davvero usava la nonna di
Sergey. Girò il viso di lato, profondamente imbarazzata.
Sergey, invece, restò impassibile, anche se le sue mascelle si
serrarono forte; gesto che faceva sempre quando era stupito,
piacevolmente stupito. Lilibeth aveva un corpo delizioso,
delicato e setoso, col seno piccolo, la vita stretta, lo stomaco
piatto. Gli altri cinque uomini chinarono il capo di lato,
pendendo ridicolmente con il corpo per poterla ammirare
meglio ed emettendo un "oh!" di compiacimento. Infine
Sergey guardò Iade e gli fece un cenno col capo e Iade annuì
e andò subito da Lilibeth; la prese in braccio e seguì Sergey,
seguito a sua volta dagli altri quattro uomini. Arrivarono nel
grande salone e Lilibeth si strinse contro Iade singhiozzando
piano, provando tanto timore. Iade la strinse più forte e le
sussurrò all'orecchio:
«Non temere, andrà tutto bene se obbedirai al signor
Krasnov.»
Quelle parole ebbero l'effetto di rassicurarla, nonostante si
rendesse conto che forse erano state dette solo per
gentilezza. Iade la mise a terra sul grande tappeto peloso, poi
andò a sedersi. Nei due divani messi uno di fronte all'altro
presero posto Iade, Zado, Nikolay e gli altri due uomini.
Tutti e cinque si misero comodi e restarono in silenzio a
guardare Lilibeth. Sergey, invece, andò a sedersi su una
grande poltrona bianca posta davanti alla ragazza. Con
calma si versò da bere dal tavolino sulla sua sinistra; riempì
un bicchiere squadrato di whisky iniziando a sorseggiarlo,
tenendo gli occhi su Lilibeth e mettendola in profonda
soggezione con quel suo sguardo inquisitore. La ragazza,
infatti, abbassò la testa e chiuse gli occhi, desiderando essere
altrove; ma stranamente non si sentiva in pericolo.
“Sono mezzo nuda di fronte a sei uomini, tra cui uno tra i più
pericolosi e potenti della nazione, in una villa di sua proprietà
immersa nel suo bosco, eppure non sono spaventata a morte
come dovrei. Perché?”, pensò stupita.
«Lo sai cosa sei?» chiese l'imperiosa voce di Sergey
distogliendola dai suoi pensieri.
Lilibeth lo guardò intimidita, ma non rispose.
«Non lo sai?» chiese Sergey in tono beffardo. «Come, non ti
hanno detto cosa saresti diventata?»
Le labbra rosee di Lilibeth tremolarono prima di rispondere:
«La... la sua puttana, signor Krasnov?»
Sergey fece un sorriso compiaciuto.
«Brava.» E sorseggiò il suo whisky. «E sei pronta ad esserlo?»
Lei si strinse nelle spalle e strofinò un ginocchio all'altro,
come una bimba in preda al timore.
«S...sì.» disse incerta.
«Sì? Sicura? Dunque se ti ordinassi di levarti quelle mutande
– che sono un'offesa a tutto il genere femminile – e di
metterti nuda a quattro zampe e soddisfare i miei uomini lo
faresti?» chiese Sergey, godendo di quel gioco crudele atto a
spaventarla. Lilibeth singhiozzò forte ma si tappò subito la
bocca con la mano, temendo di infastidirlo col suo pianto e
questo colpì molto Sergey, e anche i cinque uomini presenti,
i quali si scambiarono tutti un'occhiata complice.
«Allora?» domandò Sergey.
«Se... se mi rifiutassi, lei cosa... cosa mi farebbe?» chiese
Lilibeth prendendo coraggio.
I cinque uomini sui divani guardarono attentamente Sergey,
curiosi di sentire la sua risposta. Sergey posò il bicchiere e la
guardò serenamente.
«Ti farei molto male.» rispose con naturalezza.
I cinque uomini sul divano annuirono tra loro: sì, era quella
la risposta che si aspettavano da lui.
«Oh.» disse semplicemente Lilibeth, quasi come fosse
sollevata.
Sergey corrugò la fronte in un'espressione stupita.
«Non sembri impaurita.» osservò l'uomo.
Lilibeth gli sorrise docilmente alzando una spalla nuda e
distogliendo lo sguardo da lui, ma senza perdere quel suo
sorriso angelico e ammaliante. Sergey e i cinque uomini
erano storditi da quella dolcezza spontanea e quel sorriso
era veramente qualcosa di incredibile! Non era un sorriso
fatto consapevolmente per addolcirlo, ma era un sorriso
spontaneo che sarebbe riuscito ad accarezzare l'anima di
chiunque.
«Sono spaventata a morte», confessò Lilibeth in un soffio,
«ma sono anche pronta a fare quello che vuole, signor
Krasnov. Solo non... non mi uccida, la prego.» ansimò infine,
abbassando gli occhi.
Nikolay si trattenne dall'andare da lei e stringerla a sé in un
gesto paterno. Sergey, invece, mosse le labbra dentro e fuori
più volte, fissandola in silenzio, quasi come la stesse
studiando. Sembrava non essere stato toccato da quelle
parole, ma in realtà aveva avuto l'impressione che quella
voce soave si fosse infranta contro di lui come un'onda
violenta contro gli scogli.
«Pronta a fare quello che voglio, eh?» chiese Sergey
passandosi il dorso dell'indice sulle labbra serrate,
osservandola attentamente. «Abbaia.» ordinò poi tranquillo.
Lilibeth si contorse timidamente le dita. Sergey attese per
qualche minuto, fissandola severamente. Lilibeth abbassò
spesso lo sguardo sulle proprie mani, rialzandolo sul viso di
Sergey e trovandoci sempre quell'espressione
spaventosamente impassibile. Ma certamente non diceva sul
serio, non poteva dire sul serio.
«Mettiti in ginocchio e abbaia.» disse ancora Sergey
scandendo bene l'ordine.
«Non farglielo ripetere una terza volta, ti prego.» le disse
Nikolay con tono calmo.
Lilibeth si girò a guardare Nikolay e trovò l'uomo fissarla con
sguardo affettuoso.
«Obbedisci.» aggiunse piano l'uomo, addolcendo
maggiormente lo sguardo, come se volesse implorarla di non
fare innervosire Sergey, in modo da risparmiarsi dolore.
Lilibeth deglutì e guardò nuovamente Sergey. I loro occhi
sembrarono fondersi... Alla fine Lilibeth piegò le gambe e
cadde in ginocchio sul tappeto, senza distogliere lo sguardo
dal gigante vestito in bianco.
«Bau!» disse la sua voce carezzevole.
Sergey fece un mezzo sorriso compiaciuto mentre gli altri
restarono stranamente seri. Lilibeth si era aspettata di essere
derisa o di vederli quantomeno ridacchiare, invece restarono
impassibili e allora Lilibeth comprese che non avrebbero mai
riso di lei perché anche loro, nonostante potessero sembrare
amici di Sergey, erano al servizio dell'uomo e quindi
sapevano bene cosa significasse dover obbedire ad un suo
ordine, anche al più bizzarro.
«Bau!» “abbaiò” ancora Lilibeth.
Sergey si mise più comodo, allargando meglio le gambe.
«Brava cagnetta.» disse con voce roca, una voce che in
un'altra circostanza le avrebbe fatto tutto un altro effetto.
«Sei la mia cagnetta?» chiese l'uomo con lo stesso tono
carezzevole.
Lilibeth aprì la bocca per rispondere: “Sì, signore”, ma poi ci
rifletté e decise di restare nel ruolo fino a quando lui non le
avrebbe ordinato di smettere. Così rispose a quella domanda
con un forte:
«Bau bau!»
I cinque uomini sui divani commentarono tra loro
l'intelligenza della ragazza nell'aver capito di non rispondere
con le parole. Nikolay la guardò con un caldo sorriso, come
se fosse orgoglioso di lei. Ma quello più colpito di tutti era
Sergey: tutte le donne a cui aveva ordinato di fare cose
bizzarre avevano pianto supplicandolo di non farglielo fare.
Invece lei... Sergey prese nuovamente il bicchiere e bevve un
sorso.
«Scodinzola.» ordinò adesso.
Lilibeth si mise a quattro zampe e chiuse gli occhi per
trattenere le lacrime d'imbarazzo, poi iniziò a muovere il
sedere. Gli uomini sui divani mostrarono interesse a quei
movimenti, tranne Nikolay, che ormai era chiaro vedesse la
ragazza sotto una luce puramente affettiva.
«Ma che brava cagnetta.» commentò Sergey sorridendo
soddisfatto.
Ma quella strana atmosfera venne rotta dall'arrivo di uno dei
dobermann di Sergey che corse a montare Lilibeth come per
accoppiarsi con lei. Subito i cinque uomini sui divani si
alzarono per cacciarlo via, ma il cane ringhiò
minacciosamente contro di loro e continuò a tentare di
montare la ragazza, la quale gridava spaventata tentando di
allontanarsi dall'animale. Zado e Iade lo tiravano per il
collare per allontanarlo da lei, mentre Nikolay tentava di
tirar via Lilibeth da sotto di lui.
Sergey fece una simpatica espressione di insofferenza
guardando quella scena grottesca, e si portò una mano agli
occhi. I cinque uomini lottavano col cane, lo
rimproveravano, si davano suggerimenti su come fare, si
insultavano per le idee stupide che tiravano fuori e poi...
Bang! Uno sparo riempì l'aria. Tutti e cinque gli uomini,
Lilibeth, e persino il dobermann s'immobilizzarono e
alzarono gli occhi su Sergey, il quale stava stringendo in
mano un'elegante pistola nera e argentea, la prima pistola
regalatagli da suo padre.
«Veleno.» disse Sergey rivolto al cane, facendogli un cenno
con la testa.
Il dobermann comprese e obbedì, allontanandosi subito a
testa china, trotterellando verso il giardino. Nikolay aiutò
Lilibeth a rialzarsi e la osservò in volto, facendo un verso di
disappunto quando vide il vistoso graffio sulla guancia
sinistra della ragazza.
«Quello stupido cane!» esclamò Nikolay accarezzando il viso
di Lilibeth.
Sergey posò la pistola sul tavolino e si avvicinò a lei. Tutti gli
altri si allontanarono da Lilibeth, come dei predatori minori
intimoriti dal predatore più feroce. Sergey si fermò davanti a
lei e la fissò negli occhi. Lilibeth fece altrettanto, ma con
sguardo completamente diverso; lo sguardo di un gattino
impaurito che fissa dall'orso che ha di fronte. La ragazza
abbassò lentamente gli occhi sulle grandi mani di Sergey,
mani bellissime, le mani di un uomo forte, molto forte...
Sergey la prese per la vita, la sollevò senza sforzo e se la mise
in spalla, come fosse stata leggerissima, dirigendosi ai piani
superiori, nella sua grande camera da letto.
La camera da letto di Sergey Krasnov era esattamente come
lui: imponente e bellissima. Era un'ampia stanza con il
pavimento in marmo nero lucido, i muri erano specchi, il
lampadario era una scultura di ferro battuto dalla forma
navale, le rifiniture sembravano lavori in filigrana d'argento,
i tessili della stanza erano scuri ed eleganti, i mobili
squadrati e neri, il letto era a due piazze e mezza. Ma la cosa
che fece battere forte il cuore di Lilibeth fu la gabbia cubica
al centro della stanza, una gabbia dalle fini sbarre argentee e
la copertina nera di velluto all'interno; ci poteva stare
comodamente una donna messa a quattro zampe, oppure
seduta.
Sergey la portò nella sala da bagno della camera e la mise a
terra sul morbido tappeto davanti a tre lavandini circolari di
vetro nero. In fondo c'era una vasca circolare blu posta
davanti alla vetrata che dava sul giardino interno. Lilibeth
guardò la parete a specchio sopra i lavandini, guardò la sua
immagine e quella di Sergey riflesse e rabbrividì nel guardare
la differenza dei loro corpi: lui alto e massiccio, lei esile e
tremante. Sergey frugò nel mobile e prese del disinfettante e
del cotone, iniziando poi a disinfettarle il graffio sulla
guancia. Lilibeth restò ferma col cuore che le batteva forte,
così forte che ebbe il bizzarro timore che lui potesse sentirlo.
«Smetti di tremare.» disse la voce calma di Sergey.
Lilibeth tentò di controllarsi, ma non ci riuscì.
«Mi perdoni, signor Krasnov ma è difficile non...»
«E smettila di chiamarmi “signor Krasnov”!» disse lui
seccato, sempre senza distogliere gli occhi dal graffio che
stava curando.
Lilibeth guardò quel viso mascolino concentrato su di lei e le
venne lo strano desiderio di accarezzarlo.
«Come... come la devo chiamare?» gli chiese in un soffio.
Sergey fermò la mano e la fissò negli occhi, facendola
stringere nelle spalle dal timore.
«Padrone.» affermò serio.
Lei lo guardò ancora per qualche secondo poi annuì.
«Sì, Padro...»
«Stavo scherzando. Per chi cazzo mi hai preso?» la
interruppe lui. «Puoi darmi del tu, chiamami Sergey; ma solo
in intimità, davanti agli altri chiamami signor Krasnov.»
Lilibeth annuì e poi distolse lo sguardo più volte, sentendosi
a disagio per la vicinanza con quell'uomo dalla stazza
“opprimente”.
«Capisco il tuo smarrimento», ricominciò a dire Sergey
tornando a disinfettarla, «non ti saresti mai aspettata che
uno come me potesse avere il senso dell'umorismo, nessuno
se lo aspetta. Il fatto che io abbia senso dell'umorismo
destabilizza tutti, e la cosa mi piace. Amo studiare le
reazioni umane, soprattutto mi piace testare le persone,
vedere fino a che punto possono arrivare per paura.» Si
fermò ancora e la guardò a lungo. «E sono curioso di vedere
fino a che punto sei disposta ad arrivare tu.»
«Se... se vuoi», cominciò a dire lei, «te lo dico io fino a che
punto mi posso spingere, non... non c'è bisogno di mettermi
alla prova.»
Quel parlare fece sorridere Sergey.
«Ah sì? E fino a che punto saresti disposta a spingerti?»
chiese lui.
Lilibeth lo guardò negli occhi e Sergey sentì un calore dolce
al petto. Strano... Nessuno era mai riuscito a fargli provare
quella sensazione così piacevole solo con lo sguardo.
«Fino al punto che reputerò necessario per preservare la mia
vita. Sarò buona, sarò obbediente, farò tutto ciò che...», la
dolce voce ora tremula di Lilibeth si smorzò e lei abbassò la
testa per trattenere le lacrime.
Sergey strinse forte le labbra, non capendo perché
quell'arrendevolezza – che solitamente lui disprezzava e
puniva – lo toccasse nel profondo. E infatti, per contrastare
quella che lui considera una propria debolezza
imperdonabile, tirò indietro le spalle e alzò velocemente il
braccio per stringere il delicato collo di Lilibeth nella morsa
della sua mano. La giovane donna socchiuse la bocca e
allargò gli occhi, fissandolo ora con timore. Gli strinse le
mani attorno al polso e chiuse gli occhi per qualche istante,
poi li riaprì per fissare Sergey negli occhi. L'uomo fissava a
sua volta quei bellissimi occhi blu; due occhi che
esprimevano una naturale dolcezza d'animo; due occhi che
lo supplicavano chiaramente di non farle male...
«Non fare promesse che non puoi mantenere!» la
rimproverò la grossa voce di Sergey.
Lilibeth sussultò e alzò per un secondo le spalle in un gesto
istintivo di timore. La forte mano di Sergey si strinse
maggiormente attorno alla sua gola e Lilibeth deglutì
vistosamente, mentre il suo respiro si faceva più frequente.
«Non... non volevo farti arrabbiare, Sergey. Perdonami...»,
balbettò Lilibeth a fior di labbra, timorosa di farlo
innervosire maggiormente.
Sergey aggrottò la fronte nel sentire quelle parole
pronunciate con sincera docilità, perché qualcosa lo toccò
dentro, in un punto sconosciuto e questo lo disturbò
oltremodo. Allora l'uomo reagì nel solo modo che conosceva:
con la forza, con la violenza, con la minaccia. Strinse più
forte la mano attorno al collo di Lilibeth e le labbra di lei
tremolarono. Sergey fissava Lilibeth con mascelle serrate;
Lilibeth fissava Sergey con occhi lucidi di lacrime calde di
paura. Lilibeth sentiva quella mano sprigionare una forza
incredibile, sentiva che avrebbe benissimo potuta ucciderla
se avesse voluto.
“Oh Dio, fa che non stringa di più! Potrebbe farlo anche senza
volerlo, potrebbe non rendersi conto della sua forza su di
me...”, era infatti il timoroso pensiero di Lilibeth.
Sergey, intanto, l'attirò a sé e quella strattonata costrinse
Lilibeth a mettersi in punta di piedi, ed ora le gambe della
ragazza erano tese e quasi traballanti; e nonostante questo
Sergey si chinò ancora un bel po' su di lei per ad averla ad un
pelo dal suo viso. Quella loro differenza di altezza non
rassicurava certo Lilibeth, anzi, la faceva sentire minacciata
come fosse tra gli artigli di un predatore.
«Tu», iniziò a dire Sergey in un sibilo, mostrando i suoi denti
bianchi, «sei mia, è ovvio che posso farti qualsiasi cosa io
voglia! Dunque, furbetta, smetti di atteggiarti da serva
devota, perché non sai neppure quello che ti aspetta! Non
voglio promesse e frasi leziose, voglio vedere i fatti, voglio
vedere che obbedisci, hai capito?»
Lilibeth inghiottì un singhiozzo e annuì con la testa, per
quanto le fosse possibile muoverla.
«S...sì, ho capito.» rispose con voce incerta.
«Credi di riuscire a sopravvivere questi mesi?» chiese lui con
un sorriso beffardo.
Lilibeth chiuse gli occhi per qualche secondo.
«Non... non lo so.» rispose, non riuscendo a trattenere una
lacrima che le scivolò dall'occhio sinistro.
Sergey la fissò ancora per qualche istante e poi la lasciò
andare malamente e Lilibeth cadde a terra; restò seduta sul
pavimento a guardarlo impaurita, toccandosi il collo, dove il
segno rosso della mano di lui contrastava con la sua pelle
candida.
«Saprai presto quello che ti aspetta, perché questa notte
voglio sbatterti come dico io. Non temere, sarò buono visto
che è la tua prima volta con me e non te lo metterò dietro.
Visto? Posso essere anche buono. Non fare quella faccia, so
tutto della tua religione, ma non me ne frega un cazzo. Ora
sei mia e farai ciò che piace a me.»
Inaspettatamente per Lilibeth, Sergey le indicò in mezzo alle
gambe.
«Abbassa quelle oscene mutande.» le ordinò.
Lilibeth deglutì e le abbassò un po', facendogli scuotere il
capo.
«Innanzitutto depilati la passera, non mi piacciono i boschi
di peli. Qui c'è tutto l'occorrente per raderti
completamente.»
«Completamente?» domandò Lilibeth stupita.
«Sì. Voglio vederti liscia e rosa. Tieni, indossa questo
babydoll nero e gli slip e raggiungimi in camera.» disse
tirandole addosso un babydoll cortissimo di tulle nero.
«Niente tacchi, sono certo che saresti ridicola e non voglio
vedere donne goffe, mi smorzano il piacere. A me piacciono
le donne che sanno camminare disinvolte coi tacchi a
spillo.»
Lilibeth raccolse il babydoll da terra e lo fissò a lungo, poi le
sfuggì dalle labbra un fievole:
«Sono tra le mani del diavolo.»
Sergey fece un sorriso estremamente compiaciuto, come se
gli avesse appena fatto un grande complimento, poi uscì
dalla stanza lasciandola sola.
Lilibeth controllò il pianto e soprattutto il tremore,
guardando il babydoll che aveva in mano e portandoselo al
petto.
“O Dio, ti supplico, dammi la forza di sopravvivere a questo
mostro. Non so neppure se riuscirò a resistere questa notte
tra le mani di questo diavolo che violerà il mio corpo,
infangando la mia anima e dandomi il dolore e l'umiliazione
più profonda della mia vita”, fu la sua supplica fatta col
pensiero.
Dieci minuti dopo, Lilibeth uscì dal bagno depilata e col
babydoll addosso. Era bellissima. Era molto più femminile,
anche se il suo camminare insicuro, nonostante scalza,
toglieva un po' di quell'essenza. La camera da letto era
illuminata con una luce calda per via delle tante candele
accese sparse per la stanza e per le due abat-jour accanto al
grande letto; c'erano anche degli strani cristalli che non
aveva notato prima, i quali muovendosi appesi al soffitto
riflettevano della delicata luce brillante per tutta la camera,
creando un'atmosfera molto intima. Sergey era seduto su
una grande poltrona nera, con le braccia sui braccioli, la
schiena ben appoggiata allo schienale e le gambe larghe. Era
nudo, ma tra le gambe aveva un asciugamano bianco che
copriva la sua virilità. Lilibeth strinse le labbra nel guardare
quel corpo colossale senza vestiti; il petto dell'uomo era
massiccio da far paura, così come le sue grandi spalle e le
braccia dai muscoli duri; ma le sue gambe erano la cosa più
magnifica, in particolare quelle cosce marmoree.
“Le sue cosce...”, si ritrovò a pensare Lilibeth.
La ragazza restò ferma a contorcersi le mani, a dieci passi da
lui, sotto lo sguardo indagatore dell'uomo.
«In ginocchio.» le ordinò calmo Sergey e lei obbedì subito.
«Vieni qui.»
aggiunse l'uomo, volendola vedere gattonare e lei gattonò
lentamente da lui. Sergey sembrava apprezzare molto i
movimenti inconsapevolmente sensuali della ragazza,
perché si portò il dorso dell'indice sulle labbra, cosa che
faceva sempre ogni volta che tentava di controllarsi. Lilibeth
giunse davanti a lui e restò in attesa e guardandola, Sergey
sembrò perdersi in lontani pensieri.
“È terrorizzata da me. Sta tremando al solo pensiero di quello
che potrei farle. Questo è normale. Quello che non è normale
è perché diavolo tutto ciò mi tocca il cuore invece di eccitarmi
come dovrebbe!?”, si chiese lui stupito.
«Baciami.» le ordinò.
Lilibeth si sollevò sulle ginocchia avvicinandosi al suo viso,
ma Sergey aggrottò la fronte scostandosi disgustato.
«Cosa fai!? Intendevo baciami il cazzo!» sbraitò l'uomo.
Lilibeth lo guardò mortificata, stringendosi nelle spalle.
«Oh... scusami...», mormorò prima di rimettersi comoda in
ginocchio.
Cominciò a baciarlo dolcemente sulle cosce e Sergey restò
piacevolmente stupito dei brividi che quelle labbra delicate
gli davano. Quelle inusuali attenzioni gli piacquero. Invece
di baciarlo subito sul membro lo stava baciando su tutte le
cosce, forse per ritardare il momento in cui lo avrebbe preso
in bocca, ma la cosa non gli dispiacque affatto. Le cosce
erano una zona che fino a quel momento lui non aveva mai
considerato erogena, eppure adesso – sotto le labbra calde di
quella ragazza delicata – provava un piacere sublime. La
verità era che nessuna donna lo aveva mai baciato con quella
lentezza, con quella devozione; le donne che possedeva
erano solitamente delle donne rampanti pronte a tutto, che
però non mostravano segni di tenerezza, forse perché
convinte che lui non avrebbe gradito. Infatti nessuna aveva
mai fatto qualcosa di così riguardoso nei suoi confronti, e
soprattutto di spontaneo. Le donne che possedeva non si
donavano mai con abbandono, non erano rilassate né
tantomeno spontanee nel loro agire. Questa donna, invece,
lo stava stupendo non poco con quei baci delicati sulla pelle.
La cosa che a Sergey piacque più di tutte fu che Lilibeth
teneva gli occhi chiusi mentre lo baciava, come se volesse
godere al meglio di quel momento. Lo baciava con dolcezza,
senza fretta, senza preoccuparsi che lui potesse indispettirsi.
Sergey si portò ancora la nocca dell'indice tra i denti mentre
la guardava baciarlo quasi con venerazione. Che creatura
delicata. Ma lo stupore aumentò quando lei gli strofinò
piano la guancia sulla coscia e sospirò come estasiata, per poi
ricominciare a baciarlo. Sergey fermò il mordere sul dito e
restò a fissare attonito Lilibeth mentre il cuore gli batteva
forte come mai aveva fatto. Quel sospiro... Che gesto
meravigliosamente femminile, un gesto che gli fece fluire il
sangue al membro, il quale s'inturgidì in pochi istanti. Dopo
molti minuti di queste attenzioni delicate, Sergey prese la
mano di Lilibeth e se la portò tra le gambe, sotto
l'asciugamano e corrugò la fronte quando vide la faccia
stranita di lei.
«Cosa c'è?» chiese Sergey.
«Niente, scusami.» rispose Lilibeth ritraendo la mano.
«Quando faccio una domanda non voglio scuse, voglio
risposte. Ho chiesto cosa c'è, sembra tu non abbia mai
toccato un cazzo duro!» esclamò Sergey.
Lilibeth abbassò la testa e non rispose e l'uomo cominciò a
capire.
«Porca puttana, non hai mai toccato un cazzo duro?» chiese
Sergey.
Lilibeth non rispose e allora lui le alzò il mento con due dita
per poterla guardare in faccia.
«Rispondi.» la spronò.
«No... non l'ho mai toccato.» confessò Lilibeth.
«Ma ci scopavi o no con Bennett!?» domandò Sergey
incredulo.
«Sì, ma...»
«“Ma”?»
«Ma non lo toccavo, mi penetrava e basta.» spiegò Lilibeth
ad un attonito Sergey.
L'uomo scosse il capo, ridacchiando ma affatto divertito.
«Ti rifarai con me, non temere.» le disse, prima di scostare
l'asciugamano scoprendo il suo grosso membro. Lilibeth
restò per quasi un minuto a fissare a bocca socchiusa quella
verga fiera e marmorea che si ergeva fino a toccare lo
stomaco dell'uomo.
«Apri la bocca.» disse lui, ma Lilibeth alzò gli occhi su di lui
e iniziò a scuotere piano il capo.
«Non... non posso, è una cosa... sporca.» balbettò, e un
istante dopo gattonò lontano, restando a guardare Sergey.
L'uomo la fissò negli occhi rimanendo al suo posto.
«Conto fino a due», disse finalmente lui con estrema e
spaventosa calma, «dopodiché vengo a prenderti e – credimi
– rimpiangerai amaramente di avermi fatto alzare.»
Ma Lilibeth restò al suo posto. L'uomo gigantesco la guardò
con rimprovero, ma non con odio, come si sarebbe aspettata.
Non le aveva gridato contro, non l'aveva insultata, come
avrebbe fatto Bennett; era rimasto seduto tranquillo a
parlarle calmo, anche se persino da calmo era minaccioso da
far paura.
«Uno...», cominciò a contare Sergey.
«No, ti prego! Va bene, va bene, aspetta!» esclamò lei
gattonando subito nuovamente verso di lui con una velocità
che lo fece quasi sorridere.
Sergey si mise comodo e Lilibeth restò a fissare quella verga
dalle bellissime venature, proprio come le sue mani forti. Si
mise seduta più comoda sui talloni, restando in ginocchio,
poi si avvicinò e afferrò gentilmente quel pene grosso dalla
radice e trasalì quando ne sentì la durezza marmorea e
soprattutto quando vide che le sue dita neppure riuscivano a
toccarsi. Guardò Sergey negli occhi e socchiuse le labbra per
poi prendere in bocca per metà il suo membro. Cominciò a
succhiare piano, stupendosi del buon sapore di quella
mascolinità turgida. Alzò gli occhi su Sergey come per
assicurarsi che quello che stava facendo fosse di suo
gradimento e Sergey la stupì quando allungò una mano per
sfiorarle la guancia.
«Brava.» le disse roco.
Lilibeth rimase immobile, tenendolo in bocca.
Coraggiosamente si allontanò dal membro continuando a
fissare Sergey.
«Brava?» chiese incredula.
Sergey le sfiorò un ciuffo castano e setoso vicino alla
guancia.
«Sì. Sei brava perché nonostante il timore obbedisci,
risparmiandomi stupide implorazioni. E brava anche perché
succhi proprio bene. Prendilo in bocca e continua.» le disse
tranquillo.
Lilibeth lo prese nuovamente in bocca con più sicurezza,
sentendosi più tranquilla e stranamente più in confidenza
con quel colosso che fino a poco prima le incuteva una paura
incontrollabile. Si mise più sollevata con le gambe e iniziò a
muovere la testa su e giù stringendo la bocca ritmicamente e
muovendo la lingua sul frenulo. Sergey buttò indietro la
testa artigliando i braccioli della poltrona e contraendo lo
stomaco. Lilibeth mugolò nel vederlo così eccitato e
continuò con più passione. Sergey tornò a guardarla e lei
fece lo stesso. Si fissarono negli occhi: quelli intensi e lucidi
di piacere di lui e quelli dolci e maliziosi di lei. Ma successe
qualcosa... Lilibeth si allontanò un secondo da lui per
sorridergli dolcemente. Sergey rimase stordito nel guardare
quell'inaspettato e dolcissimo sorriso, un sorriso che lo toccò
profondamente. Ma Lilibeth divenne subito seria,
rendendosi conto di averlo fatto ancora, di aver fatto ciò per
cui Bennett l'aveva sempre rimproverata e spesso anche
punita. Si scostò da Sergey tenendo gli occhi bassi.
«Non... non volevo sorridere, scusami, non succederà più.»
mormorò intimidita.
Sergey le sollevò gentilmente il viso con un dito e la guardò
dritta negli occhi, penetrandola con quello sguardo
scrutatore. Lilibeth socchiuse la bocca quando il pollice di
lui le sfiorò dolcemente le labbra.
«Perché chiedi scusa? Trovo delizioso che mi sorridi mentre
lo succhi.» le disse calmo.
Lilibeth chiuse gli occhi quando la grande mano dell'uomo si
posò sulla sua guancia, coprendole tutto il lato del viso. Oh,
che calore piacevole! Che sensazione di... protezione. Sì,
proprio lui, che per Lilibeth era la persona più spaventosa
con la quale essere in compagnia, le stava donando una
sensazione piacevole. Quante volte in quella circostanza
aveva temuto la mano di suo marito...
Sergey le infilò piano il pollice in bocca e restò in attesa,
fissando quella bocca calda; l'uomo non disse nulla, rimase
col dito nella bocca di Lilibeth, la quale comprese cosa lui le
stesse chiedendo e cominciò a succhiarglielo. Sergey mugolò
soddisfatto, muovendo il dito dentro e fuori, mentre con
l'altra mano strinse forte il membro iniziando a muoverla
lentamente su e giù. La visione di lui che si masturbava ebbe
su Lilibeth un effetto inaspettato: provò un piacere fisico che
non conosceva. Era sempre stato un suo sogno segreto
quello di poter guardare un uomo che si masturbava davanti
a lei e vederlo fare a Sergey Krasnov era qualcosa di
incredibile! Succhiò ancora il dito di lui guardando quella
forte mano che si muoveva con forza sempre maggiore sul
membro rigido. Sergey le sfilò il pollice dalla bocca e l'afferrò
fermamente per i capelli, con l'altra mano prese la sua verga
dalla radice e le spinse piano la testa verso di essa.
«Apri la bocca e succhiami forte, zaychik.» le disse roco.
Lilibeth si chiese cosa mai significasse zaychik, ma suppose
fosse un modo volgare di chiamarla in russo. Aprì la bocca e
lo accolse con un mugolio di piacere, succhiando forte e
fissandolo negli occhi. Sergey divenne leggermente rosso in
volto, il suo stomaco si contrasse e i suoi occhi brillarono di
desiderio. Le spingeva ritmicamente la testa sul membro,
facendola muovere secondo il suo piacere e dicendole in
maniera esplicita quanto fosse brava nell'usare la bocca.
Lilibeth si stupì di trovare estremamente eccitanti parole che
fino al giorno prima avrebbe invece trovato disgustose e
addirittura offensive. Ma con quest'uomo tutto aveva un
altro sapore. Tutto sapeva di complicità, di naturalezza.
Ecco, le sembrava che non esistesse più niente di sporco, ma
solo di proibito, di gustosamente proibito.
Sergey si sentì presto sul punto di godere e questo lo turbò
non poco, visto che solitamente possedeva un grande
autocontrollo. Allontanò Lilibeth da sé ed entrambi
restarono ansimanti a fissarsi negli occhi. L'uomo si alzò in
piedi e la se la mise in spalla, andando deciso verso il letto; la
buttò sopra con poca gentilezza e le strappò di dosso le
mutandine e Lilibeth sentì il cuore sul punto di esplodere
sapendo che adesso l'avrebbe posseduta selvaggiamente. Ma
Sergey la stupì quando si sdraiò comodamente supino tra i
cuscini e la prese per la vita facendola sedere cavalcioni sul
suo petto. Lilibeth restò un attimo interdetta, abbassò la
testa per guardarlo stupita e Sergey capì che la ragazza non
aveva idea di quello che lui voleva fare.
«Siediti sulla mia faccia, zaychik, voglio leccarti.» le disse
Sergey.
A quelle parole Lilibeth sussultò e tentò di rialzarsi da lui,
ma le mani dell'uomo la tennero saldamente per i fianchi.
«No, Sergey, è... è...», balbettò titubante Lilibeth sentendosi
strana per il calore tra le gambe dovuto al contatto con la
pelle calda dell'uomo, «è una cosa... impura...»
«Chi lo dice?» chiese Sergey corrugando la fronte.
«La mia religione.» rispose Lilibeth.
«Sei nella mia dimora adesso, piccola, e qui vige una sola
religione: la mia. Qui comando io e si fa solo quello che dico
io. Hai capito?» le chiese stringendo le mani sulla sua pelle
morbida.
«Perdonami, Sergey, ma ciò che dici è... è una cosa blasfema
e io non intendo... Oh!» Lilibeth rimase a bocca aperta e
senza fiato quando Sergey la sollevò per le natiche e la spinse
sulla sua faccia, cominciando a baciarla con trasporto tra le
gambe. Era la prima volta che Lilibeth sentiva la bocca di un
uomo sulla sua femminilità e la cosa la fece quasi piangere
d'imbarazzo, ma al contempo le procurò un calore crescente
allo stomaco e al petto. Abbassò timidamente gli occhi su
quello che Sergey stava facendo e incrociò lo sguardo
intenso dell'uomo intento a baciarla con la lingua su tutte le
labbra, sul clitoride e persino all'entrata della sua
femminilità. Lilibeth deglutì a vuoto e si costrinse
mentalmente a distogliere gli occhi da quelli dell'uomo, ma
non vi riuscì; era come incantata a guardarlo leccarla con
tale passione da stupirla. Lo faceva con foga, ma senza
goffaggine o frettolosità, era una foga controllata, come la
fame di uno che sta sbranando qualcosa di gustoso. E
proprio quella era la cosa che più stordiva Lilibeth: che a lui
piaceva da morire quello che stava facendo. Sergey emise
qualche mugolio gutturale di apprezzamento e da come la
teneva ferma e seduta su di lui era chiaro che non aveva
alcuna intenzione di fermarsi. Lilibeth sentì la testa leggera e
dovette chiudere gli occhi; sospirò più volte e cominciò ad
ansimare sommessamente; allungò le mani davanti a lei e le
strinse attorno alla testata in ferro battuto del letto.
«Oh...», alitò buttando la testa indietro e sedendosi meglio
su di lui.
Sergey si eccitò maggiormente nel vederla godersi quelle
attenzioni sconosciute e socchiuse gli occhi guardandola. Era
bellissima, era bellissima ed inconsapevole di esserlo e
questo la rendeva ancora più affascinante, quasi ammaliante;
anzi, decisamente ammaliante. Quasi senza rendersene
conto, Lilibeth cominciò a muoversi sulla bocca di Sergey e
lui allungò la mano afferrandosi la verga e iniziando a
masturbarsi per assecondare quell'estrema eccitazione che
bruciava in lui. Lilibeth si rese conto di muoversi su di lui e
abbassò lo sguardo, fissandolo con labbra socchiuse. Guardò
l'uomo “mangiarla” con piacere, mugolando soddisfatto e
muovendo la mano sul suo membro e questo la fece sentire
strana, piacevolmente strana. Non riusciva a credere che
quell'uomo che le stava donando quel piacere immenso fosse
Sergey Krasnov, la bestia del nord! Dopo molti minuti Sergey
l'allontanò gentilmente da sé facendola rotolare su un fianco
e tirandola verso di lui da dietro, in modo che la schiena di
Lilibeth aderisse al suo petto. Sergey le sollevò la coscia e
strusciò il suo membro duro tra le sue labbra bagnate.
«No... Sergey, ti prego, non così, non come gli animali. Un
uomo e una donna si guardano negli occhi.» disse Lilibeth
timidamente.
Sergey rimase interdetto per qualche secondo e poi annuì.
«E sia.» Scese deciso dal letto, andò da lei e la prese in
braccio; la portò davanti al grande comò sul quale c'era
un'enorme specchiera e la mise a terra, facendola piegare in
avanti. Lilibeth si tenne con le mani al bordo del comò,
mentre dietro di lei Sergey le tirò piano la testa indietro e la
baciò sul collo. Entrambi fissavano lo specchio, nel quale i
loro sguardi si fondevano.
«Così va bene?» chiese Sergey con voce roca.
Lilibeth chiuse gli occhi e trattenne il respiro nel sentire le
labbra dell'uomo sulla pelle.
«Sei... crudele...», si lamentò Lilibeth riaprendo gli occhi e
rivelando uno sguardo lascivo e lucido di piacere.
«E tu sei bellissima.» disse Sergey toccandola tra le gambe
prima di cominciare a penetrarla lentamente col suo
membro marmoreo. Lilibeth socchiuse la bocca e trattenne il
respiro, stringendo forte le mani sul comò, certa che da un
momento all'altro lui l'avrebbe posseduta con foga animale.
Ma per il momento Sergey non mostrava alcuna intenzione
di possederla selvaggiamente, era intento a godersi ogni
singola lenta e sempre più profonda spinta in lei. Lilibeth lo
vide chiudere gli occhi e lo udì mormorare qualcosa in russo.
«Sei così calda.» disse qualche istante dopo in un sussurro
eccitato.
Continuò a spingersi in lei con ritmo costante, anche se
tremendamente intenso. Lilibeth guardava nello specchio il
suo seno sobbalzare ad ogni spinta e trovò la cosa molto
erotica. Quel seno che sempre era stato ignorato da suo
marito e che lei, invece, aveva sempre stimolato quando in
solitudine si toccava nell'eccitazione. La masturbazione era
peccato per la loro setta e lei si sentiva infinitamente sporca
ogni volta che cadeva in tentazione. Pregava per giorni
interi, temendo di bruciare all'inferno per il peccato impuro
commesso. Spesso riusciva a cacciare la tentazione, ma
qualche volta era più forte di lei...
«Toccati.» le ordinò Sergey. A proposito di tentazione. Tra le
mani di Sergey sentiva di essere nelle mani del demone del
peccato!
“È contro la mia volontà, è un sacrificio che da moglie faccio
per mio marito”, pensò Lilibeth. Ma dentro di sé cominciava
a nascere qualcosa di inaspettato: un piacere sottile e caldo,
un piacere che non aveva il sapore dell'errore. Ecco: era
come se sentisse che quello che stava facendo con Sergey
fosse giusto; si rendeva conto di quanto tutto ciò fosse
assurdo, ma era così. Allungò una mano tra le proprie gambe
e cominciò a toccarsi sul clitoride, sentendo quelle
piacevolissime onde di piacere increspare tutta la sua pelle
calda. Il corpo gigantesco di Sergey dietro di lei, il suo odore
mascolino, il suo respiro irregolare, le sue spinte crescenti, il
suo sguardo felino, tutto di lui era magnifico!
Lilibeth chiuse gli occhi e mosse la mano più velocemente,
iniziando ad ansimare forte. Sergey si rese conto che il
piacere più puro stava prendendo possesso di lei e la cosa gli
piacque parecchio. L'uomo aumentò la profondità delle sue
spinte tanto da farla sussultare ad ogni colpo. Si guardarono
negli occhi allo specchio ed entrambi compresero che
stavano per perdere il controllo. Ed infatti fu quello che
accadde, che squisitamente accadde, che violentemente
accadde.
Sergey si allontanò da lei e la trascinò nuovamente sul letto,
buttandola sopra con forza; si sdraiò su di lei, pesante e
caldo; Lilibeth piegò le gambe e glie le strinse attorno alle
cosce, ansimando un emozionato:
«Ti prego...»
Sergey esaudì quella supplica e la penetrò come una
pugnalata, facendole inarcare la schiena. Iniziò a muoversi
dentro di lei in un ritmo serrato, guardandola negli occhi.
Lilibeth aprì la bocca e lasciò che il suo piacere si esprimesse
con dei lunghi e acuti mugolii, mentre i suoi occhi blu e
colmi di lacrime di godimento fissavano il volto arrossato di
Sergey. L'uomo incalzò le spinte e Lilibeth si avvinghiò
strettamente a lui, artigliandogli le spalle dure.
«Oh, Sergey! Sì, sì, sì, ti prego!» gridò lei prossima
all'orgasmo.
Sergey venne colpito in pieno petto da quel donarsi sincero
della ragazza. E poi era così dannatamente bella! Si chinò su
di lei nascondendo il volto sul suo lato del viso,
concentrandosi sul piacere che cresceva in lui in maniera
incontrollabile. Poche volte in vita sua aveva provato quelle
emozioni. Ed era strano, perché l'amplesso con Lilibeth non
era stato neppure troppo curato e i preliminari erano stati
pressoché assenti; e poi lei non era stata di certo ammiccante
o invitante come le altre donne con cui solitamente faceva
sesso; eppure quel breve tempo con lei gli aveva fatto
perdere completamente il controllo come mai gli era
successo. Era sul punto di godere, gli sarebbero bastate
nemmeno una decina di spinte. E fu allora che si fermò.
Lilibeth lo guardò stupita. Sergey si sedette comodo tra le
gambe di lei e la penetrò con due dita, che cominciò a
muovere con decisione.
«Ah! No...», ansimò Lilibeth portandosi le mani tra le gambe.
Sergey glie le allontanò e continuò imperterrito a penetrarla
velocemente.
«Sergey...», stridette Lilibeth inarcando la schiena,
«perché?»
«Perché voglio vederti godere.» rispose lui nell'affanno del
piacere. E quanto gli piaceva penetrarla con le dita, guardare
la sua femminilità depilata e liscia tutta arrossata dalla foga
del sesso. Cominciò a muovere il pollice dell'altra mano
sopra il clitoride, senza fermare le sue dita decise. Lilibeth
girò il viso di lato, borbottò qualcosa, ansimò, stridette
ancora, strinse le lenzuola con le mani e le sue cosce
tremarono.
«Dai, piccola, vieni! Fai vedere al terribile Sergey Krasnov
quanto ti piace essere penetrata fino in fondo. Oh sì, così,
bagnati tutta, da brava. Fammi vedere come godi.» la spronò
Sergey con voce roca, mentre il suo membro duro pulsava
per il bisogno di entrare in lei.
Lilibeth mosse il bacino verso di lui e s'irrigidì tutta,
trattenendo il respiro per qualche istante prima di gridare di
piacere.
«Oh sì!» commentò Sergey sorridendo soddisfatto.
Mentre il corpo di Lilibeth era ancora scosso dall'orgasmo,
Sergey fece scivolare fuori le sue dita e la penetrò a fondo
con la sua mascolinità, liberando la sua foga animale. Si
spinse in lei in maniera animale per qualche minuto prima di
raggiungere il piacere più sublime con dei grugniti profondi.
Uscì da Lilibeth un secondo prima dell'orgasmo e lasciò che
il suo liquido caldo la bagnasse sullo stomaco e sul petto.
Lilibeth rimase incantata nel guardare quella verga pulsante
emettere un getto così potente da raggiungerla persino sulla
guancia. Sergey la guardò con sguardo strano, poi rotolò di
fianco portandosi un braccio sugli occhi e Lilibeth sentì così
tanto la distanza dell'uomo che non ebbe il coraggio di
guardarlo in volto. Sergey si alzò e andò calmo al bagno a
farsi una doccia e Lilibeth si sedette sul letto, indecisa su
cosa fare. Si guardò e si ripulì dello sperma di Sergey con dei
fazzoletti presi dal comodino; indossò nuovamente il
babydoll e raggiunse l'uomo nella sala da bagno. La doccia
era in una stanza adiacente alla sala da bagno ed era grande
quanto una piccola camera. Era una stanza di marmo bianco
con al centro quattro pareti di vetro dentro le quali c'erano
tre quadrati argentei di getto che cadeva dal soffitto. Sergey
era dentro, già sotto il getto centrale, guardò Lilibeth e
strinse le labbra.
«Cosa vuoi?» le chiese.
Lilibeth distolse lo sguardo sentendosi in profondo
imbarazzo e desiderando fuggire. Si era forse dimenticata
quello che era per lui? Fare la doccia insieme a lui, che idea
sciocca!
«Niente, scusa.» rispose timidamente prima di girare le
spalle e andarsene.
«Lilibeth.» la chiamò prima che uscisse. Lei si girò a
guardarlo e lui aggiunse: «Non voglio trovarti in camera
quando esco dalla doccia, va a dormire nella stanza accanto,
anche lì hai a disposizione una sala da bagno tutta per te.»
Lilibeth si sentì stranamente triste a quelle parole. Avrebbe
dovuto essere felice di non passare troppo tempo con
quell'uomo, invece si ritrovò a desiderare di dormire accanto
a lui, magari stretta al suo corpo caldo.
«S...sì. Buonanotte.» disse lei accennando un sorriso e
uscendo dal bagno.
Quando Sergey si ritrovò solo serrò forte le mascelle ed
emise un ringhio potente. Era stordito, confuso, quasi
spaventato. Non capiva il perché di quelle sensazioni così
devastanti. O forse sì e le negava a se stesso...
~
Nelle due settimane seguenti la “procedura” da parte di
Sergey fu la stessa. Faceva sesso con lei e l'abbandonava
subito dopo, con freddezza fastidiosa. A volte la usava senza
neppure rivolgerle la parola, soprattutto quando la prendeva
di giorno, magari impegnato nei suoi affari. La faceva
chiamare mentre lui era nel suo studio al telefono con
qualche pezzo grosso e lei lo doveva soddisfare con la bocca;
e durante il tempo in cui Lilibeth era in ginocchio tra le sue
grosse gambe a soddisfarlo, lui la fissava intensamente,
accarezzandole la testa e il viso. Era gentile nei gesti e questo
la confondeva, e le faceva battere a mille il cuore! Però poi,
una volta soddisfatto, tornava freddo e distante. Oltretutto
Lilibeth lo vedeva poco perché era sempre impegnato con i
suoi affari ed era proprio vero che erano loschi, perché
spesso venivano a conferire con lui degli uomini che tutto
erano tranne uomini d'affari, di affari puliti perlomeno.
Spesso Sergey usciva la sera e stava via anche tutta la notte e
Lilibeth sapeva che era in compagnia di altre donne, a volte
anche più di una. Una sera aveva sentito delle risate
femminili provenire dallo studio di Sergey ed era andata a
vedere di nascosto: lui era seduto sul divano davanti al
camino a bere il suo vino e davanti a lui tre donne bellissime
e in lingerie ballavano e si toccavano intimamente. Lilibeth
era corsa di sopra in camera sua a vomitare. Perché poi?
Perché stava male per lui? Lei era sposata, doveva pensare
solo a tornare da suo marito! E doveva essere felice che lui si
distraeva anche con altre donne. Anche se in realtà lei amava
essere presa da lui. Sì, amava essere sua e la passione con la
quale la prendeva, la premura con la quale la faceva godere,
l'intensità con la quale la guardava la facevano tremare
d'emozione. E ancora non l'aveva presa dietro, come a lui
piaceva. La sera che aveva vomitato, Nikolay era andato da
lei perché l'aveva sentita rimettere e l'aveva consolata con
affetto, come faceva sempre. Lilibeth aveva trovato in
Nikolay quasi un padre, pronto a farla sorridere, a distrarla e
soprattutto a rassicurarla. E Nikolay le aveva anche rivelato
cosa significava zaychik, il nomignolo col quale Sergey la
chiamava in intimità. Significava “coniglietto”. Lilibeth aveva
sorriso: era il coniglietto di Sergey, la cosa le piaceva. In
quella villa stava bene. Sergey le aveva anche permesso di
portare Notte, il cane nero che Lilibeth aveva in casa, il quale
rinacque a nuova vita giocando libero tutto il giorno con
Veleno e Buio. Sergey, invece, aveva scoperto una cosa su
Lilibeth che non si sarebbe aspettato: aveva scoperto che era
bravissima a disegnare abiti, proprio come facevano i veri
stilisti, e che ne aveva creati parecchi nel corso degli anni,
senza mai mostrarli a nessuno. Era rimasto sinceramente
impressionato dalla sua bravura e le disse che non c'era
affatto niente di male nel farlo, visto che lei si vergognava in
quanto cosa proibita dalla sua setta.
Era da due settimane nella villa a Black-Aster. Sarebbe
cambiato qualcosa?
Qualche giorno dopo Lilibeth era nel parco privato a
disegnare i suoi abiti sdraiata sulla poltrona di bambù con i
tre cani che giocavano poco distanti da lei. Era una giornata
talmente calda da sembrare quasi primaverile. Lilibeth era
scalza, ma indossava un delizioso abito corto di chiffon
verde chiaro regalatole da Sergey. Nikolay la andò a
chiamare dicendo che proprio Sergey la stava attendendo
nella sua camera da letto. Lilibeth lasciò il suo libro coi
figurini e corse nella villa, dirigendosi di sopra. Bussò alla
porta di Sergey e lui l'aprì, facendole un cenno con la testa di
entrare. Lilibeth entrò e andò accanto al letto, cominciando
a spogliarsi. Quando Sergey la vide denudarsi provò un
calore allo stomaco. Andò da lei e le mise le mani sulle spalle
nude.
«No. Non ti ho fatta chiamare per quello.» le disse
dolcemente.
«Oh.» si limitò a dire lei.
Sergey le lasciò andare le spalle e lei si rivestì, guardandolo
negli occhi e attendendo di sentire la vera ragione per la
quale l'aveva fatta chiamare.
«Stasera ci sarà una serata di gala molto importante e voglio
che vieni con me.» disse Sergey.
«Oh!» esclamò ancora Lilibeth.
Sergey corrugò la fronte quando la vide abbassare lo
sguardo.
«Cosa c'è?» le chiese.
«Ti prego, no... non mi va di essere presentata come...»,
Lilibeth non riuscì a finire la frase e lui allargò le narici,
come fosse stato offeso da quelle parole.
«Non ti va di essere presentata come la mia puttana? È
questo che volevi dire?» le chiese Sergey prima di afferrarla
per la gola facendole sollevare la testa. «E guardami in faccia
quando mi parli!»
Lilibeth deglutì a vuoto e strinse entrambe le mani attorno al
polso dell'uomo.
«Sergey...», lo chiamò in un ansimo.
Sergey cominciò a spingerla indietro senza lasciarle il collo.
«Hai paura che ti possa trattare da puttana, non è così? Che
magari ti faccia spogliare nuda per poi invitare tutti i
presenti a sbatterti? Lilibeth, ma che cazzo hai in quella
testa!? Come puoi anche solo pensare che io possa umiliarti
di fronte agli altri!?» sbraitò, profondamente ferito da
quell'idea. Ma la lasciò subito andare quando udì un mugolio
di paura sfuggirle dalle labbra. Non voleva spaventarla,
quello era semplicemente il suo modo di mostrare
disappunto. Lilibeth si toccò il collo e poi cadde in ginocchio
davanti a lui, guardandolo con occhi spauriti.
«Perdonami, Sergey, non volevo offenderti.»
Sergey rimase interdetto.
«E alzati!» le ordinò con espressione quasi disgustata e lei
comprese che non aveva apprezzato che si fosse messa in
ginocchio. Si rialzò, sentendosi una stupida.
«Ti prego non arrabbiarti, io volevo solo scusarmi.»
mormorò imbarazzata.
«E per chiedere scusa ti metti in ginocchio!?» gridò Sergey
stringendo i pugni. Poi serrò le labbra, capendo tutto.
«Bennett voleva che chiedessi scusa mettendoti in ginocchio,
non è così?»
Lilibeth annuì con la testa e Sergey prese un profondo
respiro per calmare il suo nervosismo. La guardò a lungo,
senza dire una parola. Lilibeth distolse lo sguardo più volte,
ma alla fine riuscì a sostenere quello impassibile dell'uomo.
Sergey socchiuse gli occhi come se la stesse studiando, poi
disse:
«Fammi vedere come chiedi scusa tu, invece.»
Lilibeth si contorse le dita per qualche istante, poi si avvicinò
a lui e si sollevò sulle punte dei piedi per poi stringersi
dolcemente a lui, sfiorandogli il collo con le labbra.
Entrambi chiusero gli occhi. Lilibeth gli baciò la gola e vi
strofinò contro la guancia, tornando giù con i piedi e
indietreggiando di un passo. Entrambi aprirono gli occhi.
«Beh, questo è», Sergey si schiarì la gola, «questo è
decisamente molto meglio.»
Lilibeth sorrise e Sergey sentì un tremore al cuore alla vista
di quel sorriso soave, il sorriso di una creatura docile e
buona.
«Anche io devo chiederti scusa. Perdonami se ho gridato,
non volevo spaventarti, piccola.» le disse Sergey prendendole
una mano e baciandone teneramente il dorso.
Lilibeth sospirò sommessamente: quanto desiderava fare
l'amore con lui! Ma restò al suo posto e si limitò a
sorridergli.
«Ora che ci siamo chiariti, torniamo alla serata di stasera.
Vieni.» disse Sergey conducendola nell'enorme cabina
armadio, al centro della quale c'era qualcosa di alto e dalla
forma umana, coperto da un telo di raso bianco.
«Questo è l'abito che metterai stasera per la cena di gala.»
disse Sergey tirando via il telo. La reazione di Lilibeth toccò
il cuore di Sergey. La giovane donna, infatti, fissò l'abito con
occhi increduli, guardò incredula Sergey, poi nuovamente
l'abito e poi ancora Sergey; il suo corpo venne leggermente
scosso da singhiozzi silenziosi e le sue mani tremanti
salirono a coprirle la bocca. Quell'abito era uno degli abiti
che aveva disegnato lei stessa. Era il suo abito. Era uno
splendido abito lungo color cipria, di chiffon e tulle,
tempestato di piccolissimi cristalli. Che sensazione unica ed
emozionante per Lilibeth vedere il suo disegno prendere
vita, diventare reale! I suoi occhi blu si colmarono di lacrime
e guardò Sergey ancora una volta prima di cominciare a
piangere tremando tutta. Sergey si avvicinò a lei e le prese il
viso tra le mani.
«Piccola.» mormorò intenerito. Lilibeth allontanò le mani
dalla bocca e le strinse gentilmente attorno ai polsi di
Sergey, tentando di controllare quel pianto spontaneo.
«È... è bellissimo, Sergey, non ho... non ho parole per
ringraziarti.»
Sergey le sorrise.
«Vieni qui.» mormorò prendendola tra le braccia. Che
creatura delicata e sensibile aveva tra le mani.
«Grazie, Sergey, grazie.» sussurrò riconoscente Lilibeth sul
petto di Sergey, il quale le accarezzò i capelli profumati
stringendola più forte.
«Non devi ringraziarmi, quell'abito è tuo. Io ho solo dato il
tuo disegno a dei sarti che hanno dato corpo all'anima che
avevi racchiuso in quel disegno.»
Restarono stretti in quell'abbraccio per alcuni minuti,
godendo l'uno del calore dell'altra, poi Sergey l'allontanò
riluttante da sé.
«Allora, oltre al tuo bellissimo abito indosserai anche una
parure di diamanti coordinata e... Che c'è? Sembri
preoccupata.» osservò Sergey.
«No, è solo che la cosa mi intimidisce. Intendo, questa
serata. Sembra una cosa importante e temo di non sapere
come comportarmi.» rispose lei con voce soave.
Sergey la guardò a lungo, socchiudendo gli occhi.
«Non mi dire che non sei mai stata ad una serata di gala?»
Lilibeth abbassò la testa stringendo forte le labbra.
«Rispondi.» la spronò Sergey.
«No, non ci sono mai stata.» confessò Lilibeth.
«Possibile che Bennett non ti ci abbia mai portato? Eppure è
risaputo che è un uomo mondano.»
«Sì, è vero, ma ci andava da solo o con altri uomini d'affari
come lui.» spiegò Lilibeth.
«Non capisco come faceva a lasciarti sola in casa
rinunciando a passare una serata con te.» commentò Sergey.
«È molto geloso, non sopporta che gli altri uomini mi
guardino.»
«Ma non ha esitato a darti a me come puttana.» osservò
crudamente Sergey.
Lilibeth pensò che era vero e questo la destabilizzava, perché
era sempre stata convinta che Bennett la tenesse lontana dal
mondo per gelosia, o meglio per amore, perché ci teneva a
lei, e invece poi era stato pronto a darla in pasto ad uno tra
gli uomini più crudeli e pericolosi da lui conosciuti.
«Anche io sono geloso di te», confessò Sergey distraendola
da quei tristi pensieri, «e non esiterei ad uccidere con le mie
mani chiunque ti manchi di rispetto o persino chiunque osi
importunarti; ma non potrei mai imprigionarti, neppure in
una bellissima villa. Bennett non solo era geloso, ma era
anche un vile, temeva di perderti, temeva che tu potessi
renderti conto che esistono uomini migliori di lui.»
«Io non l'avrei mai fatto, sono una moglie devota.»
«Oh, piccola, tu non puoi sapere quanta insicurezza si può
celare nel cuore di un uomo che ha qualcosa di prezioso tra
le mani e sa di non meritarlo.» disse Sergey con un mezzo
sorriso.
Lilibeth si sentì lusingata da quelle parole.
«Allora come dovrò comportarmi questa sera?» chiese la
ragazza pronta a vivere quella nuova avventura.
«Sii te stessa, sei una donna naturalmente elegante e di
classe, li ammalierai tutti.»
“Come hai fatto con me”, pensò Sergey.
Verso le due di notte Sergey e Lilibeth erano di ritorno a
casa. Sergey fermò la Rolls-Royce Wraith nera e argentea
davanti alla villa di Black-Aster e subito uno dei due uomini
di guardia alla porta si avvicinò per andare ad aprire lo
sportello di Lilibeth, ma Sergey lo fermò aprendo il suo
sportello ad apertura inversa e scendendo sicuro dall'auto.
«Faccio io.» disse l'uomo. Lilibeth dormiva beatamente sui
sedili comodi, spettinata ma splendida nel suo abito di
chiffon e cristalli. Sergey aprì piano lo sportello e la prese
delicatamente in braccio, lasciando l'auto nelle mani dei suoi
uomini.
Una volta dentro gli andò incontro Nikolay con indosso il
suo pigiama blu di seta.
«Oh, la mi piccola.» mormorò Nikolay non appena vide
Lilibeth addormentata tra le forti braccia di Sergey.
«A quanto pare la tua piccola non regge l'alcol, Kolya.» disse
Sergey dirigendosi di sopra seguito da Nikolay.
«Oh, povera piccola. Non avresti dovuto farla bere tanto,
Sergey. Cosa ha bevuto? Vodka? Cognac? Whisky?» chiese
Nikolay.
«Champagne. Mezzo bicchiere.» rispose Sergey, salendo le
scale senza mostrare nessuna fatica nel portare Lilibeth.
«E per il resto, com'è andata?» chiese Nikolay.
«Divinamente, come direbbe la vecchia Miss Olystar.»
rispose Sergey.
«C'era anche lei alla serata?» domandò Nikolay.
«Sì, e ha parlato a lungo con Lilibeth. In privato è poi venuta
a dirmi che è una donna “divina, adorabile e molto
raffinata”.»
«Nientemeno.»
«E questa volta non ha esagerato, Lilibeth è stata
meravigliosa. Ha parlato amabilmente con tutti; ha ascoltato
in silenzio e con attenzione anche i discorsi più noiosi; ha
elargito sorrisi sinceri a tutti, dai camerieri agli ospiti più
illustri, trattando tutti allo stesso modo; ha riso
graziosamente e non ha mai fatto commenti inopportuni su
nessuno. Il suo abito, poi, era il più bello. Le ho presentato
uno stilista, il quale ha osservato l'abito e le ha fatto una
miriade di complimenti. Dovevi vederla, Kolya, era raggiante
di felicità nel poter solo parlare con uno stilista. Nessuno la
conosceva, segno che veramente Bennett non l'ha mai fatta
vedere in giro. Mi è stata accanto tutta la sera, ascoltando i
miei discorsi d'affari con i canadesi senza mostrare noia o
distrazione.»
«Che meraviglia. È andato tutto benissimo, allora.» disse
Nikolay.
«Sarebbe andato tutto benissimo se non avessi portato con
me anche quei due idioti!» esclamò Sergey.
«Zado e Iade?» chiese Nikolay.
«Loro.»
«Cos'hanno combinato stavolta?» domandò Nikolay.
Sergey era arrivato davanti alla sua porta, si fermò e si girò a
guardare Nikolay.
«Hanno scatenato una rissa nelle cucine della villa del
senatore. Ho dato loro l'ordine di non tornare a casa prima
di domani, non voglio vederli fino ad allora. Vado a riposare,
buonanotte, Kolya.»
«Oh! E non... non porti Lilibeth nella sua camera?» chiese
Nikolay.
«No, ho voglia di passare il resto della notte con lei.» rispose
Sergey.
«Intendi...? Oh! Ma... ma sta dormendo.» osservò Nikolay in
tono triste.
Sergey lo guardò intensamente negli occhi ma non gli
rispose, facendogli capire con lo sguardo che non apprezzava
simili osservazioni accusatorie. Aprì la porta della sua
camera e la richiuse in faccia a Nikolay, il quale sospirò e
tornò tristemente nella sua stanza.
Sergey andò a posare delicatamente Lilibeth sul letto e si
spogliò della giacca, del gilet e del papillon, restando solo
con la camicia candida, i pantaloni scuri e le scarpe eleganti.
Girò attorno al letto fissando Lilibeth mentre si sbottonava i
primi bottoni della camicia. Si fermò accanto alla ragazza e
le scostò i capelli dal viso, poi la scosse dolcemente per la
spalla, finché non la svegliò.
«Ohu...», mugolò Lilibeth tenendosi la testa e chiudendo
nuovamente gli occhi. Si guardò attorno e appena vide
Sergey gli sorrise spontaneamente. L'uomo ricambiò il
sorriso, buttandosi seduto sulla sua poltrona preferita.
«Alzati.» le ordinò.
Lilibeth si alzò a fatica dal letto, traballando più volte e
massaggiandosi le tempie.
«Spogliati.» ordinò ancora Sergey.
Questa volta Lilibeth fu sveglia in un istante, anche se
leggermente stordita. Si tolse le eleganti scarpe dorate col
tacco alto, sulle quali aveva camminato egregiamente tutta
la sera, nonostante non avesse mai indossato scarpe col
tacco; e si tolse anche la parure di diamanti, posandola sul
comodino. Si girò di spalle e abbassò lentamente la cerniera
dell'abito color cipria, mostrando la sua splendida schiena
nuda, una schiena che Sergey amava. Lasciò cadere l'abito a
terra, voltandosi a guardare Sergey, che la osservava in
silenzio, sfiorandosi le labbra col dorso dell'indice. Lilibeth
indossava solo un paio di slip neri e delle calze autoreggenti
anch'esse nere.
«Nella gabbia.» ordinò Sergey asciutto.
Lilibeth si girò a guardare la gabbia al centro della camera e
deglutì.
«Sergey...»
«Nella gabbia.» ripeté lui cupo.
Lilibeth andò ad aprire la gabbia e vi entrò gattonando,
richiudendola dall'interno. Restò seduta al centro di essa
guardando Sergey in timido silenzio.
Sergey si alzò per andare a versarsi da bere, poi andò a
sedersi su un'altra comoda poltrona, una posta proprio di
fronte alla gabbia. Lilibeth lo guardò in silenzio sedersi
comodo e soddisfatto e sorseggiare il suo cognac, mentre la
guardava con intenso interesse.
«A quattro zampe.» le ordinò calmo.
Lilibeth obbedì poggiando le mani a terra, ma Sergey gli fece
cenno col dito di girarsi di spalle.
«Voltati», le disse infatti, «voglio guardarti da dietro.»
Lilibeth obbedì ancora e si voltò di schiena, sentendo lo
sguardo dell'uomo quasi toccarla.
«Scosta le mutandine e allargati bene le labbra.» le disse con
voce più bassa, segno che l'eccitazione stava crescendo in lui.
E anche Lilibeth si sentiva stranamente eccitata. Provava un
eccitazione diversa dalla solita che provava quando lui la
prendeva; questa volta era un'eccitazione più languida, più
profonda, più squisitamente erotica.
Lilibeth scostò le mutandine sulla natica e con le sue dita
eleganti allargò le sue labbra carnose, sentendo l'aria
accarezzarla sulla pelle bagnata ed esposta. Sentì infatti
anche la rugiada della sua femminilità colare sulla gabbia e
quasi se ne vergognò, ma il verso gutturale di
apprezzamento che fece Sergey cancellò l'imbarazzo e la
eccitò maggiormente.
«Sbrodoli addirittura, mia zaychik. Così mi piaci, piccola
ingorda; così ti voglio: bagnata e vogliosa.» commentò
Sergey con voce carezzevole e sensuale, una voce che le fece
formicolare di piacere i capezzoli.
«Muovi quel tuo bel culetto.» le ordinò mettendosi seduto
più comodo.
Lilibeth cominciò a muoversi graziosamente, dondolando
lentamente il sedere avanti e indietro, a destra e a sinistra,
cominciando ad ansimare piano. Sergey sorrise soddisfatto,
provando l'impellente desiderio di penetrarla. Ma voleva
giocare anche un po' insieme a lei.
«Strusciala tra le sbarre della gabbia.» le ordinò poco dopo.
Lilibeth obbedì e iniziò a strusciarla sulle sottili sbarre della
gabbia, provando un piacere inaspettato quando sentì il
clitoride sfregarsi contro il ferro.
«Oh...», le sfuggì dalle labbra e il suo ritmo aumentò per
poter godere appieno di quelle sensazioni intense.
Sergey bevve un sorso e ridacchiò piano.
«Che succede, piccola ingorda, vuoi essere penetrata?» le
chiese Sergey iniziando a sbottonarsi i pantaloni.
«Oh, sì!» ansimò Lilibeth leccandosi vogliosamente le
labbra.
«Penetrati con un dito.» le ordinò Sergey e lei lo fece subito.
Sergey guardò Lilibeth penetrarsi dolcemente con un dito e i
mugolii di piacere che inondarono la camera gli fecero
pulsare in maniera quasi dolorosa l'erezione sotto la stoffa.
Sergey guardò con occhi lucidi di piacere la carne rosea di
Lilibeth gocciolare, e quel dito che entrava e usciva
velocemente per assecondare la voglia crescente in lei gli
fece stringere le mascelle. Era bellissima. Era così che voleva
la sua donna: impeccabile nelle serate mondane e
sessualmente disinibita quando si donava a lui.
Il godimento di Lilibeth, però, cominciò a crescere in
maniera incredibile, tanto che la ragazza iniziò a penetrarsi
con foga sempre maggiore, ansimando e gemendo senza
ritegno. Sergey comprese che era vicina al piacere, allora
bevve l'ultimo sorso di cognac abbandonando il bicchiere a
terra; si alzò e andò da Lilibeth. Si piegò sulle ginocchia e
infilò nella gabbia una mano per afferrarle il polso e
allontanarle le dita dalla sua femminilità e l'altra glie la posò
sulla natica per accarezzarla dolcemente.
«Buona, piccola.» le disse roco, invitandola a calmarsi.
Lilibeth quasi si vergognò di aver perso il controllo. Chiuse
gli occhi e cominciò a controllare il respiro, godendosi le
carezze della mano di Sergey sul suo sedere. Sentì poi l'altra
mano accarezzarla all'interno delle cosce e poi sulla vulva.
Lilibeth allargò le narici e prese un profondo respiro,
sapendo già cosa voleva fare: voleva essere lui a penetrarla
con le dita. E fu quello che fece.
Il grosso dito di Sergey cominciò a sfiorarla sulle labbra,
mentre l'uomo osservava con eccitazione quella carne
esposta e lucida tutta per lui. La toccò sul clitoride e Lilibeth
stridette di piacere, facendolo sorridere compiaciuto. Spostò
il dito all'entrata della sua vagina calda e lentamente si
spinse il lei, penetrandola fino in fondo. Lilibeth alzò la testa
e ansimò forte mentre Sergey cominciava a muovere il dito
dentro e fuori.
«Oh, sì, ti prego...», singhiozzò Lilibeth afferrandosi con le
mani alle sbarre della gabbia.
Sergey le teneva il sedere fermo con la mano sinistra e con la
destra la penetrava a fondo, in un ritmo sempre più febbrile.
Lilibeth iniziò ad emettere dei lunghi suoni di godimento,
muovendo il sedere contro la mano di Sergey, facendolo
sbattere alla gabbia. L'uomo arricciò le labbra e inspirò l'aria,
in un gesto di estremo apprezzamento che faceva raramente.
Ora che conosceva Lilibeth lo faceva decisamente più spesso.
«Sergey!» gridò lei andando a toccarsi il seno con la mano.
«Che c'è piccola, mmh? Ti piace? Ti piace essere sbattuta
dalle mie dita, piccola ingorda?» le chiese Sergey lasciandole
la natica per andare con quella mano a liberare il suo
membro e a masturbarsi, mentre masturbava lei.
«Oh, sì, ti prego! Sbattimi ancora, ancora, ancora...», lo
implorò Lilibeth stringendosi i capezzoli. Era veramente
sull'orlo dell'orgasmo e si stupì di quanto velocemente
riuscisse a raggiungerlo con quell'uomo.
Sergey smise di penetrarla improvvisamente e le diede una
sonora sculacciata su quel sedere tondo ed esposto.
«Girati.» le ordinò, lasciando andare anche il suo pene
rigido. Non voleva godere troppo in fretta, voleva godersi la
sua coniglietta fino in fondo e Lilibeth lo comprese. Si girò
restando a quattro zampe e i suoi occhi di lapislazzuli
brillarono di emozione quando incontrarono quelli verdi di
lui, altrettanto carichi di emozione.
«Calmiamoci, piccola, va bene?» sussurrò lui infilando una
mano nella gabbia per accarezzarle il viso.
Lilibeth chiuse gli occhi e annuì, godendosi quel tocco caldo
sulla pelle.
«Sei bellissima.» commentò Sergey facendole riaprire gli
occhi. Lilibeth lo ringraziò con un dolcissimo sorriso. E non
poteva ringraziarlo in maniera migliore, visto che lui adorava
quel sorriso toccante.
«E anche un po' maialina?» chiese lei ridacchiando.
Oh, quanto piaceva a Sergey quando giocava a quel modo!
«Un po'?» scherzò lui alzando un sopracciglio, facendola
ridere più forte.
«E' colpa tua, sei tu il demone perverso!» lo accusò Lilibeth
leccandosi le labbra.
«E' vero», iniziò a dire Sergey chinandosi sul volto di lei fino
a farle sentire il suo respiro caldo sulla pelle, «ho fatto di te
la mia piccola ingorda, lasciva e insaziabile vittima. E ti
adoro per questo.»
Sergey le sfiorò col dito le labbra, invitandola a tirare fuori la
lingua e quando lei lo fece lui sfregò la propria lingua su
quella di Lilibeth. Era la cosa che più si avvicinava ad un
bacio, anche se prettamente sessuale. Lilibeth si
accontentava di quello, anche se dentro di sé sognava di
ricevere da lui un bacio vero, profondo, sconvolgente. Ma era
giusto così, lei era sposata, aveva un uomo a cui dare baci
carichi di sentimento. No?
Quando Sergey si allontanò le sfiorò le labbra con le proprie
e Lilibeth sospirò estasiata. Ma l'atmosfera tornò ad essere
caldamente erotica quando lui le sorrise in maniera sorniona
e le disse:
«Ora usa questa tua bocca vogliosa per succhiarmi per bene.
E... Lilibeth? Voglio che tu lo faccia con passione, come se
volessi mangiarlo, hai capito?»
Lilibeth annuì con la testa, già inumidendosi le labbra.
Sergey si mise piegato su un ginocchio, afferrò il suo
membro dalla radice e lo infilò nella gabbia, dove subito
Lilibeth lo accolse nella sua bocca cominciando a succhiarlo
forte, muovendo la testa avanti e indietro.
«Brava, piccola, prendilo tutto dentro.» disse Sergey eccitato.
Lilibeth usava la sua bocca con passione, come lui voleva; si
tenne con le mani alle sbarre e chiuse gli occhi mentre si
muoveva contro di lui succhiandolo con forza.
Sergey abbassò gli occhi su di lei e la guardò prenderlo in
bocca e la visione di quella donna bellissima intenta a
soddisfarlo lo colmò di piacere. Lilibeth quasi sentì lo
sguardo dell'uomo su di sé, allora alzò gli occhi per
guardarlo e gli sorrise, come suo solito. Sergey provò quella
sensazione unica che solo lei gli dava quando gli sorrideva
durante il sesso. Allungò una mano per accarezzarle la
guancia, dicendole quanto fosse brava nel prenderlo in bocca
e incitandola a succhiarlo più forte. Lilibeth si eccitò in
maniera incredibile e cominciò a toccarsi tra le gambe,
facendo sorridere Sergey. Quando Lilibeth iniziò ad
ansimare forte, prossima all'orgasmo, Sergey si aggrappò
anche lui alla gabbia incapace di controllarsi oltre. Sentirla
godere a quel modo lo faceva impazzire!
«Sì, piccola, toccati! Fammi vedere come godi, fammi vedere
quanto ti piace succhiarlo!» la incitò Sergey eccitando anche
se stesso con quelle parole.
Lilibeth raggiunse l'orgasmo come suo solito: con un urlo
gutturale e continuo, seguito da tanti mugolii e ansimi
sconnessi. Il suo corpo delicato venne attraversato da brividi
infiniti e il suo corpo sembrava ora stremato. Cadde sdraiata
sulla coperta in vellutino della gabbia, abbandonando
Sergey, che però non si risentì. Era soddisfatto e anche felice
di vederla sazia di piacere. L'afferrò per i capelli sollevandole
la testa e lei comprese che voleva venirle in faccia, come
piaceva a lui. Sergey, infatti, cominciò a masturbarsi con foga
e Lilibeth socchiuse la bocca sospirante dalle labbra rosse e
lo guardò negli occhi, leccandosi le labbra voluttuosamente
per eccitarlo maggiormente. Sergey era più rosso in viso e
aveva il respiro corto e smorzato; i suoi muscoli erano tesi e
lo stomaco sussultava per assecondare le onde di piacere che
si avvicinavano. Il suo liquido caldo e abbondante, come
sempre, inondò il volto di Lilibeth. La ragazza emise dei
mugoli soddisfatti, tenendo la bocca aperta fino a quando lui
non smise di godere. Aprì gli occhi e trovò Sergey a
guardarla con occhi inteneriti, come ogni volta appena
finito. E non poteva essere altrimenti per l'uomo, visto che
guardare la dolce Lilibeth col suo sperma sulle guance e sulle
labbra gli faceva sempre uno strano effetto. Un
piacevolissimo effetto. E come se non bastasse Lilibeth
sapeva anche come farsi amare di più, visto che adesso fece
quello che lui adorava dopo l'orgasmo: si avvicinò a baciargli
con dolcezza i testicoli. Sergey lasciò andare le braccia lungo
i fianchi, chiuse gli occhi, buttò la testa indietro e sospirò
forte, godendosi quelle coccole che adorava.
«Vai a lavarti.» disse poi improvvisamente, con quel suo
solito tono freddo che usava dopo ogni amplesso.
Ecco, adesso Lilibeth provò una sensazione di tristezza,
quasi di malinconia, sapendo di dover andarsene. Sergey
andò verso il letto a fare una telefonata a Nikolay e lei andò
in bagno a lavarsi il viso e tra le gambe. Quando uscì dal
bagno sentì Sergey che chiudeva la telefonata in russo. Andò
verso di lui solo per prendere il suo abito a terra e se lo posò
addosso, quasi vergognandosi della sua nudità. Sergey era in
piedi, nudo e bellissimo di fronte a lei, fissandola con
freddezza. Lilibeth si schiarì la gola e distolse lo sguardo.
«Grazie... grazie per la bella serata. Dolcenotte.» disse
Lilibeth prima di voltarsi per andare via.
Ma questa volta qualcosa accadde. La grande mano di Sergey
l'afferrò per il polso. Lilibeth si girò a guardarlo e lui l'attirò a
sé. Lilibeth quasi sbatté contro il suo corpo massiccio. Alzò
gli occhi su di lui e restò incantata a guardare
quell'espressione adesso più gentile. Sergey le prese il viso
tra le mani e si chinò a baciarle le labbra.
«Sarà una dolce notte perché resterai qui con me.» alitò
Sergey.
A Lilibeth quasi mancò il respiro. I suoi occhi luccicarono e
questo toccò Sergey.
«Vuoi che resti?» chiese Lilibeth incredula.
«Sì, zaychik.» rispose Sergey.
Lilibeth gli sorrise teneramente e Sergey la prese in braccio
per poi posarla delicatamente sul letto. S'infilarono sotto le
coperte e si sdraiarono su un fianco, fronte a fronte,
guardandosi negli occhi in silenzio. Cominciò a piovere e in
quel silenzio intimo si sorrisero. Sergey allungò una mano e
iniziò ad accarezzarla dolcemente sul viso. Sembrava volesse
dirle qualcosa, ma non lo fece. Lilibeth, invece, non aveva
assolutamente intenzione di dire nulla; qualsiasi cosa avesse
detto avrebbe rovinato l'atmosfera intima e inusuale che li
avvolgeva. No, era perfetto così: il silenzio, il calore dei loro
corpi, i loro sguardi, lo scrosciare della pioggia, la luce
soffusa. Sarebbe stato meraviglioso per Lilibeth
addormentarsi ogni notte cullata da quella tenerezza. Ma
ancora due mesi e poi sarebbe tornata da Bennett. Cacciò
quel pensiero, sentendosi in colpa di provare gioia nell'essere
tra le braccia di Sergey Krasnov.
La mattina dopo Lilibeth si svegliò sola nel letto e provò una
grande tristezza. Guardò l'orologio sul comodino: era quasi
ora di pranzo. Sgranò gli occhi, sentendosi in colpa d'aver
dormito così tanto. Pioveva ancora, ma molto più
dolcemente; e il Sole che brillava illuminando le gocce di
pioggia rendeva l'atmosfera incantevole. Sembrava
piovessero cristalli. Lilibeth si alzò e andò a guardare fuori
dalle vetrate, ammirando il panorama del parco e del bosco
di Sergey illuminato di quella romantica luce dorata. Sorrise,
si stiracchiò e andò a fare una lunga doccia; con
l'accappatoio di Sergey addosso andò in camera sua per
vestirsi. Indossò un lungo abito bianco di maglia morbida,
dorato sui polsi e sui bordi. Si asciugò bene i capelli e si
sedette sulla toeletta di legno bianco che le aveva regalato
Sergey: una toeletta dalle forme settecentesche ricca di
trucchi e prodotti per la bellezza. Lilibeth aveva scoperto un
meraviglioso mondo femminile e aveva imparato – grazie ad
un esperto di bellezza che le aveva insegnato come truccarsi
e pettinarsi – ad esaltare la sua delicata bellezza. Si truccò
leggermente e si legò i capelli in uno chignon; indossò degli
stivali bianchi abbelliti col pizzo e scese di sotto. Corrugò la
fronte quando udì decine di voci provenire dalla sala da
pranzo. Erano voci miste, non erano le solite voci maschili
dei soci in affari di Sergey. Si sentivano voci di persone sia
giovani che anziane, di uomini, di donne e persino di
bambini. Lilibeth si fermò guardandosi attorno, non sapendo
se andare ad aprire la doppia porta bianca della grande sala
da pranzo, che a quell'ora era certamente imbandita di ogni
bontà. Mise le mani sui pomelli dorati, ma prima che potesse
aprire si sentì prendere gentilmente per la vita. Chiuse gli
occhi sentendo subito l'odore e il calore di Sergey. L'uomo la
fece voltare e la guardò con sguardo contrito.
«Mi dispiace, zaychik, ma avevo dimenticato che giorno
fosse oggi. Sono arrivati questa mattina e resteranno per
tutta la settimana.» le disse Sergey respirando a fondo.
Lilibeth udì delle grasse risate, dei rumori di piatti che si
rompevano e le urla di donne che sbraitavano. Tutto in
russo.
«Chi... chi sono?» domandò Lilibeth guardando preoccupata
Sergey.
Intanto degli uomini iniziarono ad intonare un canto russo
battendo le mani a tempo.
«Sergey, non... non sono tuoi nemici, vero?» chiese Lilibeth.
Sergey le prese le mani e sgranò gli occhi.
«Peggio. Sono la mia famiglia.» rispose l'uomo.
Inaspettatamente Lilibeth cominciò a ridacchiare divertita
mentre Sergey restava impassibile.
«Se quella fosse la tua famiglia non rideresti.» borbottò
Sergey. «Vieni.» le disse poi prendendola per mano.
Sergey prese un profondo respiro e aprì la porta della sala da
pranzo, accompagnando all'interno Lilibeth.
La sala era immensa: con un tavolo da almeno cinquanta
persone al centro, tende di velluto bianco alle vetrate,
tappeti di pelo sintetico bianco sparsi ovunque, un grande
camino acceso e tanti complementi color madreperla. La
tavola era apparecchiata in maniera impeccabile, con
tovaglia di raso bianco, calici di cristallo, piatti di porcellana
finissima, posate d'argento, vasi di fiori freschi e candelabri
accesi. All'interno, sparsi per la stanza, c'erano venti persone
e tutte quante si zittirono quando videro Lilibeth.
«Lei è Lilibeth.» disse Sergey in russo.
Lilibeth sorrise a tutti, accennando un timido saluto con la
mano, ma nessuno mosse un muscolo.
Infine avanzò verso di loro un elegante signore sulla
sessantina, dagli occhi verdi e i capelli scuri, un bellissimo
uomo dal volto ruvido. Lilibeth comprese che era il padre di
Sergey, la loro somiglianza era impressionante.
«E' la donna che ti scopi, non è così?» chiese in russo l'uomo.
«Questa sgualdrina non dovrebbe neppure sedere a tavola
con noi!» concluse l'uomo stringendo il pugno.
Lilibeth non aveva capito una parola di quel che aveva detto,
ma dal tono di voce e dall'espressione dell'uomo aveva capito
che non erano state parole gentili. Chinò la testa provando
un profondo imbarazzo, intuendo cosa l'uomo avesse detto.
Sergey guardò Lilibeth e quando la vide intimidita provò un
dolore al petto.
«No, piccola», iniziò a mormorarle mettendole la mano sotto
al mento e sollevandole la testa, «non abbassare mai la testa.
Tu sei la mia ospite gradita, a differenza loro; se c'è una
benvenuta qua sei tu.»
Lilibeth gli sorrise e Sergey le carezzò la guancia col dorso
della mano. Sergey divenne spaventosamente serio quando
si girò a guardare l'uomo che aveva parlato. Lasciò Lilibeth e
andò calmo da lui, torreggiandolo, anche se persino l'altro
era molto alto. Lilibeth vide Sergey parlare tra i denti
all'uomo, dicendogli qualcosa in russo di particolarmente
minaccioso e grave, a giudicare dagli sguardi di tutti.
Quando Sergey finì di ringhiare quello che aveva da dire
seguì un silenzio durante il quale tutti i presenti restarono
attoniti a fissare Sergey; poi, incredibilmente, tutti si
voltarono quasi all'unisono a fissare Lilibeth e un secondo
dopo si levò un vociare allegro. Molte persone andarono da
Lilibeth per presentarsi e darle il benvenuto, alcuni parlando
un perfetto inglese, altri con un marcato accento russo.
Lilibeth ricambiò timidamente il calore inaspettato di quegli
sconosciuti, soprattutto perché era intenta a guardare Sergey
che veniva stretto in un forte abbraccio dall'anziano uomo
con cui aveva parlato. Anche altri uomini andarono ad
abbracciare Sergey, ridendo e dandogli delle forti pacche
sulle spalle e Lilibeth si chiese cosa mai avesse detto loro.
«Allora tu sei Lilibeth. Che nome delizioso.» cominciò a dire
una grossa donna sulla quarantina con un forte accento
russo, stringendo Lilibeth nel suo abbraccio stritolante. «Io
sono cugina di secondo grado di Sergey. Devi scusare ma
mia famiglia non potuta venire tutta, solo io e miei figli.»
disse indicando due bambini forzuti che si stavano
picchiando sul tappeto.
Lilibeth sorrise alla donna, impacciata.
«Bella, che bella!» esclamò una donna sulla cinquantina, con
le sue mani cicciotte che strinsero la faccia di Lilibeth fino a
farle assumere un'espressione ridicola.
A turno la salutarono tutti e alla fine Lilibeth barcollò,
toccandosi la faccia arrossata e leggermente gonfia. Si sentì
sostenere dalle forti mani di Sergey e si girò a guardarlo. Lui
scosse il capo facendo un verso di disappunto con la lingua
nel vederla strapazzata a quel modo.
«Mi dispiace.» alitò dispiaciuto, ma Lilibeth lo stupì quando
fece una risatina contenta.
«No, mi piace l'affettuosità della tua famiglia. Ma cosa hai
detto loro? Sembravano così ostili con me all'inizio.» osservò
Lilibeth.
Sergey fece un sorriso strano e si chinò a baciarla sul collo,
per poi sussurrarle all'orecchio:
«E' un segreto, mia curiosa zaychik.»
Lilibeth sorrise e sospirò, accettando quel mistero.
«Vieni, piccola.» disse guidandola dall'anziano uomo col
quale aveva parlato.
«Papà, questa è Lilibeth, Lilibeth questo è mio padre.» disse
Sergey.
L'uomo prese la mano di Lilibeth e le fece il baciamano.
«Molto piacere, Lilibeth, mi chiamo Alexander, ma tu puoi
chiamarmi Alexander, mia cara.» disse l'uomo in un inglese
impeccabile.
Lilibeth aggrottò la fronte a quelle parole e guardò Sergey, il
quale alzò simpaticamente le sopracciglia.
«Oh, la ringrazio... ehm, Alexander.» disse Lilibeth.
«E' molto bella e sembra anche dolce e gentile.» commentò
nudamente Alexander rivolto al figlio, facendo arrossire
Lilibeth.
Sergey disse qualcosa in russo al padre e poi accompagnò
Lilibeth a conoscere gli altri.
«Questo è mio zio Boris; mio cugino Borislav; i miei nipoti
Kirill e Lyov; mio cugino Vladimir; mio zio Radimir; mia zia
Annushka e la sorella Ludmila.» diceva Sergey mentre tutti
stringevano la mano a Lilibeth.
Lilibeth salutò educatamente tutti quanti. Quando conobbe
tutti, Sergey invitò tutti a sedersi a tavola e quello per
Lilibeth fu il pranzo più divertente di tutta la sua vita.
Sergey e il padre erano seduti nei due posti capotavola;
Lilibeth alla destra di Sergey e poi tutto il resto della
famiglia. Lilibeth venne a sapere che la madre di Sergey era
morta quando lui era solo un bambino e questo la ferì molto.
Forse anche a causa della mancanza del calore materno era
divenuto ciò che era. Venne a sapere che era cresciuto con il
padre e i tre fratelli, assenti perché Sergey aveva litigato con
loro da anni. E anche questo rattristò Lilibeth.
«Famiglia!» gridarono Zado e Iade entrando nella sala e
andando a sedersi anche a loro a tavola, accolti dalla famiglia
di Sergey con grida e risa.
Il vociare era assordante, come anche i rumori delle posate
sui piatti che i bambini si divertivano a fare. Arrivò anche
Nikolay, che andò a sedersi accanto al padre di Sergey, col
quale parlava in confidenza. Ad un tratto quattro uomini si
alzarono per fare un brindisi verso Sergey e cominciarono a
cantare una canzone in russo, agitando in aria le loro
bottiglie di vodka. Le donne ridevano e i bambini litigavano.
Lilibeth si tenne la tempia per un attimo. I pranzi con la
famiglia di Bennett erano sempre molto castigati e silenziosi,
e spesso lei teneva gli occhi bassi per tutto il pranzo,
imbarazzata dagli sguardi rimproveranti dei parenti di
Bennett quando l'uomo raccontava delle sue disobbedienze.
Lilibeth sentì la mano di Sergey posarsi sulla sua e allora lo
guardò.
«Tutto bene?» chiese Sergey.
«Sì.» rispose Lilibeth con un sorriso.
«Sono un po' rumorosi, ma sono persone sincere e...»
«Sergey, li adoro.» confessò Lilibeth stringendogli la mano.
«Davvero?» domandò Sergey aggrottando la fronte.
Evidentemente gli veniva difficile crederlo.
«Sì. Sono come te: grandi, grossi, spaventosi, ma dal cuore
d'oro.» rispose Lilibeth prima di bere un sorso di acqua.
Sergey sembrò stupirsi parecchio a quelle parole.
«Tu mi consideri generoso?» domandò Sergey.
Lilibeth annuì contenta e Sergey fece un sorriso enigmatico.
«E non hai ancora ricevuto il regalo che ti farò il prossimo
mese.» disse Sergey prendendo il bicchiere di vodka dalle
mani del bambino seduto alla sua sinistra, che stava per
ingollarlo.
Lilibeth sgranò gli occhi e chiese eccitata:
«Un regalo? Per me?»
Sergey annui, mentre il bambino alla sua sinistra giocava col
coltello a fare lo spadaccino insieme al fratello seduto vicino
a lui.
«Oh, ti prego, Sergey, ti prego, dimmi cos'è?» stridette
Lilibeth contenta come una bambina.
Sergey si passò il dito sulle labbra, mentre l'assordante
vociare e cantare degli altri riempiva la stanza.
«In realtà i regali sono due, ma servono entrambi per lo
stesso scopo. Ti do degli indizi: uno dei due ha a che fare con
la moda e con Parigi.»
«O mio Dio!» quasi gridò Lilibeth portandosi la mano alla
bocca. «E l'altro?» domandò ancora.
«L'altro è un oggetto.» rivelò Sergey.
«Oh... Un abito?» chiese Lilibeth.
«No.»
«Un gioiello?»
«No.»
«Un paio di scarpe?»
Sergey ridacchiò.
«No, piccola, è qualcosa di più importante. Ed è fatto di
carta.»
A quelle parole Lilibeth si arrese, non riuscendo davvero a
capire cosa potesse essere.
«Avrai entrambi i regali quando sarà il momento e saranno
più sconvolgenti di quello che pensi. Forse ti lasceranno
anche dell'amaro in bocca, ma un giorno mi ringrazierai.»
aggiunge criptico Sergey.
Lilibeth sospirò e annuì: avrebbe atteso pazientemente quei
due misteriosi regali, anche se non le piaceva l'idea che le
avrebbero lasciato l'amaro in bocca.
Il pranzo continuò in maniera normale. Normale per i
canoni della famiglia Krasnov.
Alla fine del pranzo Sergey portò via Lilibeth, lasciando Zado
e Iade a litigare violentemente accanto al camino, tenuti
fermi dagli uomini della famiglia Krasnov, che invece se la
ridevano; altri cantavano ancora a tavola; Nikolay e il padre
di Sergey parlavano fitto fitto e le donne erano finite a
ballare la salsa in cucina insieme ai camerieri, dove una radio
la suonava ad alto volume.
Sergey andò in garage e indicò le sue dieci auto personali a
Lilibeth.
«Scegli.» le disse.
«Per fare cosa?» chiese la ragazza.
«Per fuggire.» rispose Sergey allargando simpaticamente gli
occhi.
«Cosa? Dove?» domandò Lilibeth.
«Nel mio rifugio segreto che nessuno conosce. A parte
Nikolay. E' una baita di lusso ad Aspen.» disse Sergey.
«Ma sono quasi quattro ore di macchina.» osservò Lilibeth.
«Ascolta Lilibeth», cominciò a dire Sergey prendendole il
viso tra le mani,«io amo la mia famiglia, ma al momento
preferisco passare il mio tempo con te. Tu non puoi neppure
immaginare quanto siano indiscreti. Non potremmo più fare
l'amore quando vogliamo perché non ci lascerebbero mai
soli e io non ho intenzione di rinunciare a te. Staremo via
per tutta la settimana, sposterò tutti i miei impegni di
lavoro, saremo solo io e te. Quindi, mia piccola coniglietta
che fa troppe domande e mi fa perdere tempo prezioso,
scegli l'auto!»
«Sergey!» gridarono le voci di alcune persone che si
avvicinavano.
«Sono come gli zombi.» osservò Sergey a voce bassa,
guardando verso la villa. «Lilibeth, scegli, presto.» disse poi
rivolto alla ragazza.
Lilibeth ignorò tutte le auto sportive e andò verso un grosso
fuoristrada nero lucido di cera.
«Ottima scelta.» disse Sergey aprendo lo sportello a Lilibeth
e spingendola dentro dal sedere, dandole una giocosa
sculacciata prima di richiudere lo sportello. Andò a montare
alla guida e partì poco prima che alcuni cugini arrivassero in
garage. Lilibeth si allacciò la cintura di sicurezza e si tenne
saldamente al sedile mentre Sergey guidava concentrato ad
alta velocità per il viale alberato della strada d'entrata. I suoi
uomini lo salutarono con rispetto e il grande cancello in
fondo si aprì grazie alla fotocellula posta su un albero. Una
volta in strada Sergey si girò a guardare Lilibeth e sorrise.
«Liberi.» disse cambiando marcia.
«E' bello essere liberi.» commentò Lilibeth sorridendo anche
lei e guardando poi fuori dal finestrino la splendida
campagna del Colorado. Sergey si girò a guardare Lilibeth
più volte, capendo quanto la ragazza non si sentisse libera e
doveva essere un incubo non poter decidere della propria
vita. Serrò le mascelle e si concentrò sulla guida.
«Non ho neppure un vestito di ricambio.» disse Lilibeth
girandosi a guardarlo.
«Ne compreremo di nuovi.» disse Sergey non cogliendo il
problema.
Lilibeth sorrise.
«Dev'essere bello.» disse la ragazza.
«Cosa?» chiese Sergey.
«Poter fare quello che si vuole. Alzarsi la mattina e decidere
se lavorare o meno e avere comunque un introito sicuro;
partire all'improvviso senza preoccuparsi di nulla e di
nessuno, sapendo che c'è chi si prende cura della casa e degli
animali; avere la possibilità di viaggiare dove e quando si
vuole senza render conto a nessuno.» sospirò lei allungando
una mano per toccargli la sua.
«Lo stai facendo. Dimmi cosa provi.» le chiese Sergey
curioso di conoscere i suoi stati d'animo.
«Provo una grande emozione! E anche un senso di
leggerezza che non ho mai provato prima!» esclamò Lilibeth
muovendo le mani come per esprimersi meglio.
«E questo è nulla.» disse piano Sergey.
«Cosa vuoi dire? Hai in mente altri viaggi?» domandò
Lilibeth.
«Oh sì, piccola.» rispose lui allungando una mano per
accarezzarle il volto.
Si guardarono intensamente e l'atmosfera nell'abitacolo si
fece subito intima.
«Sai cosa ci vorrebbe per rendere questo viaggio ancora più
piacevole?» chiese lui roco.
Lilibeth si bagnò le labbra e abbassò lo sguardo tra le gambe
di lui.
«Credo di saperlo...», mormorò la ragazza chinandosi su di
lui per sbottonargli i pantaloni. La mano di Sergey le sciolse
lo chignon e affondò tra i morbidi capelli di lei. Si mise più
comodo e fissò la strada, sentendo la bocca calda di Lilibeth
prendere in bocca la sua turgidità.
«Brava.» mormorò lui accarezzandola.
Sarebbe stato un viaggio lungo, ma immensamente
piacevole...
Era la mattina del terzo giorno nella baita di Sergey posta tra
i monti innevati di Aspen. Non aveva esagerato, era
veramente una baita di lusso. Era grandissima e con decine
di stanze; fatta in mattoni ma rivestita di legno pregiato sia
all'interno che all'esterno. L'arredamento era squisitamente
rustico e tutti gli ambienti erano spaziosi e pulitissimi.
Lilibeth adorava quel posto, ancora più della villa a BlackAster; lo trovava più intimo e caldo, ma forse era per il fatto
che fossero soli. Era mattina presto e Lilibeth si svegliò a
causa di un suono ritmico che veniva da fuori. Si alzò a
sedere e vide che Sergey non era a letto. Si alzò, indossò la
pesante vestaglia nera dell'uomo e si avvicinò al camino
acceso della camera: Sergey aveva già fatto il fuoco. Andò di
sotto e chiamò Sergey, ma lui non rispose; andò allora a
guardare fuori dalle vetrate del salone e lo vide lì fuori, sotto
la neve a tagliare la legna per i camini. Era lui dunque la
causa di quei rumori. Tagliava con l'accetta i tronchi e li
buttava su un mucchio già pronto per il camino. Lilibeth
sorrise nel guardarlo: era bellissimo. Indossava dei jeans e
una camicia a quadri che aveva scoperto adorava. Lilibeth
andò in cucina e preparò la colazione. Apparecchiò il tavolo
di legno e poi preparò una tazza di cioccolata calda con un
po' di panna e si diresse fuori da Sergey. Non appena lui la
vide smise di tagliare la legna e le sorrise caldamente. Prese
la tazza con una mano e con l'altra attirò Lilibeth a sé.
«Saresti la mia moglie ideale.» disse l'uomo.
Lilibeth distolse lo sguardo.
«Ma sono già la moglie di qualcuno.» commentò tristemente
lei.
«Già, ma potrebbe sempre succedere qualcosa di brutto a
quel coglione di Bennett e tu diverresti una splendida
vedova.» disse crudamente Sergey.
Lilibeth si allontanò subito da lui, infastidita da quei discorsi
e lui se ne rese conto. Andò accanto a lei e la guidò in casa.
«Vieni, piccola, è freddo qua fuori.»
Una volta dentro fecero colazione in cucina, parlando del
film d'orrore che avevano visto la notte prima in salotto e
Sergey non riuscì a smettere di ridere quando Lilibeth
descrisse con accurata intelligenza tutte le semplici
accortezze che i protagonisti avrebbero dovuto prendere per
evitare di essere uccisi. Sergey si rese conto che più stava con
lei più stava bene. Ogni giorno trovava qualcosa in più in
Lilibeth che la rendeva unica ai suoi occhi. Ogni giorno
scopriva una donna completa: non solo elegante, delicata,
dolce e intelligente, ma anche inaspettatamente divertente e
creativa. Adorava vederla disegnare i suoi abiti, vederla
provare nuove ricette in cucina, vederla fare spese stando
attenta a risparmiare. E adorava quella splendida donna
selvaggia a letto. E per Lilibeth era lo stesso. Stava scoprendo
un uomo che non conosceva, un uomo che le piaceva da
morire non solo tra le lenzuola. Stava scoprendo un uomo
che amava la cioccolata calda, che amava girare scalzo per
casa, che si prendeva cura degli animali affamati nella neve,
che sbadigliava rumorosamente grattandosi la schiena, che
cantava in russo sotto la doccia e che la colmava di tenere
attenzioni. Qualcosa di strano stava accadendo tra di loro.
Adesso restavano per ore a guardarsi negli occhi dopo aver
fatto l'amore; restavano in silenzio a guardarsi, sorridendosi
e toccandosi in viso, come se nel mondo non ci fosse nessun
altro. La cosa che stupiva Lilibeth era che Sergey non aveva
mai accennato a volerla prendere dietro, come le aveva detto
la prima volta. Una volta glie l'aveva chiesto timidamente e
lui non aveva risposto, anzi, era caduto in un lungo silenzio.
“Faccio il cazzo che mi pare”, le aveva detto soltanto, come
fosse infastidito. A parte quel particolare spiacevole, Lilibeth
sentiva come se stesse vivendo una meravigliosa vita
parallela e non sapeva come avrebbe fatto a tornare ad essere
prigioniera di suo marito due mesi dopo, rinchiusa nella villa
di Bennett per sempre. Quando le venivano questi pensieri
andava a chiudersi in bagno per piangere da sola, ma forse
Sergey se n'era accorto e non diceva nulla, perché quando
usciva l'abbracciava forte senza dire una parola. Però quello
era il suo destino e nessuno poteva cambiarlo.
~
Un mese dopo
Sergey si sedette comodo sul divano della villa di Bennett
Wandal, con Zado e Iade in piedi dietro di lui.
«E'... è un piacere vederla, signor Krasnov. Questa sua visita
mi lascia perplesso e anche preoccupato, credevo di avere tre
mesi di tempo per recuperare il microchip.» balbettò
Bennett sforzandosi di sorridere.
«Non m'importa più del microchip, ho trovato qualcosa di
più prezioso.» disse Sergey.
«Oh. Be...bene, signore.» disse Bennett con
accondiscendenza.
Per i minuti seguenti nessuno parlò e Sergey fece una
smorfia di disgusto rivolto a Bennett.
«Non mi hai neppure chiesto come sta Lilibeth.» lo accusò
con disprezzo.
«Beh, mi perdoni, ma non... non credo di volerlo sapere.
Oddio, è qui per questo? E' successo qualcosa? E' morta?»
chiese Bennett preoccupato.
«No, non l'ho uccisa se è questo che intendi dire.» disse
Sergey tagliente.
«Oh no, no, signore, non intendevo...»
«Comunque sono qui per parlare di lei.» disse Sergey
asciutto, prima di posare sul tavolino di cristallo davanti a lui
dei documenti.
«Che cosa sono?» chiese Bennett prendendoli in mano e
leggendo. Sbarrò gli occhi e scosse il capo. «Cosa!? No!
Questo è inconcepibile per me!» quasi gridò Bennett
ributtando i documenti sul tavolino.
«Io non andrò via di qui se non firmi quei documenti.» disse
Sergey appoggiandosi allo schienale.
«Ma sono i documenti del divorzio tra me e Beth! E' una
follia, noi siamo naramiti! Io non posso firmarli e lei non può
costringermi a farlo!» esclamò Bennett.
«Oh, sì, invece.» rispose calmo Sergey con un grande sorriso.
«Io non...»
«Tu firmerai quei documenti e la faccenda finirà qua.»
scandì la voce calma ma minacciosa di Sergey, un voce che
non ammetteva repliche.
Bennett si coprì il volto con le mani, restando così per
qualche istante.
«Altrimenti?» chiese Bennett tornando a guardare Sergey.
«Mmm, non saprei...», disse quest'ultimo fingendosi
pensieroso, «potrei prelevare la tua società, oppure potrei
rovinarti infangando il tuo nome. O entrambi. O potrei fare
in modo che tu abbia un brutto incidente... Sai, i miei
cuccioli sono rimasti a bocca asciutta per non averti potuto
assaggiare la volta scorsa.»
«Signor Krasnov, la prego... Lilibeth è mia moglie.» lo
implorò Bennett.
«A quanto dicono questi documenti non più.» rispose Sergey
con naturalezza.
«Esigo di poter parlare con lei.» disse poi Bennett alzando il
mento.
«E perché mai?» chiese Sergey incupendosi.
«Perché non ho ancora firmato, dunque è ancora mia
moglie!» affermò Bennett deciso.
«Una moglie che non hai esitato a dare in pasto ad uno
stronzo come me.» commentò Sergey nervoso.
«Io sono pronto ad ignorare il fatto che la sua purezza sia
stata violata, ma la rivoglio con me, Beth è mia moglie, è
cosa mia.» disse Bennett.
«È qui che ti sbagli, Bennett, non si può possedere una
persona. Puoi possedere il suo amore, la sua devozione, ma
non lei. E non si può costringere qualcuno ad amarci. Il tuo è
sempre stato solo puro egoismo.» osservò Sergey.
«E da quando lei fa discorsi di questo tipo?» chiese Bennett
allargando le braccia.
«Da quando ho conosciuto Lilibeth.» rispose calmo Sergey.
«Signor Krasnov, proprio per questo motivo, proprio perché
anche lei ha potuto amare l'anima meravigliosa che è mia
moglie mi può capire se desidero che sia solo mia.»
«No, non lo capisco affatto.»
«Come può dire questo, come può dire di non capire? Anche
lei la desidera come la desidero io e vuole averla tutta per
sé!»
«No, io voglio che Lilibeth sia libera, come merita di essere.
Io voglio che sia felice, voglio che segua l'istinto, voglio che
sia padrona della sua vita e solo allora la vorrò come mia,
solo se sarà lei a scegliere di esserlo.» disse Sergey.
«Lei vuole lasciarla andare? Ma è assurdo! Signor Krasnov,
mi ascolti...»
«No, ho già perso troppo tempo. Lei deve firmare quei fogli e
voglio che lo faccia adesso!» ribatté Sergey diventando
minaccioso.
«Io non firmo!» sbraitò Bennett battendo i pugni sul
tavolino.
Sergey lo fissò negli occhi per qualche secondo, poi, con
calma, con molta calma, prese la sua pistola nera e argentea
dal fianco e la puntò con mano spaventosamente ferma
contro Bennett, senza battere ciglio.
«Conto fino a due.» disse Sergey con voce grave. «Uno...»
«Una penna, grazie!» esclamò Bennett prima di firmare in
tutta fretta.
~
Quella sera Sergey portò Lilibeth a cena fuori. Fermò la sua
porsche davanti al ristorante “La Perle Noire” e subito due
uomini in divisa rossa aprirono le loro portiere e presero in
custodia l'auto. Sergey li ringraziò e prese la mano di
Lilibeth, conducendola all'interno. Sergey indossava un
elegante completo nero che lo rendeva irresistibile agli occhi
di Lilibeth. La ragazza, invece, indossava un abito da sera di
chiffon e pizzo color vino, dalle lunghe maniche di tulle
abbellite da paillettes. Al collo aveva un collier di smeraldi
regalo di Sergey proprio qualche ora prima. I capelli erano
legati in alto, ma qualche boccolo castano scendeva
deliziosamente sul collo. Nell'atrio li attendeva un uomo
vestito con un completo verde scuro, che si rivolse a Sergey
in francese, salutandolo con riverenza; baciò poi la mano di
Lilibeth e li condusse in sala. Lilibeth rimase affascinata
dall'immensa sala dove si trovavano decine di coppie sedute
a dei tavoli rotondi. Il lusso dei tessuti, dei complementi e
delle rifiniture era magnifico. Ma l'uomo in verde li
accompagnò in un posto diverso. Arrivò, infatti, davanti a
dei graziosi gradini di legno di una scala a chiocciola e tolse
il cordone rosso che ne chiudeva l'accesso; li condusse di
sopra e Lilibeth rimase incantata a guardare la stanza
circolare dalle splendide vetrate dalle quali si poteva
ammirare lo Sloan's Lake. Le luci viola della città in fondo
davano un tocco di magia al panorama. La cosa più
incredibile era che la sala era vuota, c'era solo un tavolo al
centro apparecchiato con finezza.
«Grazie.» disse Lilibeth in russo a Sergey quando l'uomo le
scostò la sedia.
Sergey sorrise teneramente. Era stata lei a chiedere a Nikolay
di darle lezioni di russo e l'uomo aveva accettato volentieri.
«Buona serata, signori. Verranno presto dei camerieri a
servirvi.» disse l'uomo prima di andarsene.
Quando Sergey e Lilibeth restarono soli si sorrisero. In quei
due mesi avevano instaurato un rapporto stranamente
solido, e nonostante le loro diversità di carattere, erano
sempre in sintonia. Scambiarono qualche parola, poi arrivò il
cameriere, il quale li salutò educatamente e poi lasciò sul
tavolo un cofanetto di cristallo colorato. Il cameriere se ne
andò e Lilibeth rimase stupita.
«Cos'è?» chiese Lilibeth guardandolo.
«E' il regalo di cui ti avevo parlato tempo fa.» le rivelò
Sergey.
Lilibeth trattenne il respiro e guardò l'uomo.
«Sergey...», mormorò emozionata.
«Aprilo.»
«Mi sento le mani tremare...», gli confessò.
«Non essere sciocca, non l'hai ancora aperto.» disse Sergey
aprendo lo champagne al fresco nel cestello.
Lilibeth aprì il cofanetto e aggrottò la fronte: c'era un
biglietto aereo e altri documenti. Alzò gli occhi verso Sergey,
non comprendendo cosa fossero.
«È la tua nuova vita.» le spiegò l'uomo riempendole il calice.
«Cosa?» domandò Lilibeth confusa.
Sergey rimise a posto lo champagne e si sedette comodo
guardando Lilibeth negli occhi: era arrivato il momento di
spiegarsi.
«Nel cofanetto ci sono un biglietto di sola andata per Parigi e
i documenti della tua casa a Villa Montmorency, nel
quartiere più esclusivo della città. Partirai con Zado e Iade,
che si occuperanno di proteggerti. Ti ho aperto un conto
personale da usare come più ti piace. Avrai una carta di
credito senza limiti, l'auto e l'autista personale, i facchini per
le compere, i guardiani per la villa, le domestiche...
Insomma, tutto ciò di cui puoi aver bisogno per la vita di
tutti i giorni. Ho assunto uno stilista che ti seguirà
personalmente nel tuo percorso all'Accademia della Moda e
potrai mettere in scena le tue creazioni nelle sfilate a te
dedicate. Da questo momento sei una donna libera e seguirai
i tuoi sogni. Ah, hai divorziato da Bennett, sei una donna
libera anche legalmente e sentimentalmente.»
Lilibeth rimase a bocca aperta a fissare Sergey per lungo
tempo e lui ridacchiò nel vederla così attonita.
«Stai... scherzando?»
«No.»
«Sono... sono divorziata?» chiese incredula.
«Sì.»
«Una villa a Parigi? Un corso di moda? Delle sfilate? Io... io...
io non... non capisco...», balbettò Lilibeth toccandosi la
tempia. «Sergey, perché? Perché fai questo? Io credevo che
tu volessi che io fossi solo tua.»
«Ed è così. Ma non voglio possedere una donna spaurita che
si sente inferiore a me, quella è roba per individui come
Bennett. Lilibeth, sei una creatura meravigliosa e sono certo
che la tua dolcezza non verrà mai scalfita per nessuna
ragione, ma prima di tutto voglio che tu sia una donna
indipendente, libera e soprattutto felice. Vai, insegui i tuoi
sogni, avverali, e poi ci rincontreremo.»
Lilibeth tremò leggermente e Sergey alzò il calice.
«Alla tua nuova vita, piccola.» disse l'uomo con voce intensa.
Lilibeth cominciò a singhiozzare e Sergey venne toccato da
quella dolcezza d'animo. Si alzò e l'aiutò ad alzarsi per poi
prenderla per le braccia e cominciare a ballare con lei in
quella sala spaziosa e intima. Una soave musica aleggiava
nell'aria e sembrava esprimere i sentimenti che Lilibeth e
Sergey provavano in quel momento. L'uomo la strinse più
forte a sé e le sussurrò:
«Non piangere, ti prego.»
Lilibeth si strinse a lui, ma non riuscì a proferire parola; non
riuscì a dirgli tutto ciò che avrebbe voluto.
“Voglio restare con te”, riuscì solo a pensare.
Sergey si fermò e quando Lilibeth alzò il viso per guardarlo vi
trovò nel suo volto un'espressione di estrema tenerezza. Poi,
lentamente, molto lentamente, Sergey l'attirò a sé
mettendole un braccio attorno alle spalle e prendendole
gentilmente il mento con l'altra mano. Si chinò su di lei e
Lilibeth trattenne il respiro quando comprese che stava per
baciarla. Chiusero gli occhi e quando le loro labbra si
trovarono si schiusero dolcemente, pronte ad assaggiare
l'una l'anima dell'altro. La lingua di Sergey era calda e anche
se dura, i suoi movimenti erano delicati. Lilibeth si arrese a
lui, lasciando che le invadesse la bocca, godendosi quel bacio
colmo di forza e dolcezza, di passione e premura. Dunque
quello era un bacio. Che sensazione unica e profonda! Non
era solo qualcosa che riguardava la bocca, ma tutto il corpo.
E anche lo spirito. Lilibeth, infatti, si sentiva leggera, quasi
debole; sentiva i muscoli rilassarsi e il sangue fluire più
velocemente. Si sentiva come una bambola di pezza tra le
mani di un uomo che invece aveva il pieno controllo di ciò
che faceva.
“Oh, Sergey...”, pensò Lilibeth provando una struggente
sensazione nel cuore.
Sarebbe stato bellissimo poter vivere quelle emozioni per
tutta la vita...
~
Parigi, sette mesi dopo
Quella sera a Parigi c'era la sfilata della stilista Lilibeth
Lynkaster (chiamata soltanto “Lilibeth” nel mondo della
moda) che si teneva alla Fashion Tower, una cattedrale
sconsacrata che Lilibeth e altri tre stilisti avevano acquisito
per trasformarla in un luogo di moda. I suoi abiti da sogno
avevano incantato il mondo e l'avevano portata in breve
tempo ad una vertiginosa ascesa. Aveva guadagnato
talmente tanto che aveva comprato una villa tutta sua
appena fuori Parigi, sia per essere immersa nella campagna –
che adorava – sia perché non voleva sfruttare troppo la
generosità di Sergey restando nella sua villa a Montmorency.
Nella sua nuova casa non aveva domestici o facchini: aveva
pagato il biglietto a Martha, la sua vecchia domestica di
Denver, assumendola come unica persona per prendersi cura
della villa. Però – su ordine di Sergey – Zado e Iade erano
rimasti con lei per la sua sicurezza. E Sergey lo sentiva
spesso, sia per telefono che per email. Le faceva sapere come
stava Notte, il suo cane, e scambiavano qualche parola
riguardo alla nuova vita di Lilibeth. La ragazza gli chiedeva
spesso consigli su nuovi contratti e su come agire in certe
situazioni, e Sergey le aveva sempre consigliato giusto. Si
sentiva riconoscente verso di lui, perché senza il suo aiuto
non avrebbe potuto raggiungere il successo in maniera così
veloce. Era un sogno. Un sogno imperfetto, perché l'unica
cosa che le mancava per essere completamente felice era
avere Sergey accanto.
Nell'immensa sala che ricordava un mondo sommerso, con
tonalità di blu intenso e argento e musiche di arpa, tutte le
centinaia di invitati si alzarono in piedi al termine della
sfilata per applaudire estasiati Lilibeth. Tutte le modelle, con
indosso i suoi abiti incantevoli, erano presenti sul palco ad
applaudire anche loro. Arrivò Lilibeth, bellissima e
sorridente, e un tripudio di voci si levò al cielo. La giovane
donna camminò per tutta la passerella, salutando con la
mano il pubblico e ringraziandoli con dei graziosi inchini.
Indossava un tailleur bianco e delle scarpe rosse col tacco a
spillo. Era un incanto.
Dietro le quinte arrivarono decine di persone a congratularsi
personalmente con lei, e Lilibeth ringraziò tutti
calorosamente. Arrivarono Zado e Iade a consegnarle dei
fiori da parte di ammiratori e Lilibeth ringraziò gentilmente
anche loro, chiedendo di mettere i fiori da una parte.
La serata proseguì per alcune ore, nelle quali Lilibeth fece un
po' di relazioni pubbliche, parlando con altri stilisti e con
persone facoltose. Verso le due di notte si congedò e tornò a
casa con Zado e Iade. Arrivata alla sua villa, Iade le aprì lo
sportello e l'aiutò a scendere. Lilibeth salutò i due uomini
augurando loro buonanotte, sapendo che sarebbero andati a
divertirsi nei locali per tutta la notte. Lei entrò in casa, si
tolse il lungo cappotto bianco e si diresse nel grande salotto.
L'arredamento della villa era moderno e sulle tonalità chiare.
Il salotto dove entrò aveva una grande vetrata che si
affacciava sul giardino giapponese e le luci poste nei viali
erbosi dava un tocco suggestivo. Ricordava la villa di Sergey
a Black-Aster. Lilibeth andò verso il tavolino di cristallo rosa
e prese la posta, leggendo con attenzione le lettere. Il suo
sguardo cadde verso il tavolo della sala da pranzo sulla
sinistra e aggrottò la fronte vedendo quel grandissimo
mazzo di fiori posto nel vaso di porcellana nera. Lilibeth
andò da quella parte e socchiuse la bocca dallo stupore
quando vide che era un magnifico mazzo di rose bianche e
farfalle di cristallo colorato. C'era un'unica rosa rossa al
centro del mazzo.
«Oh...», le sfuggì dalle labbra. C'era anche un biglietto. Lo
prese e lo lesse:
“Voltati”.
Lilibeth si voltò e vide Sergey appoggiato allo stipite della
porta con le braccia incrociate. Le lettere e il biglietto
caddero dalle mani di Lilibeth, la quale rimase a guardare a
bocca aperta e occhi lucidi l'uomo davanti a sé. Non lo
ricordava così imponente! Era magnifico!
«Sei incantevole.» le disse la roca voce di Sergey.
Lilibeth singhiozzò e poi corse da lui, abbracciandolo con
forza. Sergey sorrise intenerito e la strinse a sé, godendo di
quel corpo delicato e profumatissimo. Quando si scostarono
si sorrisero a lungo.
«I tuoi abiti sono meravigliosi, piccola.» disse Sergey.
«Eri alla Fashion Tower stasera?» chiese Lilibeth stupita.
«Sì. E sono rimasto folgorato dalle tue creazioni.»
«Grazie.» disse Lilibeth senza voce.
«Hai lavorato sodo, hai inseguito i tuoi sogni, ti sei
azzardata, sei rimasta fedele alla tua etica e hai raggiunto il
successo senza mai perdere la tua dolcezza, non male per
una zaychik spaventata.» commentò Sergey allungando una
mano per posargliela sulla guancia.
Lilibeth chiuse gli occhi e si godette il calore di quella mano
forte. Che ricordi bellissimi gli dava quel tocco.
«Sono orgoglioso di te, piccola. Guardati, sei una donna
libera, indipendente, intraprendente; capace di lottare per
ciò in cui crede e docile nell'ottenerlo. Se quando ti ho
conosciuta eri la donna dei miei sogni, adesso sei la donna
della mia più splendida realtà, Lilibeth.» aggiunse Sergey con
voce calda.
Lilibeth sentì le gambe tremarle a quelle parole, ma
mantenne un contegno. Sergey la guardò dalla testa ai piedi
e dai piedi alla testa, trovandola bellissima. Poi andò verso il
mazzo di fiori, prese la rosa rossa e tornò davanti a Lilibeth,
porgendogliela. Lilibeth prese la rosa e gli sorrise
dolcemente.
«Grazie.» alitò la ragazza.
Sergey si chinò a baciarla sul collo e le sussurrò all'orecchio:
«Guarda tra i suoi petali.»
Si scostò da lei e Lilibeth infilò le dita tra i vellutati petali
della rosa; socchiuse la bocca, tirando fuori dal fiore un
anello d'oro con piccoli brillanti incastonati. Lilibeth guardò
Sergey con stupore e lui sorrise vedendola così sconvolta.
L'uomo prese l'anello e glie lo infilò all'anulare.
«Lilibeth, vuoi diventare mia moglie?» chiese Sergey
accarezzandole il viso.
Lilibeth trattenne il respiro e rimase a fissare Sergey come
fosse sotto un incantesimo. La sua espressione era così
sconvolta che Sergey cominciò a preoccuparsi. Avanzò di un
passo e Lilibeth indietreggiò di due come fosse spaventata,
ma mise male il piede e cadde a terra storcendosi la caviglia.
Sergey corse subito da lei e la prese in braccio senza fatica,
andando a metterla seduta sul grande tavolo lucido. Lilibeth
ricordò la prima volta che l'aveva presa in braccio, nella villa
di Black-Aster, quella notte che era stata portata da lui. Era
passato quasi un anno, ma i brividi erano gli stessi.
Sergey le prese il volto tra le mani, fissandola intensamente.
«Hai bisogno di tempo, piccola? Prenditi tutto il tempo che
vuoi, è una scelta importante, me ne rendo conto. Io stesso
l'ho vagliata per mesi, ma ho compreso da subito che volevo
averti accanto tutta la vita. Comprendo il tuo stupore, ma mi
manchi, Lilibeth, mi manchi come mai nessuno mi è
mancato nella vita. I tuoi dubbi... E' per la mia famiglia, non
è vero? Ti prometto che saranno discreti, che non verranno a
svegliarci la mattina quando saremo accoccolati a letto a
farci tenerezze o a scopare selvaggiamente. E voglio
confessarti un'altra cosa: non ho mai tentato di prenderti
dietro, come invece volevo fare all'inizio, perché mi ero
innamorato di te e non sopportavo l'idea di violarti a quel
modo, visto che tu l'avresti vissuto come un trauma. Quando
accadrà voglio che tu sia consapevole di essere tra le mani
dell'uomo che ti ama. » confessò Sergey a cuore aperto.
Lilibeth si portò una mano alla bocca e cominciò a tremare e
a piangere di emozione.
«Sergey...», disse guardandolo con occhi colmi di
sentimento.
«Niente “Sergey”, rispondi alla domanda. Vuoi essere mia
moglie?» domandò Sergey prendendole le mani tra le sue.
Lilibeth controllò i singhiozzi e riprese piano il controllo di
sé.
«Sì.» rispose in un alito.
Sergey le sorrise e l'abbracciò stretta, sospirando sollevato.
Lilibeth si avvinghiò a lui e sfogò un breve pianto liberatorio,
viste tutte le emozioni che provava in quell'istante. Sergey la
prese in braccio e si diresse di sopra, nella camera da letto.
«Ora che sono la futura signora Krasnov è giunto il
momento di regalarti qualcosa di speciale.» disse Lilibeth
con un sorriso malizioso che fece ridere Sergey.
«No», iniziò a dire l'uomo guardandola intensamente,
«questa notte lo faremo dolcemente, voglio che tu abbia un
ricordo tenero di quando ti ho chiesto di essere mia moglie.
Poi, domattina, possiamo anche fare quelle deliziose cosine
perverse e animali che tanto ci piacciono. Domani dai il
giorno libero a Martha, perché ti farò urlare senza ritegno.»
Lilibeth rise e si strinse a lui, inspirando il suo odore buono e
maschile.
«Sergey... se è un sogno non svegliarmi.» mormorò Lilibeth
sospirando.
«Non può essere un sogno perché siamo in due a viverlo.»
disse Sergey aprendo la camera da letto.
E per Sergey e Lilibeth mai notte fu più intensa.
- FINE -