Lingua e letteratura italiana Triennio della Scuola

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Lingua e letteratura italiana Triennio della Scuola
Lingua e letteratura italiana
Triennio
della Scuola Secondaria
Indicazioni metodologiche
e proposte di esercizi
Coordinamento didattico: Rosa Castellaro
1. Motivi e luoghi comuni della narrativa romanzesca medievale
di Rosa Castellaro
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Dal Decameron di Giovanni Boccaccio:
La novella di Girolamo e Salvestra
Giornata IV, 8
Girolamo ama la Salvestra; va, costretto da'prieghi della madre, a Parigi; torna e truovala maritata;
entrale di nascoso in casa e muorle allato; e portato in una chiesa, nuore la Salvestra allato a lui.
Aveva la novella d'Emilia il fine suo, quando per comandamento del re Neifile così cominciò:
Alcuni al mio giudicio, valorose donne, sono, li quali più che l'altre genti si credon sapere, e
sanno meno; e per questo non solamente a'consigli degli uomini, ma ancora contra la natura delle
cose presummono d'opporre il senno loro; della quale presunzione già grandissimi mali sono
avvenuti e alcun bene non se ne vide giammai. E per ciò che tra l'altre naturali cose quella che meno
riceve consiglio o operazione in contrario è amore, la cui natura è tale che più tosto per sé
medesimo consumar si può che per avvedimento alcuno tor via, m'è venuto nello animo di narrarvi
una novella d'una donna la quale, mentre che ella cercò d'esser più savia che a lei non si
apparteneva e che non era e ancora che non sosteneva la cosa in che studiava mostrare il senno suo,
credendo dello innamorato cuore trarre amore, il quale forse v'avevano messo le stelle, pervenne a
cacciare ad una ora amore e l'anima del corpo al figliuolo.
Fu adunque nella nostra città, secondo che gli antichi raccontano, un grandissimo mercatante e
ricco, il cui nome fu Leonardo Sighieri, il quale d'una sua donna un figliuolo ebbe chiamato
Girolamo, appresso la natività del quale, acconci i suoi fatti ordinatamente, passò di questa vita. I
tutori del fanciullo, insieme con la madre di lui, bene e lealmente le sue cose guidarono. Il fanciullo
crescendo co'fanciulli degli altri suoi vicini, più che con alcuno altro della contrada con una
fanciulla del tempo suo, figliuola d'un sarto, si dimesticò. E venendo più crescendo l'età, l'usanza si
convertì in amore tanto e sì fiero, che Girolamo non sentiva ben se non tanto quanto costei vedeva;
e certo ella non amava men lui che da lui amata fosse.
La madre del fanciullo, di ciò avvedutasi, molte volte ne gli disse male e nel gastigò. E appresso
co'tutori di lui, non potendosene Girolamo rimanere, se ne dolfe; e come colei che si credeva per la
gran ricchezza del figliuolo fare del pruno un mel rancio, disse loro: - Questo nostro fanciullo, il
quale appena ancora non ha quattordici anni, è sì innamorato d'una figliuola d'un sarto nostro
vicino, che ha nome la Salvestra, che, se noi dinanzi non gliele leviamo, per avventura egli la si
prenderà un giorno, senza che alcuno il sappia, per moglie, e io non sarò mai poscia lieta; o egli si
consumerà per lei se ad altri la vedrà maritare; e per ciò mi parrebbe che, per fuggir questo, voi il
doveste in alcuna parte mandare lontano di qui ne'servigi del fondaco; per ciò che, dilungandosi da
veder costei, ella gli uscirà dello animo e potrengli poscia dare alcuna giovane ben nata per moglie.
I tutori dissero che la donna parlava bene e che essi ciò farebbero al lor potere; e fattosi
chiamare il fanciullo nel fondaco, gl'incominciò l'uno a dire assai amorevolmente: - Figliuol mio, tu
se'oggimai grandicello; egli è ben fatto che tu incominci tu medesimo a vedere de'fatti tuoi; per che
noi ci contenteremmo molto che tu andassi a stare a Parigi alquanto, dove gran parte della tua
ricchezza vedrai come si traffica, senza che tu diventerai molto migliore e più costumato e più da
bene là che qui non faresti, veggendo quei signori e quei baroni e que'gentili uomini che vi sono
assai e de' lor costumi apprendendo; poi te ne potrai qui venire. Il garzone ascoltò diligentemente e in brieve rispose niente volerne fare, per ciò che egli credeva
così bene come un altro potersi stare a Firenze. I valenti uomini, udendo questo, ancora con più
parole il riprovarono; ma, non potendo trarne altra risposta, alla madre il dissero. La quale
fieramente di ciò adirata, non del non volere egli andare a Parigi, ma del suo innamoramento, gli
disse una gran villania; e poi, con dolci parole raumiliandolo, lo 'ncominciò a lusingare e a pregare
dolcemente che gli dovesse piacere di far quello che volevano i suoi tutori; e tanto gli seppe dire che
egli acconsentì di dovervi andare a stare uno anno e non più; e così fu fatto.
Andato adunque Girolamo a Parigi fieramente innamorato, d'oggi in domane ne verrai, vi fu due
anni tenuto. Donde più innamorato che mai tornatosene, trovò la sua Salvestra maritata ad un buon
giovane che faceva le trabacche, di che egli fu oltre misura dolente. Ma pur, veggendo che altro
esser non poteva, s'ingegnò di darsene pace; e spiato là dove ella stesse a casa, secondo l'usanza
de'giovani innamorati incominciò a passare davanti a lei, credendo che ella non avesse lui
dimenticato, se non come egli aveva lei. Ma l'opera stava in altra guisa; ella non si ricordava di lui
se non come se mai non lo avesse veduto; e, se pure alcuna cosa se ne ricordava, sì mostrava il
contrario. Di che in assai piccolo spazio di tempo il giovane s'accorse, e non senza suo grandissimo
dolore. Ma nondimeno ogni cosa faceva che poteva, per rientrarle nello animo; ma niente
parendogli adoperare, si dispose, se morir ne dovesse, di parlarle esso stesso.
E da alcuno vicino informatosi come la casa di lei stesse, una sera che a vegghiare erano ella e 'l
marito andati con lor vicini, nascosamente dentro v'entrò, e nella camera di lei dietro a teli di
trabacche che tesi v'erano si nascose, e tanto aspettò che, tornati costoro e andatisene al letto, sentì il
marito di lei addormentato, e là se n'andò dove veduto aveva che la Salvestra coricata s'era, e
postale la sua mano sopra il petto, pianamente disse: - O anima mia, dormi tu ancora?
La giovane, che non dormiva, volle gridare, ma il giovane prestamente disse: - Per Dio, non
gridare, ché io sono il tuo Girolamo. Il che udendo costei, tutta tremante disse: - Deh, per Dio, Girolamo, vattene; egli è passato quel
tempo che alla nostra fanciullezza non si disdisse l'essere innamorati; io sono, come tu vedi,
maritata; per la qual cosa più non sta bene a me d'attendere ad altro uomo che al mio marito; per che
io ti priego per solo Iddio che tu te ne vada; ché se mio marito ti sentisse, pogniamo che altro male
non ne seguisse, sì ne seguirebbe che mai in pace né in riposo con lui viver potrei, dove ora amata
da lui in bene e in tranquillità con lui mi dimoro. Il giovane, udendo queste parole, sentì noioso dolore; e ricordatole il passato tempo e 'l suo
amore mai per distanzia non menomato, e molti prieghi e promesse grandissime mescolate, niuna
cosa ottenne. Per che, disideroso di morire, ultimamente la pregò che in merito di tanto amore ella
sofferisse che egli allato a lei si coricasse, tanto che alquanto riscaldar si potesse, ché era
agghiacciato aspettandola; promettendole che né le direbbe alcuna cosa né la toccherebbe e, come
un poco riscaldato fosse, se n'andrebbe.
La Salvestra, avendo un poco compassion di lui, con le condizioni date da lui il concedette.
Coricossi adunque il giovine allato a lei senza toccarla; e raccolto in un pensiere il lungo amor
portatole e la presente durezza di lei e la perduta speranza, diliberò di più non vivere; e ristretti in sé
gli spiriti, senza alcun motto fare, chiuse le pugna, allato a lei si morì. E dopo alquanto spazio la
giovane maravigliandosi della sua contenenza, temendo non il maritò si svegliasse, cominciò a dire:
- Deh, Girolamo, ché non te ne vai tu? Ma non sentendosi rispondere, pensò lui essere addormentato; per che, stesa oltre la mano acciò
che si svegliasse, il cominciò a tentare, e toccandolo il trovò come ghiaccio freddo, di che ella si
maravigliò forte; e toccandolo con più forza e sentendo che egli non si movea, dopo più ritoccarlo
cognobbe che egli era morto; di che oltre modo dolente, stette gran pezza senza saper che farsi. Alla
fine prese consiglio di volere in altrui persona tentar quello che il marito dicesse da farne; e
destatolo, quello che presenzialmente a lei avvenuto era, disse essere ad un'altra intervenuto, e poi il
domandò, se a lei avvenisse, che consiglio ne prenderebbe. Il buono uomo rispose che a lui
parrebbe che colui che morto fosse si dovesse chetamente riportare a casa sua e quivi lasciarlo,
senza alcuna malavoglienza alla donna portarne, la quale fallato non gli pareva ch'avesse.
Allora la giovane disse: - E così convien fare a noi - ; e presagli la mano, gli fece toccare il
morto giovane.
Di che egli tutto smarrito si levò su e, acceso un lume, senza entrare colla moglie in altre
novelle, il morto corpo de'suoi panni medesimi rivestito e senza alcuno indugio, aiutandolo la sua
innocenzia, levatoselo in su le spalle, alla porta della casa di lui nel portò e quivi il pose e lasciollo
stare. E venuto il giorno, e veduto costui davanti all'uscio suo morto, fu fatto il romor grande, e
spezialmente dalla madre; e cerco per tutto e riguardato, e non trovatoglisi né piaga né percossa
alcuna, per li medici generalmente fu creduto lui di dolore esser morto così come era. Fu adunque
questo corpo portato in una chiesa, e quivi venne la dolorosa madre con molte altre donne parenti e
vicine, e sopra lui cominciarono dirottamente, secondo l'usanza nostra, a piagnere e a dolersi.
E mentre il corrotto grandissimo si facea, il buono uomo, in casa cui morto era, disse alla
Salvestra: - Deh ponti alcun mantello in capo e va a quella chiesa dove Girolamo è stato recato e
mettiti tra le donne, e ascolterai quello che di questo fatto si ragiona, e io farò il simigliante tra gli
uomini, acciò che noi sentiamo se alcuna cosa contro a noi si dicesse. Alla giovane, che tardi era divenuta pietosa, piacque, sì come a colei che morto disiderava di
veder colui a cui vivo non avea voluto d'un sol bacio piacere, e andovvi. Maravigliosa cosa è a
pensare quanto sieno difficili ad investigare le forze d'Amore! Quel cuore, il quale la lieta fortuna di
Girolamo non aveva potuto aprire, la miseria l'aperse, e l'antiche fiamme risuscitatevi tutte
subitamente mutò in tanta pietà, come ella il viso morto vide, che sotto 'l mantel chiusa, tra donna e
donna mettendosi, non ristette prima che al corpo fu pervenuta; e quivi, mandato fuori uno altissimo
strido, sopra il morto giovane si gittò col suo viso, il quale non bagnò di molte lagrime, per ciò che
prima nol toccò che, come al giovane il dolore la vita aveva tolta, così a costei tolse.
Ma poi che, riconfortandola le donne e dicendole che su si levasse alquanto, non conoscendola
ancora, e poi che ella non si levava, levar volendola e immobile trovandola, pur sollevandola, ad
una ora lei esser la Salvestra e morta conobbero. Di che tutte le donne che quivi erano, vinte da
doppia pietà, ricominciarono il pianto assai maggiore. Sparsesi fuor della chiesa tra gli uomini la
novella, la quale pervenuta agli orecchi del marito di lei, che tra loro era, senza ascoltare
consolazione o conforto da alcuno, per lungo spazio pianse. E poi ad assai di quegli che v'erano
raccontata la istoria stata la notte di questo giovane e della moglie, manifestamente per tutti si seppe
la cagione della morte di ciascuno, il che a tutti dolfe.
Presa adunque la morta giovane e lei così ornata come s'acconciano i corpi morti, sopra quel
medesimo letto allato al giovane la posero a giacere, e quivi lungamente pianta, in una medesima
sepoltura furono sepelliti amenduni; e loro, li quali Amor vivi non aveva potuto congiugnere, la
morte congiunse con inseparabile compagnia.
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note
1. per comandamento del re: per ordine del re. Siamo nella quarta giornata, “nella quale, sotto il
reggimento di Filostrato, si ragiona di coloro, li cui amori ebbero infelice fine”.
2. Alcuni al mio giudicio ...non se ne vide giammai: vi sono alcuni, o mie virtuose amiche che, a
mio giudizio, sono convinti di saperne più di tutti gli altri, mentre ne sanno molto meno. Per questo
non si fanno scrupolo di opporre il loro modo di vedere non solo alla volontà degli altri uomini, ma
alla stessa natura. Da questo atteggiamento presuntuoso sono derivati già grandissimi mali, e non si
vide mai nascere alcun bene.
3. E per ciò che tra l’altre naturali cose... tõr via: e poiché tra le cose naturali l’amore è quella
che meno di tutte si lascia vincere o sopraffare da volontà contrarie, essendo la sua natura tale che è
più facile che si esaurisca di per se stesso, piuttosto che essere cancellato con un piano
predisposto…
4. che a lei non apparteneva ... il senno suo: di quanto non le si addiceva, e in effetti non era, e
soprattutto non lo tollerava la questione nella quale si affaccendava a mostrare la sua astuzia.
5. le stelle: gli influssi astrali.
6. ad una ora: nello stesso tempo.
7. nella nostra città: a Firenze .
8. mercatante: mercante.
9. natività: nascita.
10. acconci i suoi fatti ordinatamente: dopo aver sistemato con prudenza i suoi affari.
11. guidarono: amministrarono.
12. del tempo suo: della sua stessa età.
13. di dimesticò: divenne amico.
14. l’usanza: l’abitudine di frequentarsi.
15. ne gli disse male: lo rimproverò.
16. non potendosene ... rimanere: non potendo Girolamo desistere dall’amarla.
17. se ne dolfe: se ne lamentò (coi tutori).
18. fare del pruno un mel rancio: cambiare un pruno in un melarancio, cioè migliorare una
situazione al di là del possibile.
19. per avventura: potrebbe accadere che…
20. poscia: da quel momento in poi.
21. ne’ servigi del fondaco: nelle attività dell’impresa.
22. a vedere de’ fatti tuoi: a occuparti dei tuoi interessi.
23. noi ci contenteremmo molto: saremmo molto contenti.
24. garzone: ragazzo.
25. credeva così bene... Firenze: era convinto di poter vivere a Firenze altrettanto bene di
qualsiasi altra persona.
26. il riprovarono: tentarono di persuaderlo.
27. raumiliandolo: blandendolo.
28. d’oggi in domane ne verrai: rimandando da un giorno all’altro (è un detto proverbiale).
29. trabacche: tende.
30. in altra guisa: in altro modo
31. niente parendogli operare: sembrandogli di non ottenere alcun risultato.
32. vegghiare: trascorrere la serata fuori casa.
33. non si disdisse: non fu sconveniente.
34. attendere al altro uomo: interessarmi ad un altro uomo.
35. pogniamo che altro mal non ne seguisse: anche se supponiamo che non ne segua un altro
ancor più grave danno.
36. noioso: insopportabile.
37. ultimamente: come ultima cosa.
38. sofferisse: concedesse.
39. ristretti in sé gli spiriti: chiamati a raccolta tutti i suoi spiriti vitali.
40. contenenza: contegno.
41. prese consiglio di volere ... dicesse da farne: cercò di sapere che cosa avrebbe detto il
marito di fare se il fatto fosse accaduto a un’altra persona.
42. presenzialmente: proprio allora.
43. malavoglienza: risentimento.
44. fallato: commesso colpa.
45. e cerco per tutto e riguardato: dopo aver cercato su tutto il corpo e aver attentamente
osservato.
46. corrotto: il pianto sul cadavere.
47. meravigliosa: straordinaria, incredibile.
48. non ristette... pervenuta: non si fermò prima di essere giunta davanti al cadavere.
49. che prima nol toccò che: nello stesso istante in cui lo ebbe toccato.
50. manifestamente: in modo chiaro.
51. amenduni: entrambi.
Proposta di lettura
La novella di Girolamo e Salvestra costituisce un interessante esempio di trasferimento in un
contesto realistico e quotidiano di un antico tema romanzesco, quello dell’amore contrastato, di
derivazione classica e successivamente sviluppato dalla narrativa cortese.
L’amore tra Girolamo e Salvestra, infatti, prende forma tra i giochi dei ragazzi della medesima
“contrada” della “nostra città”; la fanciulla di cui Girolamo si innamora è la “figliuola d’un sarto”; i
tutori, per ammonire Girolamo, lo chiamano nel “fondaco”. L’appartenenza dei due protagonisti
della novella alla società borghese della Firenze trecentesca è del resto subito denunciata dalla
narratrice, che presenta Girolamo come figlio di un “grandissimo mercatante e ricco”, del quale
fornisce il nome, Leonardo Sighieri, per rendere ancora più realistica la storia che narrerà (i
Sighieri furono ricchi mercanti fiorentini, ancora attivi al tempo del Boccaccio).
Il motivo dell’allontanamento di Girolamo dalla fanciulla amata risponde pienamente alle
consuetudini del ceto mercantile, che inviava i suoi giovani nei più importanti centri europei a fare
pratica di commercio e a conoscere i “costumi” di popoli diversi (il padre di Boccaccio era stato a
lungo a Parigi; lo stesso Boccaccio fu mandato a Napoli per apprendere l’arte della mercatura).
Coerenti con la realtà sociale del tempo sono tanto il matrimonio di Salvestra con un artigiano,
quanto la condizione della sua casa: nella camera dove la donna dorme si trovano “tesi ... teli di
trabacche”. Ma è soprattutto la mentalità di alcuni personaggi a riprodurre fedelmente il clima
morale della Firenze mercantile. La decisione della madre di Girolamo di distogliere il figlio da un
amore ritenuto inadatto a lui corrisponde esattamente alla visione utilitaristica del mondo propria
del ceto mercantile, che non può ammettere al suo interno disuguaglianze di censo. Della stessa
donna viene ritratta anche la superbia, attraverso la messa in rilievo della sua presunzione : “ si
credeva per la gran ricchezza del figliuolo fare del pruno un melrancio”.
Il discorso dei tutori al giovane innamorato si fonda sui principi stessi che regolano l’attività
mercantile: lo sviluppo della ricchezza e la conoscenza del comportamento umano. Allo stesso
codice di comportamento, visto da un livello sociale più basso, quello del ceto degli artigiani,
devono essere riferite anche le preoccupazioni di Salvestra che, ormai sposata e sistemata in una
condizione ritenuta soddisfacente, non vuole rinunciare al “bene” e alla “tranquillità” della sua
nuova vita.
E’ importante tuttavia osservare che proprio dalla collocazione della storia d’amore di Girolamo e
Salvestra nella storia concreta e viva della loro città proviene una parte notevole del fascino di
questa novella, volta a celebrare la forza dell’amore al di là di ogni convenzione sociale.
La trattazione di una vicenda tragica, come quella di Girolamo e Salvestra, richiede, secondo le
norme retoriche medievali, uno “stile alto”, cioè l’adozione di un registro linguistico elevato
(“illustre e aulico”). A queste esigenze di decoro si adeguano tanto l’abbondanza delle figure
retoriche, dalla metafora (“le antiche fiamme” per l’antico amore), alla dittologia, costituita dalla
giustapposizione a scopo rafforzativo di due parole di significato equivalente (“molto migliore e più
costumato”; “cominciò a lusingare et a pregare”), all’allitterazione ( “E venendo più crescendo
l’età”), al parallelismo (e loro, li quali amor vivi non aveva potuti congiugnere, la morte congiunse
con inseparabil compagnia”), quanto la scansione sul ritmo del verso endecasillabo di alcuni
membri delle frasi, in particolare nell'incipit:
un grandìssimo mercatànte e rìcco,
il cui nome fu Leònardo Sighièri.
Nel corso del racconto, tuttavia, la volontà di inserire la vicenda in un preciso ambiente storico e
sociale, quello dei mercanti e degli artigiano fiorentini del primo Trecento, impone l’adozione di un
registro linguistico più umile e colloquiale, secondo quella tecnica della mescolanza degli stili che è
propria del Decameron. Si possono così rilevare modi di dire popolari (“fare del pruno un
melrancio”; “d’oggi in diman ne verrai”), vocaboli appartenenti al codice linguistico dei mercanti e
degli artigiani (“ fondaco”; “teli di trabacche”), rapidi passaggi dal discorso indiretto al diretto (“I
tutori dissero che la donna parlava bene e che essi ciò farebbero a lor potere; e fattosi chiamare il
fanciullo nel fondaco, gl’incominciò l’uno a dire assai amorevolmente: “Figliuol mio, tu se’ ogimai
grandicello...”).
2. La rilevazione dei motivi e dei luoghi comuni
Riportiamo le definizioni schematiche di tema, motivo, luogo comune:
•
tema
è la materia trattata da un’opera letteraria, ad es. una storia d’amore contrastato, come avviene
ne I promessi sposi (1827) di Alessandro Manzoni.
•
motivo
i motivi sono le unità in cui si articola una storia, cioè gli elementi secondari che intervengono
a variarla. Pensiamo, nel caso di una storia di amore contrastato, al motivo ricorrente del
rapimento della fanciulla amata dal protagonista, o a quello degli intrighi orditi da un rivale
malvagio per allontanare l’innamorato dalla donna amata, o a quello dell’equivoco che induce
uno dei due innamorati a credere l’altro morto, ecc…
•
luogo comune
i luoghi comuni, detti anche topoi, sono immagini e situazioni stereotipe codificate dalla
tradizione che si ritrovano identiche in opere dello stesso genere. Possiamo far riferimento,
come esempio, alla natura primaverile che fa da sfondo al colloquio tra due innamorati, o al
cielo tenebroso che prelude a un'apparizione terrificante.
Sulla base di queste indicazioni possiamo inserire la novella di Girolamo e Salvestra all'interno del
tema dell'amore tragico: si tratta di quelle storie d'amore contrastato che terminano con la morte di
uno o di entrambi gli amanti, incapaci di sopravvivere senza l'amato.
Si deve però rilevare che di norma l'ostacolo alla mancata realizzazione dell'amore, in questo genere
di storie, è esterno alla volontà degli innamorati, ed è per lo più costituito dall'opposizione delle
famiglie o dall'intervento di un rivale. Nella novella di Gerolamo e Salvestra, invece, sono presenti
due ostacoli, di cui il primo rientra nella tradizione (l'opposizione della madre, in considerazione
della differenza sociale tra i due giovani), mentre il secondo è interno alla coppia: Salvestra non
ama più Girolamo e considera anzi il loro amore adolescenziale come sconveniente. Ed è proprio
questo secondo ostacolo a determinare l'esito tragico della storia, con la morte dei due amanti.
Nella novella di Gerolamo e Salvestra possiamo individuare i seguenti motivi:
-
l'opposizione dei genitori (in questo caso della madre di Girolamo) all'amore tra i due giovani;
l'allontanamento dell'innamorato dalla sua donna (il viaggio di Girolamo a Parigi);
l'ingresso furtivo dell'innamorato nella casa dell'amata;
la morte istantanea per amore dell'innamorato;
il lamento dell'innamorata sul corpo dell'amante morto;
-
la morte volontaria, sul corpo dell'innamorato, dell'amata rimasta sola;
la sepoltura dei due amanti nella stessa tomba.
Come luoghi comuni narrativi possiamo riconoscere:
-
l'età dei due innamorati (all'inizio della storia Girolamo e Salvestra sono adolescenti);
il dolore di tutti coloro che vengono a conoscenza della tragica storia dei due innamorati.
ESERCIZI
Alla luce di quanto si è detto, ti chiediamo di riconoscere in alcuni passi narrativi che ti proponiamo
(in poesia e in prosa), tutti antecedenti alla composizione del Decameron, i motivi e i luoghi
comuni presenti nella novella di Girolamo e Salvestra, individuandone le analogie e le differenze.
1.
La fonte principale alla quale attingono poeti e narratori del Medioevo è un’opera in versi del
poeta latino Ovidio (43 a. C. - 18 d. C) intitolata Le metamorfosi (Le mutazioni). Oggetto del
poema sono le mutazioni miracolose intervenute su uomini e cose per opera divina o per magia,
come, ad esempio, la trasformazione in alloro della ninfa Dafne per intervento della dea Diana,
invocata dalla fanciulla perché la sottraesse all’abbraccio del dio Apollo che la inseguiva.
La storia che presentiamo, quella di Piramo e Tisbe, fa parte di una serie di racconti inseriti
all’interno del poema e narrati dalle figlie del re Orcomeno (antica città greca), per trascorrere
piacevolmente il tempo mentre rimanevano chiuse in casa, in quanto avevano rifiutato di
partecipare alle feste in onore del dio Bacco (il dio poi le punirà trasformandole in pipistrelli). Le
fanciulle filano la lana e siedono al telaio, distraendosi con le storie che si narrano a vicenda. Si
tratta quindi di un racconto inserito in una cornice, secondo una formula presente in diverse
tradizioni letterarie..
A giustificare l’inserimento di questa vicenda nel poema interviene la trasformazione prodigiosa
dei frutti del gelso da bianchi in vermigli, a ricordo del sangue di Piramo schizzato su di essi.
Piramo e Tisbe
Piramo e Tisbe - bellissimo fra i giovani il primo; prescelta (1), l'altra, su tutte le fanciulle che ebbe
l'Oriente - abitavano case contigue, là dove narrano che Semiramide cinse con mura di cotto la città
superba (2). La vicinanza fu causa del conoscersi e dei primi approcci; col tempo crebbe l'amore.
In giuste nozze si sarebbero uniti, ma lo impedirono i padri; tuttavia entrambi, in pari modo, avvinti
nell'anima ardevano: questo i padri non poterono impedire. Nessuno è a parte del loro segreto; con
cenni, con segnali si intendono, e quanto più si nasconde, tanto più il fuoco d'amore divampa.
C'era il breve pertugio (3) di una fessura, prodottasi un tempo, allorché si costruiva, nella
parete comune alle due case. Da nessuno notato nel lungo corso dei tempi, questo difetto voi per
primi, o amanti, vedeste - di che non s'accorge amore? - e ne faceste tramite di colloqui: con
impercettibile mormorio, senza sospetto, colà, giorno dopo giorno, filtravano carezzevoli voci. E
spesso, quando da una parte si era posta Tisbe, dall'altra Piramo, e l'ansia del sospiro era stata
vicendevolmente udita: "Parete invidiosa (4)" essi dicevano "perché ti opponi a coloro che si
amano? Quanto ti costerebbe, se tu ci lasciassi congiungere con tutto il corpo, oppure, se questo ti
par troppo, aprirti quel tanto perché ci dessimo baci? Ma non siamo ingrati: confessiamo di dovere
a te, se alle parole è stato concesso un varco alle orecchie degli amanti!".
Dopo aver detto tali parole invano, perché disgiunti, sul far della notte si dissero addio, e ciascuno
diede alla sua parte di parete quei baci destinati a non incontrarsi.
L'aurora dell'indomani aveva rimosso le notturne stelle e il sole coi raggi aveva asciugato l'erbe
dalla brina, ed essi si unirono nel solito convegno. Allora, con breve bisbiglio, dopo aver fatto non
poco lamento, decidono, quando la notte è silenziosa, di cercar di eludere la sorveglianza, di
oltrepassare la porta e, una volta usciti dalle lor case, di abbandonare anche le mura della città; e per
non smarrirsi vagando nella vasta pianura, di ritrovarsi presso il sepolcro di Nino (5) nascosti fra
l'ombra di un albero. C'era colà un albero, feracissimo di candidi frutti, un alto gelso, contiguo a una
gelida fonte. L'accordo è fatto: la diurna luce, che dava l'impressione di declinare lenta, si nasconde
nelle onde del mare e dalle medesime onde nasce la notte.
Cauta, al buio, aprendo un battente, esce di casa Tisbe, elude i suoi e col viso velato giunge al
monumento e si pone a sedere sotto l'albero convenuto: amore le ispirava coraggio. Ma ecco che
una leonessa, con le schiumanti fauci insanguinate per la strage di un armento, giunge per
estinguere la sete nell'acqua della prossima fonte. E quando, ai raggi della luna, la babilonese Tisbe
la scorse da lontano, con passo tremante si rifugiò in un antro oscuro, e nel fuggire le cadde dalle
spalle il velo, che essa abbandonò lungo la strada. La leonessa feroce, dopo aver placato la sete con
abbondante acqua, nel rintanarsi entro la selva, trovò per caso il lieve velo senza la fanciulla e lo
lacerò con la bocca ancor sporca di sangue.
Uscito più tardi, Piramo scorse sulla sabbia folta le orme distinte della fiera: si coperse di
pallore; ma come anche vide quel cencio insozzato di sangue: "Un'unica notte" egli disse "ucciderà
due amanti: ma di noi due, lei sarebbe stata degnissima di lunga vita, mentre la mia esistenza è
colpevole; io ti ho uccisa, o mia poveretta, io ti ho imposto di venire, di notte, in luoghi pieni di
paure, e qui non sono venuto io per primo. O leoni, quanti avete tane sotto questa rupe, lacerate il
mio corpo, con orrendi morsi straziate le mie viscere maledette! Ma è proprio di un uomo vile il
desiderio di essere ucciso".
Raccoglie il velo di Tisbe, seco lo porta sotto l'ombre dell'albero del convegno, e quando a quel ben
noto indumento offerse lagrime, offerse baci: "Ora" egli disse "ricevi il tributo anche del mio
sangue". E si immerse nel ventre il pugnale che recava appeso al fianco: senza indugiare estrasse
morendo la lama dalla bruciante ferita e giacque resupino in terra. In alto il sangue zampilla, così
come quando un condotto dal piombo difettoso si incrina e dal piccolo foro con sibilo spinge
all'infuori lunghi getti d'acqua, che nell'impeto sferzano l'aria. Irrorati di sangue, i frutti dell'albero
prendono un cupo colore e la radice, intrisa di sangue, colora di vermiglio le pendenti more.
Ed ecco, non ancor placata la paura, per non deludere l'amante, essa ritorna; con gli occhi e
l'ansia in cuore cerca il giovane ed è impaziente di raccontargli quanti pericoli abbia evitato; ma
come riconosce il luogo e la forma della pianta consueta, così la rende dubbiosa il colore dei frutti.
Esita, se essa sia quella. E mentre è nell'incertezza, scorge un corpo che si dibatte sopra il suolo
insanguinato; arretra; col viso più pallido del bosso (6), rabbrividisce come una distesa di mare, che
s'increspa quando in superficie è mossa da lieve brezza.
Ma poi che, cessato l'indugio, riconobbe l'amor suo, con risonanti percosse colpì le tenere
membra, lacerò le chiome, abbracciò l'amato corpo, colmò di lacrime la ferita, al sangue unì il
pianto e premendo baci sul volto freddo: "O Piramo" gridò " qual mai caso ti ha strappato a me? O
Piramo, rispondi! Tisbe tua amatissima ti chiama: odimi e alza lo sguardo smarrito!" Al nome di
Tisbe, Piramo levò gli occhi appesantiti dalla morte: e dopo averla vista li richiuse.
Quand'ella scorse la propria veste e il fodero eburneo (7) privo del pugnale: "La mano tua" ella
disse " il tuo amore ti hanno perduto, o infelice! Ma anch'io ho una mano ferma; anche in me è
amore: esso mi darà forza nel ferirmi. Te morto io seguirò: mi ricorderanno come infelicissima
causa e compagna della tua morte; e tu che solo dalla morte, ahimé!, potevi essermi strappato, ora
non potrai essermi strappato neppure dalla morte. Tuttavia, con le parole di entrambi, di questo
siate pregati, tu, padre mio, e tu, padre di lui, genitori infelicissimi: non opponetevi che in un solo
sepolcro siano riposti coloro che da un amore indubitabile e dall'ora estrema furono congiunti. E tu,
albero, che adesso con la tua fronde ricopri il corpo straziato di uno solo, e che tra poco ricoprirai
quelli d'entrambi, conserva i segni della fine crudele; mantieni sempre i tuoi frutti di colore cupo e
confacenti a pensieri di morte, quale memoria del sangue d'entrambi".
Disse; e rivolta la punta all'imo petto (8), si lasciò cadere sul pugnale, che ancor era tiepido di
sangue.
Ma le preghiere commossero gli dei, commossero i genitori: cupo è il colore del frutto,
quand'esso matura, e ciò che resta del rogo, trova pace in un'unica urna.
Da Le metamorfosi, a cura di E. Oddone, Bompiani, Milano
note
1. prescelta: colei che ha il primato su tutte le altre; in questo caso, la più bella.
2. là dove…superba: a Babilonia, antica città della Mesopotamia, dove regnò la regina
Semiramide (IX secolo a. C). divenuta protagonista, per la sua crudeltà e lussuria, di molti
racconti leggendari. La tradizione le attribuisce la costruzione dei giardini pensili e delle mura
di Babilonia; queste mura, come tutti gli edifici della città, erano costruite con mattoni cotti
soltanto al sole (mura di cotto), perché Babilonia si trovava in una regione pianeggiante dove
mancava la pietra da costruzione.
3. pertugio: stretto foro.
4. invidiosa: che ostacola la gioia altrui. La parete viene personificata, secondo un topos comune
della poesia erotica.
5. Nino: il defunto marito della regina Semiramide.
6. bosso: arboscello sempreverde, il cui legno ha un colore giallognolo molto chiaro.
7. eburneo: d'avorio.
8. all'imo petto: nel più profondo del petto
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Individua nella storia di Piramo e Tisbe i motivi comuni con la vicenda di Girolamo e Salvestra.
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Nella storia di Piramo e Tisbe sono riconoscibili alcuni motivi non presenti in quella di
Girolamo e Salvestra. Individuali.
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Nella descrizione dei due protagonisti, Ovidio inserisce precisi luoghi comuni: quali sono?
2.
Il motivo della morte improvvisa per amore è presente in molte opere appartenenti alla narrativa
romanzesca medievale. Ne abbiamo un esempio nel Roman de Tristan, un insieme di trame
narrative presenti in più opere letterarie medievali. La trattazioni più celebri (anche se giunte a noi
frammentarie) sono i romanzi in versi di Thomas (circa 1170) e di Béroul (circa 1200).
Ecco come termina la storia d’amore di Tristano e Isotta: “... Tristano [ferito a morte in un
combattimento] si rivolse verso il muro e disse: “Io non posso rattener più oltre la vita”. Disse tre
volte: “Isotta, amica!” Alla quarta, rese l’anima...
Isotta si volse verso l’oriente e pregò Dio. Poi scoprì alquanto il suo corpo, si distese verso di lui,
lungo il suo amico, gli baciò la bocca e la faccia, e lo serrò strettamente: corpo contro corpo, bocca
contro bocca, ella rende così la sua anima, ella muore presso di lui per il dolore del suo amico.
Quando il re Marco apprese la morte dei due amanti, passò il mare e, venuto in Bretagna, fece
lavorar due bare, una di calcedonio per Isotta, l’altra di berillo per Tristano. Egli portò sulla sua
nave verso Tintoille i loro cari corpi. Presso una cappella, a sinistra e a destra dell’abside, li seppellì
in due tombe. Ma, durante la notte, dal sepolcro di Tristano germogliò un rovo verde e fronzuto, dai
forti rami, dai fiori odoranti, che, innalzandosi sopra la cappella, s’insinuò nel sepolcro di Isotta. La
gente del paese tagliò il rovo: il dì appresso esso rinacque, altrettanto verde, altrettanto fiorito,
altrettanto vivace e di nuovo s’immerse nel letto di Isotta la Bionda. Tre volte vollero distruggerlo;
invano. Infine, essi riferirono il prodigio a re Marco: il re vietò di tagliare il rovo.”
da J. Bédier, Il romanzo di Tristano e Isotta, Editori Associati, Milano
# Quale variante al motivo della morte improvvisa per amore viene introdotta dal Boccaccio nella
novella di Girolamo e Salvestra?
# Nel romanzo di Tristano e Isotta il motivo della sepoltura comune ai due amanti ha una
singolare variante. Di che cosa si tratta?
3.
Ti proponiamo un passo tratto da un racconto cortese della metà del sec. XIII, la Castellana di
Vergy, molto conosciuto nel Trecento anche in Italia .
E' la conclusione della storia: la protagonista, scoperto il tradimento dell'uomo da lei amato, decide
di morire.
"E, ora che ho perduto lui,
non resisto più, dopo un tal dolore;
non posso infatti né voglio vivere
senza colui per cui mi dispero,
e la vita mi fa orrore;
prego dunque Dio di darmi la morte
e di aver pietà dell'anima mia,
com'è vero
che ho amato lealmente
colui che è causa di questo male;
e di essere benevolo con colui
che a torto mi ha tradito
e spinto alla morte. Io gli perdono.
E la morte mi è dolce, davvero,
perché viene da lui;
e quando ricordo il suo amore,
non mi è grave morire per lui".
Allora tace la castellana,
aggiunge solo un sospiro:
"Dolce amico, a Dio vi raccomando".
Così dicendo si stringe le braccia al petto,
il cuore le manca, il viso si scolora,
soffrendo vien meno,
e giace pallida e esangue
in mezzo al letto, senza vita.
da La castellana di Vergy, a cura di G. Angeli, Salerno Editrice, Roma
# In questo passo la protagonista enuncia con chiarezza i motivi che la inducono a morire. Quali
sono?
# Quali elementi comuni, nella descrizione degli ultimi attimi di vita dell'amante deciso a morire,
rilevi tra questo passo e gli altri che hai letto?