introduzione - Etnosemiotica.it

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INTRODUZIONE∗
Gianfranco Marrone
1. Analisi testuale e teoria semiotica
Maupassant non è un libro su Maupassant. Basta scorrerne le pagine per rendersene subito conto:
intorno a un solo piccolo racconto dello scrittore francese (Deux amis) ecco una fitta serie di esercizi semio‐
tici, il cui numero e la cui puntigliosità subissano qualsiasi discorso sull'autore del testo e sul suo mondo,
rendendo vano un passaggio immediato dall'analisi testuale propriamente detta alla ricostruzione conte‐
stuale che potrebbe conseguirne.
Meno evidente è il fatto che questo libro ‐ tra i più importanti ma non tra i più letti di Algirdas J.
Greimas1 ‐ non è neppure, in senso stretto, un'analisi semiotica di Due amici. Se pure tutto il volume verte
su questa celebre novella della guerra franco‐prussiana, esso non si preoccupa di ricostruirne la struttura,
di rimontare i pezzi dell'analisi microtestuale in vista di una possibile riconfigurazione macrotestuale e ‐
meno che mai ‐ di un'interpretazione critica del testo2.
Maupassant, allora, è un libro di analisi semiotica che è nello stesso tempo sull'analisi semiotica, lad‐
dove l'analisi non è il momento applicativo di un metodo elaborato in precedenza, ma indica la direzione di
una teoria a venire. L'analisi, in altre parole, non è fine a se stessa, né tantomeno serve a esibire le derive
intellettuali di un ermeneuta più o meno mascherato. Essa mira semmai alla teoria generale del senso e
della significazione: mettendo ‐ come si dice ‐ il senso in condizioni di significare, essa dà luogo a nuove ipo‐
tesi teoriche e metodologiche, tracciando la strada per una loro parziale verifica3.
Nella prima pagina di questo libro Greimas propone un paragone destinato a restare celebre. Come
l'etnologo, di fronte alle culture altre, è portato a mettere in discussione se stesso e le proprie categorie in‐
terpretative, allo stesso modo il semiologo, di fronte al testo, deve saper abbandonare i propri sguardi ste‐
reotipi in nome di più efficaci strumenti di descrizione e di comprensione. Il testo è il "selvaggio" del semio‐
logo: le resistenze che esso gli oppone si trasformano in stimoli per la ricerca ulteriore.
Volendo indicare l'importanza teorica di questo libro, non basta allora presentarne gli intenti e gli esi‐
ti, del resto perfettamente esplicitati dall'autore. È necessario piuttosto situarlo nei contesti entro cui è sta‐
to pensato e scritto: l'opera semiotica di Greimas innanzitutto, ma anche la narratologia degli anni Sessanta
e Settanta, e infine la teoria e la critica letterarie. Solo passando da questi diversi ambiti di ricerca, con ov‐
vie e frequenti tangenze tra loro, sarà possibile ripensare Maupassant alla luce degli studi semiotici più re‐
centi.
2. Verso la narratività
Maupassant può essere inteso come un momento topico nell'opera di Greimas; una soglia tra due
periodi molto diversi della ricerca semiotica: da un lato le istanze paradigmatiche del primo strutturalismo,
preoccupato di ricostruire gli stati di equilibrio dei sistemi semiotici e, in definitiva, culturali; da un altro lato
le istanze sintagmatiche di uno strutturalismo maggiormente dinamico, interessato invece ai modi in cui
questi sistemi tendono a trasformarsi, agli agenti che tendono a manipolarli, alle condizioni intersoggettive
della loro praticabilità4.
In Sémantique structurale [1966] Greimas riprende il progetto abbozzato da Hjelmslev [1943] di u‐
n'analisi del piano del contenuto delle lingue condotta con gli stessi metodi dell'analisi del loro piano dell'e‐
spressione. Così come in fonologia i fonemi vengono considerati unità complesse riducibili a un piccolo nu‐
mero di tratti distintivi, allo stesso modo può essere possibile ‐ pensa Greimas ‐ una semantica dove gli ef‐
fetti di senso delle lingue (o sememi) siano scomponibili in un certo numero di semi. Solo che, laddove Tru‐
beckoj, Jakobson e Halle sono riusciti a ritrovare un piccolo numero di tratti fonologici elementari a partire
da cui riesce possibile produrre, per combinazione e generazione, qualsiasi significante linguistico, un lavo‐
∗
In Greimas Algirdas Julien, Maupassant. Esercizi di semiotica del testo,Torino: Centro Scientifico Editore, 1995,
pp. XIII‐XXX.
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ro analogo sul piano del contenuto ‐ soprattutto se esteso dall'ambito delle lingue verbali a quello di qual‐
siasi sistema di significazione ‐ non può portare all'individuazione di un numero altrettanto piccolo e preor‐
dinato di tratti; o meglio, può farlo solo all'interno di universi semantici chiusi e preferibilmente molto ri‐
stretti.
Il problema allora si sposta: se da un lato si tratta di individuare tassonomie più o meno coerenti che
rendano conto dei generi e delle specie dei microuniversi semantici (siano esse ritrovate bell'e pronte nelle
varie culture o ricostruite dallo studioso), da un altro lato diviene necessario chiedersi se non possa essere
individuata una struttura che accomuni, dal punto di vista delle loro articolazioni formali interne, tutti i pos‐
sibili microuniversi. In altre parole, occorre interrogarsi sulla possibilità di reperire, al di sotto delle cate‐
gorie semantiche date, un livello profondo a partire da cui esse vengono generate.
Così, al momento di passare dai problemi teorici generali ai metodi di descrizione degli universi se‐
mantici, sempre in Semantica strutturale Greimas sposta lo sguardo dalla combinazione di elementi sempli‐
ci all'individuazione di percorsi complessi entro i quali la significazione si articola e si dispiega. Lo studioso di
semantica finisce così per incontrare (con Guiraud, Tesnière, Bachelard, Souriau, Mauron e tanti altri) la
Morfologia della fiaba di Vladimir Propp [ 1928], testo sul quale già Claude Lévi‐Strauss [1960] aveva ri‐
chiamato l'attenzione degli studiosi occidentali. Lavorando sulla tipologia delle sfere d'azione e sulla stringa
di funzioni narrative individuate dal folklorista russo, Greimas concepisce poco a poco l'ipotesi che gli even‐
tuali universali semantici debbano essere cercati, non tanto in elementi minimi da combinare tra loro,
quanto in strutture transfrastiche molto ampie, in qualcosa che, collocandosi a livello immanente, deve in
qualchemodo reggere la manifestazione di ogni discorso. «La generazione della significazione ‐ scrive Grei‐
mas [1970: 169 tr.it.] in Du sens ‐ non passa affatto, inizialmente, attraverso la produzione degli enunciati e
la loro combinazione in discorsi; essa è retta, nel proprio percorso, dalle strutture narrative, e sono queste
che producono il discorso articolato in enunciati».
Da qui la costruzione di una vera e propria grammatica narrativa che ‐ appoggiandosi su un modello
costituzionale delle costrizioni semiotiche, ossia su alcune strutture elementari della significazione (le rela‐
zioni di contrarietà, contraddizione e complementarità articolate nel celebre quadrato semiotico) ‐ trasfor‐
ma l'iniziale progetto semantico in una più ampia ricerca semiotica. All'interno di una teoria della significa‐
zione così concepita, la narratività non è più soltanto il modello generale a partire da cui si articolano i rac‐
conti, come ritiene la narratologia corrente, ma un'ipotesi interpretativa che permette di spiegare qualsiasi
fenomeno semiotico, ossia qualsiasi dato culturale, sia narrativo sia non narrativo.
Così, è bene tenere distinte due accezioni diverse del termine racconto: una cosa è il racconto nel
senso folklorico o letterario, sorta di genere discorsivo determinato e cangiante nel tempo e nello spazio,
altra cosa è il racconto nel senso delle strutture narrative antropomorfe, livello intermedio nella generazio‐
ne della significazione su cui si fondano i sistemi di senso e la variabilità dei discorsi. Si tratta di due feno‐
meni assai differenti, non foss'altro perché collocabili in due diversi livelli di immanenza della significazione.
Se da un punto di vista teorico è bene non confondere questi due diversi significati del racconto, da
un punto di vista delle procedure empiriche della ricerca appare però opportuno ‐ ritiene Greimas ‐ appro‐
fondire lo studio dei racconti nel senso tradizionale del termine: soltanto osservando i modi di funziona‐
mento dei racconti cosiddetti figurativi, ossia dei racconti propriamente detti, riesce, infatti, possibile, pro‐
cedendo per progressive generalizzazioni, giungere alla costruzione di una sintassi narrativa generale; di
una teoria, cioè, in grado di spiegare, non solo i racconti figurativi, ma qualsiasi tipo di discorso. È per que‐
ste ragioni che i destini della teoria semiotica si incrociano con quelli della ricerca narratologica.
3. La narratologia
Negli stessi anni in cui Greimas pone le basi della sua teoria semiotica, un certo numero di studiosi
europei lavora intorno alla cosiddetta analisi strutturale del racconto. A partire dalla morfologia della fiaba
di Propp e dalle analisi dei miti di Lévi‐Strauss (ma in realtà sullo sfondo della Poetica aristotelica), l'idea è
quella di reperire una sorta di Modello Narrativo a partire dal quale rendere intelligibile ogni tipo di raccon‐
to, sia esso un prodotto folklorico, una cronaca d'avvenimenti, un resoconto storiografico, un testo d'inven‐
zione letteraria, una narrazione teatrale o cinematografica e così via. Questo Modello, ipotizzato come uni‐
versale, non è da intendere però come una sorta di racconto originario, una specie di prima storia narrata e
poi eternamente ripresa, ma come il prodotto di una costruzione da laboratorio, una semplice struttura a‐
stratta, del tutto formale, riempibile di infiniti, possibili contenuti.
Un celebre fascicolo monografico della rivista Communications [AA.VV. 1966], nel quale compaiono
saggi di autori come Roland Barthes, Claude Bremond, Umberto Eco, Christian Metz, Tzvetan Todorov, Gé‐
rard Genette e lo stesso Greimas, viene appunto dedicato all'analisi strutturale dei racconti, e finisce per
assumere il ruolo di manifesto programmatico di una corrente di studi, se non di una vera e propria disci‐
plina, nella quale si eserciterà di lì a poco un gran numero di studiosi di tutto il mondo. Sebbene tutti gli au‐
tori presenti nella rivista accettino l'ipotesi aristotelica secondo la quale il racconto non è la rappresenta‐
zione di un carattere ma una serie ordinata e coerente di avvenimenti, in effetti, a seconda del tipo di nar‐
razione preso in considerazione da ogni studioso, i modelli teorici divergono. La formula proppiana della fa‐
vola come stringa monotipica di un piccolo numero di funzioni (o azioni necessarie per lo svolgimento della
vicenda) viene trasformata, per esempio, da Bremond in quella di una serie preordinata di possibili scelte
logiche e di loro relative conseguenze. E mentre Eco, analizzando i romanzi paraletterari di Fleming, propo‐
ne il modello della partita di scacchi, Genette, discutendo l'antica opposizione fra mimesi e diegesi, intende
il racconto come l'organizzazione letteraria di una successione di eventi.
E sarà soprattutto l'inevitabile iato tra racconti folklorici e paraletterari da un lato e racconti letterari
dall'altro a provocare le più profonde distinzioni interne agli studi narratologici. Riprendendo l'idea e la
terminologia di Genette [1972, 1983], potremmo dire che, da una parte, si formerà una narratologia del si‐
gnificato, attenta alla logica immanente della narrazione, a quella che i formalisti russi chiamavano fabula;
da un'altra parte si svilupperà una narratologia del significante, interessata invece al modo in cui gli eventi
narrati vengono articolati all'interno dei singoli racconti, a quello cioè che gli stessi formalisti chiamavano
intreccio. Studiosi come Propp, Lévi‐Strauss, Bremond, Eco, Greimas ‐ considerando corpus fiabeschi, mi‐
tologici o mass‐mediali ‐ operano soprattutto sul primo versante. Autori come Barthes, Genette e Todorov,
studiando testi letterari, lavorano invece più che altro sul secondo.
Ma la consapevolezza della grossa differenza fra racconti etnologici e racconti letterari porta a un
impegno sempre maggiore dei narratologi, che si trovano costretti ad approfondire la ricerca e a rendere
più complessi i loro modelli teorici e metodologici. Gli anni Settanta sono un decennio di grande importanza
per la narratologia: vengono pubblicati testi ancora oggi considerati punti di riferimento in questo campo di
studi; tutte opere che si preoccupano di mostrare se e in che modo sia possibile estendere i modelli narra‐
tologici (elaborati a partire da racconti relativamente semplici) a narrazioni sempre più complesse quali so‐
no quelle letterarie.
Nel 1970 Barthes pubblica S/Z, un volume interamente dedicato all'analisi di una novella di Balzac (Sarra‐
sine), dove l'analisi strutturale viene considerata fortemente riduttiva, se non addirittura deformante,
quando viene applicata a opere letterarie estremamente elaborate sia dal punto vista del significante sia da
quello del significato. È il momento empirico e desiderante della lettura, secondo Barthes, che occorre in‐
vece usare come modello di un'analisi testuale che voglia valorizzare le "piccole vene del senso", che sap‐
pia cogliere il simbolico connesso al narrativo.
Nel 1972 esce Figures III di Genette, dove viene proposta una generale risistemazione delle tradi‐
zionali categorie della teoria letteraria (il tempo, la rappresentazione, il punto di vista, il narratore etc.) in
chiave strutturale e linguistica. Anche in questo libro l'opera letteraria di riferimento è una sola ‐ A la re‐
cherche du temps perdu di Proust ‐, dalla quale però, non foss' altro che per la sua mole e la sua complessi‐
tà, Genette trae soltanto un certo numero di esempi per la costruzione di una tipologia coerente dei " pos‐
sibili" del racconto, ossia delle tecniche volta per volta usate in letteratura per la costruzione degli intrecci
narrativi.
In quegli stessi anni ‐ per limitarci al nostro paese5 ‐ diversi studiosi italiani intervengono nel dibattito
con volumi esemplari: Le strutture e il tempo di Cesare Segre [1974], Principi della comunicazione letteraria
di Maria Corti [1975], Lector in fabula di Eco [1979]6. Laddove i primi due propongono originali sistematizza‐
zioni dell'ormai intricata materia narratologica alla luce delle esperienze filologiche e critiche dei rispettivi
autori, il volume di Eco si riallaccia più direttamente agli esempi francesi appena ricordati: la teoria narrati‐
va viene infatti prospettata a partire dall'analisi semiotica di un solo racconto letterario, Un drame bien pa‐
risien di Alphonse Allais. Lector in fabula delinea dunque la proposta di una teoria della cooperazione inter‐
pretativa nei testi narrativi sullo sfondo di questo breve ma ambiguo testo di Allais, dove le difficoltà nella
lettura del racconto portano a un continuo approfondimento della teoria e dove, a sua volta, la teoria si
equipaggia di un metodo per l'analisi di quello come di altri racconti7
4. Racconto e discorso
Risulterà più chiara, all'interno di questo breve quadro storiografico, l'apparizione nel 1976 del Mau‐
passant di Greimas, punto d'incrocio fra alcune questioni specifiche della teoria semiotica e alcune tenden‐
ze proprie agli studi narratologici, ma anche luogo specifico in cui molte tematiche eminentemente lettera‐
rie vengono affrontate in modo nuovo. Con questo libro Greimas, da un lato, porta avanti la ricerca sulla
narratività come livello immanente di significazione e, dall'altro lato, fa mostra della propria competenza
analitica nel delicato volgersi dello sguardo narratologico dal folklore alla letteratura. Voler condurre i pro‐
pri esercizi d'analisi su un solo racconto significa pertanto, non solo mimare i gesti teorici di altri studiosi del
racconto come Barthes e Genette, ma soprattutto misurare la vocazione empirica della semiotica su un
campo intricato e sfuggente qual è quello della letteratura.
Così, il primo fondamentale passo compiuto dal Maupassant è senz'altro quello di superare la divari‐
cazione tra una narratologia del significante e‐una narratologia del significato. Fabula e intreccio non sono
visti da Greimas, alla maniera di Genette, come i due lati del segno, analizzabili e descrivibili in modo auto‐
nomo l'uno dall'altro. Essi sono invece intesi, all'interno di una semiotica di orientamento generativo, come
due diversi livelli di articolazione del senso: quello delle strutture narrative, collocate come già sappiamo in
profondità, e quello delle strutture discorsive, situate invece più in superficie. Coniugando Propp e Bre‐
mond con Genette e Todorov, nel Maupassant lo studio delle funzioni, degli attanti e dei ruoli narrativi
tende a incrociarsi con quello del tempo, del punto di vista e del narratore: laddove il primo ricostruisce
l'armatura immanente dell'intero racconto, il secondo rende conto invece delle divisioni del testo in se‐
quenze e segmenti. Fabula e intreccio ‐ ripensate sulla scia di Benveniste [ 1966] come racconto e discorso ‐
stanno dunque in un regime di interdefinizione e vengono analizzati con un unico sguardo semiotico.
In tal modo, la distinzione tra folklore e letteratura non si configura più come una separazione nor‐
mativa tra due forme d'arte, o come una differenza tra un genere narrativo relativamente elementare e un
altro relativamente complesso. Essa viene pensata semmai ‐ alla maniera di Jakobson e Bogatyrev [1929] ‐
come una dialettica tra langue e parole, tra ripetizione e innovazione, dove anche la parole riceve adeguata
attenzione, dove cioè la variazione viene spiegata sullo sfondo di un'invarianza soggiacente.
5. Enunciazione e cognizione
Si collocano qui le due fondamentali "scoperte" teoriche del Maupassant, quelle su cui si insiste
maggiormente nel corso del libro: (i) la sovrapposizione di una dimensione eminentemente cognitiva alla
dimensione più propriamente pragmatica della narrazione, (ii) il ruolo costitutivo dei meccanismi dell'enun‐
ciazione nella costruzione del discorso. Il luogo del letterario, o per meglio dire lo specifico di quel discorso
che a livello di connotazioni sociali viene inteso come "letterarietà" si ritrova ‐ sembra dire Greimas ‐ so‐
prattutto in questi due fenomeni semiotici essenziali, che le numerose teorie narratologiche o poetiche
strutturali tendono troppo spesso a trascurare. Vediamoli brevemente.
(i) Sulla base dei risultati ottenuti nelle analisi condotte prima del Maupassant, Greimas aveva defini‐
to il racconto come un processo orientato di trasformazione di uno o più soggetti intorno a uno o più ogget‐
ti di valore. Le trasformazioni narrative si configurano ‐ a livello del racconto ‐ come operazioni di congiun‐
zione o disgiunzione di oggetti da soggetti mediante una sintassi che regola un ristretto numero di elementi
(detti attanti) e ‐ a livello del discorso ‐ come serie di azioni eseguite dai personaggi della storia (o attori).
L'esame di un testo complesso qual è Due amici porta però il semiologo a considerare un altro tipo di tra‐
sformazione narrativa, che non è legata ad azioni effettivamente compiute dai personaggi della storia, e
che pure si rivela decisiva per la strutturazione e la comprensione del racconto. Si tratta di quelle trasfor‐
mazioni, per così dire, interiori, impalpabili e soprattutto invisibili, eppure ben presenti nell'economia della
vicenda: esse riguardano il sapere che i personaggi hanno su se stessi, sul mondo che li circonda e sugli altri
personaggi, sapere che nel corso della storia tende ovviamente a cambiare, a crescere o a rivelarsi fallace, a
mutare direzione e senso, anche sulla base di altre modalità d'azione: il dovere, il volere, il potere. Se dun‐
que ‐ volendo grossolanamente schematizzare ‐ nei racconti folklorici l'accento narrativo è posto più che
altro sul momento della cosiddetta performanza, ossia su ciò che gli attori materialmente fanno, nei rac‐
conti letterari viene in primo piano un momento precedente della narrazione, quello della competenza, os‐
sia delle varie capacità che i personaggi hanno di agire o di non agire, a prescindere dal fatto che agiscano o
non agiscano8.
(ii) Accade però che in un testo come Due amici, composto all'interno di una poetica letteraria che
vuole descrivere fatti più che sentimenti (il cosiddetto "realismo"), l'interiorità dei personaggi non venga
resa in modo diretto, non venga rappresentata o esplicitamente detta da un narratore in qualche modo
coinvolto nella vicenda narrata. Essa viene invece, per così dire, allusa, veicolata in modo indiretto all'inter‐
no di un discorso apparentemente neutro, impersonale, oggettivo. Sviscerare la dimensione cognitiva in
questo particolare racconto, ricostruirne percorsi ed esiti, implica che il semiologo prenda in considerazione
quel fenomeno che Benveniste [1974] chiamava l'istanza dell'enunciazione linguistica9. Se molto spesso nel
testo folklorico la narrazione viene assunta da un soggetto che partecipa alle vicende e condivide i valori
dell'eroe, se cioè in esso enunciazione ed enunciato tendono a conformarsi, nel testo letterario le relazioni
tra chi parla e ciò di cui si parla sono molto più complesse. E grazie a questa complessità si producono ap‐
punto quegli effetti di senso che rendono il discorso più o meno oggettivo rispetto a ciò di cui narra.
Nel Maupassant Greimas insiste molto su questi meccanismi discorsivi che, nascondendo l'enuncia‐
tore dietro l'enunciato, danno luogo nello stesso tempo a un effetto di reale (appunto, il realismo) e a una
circolazione del sapere (appunto, l'interiorità). Ed è soprattutto in momenti del testo apparentemente neu‐
tri, le descrizioni, che l'enunciatore fa passare la sua parola e il suo sapere, ma soprattutto veicola il sapere
e i moti dell'animo dei personaggi che pure sembra considerare dall'esterno. Il paesaggio diviene il luogo
letterario che l'enunciatore carica di maggiori responsabilità semantiche, affidando a esso i valori in gioco e
l'intera dimensione cognitiva del racconto 10. Il narratore realista ‐ osserva così Greimas ‐ finisce per utilizza‐
re meccanismi letterari tipici del poeta simbolista: risemantizza il mondo, lo carica di tensioni e di passioni,
lo rappresenta come un immenso organismo i cui elementi fondamentali (aria, acqua, terra, fuoco) dettano
all'uomo i suoi imprescindibili destini. La novella di Maupassant, finisce per affermare Greimas, si avvicina
per questa via alla parabola evangelica.
Lavorando su problemi specificamente semiotici e narratologici, Greimas si trova così a proporre una
sua interpretazione dell'annoso problema letterario del realismo e, soprattutto, dell'eterna questione dei
generi. Il racconto realista non è, a suo avviso, il prodotto più o meno riuscito di una poetica e di un'ideolo‐
gia date in anticipo, ma l'esito di una specifica maniera ra di strutturare il discorso. Il reale è un effetto di
testo, come già sapeva Barthes [1968], ma è soprattutto un effetto di discorso, conseguenza delle strategie
enunciative che il discorso installa nel testo11. In questo senso, il racconto non riconfigura soltanto il mon‐
do da cui prende le mosse, come pensa Ricoeur [1983], ma ridefinisce anche il genere entro il quale esso è
stato pensato e composto. Il testo, per così dire, degenera il genere letterario a cui appartiene, per riconfi‐
gurarlo come un nuovo tipo di discorso, un discorso a partire da cui, probabilmente, altri testi verranno
composti 12. Realismo e simbolismo, da questo punto di vista, non sono più le banali etichette che lo storico
della letteratura usa per far ordine nel suo materiale di studio, ma i risultati concreti di quelle strutture di
significazione che il semiologo riesce a ricostruire.
6. Dai sistemi ai processi
Si comprende così la ragione per cui ‐ come s'è detto sopra ‐ il Maupassant svolge nell'opera di Grei‐
mas una funzione di cerniera. Da un lato questo libro, nel tentativo di saturare i percorsi di lettura della no‐
vella di Maupassant, porta alle sue estreme conseguenze l'analisi strutturale del racconto, ne esaurisce per
così dire le finalità di ricerca. Da un altro lato, proprio perché si concentra su una narrazione letteraria, os‐
sia su un testo molto più complesso delle fiabe o dei miti, lo sguardo semiotico tende a oltrepassare il piano
narrativo della significazione per investire quello discorsivo: solo luogo in cui, per esempio, la dimensione
cognitiva del testo e le strategie d'enunciazione possono trovare adeguata considerazione.
Il passaggio dal racconto al discorso si configura così, non solo come l'instaurarsi di un nuovo oggetto
d'analisi, ma come un vero e proprio cambiamento di rotta all'interno della ricerca semiotica, un cambia‐
mento che finisce per investire anche i risultati già raggiunti, per modificare cioè il modo di guardare in ge‐
nerale alla narratività. Se in un primo tempo ci si concentrava più che altro sui sistemi di significazione, tro‐
vando nella sintassi narrativa buoni modelli di funzionamento della significazione medesima, adesso si pre‐
ferisce prendere in carico i processi del senso. Si va in cerca perciò di modelli più raffinati e aperti che pos‐
sano rendere conto della dinamicità costitutiva dei fenomeni discorsivi, modelli che proprio in Maupassant
iniziano a vedere la luce 13
Oltre ai due fenomeni già menzionati della cognizione e dell'enunciazione, si pensi all'introduzione
della dimensione aspettuale nell'analisi delle strutture elementari della significazione, ossia a quella che
Greimas in questo stesso libro chiama "logica dell'approssimazione" (SQII)14. Ma si pensi anche ai complessi
calcoli delle modalità che si succedono e si intrecciano nel corso del testo, provocando successi e insuccessi
degli attori, ossia, in definitiva, vere e proprie trasformazioni di senso (p.e. SQIX)15. E si pensi, infine, a quel‐
la dimensione passionale che ‐ pur senza essere espressamente nominata e per certi versi assimilata al
"noologico" cognitivo ‐ è tuttavia costante oggetto d'attenzione dell'analisi semiotica (p.e. SQV e SQX)16.
L'amicizia ‐ evidente fulcro semantico dell'intera novella di Maupassant ‐ è infatti il fenomeno pas‐
sionale complesso che l'intero libro si preoccupa indirettamente di definire, osservandone origini e svolgi‐
mento: dal momento iniziale del "tacito" contratto a quello conclusivo della morte "in piedi", passando per
quella "gioia deliziosa" grazie alla quale Morissot e Sauvage finiscono per diventare involontari eroi di una
pace impossibile. La stupidità che ‐ come nota Greimas (sQvi1) ‐ i due piccoli francesi portano inscritta nel
loro nome è forse il segnale di una diversa, più profonda forma d'astuzia: quella di un mondo dove gli ele‐
menti naturali predispongono i destini degli uomini, dove il reale e il simbolico, la natura e la cultura, l'esse‐
re e l'apparire trovano una loro felice possibilità di conciliazione 17.
Note
1. Hanno ripreso quest'opera di Greimas, alla luce di un esame critico della narrativa e della scrittura di Mau‐
passant, tra gli altri: Bolzon [1979], Marcoin [ 1988], Buisine [1994]. Una "controlettura" del Maupassant alla luce di
una semiotica dell'interpretazione è condotta da Bottiroli [1993].
2. Anche se ‐come fa notare Paul Ricoeur [1985] nel saggio che si presenta qui come postfazione ‐ non è diffici‐
le far derivare dalle osservazioni di Greimas una nuova interpretazione del testo di Maupassant.
3. Un'utile introduzione all'analisi semiotica del testo, con esempi pratici e considerazioni teoriche, è quella del
Groupe d'Entrevernes [1979].
4. Sull' opera di Greimas, nella sua sistematicità e nelle sue trasformazioni diacroniche, cfr. Henault [1979,
1983, 19921, Coquet ed. [1982], Parret e Ruprecht eds. [19851, Arrivé e Coquet eds. [19871, Landowski [1989], Mars‐
ciani e Zinna [1991].
5. La narratologia si diffonde in quel periodo in molti altri paesi, tra cui soprattutto gli Stati Uniti (cfr. Chatman
[1978] e Prince [1982]) e la Russia (cfr. Lotman [1970]). di Sguardi generali sulla narratologia sono: Marchese [ 1983],
Segre [ 1985], Marrone [1986], Prince [19871.
6. Da ricordare inoltre, in quello stesso periodo in Italia, Modelli narratologici nella Commedia di Dante di D'Ar‐
co Silvio Avalle [1975], anch'esso vicino agli studi filologici, Tempo del senso di Gianfranco Bettetini [1979] e Pragma‐
tica della letteratura di Marcello Pagnini [1980], che in modo diverso lanciano l'ipotesi di un aggancio tra l'analisi del
racconto e la linguistica dell'enunciazione, Semiotica e antropologia di Antonino Buttitta [1979], che prosegue questo
lavoro in campo folklorico e mass‐mediale. La tradizione italiana di studi narratologici si diffonde negli anni successivi:
cfr. almeno Caprettini [1992] che, con il gruppo torinese di semiotica (Corno [1977], Ferraro [1979]), persiste nella di‐
rezione di un intreccio tra narratologia, filologia e folklore, e il recente Bonomi [1994], che lavora invece in direzione
logica e analitica. Per delle ricognizioni generali in questo campo, cfr. Caprettini e Corno eds. [1979], Mincu ed. [1982],
Caprettini [1985].
7. Occorre ricordare che, negli ultimi anni Settanta, un gruppo di studiosi riuniti intorno a Eco lavora su questo
progetto di una teoria narrativa di tipo semiotico‐pragmatico, adoperando come unico testo di riferimento Sylvie di
Gérard de Nerval (cfr. Violi ed. [1982]), testo su cui lo stesso Eco [1994] torna nelle Sei passeggiate nei boschi narrati‐
vi.
8. Per un esame della dimensione cognitiva nel racconto e nel discorso cfr. Fontanille [1987].
9. Un recente riesame della questione dell'enunciazione è Manetti [1994].
10. Per una discussione del nesso tra cognizione ed enunciazione, cfr. Fontanille [1989].
11. Sui meccanismi discorsivi dell'effetto di reale in letteratura, cfr. Bertrand [1985].
12. Su questa strategia di degenerazione del genere, cfr. l'esempio riportato in Fabbri e Marrone [1994].
13. Per una sistematizzazione, anche se in chiave dizionariale, della teoria greimasiana successiva al Maupas‐
sant, cfr. Greimas e Courtés [1979, 1986]. Una discussione in questa direzione dei problemi legati alla discorsività è
Geninasca [1990]; un'analisi testuale dove i fenomeni discorsivi emergono in primo piano è Pozzato [1993].
14. Una recente ricognizione dei problemi legati all'aspetto entro la ricerca semiotica è Marsciani [1994].
15. Sulle modalità e le trasformazioni teoriche che il loro studio ha portato all'intera teoria semiotica, cfr. Grei‐
mas [1983].
16. Sulla semiotica delle passioni, cfr. Fabbri e Pezzini eds. [ 1987], Greimas e Fontanille [1991], Pezzini ed.
[1991
17. Su queste tematiche, cfr. Greimas [1987].
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