XIX Congresso Nazionale

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XIX Congresso Nazionale
Comunicato stampa
N. 3
25 settembre 2010
Zootecnia: dignità di reddito ed innovazione
per alettare le nuove generazioni
Al XIX Congresso Nazionale della SIPAOC, diversi spunti per uno sviluppo razionale e
strategico del settore zootecnico
Pesaro. Si è concluso ieri il XIX congresso nazionale della Società Italiana di Patologia ed Allevamento degli Ovini
e dei Caprini (SIPAOC), organizzato dalla stessa SIPAOC in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale dell’Umbria e delle Marche. Grande successo sia per i contenuti emersi che si tradotti in più di 60
comunicazioni scientifiche, che per l’incontro costruttivo tra il mondo scientifico e la realtà produttiva.
Il congresso ha interessato una platea eterogenea: allevatori, veterinari da allevamento e da laboratorio, docenti
universitari. I lavori si sono sviluppati sia su un piano teorico, che un piano concreto con delle pratiche sul campo,
rispondendo così a vari livelli di competenza.
“Abbiamo bisogno di un nuovo modello di sviluppo – ha dichiarato Matteo Ricci, Presidente della Provincia di PesaroUrbino – che contrasti gli aspetti peggiori della globalizzazione: come dare lavoro agli agricoltori come poterlo
sviluppare. Vogliamo diventare una provincia leader per il benessere e la qualità di vita, per questo dobbiamo
salvaguardare la nostra produzione. Questo congresso è importante per noi, perché guarda strategicamente alle nuove
prospettive”.
Giannalberto Luzi, presidente della Coldiretti Marche, controbatte: “ Il termine filiera nasconde diversi problemi: noi
siamo per ristabilire un equilibrio tra animali selvatici e da reddito, per fare questo è necessario che la politica intervenga.
La cooperazione non ha senso di esistere se non si riesce a valorizzare il socio. Bisogna incentivare il reddito e rendere
più appetibile questo lavoro per le nuove generazioni”.
Siamo in una fase storica ed economica che vede il settore dei piccoli ruminanti in particolare difficoltà; l’inevitabile e
progressiva contrazione del numero di aziende zootecniche dedite a questa forma di allevamento che si registra da anni,
oltre che riflessi diretti sull’occupazione, comporta conseguenze sulla salvaguardia di una gamma di produzioni tipiche,
fortemente radicate sul territorio e legate alla tradizione locale (basti pensare al formaggio di Fossa e alla Caciotta
d’Urbino). Da non sottovalutare i rischi legati alla perdita di patrimoni genetici di razze “minori” come la Sopravissana e
la Fabrianese, che presentano caratteristiche di particolare adattamento al territorio di origine.
Per la filiera ovina-caprina è emerso come il settore abbia dei buoni punti di forza da cui si potrebbero partire per
strutturare un nuovo piano di sviluppo, tra questi: una buona rilevanza economica e sociale; un buon grado di
competenza tecnica degli allevatori e dei trasformatori; come anche delle buone espressioni di “tipicità” dei prodotti
caseari. Di contro però bisogna lavorare molto sulle criticità come la polverizzazione delle unità produttive; la presenza
di aziende marginali a scarsa efficienza produttiva; la scarsa redditività e remunerazione della manodopera aziendale;
la vulnerabilità sanitaria e ambientale; uno scarso turn over generazionale; una carenza di strategie di marketing, una
scarsa efficienza del sistema cooperativo e dell’associazionismo etc.
Le opportunità di sviluppo individuate nel congresso, puntano al miglioramento igienico-sanitario; a una maggiore facilità
di adeguamento ai vincoli della produzione biologica; a una più grande disponibilità di aree foraggiere; all’individuazione
di nuove fasce di consumo; alla costituzione di progetti Integrati di filiera.
Giuseppe Blasi, del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, appare ottimista relativamente agli aiuti per
il settore. Da escludere gli aiuti nazionali che, date le circostanze, propendono verso un’inflessione, piuttosto si punta al
Parlamento Europeo e ai pacchetti che probabilmente verranno dati a ciascun stato membro, il quale procederà ad una
distribuzione più razionale e ottimizzata nel proprio paese.
Da quest’anno l’Europa è il secondo produttore di lana dopo la Nuova Zelanda. Un’espansione del settore ovino-caprino
può riguardare gli usi alternativi della lana, che spesso costituisce per l’allevatore un problema da smaltire. Purtroppo la
nostra lana non è molto utilizzata dal settore tessile perché poco pregiata, in questa direzione si potrebbero creare delle
sinergie con lo stesso settore tessile e accrescere lo sviluppo di quelle razze, come le pecore merino, che sono sfruttabili
anche nel tessile. Parallelamente, altri sbocchi potrebbero puntare sullo sviluppo dell’uso della lana nella bioedilizia, la
lana come fibra per un particolare abbigliamento naturale contro le allergie. La stessa Unione Europea stimola la ricerca
in questo senso.
Silvano Severini, direttore dell’Istituto Zooprofilattico Umbria Marche ha chiuso il congresso con un pensiero che ha
trovato d’accordo gli attori di questa filiera.
“È necessaria una sinergia strategica tra il mondo scientifico e la realtà produttiva che permetta di individuare le priorità
nel campo della ricerca sanitaria e il successivo trasferimento sulle realtà economiche, nel rispetto dei parametri di
sostenibilità ambientale e benessere animale: una prospettiva a medio e lungo termine, indispensabile in questo
momento particolarmente critico, che sicuramente darà un nuovo impulso per favorire la crescita, la sostenibilità e la
competitività del settore”.
Riferimenti - Dora Carapellese – 347.45.81.906