- Istituto Cesare De Titta

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- Istituto Cesare De Titta
2014
Benvenuti a teatro
Dove tutto è finto
ma niente è falso
Incontro
con l’autore
Antonio Ingroia
A pag. 2
Corruzione: un
peso che costa
ai cittadini 9
miliardi all’anno
A pag. 19
Giovanni Giolitti
tra pro e contro
ella nostra scuola, ormai da diversi anni,
è stato introdotto il progetto “Laboteatro”,
un’attività in cui chiunque voglia può
esprimere il proprio talento o, magari, scoprire di
averne uno. Questo laboratorio è stato reso possibile grazie alle docenti che lo hanno coordinato
(prof.sse Acero, De Fidelibus e Piermatteo), ma soprattutto grazie al regista Gabriele Tinari, il quale,
con grande professionalità, ha diretto la sceneggiatura e il lavoro degli alunni. Nell’anno scolastico
2013-14 i ragazzi, insieme all’aiuto del regista,
hanno scelto di rappresentare l’opera Macbeth, ma
non nella sua versione originale, bensì nella rivisitazione in chiave di “teatro dell'assurdo” proposta
da E. Ionesco. Questa vicenda presenta come
tema principale la distruzione totale quando l’ambi-
N
A pag. 27
zione non viene tenuta a freno dai limiti morali.
Macbeth, infatti, è l’incarnazione della sete di potere, di un’avidità irrefrenabile che non si ferma davanti a nessun ostacolo. Si tratta di una storia
ideata più di 400 anni fa che, però, ribadisce una
realtà così odierna, ed è pertanto riuscita a coinvol-
Continua a pag. 2
Stage
in Inghilterra
e Spagna
A pag. 8 e 10
VITA A SCUOLA
Benvenuti a teatro
Dove tutto è finto
ma niente è falso
Segue dalla prima
gere pienamente ogni singolo ragazzo partecipante al Laboteatro.
L’atmosfera operativa creatasi è stata coinvolgente, divertente, spontanea: un ambiente in cui tranquillità e divertimento hanno permessola
socializzazione tra gli alunni e il regista. Grazie a questo clima familiare
e alla diligenza dei partecipanti, è stato possibile dimostrare ad un pubblico esteso la capacità di saper portare a termine un progetto dalla notevole valenza artistica. Infatti, lo spettacolo finale è stato realizzato il
21maggio 2014 presso il Teatro Fenaroli di Lanciano; questa rappresentazione ha suscitato stupore e ammirazione in tutto il pubblico, riuscendo
così a far sentire i ragazzi soddisfatti e orgogliosi del loro lavoro.
Questa esperienza è la dimostrazione che il teatro costituisce un
aspetto rilevante all'interno di una società, in grado di arricchire la crescita interiore e la formazione culturale di ogni individuo.
“Un popolo che non aiuta e non favorisce il suo teatro, se non é morto,
sta morendo” (Lorca).
Demetra Pasquini VAL
Incontro con l’autore Antonio Ingroia
Noi al “de Titta” facciamo cosi’
Si chiama ‘Vent’anni Contro’ il libro dei due magistrati palermitani che Ingroia stesso, coautore insieme a Gian Carlo Caselli, ha avuto il piacere di
presentare presso il liceo statale “Cesare de Titta”
nella mattinata del 20 Febbraio 2014. All’incontro,
moderato dal professore Vitalino D’Amario, hanno
partecipato il Procuratore della Repubblica di Lanciano, Francesco Menditto, il rappresentante del Movimento Agende Rosse - sezione Abruzzo Massimiliano Travaglini, l’assessore all’istruzione del
Comune di Lanciano Marcello D’Ovidio, insieme al
sindaco Mario Pupillo, e il Dirigente Scolastico del
“de Titta”, prof. Alessandro Mariotti. L’incontro, che
ha coinvolto gli studenti delle classi quinte, si è svolto
in Aula Magna, dove alcune alunne del Liceo hanno
letto il Discorso Agli Ateniesi di Pericle, datato 461
d.C., al termine del quale il dott. Menditto ha preso
la parola.“E’ giusto compensare libertà e uguaglianza”
– dice il Procuratore – “La libertà è quella che vive
nella vita di tutti, quella che vive nella vita di pochi è
chiamata ingiustizia” conclude dicendo. Nell’attesa
che arrivasse il magistrato Ingroia, gli studenti hanno
assistito alla visione di alcuni video di personalità che
si sono battute contro la mafia, tra cui il deputato
Pio La Torre morto in un incidente stradale insieme
all’autista ed amico Rosaio Di Salvo nel 1982, Giovanni Falcone ucciso dai boss della mafia siciliana insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini
della scorta nella strage di Capaci il 23 maggio 1992,
2
e Paolo Borsellino assassinato il 19 luglio 1992 da
Cosa Nostra con alcuni uomini della sua scorta nella
strage di Via D’Amelio a Palermo. La componente
studentesca e il Dirigente Scolastico hanno accolto
Ingroia calorosamente, consapevoli del fatto che questo incontro sarebbe rimasto nella storia del liceo
lancianese. Dopo un lungo applauso da parte degli
studenti e varie foto per conto di tv locali, il magistrato è stato pronto a parlare del nuovo libro e
della sua collaborazione con Borsellino fino agli ultimi anni della vita di questi. Il libro, scritto a due
mani insieme a Caselli, si mostra come testimonianza
della storia professionale ma anche personale dei
magistrati, i quali hanno collaborato in Sicilia contro
la mafia. Ora, abbandonata la carriera di magistrato,
Ingroia esercita l’attività di avvocato, al contrario di
Caselli che è in pensione. Egli ha citato innanzitutto
i suoi punti di riferimento: Borsellino e Falcone. Dall’inizio della sua carriera nel 1987, è stato pm a Marsala e poi a Palermo, insieme a Borsellino dal 1989 al
1992 vivendo anche i momenti tragici dei due attentati. “La mafia non potrà mai essere sconfitta perché
uno Stato non può processare se stesso” dice ricorrendo ad una citazione di Leonardo Sciascia, consapevole dello stretto contatto fra Stato e mafia.
Nell’ultima stagione della sua carriera da magistrato,
Ingroia ha preso parte ad una difficile indagine appunto sulla collaborazione fra la mafia con lo Stato,
quest’ultimo considerato orfano della verità e di
conseguenza della democrazia. “Lo Stato è incapace
di guardarsi allo specchio e di trovare le verità” sostiene il magistrato. “Cosa l’ha spinta a ripercorrere
i vent’anni successivi alla strage di Via D’Amelio?”
chiede un alunno. ”Borsellino è stato un esempio per
la mia formazione da magistrato” – afferma – “ ed è
per questo che ho deciso di annotare le sue ultime
riflessioni dopo la morte di Falcone. Borsellino era
un uomo dotato di grande generosità e grandi capacità, era dotato di un grande senso del dovere e non
lo abbandonai con convinzione e fermezza fino agli
ultimi giorni della sua vita. La morte del carissimo
amico lo trasformò, si concentrò maggiormente sul
lavoro e capì che presto sarebbe arrivato il suo momento. Dopo il tragico attentato di Capaci, poteva
essere considerata morta dentro di lui la concezione
di Stato”. La mafia non avrà fine fino a quando non
cambierà la politica:“Abbiamo politici che non ci rappresentano” dicono con sincerità gli studenti che ora
che si trovano all’ultimo anno sono spaesati e disorientati dalla situazione economica e politica dell’Italia. Non ci piace che si commettano reati, ma cosa
facciamo concretamente affinché questi non avvengono? Siamo pronti a denunciare? Bisogna essere attivi e propositivi: “Il nostro futuro” afferma Travaglini,
il rappresentante del Movimento Agende Rosse, “è
nelle vostre mani. Non aspettate che siano gli altri a
rimediare ai reati.”
Giulia Travaglini V AL
VITA A SCUOLA
STORIE D’ITALIA – CINEFORUM 2013-2014
Cento passi tra bene e male
Anche quest’anno nella nostra
scuola, il Liceo “Cesare de Titta” di
Lanciano, si è svolto con grande successo e partecipazione il cineforum
scolastico. I film proiettati sono stati
cinque: “I cento passi”, “Romanzo di
una strage” e “Pasolini, un delitto
italiano” di Marco Tullio Giordana,
“Tatanka” di Giuseppe Gagliardi e “Il
muro di gomma” di Marco Risi. Ricollegandosi al cinema sociale e politico degli anni Settanta, i film
presentati hanno trattato tematiche
legate al passato del nostro Paese
come il fenomeno della mafia, la corruzione, la camorra e alcuni misteri,
tuttora irrisolti, come le stragi di
Piazza Fontana e di Ustica o l’omicidio dello scrittore Pier Paolo Pasolini. Il film che ha aperto il
cineforum, “I cento passi”, sceneggiato dal regista insieme a Claudio
Fava e Monica Zapelli, è il racconto
intenso ed emozionante della vita di
Peppino Impastato, un giornalista e
attivista siciliano, ucciso dalla mafia
il 9 maggio del ’78 a seguito delle
sue coraggiose denunce contro le
attività mafiose di Cinisi. Attraverso
l’analisi oggettiva e realistica del regista, ci è stato possibile capire
quanto il fenomeno della mafia sia
stato trascurato e ignorato nel
corso degli anni dall’opinione pubblica e dal governo italiano, e di
quanto sia importante la “memoria”
come mezzo per poter continuare a
perseguire gli ideali di libertà e giu-
stizia che uomini come Peppino con
coraggio e impegno hanno portato
avanti fino alla morte. Il secondo
lungometraggio è stato “Romanzo di
una strage” dello stesso regista, liberamente ispirato ad un libro di Paolo
Cucchiarelli.
La pellicola è una cronaca tesa ed
incalzante dell’attentato che si è
consumato a Milano in Piazza Fontana il 12 dicembre 1969, e dei tragici fatti che ne conseguirono, come
l’omicidio di Giuseppe Pinelli e
quello del commissario Luigi Calabresi, funzionario di polizia che conduceva le indagini in merito alla
strage. Pervaso da un’atmosfera grigia e inquietante, il lungometraggio
è il ritratto di un’epoca, dilaniata
dagli scontri e dai movimenti studenteschi, operai ed extraparlamentari. Il terzo film ad essere
proiettato è stato “Il muro di
gomma” di Marco Risi, basato sui
tragici avvenimenti di Ustica. Con il
ritmo e la suspence di una vera e
propria “inchiesta” , il regista, attraverso lo sguardo del protagonista,
un giornalista ispirato alla figura di
Andrea Purgatori, ci conduce tra Italia, Francia e Inghilterra alla ricerca
della verità, fino all’emozionante
scena finale. Sotto la pioggia, in una
cabina telefonica di Roma, il giornalista interpretato da Corso Salani
detta le ultime righe del proprio articolo: “Ci sono voluti dieci anni,
dieci anni di bugie, dieci anni di per-
ché senza risposta. Perché chi sapeva è stato zitto? Perché chi poteva
scoprire non si è mosso? Perché
questa verità era così inconfessabile
da richiedere il silenzio, l'omertà,
l'occultamento delle prove?”. Un finale che toglie il respiro e che finalmente fa luce su eventi di
grandissima importanza, da sempre
ignorati e volutamente nascosti. Il
quarto film è stato, invece, “Tatanka”
di Giuseppe Gagliardi, liberamente
ispirato ad un saggio di Roberto Saviano, contenuto ne “La bellezza e
l’inferno”. Interpretato dal pugile e
agente di polizia Clemente Russo, il
lungometraggio è uno spaccato
crudo e amarissimo della Marcianise
dei giorni nostri, dove l’unico miraggio di salvezza per i giovani ragazzi
di strada è rappresentato dalla palestra, luogo di redenzione e metafora
della vita. Un film molto pasoliniano
nei contenuti e nella tipologia di realtà che descrive, chiaramente influenzato da opere cinematografiche
come “Accattone” (1961) e
“Mamma Roma” (1962) del regista
bolognese, da “Una vita violenta” di
Paolo Heusch e Brunello Rondi e da
“La commare secca” di Bernardo
Bertolucci. L’ultimo film è stato un
triste ricordo della morte di Pier
Paolo Pasolini, avvenuta all’Idroscalo
di Ostia il 2 novembre del ’75. Girato con maestria e grande spirito
d’indagine, il lungometraggio fa luce
sull’omicidio del poeta di Bologna,
tra i più grandi intellettuali del XX
secolo, vittima di un agguato da
parte di più persone (come dimostrato dall’autopsia del dottor Faustino Durante) e dalle conseguenti
indagini. I tentativi di occultamento
delle prove furono molteplici, a cominciare dalla zona dove avvenne
l’omicidio, mal recintata e con infiltrazioni di bambini che vi giocavano
a pallone, per giungere poi all’automobile di Pasolini, vittima di molteplici urti durante alcuni spostamenti
nel cortile del comando di polizia e
lasciata allo scoperto sotto la pioggia, con conseguente eliminazione di
evidenti tracce di sangue sul tettuccio e sul cofano. Le bellissime introduzioni prima dei film e i successivi
dibattiti a fine visione hanno coronato un cineforum intenso ed emozionante che ci ha permesso di
conoscere avvenimenti legati al nostro passato e personaggi della storia contemporanea di grande
importanza. Ci auguriamo vivamente
che i docenti che hanno curato con
passione e grande professionalità il
cineforum, la prof.ssa Anna Laura
Tilli, la prof.ssa Luciana De Filippis e
il prof. Vitalino D’Amario, continuino
in futuro ad offrire agli studenti questa preziosa opportunità di conoscenza e di approfondimento in
quanto, anche attraverso la visione
di film, è possibile ampliare la propria cultura.
Sonia Della Rocchetta 5^BP
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VITA A SCUOLA
Madrigale, tre racconti di Giulia Alberico
Anche quest’anno, al de Titta, si è svolto il progetto
“Incontro con l’autore”, che ha consentito alle classi
quarte di conoscere la scrittrice Giulia Alberico, originaria di San Vito Chietino ma residente a Roma, autrice
di diversi libri. Noi abbiamo letto il suo romanzo
d’esordio dal titolo Madrigale, costituito da tre racconti
(La casa del 1908, Ortensia e Regina) che si svolgono
attraverso un comune filo conduttore, quello dei ricordi. Nel primo racconto, in maniera del tutto originale e inconsueta, è la casa stessa a narrare gli eventi
delle generazioni che ha ospitato, e sembra essere essa
stessa l’emblema del tempo passato, oggetto immobile
che custodisce polvere e ricordi sopravvivendo ai suoi
abitanti. Nel secondo racconto, invece, è una persona
che narra la storia, Ortensia, che si è sentita ingannata
da un padre egoista che non le ha mai consentito di
vivere la sua vita. Il terzo racconto è una sorta di doppio diario tra una madre, Regina, e sua figlia, che hanno
vissuto nell’assenza di comunicazione e nell’incomprensione, e che recuperano il rapporto per mezzo
della scoperta e lettura di pagine a cui hanno affidato i
loro pensieri. Il libro è un caleidoscopio di emozioni,
sensazioni, ricordi e pensieri nostalgici, che affiorano
attraverso odori, sapori, affetti e dolori. È un continuo
riportare alla memoria stralci di vita vissuta e perduta,
nel tentativo di ritrovare i legami familiari. Così sembrano emergere, durante la lettura, odori di stanze in
penombra, profumi di cedrina e mughetto, di cera d’api
dei mobili tirati a lucido, di basilico e peperoni arrostiti,
di marmellate d’uva, di sapone fatto in casa, di bucati
freschi e lenzuola di lino stese al sole.A volte questi ricordi sembrano stemperarsi in note di dolce poesia
che riescono a placare la malinconia, ma la conclusione
del libro non è altro che illusione e disinganno. I racconti alternano, a tratti, fughe in atmosfere eteree di
sogno, che si scontrano all’improvviso con ritorni alla
durezza implacabile della vita. Il tempo narrativo usato
dalla scrittrice, il passato, ci conduce proprio nella dimensione del sogno, e i personaggi, grazie all’uso di ripetuti flashback, diventano impalpabili e sembrano
sfumare nella nostalgia.
Flavia Fioretti IV BL
Ilaria Caprioglio: un incontro
che ci ha “segnato”
Giovedì 27 marzo 2014, tutti i ragazzi
del primo anno frequentanti il “Liceo C. de
Titta” di Lanciano, si sono riuniti nell’Aula
Magna per incontrare la fantastica Ilaria Caprioglio, autrice del libro Milano - Collezioni
andata e ritorno, un’autobiografia in terza
persona. La vicenda narra di Virginia, una giovane ragazza che appena diplomata si trova
catapultata nel mondo della moda.Tra viaggi,
concorsi, set fotografici e sfilate,Virginia precipita in continue delusioni, che si trasformano successivamente in una vera e propria
depressione, seguita poi da anoressia e bulimia, i due estremi dei disturbi alimentari, attribuiti anche ad un tentativo di stupro
subito a Los Angeles. Infatti, sono proprio i
continui dissidi e contrasti psicologici, i ripensamenti in vista di difficili e importanti scelte
(come ad esempio il matrimonio) che colorano magnificamente la veste letteraria del
romanzo.
Mamma di tre figli, Ilaria oggi è avvocato,
promotrice e vice presidente dell’associazione contro i disturbi alimentari “MI
NUTRO DI VITA”.
Con i ragazzi, a scuola, ha trattato i più
svariati argomenti, come l’accettazione e
l’amore per se stessi, la salvaguardia della
propria personalità e del proprio essere e
l’importanza del rapporto con i genitori. Si è
dimostrata anche molto disponibile, sensibile
e attenta ad ogni domanda che le è stata
posta, instaurando così anche un legame di
amicizia con gli studenti. Ciò che personalmente ci ha impressionato di più è il fatto
che lei si rivolgeva a noi come una guida di
vita, una mamma premurosa e attenta alla
salute psico-fisica dei propri figli.Durante l'incontro abbiamo anche avuto l'onore di ascoltare frammenti dei suoi numerosi libri e
grandi insegnamenti che, come perle, custo-
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diremo sempre nel nostro cuore.E' stato
semplicemente incredibile conoscere questa
importante personalità che ha lottato come
una leonessa per la realizzazione dei suoi
sogni e per la sua dignità.Ricorderemo sempre con grande piacere la figura di una scrit-
trice così solidale, solare e intraprendente,
che cerca attraverso le sue opere di dare
sostegno a chi vive perennemente in lotta
contro la bilancia.
Franziska Javicoli
Italo Ferrante I BL
(IN)FINITO
“Era una classe molto carina,
senza lavagna senza cartina.
Non si poteva entrarci dentro
Perché non c’era la spazio interno.
Ma era bella, bella davvero
Per la V AL un anno intero”.
E’ stata questa la sorpresa inaspettata con cui si è aperto il nostro ultimo
anno scolastico: confinati nell’aula più
piccola e recondita dell’istituto, di
certo non destinata ad accogliere degli
studenti prima d’ora.
Inizialmente speravamo fosse soltanto una sistemazione provvisoria da
parte della scuola, che non aveva aule
a disposizione al momento, ma che,
presto, si è rivelata come soluzione definitiva.
Banchi a pochissima distanza tra
loro, lavagna inesistente e saggiamente
rimpiazzata con un piede traballante a
mo’ di “lavagna da conferenza” sulla
quale lo spazio per scrivere è largo
quanto lo schermo di un computer
(per essere ottimisti); impossibilità per
i poveri sventurati seduti vicino al
muro di potersi alzare dai propri posti
senza creare confusione e bloccare la
lezione; professori privati della propria
cattedra, sostituita da un comune
banco per poter ricavare qualche cen-
timetro in più in quel di V AL.
Il suddetto ‘sgabuzzino’, così scherzosamente (non più di tanto) definito
dagli alunni, ha rappresentato un ulteriore, notevole scoglio del quinto anno
per noi ragazzi che, oltre ad essere
sommersi da interrogazioni, esami, simulazioni e pensieri rivolti al futuro,
abbiamo dovuto accettare per causa di
forza maggiore questa sfida di adattamento in una vera e propria lotta per
la sopravvivenza che ha messo a dura
prova il nostro livello di sopportazione.
Beh, del resto almeno ‘avevamo una
finestra!’ e, per questo, l’aula risultava
comunque in condizioni di sicurezza, a
detta dell’amministrazione scolastica.
Pur avendo a disposizione tutti questi comfort, abbiamo optato per pellegrinaggi in altre classi, sistemazioni
part-time in aula magna e persino indagato sugli orari degli altri alunni per
poter godere almeno per un’ora di
un’aula degna di essere definita tale.
“La pazienza è la virtù dei forti”, dicevano; noi, la dimostriamo giorno per
giorno e nell’attesa di un segno propiziatorio della Divina Provvidenza, abbiamo dato sfogo alla nostra creatività
improvvisandoci poeti e cantori della
nostra sventura.
(In)finito
Sempre ostile mi fu quest’amara
scuola, e questa classe
che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando determinati
spazi al di là da quella
io quell’infinita aula a questo
sgabuzzino vo’ comparando.
E mi sovvien la domanda:
“Sarà libera l’aula magna?”
Imagine
Imagine there’s no window and no
blackboard too,
Imagine all the pupils living in a narrow space…uuh.
You may say I’m a dreamer but I’m
not the only one
We hope someday they’ll move us
and our class will be as the other ones.
Let it be
When I find myself in narrow spaces
The secretary came to me,
Speaking words of security: “let it
be!”
Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate… Se c’entrate!
Daniel Cicchitti VAL
Martina Nicolò VAL
Giulia Zappacosta VAL
PROGETTO QUOTIDIANO IN CLASSE
“Il quotidiano in classe.it”, è l’iniziativa per tutti gli studenti delle
scuole superiori italiane promossa
dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori in collaborazione con i
siti internet di Corriere della Sera,
Il Sole 24 ORE e Quotidiano.net.
Un progetto educativo che vuole
dare spazio e voce ai ragazzi di
Redattori per caso: le menti vaganti
tutta Italia e che stimola la creatività, la (sana) competizione ma soprattutto il divertimento, sia per
studenti che per insegnanti. Ogni
settimana è stato proposto un tema
da un giornalista delle tre testate e
gli iscritti hanno avuto il compito di
pubblicare un post testuale, un
video, una gallery fotografica o una
vignetta, che ha assegnato un punteggio alla redazione della classe.
L’attività è stata proposta dalla
Prof.ssa Maria Luisa Lanci e accolta da alcune classi dell’indirizzo
linguistico. Gli elaborati sotto riportati sono degli alunni della V AL che
hanno costituito una redazione autonoma dal nome ‘Le menti vaganti’ e hanno partecipato a questa
iniziativa stimolante e culturalmente valida e formativa.
La sola goccia d’un intero mare
Mi chiedono: Che legge vorresti proporre oggi a favore
dei giovani? Cosa dire?
Personalmente trovo che proporre una legge a favore dei
giovani sia una richiesta un po’ contraddittoria, dal momento
che in un’Italia che ha sempre burocraticamente funzionato
a stenti, ora si è all’impasse. Poter parlare di una sola legge
che possa essere rivolta all’ausilio dei giovani è davvero difficile. Io penso di non saper da dove partire nel cominciare
ad elencare ciò che non va, perché sono tante alla fine le
cose negative che un giovane-adolescente si sente di dire:
precarietà nel lavoro, ammesso che lo si trovi, nessuna garanzia. L’età del pensionamento, inoltre, è stata protratta,
peggiorando ancora di più le cose.
E allora, per rispondere in breve alla domanda, una legge
che possa aiutare i giovani verte sul dare una minima certezza d’assunzione una volta giunti al diploma o alla laurea
che sia. Perché sentirsi minacciati poi da questo diploma,
che sembra non possa dar vita a nulla dopo la scuola ed
essere spinti dalla convinzione popolare secondo cui “se
non hai la laurea al giorno d’oggi non hai niente”?
Diamo precedenza a chi ha forza allora, ma diamo anche
un riposo meritato a chi ha lavorato per trent’anni o più.
Non c’è aspettativa in noi alla fatidica domanda ”cosa
vuoi fare da grande?” Noi non sappiamo cosa rispondere
con certezza, dal momento che vivere nell’incertezza non fa
altro che attribuire una cornice sbiadita a ciò che noi, prima
di tutto, vorremmo essere.
Daniel Cicchitti V AL
Una splendida armonia
Il potere di un abbraccio
Il potere di un abbraccio è unico:
riesce a far nascere un sorriso su un
volto rigato da lacrime, dà conforto e
certezza a chi, stremato dalla vita,
cerca un riparo sicuro, trasmette gioia
e calore a chi ha voglia di condividere
i propri piccoli momenti di felicità.
L’abbraccio è il mezzo di comunicazione più naturale e affascinante che
esista a questo mondo; non occorrono connessioni, crediti o numeri telefonici…Bastano quattro braccia che
si incrociano fra di loro, due corpi che
si avvicinano l’uno all’altro, un collo
che si adagia sulla cavità del collo opposto e due cuori che pian piano fondono insieme i loro battiti creando una
perfetta sinfonia. Quest’unità armoniosa permette ad una madre di consolare il proprio figlio appena caduto
dalla sua bicicletta, ad un fratello maggiore di rassicurare la sorellina dopo
un brutto sogno, ai compagni di squadra di esultare per un punto segnato,
agli amici di dimostrare il loro affetto
reciproco, agli innamorati di sentire il
calore e di godere del corpo dell’amato senza profanarlo. Niente vale
più di un abbraccio perché con la sola
semplicità che lo contraddistingue è in
grado di sprigionare un’atmosfera di
magica allegria e di coinvolgente passionalità che investe contemporaneamente corpo ed anima e trasmette
all’altro tutto quello che abbiamo dentro, tutto quello che non saremo capaci di esprimere neanche se
avessimo a nostra disposizione tutte
le parole del mondo.
Giulia Zappacosta V AL
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PROGETTO QUOTIDIANO IN CLASSE
Ricomincio da qui Post nubila, Phoebus
“Ricomincio da qui… da un’effimera illusione” cantava Malika
Ayane al Sanremo di qualche anno
fa. Un ritornello del quale ho sempre apprezzato la consonanza col
mio pensiero, convinto come sono
di dover ricominciare proprio dall’effimera illusione precedente e bisognoso, però, di maggiori
certezze. Parlare della chiusura di
un capitolo della propria vita viene
spesso associato ad un nuovo inizio, come ad esempio l’inizio del
nuovo anno. Penso che sempre un
uomo debba riuscire a trovare il
momento e la forza di porre, in
qualsiasi periodo, la parola ‘fine’ a
quei periodi che lo sfibrano dall’interno, che sembrano lasciare ad intermittenza uno spiraglio di
salvezza ma che alla fine fanno ripiombare nell’abisso più oscuro.
Sono periodi che consumano, che
spesso formano, ma non sempre in
positivo, lasciando a volte cicatrici
che poi verranno fuori, ancora fre-
sche, in altri momenti: paure, apatie, incomprensioni e di nuovo la
forza di dover rimettere insieme
quei pochi cocci di noi che si erano
rotti e che avevamo nascosto sotto
il tappeto. Ma ci sono anche altri
eventi che avvengono senza il nostro batter ciglio. Il classico “periodo no’” durante il quale tutte le
forze sembrano puntare contro di
noi: la perdita di persone care,
eventi uno dopo l’altro che sembrano non far altro che peggiorare
il nostro umore, pessimismo e
mancanza di forza nell’andare
avanti, facendoci subire passivamente lo scorrere dei giorni. Nel ricominciare è presente la parola
cominciare. Non è come il primo
inizio, però, vi è un pregio: il senno
di poi. Diamo una sbirciata al nostro passato, quando ricominciamo, oscuriamo tutto ciò che vi è
stato di negativo, e lasciamo ben in
luce, in superficie, tutto quello che
abbiamo imparato e che servirà a
darci forza per il poi. Molte volte,
mettiamo talmente tanto impegno
nel cominciare un nuovo capitolo,
che non ci si rende neppure conto
di dover tornare alcune pagine indietro, nel libro della nostra vita,
LA SCUOLA SI APRE AL MONDO
per poter dare un titolo ad un qualcosa avviatosi già da solo. “Post
nubila, Phoebus” recita un motto
latino: dopo il grigio, la pioggia, c’è
sempre il sole.
Daniel Cicchitti V AL
Ricominciare è possibilità!
Il verbo “ricominciare” dovrebbe essere inserito fra i sinonimi di “dimenticare”. Quando
decidiamo di scrivere un altro capitolo della nostra vita, allo stesso tempo decidiamo di
andare avanti e di non voltarci indietro verso le false illusioni, i sogni infranti e i ricordi
passati. Più che cancellare definitivamente cerchiamo di mettere da parte tutte quelle
cose che ci hanno fatto soffrire, di non pensare a quelle persone che ci hanno deluso
troppe volte, di dimenticare, appunto, tutto ciò che non vogliamo si riproponga nel nostro
nuovo inizio. Certo possiamo, anzi dobbiamo, dare uno sguardo ai nostri errori, ma solo
per poterci rendere conto delle scelte sbagliate e cambiare direzione. Ricominciare significa lasciarsi alle spalle il passato e avere la forza di affrontare ancora una volta la
vita, armata dei suoi “se..”, dei suoi “ma..”, dei suoi costanti bivi e delle sue strade senza
uscita, tutto questo pur sapendo che le probabilità di vincere questa battaglia sono molto
scarse. Se decidiamo di ricominciare è perché vogliamo dare a noi stessi un’altra possibilità, la possibilità di vivere serenamente, la possibilità di cambiare in meglio, la possibilità
di crescere.
Giulia Zappacosta VAL
I ragazzi del de Titta incontrano la scrittrice Palma Lavecchia
6
Il giorno 11 aprile nell’Aula Magna del liceo “C. de Titta”
tutte le classi seconde hanno incontrato la scrittrice Palma Lavecchia autrice del libro Parliamone ancora.
Il libro racconta la storia di una ragazza di nome Emma e
presenta le vicende che accadono nella sua famiglia. Si scopre,
all’inizio della storia, che Emma non è amata dalla madre Elena
ed è, invece, molto legata a suo padre. I genitori, inoltre, non abitano insieme: sono separati, anche se le loro case si trovano
l’una vicino all’altra. Nella storia sono pesenti anche i nonni di
Emma, in particolare la nonna materna che ha un ruolo molto
importante nella storia. Essa, dopo la sua morte, apparendo
come un fantasma, riesce in qualche modo a far capire a
Emma i motivi per cui sua madre è così ostile nei suoi confronti,
e grazie a lei le due riusciranno a capirsi e ad avvicinarsi.
Nel frattempo, però, accadono molte cose, come il ritorno di
Rosario nella vita di Emma, un ragazzo che aveva conosciuto
tempo prima; i due si ritroveranno e, capendo di essere innamorati, dopo poco tempo si sposeranno. C’è poi l’apertura di un negozio di profumi che una signora affida a Emma. La storia si
conclude felicemente, con il matrimonio di Emma e Rosario, e
la famiglia di Emma che torna ad essere unita.
Dopo aver letto il libro autonomamente, i ragazzi delle classi
seconde hanno, quindi, incontrato l’autrice. Durante l’incontro, la
scrittrice ha svelato di essere un dirigente di polizia e di aver,
però, sempre avuto la passione per la scrittura. Durante il colloquio i ragazzi hanno presentato alla scrittrice le domande
formulate predentemente, durante il lavoro svolto in classe sul
testo letto, e, grazie a queste, sono state apprese molte curiosità
sul libro, mentre l’autrice ha rivelato di avere in programma altri
libri da scrivere. L’autrice è stata molto gentile con gli alunni e
l’incontro è stato molto piacevole grazie anche alle molte domande e all’interesse positivo suscitato dal libro che affronta, tra
l’altro, tematiche molto vicine al mondo degli adolescenti contemporanei, come ad esempio il rapporto conflittuale madrefiglia, la condizione di una giovane che ha i genitori separati ecc.
Il libro, inoltre, ha permesso ai ragazzi di scoprire, attraverso
l’incontro con l’autrice, le molteplici strade che portano alla genesi di un romanzo.
Giorgia Marrone II A L
Il giorno 28 Aprile 2014, alle ore 8.00, gli alunni delle
classi IV BL e V AL del liceo “C. de Titta” di Lanciano, si
preparano a partire per l’attesissima uscita didattica a Recanati e a Macerata. Dopo un paio d’ore trascorse nel
pullman, tra risate e canzoni, gli studenti sono finalmente
giunti a Recanati. Qui vengono divisi in due gruppi per una
visita guidata della casa del celebre poeta Giacomo Leopardi, affascinante per tutti i volumi del poeta conservati
(pare che nella sua breve vita ne abbia letti ben ottomila!),
ma anche per l’atmosfera suggestiva che vi si respira. Una
volta terminata la visita guidata, vengono condotti verso
il Centro Studi Leopardiani per un convegno nel quale
sono presentati alcuni aspetti della vita del poeta. Agli
stessi viene poi fatto visionare un cortometraggio che
rappresenta la celebre Operetta morale dal titolo Dialogo
di un passeggiere e del venditore di almanacchi, rappresentazione emblematica del pessimismo leopardiano. In seguito, ai ragazzi viene lasciata un’ora per pranzare prima
di salire sul pullman che li porterà a Macerata.Appena arrivati, si recano presso l’Università degli Studi. Qui incontrano due professoresse che mostrano loro tutti gli
indirizzi e i piani di studio delle varie facoltà che l’università
offre alle matricole, ma solo dopo aver fatto svolgere svariate attività per far capire loro quale indirizzo poter scegliere in futuro.Terminato l’incontro, ai ragazzi è concessa
un’ora di pausa, durante la quale possono visitare la città
e comprare dei souvenir, prima di tornare sul pullman. Infine, alle ore 18.00 gli studenti, guidati dalle proprie insegnanti, si ritrovano sul pullman per ripartire verso
Lanciano dove sono arrivati alle ore 20.00, dopo varie fermate, felici dell’esperienza fatta.
Carmen Franco IV BL
Recanati: la città della poesia
LA SCUOLA SI APRE AL MONDO
Torino: cultura e storia
Torino ma chi l'ha detto che non sei bella
antica quando la sera diventi stella
non parli perché hai paura di sapere troppo, prigione di questa Italia bella del golfo. Con questa canzone intitolata “Torino”, Antonello Venditti cerca di
descrivere questa bella città. Ed è proprio lì che le
classi terze, quarte e quinte del corso B delle Scienze
Umane hanno trascorso tre fantastici giorni. Cinquantanove abruzzesi temerari ed instancabili, infatti,
hanno percorso più di 700 km di notte e di giorno
per assaporare le bellezze di una delle mete italiane
più ambite. Il programma dei tre giorni è stato ricco
e molto interessante. Nella mattina del primo giorno
era prevista la visita al Museo della Sacra Sindone
dove “sia credenti che diffidenti” hanno potuto assistere alla proiezione di un video che illustrava tutte le
particolarità del telo. Gli studenti hanno potuto conoscere, inoltre, le varie ricerche condotte sul prezioso
reperto da scienziati di chiara fama. Nel pomeriggio
gli alunni hanno potuto visitare uno dei monumenti
più belli di Torino: la reggia di Venaria Reale, costruita
intorno al XVII secolo su progetto dell'architetto
Amedeo di Castellamonte. A commissionarla fu il
duca Carlo Emanuele II che intendeva farne la base
per le sue battute di caccia nella brughiera collinare
torinese. Finalmente, in serata, i nostri inviati hanno
potuto pernottare nell'hotel loro riservato. Il secondo giorno gli alunni sono potuti entrare nel “tempio” della cultura stampata su pagine: il Salone del
Libro. Tre enormi padiglioni allestiti da stand di varie
case editoriali come la Feltrinelli, la Sellerio, la Mondadori, ma anche stand particolari come quello dell'Esercito, del Vaticano o delle crocerossine. Un
paradiso, quindi, per tutti quelli che amano la letteratura e che amano leggere! La fiera aveva anche sale
dove ospiti importati hanno presentato i loro ultimi
lavori, come Claudio Fava (figlio di Pippo Fava, celebre
giornalista ucciso nell’84 a Catania da Cosa nostra)
che ha presentato, insieme a Michele Gambino, il libro
Prima che la notte , narrante la difficile vita di Claudio
e dei cosiddetti “ragazzi di Pippo Fava” dopo quel fatidico 5 gennaio. Nella sala 500, Clara Sanchez, vincitrice dei più importanti premi letterari spagnoli, al
momento una delle autrici più lette nel mondo, ha illustrato ed introdotto il suo nuovo libro “Le cose che
non sai di me”. Dopo aver descritto le emozioni e i
sentimenti che l'hanno spinta a scrivere il romanzo e
dopo aver illustrato i significati e il contenuto del
libro, ha risposto ad alcune domande del pubblico.
Una di queste riguardava il suo precedente romanzo,
“Il profumo delle foglie di limone”, nel quale sono narrati i disagi di una ragazza che aveva come vicini di
casa dei nazisti. L'autrice ha anche riferito delle minacce ricevute dopo l'uscita di questo libro. L'ultimo
giorno è stato per i ragazzi quello del ritorno, non
prima della visita alla bellissima Mostra-Museo del Cinema, situata in una location altrettanto suggestiva: la
maestosa Mole Antonelliana. La mostra, ben allestita
e organizzata, ha stupito i giovani visitatori, i quali
hanno potuto approfondire la conoscenza della “macchina dei sogni” che ha emozionato e continua a
emozionare generazioni su generazioni. Dulcis in
fundo, gli studenti hanno visitato il Museo Egizio di
Torino (il secondo museo egizio più grande e ricco di
reperti al mondo), dove sono conservati importantissime testimonianze della civiltà dei faraoni, tra cui
mummie, sarcofagi preziosissimi e stele coperte di geroglifici. I ragazzi, stanchi ma appagati dalle meraviglie
che hanno incontrato, hanno ripreso il viaggio di ritorno con la promessa di tornare al più presto con i
propri cari in questa splendida città, ricca di bellezze
culturali di ogni tipo.
Tiziano Cocchini III BSU
Musica & Arte: la Band e il Coro del “de Titta”
Interrotta diversi anni fa, la Band del “de Titta” si
è ricostituita lo scorso anno scolastico, avendo la
scuola accettato la proposta del prof. Luca Di Bucchianico di riproporre questa attività, che lui stesso
ha curato anche quest’anno. Inizialmente, i componenti erano soltanto pochi musicisti, successivamente il numero è diventato più consistente grazie
alle persone appassionate di canto (che praticano sia
liberamente sia seguendo lezioni private) che vi si
sono aggiunte e hanno dato vita al nostro Coro. L’intento di quest’articolo è dunque, in primis, quello di
spronavi, voi talentuosi tutti, a partecipare a questa
attività che – vi assicuro – vi ripagherà di ogni mi-
nimo attimo e sforzo che le avrete dedicato. Del
resto, chi ha la fortuna di praticare la musica nelle
varie forme, sa bene a cosa mi riferisco! Quella sensazione di soddisfazione, di appagamento per essere
riuscito a dar vita ai propri sentimenti, al proprio Essere, attraverso uno strumento o attraverso il canto,
ed averlo condiviso con più persone, impegnate nello
stesso intento. Il risultato è uno ‘spettacolo’ vero è
proprio!
Generalmente le prove si svolgono una volta a
settimana, giorno comunque concordato tutti insieme nei primi incontri. Vi assicuro che tutti hanno
la possibilità di esprimere le proprie preferenze in
quanto a pezzi e canzoni da eseguire nelle varie occasioni, che siano le rappresentazioni per il giorno
della memoria, il concerto di Natale, un saggio a fine
anno o, magari, anche vari eventi che si definiranno
nel corso dell’anno scolastico. Non abbiate la minima
esitazione nell’iscrivervi, dunque, e, soprattutto,
NON DEMORDETE. Se i primi incontri vi sembreranno improduttivi o vi daranno quanto meno l’idea
di riunirvi inutilmente, ebbene… Vi sbagliate! Non
arrendetevi come molti in genere fanno. Il tempo di
qualche prova e tutto comincerà a prendere forma,
e vi assicuro che non vorrete andare più via!
Daniel Cicchitti V AL
7
LA SCUOLA SI APRE AL MONDO
Stage in Inghilterra
Noi della classe III AL abbiamo partecipato allo stage in Inghilterra, insieme ad altre
classi, organizzato dalla scuola. Il 13 febbraio, alle 5:30 di mattina, ci siamo ritrovati
tutti all’aeroporto per prendere l’aereo delle
7:30.Alle 9:30 siamo arrivati all’aeroporto di
Londra, Stansteed, dove abbiamo dovuto
prendere l’autobus per arrivare a Folkestone.
Dopo tre lunghe ore di autobus siamo finalmente giunti a destinazione; lì abbiamo
avuto un po’ di tempo libero per mangiare
e fare un giro prima che le famiglie che dovevano ospitarci venissero a prenderci. Io e
altre mie compagne di classe siamo andate
al “Fish and chips” e dopo siamo andate ad
ammirare il mare dal quale si poteva scorgere la Francia all’orizzonte.
Verso le 15:30 ognuno è dovuto andare
dalle rispettive famiglie che ci ospitavano. Io,
Martina,Arianna e Alessia siamo capitate in
una casa non molto lontana da scuola; perciò ogni mattina andavamo a lezione a piedi.
La famiglia è composta dalla mamma,
Carah, e dai suoi due figli, Rohan di sei anni
e Garrett di sette anni; successivamente abbiamo scoperto che il padre era all’estero
per lavoro e perciò non l’abbiamo conosciuto. Lei è stata da subito molto gentile e
accogliente e ci ha messo a nostro agio; avevamo due camere da letto in modo da stare
comode e un bagno tutto per noi. Anche il
resto della casa era molto grande e avevamo la piacevole compagnia di un gatto, a
cui non sembravamo stare molto simpatiche. Per quanto riguarda il cibo, diversamente da come ci aspettavamo, è stato
ottimo dalla prima sera all’ultima; lei non lavorava, ma era senz’altro un’ottima cuoca e
ci ha fatto apprezzare ogni piatto, anche la
tipica pietanza inglese “Cottege Pie”, composta da patate, carne macinata e ogni tipo di
verdura. Ogni mattina ci svegliavamo intorno alle 7:30 così che potessimo lavarci e
fare un’abbondante colazione prima di andare a scuola. Lì eravamo divisi in classi di
circa dodici persone e ogni classe aveva un
professore di madrelingua. Io avevo una professoressa giovanissima, di nome Mariam, e
ho apprezzato ogni lezione e ogni argomento; abbiamo seguito delle lezioni riguardanti la musica, i viaggi, i film, San Valentino
e la moda, e per ogni argomento approfondivamo anche la grammatica e soprattutto
il lessico. In ogni lezione ci divertivamo, ma,
nello stesso tempo, apprendevamo molte
cose nuove. In questa settimana abbiamo
frequentato la scuola solo quattro giorni poiché abbiamo fatto tre diverse uscite; la
prima è stata sabato, quando siamo partiti
la mattina presto e siamo arrivati a Londra
per le 10:30 con il treno, dopodiché abbiamo dovuto prendere la metro e siamo
arrivati a Picadilly Circus e da lì ci siamo diretti verso i monumenti più importanti come
Buckingham Palace, Westminster Abbey, il
Big Ben e London Eye. Da lì siamo andati
alla National Gallery a Trafalgar Square,
dove ognuno è stato libero di fare ciò che
voleva fino alle 17:30: fare shopping, visitare
il museo o semplicemente farsi un giro ammirando la città. Nonostante il maltempo,
questa uscita non ha deluso le mie aspettative, anche se un solo giorno per una città
così grande e ricca di attrazioni è davvero
poco. La seconda uscita è stata a Cambridge, una città bellissima, piena di verde e
dalla struttura medievale. Qui, dopo un breve
giro turistico, si sono dati tutti allo shopping
grazie alla grande varietà di negozi con
prezzi bassi. Senza dubbio, la cosa che più
colpisce è vedere le maestose università che
sembrano cattedrali o palazzi medievali; per
Stage in England
Last February six classes from ‘Cesare De Titta’
High School enjoyed the experience of a stage in England. We travelled to Folkestone on two different
dates divided into two groups of three classes in order
to attend English language courses.
Folkestone is a peaceful town on the South East
Coast of Kent, one of the most beautiful counties in
the UK. After arriving at Folkestone bus Station, students went to AES (Academy of English Studies), which
is a school for foreign students. There we met our
host families .The majority of families lived in the centre of the town, not far from the school. Host families
were quite warm and nice.They often had some pets.
Generally, houses weren’t small and they usually had a
garden. On the second day, we met at AES school and
we started to attend our English lessons.We were divided into classes of different levels of about 13/14 pupils; lessons were quite interesting and not boring at all.
They were focused on the pronunciation and the oral
skills of the language. The teachers main method of
teaching was to encourage interaction between pupils.
The study-holiday week aimed at improving the lan-
8
guage skills as much as possible, during this rather
short time.
Learning was real fun!! After school we had free
time to spend visiting Folkestone and going shopping.
In Folkestone there are a lot of nice and cheap shops.
0n the third day more than 100 students met at Folkestone train station and caught the train to London.The
weather was typically English: sunshine, rain… We
caught the tube and arrived in the centre of London in
a few minutes. London is a fascinating and multicultural
city: it’s the meeting place of many worldwide cultures.
In London you can find historical monuments and buildings (like Buckingham Palace, the House of Parliament,
Big Ben ,Westminster Abbey and Westminster Bridge),
and modern buildings like the ‘London Eye’. You can
also find a lot of green areas and parks, like St. James
Park.
In London you can see street artists and orators
who give speeches about economy, politics, and whatever they want to discuss about., on different corners
of the city. What an extraordinary place!
Students also had the possibility to visit Cambridge, a
la sua tranquillità ed il suo fascino viene voglia di viverci. La terza uscita l’abbiamo fatta
a Canterbury, che senz’altro rappresenta la
Chiesa inglese e, appunto per questo, non
potevamo che andare a visitare la cattedrale, sicuramente la più grande e bella che
abbia mai visto. Nel pomeriggio siamo andati tutti ad Ashford a giocare a bowling,
dove ho avuto la fortuna di vincere grazie a
due strike. In questa settimana io, Martina,
Arianna e Alessia abbiamo stretto un forte
legame con i bambini della signora che ci
ha ospitato: ogni sera giocavamo con loro e
sembravamo tornare bambine anche noi, ci
divertivamo a fare la lotta con i cuscini o
semplicemente loro si divertivano a mostrarci i loro giochi. Prima di andare via abbiamo deciso di lasciare loro un piccolo
ricordo delle risate che ci siamo fatti insieme
e abbiamo regalato loro una zebra e una
giraffa di peluche, così che i bambini, per ricambiare, ci hanno fatto dei disegni con cui
ci hanno ringraziato. L’ultimo giorno è stato
piuttosto triste: nessuno voleva tornare alla
vita di sempre e salutare quel posto è stata
una delle cose più difficili, così come salutare
la scuola e la famiglia. È stata sicuramente
una fantastica esperienza che rifarei senza
pensarci due volte; la consiglierei a tutti
anche solo per il fatto che è un’esperienza
diversa da cui si possono apprendere tante
cose non solo riguardanti la lingua ma
anche la cultura di un altro Paese. L’unica
cosa che mi dispiace è che è durata troppo
poco: una settimana è volata.
Sara Luongo III AL
charming town that host one of the most important
universities in the world. During the stage we visited
also the prestigious and famous ‘Canterbury Cathedral’, where thousands of pilgrims come every year,
since Chauser’s times.
After exploring Canterbury we spent the evening
having fun playing 10 pin- bowling. Additionally, AES
school organized one night at the disco. Everybody had
a good time and a lot of fun. Regarding food, British
people used to have a rich breakfast in the morning,
but today only on Sundays, based on bacon and eggs or
milk and cornflakes, while they don’t eat a lot at lunch
time, they just have some sandwiches or some fruit.
They usually have a cup of tea with some biscuits or
cakes at 5:00 p.m. British people don’t spend a lot of
time cooking or preparing food.They are used to having fast food meals in fast food restaurants or pubs.
This kind of experience helps people to become more
open minded about different cultures around the
world. It was really a fantastic event and we strongly recommend it!!!
Teresa Pasquini e Antonella Turchi III AL
LA SCUOLA SI APRE AL MONDO
Vienna: la capitale dalle mille sfumature
Dopo varie preoccupazioni e peripezie, finalmente la classe di tedesco, formata dagli alunni
dalle classi IV A e IV B del liceo linguistico, è riuscita a partire per la città delle “palle di Mozart
“ e dei famosi “Bretzel”: Vienna! Noi ragazzi siamo partiti il 10 aprile 2014 da Lanciano, per
prendere l’aereo da Roma , accompagnati da una prof.ssa Toscano euforica e vivace e da una
prof.ssa Acero divertita, ma vigile e attenta. Appena arrivati a Vienna ci siamo recati a Perchtoldsdorf, una cittadina di pochi abitanti, carina e ricca di pub lieti di ricevere turisti. Come per tutti
gli stage, abbiamo alloggiato nelle famiglie. Queste ultime si sono mostrate da subito gentilissime
e disponibili. La pulizia e la sicurezza raggiungevano davvero ottimi livelli, infatti sia nelle case che
nelle pubbliche vie delle città, le strade erano prive di segni di abbandono, il verde era un elemento
assicurato e non vi era neanche un cicca di sigaretta sui marciapiedi. Un elemento che ci ha davvero lasciati increduli è stata che nessuna delle famiglie chiudesse il portone di casa a chiave, un
evento da noi abituale, di routine. Ciò testimonia proprio il grande rispetto e il vero sentimento
che la maggior parte degli austriaci mostra verso i compaesani. Le nostre giornate si dividevano
in una mattinata dedicata a lezioni di lingua con due differenti insegnanti, entrambe competenti
e gentili, e in un pomeriggio dedicato a visite nel centro di Vienna. In effetti , anche se abbiamo
alloggiato in Perchtoldsdorf e abbiamo passato lì tutte le serate assieme, tutto il tempo l’abbiamo
trascorso tra le magnifiche vie della capitale.Vienna è una città dalle mille sfumature, elementi
moderni si confondono con l’antichità e la tradizione. Come non notare l’impronta artistica greca
nella struttura del Rathaus, e della Karlskirche? Oppure l’eleganza originale e innovativa delle
strade della Hudertwasserhaus? Le attrazioni che ci hanno lasciati davvero entusiasti sono state
le residenze della principessa Sissi, che ci hanno permesso di conoscere la sua storia in modo di-
verso e più profondo rispetto a come la si legge nei libri, sicuramente il famosissimo quadro di
Klimt Il bacio, e l’antico parco giochi “Prater”. In particolare la residenza estiva della Principessa,
Schloß Schönbrunn, è caratterizzata da una struttura fine e davvero elegante e da giardini che
lasciano senza parole. Ci siamo divertiti soprattutto a scoprire i diversi labirinti, le fontane, e abbiamo potuto ammirare l’elemento caratteristico del castello: la Gloriette. Quest’ultima è una
struttura ad arco, situata ad una certa altezza e ad una certa distanza dal castello. In cima ad
essa si ha la possibilità non solo di ammirare la residenza, ma soprattutto di godere della visione
di tutta Vienna dall’alto. Ammirare, invece, l’opera del famoso pittore ci ha emozionati e colpiti
per l’intensa atmosfera e maestosità dell’ambiente. Come di consueto, non sono mancate le
risate ma anche le preoccupazioni, soprattutto per gli innumerevoli treni persi! Questa esperienza
ci ha giovato sotto tutti i punti di vista, abbiamo imparato a viaggiare liberamente con treni e metropolitane, abbiamo imparato ad orientarci in una città magnifica e multietnica.Abbiamo anche
notato, con grande dispiacere, ma senza particolare sorpresa, che gli Austriaci sono alquanto diffidenti nei confronti della nostra nazione, specialmente nei confronti degli Italiani stessi, considerati
come quelli della “caciara” e dell’immaturità e superficialità. Abbiamo accettato la critica considerandola come motivo di sprono per un futuro migliore, ma è anche grazie al nostro spirito e
alla nostra allegria che siamo riusciti a divertirci con semplicità e collaborazione. Il resoconto di
questa esperienza è sicuramente positivo, ci siamo arricchiti di nuovi ricordi e amicizie valorizzate;
un grazie speciale è indirizzato a tutti quelli che hanno permesso questa settimana indimenticabile, i nostri genitori e,ovviamente, la nostra cara scuola!
Giulia Ciampoli IV AL
24 MARZO 2014: un giorno da ricordare
per sempre solo per il coraggio che hanno dimostrato i 70 ragazzi “pellegrini”delle
QUINTE del “de Titta”, ai quali è toccato subirsi ben 18 ORE di viaggio da Lanciano a Budapest . Però, bisogna ammetterlo, ne è valsa
la pena! Il programma è stato rispettato dalla
partenza: dopo il primo giorno trascorso in autobus con soste, mal di schiena, film, karaoke
e ragazzi tramutati in zombie, nonostante le
battute microfonate dell’autista, gli studenti
sono arrivati a destinazione in un hotel a 4
stelle (chi se lo aspettava!). La cena a buffet è
proseguita la visita alla città con tappa al
museo del terrore, per poi ripartire nel primo
pomeriggio versoTrieste. Superare il confine significava per tutti trovare il tanto amato cibo
italiano. Il quinto giorno i ragazzi hanno esplorato la città italiana, con una visita con guida
alla Risiera di San Saba (per capirci, dove è
stato girato il famosissimo e bellissimo film ‘La
vita è bella’), più il giro autonomo per le vie
triestine. Il sesto giorno (tristemente ultimo) ci
L’ultimo grande viaggio…
Budapest e Trieste!
stata gradita soprattutto per la presenza di
prodotti locali. Il secondo giorno, finita la colazione in hotel, i ragazzi hanno visitato con due
guide sia Buda che Pest, restando tutti amorevolmente “core a core”! Il terzo giorno le
quinte hanno visitato il parlamento ungherese
e il pomeriggio (il migliore fra tutti) le mitiche
terme Szechenyi, perché, dopo tutte quelle ore
stressanti di viaggio, un po’ di relax se lo meritavano! Non contenti di tutto ciò, come se
non bastasse, hanno cenato sul battello percorrendo tutto il Danubio con un favoloso panorama della città notturna. Il quarto giorno è
siamo fermati - come ultima tappa - al castello Miramare per poi ripartire verso la cittadella abruzzese.Tra corse, appelli martellanti
al microfono ogni qual volta si risaliva sull’autobus, mappe illeggibili, estenuanti ricerche di
un pub ignoto, l’ultimo grande viaggio d’istruzione e di distruzione mentale e fisica è giunto,
purtroppo, al termine.
Emanuela Sciarretta,
Concetta Biscotti V AP
9
LA SCUOLA SI APRE AL MONDO
Stage in Spagna
Una vuelta por Valencia
Quest’anno la meta dello stage in Spagna è cambiata:
invece che Salamanca si è optato per Valencia, capitale
della Comunidad Valenciana. Le quarte di quest’anno si
sono divise in due gruppi e hanno visitato per una settimana la città spagnola. Sin dal nostro arrivo, la città ci
è sembrata fantastica, forse di più di quel che ci aspettavamo. Le famiglie fin dall’inizio sono state gentilissime
e molto ospitali mettendoci subito a nostro agio. Dopo
esserci sistemati, abbiamo pranzato e ci siamo diretti
alla scuola dove avremmo seguito le lezioni per l’intera
settimana. Il primo giorno è stato molto interessante,
ma allo stesso tempo anche molto faticoso per via del
viaggio. Nei giorni seguenti, oltre a seguire le lezioni di
lingua all’interno della scuola, abbiamo visitato la città,
sia la parte antica che quella moderna. La prima meta
è stata la “Torre del Miguelete” conosciuta semplicemente come Miguelete, un’alta torre campanaria annessa alla cattedrale di Valencia. La torre prende il suo
nome da una delle campane della cattedrale. Dopo
averci spiegato la storia di questa torre, siamo saliti per
300 scalini fino ad arrivare alla cima da cui abbiamo potuto ammirare tutta la città. La vista era fantastica, l’ambiente ideale per scattare bellissime foto. La sera tutti
insieme siamo andati in un locale per mangiare i “Mon-
Le classi terze del Liceo delle
Scienze Umane dal 2 al 6 dicembre
2013 hanno affrontato una nuova
esperienza: lo stage formativo. Le settimane di stage previste sono solitamente due: una al primo quadrimestre
ed una al secondo. Lo stage è un periodo di tempo che gli studenti trascorrono in un’azienda, in una ditta o,
come nel nostro caso, nei plessi della
scuola dell’infanzia e della scuola primaria. I ragazzi del Liceo delle Scienze
Umane sono andati in varie scuole dell’infanzia: “Maria Vittoria”, “Principe di
Piemonte”, “Olmo di Riccio”, “Marcianese”. Nella scuola di “Olmo di Riccio” le sezioni sono eterogenee,
ovvero composte da bambini di fasce
di età differenti. In tale plesso è presente anche la sezione primavera per i
bambini di 2 anni. In media le sezioni
sono composte da 28 bambini.
Una volta arrivati nella scuola di
“Olmo di Riccio”, noi ragazzi siamo
stati divisi per le classi, per iniziare
questa nuova avventura. Le lezioni cominciavano alle 8.35 con l’accoglienza
di tutti i bambini; terminata questa, i
bambini facevano colazione. Alle 9.30
iniziavano le attività: ad ogni bambino, a
seconda della fascia d’età di appartenenza, veniva affidato il proprio lavoro,
10
taditos”, dei piccoli panini con vari ripieni che i valenciani sono soliti mangiare come aperitivo.Tutti abbiamo
apprezzato molto i montaditos e insieme abbiamo passato una bellissima serata tra chiacchiere e risate. L’altra meta importante che abbiamo raggiunto è stata la
“Ciudad de las Artes y las Ciencias”, un amplio complesso architettonico di recente costruzione nel quale
si trovano l’Hemisferic, un cinema 3D di forma inusuale, infatti è simile a un occhio umano. Qui abbiamo
visto un film in 3D sulle rinomate feste valenciane, “
Las Fallas”, che,però, non abbiamo avuto occasione di
vedere dal vivo dato che si sarebbero svolte nella settimana dopo la nostra partenza per l’Italia. Queste
feste sono molto radicate nella cultura cittadina e tutti
i valenciani vi partecipano attivamente durante tutta la
settimana dei festeggiamenti; ogni quartiere produce
dei “Ninots”, delle statue fatte di cartapesta e legno
che vengono bruciate nell’atto più importante chiamato “Nit de la Cremà”. Il fuoco,infatti, è considerato
un simbolo di rinascita. Ritornando alla città della
scienza, abbiamo visitato il complesso maggiore dove si
trovavano vari stand dedicati ognuno ad un ambito
scientifico, dal corpo umano fino alla struttura dell’universo. La visita è stata molto interessante soprattutto
perché abbiamo potuto, grazie ai vari esperimenti, approfondire ciò che avevamo studiato solo sui libri. Nel
pomeriggio abbiamo invece visitato l “Oceanografic”,
uno degli acquari più grandi e belli d’Europa, dove abbiamo potuto ammirare moltissime specie marine, sia
pesci che mammiferi, come ad esempio i delfini, protagonisti di un bellissimo spettacolo. Ormai alla fine dello
stage abbiamo assistito a uno degli eventi rappresentativi delle feste valenciane: “la Mascletà”, un evento durante il quale , nella piazza principale della città,
scoppiano con armonia vari fuochi artificiali che, però,
producono solo rumore Per i turisti come noi è difficile capire l’importanza di questo evento per la cittadinanza, visto che è difficile intuire la composizione di
suoni che producono le esplosioni. L’ultimo giorno, per
concludere in bellezza, siamo andati sulla spiaggia dove
abbiamo potuto gustare il piatto tipico valenciano, “ la
Paella”, riso cotto nella pentola chiamata paellera con
carni e verdure. Abbiamo trascorso il resto del pomeriggio sulla spiaggia approfittando della giornata di sole.
Finito lo stage, nella nostra mente rimane un bagaglio
di emozioni, ricordi, esperienze che non dimenticheremo mai.
La Morgia Gabriela IV BL
Pronti partenza…Stage
che consisteva in disegni, lavoretti con
la carta oppure con vari oggetti, come
ad esempio il muschio. Una volta terminate le attività, essendo periodo natalizio i bambini facevano le prove della
recita. Una volta alla settimana a scuola
arrivava l’insegnante di canto che aiu-
tava i bambini e le maestre a fare le
prove per la recita. Terminate le prove,
i bambini si preparavano per il pranzo
seguendo una dieta ben specifica.
Dopo il pranzo, si riunivano tutti insieme nell’ingresso per un momento
ricreativo poco prima di andare a dor-
A tu per tu con
il nostro passato
Visita al Museo “La Civitella” di Chieti
Lo scorso 18 marzo la classe I A del Liceo Linguistico si è recata a Chieti,
accompagnata dalla professoressa Nanda Torella, per visitare il Museo Archeologico ‘La Civitella’. La visita, durata quasi due ore, ha interessato gli
alunni che, accompagnati dalla guida del museo, hanno potuto visitare le tre
sezioni in cui esso è diviso. La prima è quella de “L’inizio della storia urbana”,
nella quale sono esposte le ricomposizioni dei frontoni in terracotta che nel
II secolo a.C. appartenevano all’Acropoli di Teate Marrucinorum. La seconda
rappresenta, invece, lo spazio pubblico e civile dell’Urbs. Mentre la terza, chiamata “La terra dei Marrucini” contiene i reperti provenienti dalla formazione
di Teate (attuale Chieti). E’ stata,dunque, un’uscita inerente al programma di
studi, che è stata apprezzata dagli alunni perché interessante e allo stesso
tempo affascinante per i reperti esposti.
Piccinini Alessio I AL
mire. Mentre i bambini di 3 e 4 anni
fanno il “riposino pomeridiano” dalle
14.00 alle 16.00, quelli più grandi compiono attività di base (come imparare
le vocali, i numeri, per apprendere a
leggere, a scrivere, a contare).
Dopo il riposino e le attività, arriva
la merenda e, subito dopo, un momento ricreativo poco prima di tornare a casa. Le attività terminavano alle
16.30. Il compito dei ragazzi era quello
di aiutare le maestre e di verificare con
la pratica ciò che studiano sui libri.
Lo stage, a mio parere, è stata una
delle esperienze più belle che io abbia
fatto, perché ciò che si studia sui libri
può essere messo in pratica, si comprende il lavoro degli insegnanti della
scuola dell’infanzia (che molto spesso
non vengono adeguatamente valorizzati per l’indispensabile lavoro educativo e formativo che svolgono) e, in
ultimo – ma non in ordine di importanza – si sta giorno per giorno a contatto con i bambini che, come scrisse
un grande autore, “sono la forma più
perfetta di essere umano”: un loro sorriso riesce a compensare tutte le ore
di studio.
Arianna Chiarini III ASU
LA SCUOLA SI APRE AL MONDO
Visita guidata a Roma:
il fascino dell'arte antica
Il giorno 6 febbraio 2014 la I BL si è recata a Roma per assistere ad un'importante mostra di opere classiche, tenutasi
nelle Scuderie del Quirinale, dove in quei giorni erano custodite
tante opere artistiche risalenti all'età augustea. Era un evento
da non perdere! Siamo partiti intorno alle otto e trenta del mattino. Dopo un lungo e tedioso viaggio di tre ore in autobus,
siamo finalmente arrivati nella capitale. All'inizio eravamo tutti
molto emozionati. Guardavamo i monumentali edifici che ci circondavano con grande meraviglia:eravamo affascinati dalle bellezze artistiche romane e ci sentivamo parte integrante di un
percorso storico che ha coinvolto il nostro territorio. Appena
scesi dal mezzo, ci siamo incamminati e abbiamo iniziato a
percossere le tappe del nostro itinerario. Abbiamo ossservato il
celebre Foro Romano, antico centro commerciale, politico e religioso della Città Eterna. Era davvero esaltante camminare sul
suolo di uno dei punti più dinamici dell'epoca classica. Quelle
stesse colonne, quegli stessi edifici sacri erano stati costruiti, osservati, concepiti dagli antichi Romani. Poi abbiamo avuto modo
di visitare il ghetto ebraico di Roma, uno dei più antichi d’Italia,
simbolo della discriminazione razziale degli Ebrei .Questi, infatti,
venivano segregati in questo quartiere e dovevano indossare
berretti per distinguersi dagli altri. Sfortunatamente non abbiamo avuto l’occasione di visitare la Sinagoga. In seguito, ci
siamo spostati nella piazza della “Bocca della Verità” dove abbiamo visto il celebre mascherone e la basilica di Santa Maria
del Cosmedin, costruita nel VIII secolo da papa Adriano I, anche
se i primi progetti risalgono a papa Gregorio I. Ciò che colpisce
maggiormente è il campanile romanico che si eleva per sette
piani dal tetto con bifore e trifore. Dopo uno spuntino ad un
fast food e una piccola sosta, siamo entrati, intorno alle 15 e
trenta, nelle Scuderie del Quirinale. L’atmosfera che si respirava
era quella di un ambiente dove la cultura riusciva ad esprimersi
e ad esternarsi in tutte le sue manifestazioni. Inizialmente mi
ha colpito molto un’interessante linea del tempo di tutta la storia di Augusto, proiettata sulla parete. E’,infatti, indispensabile
avere un preciso quadro storico prima di addentrarsi nell’interpretazione di complesse opere artistiche. Poi abbiamo conosciuto la guida che ci ha parlato della vita e delle imprese
dell’imperatore Augusto. La prima scultura contemplata è stata
quella di Livia Drusilla, terza moglie dell’imperatore. La donna
viene rappresentata come Ops (personificazione mitologica
dell’abbondanza) con un fascio di spighe di grano e cornucopia
(corno, simbolo di dovizia). In seguito, è stata la volta delle numerose statue di Ottaviano, raffigurato sempre come un giovane
slanciato ed atletico. Molte infatti sono le affinità con il Dorifero
di Policleto, principale modello dell’arte greca. E’, infatti, evidente
questa somiglianza nell’opera ’Statua virile come Hermes, detto
M.Cladius Marcellus’, nella quale Augusto viene rappresentato
nudo, atletico, muscoloso e con un mantello che gli scende dal
braccio. A differenza dei Greci, i Romani non si fermarono alla
rappresentazione esteriore dei personaggi, ma miravano anche
a far trasparire dalle loro opere lo spessore interiore delle persone ritratte. Le opere concepite dai Latini non erano affatto
delle rappresentazioni fedeli, ma idealizzate. Tra le sculture più
importanti non posso non citare ‘Augusto di Prima Porta’. In
questa statua l’imperatore viene ritratto come comandante
vittorioso dell’esercito di Roma. Indossa, infatti, una corazza, sulla
quale è rappresentata una scena mitologica per evidenziare
l’appoggio delle divinità, che vedevano con favore il suo operato.
Con una mano indica di fare silenzio, con l’altra regge un bastone. In basso è visibile anche un putto, aggrappato alla gamba
destra di Augusto. La funzione di quest’opera era quella di celebrare la sua figura politica, sottolineando il suo spirito autoritario. Quando mi sono trovato di fronte alla scultura, mi sono
sentito leggermente impotente e sottomesso. Un’altra opera
degna di nota è ‘Augusto di via Labicana’ nel quale viene rappresentato come pontefice massimo, ritratto a capo coperto.
Mentre contemplavo l’opera, avvertivo un senso di stanchezza,
di staticità imperante, di freddezza nella realizzazione del capolavoro. Durante la mostra io e la mia classe abbiamo anche
visto i tesori di Boscoreale, insieme di pezzi di oreficeria costituito
da monili, piatti, vassoi e calici preziosi. I Rilievi Grimani, in particolare, raffigurano animali selvatici intenti ad allattare i cuccioli
come cinghiali e leonesse. In tutti questi casi è possibile ritrovare
quello che è il modello della lupa che allatta i piccoli, simbolo
principale della Città Eterna. Dopo aver ringraziato calorosamente la guida, esaustiva e competente, siamo usciti dalle scuderie. Ci siamo, poi, recati alla meravigliosa Fontana di Trevi,
appartenente al tardo barocco. Oltre allo splendido monumento,
era ancora più bello vedere persone di culture ed etnie diverse
contemplare con stupore la fontana.Verso le 19.00 siamo ripartiti, abbandonando con dispiacere la capitale. E’ stata semplicemente un’esperienza magnifica, interessante e alquanto
istruttiva. È stato, a dir poco, emozionante vedere da vicino
opere, conosciute sempre e solo su poderosi volumi di Storia, ed
interiorizzare sul posto i canoni dell’arte classica.
Italo Ferrante I BL
Alle Olimpiadi non si corre soltanto!
Alcuni ragazzi dell’Istituto “C. de Titta” di Lanciano, Sara
Carullo, Elena Buono e Noemi Petrosemolo, accompagnate dal prof. Scutti, si sono recati, dopo aver affrontato
le temibili domande dell’eliminatoria del “Campionato
studentesco di cultura generale”, alla finale nazionale che
si è svolta a Chianciano Terme (SI) il 5 aprile 2014. Questo
progetto è nato anche per migliorare le capacità relazionali dei ragazzi che possono mettersi in gioco con i propri
compagni prima, e con i colleghi di tutt’Italia successivamente. L’obiettivo è far comprendere agli studenti l’importanza di conoscere il mondo che li circonda e che una
buona preparazione culturale serve anche per aggiudicarsi
dei premi in linea con le aspettative dei giovani. Contemporaneamente alle finali vi è stata la premiazione del miglior Giornalino d’Istituto direttamente da AlboScuole
(Associazione nazionale giornalismo scolastico). L’organizzazione è stata efficiente tranne per la sistemazione di
noi ragazzi che, per poter fare qualunque cosa, dovevamo
scalare il Gran Canyon con tanto di pioggia e umidità (cadute e scivolate sono comprese nel pacchetto). Eccetto
per l’hotel ex-convento abbastanza lontano dal centro, la
cucina era squisita (d’altronde la Toscana è rinomata per
questo) e ciò mi è valso 1 kg in più da smaltire per l’estate.
Grazie Toscana! Vorrei fare qualche considerazione sulla
prova che abbiamo dovuto affrontare. C’erano 30 domande per tanti ambiti di conoscenza e non erano affatto
semplici! Ovviamente, le mie domande, vista la mia fortuna, erano abbastanza astruse e ciò non ha aiutato molto
la mia causa. Ma, come si suole dire, “l’importante è partecipare”! L’aspetto più bello di queste esperienze è sempre la conoscenza di altre persone che ti porta a
confrontarti con altre culture, altri dialetti (come il sardo),
altre personalità, ti porta a sperimentare notti insonni,
occhiaie peggiori di quelle di un panda ma, soprattutto, ti
porta a divertirti e a sdrammatizzare anche la sconfitta
più bruciante . Nonostante la vittoria mancata, sono stata
contenta di aver potuto rappresentare al meglio la mia
scuola e spero che le nuove generazioni sappiano fare di
meglio... sempre che la fortuna vi assista!
Sara Carullo V AP
La Giostra della Memoria
Il giorno 30 aprile, noi della classe 2BL siamo andati a San Salvo per visitare “La Giostra della Memoria”, un museo
sulle tradizioni locali, gestito dalla professoressa Angiolina Balduzzi, che ci ha subito accolto introducendo il percorso che
avremmo fatto attraverso varie stanze. Per prima cosa siamo entrati per visitare la stanza della medicina: la professoressa ci ha spiegato le diverse credenze popolari sulla magia e ci ha fatto vedere come funzionavano alcuni attrezzi
usati in medicina. Dopodiché abbiamo visitato la stanza della transumanza, dove ci aspettava la figlia della professoressa,
Valina, per farci da guida e dove c’erano brocche, cestini per il formaggio, attrezzi per la pastorizia, uno strumento per
filare la lana e strumenti utili ai calzolai. Dopo una piccola pausa, abbiamo fatto un giro veloce nel resto del museo: la
stanza sacra, della scuola, delle bambole, della pubblicità, della sposa ed altre; in tutto ne erano tredici.
Alla fine del giro c’era la stanza dei libri, con un terrazzo dove abbiamo potuto vedere parte di San Salvo dall’alto e
scattare una foto ricordo della bella mattinata. In seguito abbiamo lasciato una dedica e preso una sorpresa. Avendo
ancora un po’ di tempo libero, alcuni di noi hanno anche visitato il negozio di souvenir della professoressa. E’ stata
un’esperienza interessante e istruttiva, che ci ha fatto conoscere un pezzo della nostra storia.
Anna Cericola, Lorenzo Micolucci, Francesca Lavagnini II BL
11
LA SCUOLA DAL NOSTRO PUNTO DI VISTA
Una delle prime vere scelte della vita
Quattordici, per alcuni tredici anni, e trovarsi
a decidere un capitolo importante del proprio
futuro. Un quinquennio che regalerà veramente
un turbine di emozioni senza neppure rendersene conto… E per chi come me è giunto al
quinto anno capirà fino in fondo di cosa sto parlando. Nuova scuola, nuovi amici, una città nuova
per alcuni, un anno più grandi. Si è, così, più grandi
di un anno, eppure convinti di poter conquistare
il mondo dal momento in cui si varca quella soglia, la soglia delle scuole superiori, e pian piano
prendere coscienza nel corso degli anni, di
quanto si fosse piccoli alle medie!
I più pragmatici sanno già cosa vogliono, lo
hanno sempre saputo e sempre lo sapranno. Per
questo, hanno la mia più totale stima… Ma, per
chi è come me, bisogna comunque riconoscere
come non sia affatto una scelta facile. L’età delle
scuole medie, poi, è quella dove effettivamente
non ci si conosce bene anzi, quasi per niente.
Ogni scelta, di qualsiasi natura, viene preceduta
da un “e se poi me ne pento?”
E’ effettivamente un punto cruciale, il primo
dei molti, questa scelta. Per la prima volta bisogna
guardarsi allo specchio, osservarsi e soprattutto
ascoltarsi, per poter cogliere quella vocina piccina piccina dentro di noi desiderosa di crescere,
che richiama la nostra attenzione per tentare di
dirci: “Ehi tu, sono qui! Sono io ciò che sarai da
grande… ma ancora non lo sai!”
Consigliarsi all’infinito senza effettivamente
fronteggiare la scelta, a parer mio, non ha molta
utilità. Come anche i consigli di chi ha frequentato le scuole diversi anni prima di noi: i programmi cambiano, cambiano i ragazzi e,
soprattutto, cambiano anche i professori. E’ importante essere al corrente di come effettivamente si svolgano le lezioni e sulla qualità di esse
nella nuova scuola: io, in primis, mi sento di sug-
gerire, come fonte alla quale attingere informazioni sulla scuola, i liceali stessi. Chi meglio di
loro (ossia noi) può dire ad un ragazzo tredicenne se vale veramente la pena imboccare
quella strada, in base alle proprie aspettative?
Non è stato questo il mio caso, paradossalmente,
scendendo nel personale. Cinque anni fa non parlai con nessuno, volli prendere coscienza da solo
di ciò in cui credevo: una volta fatto questo, non
avrei avuto bisogno di nessun parere esterno che
potesse farmi cambiare idea o riconfermarla. Tuttavia, non sono in contraddizione con il mio
stesso pensiero: se avessi avuto un qualsiasi dubbio o incertezza, sarei corso subito a chiedere a
qualcuno più grande di me, come tra l’altro sto
facendo ora, con i miei amici che frequentano
l’università. Io, che da sempre sono stato attratto
dal diverso, da ciò che non si conosce e, a volte,
misterioso. La scelta del Liceo linguistico non è
stata affatto causale: sono riuscito a cogliere
quella vocina che mi sussurrava “Daniel, lo sai tu
e lo so anch’io: non puoi permetterti di andare a
ragioneria” (come inizialmente pensavo). Gran
parte del mio tempo, l’ultimo anno di medie, lo
passavo letteralmente assopito da tutto ciò che
non aveva a che fare con l’Italia e l’italiano: stupito e meravigliato da come le espressioni che
fanno parte della lingua parlata, in altre nazioni si
potessero dire in modo diverso; ma anche le
varie pronunce, le lettere, i suoni, e poi i visi, i
luoghi, i colori… Finalmente era venuto fuori,
con caratteri alquanto autoritari e ideologicamente decisi a rimanere, quello che avevo sempre temuto potesse essere un’aspirazione
passeggera. Perciò, se posso permettermelo, è
questo il mio più semplice ed umile consiglio:
guardate dentro di voi, imparate pian piano a conoscervi, fate finalmente amicizia con voi stessi!
E poi osservate le materie del vostro indirizzo
che prediligete, approfonditele prima, alcune,
quelle nuove per voi, tentate un approccio con i
corsi, qualora la vostra ipotetica futura scuola ne
metta a disposizione, e scoprirete se esse in qualche modo vi rispecchiano e sono vicine al vostro
(voler) essere.
Daniel Cicchitti V AL
Partito il conto alla rovescia al momento innominabile:
100, 99,…80,…60,… 30… notti prima dell’esame!
Lo strano evento che colpirà gli
scatenati conigli, pseudo leoni,
ergo studenti, è alle porte e non risparmierà nessuno, almeno che
tu non faccia parte della categoria
“secchioni”, per i quali l’unica preoccupazione è uscire con 100, altrimenti 99 sciupa la media
perché ha solo 2 cifre. Togliete il
cerume dalle orecchie, altrimenti
non ascolterete bene la notizia:
voci di corridoio dicono che il
prossimo anno la terza prova sarà
ministeriale, quindi se hai un minimo di buon senso, tu che leggi,
12
diplomando, usa un po’ di logica e
senz’altro capirai che sarà meglio
per te
superare quest’anno
l’esame, anche con un semplice
59 più calcio nel derrière!
I soliti consigli da rivista femminile non ci sono, tanto meno vogliamo fare sedute terapeutiche
per calmarti ma, ti prego, anche
se non ti conosco, posso dirti che
fare il conto alla rovescia non significa aspettare il giorno della
fine, ma solo contare quanto
manca alla tanto famigerata libertà!
Vai alla ricerca di un qualunque
argomento per la mappa concettuale e collega le materie nel
modo più decente possibile e non
ti preoccupare se matematica non
la metti perché non si ricollega
con un bel niente (almeno un
mese prima fatti un’idea perché
all’ultimo momento non farai in
tempo a cambiare idea!). 100 notti
prima dell’esame ti consiglio di
passarle come vuoi, l’importante
non sui libri, altrimenti ti porterai
sfortuna da solo, 30 notti prima
degli esami non pensare al-
l’esame perché rischi di fartela
sotto prima del dovuto, 7 notti
prima inizia a trovare santini, oggetti scaramantici e portafortuna
ai quali ti affiderai in seguito e la
notte prima dell’esame prega,
spera e disperati con gli oggetti
prima citati e goditi il profumo
della paura e non dormire perché
le occhiaie sono d’obbligo il
giorno dell’esame; forse sarebbe
anche il caso di aprire i libri, ma
per quello c’è sempre tempo: l’ora
prima!
Concetta Biscotti V AP
LA SCUOLA DAL NOSTRO PUNTO DI VISTA
Questa scuola mi distrugge!
“Uffa, oggi non posso uscire.. Devo studiare tante
pagine “
Quanti di voi hanno mai detto o pensato che la
scuola rovini la vita di ogni alunno?
Non fu mai pensata cosa più sbagliata: al contrario,
però, qualche inghippo nel nostro sistema scolastico
c’è sicuramente. Le grandi proteste studentesche del
’68 hanno garantito a tutti i giovani di oggi un’istruzione più che dignitosa, un sistema d’istruzione riconosciuto in tutto il mondo e soprattutto la garanzia
di aver sulle spalle un ampio bagaglio culturale al termine del percorso formativo seguito.
E allora perché tanti ragazzi si lamentano?
Il problema risiede sicuramente nell’assenza di stimoli forniti agli alunni, dallo scarso interesse che talvolta anche gli insegnanti trasmettono nel loro lavoro
e probabilmente anche dal metodo di svolgimento
delle lezioni: non parlo degli insegnanti – ormai diventati come leggende metropolitane tra i corridoi
scolastici – che assegnano pagine senza spiegare, no.
Parlo di quegli insegnanti che preferiscono la lezione
senza pause e annesso compito per casa alla fine
dell’ora alle lezioni interattive, ai documentari visti
in classe e alle gare per far sì che un po’ di sana competitività sproni gli alunni a dare il meglio.
E sì, perché se da docente ormai si è acquisita la
maturità adatta a capire che lo studio è importante
ad aprire la mente del singolo, nell’età dello sviluppo
e dell’adolescenza, sono pochi i ragazzi che vedono
nella scuola quella vena positiva che, fatta fruttare al
meglio, può diventare un giorno il filo di Arianna.
“ Sì, ma io non voglio continuare a studiare, voglio
andare subito a lavorare. “
Certamente è lecito poter decidere di non voler
proseguire gli studi una volta terminata la scuola
dell’obbligo, ma ciò che nuovamente non viene preso
in considerazione è l’utilità dell’istruzione al di là dei
fini puramente concreti.
Sabato a scuola
oppure no?
In questo periodo anche nella
nostra scuola sentiamo discussioni
sul fatto se si debba venire a
scuola il sabato oppure no.
Da un certo punto di vista la
chiusura del sabato presenta alcuni aspetti positivi, in quanto non
si ha un solo giorno di riposo, bensì
due e si affronta la settimana più
tranquilli e riposati. Il sabato mattina, al posto di andare a fare colazione con gli amici oppure dormire,
si potrebbero svolgere i compiti per
il lunedì cosicché si possa avere la
domenica libera che solitamente è
il giorno in cui si riunisce tutta la famiglia dopo aver affrontato una settimana stressante.
Avere il sabato libero però non
presenta soltanto aspetti positivi ,
ma anche negativi in quanto molti
ragazzi spesso il sabato mattina al
posto di studiare preferiscono dormire. Per raggiungere il numero
delle ore totali settimanali, eliminando il sabato bisognerebbe af-
frontare un rientro pomeridiano che
comporta una pausa pranzo limitata (di circa un’ora). Inoltre, l’attenzione
durante
le
ore
pomeridiane tende ad essere
molto più bassa rispetto alla mattina.
Un altro aspetto molto importante da analizzare è il fatto che
molti studenti sono pendolari e non
tutti, usciti da scuola il pomeriggio,
possono riprendere l’autobus immediatamente e tornare a casa. Da
alcuni sondaggi molti genitori sostengono che il sabato a casa non
sia positivo in quanto il ragazzo
tende a svolgere i compiti la domenica sera e, quindi, perderebbe l’allenamento allo studio costante.
Io sarei d’accordo con l’attuazione della settimana corta solo se
la nostra scuola ci permettesse di
svolgere, durante il rientro pomeridiano, attività di laboratorio evitandoci, così, attività più “pesanti”.
Arianna Chiarini III ASU
Sì, perché la matematica stimola il ragionamento
logico tanto quanto l’italiano e la filosofia spronano
forme di pensiero più complesse: sviluppano l’abilità
di ragionamento attraverso lo studio delle temperie
culturali dei secoli passati, lasciando che l’individuo
riesca anche ad acquisire una proprietà di linguaggio
discreta. Perché è questo il fine dell’istruzione: prevenire l’ignoranza, il male più grande tra tutti.
La Cultura è il trampolino di lancio per il successo
del singolo, la salvezza dalla mediocrità e la grande
meta sudata e poi raggiunta che riempie di orgoglio
tutti coloro che con il duro allenamento e i tanti sacrifici sono riusciti a conquistare il “gran premio” del
sapere. “ E allora come faccio a trovare la voglia di
aprire i libri? ”
Facile, basta trovare la giusta motivazione e capire
che lo studio non serve per non rovinarsi l’estate
con i “debiti”, per non essere bocciati o per prendere
un buon voto all’interrogazione, perché ciò che copi
oggi ti rovina domani. Non c’è cosa più bella di potersi creare un pensiero personale, magari anche un
po’ eclettico formatosi sulla scia di più idee riunite e
riadattate. Lo studio ci aiuta a diventare persone migliori e a maturare punti di vista complessi e più interessanti, ci aiuta a combattere la mediocrità e
l’ignoranza e soprattutto a comprendere quanto non
si smetta mai di crescere e di imparare.
Claudia de Sanctis V BS
It’s the final countdown!
All’età di 19 anni, secondo le usanze dell’Italia, la “Maturità”, come viene chiamata, costringe i ragazzi, forgiati da cinque anni di studio, a combattere, riducendoli
alla fatica, a studiare e, se necessario, a copiare. Ma in quel del “de Titta” non c’è
spazio per la debolezza. Solo i duri e i forti possono definirsi maturandi. Solo i duri.
Solo i forti. L’11 marzo 2014 gli studenti di tutta Italia hanno iniziato il fatidico
conto alla rovescia per l’esame di stato e, come vuole la tradizione, anche le quinte
del nostro istituto si sono concesse tre giorni di svago prima di immergersi completamente nello studio matto e disperato. La maggior parte degli studenti ha optato
per un week-end spartano fra gli arbusti e le “umili tamerici” del lago di Bomba, non
dimenticandosi però di dare libero sfogo alla loro creatività fermentata dai celebri
“fumi dell’alcool”. Tuttavia, in quest’atmosfera festosa né il panico né le incertezze
per l’avvenire hanno dato pace agli animi frustrati dei maturandi che hanno cercato
di alleviare i loro fardelli immortalando buffe espressioni, improvvisandosi piccoli
esploratori della natura e cimentandosi in “competizioni” canore, partite di pallavolo
e nella preparazione di pietanze prelibate degne dei loro raffinati banchetti (arrosticini, pizze surgelate e patatine fritte). Le serate invece sono state allietate da coloro che, come si suol dire, avevano alzato un po’ il gomito suscitando il riso e
conquistando la simpatia anche degli studenti dei bungalow limitrofi, tanto da creare
un inusuale rapporto di armonia e complicità, comprensibile solo a chi sa di dover
condividere lo stesso tragico destino.
Tra pianti, risate e pazzie sono purtroppo volati anche questi giorni all’insegna
del “carpe diem” : i maturandi sono stati richiamati ad affrontare la triste realtà!
Giorno dopo giorno, ora dopo ora, si fa ricorso all’ora et labora, ma teniamo bene a
mente che, dopo una lunga lotta, abbiamo avuto la forza di arrivare fin qui, al traguardo: ci resta solo trovare il coraggio di superare anche l’ultima battaglia, così da
poter finalmente uscire vincitori da questa guerra. E dunque, studenti di tutto il
mondo, uniamoci! Facciamo quello per cui siamo stati addestrati, per cui siamo stati
cresciuti, per cui siamo nati. Niente sessanta, nessun bocciato.Una fine memorabile.
Martina Nicolò e Giulia Zappacosta VA L
13
LA DONNA NELLA NOSTRA SOCIETA’
“La forza delle donne deriva da qualcosa che la psicologia non può spiegare”.
Essere donna non significa essere madre. Essere madre
non per forza necessita di accantonare la donna. Una persona che nasce anatomicamente e fisiologicamente con caratteristiche procreative viene considerata e identificata
prima come madre che come donna. Il destino della donna
è da sempre stato identificato solo sul versante della maternità; questo ha determinato e determina tuttora in alcuni
Paesi del mondo l’enorme difficoltà che incontra una donna
nel cercarsi uno spazio che le permetta di costruirsi come
tale prima ancora di fare spazio all’idea di accedere alla
maternità.“Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. E’ solo un diritto tra tanti diritti”, affermava
infatti Oriana Fallaci, ma mentre questo diritto le è sempre
stato riconosciuto, molti altri, tra cui quelli civili, quelli politici
e quelli economici, le sono stati per tanto tempo negati. La
convinzione generale, in passato, era che le donne fossero “il
sesso debole”. Esse non potevano partecipare alla vita cittadina e politica, in quanto certi ruoli erano riservati solamente
agli uomini.
Si pensi che nell’Italia dell’800, agli albori del femminismo,
alle donne erano negati il diritto di voto, il diritto d’istruzione,
l’accesso ad alcune professioni ed altre fondamentali libertà
personali; si dovette attendere il secolo successivo per alcune
importanti conquiste sul piano del diritto civile. Solamente tra
la fine dell’800 e l’inizio dell’900, infatti, la condizione della
donna cominciò a cambiare e incominciarono a nascere organizzazioni contro la società misogina che da secoli le opprimeva. Nel 1872 sorse, nel Regno Unito, il movimento
delle suffragette con l’intento di chiedere il suffragio femminile. I movimenti rinvigorirono quando nel 1903, Emmeline
Pankhurst fondò, in Inghilterra, la “Unione Sociale e Politica
delle Donne”, il cui fine era quello di far loro ottenere il diritto
di voto politico.
Per farsi ascoltare iniziarono lo sciopero della fame, si incatenarono alle ringhiere per non essere portate via durante
le manifestazioni. Esasperate, ad un certo punto, passarono
Donne e Politica
da semplici manifestazioni a lotte violente, incendiando cassette postali e rompendo finestre; molte, quindi, vennero arrestate.
Dopo anni di lotte, nel 1918, il parlamento inglese approvò il suffragio universale femminile, concesso, però, in un
primo momento solamente alle mogli dei capifamiglia che
superavano i trent’anni d’età. In seguito, il 2 luglio del 1928,
venne esteso, invece, a tutte le donne.Tale diritto venne riconosciuto, prima ancora che in Inghilterra, in Nuova Zelanda
nel 1893. I successivi Paesi a riconoscere il diritto di voto alle
donne furono: la Germania (1919), gli Stati Uniti (1920), la
Francia (1945) e la Svizzera (1971). In Italia, le donne votarono per la prima volta il 2 giugno del 1946, in occasione
del referendum nazionale relativo alla scelta tra monarchia
e repubblica e delle contemporanee elezioni dei membri
dell’Assemblea costituente. Pian piano, dunque, la donna è
riuscita ad avvicinarsi sempre più al mondo della politica,
fino a diventare una vera e propria elettrice. Ma il ruolo politico della donna è sempre stato visto per molto tempo
come qualcosa di passivo. Ciò non è affatto giusto; le donne
sono elettrici, ma devono essere anche elette ed avere la
consapevolezza che essere elette dà la possibilità di migliorare qualcosa, la nostra società, noi stesse.
E’ doveroso ora ricordare quelle donne che con la loro voglia di riscatto, la loro energia e la loro creatività sono riuscite
a cambiare il mondo.
Per ciò che riguarda la politica, Margaret Thatcher e Aung
San Suu Kyi non sono che due esempi.
Margaret Thatcher ha segnato un’epoca nel Regno Unito.
Verrà ricordata a lungo anche dalla storia internazionale,
non solo per essere stata la prima donna, e fino ad ora unica,
a capo del governo inglese, ma anche per essere diventata
durante la carriera politica uno dei personaggi più influenti
del XX secolo. La Thatcher divenne Primo Ministro nel mag-
gio del 1979 e, subito dopo l’elezione, cercò di fare scendere
il tasso di disoccupazione, introducendo una serie di iniziative
politiche e sociali. Da parlamentare, inoltre, fu uno dei pochi
conservatori a favore dell’omosessualità maschile, dell’aborto
e del mantenimento della pena di morte, suscitando diverse
controversie. Pertanto, la sua permanenza al potere fu per
alcuni un’odiosa esperienza, per altri un mito, per tanti un
esempio. Per tutti, comunque, sarà sempre la “Lady di ferro”.
Aung San Suu Kyi è, invece, una politica birmana. Cresciuta fuori dal suo Paese, tornò in Birmania nel 1988 per
impegnarsi nel processo di democratizzazione nazionale.
Promotrice della “Legge Nazionale per la Democrazia”, divenne ben presto il simbolo dell’opposizione non-violenta al
regime militare ottenendo, per questo, nel 1991, il premio
Nobel per la Pace. Il regime militare, però, ha sempre cercato
in tutti i modi di ridurla allo stremo: l’ha tenuta per anni agli
arresti domiciliari per limitarle gli strumenti di lotta. La Birmania, infatti, oggi non è ancora libera e il passato, caratterizzato da un governo dispotico e sanguinoso, ha lasciato
impronte indelebili sulla nazione. Sono solo due esempi per
dire che la politica deve diventare un impegno comune, deve
diventare qualcosa di normale, non deve essere anormale,
non deve fare notizia il fatto che ci sia solo una donna a
guidare un partito politico.
Una donna deve sapere di poter essere protagonista della
vita politica, professionale, sociale e familiare e deve avere la
consapevolezza di poter essere tutto questo con naturalezza
e successo.
La diversità di ognuno di noi deve essere la base di quella
collettività migliore che vogliamo costruire, collettività all’interno della quale la donna deve presentarsi come una figura
chiave in tutta la sua completezza, complessità, libertà e individualità.
Tecla Moretti V AL
Più rosa nell’impresa
L'errore più comune che spesso commettono
coloro che lottano per sostenere una causa è
quello di considerarsi vincitori in seguito ad una
sola battaglia vinta.
Le donne, forse, si sono accontentate, per così
dire, del diritto di voto e di rivendicazioni sociali
dimenticandosi che la lotta per l'emancipazione
non è ancora terminata: il settore economico, soprattutto nell'impresa, resta tutt'oggi da conquistare. Le donne continuano a guadagnare circa il
18% in meno rispetto agli uomini e, pur costituendo il 52% della popolazione europea, rappresentano solo un terzo dei lavoratori autonomi o
dirigenti di un’impresa. Questi dati potrebbero essere giustificati dal fatto che la maggior parte delle
donne decide di non intraprendere una carriera
imprenditoriale per via delle responsabilità familiari alle quali deve adempiere in qualità di madre,
ma la famiglia non dovrebbe essere un ostacolo
alla strada che l'imprenditoria femminile si sta progressivamente costruendo. A questo proposito la
Commissione europea ha adottato una serie di
14
azioni a sostegno delle lavoratrici indipendenti,
volte sia ad aumentare la loro consapevolezza
circa le opportunità di una carriera autonoma sia
ad incentivare la creazione di nuove imprese, dal
momento che le donne rappresentano una fonte
di potenziale imprenditoriale non indifferente.
Creatività, diligenza, competitività sono le parole
chiave quando si parla di crescita economica e
coincidono alla perfezione con le qualità che caratterizzano da sempre la figura femminile.
Se nel passato era fonte d'ispirazione per artisti,
autori e poeti che, ammaliati, ne cantavano la bellezza e la sensibilità, oggi la donna rappresenta
anche una vera e propria fonte di creatività e di
potere, dimostrando una leadership di gran lunga
superiore e più efficiente rispetto a quella maschile; infatti, la "tenuta" delle imprese guidate
dalle donne è nettamente maggiore rispetto alle
performances di quelle capeggiate da un uomo, è
dunque inammissibile che nel 2014, a distanza di
ben 142 anni da quando le suffragette si battevano
per la parità dei sessi, le donne non abbiano an-
cora tutte le opportunità e i diritti che meritano.
"Credo fermamente che, quando le donne
hanno successo, l'America ha successo": queste
sono le parole del presidente degli Stati Uniti Barack Obama che, durante il suo discorso alla nazione, ha espresso il suo disappunto per quanto
riguarda le disparità dei sessi negli USA, proponendosi di risolvere questa questione al giorno d'oggi
imbarazzante, che ormai va avanti da troppo
tempo. Di parole, però, ne abbiamo sentite abbastanza, adesso forse è arrivato il momento di agire
per trovare una soluzione che sia questa volta definitiva, anche se si sa che “tra il dire e il fare c'è
di mezzo...”
Le donne fino ad oggi si sono avventurate in
acque ostili senza salvagente, sono state travolte
da maree di difficoltà e pregiudizi avendo come
unico scoglio a cui aggrapparsi i loro sogni e le
loro convinzioni: quanto ancora dovranno “nuotare” per poter emergere nel mondo del lavoro
una volte per tutte?
Giulia Zappacosta VAL
LA DONNA NELLA NOSTRA SOCIETA’
La donna: una stella nascente
In un passo delle Sacre Scritture si legge “la donna uscì
dalla costola dell'uomo, non dai piedi per essere calpestata,
non dalla testa per essere superiore, ma dal lato per essere
uguale...”
Se compiamo un viaggio a ritroso nel tempo attraverso i
secoli, scopriamo che questa frase è solo un’utopia dal momento che fin dall'antichità la donna è stata considerata
come un oggetto, quasi un peso per l’uomo e per la società;
era vista nei ruoli classici di moglie, madre, schiava, legata
dunque all'ambiente del focolare domestico; era ritenuta inferiore sia dal punto di vista fisico che intellettuale, tanto che
perfino alcune teorie biologiche vennero impiegate per ostacolare l’ingresso femminile nel mondo della ricerca scientifica
e, più in generale, della conoscenza. Sulla base di tali teorie
le donne erano considerate esseri irrazionali ed emotivi, per
questo ritenute negate per il lavoro scientifico; inoltre si riteneva che l’evoluzione avesse sviluppato in loro abilità e attitudini domestiche e pertanto troppa scienza avrebbe
danneggiato la loro femminilità, rendendole inadatte al ruolo
di madri. Con la scoperta che il peso del cervello femminile
risulta mediamente di circa 100 grammi inferiore a quello
maschile, fu la scienza per prima ad emarginare le donne.
Paradossalmente, però, in età moderna è proprio questo ambito che si distinguono figure femminili di rinomanza internazionale. La prima donna scienzato nel senso moderno
del termine fu Ipazia di Alessandria.
Nata nel 370 d.C., fu educata dal padre nel celebre
museo di Alessandria, centro della cultura nel periodo ellenistico. Scrisse molti libri di matematica e astronomia; pubblicò
studi di meccanica e tecnologia; fu l’inventrice dell' idroscopio,
del planisfero, dell'astrolabio. Era la donna più sapiente dell'antichità, ma pagò con la sua stessa vita le inclinazioni
scientifiche che la resero così sapiente, poiché fu uccisa da
un gruppo di violenti fanatici. Fu uno dei tanti tentativi compiuti per mettere a tacere le donne che, con il passare dei
“ In Italia in media ogni due o tre giorni
un uomo uccide una donna, una compagna,
un’amante, una sorella, una ex. Magari in famiglia. Perché non é che la famiglia sia quel
luogo magico dove tutto é amore. La uccide
perché la considera di sua proprietà. Perché
non concepisce che una donna appartenga
a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei
e persino di innamorarsi di un altro. E noi che
siamo ingenue spesso scambiamo tutto per
amore, ma l’amore con la violenza e le botte
non c’entra un tubo. L’amore con gli schiaffi
e i pugni c’entra come la libertà con la prigione. Noi a Torino, che risentiamo della nobiltà reale, diciamo che é come passare dal
risotto alla merda. Un uomo che ci mena,
non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard-disk.Vogliamo credere che ci
ami? Bene.Allora ci ama male. Non é questo
amore. Un uomo che ci picchia é uno
stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito.
Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà
anche un secondo, e poi un terzo e un
quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore,
non rompe le costole e lascia lividi sulla faccia.
Pensiamo mica di avere sette vite come i
secoli, divenivano sempre più consapevoli delle loro straordinarie potenzialità, delle loro abilità intellettive e manuali che
le rendevano uniche, speciali e che le spinsero a riscattare
la loro dignità di essere donne, rendendole protagoniste di
una vera e propria lotta per vedere riconosciuti quei diritti
che appartenevano loro sin dalla nascita.
Questa lotta per l'emancipazione femminile raggiunse
l'apice in Italia con il diritto di voto in occasione del referendum nazionale il 2 giugno 1946, ma toccò vari ambiti oltre
alla politica, come l’arte, il mondo del lavoro, la scienza. Personalità di spicco nella sfera scientifica sono state: Marie
Curie che nel 1903 vinse il premio Nobel per la fisica, insieme al marito, avendo scoperto la “radioattività” e nel
1911 lo vinse per la chimica; la figlia Irene Curie che ottenne
il premio Nobel per la chimica nel 1935; Barbara McClinton,
definita la “mamma della genetica”, che ricevette il premio
Nobel per la medicina e per la fisiologia nel 1982. Nata
negli USA, studiando il mais nel corso di più generazioni, scoprì i “geni mobili”, ossia tratti di DNA che si spostano da un
cromosoma all'altro in maniera autonoma ed imprevedibile.
Con il suo brillante intuito diede un fondamentale contributo
alla biologia molecolare visto che in precedenza si credeva
che questi “geni mobili” fossero fatali per l'organismo. Un’altra figura femminile di importanza internazionale è certamente l'astrofisica italiana Margherita Hack, scomparsa di
recente (29 giugno 2013). Si è distinta per essere stata la
prima donna a dirigere l'Osservatorio Astronomico di Trieste,
per essere stata membro della NASA e per aver fondato la
rivista bimensile “L'Astronomia” e diretto la rivista di divulgazione scientifica e di cultura astronomica “Le Stelle”. Non
vinse il premio Nobel, ma ricevette prestigiosi riconoscimenti
che la portarono ad avere una fama mondiale. “Una piccola
signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa”,
ecco come Primo Levi definisce la protagonista indiscussa
del mondo scientifico: Rita Levi Montalcini. Nata a Torino nel
1909, è morta a Roma il 30 dicembre 2012 all'età di 103
anni.
Vinse il premio Nobel per la medicina nel 1986 insieme
al biochimico newyorkese Stanley Cohen; ricevette numerosissimi premi di prestigio mondiale fra cui cinque lauree “honoris causa” per aver scoperto il fattore di crescita delle fibre
nervose studiando embrioni di pollo nel laboratorio allestito
a casa sua. Nonostante sia stata costretta a fuggire a causa
della leggi razziali del 1939 e malgrado le difficili condizioni
economico-sociali dell'epoca, dedicò tutta la sua vita alla ricerca scientifica, tanto da essere ricordata come la “Signora
della Scienza” e da ricevere la nomina di senatrice a vita
nel 2001. Con le sue scoperte di fondamentale importanza
e con i suoi consigli di vita (“meglio aggiungere vita ai giorni
che non giorni alla vita”), Rita Levi Montalcini può essere
considerata il simbolo di una “guerriera”, di una donna protagonista della sua vita che ha combattuto contro tutto e
tutti per realizzare i suoi sogni, le sue passioni, le sue ambizioni, di una donna che ha creduto fino alla fine nel valore
inestimabile della scienza e che ha donato tutta se stessa
per il progresso della scienza e per cercare di migliorare la
qualità della vita. Le donne hanno lottato duramente per secoli per ottenere dei diritti pari a quelli degli uomini, molte
di loro hanno perso la vita per dare alle donne di oggi questi
diritti e per dare loro la possibilità di vivere in una realtà diversa. Tuttavia c’è ancora molta strada da percorrere per
riaffermare quella femminilità fatta di valori profondi e unici
e per “sfondare” in un mondo che è ancora molto maschilista nelle sue richieste e pretese. Il cammino per raggiungere il traguardo è pieno di ostacoli, ma giorno per giorno la
donna compie passi in avanti e, con la sua intelligenza, si
avvicina verso il successo, pur continuando ad essere la musa
di poeti, artisti tanto che il celebre Vasco Rossi canta “Se non
ci fosse la donna, io non mi alzerei nemmeno al mattino”.
Martina Nicolò VAL
La donna al centro del mirino
gatti? No. Ne abbiamo una sola, non buttiamola via.”
(Luciana Littizzetto)
124. Centoventiquattro donne uccise in
Italia a causa della violenza di genere, ai
quali bisogna aggiungere 47 tentati femminicidi. Lavinia, Maria Pia, Silvia, Marta, sono
soltanto alcuni dei tanti nomi di ragazze uccise nel settembre 2013.
Ragazze che “abbagliate dall’amore”,
sono state soppresse dal proprio partner. Ma
l’amore è questo? Si può arrivare ad uccidere
una persona amata? Eppure i dati parlano
chiaro: il femminicidio sta diventando un fenomeno sempre più diffuso, al quale la nostra penisola non dà molto peso. Secondo la
Casa delle donne di Bologna, il 60% dei delitti
è avvenuto in una relazione amorosa tra la
vittima e l’autore del reato, relazione che era
ancora in corso o appena conclusa, nel 25%
dei casi la donna stava per troncare il rapporto. C’è da segnalare che il Nord (Lombardia ed Emilia Romagna) vede il
compimento di femminicidi più frequentemente rispetto al meridione dove l’unica regione che fa aumentare l’escalation è la
Campania. Nella maggior parte dei casi si
parla di violenza domestica, tant’è che nel
37,5% dei casi l’autore del delitto è il marito
o il convivente. Il numero delle vittime in questa circostanza è del 31%; da precisare che
si tratta di donne straniere, mentre è indiscusso che il 73% degli assassini sia italiano.
Tuttavia, malgrado l’aumento del tasso di
omicidi, il resto d’Europa è in condizioni critiche: al momento é la Germania a detenere
il primato (con 350 vittime nel 2009), a seguire Francia (288 vittime), Regno Unito
(245 vittime).Tra i paesi extra-europei invece
spiccano il Messico con la località di Ciudad
Juarez, Etiopia, Perù, Serbia, Montenegro,
Giappone e Bangladesh (46%).
Chi pensa che la donna sia il sesso debole
si sbaglia di grosso. La donna ama, a 360°.
Una donna prova amore materno, coniugale,
fraterno. Una donna scambia tutto per
amore e il più delle volte, ci “rimette le
penne”. Lode alle donne, alla cortesia e alle
audaci imprese!
Donne che un tempo venivano conquistate con garbo e corteggiate con educazione e gentilezza, mentre adesso i pugni
prendono il sopravvento.
Lode alle donne e agli amori! Amori infiniti,
inauditi, incomprensibili, ma spesso, infelici e
masochisti. Che lo si sappia una volta per
tutte. Il macabro esempio di globalizzazione
é la diffusa violenza sulle donne. Sono i coltelli alla gola, le pistole puntate alle tempie, i
pugni, i calcio, l’acido, il commercio dei corpi,
lui che giura di non farlo mai più. Sono i vicini
che non sentono, le denuncie inutili, le fughe
disperate, la depressione, la paura, tanta, la
mancanza di forza che serve a superare
tutto questo. Quella forza indispensabile a
sorreggere il peso del dolore che uno ha.
“Credo che, oltre al bacio, ci sia un modo
migliore per amare una donna: rispettarla”.
(Audrey Hepburn).
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LA DONNA NELLA NOSTRA SOCIETA’
La donna uscì dalla costola dell’uomo per essere
uguale, non dai piedi per essere calpestata
“Le donne lo sanno che niente è perduto, che il
cielo è leggero, però non è vuoto; le donne lo sanno,
le donne l’han sempre saputo”. Così scrive Luciano
Ligabue in quello che sembra essere un vero e proprio inno alle donne, al sesso femminile, alla loro potenza che, mista alla magia, le rende uniche e speciali.
Eppure i loro diritti non sempre vengono riconosciuti e si preferisce continuare a togliere la vita a chi
la vita ci da’. La violenza sulle donne, infatti, è un fenomeno sociale presente in tutti i Paesi e diffuso trasversalmente all’ interno di tutte le classi sociali. In
Italia ed in particolare in Lombardia, Emilia Romagna
e Campania, solo nel 2012 , sono state 124 le donne
uccise. Nella maggior parte dei casi (60%) i maltrattamenti vengono attuati da parte dell’ uomo nei confronti della partner o ex partner, a causa di una
relazione conflittuale o conclusa. Ma anche altri sono
gli autori dei femminicidi, tra di essi è doveroso ricordare i figli, i colleghi, gli amici, i datori di lavoro o i vicini (6,7%). Nei delitti in famiglia prevale il movente
passionale, mentre nei delitti tra colleghi o conoscenti prevale il movente dei dissapori, seguito da fu-
tili motivi o interessi economici. La religione rappresenta un’altra grande causa di morte delle donne. È
stato così per Hina Saleem, una ragazza pakistana che
viveva a Sarezzo, sgozzata e seppellita nell’orto di
casa dal padre Mohammed Saleem, dai due cognati
Zahid e Khalid Mahmood e dallo zio Muhammad
Tariq, perché fidanzata con un italiano non musulmano. Hina si era più volte rivolta ai carabinieri e ai
magistrati per denunciare altri maltrattamenti subiti
dai suoi parenti, ma aveva sempre ritirato le denunce
poiché non ce la faceva a sostenere le accuse fino
all’ultimo. Il silenzio delle donne, infatti, risulta essere
un altro grande problema. Benché la violenza sulle
donne sia in forte aumento, la percentuale di donne
che denuncia di essere stata vittima di violenza, sia
essa psichica che fisica, è molto bassa. Esse, spesso
per paura, tendono a negare agli altri e prima ancora
a loro stesse di essere state vittime di violenza giustificando il comportamento dell’aggressore con diverse scuse, non denunciando il fatto e non
rivolgendosi a centri specializzati, anche se molti
sono i centri antiviolenza e molti sono i servizi a di-
sposizione delle donne. Primo tra tutti è il Telefono
Rosa, un’associazione che nasce l’8 marzo 1993 a Torino, in risposta ai problemi delle donne e soprattutto per far fronte alle richieste di aiuto in seguito
ad episodi di violenza in famiglia. Inoltre sono state
emanate nuove norme che hanno l’obiettivo di prevenire il femminicidio e di proteggere le vittime. L’11
ottobre 2013 il governo italiano ha approvato una
legge che prevede l’inasprimento delle pene quando
il delitto di maltrattamenti in famiglia è perpetrato
in presenza di un minore; quando il delitto di violenza
sessuale è consumato ai danni di donne in stato di
gravidanza o quando il fatto è consumato ai danni
del coniuge. Dunque, molte sono le iniziative. Le prospettive e gli aiuti offerti alle donne e molte devono
essere le speranze per un futuro migliore poiché la
donna non può essere considerata una proprietà, un
oggetto di cui disporre. “L’angelo della famiglia è la
donna”, disse Mazzini. Già… della famiglia, ma non
solo: la donna è un angelo e forse il cielo non è vuoto
perché di angeli è pieno.
Tecla Moretti V AL
IL MONDO INTORNO A NOI
Stereotipi e pregiudizi nel Mondo
Quando si parla di pregiudizi ci si riferisce a un tipo particolare di atteggiamenti.
Propriamente, sono “atteggiamenti intergruppo”, cioè posizioni di favore o sfavore
che hanno per oggetto un gruppo e si formano nelle relazioni di intergruppo. Nella
nostra società, ma più o meno in tutte le
società molto sviluppate, lo stereotipo o
pregiudizio è molto comune. Ad esempio
riferendosi agli abitanti di una nazione
come la Germania è possibile cadere in
pregiudizi come: “sono delle persone
fredde”, “sono molto sgarbati” ecc. O per
esempio, riferendoci agli Italiani i pregiudizi
più comuni sono: “sono solo dei mangiaspaghetti”, “sono tutti mafiosi”. Nell’Occidente, nonostante il grado di cultura e
istruzione che è in genere a livelli molto alti
rispetto ai Paesi sottosviluppati, c’è ancora
la presenza del pregiudizio che purtroppo
è stimolato dalla ricchezza che invade la
nostra società, in ogni forma: tecnologia,vestiario e oggetti di ogni tipo. L’uomo è tormentato dall’idea di avere sempre di più
in un mondo dove la ricchezza è messa al
primo posto: scatta perciò lo stereotipo,
oltre alla paura del diverso… Ciò conferma la forte presenza di stereotipi e pregiudizi nei Paesi ricchi.
In contrapposizione al “nostro” Occidente, ci sono, però, i Paesi poveri o sottosviluppati nei quali il basso livello generale
di istruzione e l’assenza di molte “diversità”
determinano una presenza molto minore
dei pregiudizi. Ma, torniamo alla nostra società. Essa è un complesso di ipocrisia e
falsità, ci sono sempre più “diversità” all’interno di essa che, a parer mio, vengono falsamente accettate. Un esempio su cui
riflettere è quello che segue. Come sappiamo, in questo periodo migliaia e migliaia di migranti sbarcano in Sicilia in cerca
di una vita migliore. Pochi giorni fa alcuni
barconi stavano per approdare sull’Isola di
Lampedusa ma qualcosa è andato storto
perché quel barcone non è arrivato mai a
destinazione. Esso ha imbarcato acqua ma
proprio in quel momento uno yacht passò
lì vicino, vide le gravi condizioni di quei disperati, ma non prestò alcun soccorso.
Questa è la chiara prova che ci sono gravi
pregiudizi nella nostra società; esso diventa
a volte assoluta indifferenza...
Marta Travaglini III BES
Saluti da Consonno
Negli anni Sessanta, in pieno boom economico, il Conte Mario
Bagno realizzò un progetto fantasioso: una vera e propria “città dei
balocchi” nel cuore della Brianza, in provincia di Lecco. Gli edifici del
già esistente borgo di Consonno, abitato da contadini, vennero rasi
al suolo per fare spazio alla “LasVegas italiana”. La nuova città prevedeva una galleria di negozi, sale da gioco e da ballo, cannoni e
sentinelle in stile medievale, sfingi egiziane, pagode cinesi e il
“Grand Hotel Plaza”, abbellito da colonne doriche. Con ospiti famosi e luci sempre accese, era un invito al divertimento e alla spensieratezza. Tutto ciò però al costo di una totale mancanza di
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rispetto per l’ambiente: nel periodo della sua apoteosi infatti non
mancarono iniziative di protesta. Il periodo di splendore tuttavia
durò soltanto un decennio, dopo il quale, passato l’effetto novità, iniziò il declino: il colpo di grazia fu dato dalla frana che, nel 1976,
bloccò la strada d’accesso alla città. Consonno fu abbandonata e
si trasformò in una città fantasma, come appare ancora oggi: alla
mercé di vandali e intemperie, mentre la natura lentamente si sta
riappropriando di ciò che le apparteneva.
Flavia Fioretti IV BL
Arianna Chiarini III ASU
Intelligenti si nasce
o si diventa?
Secondo alcuni studi effettuati dall’Università di Cambridge, non è possibile nascere geni, in quanto allo
sviluppo dell’individuo contribuiscono
vari fattori, quali una società adatta,
bravi insegnanti e, soprattutto, la vigorosa voglia di miglioramento personale.
A questa teoria corrisponde un’esemplare prova, quella di Leonardo Da Vinci.
Costui, uno dei più grandi geni della
Storia, nacque con un’enorme predisposizione allo studio delle scienze e
alla tecnologia meccanica: fu lui che
progettò numerosi modelli di macchine
da guerra e aeroplani, ma purtroppo la
società che lo circondava nel 1500, non
gli permise il suo completo sviluppo.
Questo per quanto riguarda la società.
Passiamo ad un altro fattore fondamentale, quella che noi chiamiamo “la forza
di volontà”. Come esempio al riguardo
possiamo ricorrere al brillante Albert
Einstein, il quale nato dislessico (e
quindi “penalizzato”), nonostante le difficoltà “biologiche”, è passato alla Storia
per le sue grandi capacità negli ambiti
della Fisica e della Matematica, e questo
solo grazie alla costante applicazione
nello studio di queste materie.
Franziska Javicoli I BL
IL MONDO INTORNO A NOI
Corruzione: un peso che costa
ai cittadini 9 miliardi l’anno
La corruzione sembra essere un problema cronico
della società italiana. Già conosciuta e già oggetto di
pubblico dibattito presso i Romani, la corruzione non
ha mai smesso di scandire il susseguirsi delle vicende
storiche del nostro paese. Ricordiamo la vendita delle
indulgenze ai tempi di papa Leone X, che generò, per ripulsa, la Riforma protestante, per passare poi, in anni
più recenti, allo scandalo della Banca Romana, che travolse il governo Giolitti nel 1892-93 e di cui parla anche
Pirandello nel romanzo ”I vecchi e i giovani”, per arrivare allo scandalo delle tangenti (ai primi anni Novanta),
indicato dai giornali anche col nome di inchiesta “Mani
Pulite” o “Tangentopoli”. Uno scandalo che, nei primi
anni Novanta, ha coinvolto imprenditori e uomini politici e che ha decimato la classe dirigente della cosiddetta Prima Repubblica. Quando si parla di corruzione
si fa riferimento, in realtà, a due reati specifici: la corruzione propriamente detta, quando si offre denaro a un
pubblico funzionario per riceverne dei vantaggi e la concussione, quando è il pubblico ufficiale a richiedere una
ricompensa in cambio di favori da elargire.
Dopo Tangentopoli, la percezione di tanti è che in
realtà la corruzione sia in Italia ancora molto diffusa.
Perché, allora, nonostante le condanne talvolta severe e
i tragici prezzi umani pagati da alcuni inquisiti, la corruzione continua a prosperare nel nostro paese? Studiosi,
sociologi, magistrati, economisti ne hanno abbozzato, in
questi anni, i motivi. Molti hanno convenuto che l'Italia
non sia ancora una democrazia forte e compiuta, con
un mercato concorrenziale ben funzionante. Le procedure della pubblica amministrazione sono farraginose. Il
modo di organizzare gli uffici eccessivamente burocratico e superato. Si lavora ancora sulla correttezza formale degli adempimenti e non sui risultati.
L'interpretazione di norme, leggi e regolamenti intricatissimi lascia ampia discrezionalità al singolo funzionario
e crea gli spiragli favorevoli per l'infiltrarsi della corruLa parola “vivisezione” letteralmente significa “sezionare da vivo”. Oggi è chiamata
"sperimentazione animale", ma è sempre la
stessa cosa. Nei laboratori scientifici si sacrificano inutilmente e cruentemente ogni
anno dai 300 ai 400 milioni di animali di
tutti i tipi. Gli esperimenti riguardano la medicina, i prodotti cosmetici, bellici o chimici
(detersivi, vernici, sigarette, coloranti artificiali,
gas di scarico, tinture per tessuti, fertilizzanti,
inchiostro, mangime per gli animali domestici ecc). In tali esperimenti, l'anestesia è
usata solo nel 15% dei casi e spesso si ricorre anche al taglio delle corde vocali affinché l’animale non possa urlare il proprio
strazio. Gli animali non solo soffrono a livello
fisico, ma anche psichico, a causa di stress,
paura, solitudine. Nel campo delle ricerche
psichiatriche e psicologiche non succede
zione.
Ci sono tuttavia anche dei motivi culturali. Lo Stato
è spesso percepito, in vaste aree del Paese, forse a causa
dello storico susseguirsi di dominazioni straniere, come
qualcosa di estraneo, di antagonista.
L'arricchimento è considerato dagli italiani come il
principale segno di distinzione e di superiorità sociale.
L'aristocrazia del denaro è l'unica gerarchia riconosciuta. I soldi facili costituiscono una tentazione cui, ai
più, è difficile resistere. Anche il potere lo si acquisisce
col denaro, più che con la competenza.
Il tornaconto personale, l'appartenenza a una famiglia,
un clan, una corporazione professionale hanno sempre
la meglio, nel Belpaese, sul rispetto per il bene comune
e l'interesse collettivo. Uno studioso anglosassone ha
stigmatizzato questa insufficienza etica degli italiani, definendola "familismo amorale" (Edward C. Banfield,“Le
Basi Morali Di Una Società Arretrata”, ed “Il Mulino”)
Forse persino la nostra appartenenza alla religione cattolica, al contrario di quanto avviene nell'ambito della
religione protestante o addirittura calvinista, ci abitua
ad essere indulgenti verso le nostre debolezze e i nostri
peccati, ci invita all'assoluzione invece che alla condanna
e all'espiazione.Valori di civismo, molto diffusi in democrazie molto più mature della nostra, trovano da noi
un'adesione soltanto formale, di facciata. La vita pubblica
italiana scorre da sempre sul doppio binario morale dei
vizi privati e delle pubbliche virtù, del predicare bene e
razzolare male.
La corruzione, intanto, non soltanto crea ingiustizia,
ma danneggia pesantemente anche la vita economica
del paese. Quando i giochi sono truccati, a vincere sono
i più furbi, non i più bravi. Se l'azienda che vince un appalto pubblico, per esempio, costruisce opere malfatte,
inutili, a costi altissimi, il danno che ne deriva alla collettività è immenso. "Ungere le ruote" diventa la prassi abituale se l'appartenenza a un clan prevale sul merito;
nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nelle aziende, nella
vita economica in genere di un paese corrotto, vinceranno i mediocri, mentre i più competenti rischieranno
di essere esclusi.
La corruzione si può battere, anzi, si deve battere, se
si vogliono vincere le sfide della globalizzazione, riformando la giustizia, rendendola più celere, riducendo il
numero delle leggi, ma aumentando la loro efficacia; migliorando la trasparenza degli atti della pubblica amministrazione; sfoltendo, nello stesso tempo, il numero di
funzionari, remunerandoli meglio e rendendo più efficiente il loro lavoro. Inoltre è necessario creare le condizioni per una maggiore collaborazione fra gli stati nel
perseguire gli illeciti.
E, soprattutto, bisogna che gli italiani riacquistino i
valori di responsabilità e di rispetto verso le regole, nella
consapevolezza che l'interesse generale così conseguito
è, in ultima analisi, se soltanto si cerca di superare una
visione miope della realtà, l'autentico, vero interesse di
tutti noi, cittadini e consumatori.
Tiziano Cocchini III BSU
La sperimentazione
animale
quasi mai che agli animali vengano date sostanze le quali attenuino il dolore. Pochissimi degli esperimenti comportano poco più
della limitazione della libertà o la frustrazione, la stragrande maggioranza causa sofferenza, spinta fino al limite della
sopportazione e spesso fino alla morte.Talvolta il dolore dura poco tempo, ma quasi
sempre dura giorni, settimane, mesi, anche
anni, fino a che non sia stato determinato il
“risultato” dell’esperimento stesso. Non vi è
alcuna legge che regoli in modo efficace la
vivisezione o tuteli in alcun modo l’animale.
Come è possibile che ancora oggi, nel 2014,
sia consentita, riconosciuta ed accettata
tanta crudeltà? Gli animali, come noi, sono
esseri viventi in grado di percepire dolore ed
alcuni uomini, riconoscendolo, operano su di
essi senza scrupolo alcuno. Gli animali vengono usati per qualsiasi scopo, anche per
sperimentare prodotti superflui: i cosmetici
ne sono un esempio.
E’ GIUSTO ?
A mio avviso, è un errore metodologico
utilizzare un animale per ottenere perfino
informazioni utili all’uomo, figurarsi per gli
esperimenti superflui: è una vera e propria
crudeltà gratuita nonché infinitamente inu-
tile! La sperimentazione animale è eticamente e moralmente inaccettabile: perché
mai l’uomo deve prendersi il diritto di sfruttare specie più indifese? Tutto questo mostra
la pochezza spirituale degli individui che si
dedicano a tali vergognose attività. La sperimentazione animale, inoltre, cela interessi
non a beneficio della salute umana (denaro,
carriera, notorietà, ecc.) e, soprattutto, esistono metodi scientifici sostitutivi molto più
affidabili e non cruenti. Come consumatori
dobbiamo, coi nostri acquisti, evitare di sostenere in qualsiasi modo aziende che ancora usano prodotti testati spudoratamente
sugli animali. Bisogna continuare ad essere
informati sempre, evitando di cadere nelle
mistificazioni e negli imbrogli di chi vuole nasconderci come stanno veramente le cose.
Giorgia Rapino V BS
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IL MONDO INTORNO A NOI
Quando l’economia incontra la vita
Per quanto banale possa sembrare l’affermazione
“la società di oggi”, questo è proprio il caso in cui è
d’obbligo utilizzarla. La società dei ‘Winner’, la società
dei ‘Loser’, la società del “se non compri non sei nessuno” e del “guarda quelle scarpe… Ma dove l’ha
prese?! Da un barbone?!”, la società dello spreco, senza
la fatica, la società del consumo: l’era della tecnologia
che, come un liquido lasciato cadere a terra, si infila in
ogni cavità che trova, della tecnologia che si infila nelle
nostre vite e non abbiamo il tempo di fermarla, e non
abbiamo voglia di fermarla… perché oramai senza non
si vive più!
A scrivere son diciottenni, che della vita ancora nulla
sanno, ma ciò di cui son certi è la loro, la nostra, voglia
di avere tutto, e subito, per poi perdere interesse di
tutto.
Ma non tutti allo stesso modo hanno la possibilità di
realizzare i loro sogni, e la questione è sempre la stessa:
i soldi. E se noi ora dicessimo che chi ricopre ruoli di
maggior prestigio è più capace, non servirebbe a nulla
anche perché in cuor nostro ognuno di noi sa che non
è sempre così. Ma quelle persone che ora sguazzano
nella loro sicurezza e stabilità eterna, non hanno idea
di come quello stesso verbo, sguazzare, in persone
meno fortunate sia accomunato a paura, disagio, ansia,
speranza… anche solo riuscire a mantenere il loro
posto di lavoro, senza mai lasciare a casa, sotto al cuscino, la loro dignità, che per nessuna ragione al mondo
può essere dimenticata e svuotata di valore, come accadeva ed accade ancora nelle fabbriche in cui, pur di
raggiungere un determinato profitto, l’imprenditore sarebbe disposto ad annullare l’identità di mille operai,
ed andare a dormire come se nulla fosse.
A tal proposito ci siamo soffermati molto nello studio di tali problematiche, tanto da arrivare a capire
come già cinquant’anni fa c’era chi si occupava di queste. Un nome che girovaga nelle menti e cerca di farsi
spazio nella memoria di chi, come i nostri nonni, ha vissuto quegli anni: Adriano Olivetti. Un nome che, oltre
a racchiudere in sé la consapevolezza che anche gli
operai sono persone, ha rivoluzionato il mondo della
scrittura con la fabbricazione e la vendita delle proprie
macchine per scrivere, gioiello per chi ancora le possiede sul comò. Prima di parlare del grande personaggio quale era Olivetti, partiamo da un’introduzione di
un’altra nota figura, quella di Zygmund Bauman, sociologo ancora vivente che, negli anni passati, ci ha svelato
cosa si nasconde dietro il benessere dei turisti. Sì
esatto, turisti, che egli distingueva dai vagabondi. “Turista” è colui che gestisce se stesso prescindendo da spazio e tempo, che appartiene alle nuove élites.
“Vagabondo” è chi, come molti dei nostri padri, è lavoratore spesso senza lavoro, sradicato da ogni certezza di stabilità e da ogni sicurezza, l’individuo della
massa che, se va a dormire la sera, non può sapere se
la mattina seguente andrà a lavoro. Quella in cui vivono
e operano queste due figure, Bauman la definisce “società liquida”, la postmoderna, in contrapposizione alla
“società solida”, precedente, quella della modernità.“Liquida” nel senso che è un qualcosa di non completamente affrontabile, non definito, senza contorni nitidi
fissati una volta per tutte; ecco che qui si torna a par-
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lare di lavoro, quello che viviamo oggi, flessibile, in cui
prevale la precarietà. Quella “solida” è ben diversa, è
quella in cui tutto è definito, concreto e stabile, dove ci
sono garanzie ed ognuno ha una propria identità sociale. Il lavoro, qui inteso come il nostro “a tempo indeterminato”, riesce a dar sicurezza sociale e
psicologica.
Come già accennato sopra, Bauman parla di
“massa” ed “élite”: rispettivamente la categoria d’appartenenza di “vagabondi” e “turisti”. L’élite è formata
da tutti quegli individui che oggigiorno non hanno più
vincoli di tipo spaziale o temporale, coloro che non
sono vincolati ad un territorio, contrariamente ai lavoratori, alle persone appartenenti alla massa che, nel
momento in cui la fabbrica per cui lavorano si sposta
altrove, oltre che perdere il loro lavoro e quindi la loro
fonte di reddito necessaria per vivere, restano legati al
territorio.
Ecco perché parla di persone ‘locali’ e, da qui, di
massa ‘localizzata’.Tutto ciò grazie - o per colpa - ad un
unico fattore: la tecnologia. L’informatizzazione della
realtà! L’identità delle persone scompare insieme al
luogo ed è per questo che non è più così facile riconoscere la provenienza di individui di città diverse. Le notizie viaggiano a velocità zero, come vivessimo in un
mondo uniforme, un mondo di tutti. I nuovi capitalisti
ora, nell’era post-moderna, sono i giganti della finanza
poiché col mercato azionario non c’è più un imprenditore che dà lavoro; le azioni viaggiano, da luogo a
luogo, senza confini e in brevissimi tempi: il loro terreno
è il cyberspazio. Basti pensare a quanto fosse difficile in
passato spostare grandi somme di denaro e confrontarle col mondo d’oggi, in cui per farlo è necessario
avere venti secondi! L’uomo che gestisce parametri
monetari non tiene conto della massa e dei rischi a cui
essa va incontro, ma pensa solo a fare i propri interessi.
Ecco perché i lavoratori sono definiti da Bauman come
“rifiuti”, “scarti” dello spostamento delle aziende. Un
aspetto che ciò porta con sé è il consumo, che diventa
il vertice della società: tutto ciò che viene prodotto
dalle industrie è strettamente legato al suo consumo e
se non sei un “consumatore” non conti nulla, poiché il
fatto di consumare è una garanzia che il sistema va
avanti, ed ecco che l’uomo tipo antropologico diventa
il consumista. Chiusa questa parentesi necessaria, torniamo a parlare di Olivetti, personaggio importante
della nostra storia purtroppo non abbastanza conosciuto, nonostante il suo pensiero “sconvolgente” per
gli anni in cui è vissuto. Le sue riflessioni, come già detto
nell’introduzione, si soffermano sul lavoro e sulle conseguenze che esso può avere sulle persone. “Il lavoro
quanto vale?” si chiese per prima cosa. La risposta che
si dette fu “vale per tradurre in progresso civile i risultati del processo produttivo”; pensava che esso fosse
‘tormento dello spirito’ se non serviva per un nobile
scopo. Ecco perché nella sua impresa il fine non era il
guadagno bensì l’umanizzazione. E’ vero che la fabbrica
rientra in quel complesso mondo dell’economia e ne
segue le regole, ma è anche vero che il suo reale scopo
è l’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo
dove opera, cioè in cui è posta. Essa nasce per espandere il suo sguardo sul mondo e si sviluppa per ridistri-
buire gran parte dei profitti alla comunità, così ne risulta che l’operaio non riceve dall’impresa esclusivamente un salario bensì egli ottiene la possibilità di
potersi sviluppare in modo armonico.
Diffusione di una sempre maggiore qualità di vita,
con l’introduzione di valori etici, estetici, scientifici ed
anche economici: ecco la questione in sintesi. Non bisogna dimenticare quanto una apparentemente semplice e, se vogliamo, trasandata fabbrica abbia
un’influenza tanto forte in chi al suo interno opera,
anche a livello psicologico. Ultimo concetto, ma non
meno importante, è la distinzione tra l’impresa “come
merce” e quella “come comunità di intenti”. Già dai
nomi è possibile comprendere quale delle due alternative sia quella prediletta da Olivetti, che con questi due
titoli vuole indicare rispettivamente, per quanto riguarda la prima, un’impresa che mira alla produzione
per massimizzare il profitto ed è composta da contratti
siglati a convenienza da soggetti il cui unico obiettivo è
il guadagno individuale, mentre la seconda è presa
come “espressione del vivere” nella quale operano
soggetti molto diversi tra loro, con interessi distinti, ma
che cooperano per conseguire uno scopo comune.
Tanto per ‘ingrandire’ ancor di più questa figura, ci teniamo ad evidenziare come Olivetti mise in pratica
tutto ciò di cui sopra abbiamo parlato e per spiegare
ciò basta accennare al fatto che avesse inserito all’interno della sua impresa iniziative sociali ed attività per
favorire i suoi dipendenti, quali le mostre d’arte, il servizio di trasporto, i servizi medici.
Ci sarebbero altre mille cose da dire, ma un articolo
come questo non è sufficiente.
Per questo ora ci limiteremo a raccontare le nostre
esperienze e ciò che abbiamo potuto osservare con i
nostri occhi in due imprese differenti, cercando di capire quanto le parole di Olivetti siano state nel corso
degli anni, fino ad oggi, ascoltate e seguite dai nuovi imprenditori. Queste due fabbriche ci sono apparse diverse l’una dall’altra soprattutto nel legame e nella
disponibilità di dirigenti e dipendenti. Nella prima si respirava un clima di casa, un affetto ed un’attenzione
reciproca e non era estremamente evidente il rapporto di subordinazione tra i più ‘importanti’ e “i
meno”. Un luogo di amici e sulle cui pareti erano appese bacheche con tanto di foto di feste e tanti sorrisi,
con uffici vetrati, sedie ergonomiche e svariati colori
sulle pareti. Insomma sembrava quasi di essere in quella
che fu la fabbrica di Olivetti. La principale differenza
che fa sì che la seconda impresa non sia esattamente
come quella appena descritta è la grandezza, che di
certo gioca un ruolo importante. La seconda, infatti,
aveva un clima ben diverso: una rapidità nelle azioni e
nelle spiegazioni, locali molto grandi e rumorosi, efficacia di ogni singolo oggetto o individuo che componeva
l’intero ingranaggio, un rapporto meno equilibrato tra
dirigente e subordinato. Ma d’altronde è ciò che avviene anche a scuola: pensate, come può un preside
conoscere tutti e mille gli studenti del suo istituto? Per
cui è normale che sia così.
Certo è che se non ci fosse stato lui probabilmente
neanche questo sarebbe risultato possibile.
Veronica Lallo IV AES
IL MONDO INTORNO A NOI
Un test per mettere in gioco il futuro
È sempre alto il numero di studenti
che ogni anno inviano domande e
iscrizioni per i test a numero chiuso,
e la facoltà maggiormente coinvolta è
quella di Medicina e Chirurgia.
Da anni, ormai, i test di ammissione
si svolgono nel mese di settembre in
modo tale da permettere agli studenti
appena diplomati di prepararsi in
modo consono all’esame che sarà determinante per gli studi futuri. Purtroppo, però, quest’anno non è stato
così.
Nel 2014 si è ritenuto più opportuno far svolgere il difficoltoso test
nel mese di aprile, nel periodo in cui
gli studenti si trovano in pieno fervore a causa della maturità. Molte
sono state le proteste nei confronti
di questa scelta, in quanto per uno
studente di un qualsiasi liceo prepararsi per una verifica così impegnativa
e continuare in contemporanea a
svolgere le difficili attività scolastiche
in preparazione dell’esame di Stato è
quasi impossibile. In effetti come può
uno studente, che, non ha ancora
completato il programma didattico di
ogni materia, sostenere un esame
che già di per sé richiede delle conoscenze ampie ed approfondite? La
prima contestazione viene proprio
dalla formulazione dei quesiti che
sono stati ideati secondo un criterio
universitario, non tenendo conto che
chi sostiene il test proviene da scuole
superiori diverse. Preso atto di questo, molti studenti hanno preferito
dedicare maggior tempo e sacrificio
alla parte del test che riguardava il ragionamento logico, ritenuto punto
cardine di tutta la prova, che facilita
l’ingresso alla facoltà, trascurando le
prove più tecniche e davvero significative nell’ambito medico come matematica, fisica, chimica e biologia.
Ma, allora, per diventare dei buoni
medici bisogna avere le conoscenze o
le competenze? Sicuramente entrambe le cose, ma in una selezione
così accurata sarebbe più opportuno
ammettere al corso chi ha già una conoscenza base da dover solo sviluppare con tempo e studio, o chi deve
partire da zero e si fa strada attraverso la logica?
I responsabili di questo test evidentemente ritengono che sia più opportuno avere l’attitudine al
ragionamento che non le conoscenze,
ma è anche vero che molti preparatissimi studenti devono poi ripiegare
su facoltà come Biotecnologie, Biologia e Farmacia e, oltre a sostenere gli
esami per i crediti formativi al fine di
non perdere l’anno, devono prepararsi di nuovo ad affrontare il test che
non sanno con certezza di poter superare.
Alcune fonti giornalistiche hanno
riportato la proposta di alcuni rettori
universitari che volevano annullare i
test che si sono svolti ad aprile e ammettere tutti i candidati con la clausola che, solo chi riesce a superare
tutti gli esami del primo anno con
buoni voti potrà accedere al secondo
anno, dando modo quindi, solo a coloro davvero motivati, di proseguire.
Come sempre, sfortunatamente,
sono “voci di corridoio” che non
hanno nessun riscontro concreto e
Alla vigilia di una
nuova Guerra Fredda
Quando la superbia rischia di far scoppiare un nuovo conflitto… Diamo
il benvenuto al signor Putin!
Se nella vita si è stanchi di possedere milioni di metri cubi di gas naturale,
di giacimenti minerali di nichel, tungsteno, cobalto o molibdeno ma soprattutto di una forza-lavoro praticamente infinita, ci si può rivolgere a Madre
Russia che provvederà ad invadere un territorio per voi. Ora è il tempo
della povera Crimea! Servendoci una motivazione per una tale azione, essa
ve ne troverà una ad hoc. La Crimea presenta nella sua popolazione il 58%
di russi? Bene, allora deve essere di sua proprietà. Ma lui, il “piccolo padre”,
pensa proprio a voi e ai vostri bisogni! Non serve fare azioni plateali: lui le
farà per voi. Schiererà militari sui confini facendoli passare per soldati di passaggio, farà avanzare carri armati che potrete usare come mezzo di trasporto per le grandi occasioni, monterà tende e tendoni gratuitamente
utilizzabili durante la vostra permanenza. E, che dire delle centinaia di arerei
di guerra che potrete usufruire per far colpo sulle vostre amanti… e molto
altro ancora! Non temete ripercussioni, sanzioni, carcere o processi poiché
praticamente siete intoccabili. Neppure gli Stati Uniti del “Yes, we can” oppure la “France de Holland” vi potranno torcere un capello e figuriamoci se
il “Tailleur di ferro” (conosciuta anche come Angela Merkel) oserà alzare un
dito su di voi...mh mh mh non avranno nulla da obiettare, anzi ve la serviranno su un piatto d'argento!
Quindi prestate attenzione a tutti i vostri desideri più sfrenati, non lasciateli perdere ma assecondateli; se ci è riuscito Padre Russia figuratevi voi!
Sara Carullo V AP
La peste nera che ritorna
dopo 50 anni: i partiti neofascisti
È un nuovo fenomeno che si sta diffondendo nel mondo politico ma soprattutto nel mondo giovanile,un tema che non riceve “ il giusto peso” nella nostra
società: quello dei partiti neofascisti. Sì, pare proprio che lo “smacco” procurato
loro dalla seconda guerra mondiale non sia servito ad eliminare alla radice il
problema, che si ripresenta nei giorni nostri e che ritorna e “morde” proprio
noi giovani, ignoranti del pericolo. Infatti pare proprio che questi fascisti del
terzo millennio stanno dando il via a una grande campagna di tesseramento
che si diffonde soprattutto in questi tempi di crisi perché, il popolo in preda alla
disperazione, alla fame e all’incertezza del futuro si affida alla strada del totalitarismo e dell’antisemitismo. I nuovi “fascisti” più che per blocchi si dividono
per strati: conservatori duri e puri, modernisti, lepeniani, istituzionali moderati,
affaristi, nostalgici, squadristi, movimenta listi; ma hanno tutti lo stesso obiettivo:
illudere le persone facendole credere in idee morte 60 anni fa. La cultura può
e deve essere un rimedio a questo fenomeno perché,secondo lo scrittore Carlos Ruiz Zafòn “ I libri sono specchi:riflettono ciò che abbiamo dentro”.
Tiziano Cocchini III BSU
purtroppo la triste situazione in cui si
vive, in Italia, è questa: un basso tasso
di meritocrazia e un amareggiante
alto tasso di raccomandazioni. Non
bisogna certo fare di tutta un’erba un
fascio, molti ragazzi ben preparati
hanno superato il test e continuano il
loro percorso speditamente, diventando degli ottimi professionisti, però,
allo stesso modo, si portano avanti
anche persone che non sono davvero
motivate e che sono mosse dall’unico
obiettivo economico, e di conseguenza ci saranno tanti professionisti
disinteressati di fronte al loro lavoro.
Diversamente, però, da quanto è
avvenuto per medicina ed architettura, per l’accesso ad altre facoltà
come le professioni sanitarie o lingue,
il test d’accesso si svolgerà nelle
prime settimane di settembre, permettendo cosi ai neo-diplomati di
studiare adeguatamente per le rispettive prove. Sicuramente anche a questi corsi di laurea è difficile accedere
a causa del rapporto inversamente
proporzionale tra l’alto numero di
iscrizioni e il basso numero di posti
disponibili (che, fra l’altro, diventano
sempre meno con il passare degli
anni). Il discorso si complica per quei
ragazzi che devono tenersi pronta
una seconda scelta nel caso non superino il test a settembre poiché devono tempestivamente iscriversi ad
un altro corso di laurea affine (ma
senza test di ammissione), se vogliono
recuperare con alcuni esami qualche
credito formativo.
In conclusione, l’unica cosa che
sappiamo con certezza è che una
volta usciti dal liceo nessuno ti regala
nulla e, se fino ad ora si ritiene di aver
faticato, una volta fuori la strada è sicuramente ancora di più in salita, soprattutto se ci si proietta nella
situazione economica attuale.
Ma, in fin dei conti, le sorti le risollevano anche i giovani che entrano nel
meccanismo universitario e successivamente nel mondo del lavoro, quindi
possiamo solo sperare in un miglioramento del sistema che coinvolga
prima di tutto l’istruzione, di tutti i livelli, a partire da quello di grado superiore, in modo tale da poter
formare ragazzi preparati, pronti
anche ad affrontare test universitari
e università che si basino maggiormente sulla reale bravura e sulle abilità effettive di uno studente.
Gilda Di Florio V AL
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IL MONDO INTORNO A NOI
Ne abbiamo sempre parlato, sempre discusso e magari sperato che esistessero: sto parlando delle sirene. C'è un’interessante
teoria sapientemente occultata per anni: la teoria della scimmia
acquatica. Fu elaborata da Max Westenhofer, ma il vero padre
fu Alister Hardy. La sua tesi si basa sulla convinzione che un
gruppo di queste scimmie primitive, costrette dalla concorrenza
con i loro simili e dalla scarsità di cibo, si sia spinta fino alle sponde
del mare per andare a caccia di crostacei, molluschi, ricci di mare,
nelle acque poco profonde al largo della costa. Il biologo suppone
che queste proto-scimmie acquatiche, spinte dalla necessità di rimanere sott’acqua per diverso tempo – proprio come è capitato
a molti altri gruppi di mammiferi – si siano adattate all’ambiente
acquatico fino a rimanere in acqua per periodi relativamente
lunghi, se non in maniera definitiva. Tutto ciò è stato utilizzato
anche per spiegare particolari tratti della fisionomia umana che
noi condividiamo con i mammiferi marini come ad esempio:
-Pelle nuda: gli esseri umani non posseggono una pelliccia, ma
solamente peli molto sottili e poco folti. Secondo la concezione comune, gli esseri umani avrebbero perso la pelliccia per l'eccessiva
arsura della Savana, tuttavia non è totalmente credibile, poiché
numerosi animali residenti nello stesso habitat posseggono ancora una pelliccia, folta e bassa. Sempre secondo Hardy e la sua
sostenitrice, la scrittrice Elain Morgan, questa perdita di pelo sarebbe dovuta a un periodo antico, in cui gli antenati della specie
umana trascorsero la loro vita in ambienti fluviali.Alcune analogie
possiamo ritrovarle in altri mammiferi della Savana, come l’ippopotamo, oppure nell’elefante e nel rinoceronte, entrambi aventi
antenati acquatici, scoperti recentemente, attorno agli anni ‘80 e
‘90, oppure ancora nel lamantino, che condivide i propri antenati
con l’elefante.
-Il bipedalismo : l'Uomo è l'unica specie animale a camminare
esclusivamente su due zampe e ciò sembra una fatto che avvalori la Teoria della Scimmia delle Savane, ma non è così. Sempre
secondo Morgan, “[...]è risaputo, inoltre, che le altre specie di
scimmie sono in grado di camminare bipedi, anche se per brevissimi periodi, e possiamo affermare tranquillamente che c'è
una sola circostanza nella quale tutte le scimmie, nessuna
esclusa, si spostano su due zampe: in acqua”.
Quindi, sembra che l'Uomo abbia imparato a camminare su
due zampe grazie alle abitudini acquatiche dei suoi Antenati, che
appunto vivevano nelle acque fluviali.
- Coscienza del respiro: gli esseri umani riescono a trattenere
il fiato, poiché coscienti di esso, ed è l'unico caso tra tutti i mammiferi terrestri. Solamente i mammiferi marini riescono a trattenere il respiro ed esserne quindi consci. Potrebbe essere una
caratteristica acquisita con quegli antichi periodi acquatici dei
nostri antenati.
- Grasso corporeo sub-dermico: nell'Uomo si riscontrano inoltre strati di grasso immediatamente al di sotto della pelle, caratteristica che non si riscontra in un altro mammifero terrestre, ma
si ritrova nei mammiferi acquatici, come nella balena.
Analisi della microfauna dell’ ambiente degli Ominidi: sempre
attorno agli anni ‘90, i Paleontologi cominciarono a investigare,
partendo dai resti fossili della microfauna contemporanea agli
Ominidi. Ciò che si scoprì fu incredibile: gli animali che abitavano
contemporaneamente e nello stesso ambiente degli antenati
della Specie Umana non erano affatto animali da Savana. Per
avere una conferma, furono studiati anche i rimasugli dei pollini
fossili di quelle aree: ebbene, quei pollini appartenevano a specie
vegetali di un ambiente fluviale, esattamente come anche i resti
fossili animali. Una lettura estrema della teoria di Hardy ha portato alcuni ricercatori indipendenti a ipotizzare l’esistenza attuale
di umanoidi acquatici intelligenti che vivono in società complesse
nel fondo dell’oceano. L’esistenza di queste timide creature sarebbe all’origine delle leggende sulle sirene, decantate anche da
Omero nella sua Odissea. Ma è possibile ipotizzare l’esistenza
di questi Umanoidi Acquatici? Potrebbero esserci delle prove?
Circa un anno e mezzo fa, il NOAA (National Oceanic and At-
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Sirene: possibilità o fantasia?
mospheric Administration), l’agenzia federale oceanografica degli
Stati Uniti, ha sentito la necessità di dover dichiarare ufficialmente
che le sirene non esistono! “Le sirene del mare, metà umane e
metà pesce, sono leggendarie creature marine di cui si racconta
sin da tempo immemore”, ha scritto il NOAA nel suo sito web.
Ciò fu rilasciato in seguito alla messa in onda di un interessante
programma trasmesso da Animal Planet dal titolo:“Sirene, il corpo
trovato”. Numerose anche le testimonianze di coloro che affermano di aver visto degli “umanoidi acquatici” tuttora viventi. Secondo i teorici della cospirazione, il Governo Americano sarebbe
a conoscenza di queste creature e addirittura starebbe inscenando un clamoroso cover-up (che giustificherebbe anche il comunicato del NOAA) per nascondere il fatto di essere in possesso
del corpo di una sirena.
Prova di questo fatto sarebbe il famoso suono oceanico “bloop” registrato nel profondo dell’Oceano
Pacifico dal NOAA alla fine degli anni ’90.
Nell’estate del 1997 infatti , il NOAA, con l’ausilio di un idrofono equatoriale, registrò più volte un suono misterioso proveniente dagli abissi dell’Oceano Pacifico. L’origine del suono –
battezzato “The Bloop” – è, come ammette il NOAA, di origine
sconosciuta. Secondo alcuni, questo suono potrebbe essere la
prova dell’esistenza di una specie sottomarina sconosciuta. Il
team di Paul Robertson, un ex-dipendente del NOAA, nel 2007
stava indagando sugli inspiegabili spiaggiamenti di massa delle
balene. Nell’esaminare i campioni di tessuto dei corpi di alcune
balene, i ricercatori si resero conto che i mammiferi erano stati
danneggiati da sonar particolarmente potenti, utilizzati in diverse
parti del mondo in occasione di esercitazioni navali.
L’inquinamento acustico marino è un fenomeno che in questi ultimi anni ha avuto un grande incremento. La nuova tecnologia
Sonar utilizzata sia per la mappatura del fondo dell’oceano che
per l’individuazione di bersagli sottomarini, emette vibrazioni sonore che provocano il disorientamento e la morte dei mammiferi
marini. Per cercare di dimostrare questa teoria, Robertson e il
suo team si servirono delle registrazioni di un idrofono di profondità. Fu proprio in quelle registrazioni che ascoltarono la prima
volta il “bloop”. Utilizzando un software audio, i ricercatori riuscirono ad isolare il suono di una creatura sconosciuta mescolata
con i suoni delle balene e dei delfini.
Dopo più accurate analisi, i ricercatori ebbero l’impressione
che queste creature sconosciute comunicassero con i mammiferi,
forse con l’intento di salvarli dal rumore del sonar. Qualche settimana dopo, ci fu un altro spiaggiamento di massa in Sud Africa.
Anche in quella zona i ricercatori registrarono suoni simili sui proprio dispositivi. Robertson e il suo team si recarono sul posto per
investigare. Sulla spiaggia furono ritrovati i resti di una creatura
sconosciuta all’interno dello stomaco di un enorme squalo bianco.
Mentre esaminavano lo squalo, i ricercatori notarono una sorta
di pugnale infilzato nel lato della bocca dello squalo.
Come aveva fatto ad arrivare quel pugnale lì? Una volta tirate
fuori tutte le parte dallo stomaco dello squalo, cominciarono a
studiare attentamente i resti per capire di cosa di trattasse. All’interno trovarono la testa della creatura, una mano quasi completa e un lungo osso tipo coda-pinna. Inoltre, i ricercatori
trovarono anche uno strano strumento con un buco. In un primo
momento non compresero cosa fosse, ma poi si ricordarono del
pugnale nella bocca dello squalo. L’oggetto sembrava essere un
perfetto astuccio per il coltello ricavato da una spina dorsale di
qualche grosso pesce. Ma chi aveva potuto produrre un oggetto
simile? Alcuni dei ricercatori si convinsero di trovarsi di fronte ad
una sorta di “ominide acquatico intelligente”.
Acquisivano un senso anche tutte le misteriose lance e coltelli
trovati nei corpi di numerosi pesci nell’oceano. Però, mentre il
team stava per tornare negli Stati Uniti, i militari americani confiscarono i resti della creatura e i risultati della ricerca. Pare che
il governo stesse studiando il fenomeno da molto tempo e che
avesse utilizzato Robertson e la sua squadra per ottenere le informazioni che cercava. L’unica cosa che lasciarono fu la registrazione del famoso “bloop”. Gli scienziati rimasero sconvolti dal
fatto che avevano sequestrato tutti i risultati ottenuti con anni di
duro lavoro, ma le registrazioni erano il vero tesoro da conservare.
Grazie ad esse, avevano capito che le sirene erano in grado di comunicare con i delfini e le balene. Questa è la prima e l’unica
volta che si possiede la testimonianza di una comunicazione interspecie. Come alcuni sanno, in alcuni paesi, i delfini aiutano i pescatori umani a catturare i pesci, in cambio di una lauta porzione
di bottino! Ma la ricerca non finisce qui perché vi sono molte
altre novità che è possibile vedere in un documentario disponibile
su Youtube con il titolo di “Sirene, le ultime novità”. Al di là delle
varie teorie del complotto, delle fantasie e dello scetticismo, sarebbe tanto strano scoprire che possano esistere altri esseri intelligenti oltre a noi in questo universo?
Sara Carullo V AP
Il sabato del villaggio
(Lanciano version)
A Lanciano, il culto dell’”uscire il sabato” è molto diffuso,
specialmente tra i giovani d’età compresa fra 12 e i 18 anni.
Le vie del centro, il sabato sera, pullulano di ragazzi che passeggiano, chiacchierano e che vanno per negozi. I punti d’incontro di solito sono due: le “scalette” (ovvero la scalinata che
porta al corso da piazza D’Amico) o la stazione della Sangritana. Da lì parte il pellegrinaggio che percorre corso Trento e
Trieste, arriva in piazza, ripercorre il corso e arriva ai viali, dove
è stanziato l’impero di Rocco, che oramai possiede più attività
di tutti gli appezzamenti di terra che possedeva Mazzarò. I viali
rappresentano una specie di autogrill: ci si siede sulle panchine,
si prende un panino o delle patatine da Rocco (e il negozio si
chiama proprio così) e si parla del più e del meno. Altri punti
di ristorazione molto rinomati sono la pizzeria “Sol Levante”,
“McWurst”, il negozio di kebab in via degli Abruzzi (piccolo
scorcio d’oriente fra le varie pizzerie e tavole calde) e la pizzeria napoletana “La Sfiziosa”. Sono presenti anche molti pub
a Lanciano, i più frequentati sono il “Capitan Blood”, il “Tamarillo Brillo” e la birreria “La Porta”, vero e proprio covo di metallari. Ci sono negozi per tutti i gusti: per chi ama lo sport c’è
Crew, per gli appassionati di musica ci sono lo storico Venditti
e il più recente Musica E Libri. Per chi ama leggere, il centro brulica di librerie: D’Orazio, Barbati, Gulliver e Cipolla, e non mi
metto neanche ad elencare i numerosi negozi di abbigliamento.
Poi c’è la pista, che è una dei luoghi che mi danno fastidio. Di
giorno è un posto frequentato da bambini che giocano, skaters
e ciclisti. Ma quando cala la notte, si trasforma in uno pseudofestival reggae-revival anni ’60, pieno di gente che fuma chissà
cosa o peggio... Non tollero questo posto proprio perché non
condivido l’uso di sostanze stupefacenti. Se si vuole farne uso,
si dovrebbe farlo in privato e non nel bel mezzo di una città di
40.000 abitanti. Un altro aspetto che non tollero sono i bambini di prima media che escono in gruppi di 42 persone atteggiandosi come se fossero i padroni del mondo. Io in prima
media uscivo, ma in bici per le strade del quartiere Cappuccini,
dove abito. Ognuno fa quello che gli pare, ma in base alla propria età, e non mi riferisco solo ai bambini di prima media, ma
a tutti quelli che trascorrono il sabato a sballarsi di alcol e fumo,
invece di divertirsi normalmente, con degli amici, una chiacchiera, un pezzo di pizza in mano e le solite stupidaggini che
combinano i ragazzi da tempo immemore..
Mattia Caporrella I BL
FELICITA’
Felicità: un viaggio senza meta
Felicità. Happiness. Felicitad.Tante parole, tante lingue diverse per esprimere la stessa cosa: uno stato
d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti i propri desideri. Etimologicamente la questione sembrerebbe
dunque semplice… “elementare,Watson!”, per citare
il caro vecchio Sherlock.
Ma realmente, questa felicità di cui tutti parlano e
che tutti cercano, cos’è?
Se ne parla addirittura nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America: “Noi riteniamo
che sono per se stesse evidenti queste verità: che
tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal
Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”. Soffermerei la mia attenzione su due parole in
particolare: “inalienabili” e “perseguimento”. Sono
“inalienabili” perché ogni essere umano dalla nascita
possiede questi diritti, essi nascono insieme a lui, ne
sono parte integrante e non possono e, soprattutto,
non devono essere messi in discussione o schiacciati
per fini amorali o dannosi. E questo credo che debba
essere un assioma indiscutibile al giorno d’oggi.
L’altra parola è “perseguimento”. Riferita alla felicità, questa parola non rappresenta forse una sorta di
rivelazione? Non può darsi che Jefferson nella prima
stesura del famoso documento avesse già compreso
tutto e volesse darci un’indicazione verso la felicità?
Ad oggi, infatti, dopo secoli di storia, di progressi, di ri-
cerche non esiste nessuno che possa affermare con
certezza di essere stato felice per tutta la vita, di aver
avuto la felicità in eredità, di non aver avuto il bisogno
di cercarla e di averla mantenuta per sempre. Proprio
perché la felicità, come Jefferson aveva capito prima di
tutti, va perseguita. Questa tanto agognata felicità non
può essere un regalo ricevuto, impacchettato e
pronto all’uso e sicuramente non è un bene a lunga
conservazione. Può forse essere paragonata a un viaggio, in cui, però, la cosa meno importante è di fatto la
meta. Le persone come si pongono comunemente di
fronte a questa cosa da tutti voluta, dai poeti elogiata,
ispirazione degli artisti, estasi del folle ed adrenalina di
tutti?
Immergendoci nella società odierna sembrerebbe
(udite! udite!) che la felicità sia un diamante luccicante
nascosto tra tante pietre preziose, dentro una costosissima borsa all’ultimo grido, dimenticata dopo una
serata di gala nella macchina da passeggio, una comunissima Ferrari, parcheggiata nel vialetto di una villa
piccolissima di quattro piani.
Ebbene sì, la felicità per la maggior parte delle
prsone ha cambiato nome, ha rinunciato a quell’allegro accento sulla “a” per trasformarsi in un cacofonico “denaro”. Per la categoria degli avari, infatti, una
comunissima specie in via d’espansione, la felicità
combacia con le ricchezze possedute. Di conseguenza, la felicità è un percorso individuale, o meglio,
Alla ricerca della felicità...
Felicità, questa sconosciuta. Sempre ricercata, mai raggiunta. Ci sfugge sempre
come un miraggio. Desideriamo afferrarla e magari passiamo l’intera vita a correrle
dietro senza riuscirci. Fin dall’antica Grecia se ne è parlato, e da quel momento
è iniziata la lenta e angosciosa ricerca. Dove si sarà nascosta?
Nei vari secoli trascorsi tutti hanno provato almeno a pensarla, specie i filosofi
che, con molta fantasia, hanno cercato vie per arrivarci... se ci sono riusciti o meno
è un’altra questione. Sfuggente o fuggitiva, è l’obiettivo più alto della nostra corta
e insignificante vita. C’è chi si rifugia in Dio, chi in Allah, ma tutti la vogliono indistintamente. Ricercarla è un bisogno umano innato, tutto ciò che si fa è finalizzato
all’essere felici. È anche un diritto fondamentale della persona sancito nelle Costituzioni dei vari Paesi: la stessa America del “Yes, we can” la prevedeva fin dal lontano 1776, anno in cui la Dichiarazione di Indipendenza venne scritta. La nostra
stessa Costituzione la sottintende, concependo lo Stato come una sorta di “pesce
pulitore” che risucchia ed elimina tutto ciò che può ostacolare non solo il pieno
sviluppo della persona umana, ma anche la partecipazione alla vita del Paese.
Oggi ci chiediamo sempre più se siamo felici e come fare per esserlo, perché
nella vita, specie nelle situazioni difficili, ricerchiamo stabilità e gioia. Ma, in un momento storico in cui tutto sta letteralmente crollando nella voragine del pessimismo e che porta alla desertificazione delle relazioni umane, si può essere felici?
Ebbene sì, bisogna farsene una ragione: la felicità non può e non deve essere eterna.
È un enorme puzzle fatto da minuscoli pezzetti di momenti che hanno significato
molto e che si ricorderanno sempre.
Ciò che la rende così bella ed affascinante è il percorso per arrivare ad essa: incerto, traballante, e l’uomo deve aggrapparsi alla corda della speranza per arrivare
fino al traguardo. Passeggiare in una giornata di sole per la città, assaporando il
tutto con nuovi occhi può essere un momento felice. Non serve ricercarla in
esperienze-limite, nel famoso folle ultimo gesto. L’adrenalina di quei momenti non
dà la vera essenza della gioia ma solo assuefazione.
La felicità dunque è difficile da raggiungere per molti, raggiungibile per pochi e
difficile da far durare.
Sara Carullo V AP
un percorso brevissimo con una meta ben precisa, in
compagnia di tanti oggetti che ti ricordino costantemente quanto tu sia materialmente ricco.
Ma, c’è qualche superstite della corrente di pensiero “jeffersoniana”? Non si può credere che si siano
estinti tutti i cercatori di questa felicità che di materiale non ha nulla, tantomeno gioielli o borse alla
moda. Strano, ma vero… esistono ancora! Ci sono
ancora quelle poche persone che viaggiano, con un
bagaglio di speranza a denti stretti verso un obiettivo
duro da raggiungere, e durante questo viaggio conoscono sprazzi di fugace felicità. Perché la felicità per
qualcuno non è un conto in banca infinito, una bella
macchina o una vita all’insegna del lusso e dello sfarzo.
La felicità, per qualcuno, è fare di tutto per raggiungere un obiettivo, perseguire un sogno e fare dei “salti
mortali” per realizzarlo. La felicità è fatta anche di rinunce, di sacrifici e duro impegno. La felicità perseguita ha un sapore diverso, migliore, di quella regalata.
Ti riempie. Nel viaggio del “persecutore della felicità”,
inoltre, la compagnia è reale, non un oggetto, non denaro e non una compagnia fittizia ed opportunista,
ma una compagnia concreta che non è solo compagnia, ma anche condivisione di sacrifici e dolori e,
anche di felicità.
La felicità: un viaggio senza meta con un biglietto di
sola andata per almeno due persone.
Paola D’Ortona IV ASU
3,2,1...Apriamo il sipario per una vita felice?
È nel DNA dell’uomo essere, o
almeno cercare di essere felice nel
corso della propria vita. Ma come
fare per esserlo? Ci sono diversi
modi per vivere la propria vita ed
essere felici, anche perché la felicità
non sempre è legata ai beni materiali
che un determinato individuo possiede. Possiamo riscontrare la felicità anche nelle piccole e semplici
cose di ogni giorno: aiutare chi si
trova in difficoltà, abbracciare un
amico o semplicemente trascorrere
del tempo insieme alle persone a
cui si vuole bene. Ma oltre a queste
piccole cose, per essere felici dovremmo cercare di porci delle mete
da raggiungere nel corso degli anni,
così che, se riuscissimo ad arrivare
ad esse, ci potremmo sentire appagati e felici. C’è da dire, però, che
della vita non dobbiamo vedere solo
il lato “bello e rassicurante” che a
ciascuno di noi fa comodo per andare avanti ogni giorno, ma dobbiamo tenere conto anche dell’altra
faccia della medaglia, di quella faccia
“brutta e oscura”: quella della depressione o della disperazione per
un lavoro perso che non ci aiuta ad
arrivare a fine mese con serenità, e
che, o per la vergogna o per paura
del giudizio altrui, può spingere a
voler mettere la parola “fine” alla
propria vita.
Teoricamente di questo aspetto
dell’esistenza si dovrebbe occupare
lo Stato, creando pari opportunità
lavorative o comunque evitando disuguaglianze tra ogni suo singolo cittadino. Dovremmo vivere la nostra
vita a 360°, superando i diversi ostacoli che ci vengono posti di fronte,
correndo in avanti senza mai fermarci e, se per caso cadiamo, dobbiamo avere la forza di rialzarci e di
tornare più forti e combattivi di
prima, senza mai perderci d’animo.
Dovremmo viverla come se fosse
una fantastica opera teatrale, avendo
il coraggio di salire su quel “maledetto” palco, senza il timore di fare
una grandissima figuraccia di fronte
ad un pubblico critico ed esigente.
Non dobbiamo preoccuparci del
finale, triste o felice che sia; ci sono
milioni di modi per essere felici, l’importante è sentirsi realizzati di ciò
che di più caro ci è stato donato, essere FIERI della nostra VITA e di
come l’abbiamo vissuta.
Emanuela Sciarretta V AP
23
ESSERE GIOVANI OGGI
“Puoi sprecare la tua vita a tracciare confini. Oppure puoi decidere di vivere superandoli. Ma ci sono
dei confini che sono troppo pericolosi da varcare.
Però, una cosa la so: se sei pronto a correre il rischio,
la vita dall'altra parte è spettacolare.” Questo sostiene Meredith Grey, protagonista della serie televisiva Grey’s Anatomy, personalmente, la mia più
grande fonte di ispirazione.
Ebbene sì, il più grande errore che l’essere umano
commette è quello di credere di poter vivere bene
con le poche certezze che ha. Ecco cosa “frega” tutti:
la convinzione! Viviamo con la costante consapevolezza di sapere già tutto ciò di cui abbiamo bisogno,
tralasciando tutto ciò che in noi è sempre rimasto in
ombra. È come se il nostro cervello avesse un filtro
che lascia fuori dalle nostre competenze tutto ciò
che non ha i contorni ben delineati.
Ma, allora, la vera domanda è: come faccio io, una
Un viaggio per la vita
semplice ragazza al quinto anno delle superiori ad
essere cosciente del fatto che nella vita bisogna sempre essere disposti a mettersi in discussione?
Ebbene, tante volte, il segreto è solo porsi delle
domande. Troppo facile vivere la propria vita usando
solo ciò che ci viene messo a disposizione. Perché
invece non provare a trovare dei mezzi tutti nostri,
dati solo da noi stessi?
Progresso, crescita interiore, ecco ciò di cui abbiamo bisogno. Ma, se è vero che la vita è un viaggio,
la prima cosa da fare è chiarire il significato di questa
parola: quando scali una montagna, sprechi energie
e anche gran parte della buona volontà con cui avevi
iniziato l’arrampicata. E probabilmente, a metà
“muro” tenterai anche la resa. Insomma, se non sai
Il mio supereore sei tu!
Definizione di supereroe tratta dal dizionario: personaggio dei fumetti, in costume e dotato
di superpoteri, che combatte per salvare l’umanità. Il supereroe è quindi inteso come un essere
speciale che salva la speranza dell’uomo di credere in un mondo migliore e gli esseri speciali
candidati al ruolo di supereroi sono tutti gli uomini. L’essere umano da migliaia di anni crea idoli
o eroi per sentirsi protetto in questa pazza terra! I bambini hanno bisogno di supereroi per non
avere paura di dormire e di fare incubi. “C’era un volta un uomo invincibile, capace di volare
sopra i tetti e di proteggerti con uno scudo da qualunque cosa. Nel suo paese i buoni non muoiono mai e le cose hanno il loro senso. La cattiveria è l’unico elemento mancante (in realtà non
manca a nessuno)…”.Tipica favola raccontata dalle mamme per far addormentare i propri
cuccioli. Poi, ad un certo punto, per motivi inspiegabili alla fantasia, ma agli occhi della pedagogia
ben analizzati, dallo strano periodo detto adolescenza, si cresce e non si vuole più ascoltare di
principesse e draghi, cavalieri e gnomi, Babbo Natale e coniglio pasquale. Con la crescita l’uomo
è ansioso perché tutto ciò in cui credeva crolla e con le sue convinzioni precipitano anche i suoi
sogni, poiché il mondo ideale tanto fantasticato sembra esistere in un altro pianeta, ancora sconosciuto, lontano anni luce. Affidarsi a uomini dotati di superpoteri non è impossibile, dal momento che fino a qualche anno prima, da fanciulli, lo si è fatto, (forse) perché c’era quella
speranza innocente che rende capaci di affrontare tutto.
La vita fa tremare l’uomo: non si deve pensare che il pericolo stia dietro l’angolo pronto ad
assalire. Bisogna imparare a rilassarsi, così facendo si diventa migliori e forse anche dei supereroi.
Il consiglio è non essere ingenui, ma semplicemente esercitarsi un po’ ogni giorno a credere nei
supereroi, non quelli astratti, bensì quelli veri che stanno in mezzo a noi e dimostrano soprattutto
con piccoli gesti, sorrisi o con un semplici saluti che il mondo non è tanto male come
sembra…Attenzione: il prossimo supereroe potresti essere tu!
Concetta Biscotti V AP
Scegliere…
C’è chi da grande vuole fare l’astronauta, il medico, la parrucchiera o la maestra… io non
lo so, ed è strano, visto che tra pochi mesi dovrò scegliere cosa fare della mia vita.
Farmacia, Ingegneria, Medicina, Lettere e Filosofia e chi più ne ha più ne metta.Anche io vorrei
chiedermi cosa voglio fare da grande ma non posso. Sono in un vortice di possibilità nessuna
delle quali mi entusiasma. Non posso più permettermi di scegliere perché non ho le facoltà per
farlo. Prima si poteva scegliere tra ciò che piace e ciò che permette di trovare un lavoro, adesso
quest’ultimo è divenuto l’unica preoccupazione, l’unica ossessione.Vivo e viviamo in una situazione difficile, nella speranza di realizzarci, di riuscire a brillare nella vita. Non voglio accontentarmi, ma so che purtroppo sarà così e non posso accettare di essere privata della voglia di
lottare e sperare.È triste rinunciare a ciò che ami di più al mondo, che fin da piccolina hai voluto,
per la paura di essere disoccupata. Sono una persona molto pragmatica e pretendo (forse sbagliando) di avere il ferreo controllo della mia vita, pianificandola fino all’ultimo secondo e detesto,
ora, essere così indecisa e titubante. Mi sento come su un ciglio di un dirupo, impotente e spaventata. Quando facevo le proteste e si cantava ”.. ci avete tolto il futuro!” non capivo il significato
di quelle poche e semplici parole, ma adesso purtroppo sì.
Sara Carullo V AP
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cosa ti aspetta una volta arrivato in cima, chi ti dice
che tentare l’impresa valga veramente la pena? Eppure, alcuni, i più speranzosi, i più temerari, alle volte
anche quelli che non hanno niente da perdere, non
demordono e proseguono. È questo che io chiamo
progresso: la volontà. Chi non si arrende, progredisce. Chi rimane a crogiolarsi tra le proprie misere
certezze, regredisce. Una volta raggiunta la meta, troverai di fronte a te un panorama indescrivibile a parole, respirerai l’aria più fresca e pura che tu abbia
mai provato e l’orgoglio pervaderà il tuo corpo.
Ne valeva la pena? Questo sta a te dirlo.
Hai scoperto qualcosa? È questo il punto: c’è sempre qualcosa da scoprire.
Claudia de Sanctis V BS
La guerra dei social network
Il problema del ragazzo post-profezia Maya non è più quello di fare una
scelta riguardo l’iscrizione o meno ad un social network, ma a quale di essi
iscriversi. Ormai i social si sono moltiplicati alla velocità della luce:tra i più
popolari vi sono Facebook, Twitter,Tublr, Ask, Istagram, Badoo, Msn, Hangout, Skype, ecc… Ma quale preferire?
I parametri di giudizio sono di due categorie: scegliere il social che hanno
i miei amici oppure preferire quello dove non conosco nessuno. La prima
categoria è preferita da coloro che vogliono pubblicizzare e/o propagandare la loro vita in ogni attimo della giornata, convinti che possa fungere
da esempio per gli altri. La seconda categoria è scelta da coloro che non
hanno uno stile di vita che amano, risolvono ciò inventando una nuova
identità: gli anni non superiori a 30 e ovviamente tutti alti e belli come topmodel. Qualunque social network si scelga, il rischio di incontrare una delle
due categorie è del 101%. Ma il vero problema da porsi è:” IO A QUALE
CATEGORIA APPARTENGO?”.
Concetta Biscotti V AP
I giovani e la loro
classificazione… mentale!
Classificare? Negli ultimi anni tutto viene classificato e… allora
perché non proviamo a definire quell’universo così controverso e
complicato a cui appartengono i giovani?.
A tal proposito, posso affermare con certezza che esistono due
tipi di giovani. I primi, i drogati di ‘’mi piace ’’ sono una razza che
si è sviluppata nell’ultimo decennio.
Il fatidico ‘’homo facebook” è colui che, anche solo per un “mi
piace”, pagherebbe milioni di euro, anzi, è talmente disperato che
lo cerca in tutti i modi possibili, anche chiedendolo direttamente ai
suoi amici on line.
Poi ci sono i leoni dei banchi. Questa specie esiste già da diversi secoli, ed è una delle più pericolose in circolazione; sono i
secchioni geneticamente modificati, sono coloro che per avere un
voto alto oltre a sbranare i libri, divorerebbe chiunque li ostacoli
nella loro corsa verso ‘’l’essere il primo della classe’’.
Però dobbiamo ammetterlo, ci siamo anche noi, i ragazzi comuni “normali”: siamo quelli che amano stare insieme ai propri
amici, quelli che la sera prima di un’interrogazione pregano tutti i
santi del calendario per ricevere un’amata “botta di culo”, che
esultano per un 6 in matematica, insomma quelli normali nella loro
anormalità. E tu, a che “razza” stramba appartieni?
Emanuela Sciarretta V AP
ESSERE GIOVANI OGGI
Vent’anni: tutti da vivere!
“Avevo vent’anni, non permetterò
a nessuno di dire che questa è la più
bella età della vita” (Paul Nizan, Aden
Arabie, 1931) Prima di discutere riguardo alla citazione di Paul Nizan,
bisogna analizzare e capire cosa vuol
dire avere vent’anni. In passato avere
vent’anni significava essere già degli
uomini e delle donne pronte alla vita,
significava avere già una famiglia, dei
figli e un lavoro che garantiva una
certa autonomia. Oggigiorno non è
così. Apparentemente avere vent’anni
nel 2014 significa prendere la vita ancora sottogamba, credere che ci sia
sempre tempo per le responsabilità.
Fortunatamente, però, non è per
tutti così. Sarebbe paradossale pensare di trovarsi ancora ai tempi in cui
bisogna sposarsi ad una certa età e
fare figli come se si avesse una data
di scadenza, ma è anche vero che, comunque, delle scelte bisogna farle.
Molti ragazzi, come me, in questo
momento della loro vita fanno piani
per il futuro, per vivere in questa difficile società. Perché è così: vivere in
questi primi decenni del XXI secolo
non è una passeggiata, in quanto il
contesto economico e sociale è in
continuo mutamento e per molti
stare al passo è arduo. La domanda
che, di questi tempi, sorge spontanea
è: quali prospettive un giovane maturando deve avere nello stato attuale
in Italia? La risposta vien da sé, in
quanto non ci sono risposte. Per
certi aspetti sono d’accordo con l’affermazione di Nizan perché a quest’età la confusione, le aspettative, gli
scenari negativi del presente che
condizionano il futuro e i tanti impegni da portare a termine, non ti permettono di vivere con tranquillità.
Io ne sono esempio. Mi trovo al
quinto anno di liceo e nel corso della
mia carriera scolastica sono state
tante le idee riguardo al mio futuro,
ma, arrivata a questo traguardo della
mia vita, la strada che vedo davanti a
me è ancora, forse troppo, in salita.
Oltre alla maturità devo affrontare
anche altri test per l’università e altri
corsi in modo da arricchire il mio
“curriculum vitae”. Il tempo non c’è,
ma io e miei compagni ci impegniamo tutti a trovarlo, così come
cerchiamo la volontà di rimanere a
scuola quasi tutti i pomeriggi, dopo
le sei ore mattutine, e continuare a
studiare.
Decidere di andare all’università,
seguire quella che è la tua passione,
ma tenere bene a mente quanto questa tua passione possa garantirti un
futuro, è una scelta coraggiosa.
È risaputo che in Italia la meritocrazia scarseggia e che, nonostante i
grandi sforzi e le innumerevoli capa-
cità, in pochi riescono ad emergere
ed affermarsi nel mondo del lavoro;
quindi un ragazzo che si trova in questa fase determinante della propria
vita o decide di “gettare la spugna”
ancora prima di aver provato, o
segue degli schemi ben precisi, come
La vita HA vent’anni!
Generalmente siamo dell’idea che esistano grandi differenze fra le vecchie e le nuove
generazioni quando in realtà quest’enorme divario non è altro che una mera convinzione.
La vita dell’uomo è costituita da diverse fasi e una delle più importanti è sicuramente
la giovinezza che ognuno di noi vive a proprio modo, seguendo i propri ritmi, sulla base
dei propri principi e inseguendo i propri sogni, ma di fatto è caratterizzata da massime
valide per tutti.
Sia le vecchie che le nuove generazioni si sono trovate ad affrontare le medesime situazioni: come riuscire a recuperare un brutto voto a scuola, la delusione del primo
amore, cosa dire ai genitori affinché non siano troppo oppressivi, qual è la scelta migliore
per il futuro e, puntualmente, si sono imbattuti in ostacoli imprevisti che hanno condizionato la loro vita.
L’età dei vent’anni è fatta di ragazzi che hanno paura del domani perché non si
sentono sicuri di proiettare le loro speranze in un ipotetico futuro privo di certezze; per
questo tentano disperatamente di assaporare ogni attimo della loro vita come se fosse
l’ultimo e cercano di far tacere quel bambino in lacrime dentro di loro che ha solo
bisogno di una coperta morbida da abbracciare per poter dormire tranquillo. Noi giovani
di oggi, così come quelli di ieri, viviamo nel terrore di fare anche solo una scelta sbagliata
fra tutte quelle che ci si presentano giorno dopo giorno, perché intraprendiamo un cammino che inevitabilmente ne esclude un altro e non possiamo sapere in anticipo quale
dei due ci condurrà ad essere la persona che vogliamo diventare.
“Io sono le mie scelte” diceva Sartre, ed è come se questa frase risuonasse costantemente nei nostri pensieri insieme alla paura di non riuscire a dare al nostro “io” le scelte
giuste di cui ha bisogno per venire fuori. Queste decisioni però non determinano irrimediabilmente la nostra vita: possono renderla più dura, più difficile, ma, proprio per questo
più vivace e piena, perché è dagli errori, è dal dolore che riusciamo a tirare fuori il coraggio di andare avanti, contro tutto e tutti, pur di non inciampare di nuovo, pur di non
ritrovarci ancora una volta paralizzati di fronte allo stesso bivio.
La giovinezza è quella fase della vita in cui ci scontriamo con una realtà amara e crudele, diversa da quella tutta rosa e fiori che avevamo immaginato da piccoli, una realtà
che, però, possiamo cambiare riuscendo a scorgere ciò che c’è di positivo in ogni situazione e facendo tacere tutte quelle voci che ci assillano continuamente su ciò che è
giusto e ciò che non lo è. Ognuno di noi è in grado di trovare dentro di sé la forza per
affrontare serenamente la realtà, ognuno di noi può decidere quotidianamente di essere
felice: siamo liberi di scegliere su cosa concentrarci, siamo liberi di scegliere la felicità.
“Ho quasi vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che non possiamo rendere
questa l’età più bella della nostra vita” (Giulia Zappacosta, 2014, Lanciano).
Giulia Zappacosta V AL
per esempio studiare qualcosa per
cui non si è predisposti ma che possa
offrire più possibilità di lavoro e maggior profitto. Di conseguenza, il rischio è che nel futuro si avranno
tanti ingegneri, medici, economisti
che, stimolati dal solo obiettivo del
denaro, lavoreranno senza passione
e, quindi, con scarso rendimento.
Quante sfide affrontano i ragazzi
durante la loro crescita? Tante, e
tante ancora ne devono affrontare,
ma si sa che la vita è così, non lascia
mai riprendere fiato, soprattutto a
coloro che hanno grandi sogni e alti
obiettivi. La soluzione non è sicuramente a portata di mano, bisogna far
combaciare cuore e mente, e non è
semplice. Bisogna cacciare gli artigli
e affrontare il futuro con tanta determinazione perché a vent’anni, oltre
alla percezione della precarietà, si
hanno anche tanta forza e speranza.
Quindi, oserei rispondere all’affermazione inizialmente proposta: se la
vita non è bella a vent’anni, quando
lo è?
Nonostante tutte le difficoltà, secondo me si hanno, comunque, la vitalità e la giusta dose di pazzia che la
rende più saporita. È il periodo in cui
si possiede la forza dei sogni, che secondo me è la forza che muove il
mondo. Si ha la speranza di renderlo
migliore per noi stessi e per le prossime generazioni che, a differenza di
noi, si spera possano vivere quest’età
con meno ansia.
Una canzone del famoso cantautore italiano Luciano Ligabue recita
così: “Quando hai solo diciott’anni
quante cose che non sai, quando hai
solo diciott’anni, forse invece hai già
tutto e non vorresti crescer mai...” È
così: si ha paura di crescere, soprattutto per la consapevolezza di un futuro incerto; ma, in fondo, chi è che
ha sicurezze? Penso che i momenti
brutti ci saranno sempre e sempre
passeranno, e ritengo che ogni età
abbia una sua bellezza, con i suoi
pregi e i suoi difetti. Bisogna “indossare i paraocchi” di questi tempi, mirare dritto al traguardo e
preoccuparsi poco di tutto quello
che le statistiche riportano o dei
commenti esterni, altrimenti si resta
paralizzati dalla paura.
Questa è una delle età più belle
della vita; quindi non permettiamo a
niente e a nessuno di rovinarcela.
Gilda Di Florio V AL
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ESSERE GIOVANI OGGI
Cambia-menti a vent’anni
E’ arduo riuscire, quanto meno marginalmente, a definire “bella” l’età dei vent’anni. Specialmente se, poi, bisogna far
riferimento alle varie accezioni di bellezza
che si vengono a delineare in queste situazioni. Una bellezza “difficile”, mi verrebbe da dire al primo impatto, in quanto
la differenza fra momenti belli e quelli
brutti marca un solco profondo all’interno della memoria.
I nostri vent’anni non saranno mai
come quelli dei nostri genitori in quanto
a scelte ed opportunità, né tantomeno
come quelli di Paul Nizan che affermò:
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età
della vita”, ma nel lontano 1931, un periodo lontano dalle esperienze di un ventenne
attuale, socialmente
ed
economicamente differente.
La visione della vita, le scelte che si è
tenuti a prender sono per giunta decisamente soggettive: subordinate all’essere
propriamente ottimisti o pessimisti.
“E me ne andai, verso il destino… con
l’entusiasmo di un bambino” cantava un
giovanissimo Massimo Ranieri, all’inizio
degli anni ‘70, in una canzone dal titolo:
Vent’anni.
E’ strano come il tempo passi ed è
possibile vedere che alla fine la metafora
rimane sempre la stessa: andare via, partire, allontanarsi, talvolta a forza, per l’impossibilità di restare. Si tratta di un
“destino” che paradossalmente è vicino
a chi da sempre privilegia il voler esplorare quanto più spazio possibile del globo,
magari alla ricerca di fortuna, di successo,
o semplicemente per condurre una vita
ordinaria, in posti dove ci si possa sentire
appagati ed a proprio agio che siano relativamente vicini o lontani da dove si è
cresciuti.
Purtroppo, però, non è questo che
tutti vorrebbero… Tale “ destino” rema
contro chi, invece, desidera arditamente
conservare le proprie origini, continuare
a crescere e stabilirsi nel proprio territorio, ma non può per impossibilità e
mancanza di tutto il necessario: un lavoro,
con cui comprare una casa, avere la certezza di poter formare un nucleo familiare.
Quante volte ci sentiamo dire di non
preoccuparci, di continuare comunque la
strada delle nostre ambizioni più grandi
che, anche se con ritardo, saranno realizzate.
Beh, permettetemi di dire che non è
affatto giusto. Non è giusto dover trovare
una sistemazione fissa, sempre che si riesca a conti fatti a sistemarsi, intorno ai
26
quarant’anni, se non più tardi. La stessa
Adecco, agenzia di lavoro, in un incontro
a scuola ha voluto rimarcare il concetto
di “posto fisso”, come qualcosa di ormai
quasi impossibile da tenere ancora in
considerazione.
Non è facile, perciò, sottolineando il
tema dei vent’anni, riuscire a dire che ricordo conserveremo di questo periodo:
se l’incertezza sulla quale ci troviamo a
basare la nostra vita, o la positività del
voler andare avanti e inconsciamente
credere che, nonostante tutto, le proprie
ambizioni verranno soddisfatte in qualche
maniera.
In Italia, soprattutto dopo la seconda
Guerra Mondiale, ma in generale in tutto
il ventesimo secolo, si è conosciuto uno
sviluppo sociale, tecnologico e mediatico
di spessore ineguagliabile nel corso di
tutta la storia precedente. Oggi, invece, si
parla di un mercato saturo, di uno Stato
che non manda in pensione coloro che
versano contributi da quarant’anni, tenendo fermi quei pochi posti che comunque non soddisferebbero la richiesta di
lavoro attuale. Le persone, pertanto, accettano anche i lavori più umili per una
paga che ovviamente viene ridimensionata.
In una prospettiva quanto più positiva,
che nella norma non mi appartiene, voglio continuare a sperare che a seguito
dell’imprevedibilità del corso della storia,
l’economia torni a basarsi su un meccanismo scorrevole, che dia opportunità a
tutti quelli che ormai sono già pronti con
la valigia in mano.
La mia, come quella di altri, è la modesta opinione di qualcuno che non ha
quasi più nessun desiderio di rimanere in
Italia, patria di becere mentalità e comportamenti che non gli sono mai appartenuti del tutto, patria di accessi limitati,
ormai pronta ad offrire quante più porte
in faccia possibili.
Ma c’è una cosa che ho capito di re-
cente: è la differenza tra l’Essere e tra il
Sentirsi italiani. Ebbene, non penso che mi
senta poi molto italiano, in fin dei conti,
ma lo sono. Lo sono e lo siamo noi tutti,
nei modi, nei caratteri, nelle usanze che al
di là del confine, a pochi passi da noi, già
non si hanno più. Quelle maniere con cui
siamo stati cresciuti, educati e che ci apparterranno per sempre, volenti o nolenti.
La voglia di andare e di confrontare le
proprie origini e le proprie tradizioni con
quelle degli altri è molta, pur sempre conservando, però, il livore di una casa che
non ha saputo sostentare in maniera dignitosa i propri figli.
“Secondo me i giovani devono partire,
devono andar via, ma per curiosità non
per disperazione e, poi, devono tornare.
I giovani devono andare, un po’ come ho
fatto io, sono sempre partito e sempre
tornato. E devono andare per capire
com’è il resto del mondo, ma anche per
un’altra cosa ancora più importante, per
capire se stessi, perché c’è un’italianità
che non è quella dell’orgoglio nazionale.
Noi italiani dobbiamo capire una cosa,
che siamo come dei nani sulle spalle di
un gigante, tutti, e il gigante è la cultura,
una cultura antica che ci ha regalato una
straordinaria, invisibile capacità di cogliere
la complessità delle cose, articolare i ragionamenti, tessere arte e scienza assieme, e questo è un capitale enorme e
per questa italianità c’è sempre posto a
tavola per tutto il resto del mondo.”
(Renzo Piano, intervista del 2010 a “Vieni
via con me”)
Daniel Cicchitti V AL
Tatuaggi? Una moda
o un modo di essere
Fin dalle origini,il tatuaggio è stato impiegato presso moltissime culture. A seconda
degli ambiti in cui esso è radicato, ha potuto rappresentare sia una sorta di carta d'identità dell'individuo, che un rito di passaggio, ad esempio, all'età adulta.Da moda trasgressiva, i tatuaggi sono diventati oggi un vero fenomeno di massa. Oggi i tatuaggi sono
molto diffusi soprattutto tra i giovani: fra gli adolescenti abbiamo il più alto numero di
persone che ha un tatuaggio, precisamente l’11,3%.Ma qual è il motivo che spinge le
persone a profanare la propria carne e modificarne il colore attraverso il tatuaggio? In
una recente statistica è emerso che la gran parte dei ragazzi utilizza il tatuaggio per
affermare la propria personalità, come valore simbolico e non più come semplice strumento decorativo.I tatuaggi non sono più solo sfregi, resti di eredità tribali, ma sono un
modo per confermare la propria volontà sul proprio corpo, sono affermazione del "mio".
Ne vediamo di ogni forma e dimensione, spaventosi o romantici, minimal o ricchi di
colori. Di grande tendenza, oltre al tribale, i tatuaggi colorati. Non manca poi la fantasia
nello scegliere la parte del corpo da tatuarsi. Oltre ai posti classici quali spalla, polpaccio
o fondoschiena, non manca chi chiede un tatuaggio sotto le braccia ad esempio, o all'interno delle gambe. Qual è, invece, il significato psicologico dei tatuaggi? Le ragioni psicologiche che si celano dietro alla scelta di tatuarsi possono essere molto complesse e
profonde, alla base ci potrebbe essere la ricerca della propria identità, il superamento
di un momento difficile. Oltre che essere un bisogno molto personale, il tatuaggio è
anche e soprattutto un modo di comunicare con gli altri, un modo di esprimersi, una richiesta verso l’esterno che può essere di tutti i tipi. Il corpo diventa quindi uno strumento
per ottenere visibilità e ascolto, per sottolineare il proprio desiderio di unicità e allo stesso
tempo la richiesta di essere accolti in un gruppo. Sono presenti, però, alcune patologie
che sono correlate a questa moda così dilagante: si può andare incontro a gravi infezioni
se il tatuaggio è stato fatto con strumenti non sterilizzati. I disegni, inoltre, sono indelebili,
se non a costo di lunghe e laboriose procedure. Nonostante ciò, il corpo è per molti una
tela tutta da colorare.
Claudia Hakani e Marta Travaglini III B ES
ESSERE GIOVANI OGGI
I giovani non si vogliono più
interessare alla politica
“Se tutto deve rimanere com'è, è necessario che
tutto cambi”. Sempre più i giovani oggi non si interessano di politica, forse esasperati dai cattivi esempi della
nostra classe dirigente, forse inconsapevoli della straordinaria importanza che essa ha sulla vita di ognuno
di noi, forse incapaci di immaginare un mondo migliore,
un mondo in cui povertà, ingiustizie, dolori, sofferenze,
ignoranza cessino di esistere per sempre, forse incoscienti del fatto che modificare il presente e tutti i suoi
lati negativi sia possibile!
Bisogna essere edotti del fatto che il potere di cambiare le cose è tutto nelle nostre mani. Non bisogna
demoralizzarsi dagli innumerevoli aspetti rovinosi che
ci circondano. Tutto il male di cui il mondo ci costella
deve spingerci a lottare per sconfiggerne ogni sua
parte.Tutti i giovani devono interessarsi di politica, lottare per averne una che rispetti la dignità umana, rifiutandosi di continuare a vedere uomini che muoiono di
fame, freddo o caldo, gettati ai margini delle strade di
ogni città, uomini senza una umile casa all’interno della
quale possano proteggersi, senza un posto in cui poter
semplicemente dormire, o altri costretti alla morte per
malattie che sarebbero semplici da curare se il sistema
sanitario funzionasse adeguatamente.
Forse l’indifferenza a tali questioni può risultare
ancor più gravosa dei cattivi comportamenti della nostra classe amministratrice protesa spesso solo a profitti personali. Non bisogna mai stancarsi di richiedere
una democrazia completa, non una democrazia a metà.
Dobbiamo ricordarci che Democrazia significa go-
verno fondato sulla discussione, ma funziona soltanto
se riesce a far smettere la gente di discutere. Ogni essere umano ha il diritto di essere rispettato e di rispettare in contempo. Le opinioni di una intera nazione
devono avere valore sovrano, non può contare solo
l’opinione di un ristretto gruppo di persone elette che,
dopo aver ottenuto il voto, magari dichiarano il contrario di ciò che largamente hanno affermato precedentemente; esso sa che le masse sono abbagliate più
facilmente da una grande bugia che da una piccola.
La politica assume un ruolo fondamentale nel co-
struire una società sana e duratura, una società in cui
non esistono le ingiustizie né i privilegi per pochi.
La scuola deve dare i mezzi, attraverso la conoscenza delle precedenti forme fallimentari di società,
per riconoscere una vera democrazia da una falsa, in
cui le bugie al popolo sono costanti, dove i diritti di
pochi vengono messi davanti a doveri di tanti e per
sensibilizzarsi da questo punto di vista, creando momenti riservati alla riflessione della nostra politica, nonché dei pilastri che regolano incessantemente la nostra
vita. Altrimenti, si corre il rischio di dimenticare che
siamo noi con le nostre mani a dipingere il più grande
quadro della storia, delle nostre vite, siamo noi che dovremmo decidere le nostre sorti! E nessun altro per
noi. La nostra voce ha il diritto di essere ascoltata, e se
già i ragazzi dimenticano questo fondamentale diritto,
non potremo far altro che subire ciò che ci viene imposto e dettato solo dal profitto di chi non ha idea del
significato del concetto di solidarietà. Vivere è essere
solidali, crescere con dei valori, con il rispetto per gli
altri e per ogni essere vivente esistente sulla terra, vivere significa possedere diritti, dignità, responsabilità e
soprattutto LIBERTA’. La politica è parte integrante
della vita quotidiana e non bisogna subirla aspettando
che qualcuno la faccia per noi, ma disegnarla insieme
tutti i giorni. In questo modo la parola libertà assumerà
un vasto significato per tutti, e il vero valore della democrazia prenderà corpo. La politica non è una scienza,
ma un'arte.
Giorgia Rapino V BS
Non pensano, non ridono, non parlano: sono forse robot?
“Cosa è successo ai ragazzi?” “I giovani di oggi sono impazziti!”
Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Molte, moltissime. Ogni volta
che si toccano argomenti attuali gli
adolescenti vengono incolpati: si dice
che non pensano più, seguono solo la
massa, si chiudono in se stessi dietro
un mondo finto fatto di mode e tecnologie. E la cosa più preoccupante,
inutile negarlo: è tutto vero. La causa
di ciò? Il progresso, la fretta di correre…
Queste sono probabili risposte, ma
qualcuno si è mai chiesto perché corriamo, e incontro a chi? Forse siamo
ossessionati dal desiderio di progredire, ma il problema è che, come
spiega la psicopedagogista Gabriella
Zipper, la famiglia non ha strumenti per
far fronte al cambiamento. Eccoci, dunque, al cuore del problema. I genitori,
infatti, per adeguarsi ai tempi, organizzano accuratamente le attività dei figli
e si comportano come i loro migliori
Ecco cosa succede
ai giovani di oggi
amici, provocando in loro confusione
e paura di crescere. “Mi sento soffocare”, dicono spesso e alla ricerca di
ribellione trovano sul loro cammino
compagni che li invitano a provare l’effetto di certe sostanze e ad entrare nel
giro. Non è un fenomeno isolato, anzi,
un’indagine svolta dall’Università VitaSan Raffaele di Milano conferma che
quattro adolescenti su dieci hanno
provato lo sballo. Ma Sono davvero
così tanti gli insicuri che non sanno
quello che vogliono? A quanto pare sì!
E cosa fa a tal proposito la società? La
società, ovvero gli adulti, vuole avere il
controllo su tutto e cercare dei perché; Pretende di ascoltare i giovani
così da poterli studiare.
Come rivela S. Rossini ne “I luoghi
comuni della psicologia mordi e fuggi”,
“è l’ultima illusione del controllo,
quella dell’ascolto. Nasconde la pretesa di onniscienza, di sapere tutto dei
giovani e di poterli guidare”. Il problema è che i ragazzi non si confidano,
e restano in disparte anche quando si
parla di loro. Un esempio? Nell’assemblea d’istituto del biennio del Linguistico e delle Scienze Umane, opzione
Economico-Sociale dell’Istituto “C. de
Titta” di Lanciano, sono stati ospiti due
esperti di un vicino centro di recupero
per tossico-dipendenti che ci hanno
gentilmente esposto le cause, le conseguenze e le possibili soluzioni del fenomeno della droga diffusa tra i
giovani. Il risultato? Assoluto disinteresse della maggior parte degli alunni
che ha impiegato il tempo con i telefonini collegandosi a Internet, a sentire
la musica.
Già la musica. Ma non sarà anche
quella causa di ribellione e inquietudine? Secondo molti è cosi e si incolpano quindi i testi di certe canzoni
contenenti messaggi rivoluzionari che
vanno contro gli ideali imposti dagli
adulti, ma siamo davvero convinti che
i giovani siano cosi “sciocchi” da seguire le mode, come marionette senza
pensare a ciò che fanno? Forse sì, ma
ricordiamoci che la colpa non è sempre la loro!
Ilaria Verì II AL
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ARTE, MUSICA, CULTURA...
La Storia dell’arte nelle scuole italiane
L'Italia vanta il più grande patrimonio artistico
mondiale, in quanto comprende più della metà di
quello internazionale. Ed è proprio nel Paese di Leonardo, di Michelangelo, di Caravaggio (e di tantissimi
altri) che questa grande ricchezza artistica viene
quasi ignorata e profondamente sottovalutata come
è accaduto con l'ex ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini che ha ridotto “brutalmente” le ore di
insegnamento di questa disciplina nelle scuole. Ed è
proprio negli Istituti Professionali che è stata cancellata, dove è possibile diplomarsi in Moda, Grafica e
Turismo senza conoscere un minimo di arte. Per non
parlare poi degli “umanisti” del Liceo classico che
sono quasi completamente a digiuno di linguaggi figurativi. Ancora più vergognoso è il fatto che nei Licei
artistici l’indirizzo “Restauro dei beni culturali” sia
completamente scomparso. Sconvolgente a dir poco
Esiste una forma d’arte sacra e popolare, subalterna e poco apprezzata, alla
quale non si attribuiscono i giusti meriti.Appartiene ad un popolo di artisti di strada, i
“madonnari”, che, chini sull’asfalto per ore,
e con le ginocchia a terra, riescono a realizzare piccoli capolavori. Quella dei madonnari può essere definita “arte effimera”,
poiché le loro opere, realizzate con materiali polverosi, vengono portate via dalla
pioggia e dal calpestio noncurante e sbadato dei passanti. È un mestiere fatto di
passione e pazienza, e non un passatempo
o un lavoro semplice, come potrebbero pensare in molti. I loro dipinti si accostano, per
tipologia, all’arte sacra popolare cristiana,
alla quale appartengono i presepi, le statue
delle Madonne, le croci con i simboli della
Passione, gli ex voto per grazia ricevuta.
Non è facile ricostruire la storia dei ma-
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sono questo profondo disprezzo e questa svalutazione dell'arte, sia perché riducono ulteriormente i
posti di lavoro, rendendo precari circa 2.500 promettenti insegnanti, sia, e soprattutto, perché le scuole
dovrebbero educare al linguaggio figurativo per eccellenza. E pensare che gli studenti stranieri invidiano
la nostra ricchezza culturale costituita da capolavori
ideati e realizzati da artisti che purtoppo non sono
adeguatamente apprezzati e valorizzati dal loro
stesso Paese. Come possiamo parlare di cultura a
360 gradi se non si conoscono i geni creativi del passato? Come possiamo parlare di amore per la patria
se ignoriamo i pilastri della cultura della nostra penisola? Senza una minima conoscenza e interiorizzazione del linguaggio artistico, rischiamo di
trasformare il mondo in un sistema retto da scienziati ed economisti che, come degli automi, non ce-
dono al desiderio naturale di andare oltre la materia,
oltre la realtà oggettiva. Infatti, in questo modo l'arte
perderà gradualmente il suo ruolo ricreativo per
l’animo e la sua validità. E’, inoltre, molto poco frequente ammettere la grande capacità interpretativa
dei ragazzini che a volte riescono a leggere codici
impegnativi naturalmente perché privi di condizionamenti, ma servendosi solo ed esclusivamente del
proprio giudizio, delle proprie sensazioni emotive.
Vogliamo quindi vivere davvero in un mondo di
persone spoglie moralmente che non si lasciano influenzare dall’arte, non ritenendola nemmeno un valido linguaggio per l’esternazione dei nostri bisogni
spirituali? Vogliamo veramente cancellare più di 2000
anni di storia dell’arte ignorando completamente
l’eclettismo di milioni di artisti?
Italo Ferrante I BL
L’altra faccia dell’arte
donnari, perché eventi e testimonianze che
li riguardano sfuggono ad ogni classificazione. Sembra che il mestiere di madonnaro possa risalire ai primi secoli del
cristianesimo, nel momento in cui ha origine
il culto mariano, ma non esistono dati ufficiali di certezza. Il termine “madonnaro”
viene utilizzato per la prima volta agli inizi
del 1970, in occasione di un festival di questi artisti tenutosi a Lido di Camaiore.
L’evento più importante nella storia dei madonnari si verifica nel giugno 1991, quando
Papa Giovanni Paolo II, in visita a Mantova,
giunge presso il santuario della Beata Vergine delle Grazie. In quel luogo lo accoglie
un’opera grandiosa, realizzata per l’occasione da un gruppo di artisti su disegno di
Kurt Wenner, raffigurante il Giudizio Universale, opera apprezzata e siglata dal pontefice stesso. Prima di allora i madonnari non
erano mai riusciti a farsi accettare nelle
piazze, ma il riconoscimento pubblico e ufficiale del Papa contribuisce a dare la giusta
dignità all’operato di questi artisti di strada.
Nonostante tutto, in molti comuni italiani
l’arte dei madonnari viene concepita come
imbrattamento del suolo pubblico, come
un’attività ai limiti della legalità, e nel nostro
Paese non c’è nessuna tutela per questa
espressione d’arte che, invece, è riconosciuta in tutto il mondo come Italian Street
Painting. Questi artisti dipingono su una
base di asfalto bituminoso, stendendo il colore con i polpastrelli su una velatura di pig-
mento in polvere, acqua e zucchero o birra,
che consente al colore di fissarsi all’asfalto.
Con l’ausilio di matite sanguigne viene tracciato il disegno; la stesura del colore prevede, in genere, l’uso dello “sfumato”, con
delicati passaggi di tonalità ed effetti cromatici di grande efficacia, sia per gli incarnati che per i drappeggi. Gli artisti più
intraprendenti presentano dei monocromi,
difficili da realizzare, o ricorrono all’impiego
dell’anamorfosi, una tecnica prospettica che
conferisce ai dipinti effetto tridimensionale
e profondità. La spettacolarità di quest’arte,
proprio perché è destinata a durare per un
breve lasso di tempo, è tutta contenuta nel
momento stesso della creazione, nell’emozione immediata che si accende quando
l’opera nasce, colorando le strade del
mondo.
Flavia Fioretti IV BL
ARTE, MUSICA, CULTURA...
Giovanni Giolitti:
tra pro e contro
La scena politica di inizio Novecento
in Italia ha un preciso nome e cognome:
Giovanni Giolitti, tanto che il periodo
dal 1901 al 1914 venne definito “ età
giolittiana”. Ci aiuterà a fare chiarezza
sulle luci e sulle ombre che avvolgono
questo squarcio del ventesimo secolo
lo storico e professore di storia, Enzo
Berretti.
- Professor Berretti, Giolitti è una figura che ha sempre suscitato molte
controversie , anzi, una vera e propria
spaccatura tra “giolittiani” e “antigiolittiani”. Ma chi aveva ragione, chi lo definiva “ministro della malavita” o chi lo
definiva “ministro della buona vita”?
- Giolitti è stato un grande statista
italiano, uno dei più importanti politici
che l’Italia abbia mai avuto.Tuttavia la
sua figura ha diviso gli animi degli intellettuali e proprio per questo credo che,
per abbozzare un ritratto il più possibile corrispondente alla realtà di questo personaggio, bisogna attingere sia ai
suoi critici più feroci (come Salvemini),
sia ai suoi più convinti sostenitori
(come Croce). A Giolitti, infatti, vanno
riconosciuti molti meriti , senza però
perdere di vista i “ peccati” spesso non
proprio veniali da lui commessi. Tra i
meriti dello statista di Dronero va annoverato il fatto che fu lui che, al timone dell’Italia , impresse al nostro
Paese la virata necessaria ad un improrogabile cambiamento di rotta, ossia il
passaggio da un governo di stampo oligarchico a un governo liberale aperto,
entro certi limiti, alle istanze del
popolo.A Giolitti, infatti, va riconosciuta
la capacità di aver saputo cogliere e interpretare i cambiamenti sociali in atto
e dunque di incanalare nelle istituzioni
i fermenti che venivano dal basso senza
sconvolgere l’assetto dello stato liberale ossia borghese. Infatti, mentre lo
stato oligarchico era chiuso in un atteggiamento solipsistico e improntato alla
repressione, cosa che aveva determinato un totale scollamento tra popolo
e istituzioni, con lo stato liberale di
Giolitti, le masse operaie, fino ad allora
estranee al governo, vennero integrate
nelle strutture dello Stato: in tal maniera Giolitti riuscì anche a disciplinare
lo scontro sociale, in quanto la classe
operaia, pian piano, da forza eversiva si
avvicinò alle istituzioni, arricchendone
in maniera costruttiva il tessuto sociale.
In quest’ottica vanno lette le importantissime riforme sociali attuate da Giolitti grazie al dialogo con l’ala riformista
del PSI di Turati come: l’assicurazione
obbligatoria sul lavoro, la nazionalizzazione delle ferrovie, le leggi a tutela del
lavoro femminile e minorile, la statalizzazione della scuola elementare, l’istituzione dell’ispettorato sul lavoro, la
regolamentazione delle aziende municipalizzate e, dulcis in fundo, nel 1912 il
suffragio universale maschile che permise di allargare la base elettorale cosicché tutti i ceti sociali potessero
essere rappresentati in Parlamento.
- Professore così sembrerebbe solo
un “ministro della buona vita”…
- No, ora passiamo alle note dolenti.
Va detto che Giolitti non aveva un’ idea
precisa dell’Italia, tanto che la sua fu definita “Italietta”, ossia, non elaborò un
disegno politico di ampio respiro, ma
semplicemente sfruttava le occasioni
propizie, i momenti contingenti per ottenere il consenso e assicurare all’Italia
una politica stabile e moderata. Da perfetto principe machiavellico sfruttò
ogni mezzo per conservare il suo potere e, infatti, vedeva nei soggetti della
democrazia pedine da poter muovere
secondo la propria convenienza. Questo suo atteggiamento opportunistico
e utilitaristico si può riscontrare innanzitutto nelle alleanze politiche: praticò
infatti il “trasformismo” e il pendolo
delle alleanze giolittiane oscillò da sinistra (ebbe,infatti, un prolifico dialogo
con il PSI di Turati) , alla destra estrema
in quanto accontentò le istanze nazionalistiche intraprendendo la conquista
di quella che Salvemini definì “scatolone
di sabbia”, mentre i nazionalisti “eden
lussureggiante”, ossia la Libia, passando
per il centro-destra, in quanto per vincere le elezioni del 1913, data la rottura
con i socialisti, si alleò con i cattolici tramite il “Patto Gentiloni”. Insomma, fece
molti “giri di valzer” , abitudine che i
nostri politici non hanno perso, semmai
affinato e perfezionato, e pare che non
si stufino, al contrario dei cittadini che,
invece, devono fare i salti mortali per
arrivare a fine mese, di sentire sempre
la stessa musica.
- Già, Professore, sempre lo stesso
disco rotto, un po’ come il divario tra
Nord e Sud, che durante l’epoca giolittiana aumentò e gli strascichi sono evidenti ancora oggi…
- Esattamente. Il gap tra Nord e Sud
è un altro male endemico della nostra
Italia e proprio Giolitti contribuì a incrementarlo. Il suo atteggiamento opportunistico, di fatto, oltre che nel
trasformismo politico è riscontrabile
anche nel diverso atteggiamento che
ebbe nei confronti di Nord e Sud. Infatti, mentre a Nord, il motore dell’economia italiana, non ostacolò le
rivendicazioni sociali e le proteste operaie promosse dall’estrema sinistra, a
Sud soffocò nel sangue le rivolte dei
braccianti meridionali, in quanto non
era nel suo interesse il sovvertimento
delle arcaiche gerarchie che regolavano
il Mezzogiorno, dal momento che gli
agrari, i notabili erano un serbatoio di
voti del quale Giolitti non poteva fare
a meno per restare al governo. Proprio
queste due politiche distinte attuate da
Giolitti nei confronti di Nord e Sud
contribuirono a rendere ancora più
profonda la frattura tra un Nord sviluppato e industrializzato e un Sud abbandonato all’arretratezza e alla
miseria. Fu proprio ciò a spingere Nitti
a denunciare che, con Giolitti, la questione meridionale era peggiorata rispetto al periodo post-unitario; fu
questo a spingere Salvemini a soprannominarlo “Ministro della malavita” e
ad affermare che nell’Italia meridionale
Giolitti trovò cattivi costumi elettorali
e li lasciò peggiori. Il governo di Giolitti
poggiava dunque su basi marce in
quanto imperniato sul clientelismo,
sulla corruzione, sul broglio, sull’intrallazzo, sull’inciucio, sulla collusione
(anche con la mafia), nonostante la vernice democratica e l’impalcatura liberale. Per questo, e mi riallaccio alla
prima domanda, è difficile assumere
una posizione netta su Giolitti, sul suo
operato e sui suoi metodi governativi e
i suoi programmi politici, dare ragione
al filone giolittiano piuttosto che a
quello anti-giolittiano. Conviene,invece,
distinguere tra i suoi meriti (ossia l’indirizzo liberale dello Stato e le riforme
sociali) e i suoi demeriti (la corruzione
di fondo del suo governo), senza occultare nessuno dei due aspetti.
- Professore, un’ultima domanda
per concludere. Sono ormai passati
cento anni da quando fu introdotto da
Giolitti il suffragio universale maschile,
mentre per il diritto di voto femminile
abbiamo dovuto aspettare il secondo
dopoguerra. Il diritto di voto è stato
dunque una conquista ardua, ma non
sembrerebbe dati gli alti livelli di astensionismo che si registrano negli ultimi
anni alle elezioni.Come si spiega questa
involuzione del processo democratico
e secondo lei quali sono le possibili soluzioni?
- Se mi permette una battuta, ultimamente il problema più che l’astensionismo è il fatto che i cittadini non
vengano più chiamati alle urne. Siamo
al terzo governo nel giro di pochi anni
non legittimato dal voto popolare ma
partorito nelle stanze del potere.
Scherzi a parte, è ovvio nel momento
in cui viviamo il verificarsi di questo fenomeno. La sfiducia e il malcontento,
ormai divenuti rabbia, nei confronti
della classe politica sono alle stelle perché pare che i soldi per le vacanze piuttosto che per la tintura per capelli dei
nostri assessori consiglieri o parlamentari ci sono. Mi viene in mente, a questo
proposito, una frase di Giolitti che
credo vada capovolta. Egli affermava
che un sarto, se deve fare il vestito per
un gobbo, ineluttabilmente deve cucirlo
con la gobba, alludendo alla sua azione
politica. Ora, mi permetta, credo che di
suo l’Italia possa aver maturato una leggera scogliosi, ma è stata la politica o
meglio la “malapolitica”, che non solo
non ha corretto la scogliosi come
avrebbe dovuto, ma ha fatto venire la
gobba a questa povera Italia, perché in
realtà il nostro Paese è pieno di onesti
lavoratori e menti brillanti che hanno
voglia di fare. E questo gli Italiani in
fondo in fondo lo sanno, nonostante il
complesso di inferiorità che ci pervade
ogni volta che si nomina un Paese straniero. E quando arriverà quel politico
che, invece di coprirsi dietro la foglia di
fico della “gobba ereditaria”, vorrà cambiare le cose gli Italiani lo riconosceranno e lo voteranno.
Mariaelena Di Battista V AL
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ARTE, MUSICA, CULTURA...
Fermatevi un attimo e pensate quante
volte nella vostra vita avete letto un racconto. Centinaia di volte. Piccole storie
che ci sono rimaste dentro, alcune più di
altre: storie fantastiche, d’amore, filosofiche, dell’orrore, sulla vita di tutti i giorni.
Libri, racconti orali, film…
Eppure c’è anche un altro mezzo per
comunicare storie e, anche se non viene
molto preso in considerazione, è uno dei
più immediati: la musica. Più specificatamente i “concept album”, ovvero dischi
che raccontano storie attraverso le canzoni al loro interno, oppure sono focalizzati su un concetto e ogni canzone
analizza un aspetto di questo. Nel vastissimo catalogo musicale del nostro pianeta, ci sono tantissimi concept album
I concept album
che spaziano fra moltissimi generi musicali, anche se il concept album è caratteristico della musica rock, specialmente il
rock progressivo. Fra i concept album più
famosi possiamo ricordare “The Dark
Side Of The Moon” dei Pink Floyd (detto
“quell’album dalla copertina col triangolo”): esso si concentra sulla natura
umana e su tutti gli aspetti di essa: la nascita, il passaggio del tempo, la paura, il
materialismo, la follia e la morte. Molti
concept album sono da ascoltare tutto
d’un fiato, perché le canzoni sono collegate fra di loro e, appunto, raccontano
una storia, la cui trama andrebbe a sfa-
viene spesso visto come violento,
con elementi satanici e fatto da
persone drogate o, comunque, disagiate. Non posso negare la presenza di alcuni gruppi metal
che calzano a pennello questi stereotipi, come gli Slayer o molti
gruppi provenienti dalla Scandinavia (casa del black e del death
metal, appunto i tipi più violenti e satanici). Ma, se ci si avventura
in questo genere musicale, si possono scoprire gruppi che sono
tutt’altro che violenti e satanici (la violenza a livello musicale si
trova sempre, altrimenti non si parlerebbe di metal). Prendiamo
come esempio il power metal: questo sotto-genere presenta elementi molto melodici e spesso ispirati alla musica classica, mentre a livello di testo si parla di storie medievali o comunque di
fatti storici e che riprendono la letteratura. Ad esempio, possiamo citare gli Iron Maiden che non rientrano appieno nella categoria power metal, ma comunque presentano nella loro
musica alcune caratteristiche di quel genere. Spesso i loro pezzi
hanno testi ispirati a opere letterarie o a avvenimenti storici,
come Rime Of The Ancient Mariner, che prende spunto dall'omonimo poema di Samuel Taylor Coleridge, oppure Paschen-
Stereotipi musicali
Gli adolescenti hanno vari interessi comuni: moda, stare con
gli amici, cellulari, videogiochi, Facebook, calcio ecc… Questi interessi possono coinvolgere o meno l’adolescente medio, ma se
c’è un interesse che ci accomuna tutti è quello della musica. La
musica è come una scappatoia verso un altro mondo dove rifugiarsi quando si ha paura della realtà, è la cosa che più di
tutte ci fa provare emozioni forti, è ciò che ci tiene compagnia
tutti i giorni. La maggior parte della gente ascolta la musica alla
radio, questo crea una certa popolarità di generi determinati,
come il pop, che spesso presenta canzoni di due tipi: molto gioiose sul non far niente, sull’essere innamorato e sul divertirsi,
oppure molto tristi, sull’amore perduto. Ma cosa succede se ci
avventuriamo in generi più sconosciuti dal pubblico? Spesso si
ha paura del diverso, come nella vita di tutti i giorni, dove molti
vengono discriminati. Si creano stereotipi che alla fin fine sono
come scudi con cui ripararci da queste paure. Nella musica un
genere in particolare viene stereotipato, ovvero il metal. Il metal
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sciarsi completamente se così non fosse.
Un altro concept album che, invece, racconta una storia vera e propria, è
“Tommy “degli Who, (detto “il gruppo che
canta la sigla di CSI”), che narra la storia
di un bambino sordomuto e cieco, che
poi si scoprirà avere un’ abilità sovrannaturale nel giocare a flipper. Anche in Italia
è abbastanza diffuso questo fenomeno,
soprattutto fra i mai nominati e storici
gruppi progressivi, quali PFM, Area e il
Banco Del Mutuo Soccorso, il cui cantante, Francesco Di Giacomo, è deceduto
recentemente (detto “quello a cui hanno
applaudito durante Sanremo”). Esempi di
concept album di questi gruppi sono
“Storia Di Un Minuto” e “Darwin”. Fra
gli artisti più conosciuti, cultori dei concept, c’è Caparezza, “quello di Fuori Dal
Tunnel”. I suoi dischi molto ironici, danno
vita a concetti altrettanto satirici, come
Habemus Capa, dove il rapper pugliese
muore e denuncia vari aspetti della società, reincarnandosi di canzone in canzone in vari personaggi. Insomma, i
concept album sono un modo innovativo
(anche se questa tecnica viene usata da
molto) di raccontare storie.Tutti i personaggi rimangono impressi e ognuno di
loro ricorda una specifica melodia, ritmo
o parte di testo. In effetti, i miei dischi preferiti sono quasi tutti concept album.
Mattia Caporrella I BL
dale, che parla appunto della battaglia di Passchendaele. Oltre
a questi, i Dream Theater (gruppo prog metal) spesso trattano
argomenti etici e psicologici nella loro musica, come The Great
Debate che parla della ricerca sulle cellule staminali,The Mirror,
che affronta il tema dell'alcolismo, oppure The Enemy Inside e
War Inside My Head che parlano di come i soldati in congedo
siano costretti a vivere con i terribili ricordi della guerra. Potrei
andare avanti per ore, ma quello che voglio dimostrare con questo articolo è di non fermarsi alle apparenze, ma di andare
oltre, di informarsi prima di “sparare” critiche infondate, non
solo nella musica, ma anche nella vita di tutti i giorni. Un ultimo
appunto: è vero che spesso i comportamenti dei personaggi del
metal non sono affatto da imitare e frequentemente vengono
super censurati e boicottati per questo (un esempio sono stati
i Grammy di quest'anno), ma è anche vero che alcuni personaggi popolari come Miley Cyrus e Justin Bieber non vengono
mai criticati e fanno cose deplorevoli di fronte a migliaia di persone (sapete a cosa mi riferisco), e sono da modello per molti
ragazzi e bambini, cosa non buona.
Mattia Caporrella I BL
ARTE, MUSICA, CULTURA...
Tolkien:un viaggio
nella Terra di Mezzo
Brevi cenni biografici
John Ronald Reul Tolkien è stato un importante scrittore inglese. Nasce nel 1892 a Bloemfontein in Sudafrica. Trasferitosi in Gran
Bretagna (Sarehole) in tenera età, scopre sin da
piccolo la passione per universi immaginari e
per codici linguistici che lui stesso amava inventare. Dopo aver studiato inglese, lingue germaniche e classiche all'Exeter College e dopo aver
prestato servizio militare durante la Grande
Guerra,Tolkien ottiene la cattedra di Lettere all'Università di Leeds e poi anche a quella di Oxford. È proprio qui che lo scrittore formerà con
il creatore del ciclo di Narnia, C.S.Lewis, il circolo
degli Inklings, gruppo di discussione letteraria.
Opere
Nel 1937 viene pubblicato il primo grande
capolavoro di Tolkien: Lo Hobbit. Ed è proprio
da questo romanzo che sono iniziate le avventure che coinvolgono i diversi popoli della Terra
di Mezzo.
Tutto iniziò da questa celebre frase scritta
su un foglio bianco mentre lo scrittore stava correggendo i compiti degli allievi:“In una buca del
terreno viveva uno hobbit”. Uno Hobbit è l'abitante della Contea (regione della Terra di
Mezzo). Si tratta di minuti individui panciuti,
tozzi, ammodo, terribilmente pigri e poco più
bassi dei loro amici Nani. Dai piedi villosi e dai
capelli castani, sono amanti dell'ordine, della routine e della casa. È questo forse il perfetto identikit di Bilbo Baggins, protagonista del romanzo,
che viene invitato dal saggio stregone Gandalf
ad intraprendere un viaggio per recuperare il
tesoro dei Nani rubato dal feroce drago Smaug.
Il popolo dei Nani è, infatti, contraddistinto da attributi quali il coraggio, lo spirito di iniziativa, la
caparbietà, oltre che dalla folta barba. Non perdono, quindi, mai occasione per riprendere ciò
che è stato loro sottratto e compiere atti di puro
eroismo. Bilbo, inizialmente restio e diffidente, si
decide poi a partire assieme allo stregone e ai
13 Nani capeggiati da Thorin Scudodiquercia,
impavido e autorevole personaggio. Molte sono
le peripezie che i viandanti devono affrontare,
come ad esempio l'incontro con Gollum (o
Sméagol), viscida e sinistra creatura dalle fattezze umanoidi. All'interno della sua caverna
Bilbo trova un prezioso anello d'oro, punto centrale da cui poi si snoderranno le vicende della
celebre trilogia Il signore degli anelli. Il romanzo
si conclude con la sconfitta del drago. I viaggiatori riescono, infatti, a recuperare il tanto desiderato bottino. Ciò che forse colpisce
maggiormente è il fatto che il nostro protagonista va incontro a una profonda evoluzione psicologica: da casalingo e calmo, diventa intrepido,
avventuroso e anticonformista. Attraverso la figura di Bilbo,Tolkien ci trasmette un importante
messaggio: anche i più piccoli e deboli possono
imprimere un’impronta decisiva nel mondo, e
tutti in fondo abbiamo la voglia di scoprire realtà
differenti dalle nostre. Un altro importante e celebre lavoro di Tolkien è sicuramente la saga Il
signore degli anelli, pubblicato negli anni Cinquanta. Il protagonista è ancora una volta uno
hobbit di nome Frodo. Nipote di Bilbo, dimostra
grande coraggio e intraprendenza. A lui è affidato un importante compito: distruggere l’Anello
desiderato ardentemente dai malvagi signori del
Male Sauron e Saruman. Il gioiello nelle loro
mani porterebbe, infatti, disastri, rovina e la sottomissione di tutti i popoli della Terra di Mezzo
al Male. E anche in questo caso uno dei temi
prevalenti è il viaggio. Frodo parte assieme ai fedeli hobbit: Sam, Pipino e Merry.Insieme vagano
per tutta la Terra di Mezzo e incontrano anche
nuovi amici come lo slanciato e determinato
uomo di nome Aragorn, l’elfo Legolas, contraddistinto come tutti gli Elfi da orecchie a punta,
intelligenza ed eleganza, e il testardo e serefico
nano Gimli.Tra gli avvenimenti più importanti ricordiamo sicuramente l’attacco del ragno gigante Shelob, l’arrivo alle miniere di Moria,
infestate dagli Orchi, l’ultima battaglia tra Bene
e il Male denominata “Guerra dell’anello”, conclusa con la sconfitta di Sauron e la morte di
Frodo. Si inserisce così l’importante tematica
della morte, inevitabile, che non ha pietà per
nessuno. Personalmente ritengo che i romanzi
di Tolkien siano le più importanti e rappresentative pietre miliari della narrativa fantasy di tutti
i tempi. Con un linguaggio apparentemente
semplice e con una struttura sintattica lineare,
Tolkien riesce a farci immedesimare pienamente nelle vicende narrate e ad accrescere la
nostra voglia di scoprire mondi nuovi, fantastici,
nati dal genio creativo di un uomo per cui il fantasy era la propria realizzazione artistica. E’ praticamente impossibile non riconoscere la grande
inventiva di Tolkien, la sua grande ricerca e il
suo grande talento.
Italo Ferrante I BL
12 anni schiavo
Uno dei film protagonisti degli Oscar di quest’anno è sicuramente stato 12 anni schiavo, vincitore di tre statuette, tra
cui quella per il Miglior film. Esso è basato sull’omonima autobiografia di Solomon Northup, uomo di colore nato libero
nei pressi di New York, ma rapito e costretto alla schiavitù dal
1841 al 1853. Pur essendo presenti alcune differenze tra libro
e film, rimane intatto l’impatto emotivo e sociale della storia
raccontata: la vita di un uomo qualunque, diventata tanto incredibile e sconvolgente da essere tuttora un’importante testimonianza e, allo stesso tempo, un ritratto dell’America
schiavista di metà Ottocento.
Secondo l’autobiografia, Solomon, padre di famiglia di circa
33 anni, fu tratto in inganno da due trafficanti di schiavi, che
gli avevano prospettato un lavoro da musicista in un circo.
Egli infatti suonava il violino, che definiva “passione dominante
della sua giovinezza”. L’uomo si trovava a Washington quando
fu drogato, venduto spacciato per uno schiavo fuggiasco dalla
Georgia, e imprigionato.Tentò inutilmente di dire che era un
uomo libero, ma ogni tentativo fu brutalmente represso. Fu
in seguito imbarcato su un brigantino diretto a New Orleans,
e il suo nome fu cambiato in Plat Hamilton.
Per i successivi 12 anni rimase in schiavitù, lavorando per
tre diversi padroni nella regione del Red River. Il primo proprietario fu William Ford, predicatore battista che possedeva
una piantagione di cotone, ricordato da Solomon come un
uomo buono. Ford lo cedette a John M. Tibaut, un carpentiere che lavorava in una piantagione di proprietà dello stesso
Ford. Tibaut era un padrone crudele, che cercò di uccidere
Solomon ben due volte: in un’occasione tentò di impiccarlo
e, anche se intervenne un uomo di Ford, fu lasciato per ore
con un cappio al collo e i polsi legati; la seconda volta Tibaut
provò a colpirlo con un’ascia e, per evitare altri problemi,
decise di venderlo. Il terzo e ultimo padrone, Edwin Epps,
proprietario di una piantagione di cotone, è descritto come
il più crudele: un sadico ossessionato da una giovane schiava
chiamata Patsey, alla qualei, istigato dalla moglie gelosa, riservava tremende sevizie. Solomon tentò senza successo di inviare messaggi a familiari e amici, che non avevano avuto sue
notizie dai tempi del rapimento. Durante il decennio di prigionia trascorso nella proprietà di Epps, un uomo bianco,Armsby, accettò di aiutarlo, ma poi rivelò tutto a Epps, e
Solomon dovette convincerlo che l’uomo mentiva. Quando,
però, alla piantagione arrivò un carpentiere abolizionista, Samuel Bass, ebbe più fortuna. Bass, inizialmente riluttante, rischiò moltissimo scrivendo varie lettere a nome di Solomon,
in cui segnalò, senza poter fornire indicazioni precise, dove
cercare. Fortunatamente l’epopea di Solomon ebbe un lieto
fine; infatti, l’avvocato Henry B. Northup avviò un’indagine
che lo condusse fino alla piantagione di Epps. Solomon si ricongiunse alla sua famiglia, raccontò la sua storia e trascorse
il resto della sua vita a sostenere il movimento abolizionista,
tenendo molte conferenze sulla schiavitù. La data e le circostanze della sua morte restano ignote.
Flavia Fioretti IV BL
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DI TUTTO AL DE TITTA - 2014
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