I LUOGHI IMPORTANTI DELLA VITA

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I LUOGHI IMPORTANTI DELLA VITA
I
luoghi
importanti
della
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Indice
Prefazione
pag. 3
Note
pag. 5
Emilia-Romagna
pag. 7
Liguria
pag. 31
Lombardia
pag. 45
Veneto
pag. 65
Piemonte, Toscana, Friuli Venezia Giulia
pag. 81
Lazio, Sicilia, Sardegna, Campania
pag. 91
Paesi esteri
pag. 99
Ringraziamenti
pag. 118
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Prefazione
Ci sono posti che rimangono appiccicati addosso.
È la vita che li invade a renderli talmente speciali: le cose dette, quelle vedute, i pensieri pensati, gli amori
nati ed anche quelli finiti: tutte cose semplici ma così importanti.
Un luogo qualunque finisce per diventare intimo.
Speciale.
Entra dentro, fin nell'anima e lì rimane per tutto il tempo che la memoria concede.
Si trasforma in un focolare che puoi raggiungere solamente ricordando e così, quando ti senti solo, o felice,
oppure stanco, lo puoi visitare e sentirne il sapore ancora e ancora.
Per questo, il libro che stringi tra le mani è una faccenda importante: perché raccoglie la memoria dei luoghi
e la salva dall'oblio.
E insieme salva le storie delle persone che li hanno attraversati.
Perché non c'è storia senza un luogo e non c'è un luogo senza una storia.
Francesco Vidotto
Scrittore
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Note
Nato da un progetto di narrazione autobiografica nelle strutture residenziali, questo libro raccoglie i ricordi
legati ai luoghi più sentiti in cui gli anziani hanno vissuto. La partecipazione è stata altissima e la quantità
di racconti raccolti ne è testimonianza: un mosaico di storie germogliate nel territorio, che raccontano
l’Italia e il mondo attraverso un caleidoscopio di punti di vista. E, proprio per dare importanza ai ricordi e
alla terra che li ospitano, si è scelto di suddividere la pubblicazione senza badare alla distinzione delle
strutture residenziali di appartenenza; è la condivisione della terra a legare le storie di vita e chi le ha
condivise.
Dal paese d’infanzia ai trasferimenti per lavoro, dai campi di casa all’altro capo del mondo, le voci degli
anziani ci hanno regalato una mappa intessuta di emozioni, sottolineando che, spesso, non è il luogo più
spettacolare quello che si riveste di maggiore affetto.
I luoghi di cui leggerete in queste pagine non sono solo quelli fatti di terra e strade, di botteghe e tram,
di paesaggi che mutano con lo scorrere del tempo, di campi trasformati in moderni quartieri residenziali
e vecchie case di mattoni che resistono alla frenesia del mondo. Queste pagine parlano anche dei luoghi
invisibili, raggiungibili solo attraverso le parole di chi li racconta; un viaggio nei ricordi della memoria e
del cuore.
Anna Tasinato
Educatrice
C.S.A. “Valgrande” - Sant’Urbano (PD)
N.B.
Gli interventi effettuati sui testi sono stati volti a mantenere il più possibile l’aderenza agli originali, sia nella lingua sia nello stile,
favorendo una maggiore leggibilità e conservando ove possibile le identità linguistiche di appartenenza.
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Emilia-Romagna
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Reggio Emilia
Il luogo più importante della mia vita è Case
Bagatti, dove sono nata. I miei genitori avevano
costruito una casetta; era senza pretese perché
c’era tanta miseria, ma ci volevamo bene e quello
era l’importante, bastava accontentarsi.
Mio papà faceva il fabbro, invece la mamma stava
dietro alla casa, andava a prendere la legna per il
fuoco, se la caricava in spalla in fasci. Avevamo
sette pecore e accudivo anche quelle.
Sono andata a scuola a Case Bagatti. Ci venivano
anche quelli di Riparotonda, un tempo c’erano tanti
ragazzi nei paesi. In inverno uscivamo e giocavamo
nella neve, non sentivamo il freddo. Andavamo alla
chiesa per giocare perché c’era tanto spazio, ci correvamo dietro, bastava poco.
Angela Cattoni - 84 anni
Sono nata a Carpineti il 16 maggio 1929.
I genitori facevano i contadini e avevamo delle
mucche, buoi, maiali, galline, ecc. Ricordo che da
bimba in cortile badavo alle galline e mi piaceva
più che rastrellare.
Dopo siamo andati ad abitare a Regnano, vicino al
castello di Querciola; anche qui facevamo i contadini. Al mattino, con una sorella, andavo a scuola
e percorrevamo una via piena di fango, arrivando
a scuola con gli scarponi sporchi, e per questo venivamo sgridate dalla maestra.
Nei giorni festivi al castello di Querciola facevamo
festa, si cantava e ballava, però quando rientravo
prendevo botte dal fratello più grande, anche se
erano poche, perché riuscivo a scappare! A queste
feste conobbi Anselmo Fantini, con cui sono stata
fidanzata per tre anni, ci vedevamo sempre in casa
con la presenza dei genitori o dei fratelli, vicino al
fuoco. Il nostro matrimonio è stato grande, con
parenti e amici. Subito abbiamo abitato con la mia
famiglia, nella nostra stanza. Dopo alcuni anni
siamo andati a vivere da soli, alle case di Querciola.
Le uscite che facevamo erano andare a pranzo da
parenti nei giorni festivi, una festa da uno, una
festa da un altro. Non sono mai andata in vacanza
al mare o in montagna, vedevo il mare quando
andavo d'estate a trovare i miei due figli in colonia.
Antonina Comasri - 86 anni
Sono nata a Bagno il 17 aprile 1923. I miei
genitori lavoravano la terra e avevano mucche e
maiali. Da piccoli non c’era molto da fare, non
avevamo niente. Andavo a scuola, fino alla quinta
elementare, a piedi coi fratelli, e anche a dottrina.
La maestra aveva un bastoncino con il quale a volte
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dava bacchettate sulle mani, ma senza rompere le
ossa. Vicino a noi abitava un pollaiolo, ricordo che
uccideva le galline e io soffrivo e piangevo.
Mio papà era un uomo d'oro, mentre la mamma
era più severa. Tutte le domeniche con mia sorella
andavo alle benedizione, ma io ne approfittavo per
andare a ballare. Di sera però, mia sorella svelava
tutto alla mamma, che mi mandava a letto senza
cena per punizione. Il padre però, di nascosto, mi
portava sempre qualcosa da mangiare.
Mio marito si chiamava Umberto, veniva a casa
nostra con il cassinaio. Aveva la macchina e faceva
il contadino. Per questo mia mamma ha faticato
ad accettarlo, ma io ci stavo bene ed eravamo
sempre insieme.
A un certo momento, abbiamo preso una casa in
affitto ad Arceto. Era una bella casa con tanti fiori.
Quando sono rimasta vedova, ho cominciato a
lavorare in farmacia ad Arceto. Mi piaceva tanto. Il
farmacista a volte mi portava fuori a pranzo con
tutta la famiglia.
Rina Davoli - 92 anni
Abitavo in “dal Valoun”, si chiamava così perché la nostra era l’unica casa abitata per chilometri.
Eravamo in dodici in famiglia, io e i miei fratelli
lavoravamo nei campi.
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Andavamo a spigolare, a togliere le cipolle, facevamo un po’ di tutto! Andavo a lavare la roba sporca
al fiume, con l'acqua che era chiara e limpida! Noi
salivamo su delle piastrelle e lavavamo con le mani
perché le spazzole non c'erano.
Non c’era tempo per giocare perché eravamo in
troppi. Anche se mio padre lavorava, i soldi non
erano mai abbastanza. Oh, nove figli sono nove
figli, eh!
Rosanna Foroni - 70 anni
Vivevo a Cognento di Campagnola, andavo a
scuola, ho fatto fino alla quinta elementare e a undici
anni sono venuta ad abitare a Fabbrico.
Giocavo con gli amici di scuola nei cortili delle case,
ma non tanto, aiutavo mia mamma perché eravamo
otto fratelli. E poi, in campagna non c’era mai niente!
Attorno ai quindici o sedici anni andavamo all'oratorio, perché non c’erano mica tanti posti in cui
andare, andavi lì o in campagna. La prima volta che
sono andata a ballare avevo sedici anni, a casa di
amici, però si doveva tornare prima di mezzanotte.
Teresa Gambarini - 85 anni
Sono nato a Toano. I miei genitori facevano i
contadini per la curia, lavoravano per il parroco del
paese. Avevo tre fratelli e io ero il più grande. Nella
vita poi ho svolto la professione di scalpellino. Le
mie opere sono a Toano. Io ho lavorato la porta
della chiesa, mi piaceva lavorare il sasso ed ero
anche bravo.
Venerio Guidetti - 92 anni
Sono nata a Stiano, un paesino del comune di
Toano. I miei genitori erano contadini, facevano i
mezzadri. Un lavoro duro che svolgevano a Lupazzo,
dove poi ci siamo trasferiti. Ci tornerei a vivere là,
ci penso spesso. Ci tornerei subito, così come
tornerei a quei tempi, con i miei genitori, i miei
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fratelli e le mie sorelle. Ho vissuto con loro fino a
ventitré anni. Poi mi sono sposata e sono andata
ad abitare a Monte Biotto.
Il posto che ricordo con più affetto e rimpianto è
Lupazzo, per quello che ha significato per me quel
periodo.
Giuseppina Lombardi - 66 anni
Durante la mia infanzia ad Arceto non abbiamo
mai sofferto la fame, perché avevamo la campagna,
due pecore, una bianca e una nera, due mucche e
due maiali che tutti gli anni venivano macellati.
Ricordo quando al mattino presto mia mamma
accendeva il grande fuoco e poco dopo vedevo
quando uccidevano i due maiali, mi faceva paura.
Da bimba mi piaceva andare nei campi con un
cestino, a cercare le uova che facevano in giro le
galline; ero orgogliosa di portarle da mia madre.
Laura Orlandini - 82 anni
Il posto più importante della mia vita è Ligonchio. Ci sono nata, a Ligonchio. Mio padre faceva
il pastore e in inverno facevamo la transumanza.
Andavamo in Toscana, a Campiglia Marittima. Perché in inverno veniva la neve qua, c’era freddo. Ma
a me non piaceva andarci, avrei preferito restare a
Ligonchio.
Mi sono sposata quando il mio fidanzato è tornato
da militare. Si chiamava Secondo Bacci e abbiamo
continuato a vivere a Ligonchio perché lui, con la
sua famiglia, aveva il forno. Io li aiutavo preparando
le torte, ma non facevo la pasticcera: facevo la
pasticciona! C’erano anche mia suocera e mio
“nonno”, cioè mio suocero. Lui era grosso, aiutava
poco e mangiava tanto!
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stato fino al 1957-58, finché ho vissuto in casa con
i miei genitori. Poi io e i miei fratelli abbiamo diviso
le proprietà e io ho deciso di costruire una casa
mia per me e la mia famiglia. Mi sono fatto la casa
a La Ciocca, distante un chilometro, che prende il
nome dal campo lì vicino. Nel 1958 io, mia moglie
e le due figlie ci siamo trasferiti nella casa che
avevo costruito con le mie mani.
Da giovane sono diventato maggerino.
Come compagnia siamo stati in Val d’Asta ma anche
in Toscana, a Buti e a Piazza al Serchio, poi siamo
stati a Busana e lì abbiamo avuto un gran successo
sia come trama del Maggio che per come l’abbiamo
cantato. È stata una bella soddisfazione, il pubblico
ha gradito molto. Avevo una bella parte, l’Orlando
Furioso, ero proprio soddisfatto perché sapevo di
averla studiata bene ed interpretata a dovere. Ne
ho avuto certezza alla fine, per l’applauso e per la
gente che mi urlava: «Bravo!».
Vittorio Zambonini - 88 anni
Abitavo a Villanova, una frazione di Reggiolo;
per andare a scuola tutte le mattine facevo cinque
chilometri a piedi, non avevo la bici! Sono arrivata
fino alla quinta elementare.
Io stavo a giocare nel cortile di casa con le mie
sorelle, in miseria. Abitavamo in campagna, lontano
dal paese e lavoravamo, coltivavamo ogni tipo di
frutta e ortaggi. Con le amiche si girava per il paese,
Clarice Venturi - 87 anni
Sono nato in Val d’Asta, a Case Balocchi, nel
comune di Villa Minozzo. A Case Balocchi ci sono
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poi andavamo dal prete perché c'era miseria e da
lui non c'era da pagare. Mi ricordo che la cosa che
mi piaceva di più era andare a raccogliere le viole
lungo i fossi.
Bruna Zenezini - 80 anni
Quando eravamo giovani andavamo sotto il
campanile della chiesa di Fabbrico e raccoglievamo le castagne, non quelle da cuocere ma quelle
matte con cui noi facevamo il sapone che si adoperava per lavarci. Allora usavamo questo per
lavarci il viso e per farci il bagno. Era un
segreto di bellezza delle donne.
Ci costava anche caro, perché il parroco ci veniva a prendere con
prepotenza per le orecchie, ci
portava in chiesa e ci sgridava
per bene; secondo lui era una
cosa che non si doveva fare.
Questo era il mio lavoro prima
di andare a scuola…
Pierina Levani - 90 anni
Da noi a Fabbrico c’era la
cooperativa, era un blocco con i
negozi. Quello di alimentari e
l’osteria erano davanti, dietro c’erano
il forno dove facevano il pane e la macelleria. Proprio dove c’era il fosso, quello
che hanno coperto qualche anno fa. C’era anche
un campo, avevamo dieci o dodici anni e ci giocavamo a calcio, a re e regina e a pasquali.
Più avanti d’età, con le ragazze si andava a passeggiare lungo la strada che porta a Campagnola, dove
c’è la curva, il muretto. Eh, ci andavamo a sedere
lì…
Uber Cavalletti - 89 anni
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Un luogo che mi è caro è sicuramente San
Genesio!
A maggio ci si andava in processione a piedi; per
ottenere una grazia si doveva passare sotto un
piccolo altare tre volte, pregando. All’interno della
corte, dietro la chiesa, c’era un noce gigante. Quando avevo cinque anni andavo all'asilo parrocchiale
e portavo sempre la merenda da casa. Giocavo e
cantavo molto, sono arrivata fino alla quinta elementare. Ogni momento libero lo passavo giocando.
La prima volta che sono andata a ballare avevo
diciassette anni, a casa di un amico.
Laura Mastini - 88 anni
Mi sono sposata a Collagna, il paese dove sono nata e ho vissuto
per tutta la vita.
Dicevamo che mia mamma era
antica come l’arca di Noè,
«Razza Pallaina, chi la scampa
l’indovina!», perché era antica
nei modi di fare e nel pensare.
Basti sapere che quando mi
sono sposata, nel 1937, mi ha
confezionato un vestito nero e
ci ha fatto andare in chiesa alle
sette del mattino, perché ero
incinta e nessuno ci doveva vedere. Noi eravamo poveri, quindi
partecipavamo alla funzione mattutina;
solo i ricchi facevano delle belle cerimonie
con il tappeto in terra e dei bei vestiti con lo
strascico. Mi aveva preso il vestito nero perché
c’era miseria, era andata nel negozio e l’unica
stoffa che poteva permettersi era quella.
La mia vita l’ho trascorsa tutta a Collagna. Che
bisogno avevo di andare in giro? Eravamo contadini, c’era tutto: la famiglia, il lavoro, quello che
contava. Non mi interessava vedere altri posti.
Per fare cosa? Non c’era mica il tempo, c’era tanto
da lavorare, prima nei campi e poi ho aiutato i
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miei figli con i loro figli. E poi, Collagna è un bellissimo paese!
Nice Ferretti - 99 anni
Sono nato a Sologno, una frazione nel comune
di Villa Minozzo. Eravamo in tanti in famiglia. I miei
genitori lavoravano la terra. Io invece sono diventato
un muratore, ho lavorato a Reggio Emilia, in Toscana
e ho costruito una casa anche a Fivizzano. Come
lavoro mi è sempre piaciuto, io lavoravo il sasso.
La casa della mia infanzia c’è ancora. Era la casa
del conte Dalli, un conte che veniva dalla Toscana,
da Castiglione della Pescaia. L’abbiamo presa nel
1950, l’ho restaurata e ci ho abitato anche dopo
che mi sono sposato. Quello è il posto più importante della mia vita.
Emilio Bacci - 75 anni
Sono cresciuta a Mandriolo. Avevo un sacco
di amiche alcune le vedo ancora che sono anziana.
Quando ero giovane non c’era niente, c’era solo
la chiesa d’epoca, piccola, ma molto bella, si
chiamava chiesa dell’Immacolata. Poi hanno costruito un negozio di alimentari, un teatrino dove
si facevano commedie e un parco vicino al cimitero.
Mio marito l’ho conosciuto a ballare nella villa del
dottor Cattafavi. I tedeschi l’avevano adibita a
loro ufficio comando ma, quando sono andati via,
è diventata una sala da ballo. Lui aveva diciannove
anni, io solo diciassette.
Adriana Ariobelli - 85 anni
Abitavamo vicino alla piazza del Gioioso a
San Martino in Rio, si poteva giocare alla sera, vi
era spesso della gente che suonava e cantava;
noi ascoltavamo dalla finestra. Ci abitava anche
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Henghel Gualdi, lui suonava il clarinetto. Quando
mio padre lo sentiva suonare, diceva sempre che
quel giovane avrebbe fatto carriera.
Quando iniziarono a girare le macchine, la piazza
diventò un parcheggio. In questa piazza vi erano
due fontane, una all’inizio e una alla fine. Noi ci
andavamo sempre a prendere l’acqua. Prima le
due fontane erano senza rubinetti, quindi l’acqua
continuava a scorrere e si consumava tanto. I gatti
randagi ci giravano sempre intorno.
Clite Corghi - 81 anni
Sono nata a Cerrè Sologno, Villa Minozzo.
In centro c’era una bella chiesetta, dove sono
stata battezzata e andavo sempre a messa. Cerrè
mi piaceva molto, andavo a raccogliere prugne,
nocciole e noci. Si facevano sempre delle feste.
Ricordo un giorno in cui scappai di casa da mia
mamma e mi rifugiai da mia zia. Le volevo molto
bene, lei non mi sgridava mai. Viveva in un bel
casolare, una casa da poveri. Dal tanto che era
povera teneva sempre la porta aperta.
Ida Canovi - 86 anni
Sono nato a Novellara. Ricordo l’argine del
canale, dove sino a dodici anni andavo a pescare.
Partiva da Novellara e arrivava sino a Bagnolo.
Pescavo con un torinese che veniva d’estate.
Mi aveva insegnato un signore del paese, mio vicino
di casa: quando lo vedevo pescare, in lontananza,
andavo sempre a guardarlo all’opera. C’era un
canaletto largo un metro o poco più. Lì scorreva
l’acqua sino a quando arrivava il dogarolo, che
apriva con la chiave e l’acqua si infilava dal canale
grande a quello piccolo.
Nel canaletto mi ci tuffavo: l’acqua era sempre
fredda, però il bagno riuscivamo a farlo lo stesso.
Bruno Battini - 70 anni
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Sono nata a Campolungo, nel comune di Castelnovo ne’ Monti. Mi hanno dato questo nome
perché era un nome di famiglia. I miei genitori erano
contadini e allevavano mucche, capre, pecore. Mangiavamo da poveri: polenta e pane. Oggi invece si
mangia da ricchi: cappelletti, tortelli e pastasciutta.
Da bambini giocavamo a nascondino, quando era
brutto tempo stavamo in casa a leggere giornali e
libri. Era tempo di guerra e faceva tutto paura. Ricordo che le feste più importanti per noi erano il Natale
e la Santa Maria di Ferragosto. Ho frequentato la
scuola fino alla quinta elementare, prima a Campolungo poi a Castelnovo. Andavo a scuola a piedi,
tutti andavano a scuola a piedi! La scuola era tenuta
nella stanza del prete e c’erano solo tre file di banchi.
Indossavamo le divise: per le femmine il grembiule
nero e il colletto bianco, per i maschi la blusa con il
colletto. E, se non stavi zitto, venivi bacchettato sulle
dita!
Giuseppina Scapini - 88 anni
Il posto che porto nel cuore è Secchio, il mio
paese. Ero figlia unica e spesso giocavo da sola,
mio papà mi aveva costruito una bambola di legno.
Ho studiato fino alla quarta elementare, dopo in
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classe erano tutti maschi e allora ho smesso di
andarci perché mi vergognavo. Si faceva scuola in
canonica; al centro della stanza c’era una stufa e
c’erano le panche di legno. Alla mattina, a turno,
andavamo noi alunni ad accendere la stufa. Il mio
maestro era molto severo, ma da lui ho imparato
molte cose.
Per risparmiare la legna, dopo aver cenato, ci si
trovava nelle stalle. Una sera nella stalla di uno,
una sera nella stalla di un altro, si svernava così
perché il calore delle mucche ci faceva da stufa.
Noi bambini ci divertivamo molto perché giocavamo
a nascondino, a carte, a dama e quando eravamo
stanchi di giocare ascoltavamo i racconti degli
adulti. Gli uomini, oltre che giocare a carte, aiutavano le donne a disfare le matasse di lana. A metà
serata ci portavano a letto perché il mattino bisognava andare a scuola. Eravamo più poveri di adesso, ma molto più uniti.
Alide Coli - 89 anni
Il mio posto preferito è Morsiano, il mio paese
d’origine. Si festeggiavano due occasioni importanti: il 10 agosto la sagra di San Lorenzo e l’11
agosto si cantava il Maggio; dicono che il Maggio
abbia origini lontane che risalgono addirittura
all’antica Grecia. Si svolgeva all’aperto, gli attori
recitavano e cantavano in uno spiazzo e noi eravamo seduti tutti intorno; gli attori si chiamavano
Maggerini, rappresentavano anche con i gesti storie
affascinanti che narravano di cavalieri, Carlo Magno,
Orlando, battaglie e sentimenti.
Nella vita ho lavorato come contadina e poi ho fatto
la donna di servizio. Il 3 settembre 1955, a venticinque anni, mi sono sposata a Morsiano, poi abbiamo preso la corriera a Quara e siamo andati a
lavorare a Genova per qualche anno.
Vittorina Campi - 86 anni
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Il mio luogo preferito? Cortogno! Dove ho vissuto tutta la vita! Da bambina abitavo al Mulino in
fondo a Cortogno, sul fiume Tassobbio, poi mi sono
sposata e sono andata in paese.
Ho perso la mamma quando avevo solo quattro
anni e sono dovuta crescere in fretta. Facevo i lavori
in casa, andavo nella stalla e portavo al pascolo le
pecore. Mi volevano tutti bene e qualche giorno
stavo dai miei nonni materni, sempre lì in paese.
Ho frequentato la scuola fino alla terza elementare:
era una scuola vera, con tre aule e il bagno, le
panche lunghe di legno con il porta-inchiostro e
una stufa nel mezzo. Non ci andavo tutti i giorni
però, perché dovevo portare le pecore al pascolo.
Da ragazza mi piaceva andare a ballare nelle case
o nelle stalle, filavo la lana e lavoravo a maglia.
La domenica andavo a messa al mattino e al pomeriggio andavo ai vespri, facevamo un giro a vedere
le biciclette che passavano, poi andavo nella stalla
a guernare le bestie e la sera ci trovavamo nelle
stalle a giocare a carte, tresette, briscola e scopetta.
Nella mia vita ho lavorato come contadina, esercente per trentadue anni e domestica.
Mi sono sposata il 7 giugno 1942 con Aldo, a Cortogno. Mio marito aveva l’osteria, alimentari e
tabaccheria, perché una volta nei paesi c’era tutto
insieme. Ci siamo sposati di sera e con solo i testimoni perché lui era vedovo e dovevamo sposarci
di nascosto, sennò ci facevano la cioccona: la cioccona consisteva nel fare un gran rumore con attrezzi, bastoni, coperchi, catene, e si faceva quando si
sposavano dei vedovi o delle vedove, oppure quando gli sposi, anche se non vedovi, non erano più
giovani. Però noi siamo stati attenti e non se ne
sono accorti!
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a Campolungo. Quando c’era qualche festa mi
facevo portare da mia zia e, mentre lei ballava, io
giocavo con le mie amiche. Da ragazza aiutavo i
miei nei campi e in inverno andavo da una sarta
del paese a imparare a cucire.
Ho lavorato come contadina, cameriera da Farinelli,
custode di una villa e casalinga. Mi sono sposata
il 19 maggio 1962 con Giorgio; lui abitava alla Noce
e l’ho conosciuto quando la zia che abitava con noi
si è finalmente sposata, a quarant’anni!
Alla mattina presto siamo andati a piedi alla Cappella sulla Pietra di Bismantova a confessarci, poi
sono andata a casa a prepararmi e una mia amica
mi ha messo il velo in testa. Giorgio mi è venuto a
prendere a piedi e siamo andati a sposarci nella
Chiesa di Campolungo. A pranzo abbiamo mangiato
a casa mia; al pomeriggio abbiamo fatto il giro di
tutte le famiglie di Casale per dare i confetti.
Alla sera abbiamo cenato a casa di mio marito,
c’era un suonatore di fisarmonica e abbiamo ballato. Abbiamo dormito alla Noce per tre sere, poi
siamo andati al Ponterosso, nella casetta che mio
suocero ci aveva regalato. Tre anni dopo ci siamo
trasferiti in una villa a Castelnovo dove facevo la
custode.
Tersilla Mercati - 77 anni
Olga Ferri - 96 anni
Il posto più importante della mia vita è Casale
di Bismantova, dove sono nata e cresciuta. Abitavo
con mamma, papà, nonno, nonna, zia e quattro
fratelli. A Casale ho frequentato fino alla terza
elementare, mentre la quarta e la quinta le ho fatte
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Parma
Quando mio marito ha vinto la condotta di veterinario a Tizzano, ci siamo sposati.
Ancora non insegnavo, perché mio marito aveva
l’orgoglio di poter mantenere la famiglia con il suo
lavoro. Siamo rimasti a Tizzano per il periodo invernale e per solo sei mesi, perché poi ha vinto la
condotta a Roccabianca. Ho iniziato a insegnare
dopo la nascita del quinto figlio, a Roccabianca,
come insegnante di matematica e scienze.
Eleonora Borlenghi - 88 anni
Il luogo che ricordo è Parola, in una casa di
campagna con sei stanze. Nel cortile eravamo tre
bambini e quattro bambine. Mi piaceva giocare ai
soldatini e ai banditi. Quando avevo cinque anni, il
mio papà mi ha regalato la radio e mi piaceva ascoltare la musica.
Sono andato a scuola sino alla quinta elementare a
Parola. A Fidenza ho frequentato le superiori e ho
preso il diploma di meccanico, poi sono andato a
lavorare alla vetraria, alla scelta dei bicchieri.
Ho lavorato per quarant’anni lì, mi piaceva.
Robi
Sono nata a Fontanelle e ci sono rimasta fino
a quattordici anni. È stato il periodo più bello della
mia vita, anche se mi sono ammalata per gravi pro-
blemi alla schiena. La mia casa si trovava nel punto
dove il torrente Rovacchia entrava nello Stirone.
Quando c’era la piena per le abbondanti piogge mi
piaceva andare sull’argine a vedere tutta quell’acqua
e quello che portava verso il Po: tronchi e rami con
sopra tante grosse lumache.
Vanda Lavezzi - 64 anni
Da bambina vivevo con i miei nonni a Fidenza,
in una casa comunale. Mio nonno era a capo del
cimitero, seppelliva i morti. Quella casa gliel’avevano
data apposta per svolgere quel lavoro. La mia nonna,
nel periodo della festa dei morti, vendeva i fiori ai
visitatori. Ma lungo la via c’erano altri venditori.
Allora io, che ero furbetta, prendevo la bicicletta e
correvo all’inizio della strada per fermare la gente
e vendere i fiori prima che li comprassero dagli altri.
Avevamo le galline, le anatre, due pecore e un maialino. La nonna mi aveva insegnato a capire quante
uova avrebbero fatto le galline. Ogni giorno tastavo
il sedere alle galline per capire quante uova dovevano
fare. Così, se nella cesta c’erano meno uova di quelle
che avevo calcolato, voleva dire che alcune galline
le avevano fatte fuori dalla cesta e io le andavo a
cercare.
Margherita Massenza - 90 anni
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Piacenza
Sono nata a Farini il 19 settembre 1924; eravamo in otto maschi e tre femmine, io ero la penultima. Sono andata a scuola fino alla quinta elementare, nella scuola di Farini. Abitavo sopra al fruttivendolo e ho sempre curato mia mamma; quando
è morta, sono andata a lavorare come serva da una
dottoressa a Milano.
Francesca Zannellotti - 91 anni
Sono nata il 23 marzo 1922 a Ravine di Pradovera. Nel mio paese c’erano una decina di famiglie,
non c’era neanche la chiesa e per pregare andavamo a Costa.
Un’altra cosa che mi ricordo è l’osteria del mio
paese, me la tengo in mente perché c’era solo
quella, anche se io ci andavo pochissimo perché
era più un posto da uomini. A Ravine non ce n’era
di fontane, quindi sia per lavare i panni sia per bere
o fare da mangiare bisognava andare nel paese
vicino o al canale.
Io non mi sono sposata, sono rimasta sempre a
Ravine e di altri posti non ne ho visitati.
Rosa Maschi - 93 anni
Sono nata a Orezzoli, in montagna. Da Ottone
ad andare dove abitavo io ci saranno settanta
chilometri. Andavamo a piedi col carico in testa,
con la farina, il pane. Facevamo il mercato e poi la
roba la portavamo così. Adesso hanno fatto la
strada, però c’è poca gente che la usa. Hanno
cercato tutti la loro strada fuori dal paese.
Anche io sono andata via. Quando mi sono sposata
sono venuta giù, alla Pieve di Rovescala. E poi dalla
Pieve a Santa Maria.
A Santa Maria della Versa abitavo nella casa del
Professor Suardi, pagando il fitto se no non me la
davano mica, la casa! E poi qualche volta andavo
in chiesa, ho lavorato un po’ come donna di servizio,
in banca, in municipio.
In montagna si sta bene quando c’è bel tempo, ma
d’inverno c’è da stare vicino alla stufa. Come provincia siamo sotto Piacenza, però siamo a metà tra
Piacenza e Genova. Nella provincia di Genova raccoglievo le olive d’inverno e mi pagavano con un
litro di olio al giorno: alla fine ne avevo trenta,
quaranta litri, me lo portavo a casa e mi bastava
per tutto l’inverno e anche per l’estate successiva!
Luigia Canevari - 86 anni
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Durante la guerra ho trascorso quattro anni a
Piacenza, al Secondo Reggimento Genio Pontieri.
Finita la guerra sono tornato a casa e qualche volta
sono tornato a Piacenza. Due volte sono tornato
a casa dalla caserma a piedi. La prima volta, la
vigilia di Natale. Non avevo chiesto il permesso ma
i miei ufficiali mi avevano fatto comunque una
licenza di cinque giorni. All’uscita, l’ufficiale di
picchetto mi ha detto: «Tu puoi andare in giro e hai
la licenza, ma dove vai?».
Allora, in tempo di guerra, i treni erano ben pochi,
e ho detto: «Come faccio?». Allora mi sono messo
in viaggio a piedi e sono arrivato fino a Castel San
Giovanni; là c’era un mio parente, mi sono
fatto prestare la bicicletta e sono venuto
a casa. I miei genitori erano stati
contenti che non mi avevano
mandato in giro o in Russia. Mio
nonno ha combattuto la guerra
e lo avevano mandato nel Veneto. Invece, suo fratello, ha
fatto la campagna di Russia.
Però è tornato. Molti del mio
paese non sono tornati.
Piacenza adesso l’hanno ingrossata molto. Quando c’ero
io, c’era un pezzo di mura.
E appena fuori c’era Gossolengo. Ci sono stato tante volte. C’era
la polveriera, i militari del mio
reggimento ci andavano a fare la
guardia. Facevano il servizio di guarda
per evitare che entrasse qualcuno. C’erano
molti reggimenti. C’era il sessantacinquesimo, il
sessantaseiesimo, il ventunesimo, il quarto artiglieria e il terzo aerostieri.
È bello ricordare ancora i vent’anni. Io le ho provate
tutte. Il bello e il brutto.
Alfredo Fugazza - 94 anni
Adesso abito al Poggiolo, ma sono nata nella
provincia di Piacenza, appena fuori, di Pianello.
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Ho anche una casetta a Case Varesi.
Andavo a scuola a Monte Martino. Ci andavo a
piedi; c’è una strada di montagna che è la stessa
che si faceva per andare a prendere la legna.
Le feste di paese le facevano, ci andavo con mio
papà e con mia mamma. C’era tanta gente, andavamo a ballare e se si voleva mangiare c’erano
molte cose. Quando avevo tredici anni andavo
all’asilo a lavorare, ricamavo i grembiulini con le
suore. Eravamo in tante signorine che facevano i
loro lavori, come le lenzuola per il corredo.
Giulia Maini - 87 anni
Sono nato in provincia di Piacenza
e ho frequentato la scuola, le elementari, nel paese. Sono originario del comune di San Giovanni e nelle mie zone c’erano
maglifici e fabbriche che facevano i bottoni. Poi mi sono
spostato in un’altra frazione,
Fontana Pradosa, con settecento abitanti e tante fontane.
Ho visto i bottoni prodotti nelle
fabbriche: inizialmente sembravano castagne amare, gli
operai poi li tagliavano a fette,
venivano fresati e bucati. Comunque, era più che altro un paese di
agricoltori. Il Marchese Paveri era proprietario e sindaco di Castel San Giovanni.
Ermanno Meriggi - 89 anni
Gropparello è il luogo che ho amato di più
perché ci sono nata e cresciuta. In settembre andavo alla festa dell’uva che si teneva in piazza:
c’era tanta uva, si ballava e le ragazze si vestivano
con un vestito tradizionale da belle dell’uva.
Ida Alberici - 89 anni
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A causa del mio lavoro di falegname, ho viaggiato molto. Da ragazzo ho cominciato con la Ditta
Dolara che faceva le casse da morto, con cui lavorava anche mio padre: ero un mago! Ho fatto delle
casse belle, robuste, con la Madonnina.
Con quei soldi mi sono comprato la moto ed ero
il solo giovanotto ad averla; da Cremona andavo
a Piacenza.
Mio padre è andato a lavorare per dei cremonesi
a Travo e io l’ho seguito. A Travo per me era tutto
bello, dal paese al mio lavoro, ai bambini del
paese che mi venivano dietro e che tiravo su: io
gli spiegavo come si faceva a lavorare il legno,
loro mi davano una mano, io gli dicevo di non
sbagliare e loro mi dicevano: «No, Cito, prima di
sbagliare ti chiamiamo!».
Nella falegnameria c’era il maringon, che era il
capo, e poi il meccanico per le casse in zinco.
I bambini, mano a mano che crescevano, si sono
trovati altri lavori, chi a Piacenza e chi a Milano.
Cesare Citterio - 80 anni
Ho abitato in una cascina di campagna, a
Polignano. Mi piaceva anche starci perché c’erano
le mie amiche e andavo a scuola e c’era un prete
ca l’era tant bon, povr om! Dal prete facevamo
anche le commedie in dialetto e in italiano, poi
c’era mia sorella che cantava, e cantava anche
bene!
Quando mi sono sposata sono andata ad abitare
in una cascina nei pressi di Piacenza, verso Caorso. Da lì non mi sono più spostata.
Io facevo la sarta, l’ho sempre fatto, mi sono
messa a fare le asole e aiutavo mia sorella.
Polignano è il posto che mi è rimasto più caro, lì
ho passato la mia gioventù, ho conosciuto persone
buone come il pane. Non so nemmeno io perché
mi è rimasto impresso, perché allora non avevo
l’età che le cose mi rimanevano molto addosso.
Però adesso che ci rifletto, penso sempre al mio
paese, forse perché ci sono cresciuta, e anche se
era un paesino da poco ci tornerei subito. E poi
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mi ha dato felicità perché ho conosciuto il primo
moroso. Per ballare bisognava andare a Caorso o
alle fiere sulla balera.
Franca Verzè - 81 anni
Mio marito era di Polignano ed era un bel
ragazzo! Ci siamo sposati e siamo andati ad abitare
poco lontano da casa. Abitavamo in una cascina
con gli animali e coltivavamo i campi. Dopo siamo
andati ad abitare a Caorso, dove sono stata per
trentacinque anni.
Di tutti i luoghi mi è rimasto più impresso Polignano
perché ho i miei ricordi di gioventù, c’erano i morosi
e l’età più bella.
Maria Magnani - 89 anni
Il posto che mi è rimasto nel cuore è l’Isola
Serafini, dove sono rimasta fino a diciotto o
vent’anni. Lì sono nata, vicino al Po. Avevo una
famiglia molto numerosa; mia mamma e mia zia
avevano sposato due fratelli, mio papà e mio zio.
I miei ricordi sono lì, io poi sono nata un po’ fuori
tempo e per questo ero un po’ la cocca di tutti:
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sono diventata zia a quattro anni e sono cresciuta
con i miei cugini, perché i miei fratelli si sono sposati
subito e li ho conosciuti poco.
Non eravamo ricchissimi ma avevamo una casa
confortevole, un bel giardino con tutta la frutta
immaginabile perché mio nonno materno era un
amante dell’agricoltura e faceva tutti gli innesti.
La zia, poi, era appassionata di fiori, quindi avevamo
sempre il giardino fiorito. Il sabato di Pasqua,
quando slegavano le campane che rimanevano
legate per tre giorni, io andavo ad abbracciare le
piante perché erano fiorite ed erano bellissime!
Ho cancellato tanti ricordi, ma questi no, questi li
tengo e chissà perché li tengo. Forse perché valgono
la pena di essere raccontati. A volte mi chiedo
sempre se tornassi indietro se rifarei le stesse
cose… Racconto queste cose molto volentieri perché quando mia mamma mi raccontava le stesse
cose io non le davo importanza, solo dopo ho capito
che erano importanti. Del passato bisogna conservare le cose più belle, lo dico perché voglio trasmettere la spensieratezza della vita.
Maria Cattivelli - 80 anni
Quando siamo tornati a Piacenza, dopo la
guerra, ci siamo ritrovati sfollati, ma abbiamo trovato un posto sullo Stradone Farnese vicino a via
Santa Franca; era pieno di gente, però ognuno
aveva il suo appartamento. Noi avevamo una soffitta, che poi abbiamo affittato alla sorella di mio
papà. C’era un passaggio che andava sui tetti, che
usavano i partigiani per fuggire dai tedeschi, oltre
ai ragazzi dell’età per essere reclutati che non
volevano essere arruolati.
Passata la guerra siamo andati ad abitare poco
lontano dallo Stradone e sono rimasta lì fino a
quando mi sono sposata. Dopo essermi sposata
sono andata ad abitare in via XX Settembre, in
pieno centro, e quella è rimasta la mia casa.
Bruna Ferrari - 82 anni
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Io sono nato a Piacenza in via Scalabrini, vicino
al macello, in una casa con una porticina che dava
proprio sul macello. Sono uno di Porta Galera, io!
I ricordi più belli sono legati ai posti dove ho abitato,
ma più di tutto mi ricordo Rivergaro, dove andavamo a fare dei giri con mia moglie. Abbiamo girato
quasi tutta la provincia per il nostro divertimento,
per vedere posti belli senza allontanarci troppo.
Quelli che mi sono rimasti più impressi sono le
colline, le montagne sopra Bettola, il paesaggio
della Trebbia. Mi piaceva fermarmi in un ristorantino
di alcuni signori che poi hanno preso la tabaccheria
in via Illica.
I paesaggi si ricordano perché ci lasciano delle
emozioni, ci ricordiamo i colori dei tramonti sopra
le colline quando in autunno facevano risplendere
le foglie. Queste piccole cose ti restano nella
mente perché quando le vedi ti emozioni, soprattutto se abiti in città e vedi solo strade asfaltate.
Giulio Botti - 86 anni
Io sono nata e ho vissuto a Piacenza; abitavo
in via Nicolini con mia sorella e i miei genitori e
non mi sono mai spostata tanto. Quando mi sono
sposata ho fatto un pezzo di strada nella stessa
via e sono andata ad abitare in un altro appartamento… Ho fatto tutto lì!
Con mio marito andavamo a fare delle fotografie
ai matrimoni o a dei bambini piccolini, perché lui
era un fotografo, ma stavamo qui intorno; andavamo al mare, ma non avevamo un posto in particolare.
Gabriella Carini - 73 anni
Un posto che mi è rimasto nella mente è la
Val Nure. Una notte, la notte di Natale, il secondo
anno che ero lì, ero rimasto a confessare a Castelcanafurone perché c’era la Perigratio Mariae predicata da mio zio che era prete lì vicino.
Siccome non sapevo cosa regalargli e avevo un
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capretto, l’ho fatto uccidere e gliel’ho portato.
Durante il viaggio ero stanco, perché c’era mezzo
metro di neve e portavo in spalla il capretto, così
mi sono seduto e ho guardato la vallata con la
nebbia e non sapevo dove andare, se a destra o
a sinistra.
A quel punto ho visto un uomo che andava a
mungere le mucche e ho capito che erano le quattro; sapevo che mio zio doveva partire, così mi
son fatto accompagnare da quel buon uomo fino
al santuario della Madonna del Gra, gli ho indicato
la strada per il sentiero che portava alla sua macchina, che era ai Lupi. Il luogo era chiamato “i
Lupi” non perché c’erano i lupi, ma perché ci
abitava gente che si chiamava Lupi.
Don Olimpio Raggi - 96 anni
Il posto che mi ricordo di più è Castelletto, ci
sono rimasto molti anni. Quando ci penso ho ricordi
meravigliosi, la gente mi ha sempre seguito.
Abbiamo fatto molte cose, come restaurare la chiesa. Io sono un uomo di poche parole ma quando
parlo della mia parrocchia mi emoziono.
Don Rebuffi - 87 anni
Io e mio fratello siamo nati a Massa Marittima,
in provincia di Grosseto. Mio papà era nelle Ferrovie
e lavorava alla Centrale di Milano come ragioniere;
sui treni non è mai andato, è sempre stato in ufficio
e nel 1917 si è sposato, perché non l’hanno preso
in guerra. È stato fortunato!
Abbiamo vissuto a Milano per quattro o cinque
anni, ma il papà non ha giurato a Mussolini, quindi
l’han mandato in pensione giovane. Allora lui, che
non aveva più obblighi di lavoro, si è trasferito a
Piacenza, ha preso un appartamento in affitto.
Quando mio fratello ha vinto il concorso è diventato
farmacista. Io studiavo ancora a Parma, per un po’
ho studiato insieme a lui, andavamo avanti indietro
e rientravamo con il treno perché avevamo il libretto
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della ferrovia. I parmigiani non sono come i piacentini, sono brava gente ma dei gran chiacchieroni,
mentre il piacentino è il contrario. Ci siamo laureati
a Parma, prima mio fratello, poi io. Mio fratello ha
lavorato a Ponte dell’Olio, c’era una farmacia unica
e lui faceva il direttore.
Il posto che mi ricordo di più è Piacenza. Degli anni
che ho vissuto a Piacenza mi ricordo la gioventù:
tutti lavoravano, non era una città di gaudenti
perché non c’erano molti soldi, ma lavoravano tutti,
poi io avevo la macchina e andavo in giro…
Il fatto è, glielo dico io, che gli anni volano!
Fausto Molla - 93 anni
Io non mi sono mai mossa da Piacenza. Sono
nata e cresciuta in via Mazzini, quello è il luogo
dove ho trascorso la mia vita. Di quel posto mi
ricordo i profumi della cucina, perché i miei genitori
avevano una trattoria dove mia madre cucinava
per i nostri clienti. Della sua cucina, che non era
piacentina perché a lei non piaceva, mi ricordo i
dolci che preparava per me e i miei cugini, che
sparivano in un attimo.
Mi ricordo i rumori dei piatti, delle chiacchiere dei
clienti. La mia vita l’ho trascorsa lì, ma attraverso
tutte le persone che passavano ho visto la città
che è cambiata.
Carmen Ferrari - 70 anni
Castagnola è dove ho conosciuto mio marito
Augusto, un amico di mio fratello. Un giorno, rientrando dalla messa, nella mia casa ho trovato mio
padre che parlava con un bel giovanotto e mio
fratello, e al primo sguardo ci siamo piaciuti molto.
Dopo qualche anno di fidanzamento ci siamo sposati e siamo andati a vivere a Orezzoli.
I ricordi di Castagnola sono legati alla mia infanzia
e alla mia famiglia, perché anche se eravamo poveri
eravamo molto uniti. Mio padre ci mandava al
pascolo con le pecore, vicino a Cattaragna; a diffe23
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renza di mia sorella, io mi divertivo molto. Nei
pascoli alti non eravamo mai sole, incontravamo
altre ragazze o signori che portavano al pascolo le
mucche e spesso ci si faceva compagnia e si cantava. Sui pascoli ho imparato tante canzoni dai
ragazzi che tornavano dal fronte.
Maria Casella - 82 anni
Uno dei luoghi che ricordo più volentieri è dove
sono cresciuto, San Nazzaro di Piozzano. Oggi non
ci abita quasi più nessuno, ma quando ero bambino
le cose erano molto diverse.
In particolare ricordo la mia infanzia: mia madre,
povera donna, ha messo al mondo dodici figli.
Il bello era proprio essere in tanti, i soldi erano
pochi e i giocattoli erano cose semplici, molte volte
fatti a mano da noi. Mia madre era sempre indaffarata e cuciva tanto, e io ero sempre alla ricerca del
suo ditale che una gazza ladra spesso le rubava.
Luigi Giacopazzi - 64 anni
Sono nato a Castione di Ponte dell’Olio il 3
luglio del 1926. Adesso lì non c’è quasi più nessuno,
però prima era pieno di gente. La scuola l’ho iniziata
lì e poi l’ho proseguita a Sarmata; anche quello era
un paesino piccolo, però mio padre aveva trovato
lavoro lì e quindi ci siamo spostati.
Mi ricordo bene la chiesa di Sarmata, ci andavo
tutte le domeniche con gli amici; era una chiesetta
piccola, c’era l’altare in fondo un po’ rialzato e due
file di panchine. Non aveva finestre, quindi era
molto buia e bisognava lasciare aperto il portone,
sennò in inverno bisognava accendere le poche
luci. Attorno ai vent’anni ci siamo spostati a Teglio,
una frazione nel comune di Bettola. Non c’era
niente, neanche un’osteria. Dopo Teglio siamo
andati a Torrano, una parrocchia molto povera.
Con gli amici ci trovavamo in un bar chiamato “La
Fratta”, giocavamo a briscola e bevevamo qualche
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bicchiere, ma non troppi perché c’erano pochi soldi.
Era un bar piccolino quindi era sempre pieno, l’oste
ci sapeva fare con i clienti e ci si andava volentieri.
Nel 1969 sono andato a lavorare come fattorino in
una grande fabbrica, facevano macchine per la
lavorazione del ferro. Mi sono trovato molto bene,
eravamo una grande famiglia, andavo d’accordo
sia con i padroni che con i loro figli, che mi vengono
a trovare ancora anche adesso.
Con i padroni ho sempre mantenuto i rapporti
perché erano proprio delle belle persone. Ho lavorato sei anni e dopo mi sono licenziato perché di
soldi ne avevo guadagnato abbastanza e volevo
godermi gli ultimi anni. Mi ricordo che a Ponte
dell’Olio si festeggiava San Rocco il 16 Agosto, e
la piazza e le vie si riempivano di bancarelle.
Luigi Faccini - 89 anni
Sono nato a Bellito, nel comune di Bettola.
A scuola sono andato a Bocito, non ero un gran
studente, infatti sono arrivato fino alla quinta elementare. Era una bella scuola, grande, ma adesso
è vuota. Mi ricordo ancora la maestra Carolina, era
cattiva come l’aglio, ho in mente ancora tutte le
miserie che ci faceva.
Severino Ferrari - 78 anni
Sono nata il 19 luglio del 1922 a Fellino di Travo
e ci sono stata fino a dieci anni.
A scuola ci sono andata fino alla terza elementare
e mi ricordo che l’esame l’ho dato a Rivergaro, ero
uscita con un bel voto. Poi ci siamo trasferiti a
Bettola perché mio papà aveva trovato lavoro lì.
A Fellino c’era solo qualche casa e poi una piccola
chiesetta, si festeggiava San Alessandro e per noi
era una festa molto sentita, perché mio padre si
chiamava così.
Poi c’era la festa della Madonna del Castellaro, e
tutti gli anni mia mamma ci prendeva la vestina
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nuova; si festeggiava la prima domenica di agosto,
durava due o tre giorni, si cantava e si ballava.
Io però ho ballato proprio poco perché avevo paura
di sbagliare e fare brutta figura, le mie sorelle invece
erano molto brave e appassionate e ci andavano
anche di nascosto.
Egle Stabellini - 93 anni
Sono nata il 26 febbraio del 1923 a Vigonzano,
nella casa dei miei genitori; era una casa molto
alta, c’erano tante stanze e una grande scala di
sasso in mezzo. A Vigonzano mi ricordo che c’era
una bella fontana al centro del paese, era grossa
e ci lavavamo dentro i panni; ci trovavamo sempre
lì con le mie amiche, così intanto che si lavavano
i panni si cantava. Io non cantavo perché non ero
capace, però mi piaceva ascoltarle e a volte chiacchieravamo.
Angela Morisi - 92 anni
Bologna
Per sopravvivere ho puntato su Bologna dove
avevo un’attività. Abitare in città no di certo, allora
su, verso la collina e la montagna, poco prima di
Porretta Terme. Abitavo in una zona di case a metà
costa sulle alte colline fra Vergato e Grizzana, eravamo
dispersi e così ne venne fuori una piccola comunità
di gente che si aiutava l’un l’altro. Loro erano di varie
zone d’Italia, tutti ferrovieri, molti appena sposati.
Eravamo una festa di fusioni che si divertivano a
prendersi in giro nei propri dialetti. Spesso lasciavo
l’auto alla Stazione di Vergato e scendevo con il trenino
a Bologna. Si attendevano i treni ammassati nell’unica
sala attesa, con il caldo e poi con la neve. E quando
un affare attardava anche di pochi minuti, dovevo
attendere l’ultimo trenino per raggiungere l’auto e
fare, d’inverno, gli ultimi trenta chilometri nella neve
e nel ghiaccio. Quello era il tempo in cui vidi la popolazione notturna della sala d’attesa. Fu un inverno
particolarmente freddo e nevoso e le donne arrivavano
con le borsine di plastica della spesa sopra le ciabatte
e due-tre giacche, una sopra l’altra. Tutte avevano
borse appese alle braccia e si sedevano sparpagliate,
distanti una dall’altra. Da un lato all’altro del gran
locale si raccontavano a voce alta i complimenti appena ricevuti dai loro figli, della meraviglia delle loro
case che avevano rubinetti dell’acqua in oro e del
regalo appena ricevuto che stava lì, in una di quelle
borse e che mai, mai mostravano alle altre. Poi si
addormentavano arrotolate sulle sedie di legno.
Graziella Salterini - 71 anni
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Modena
Sono nato a Muschioso di Fontanaluccia, nel
comune di Frassinoro, in provincia di Modena. È un
bel borgo, c’è un punto in cui si riesce a vedere
Marina di Ravenna.
A undici anni lavoravo nei campi; eravamo benestanti
perché il nonno paterno era emigrato in America ed
era riuscito a guadagnare un discreto gruzzoletto
che usò per comprare un podere. Avevamo terra e
bestie, quindi potevamo mangiare polenta, formaggio e per le sagre anche di più…
Fino a diciannove anni ho vissuto lì, poi mi hanno
chiamato a fare il militare. La vita militare nel 1943
era durissima, ci davano da mangiare un po’ di caffè
nero e pane, un tozzo a colazione e a pranzo una
piccola porzione di zuppa. Si faceva tanta istruzione,
lo chiamavano ordine chiuso, che significava marciare di corsa mentre cantavamo l’inno.
Ero di guardia l’8 settembre 1943, turno di notte.
Il mio tenente si presentò vestito in borghese, mi
prese il moschetto e me lo buttò via, giù per le spine.
Poi mi disse: «Scappa via, se ci riesci, ora i tedeschi
sono i nostri nemici più cattivi...».
E di lì si partì verso casa a piedi. Eravamo in tanti a
Castiglione delle Stiviere, dove poi siamo stati trasferiti; abbiamo incontrato una donna gentile e
buona che ha svuotato il guardaroba e ci ha fatto
vestire in borghese. Da Castiglione a piedi ho impiegato sette giorni per arrivare a Frassinoro; ci arrivai
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il quindici settembre, giorno della fiera.
Al nostro arrivo i contadini ci hanno aiutato, ospitandoci a dormire nelle stalle, dandoci da mangiare
pane, formaggio, latte…
Ad una certa distanza intravidi due vecchietti e chiesi
al mio compagno, che era anche il mio vicino di casa:
«Chi sono?».
Erano i nostri padri, che tornavano dalla fiera.
Ci siamo abbracciati piangendo.
Giuseppe Cervetti - 92 anni
Per San Giovanni, a Spilamberto, c’era la fiera.
Organizzavano la mostra dei conigli, che sembravano
dei leoni, e c’erano molte bancarelle. Nella scuola
erano preparati vari stand e anche qui c’erano le
bancarelle. Vicino c’era un laghetto con i cigni e
l’esposizione della locomotiva.
Mi piaceva molto riprendere e fare foto.
Loredana Schiavi - 67 anni
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Sono nata a Formigine, ci siamo rimasti per un
po’ di anni ma poi siamo andati a vivere a Fontana
di Rubiera. Sfortunatamente mia madre è morta
quando io ero piccola; mia sorella più vecchia non
aveva neanche dodici anni e ci ha pensato lei a tutti
noi, fino a quando non si è sposata.
Eravamo sotto padrone, mezzadri, a lavorare la terra.
Quando c’era il raccolto dovevamo fare a metà.
D’estate si andava a lavorare e facevamo tutto ciò
che ci dicevano. Quando c’era la mietitura, arrivavano
“quelli delle macchine”. In quell’occasione mangiavamo tutti insieme. Il luogo importante per me è la
casa dove sono cresciuta; adesso ormai sono vecchia, ma ci tengo ancora.
Io e mia sorella andavamo insieme alla chiesa e al
cinema. A volte andavamo a Sassuolo a piedi!
Ma non andavamo spesso in paese, perché ci volevano i soldi e la bicicletta, e noi in famiglia ce ne
avevamo una sola.
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l’università. Ero bravo nelle materie letterarie, mi
piaceva letteratura, storia e anche inglese. Al tempo,
allo scientifico, c’era solo una lingua straniera. Il
tedesco l’ho studiato nel biennio all’università, ma
la grammatica l’avevo imparata bene, i vocaboli li
conoscevo poco perché non sono mai andato in
Germania a fare pratica. Non ho mai ripensato di
riprendere gli studi, ormai è passato troppo tempo,
non mi ricordo più nulla. Sono nel limbo.
Bruno Iemmi - 57 anni
Bruna Montanarini - 83 anni
Il posto più importante della mia vita è Gargallo,
il paesino della campagna vicino a Carpi dove ho
abitato con i miei genitori: era un posto favoloso,
una casa in campagna con tre biolche di terra, uno
stallino attiguo, un noccioleto, piante da frutto e
anche la vite. Finché sono stati in salute, i miei
genitori facevano le marmellate nello stallino, che
era collegato a un recinto; avevamo la cavalla con
i puledrini, le caprette, i colombi…
Dopo la morte di mia madre, mio padre ha venduto
la proprietà a uno pieno di soldi, che ha buttato giù
tutto: sia la casa dove abitavamo noi, sia lo stallino.
Ha ricostruito due ville, una al posto della casa e
una al posto della stalla. A distanza di poco tempo
si è stancato anche delle due ville e ha, di nuovo,
buttato giù tutto, così ora non è rimasto nulla né
della mia casa né di quello che avevano costruito.
Io ho frequentato il liceo scientifico e ho dato tutti
gli esami di lingue, ma mi sono “inceppato” al momento della tesi, quindi non ho mai terminato
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Romagna
Durante la mia vita ho viaggiato molto, ho
visitato molti posti perché ero a servizio presso la
famiglia Benassi, che era numerosa e facoltosa.
Durante l’estate, da giugno a settembre, con la
signora andavamo in villeggiatura a Viserba. Prima
invitavano gli amici, ma una volta cresciuti i ragazzi
venivano a coppie con le fidanzate. La casa era
sempre piena di gente. Il mare mi piaceva, ma non
facevo il bagno perché ho paura dell’acqua. Andavo
la mattina presto con la bassa marea, arrivavo fino
agli scogli e l’acqua era fredda, poi camminavo sul
bagnasciuga e arrivavo fino a Torre Pedrera, per
rincasare verso le nove. Partivo verso le sei e tornavo prima che si riempisse la spiaggia; dopo
sembrava un formicaio. Non ho un posto nel cuore,
ma non ho mai sentito nessun posto veramente
mio. Il periodo più bello sono stati i primi anni al
mare, quando c’erano i primi nipoti, c’erano ancora
i nonni e andavamo a trovarli. Questo è stato il
periodo più bello.
Giuseppina (Geppa) Ponti - 88 anni
D’estate andavo al mare a Riccione con mio
marito e mio figlio, in una casa in affitto per quasi
un mese. Mi piaceva moltissimo andare in spiaggia
ma non nuotavo, mi bagnavo soltanto. Mio marito
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e mio figlio, invece, erano sempre in acqua. Di sera
passeggiavamo sul lungomare.
Ida Alberici - 89 anni
D’estate andavo spesso in ferie al mare sulla
Riviera Romagnola, a Rimini, dove amavo soprattutto andare in spiaggia a prendere il sole. Non
sapendo nuotare non andavo a farmi il bagno.
Rita Parmigiani - 75 anni
Dopo l’alluvione, noi quattro sorelle siamo andate a Cervia assieme a mia mamma, mio papà
invece era rimasto a casa; aveva solo una gallina,
se la teneva pure in camera e se la portava via con
lui in bicicletta, ma anche così sono riusciti a rubargliela! Pensa... da Patina non c’era l’acqua e mio
papà andava a mangiare lì con la sua gallina sotto
braccio. È riuscito a venire da noi a Cervia col motorino, ci ha portato due borsoni con le mutande e i
pannolini e un po’ di frutta.
A Cervia andavo a lavorare, aiutavo in cucina e anche
negli uffici; eravamo in un mondo diverso, avevo un
paltò nuovo che mi aveva fatto la sarta per un matrimonio, non l’ho usato e me lo son portato per
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usarlo a Cervia... sembravo la badessa. E mi rispettavano perché ero in cucina e in ufficio. La gente
aveva tanta fame e si lamentavano lo stesso pur
avendo la possibilità di mangiare primo e secondo,
mentre a Contarina non sapevano neanche cosa
voleva dire avere un primo e un secondo. Eppure
andavano a rubare e facevano i dispetti, rompevano
i vetri delle finestre. Erano di famiglie sbandate che
non si sono più raddrizzate! Andava a finire che
quelli di Cervia volevano l’alluvione ma non gli alluvionati!
Marcello Baratella - 85 anni,
con la moglie Teresa
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Liguria
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La Spezia
Sono nata in Nave, un quartiere di Sarzana, e
poi a pochi mesi sono andata ad abitare a Canal Tur.
Lì sono rimasta sino ai sei anni, poi mi sono trasferita
a Ponzano. Infine ci siamo trasferiti alla ghiaia di
Falcinello.
Eravamo mezzadri, mi ricordo che quando veniva
giù l’acqua dalla ghiaia arrivava vicino a casa.
Era una casa isolata, le altre case erano un po’ più
distanti.
Alla domenica andavo alla messa a Santa Maria con
altre ragazze. Nel pomeriggio si andava da Paolo o
a San Michele a ballare. Mia mamma mi diceva:
«Devi essere a casa prima che vada sotto il sole»,
io lo facevo non perché avessi paura delle botte, ma
perché mi vergognavo, ero timida. Mia sorella, una
volta, è tornata a casa che era già buio e mia mamma
si è arrabbiata molto.
Adele Baria - 103 anni
Sono nata a La Spezia, in una famiglia semplice
e onesta. Ho potuto frequentare la scuola fino alla
quinta elementare. Dopo ho studiato con un mio
cugino più grande e ho letto tantissimi libri, anche
più di cento! Ero brava a scuola, un po’ timida, avevo
sempre paura di disturbare, per questo non sono
mai stata messa in castigo.
Purtroppo la guerra ha cambiato molte cose…
Mia madre mi diceva di diventare una maestra,
perché io diventavo matta per lo studio, per i libri…
E invece niente, perché, finita la quinta elementare,
siamo finiti a rifugiarci nella galleria. Quella che
adesso passa per Rio Maggiore, al mare. Noi stavamo
lì, si dormiva lì, in piedi dentro una galleria, sotto a
un monte. Perché bombardavano.
Prima della guerra mio papà ci fece un libretto postale, uno per me e uno per mia sorella. A due bambine ha fatto il libretto! Quando è rientrato dalla
prigionia, dopo otto anni, ha trovato mia sorella
quasi fidanzata. Io avevo quindici anni e lei diciotto,
ormai era una donna. Aveva lasciato due bambine
e aveva ritrovato due donne. Però la vita l’avevamo
salvata, anche se le paure provate non si cancellano.
Ne abbiamo passate tante… però ci siamo salvate.
In fin dei conti siamo sopravvissuti. Sono esperienze
che ti insegnano, ti forgiano, ti fanno cambiare idea
anche sulla vita in generale.
Carla Maria Paini - 85 anni
Io sono nata a La Spezia. Prima di sposarmi
facevo la segretaria in un ufficio, poi mio marito mi
ha aperto una cartoleria nel quartiere di Mazzetta,
si chiamava “Il punto rosso”.
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Ho dei bei ricordi a La Spezia: dalla casetta con cui
vivevo da bambina con i miei genitori, vicino al Teatro
Civico, alla chiesa di Pegazzano, dove all’età di circa
ventidue anni mi sono sposata. Ho dei bei ricordi
anche delle nostre tradizioni: una delle nostre feste
più belle è la fiera di San Giuseppe. Ci andavo tutti
gli anni e la prima cosa che compravo era la collana
di noccioline: ne prendevo due, una per mia figlia e
una per mio figlio. Non mi scordavo mai di comprare
la porchetta di cui tutta la famiglia era golosa.
E poi è famosissimo il palio dei borghi marinari, si
svolge la prima domenica di agosto. È una sorta di
gara tra tutte le frazioni della provincia della Spezia
che si affacciano sul mare.
Dopo il matrimonio, mio marito affittava una casa
a Fiumaretta. Io avevo smesso di lavorare, lui invece
non era ancora andato in pensione. I nostri due
bambini erano piccoli e io li portavo al mare. Mio
marito ci raggiungeva la sera. Mi piaceva molto stare
lì, avevamo la possibilità di farci una piccola vacanza.
Io adoro il mare, se fossi più giovane ci tornerei
subito!
Giovanna Mori - 84 anni
Sono nata a Sarzana, in via della Trinità, e ho
sempre vissuto lì. La casa dove abitavo è poi stata
demolita, non era casa mia, eravamo in affitto. Troppa
grazia essere padroni! Dopo ci hanno dato un appartamento. Era una casa colonica, i miei erano mezzadri
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e coltivavano i terreni. Succede così quando la città
si espande, costruiscono nelle periferie, occupano
dove si coltiva. Io ho sempre abitato in periferia e i
miei sono tutti sarzanesi: i miei genitori, i nonni.
A scuola andavo in centro, sia per l’asilo, sia le
elementari e sia l’avviamento al lavoro, che poi sono
diventate le medie. Erano tutte in centro. Vicino a
piazza Garibaldi c’erano le scuole elementari
maschili, la mia invece era all’inizio di via Landinelli.
Mi ricordo che sui muri della scuola vicino alla porta
delle classi c’era scritto il quattro di quarta classe
con i numeri romani, e noi ci chiedevamo cosa
fossero quei segni.
Il giovedì a Sarzana era giorno di mercato, ma solo
la mattina. Davanti alla Laurina, un albergo storico,
c’era un uomo che cantava e con un piattino
raccoglieva i soldi; radunava tanta gente. Allora era
già una gioia uscire di casa e stare fuori.
Vicino a Piazza San Giorgio c’era la tettoia del
mercato. A Sarzana non capiscono niente, perché
l’hanno demolita. Sotto alla tettoia c’era sempre
una signora che vendeva le polpettine, mele cotte
al forno, ne preparava qualche vassoio e poi diceva:
«Donne, a go le porpettine!» in sarzanese.
La chiamavano la Ro dei dozi.
Bruna Bologna - 91 anni
Sono nato a La Spezia. Da bambino abitavo in
via XX Settembre e mi ricordo che i tram di colore
verde, in via Persia, fermavano dove ora c’è il chiosco:
facevano moltissimo rumore, si sentiva il suono del
campanello che li preannunciava per avvertire le
persone di allontanarsi dai binari.
In centro c’era la gelateria “La Fiorentina”, che ora
è diventata una pasticceria. Quando ero bambino,
se ero stato bravo a scuola, i miei genitori mi
portavano da Riccardo a prendere il gelato; io
prendevo arlecchino, gusti misti con sopra la panna
montata e una ciliegina. Ero un bambino studioso,
una volta ho vinto anche un premio per un tema dal
titolo “Cosa voglio fare da grande”. Io avevo scritto
“Il Papa”. Mi ricordo che mi piaceva affacciarmi al
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balcone con i bambini del palazzo che mi guardavano
e dire la Messa con il libretto in mano e alla fine dare
la benedizione.
La domenica pomeriggio mi portavano ai giardini,
dove prendevamo la bici a noleggio. Alla chiappa
c’era una trattoria dove cucinavano la farinata e la
mesciua; allora c’erano tutti i tavoli in pietra e si
mangiava fuori all’aperto.
Un altro ricordo della città di allora erano i carrettini
che trasportavano il ghiaccio. Gli ambulanti acquistavano il ghiaccio dalla fabbrica del ghiaccio, lo
facevano a pezzi e con il carrettino lo consegnavano
alle famiglie che lo usavano per conservare il burro;
anche il pesce lo portavano con i carrettini. Mi ricordo
l’arrotino che passava per le strade e urlava: «Arrotino!» e tutti scendevano con forbici e coltelli. C’erano
anche quelli che aggiustavano le pentole di terra
cotta con il filo di ferro. Allora non si buttava via
niente, queste figure oggi non ci sono più. Davanti
alla stazione c’erano i cavalli, di fronte al civico, al
posto dei taxi, c’erano i calessi. Mi ricordo l’odore
dei cavalli…
Nella borgata del Canaletto mi ricordo le vecchie
marine, costruzioni su palafitte dove vivevano e da
dove partivano le imbarcazioni dei muscolai, le
persone che curavano i vivai di mitili o, come si dice
in spezzino, muscoli. Le palafitte furono purtroppo
sacrificate per lasciare spazio alle attività del porto
mercantile. I muscolai del Canaletto fornirono
all’inizio la maggior parte dei vogatori del Palio del
Golfo. In occasione della festa del mare, nel Golfo
dei Poeti si disputa il Palio del Golfo, una gara tra
imbarcazioni a remi alla quale prendono parte le
tredici borgate che si affacciano sul golfo di La Spezia.
Io sono della borgata di Ca’ di Mare perché mia
mamma era di lì. La cosa più bella sono i bengala
che segnalano la partenza delle barche e l’ovazione
del pubblico. Tutti guardavano la gara dal molo o
dalle imbarcazioni ormeggiate nel porto.
Molte fotografie della Spezia di un tempo sono
raccolte presso il centro della comunicazione grazie
al fotografo Sergio Fregoso, il fratello è invece un
poeta che scrive poesie in dialetto spezzino e le
legge all’accademia Capellini. Dopo i vari trasferi-
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menti sono tornato a La Spezia. La Spezia è una
città in evoluzione. Ci sono tante iniziative culturali,
come la Festa della Marineria, in occasione della
quale sono arrivati i velieri da tutto il mondo e gli
equipaggi hanno sfilato nel centro della città. I luoghi
della città che preferisco sono i giardini pubblici e
il castello di San Giorgio. I giardini sono molto belli
e curati.
Enrico Cerretti - 68 anni
Io sono nata su una piccola collina che si chiama
Drignana. Era una località dove all’epoca c’erano al
massimo sei o sette famiglie. Adesso non c’è più
nessuno. Nel paesino non c’era niente, né la
farmacia, né il medico, né la bottega per fare la
spesa; se c’era bisogno di qualcosa bisognava
scendere fino al paese.
Per arrivare a Vernazza la strada era molto ripida.
Per salire ci voleva più di un’ora, era faticoso e la
strada era una mulattiera, stretta e sterrata. Io la
facevo diverse volte al giorno.
La mia famiglia era una famiglia povera, eravamo
contadini. Coltivavamo frutta e verdura e allevavamo
le bestie. Quello che avanzava e non serviva al
sostentamento della famiglia lo vendevamo. Allora
io mi caricavo una cesta di vimini sulla testa e portavo
al paese la merce.
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Da bambina svolgevo un sacco di compiti; oltre a
vendere i prodotti agricoli curavo i terreni e gli
ortaggi, zappavo la terra, seminavo il grano, le patate
e altra verdura, badavo agli animali, tagliavo l’erba.
Questa è la storia della mia famiglia e della mia vita.
È stata sicuramente dura e faticosa, ma io ho dei
bei ricordi dei miei genitori, della mia gioventù e dei
miei posti, i miei campi, i miei terreni. La mia casa?
Anche se non ci abita più nessuno, non si vende
mica!
Lina Colombo - 88 anni
Sono originaria delle Cinque Terre,
di Riomaggiore. Sicuramente tutti
conoscono il posto per il mare e per
il vino. Qui si produce il famoso
Sciacchetrà. È un vino che viene
prodotto un po’ in tutte le Cinque Terre, ma qui c’è la produzione principale.
Se devo raccontare un ricordo
in particolare legato ai miei
luoghi di origine, mi viene
senz’altro in mente la vendemmia nei terreni di famiglia.
Io avevo i campi a Cà de Giannotto, a Vallescura Migliarino. Ci
si alzava al mattino presto, mangiavamo un po’ di pane con un po’ di
uva appena raccolta nel vigneto. Poi si
cominciava la vendemmia, allora staccavamo
l’uva dalle vigne e la dividevamo in bianca e nera,
in diverse ceste. Una volta piene, le ceste venivano
portate a mano fino alla cantina. Questa era la parte
più faticosa perché i vigneti nelle Cinque Terre sono
terrazzamenti in salita. Una volta portata nella cantina, l’uva si buttava nella tina, dove veniva pestata
per fare uscire il succo che poi sarebbe stato messo
nelle botti.
Adesso è cambiato tutto, il momento della vendemmia non è più un momento di fatica, ci sono trattori
e sistemi tecnologici per spostare i cesti carichi di
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uva, e macchinari che la spremono per estrarne il
succo. Da un lato è un bene, ma dall’altro si perdono
un po’ le antiche tradizioni della mia infanzia e che
i miei genitori hanno imparato dai loro, tramandandoseli di generazione in generazione. Così come sta
succedendo per la costruzione dei muretti a secco,
anche questi sono tipici delle nostre parti. Ora non
li sa fare più nessuno. E pensare che vengono da
tutto il mondo per vedere i nostri posti!
Lidia Bonanni - 81 anni
Sono nata e cresciuta a Molicciara, nel comune di Castelnuovo Magra. Molicciara
è ai piedi di Castelnuovo, che invece
si trova in collina. A Castelnuovo ho
fatto tutte le elementari, in un bel
palazzo. Io ero brava in italiano,
facevo bene i riassunti e i temi,
invece di matematica non ho
mai capito niente, anche
adesso se devo fare una divisione ho difficoltà. Mi sono
fermata alle elementari, non ho
potuto fare le medie perché i
miei genitori non potevano
permettersi di pagare i libri e il
pullman per andare a Sarzana,
dove allora era la scuola media; così
ho cominciato presto a fare piccoli
lavori. Castelnuovo si trova su una collina
tutta ulivi, mi ricordo che andavo con mia
nonna a raccogliere le olive e alla vendemmia. I miei
nonni avevano un casale sulle colline e io ci andavo
sempre volentieri, perché avevano tanti animali e io
ho sempre amato gli animali. C’era un torrente, il
Bettigna, dove da ragazzi andavamo a pescare i
ranocchi o a fare il bagno. D’estate era il nostro
mare, allora l’acqua era limpida. Mi ricordo che
dall’Aurelia al mare era tutta campagna coltivata;
c’erano tanti alberi da frutto, i fossati limpidi e tanti
fiori gialli.
Maria De Maria - 76 anni
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«Bello il mio Pitelli, Dio lo fece e poi strappò i
modelli! E disse il buon Gesù, come Pitelli non ne
faccio più!».
Abitavo con mia nonna in cima alla piazza.
Da bambina mi portava spesso in campagna, c’era
l’uva da raccogliere, le olive, la frutta. Si andava a
piedi e poi si tornava indietro con le ceste piene.
A me piaceva tantissimo la campagna chiamata “del
Colletto”, non ricordo perché si chiamasse così, ci
sarà stato un motivo. Lì c’era tanta frutta, ciliegie,
pesche, fichi, fragole, nespole, susine. Mi piaceva
raccoglierla, ma soprattutto mangiarla sul posto.
Siccome ero piccola e non arrivavo ai rami degli
alberi, raccoglievo quella caduta a terra. Mi piaceva
raccogliere i fiori selvatici e quelli seminati dai miei
nonni, abbondavano in primavera; facevo mazzetti
di margherite e viole e li portavo a casa.
Crescendo poi, da ragazzotta, andavo al mare con
le mie amiche. Da Pitelli scendevamo a piedi sino
alla Baia blu, un posto bellissimo: l’acqua pulitissima,
una piccola spiaggetta e tanti scogli. Ricordo che
stavo tutto il tempo seduta su uno scoglio con le
gambe in ammollo. Mi piaceva sentire le onde che
mi massaggiavano i piedi. Non sapevo nuotare...
Il mare della Baia blu è bellissimo ma Pitelli, il mio
paese, ancora di più.
Ferdinanda Rebolini - 91 anni
I luoghi che per me sono stati importanti sono
quelli in cui ho studiato o lavorato. Mio padre era il
titolare dell’albergo Principe a Pontremoli, vicino
alla stazione ferroviaria, che ora non esiste più. Lo
aveva preso in gestione e fin da ragazzo lo aiutavo
nelle diverse mansioni. I nostri clienti erano in particolare dei camionisti; a quei tempi non esisteva
ancora il turismo. Siccome non c’era ancora l’autostrada della CISA, i viaggi per raggiungere Parma,
Milano e l’Emilia erano molto più lunghi rispetto a
oggi. Quando un autista era stanco si fermava da
noi per la notte.
Di solito stavo al bar, riuscivo a far combaciare il
lavoro con lo studio e mi sono diplomato ragioniere
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nell’istituto Dapassano in piazza Verdi. Appena finita
la scuola, sono partito per il servizio militare.
Quando sono tornato, mio padre era morto e
l’albergo era stato disastrato e saccheggiato dopo
i bombardamenti. Insomma, non avevamo più di
che vivere. Con la mia famiglia siamo rimasti sfollati
e sono tonato a Spezia per cercare lavoro.
Per fortuna, nel 1946 ho trovato lavoro in Comune
come impiegato, all’ufficio tributi. Ho dovuto fare
un concorso e sono stato assunto, ho lavorato lì per
quarantadue anni.
Da giovane andavo allo stabilimento balneare Nettuno, al Muggiano. Ora non esiste più, in quella zona
ci hanno fatto dei cantieri navali e un piccolo porticciolo per ormeggiare le barche. Andavo lì con i miei
amici, poi quando hanno chiuso il bagno mi sono
spostato al Colombo, a Lerici. Mi è sempre piaciuto
andare al mare. Eravamo un bel gruppo di amici e
colleghi, prendevamo la cabina per tutta la stagione.
Nel tempo di guerra La Spezia era un’importante
base militare; avevamo la scuola per marinai e una
flotta navale di armi da guerra pronte a partire in
qualsiasi momento. Oggi il porto è una località
turistica, ideale per una passeggiata sul mare. Dopo
la guerra partivano le vaporelle, delle navi che portavano i passeggeri fino a Lerici. Erano l’unico mezzo
per raggiungere Lerici, l’autobus si fermava al Muggiano e poi bisognava proseguire a piedi. Quando
ero ragazzo, alla sera, alle dieci, c’era la ritirata dei
marinai. Era bellissima da vedere.
Mi ricordo che i cittadini si recavano in piazza Garibaldi, sotto la statua, mentre la banda richiamava
i marinai in caserma. I suonatori si spostavano suonando una marcia militare e si dirigevano verso la
caserma Duca degli Abruzzi con i marinai al seguito.
Corso Cavour è una delle vie principali di Spezia.
Qui ci sono diversi negozi storici della città, che sono
aperti tutt’oggi. Come il calzaturificio Mellei, dove
hanno lavorato tutti e due i miei fratelli subito dopo
la guerra. Pensa che ha aperto nel 1917! Loro erano
due garzoni, dovevano vendere e occuparsi della
consegna delle scarpe.
Un altro negozio storico è in una traversa di via
Prione, è la pizzeria al taglio “La Pia”, è chiamata
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anche la Centenaria, da quanti anni è aperta. Tutti
gli spezzini hanno mangiato almeno una volta nella
vita un po’ di pizza e un po’ di farinata dalla Pia!
Gabriele Maioglio - 90 anni
La calzoleria “La casa della scarpa di Deiva” era
il negozio mio e di mio marito. È stato aperto negli
anni Sessanta ed era un fondo, proprio piccolo.
Successivamente, negli anni Settanta, abbiamo
riaperto il negozio in un’altra parte della città.
Al suo interno c’era un laboratorio per la riparazione
degli oggetti in pelle e in cuoio, dove stava sempre
mio marito, poi c’era la parte di negozio per la vendita
di scarpe, borse e cinture di cui mi occupavo io, e
dietro si trovava l’appartamento nel quale vivevamo.
Mio marito ha sempre fatto il calzolaio, ma dove
abitavamo prima di Deiva non riuscivamo a guadagnare abbastanza, così abbiamo deciso di trasferirci.
Ho dovuto abbandonare il mio paese.
Lorena Vascelli - 90 anni
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Sono nata a La Spezia, al Muggiano. Il mio
babbo aveva aperto una tabaccheria, vendeva le
sigarette e il sale. A Spezia abitavo al Canaletto, in
un palazzo dove c’era tanta gente… Alla sera si
andava al cinema. Davanti al cinema c’era una signora, si chiamava Margherita e vendeva i cannoli.
Ah, tempi passati. Al Muggiano c’era una spiaggia
piccola, io ci andavo con mia sorella, la chiamavano
la spiaggia dei morti, non so perché; a volte mia
sorella non ne aveva voglia e io ci andavo da sola a
piedi, era vicino a casa mia e passavo in mezzo agli
orti per arrivarci. Alle “Tre strade” tutte le sere
ballavano, c’era la festa da ballo, io abitavo a due
passi e ci andavo spesso; mi piaceva ballare, c’era
tanta gente. Dopo la guerra siamo rimasti al paese
e ho conosciuto mio marito.
Sergia Duranti - 86 anni
Sono nata e ho vissuto sempre a Sarzana.
Da bambina abitavo in periferia, vicino alla vetreria,
con i miei genitori e mia sorella; allora era tutta
campagna, adesso non la riconosci più, hanno costruito tutte le case. Il centro storico è rimasto più
o meno come allora, invece la periferia è completamente cambiata.
Quando ho cominciato a lavorare mi sono trasferita
in città, perché non potevo prendere i mezzi tutti i
giorni per raggiungere l’ospedale; allora erano pochi,
uno ogni due o tre ore, non come adesso che ne
passa uno ogni dieci minuti.
Edda Fabbricotti - 84 anni
Da bambino giocavo al cosiddetto Giro d’Italia
con i tappini di ferro delle bibite. Era un gioco molto
praticato dai ragazzi di quegli anni, univa la fantasia
e la passione per uno sport: il ciclismo.
Per prima cosa vi era la ricerca dei tappini delle
bibite nei vari bar della città. Ricordo che la pista da
gioco veniva tracciata con il gesso che si usava per
scrivere sulla lavagna di scuola, sull’asfalto o sul
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cemento di una strada chiusa al traffico, come era
ad esempio a La Spezia, Viale Mazzini. Poi iniziava la
gara, dando con il dito dei piccoli buffetti al tappino,
in modo da fargli percorrere l’intero percorso.
Ho trascorso molto tempo in quella via, era un punto
di ritrovo per i ragazzi della zona. Questo era un gioco
semplice ma appassionante che assorbiva gran parte
del tempo di un bambino di allora, facendolo socializzare con i propri compagni e vivere all’aria aperta.
Paolo Ceragioli - 65 anni
Io ho passato una bellissima infanzia, avevo le
sorelle già grandi e una mamma e un papà molto
presenti. Avevo tante bambole, le ricordo tutte: belle,
di marca Lenci, una marca molto famosa. Me le comprava mia mamma quando c’era il mercato a Lerici.
Mia mamma tutte le mattine andava e Lerici a vendere
il latte. Ero molto viziata, per la festa della Befana
avevo ricevuto delle calze di velo, a quell’epoca rare
e costose; un’amichetta era venuta a casa mia, ci
rimase di stucco! Subito andò dalla mamma a dirle
che non era giusto. «La Mafalda fa sempre i capricci
e la Befana le ha portato delle calze bellissime, io che
sono buona ho ricevuto solo qualche caramella dentro
le mie calze di lana!».
Abitavo a Romito, ma lì non c’era molto. Mi piaceva
Lerici perché c’è il mare. Ogni estate ci trascorrevo
quindici giorni, ospite di una cliente di mia mamma.
La signora aveva due figlie poco più piccole di me e
giocavamo, facevamo il bagno. Ma poi mi prendeva
la nostalgia dei miei genitori, delle mie sorelle e delle
mie bambole.
Ricordo che passavo anche alcuni giorni ospite della
signora Dirce, alla Bellavista, località di Lerici in collina.
Lei era brava ma non mi piaceva il suo nome, era un
nome che mi faceva paura!
Facevamo delle lunghe passeggiate in mezzo alla
natura. Vicino a lei abitava il Conte De Benedetti.
La sua casa era immersa in un grande parco dove
andavo a giocare. Passavo delle ore sull’altalena,
correvo tra le siepi. Ero molto vivace e anche da sola
mi divertivo. C’era tanto verde, ordinato e pulito e
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questa altalena sembrava dirmi: «Vieni, salta su!».
Ma anche lì, dopo qualche giorno, mi prendeva la
nostalgia di casa. In fondo, stavo bene a casa mia.
Anche se ho sempre vissuto a Romito, sono legata a
Sarzana perché l’ho frequentata sin da bambina: con
mia mamma venivo talvolta al mercato e mi ricordo
che in via Mazzini, che allora era via Grande, c’era un
negozio “Le Peroni”, dove mia mamma comprava la
stoffa per fare i vestiti per me e per le mie sorelle.
Diventata grande, venivo a Sarzana per lavoro; prima
lavoravo al biscottificio e poi al sindacato. Mi ricordo
che in piazza Matteotti c’erano le piante di mandarini
e di arance. Quando penso a piazza Matteotti mi viene
sempre in mente che una volta dovevo fare delle
punture. La mutua era in fondo alla piazza, dove
finisce a punta. La signora che mi faceva le punture
era affacciata alla finestra e mi ha visto mentre finivo
con la bicicletta in mezzo alle gambe del maresciallo
dei carabinieri! Quando sono entrata mi ha chiesto
se il maresciallo mi aveva sgridato, invece lui si era
scusato perché pensava fosse colpa sua, ma se lui
era in mezzo e io non guardavo dove andavo… io sono
stata zitta perché, be’, allora ero una brighella.
Mafalda Fresco - 92 anni
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Sono nata come un piccolo criceto: riposta in
un piccolo cartone di scarpe, riscaldato solo con
un po’ di cotone, e lasciata nell’orfanotrofio di via
Garibaldi, qui a La Spezia, che ora non esiste più.
Per fortuna ci sono rimasta poco, dopo venti giorni
sono stata adottata da una dolcissima famiglia.
Vivevamo in una casa su due piani, con un bel
giardino, e avevo due fratelli. I miei genitori adottivi
mi hanno sempre cresciuta con amore.
Dopo molti anni ho cercato di scoprire le mie vere
origini e ho ritrovato la mia vera madre, ho imparato
a volerle bene e a perdonarla. Allora era una giovanissima ragazza con problemi
famigliari, ed è così che ha deciso di lasciarmi all’orfanotrofio
piuttosto che farmi morire di
stenti.
Angela Aramini - 82 anni
Sono nata nel quartiere di
Mazzetta, a La Spezia. Questo
è un luogo importante per me
perché ci sono cresciuta e perché qui i miei genitori avevano
un forno con annessa una piccola bottega. Mio padre produceva e vendeva il pane, ma
avevamo anche dei generi alimentari di vario tipo.
Fin da piccola ho iniziato a lavorare nella bottega.
Era faticoso perché dovevo anche studiare e andare
a scuola. Quando ho smesso di frequentare le
elementari, ho iniziato a portare il pane ai vari
negozi della città. Avevo circa dieci anni. Ero magra
e minuta, ma mi caricavo sulla testa grosse ceste
colme di pane e a piedi rifornivo i negozi.
Nel retrobottega avevamo una stalla, c’era un cavallo che serviva a trainare la carrozza che usava
mio padre per le consegne delle grosse quantità,
quelle che io non sarei riuscita a portare in spalla.
Io a volte mi occupavo di lui, gli davo da mangiare
l’avena e la biada e gli curavo gli zoccoli.
Il negozio dei miei genitori è stato molto importante
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per me perché mi ha insegnato cosa vuol dire la
fatica e l’importanza di svolgere un lavoro.
Quando avevo sedici anni mi sono sposata, sono
rimasta incinta e così per la mentalità dell’epoca
ho dovuto prendere marito. Mio marito faceva il
liutaio, fabbricava violini e violoncelli. Purtroppo
non era un lavoro molto redditizio così i miei genitori, che nel frattempo avevano preso in gestione
un forno a Migliarina, mi hanno offerto di lavorare
per loro. Avevo molto da fare, stavo dietro ai miei
due figli e lavoravo. Ma non mi sono mai lamentata,
mi sono sempre rimboccata le maniche.
Aldina Biagioni - 96 anni
Sono nata a Sarzana, vicino alla chiesa dei frati cappuccini,
nel quartiere della Bradia, e lì ho
frequentato la scuola, ma non mi
piaceva studiare, non ne avevo
voglia quindi a volte ci andavo e
a volte no.
Sono cresciuta in campagna, i
miei genitori avevano terra da
coltivare tra collina e pianura.
Anch’io ho lavorato con loro sin
da bambina, mia sorella invece
un po’ meno. Mio padre si occupava delle vigne da solo, potava, legava e dava il
verderame; quando c’era la vendemmia ero io a
portare i sogi, i tini pieni d’uva sulle spalle. Me la
sono tolta, la voglia di lavorare!
Davanti a casa c’era un prato e un pozzo dove
prendevamo l’acqua per le bestie; avevamo le
vacche da latte e le pecore, e mia mamma con il
latte faceva il burro, la ricotta e il formaggio.
Dopo il matrimonio sono rimasta con i miei genitori
sino a quando hanno venduto la casa. A quel punto
ci siamo trasferiti in una casa vicino alla fortezza
dove un tempo c’erano le prigioni, e lì siamo rimasti
sino a quando non ci hanno dato la casa popolare.
Eravamo in troppi, nella casa di mia madre non ci
stavamo tutti: io, mio marito e i miei figli.
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La cittadella era un punto di ritrovo, c’era una piazzetta vicino alle mura dove si andava per stare un
po’ al fresco. Io ci andavo spesso con mia mamma.
Sarzana già allora era una bella città: piazza Garibaldi, dove c’erano il panettiere e la farmacia
dell’ospedale, e il teatro Impavidi, dove io ci sono
stata una volta sola, a vedere un film.
Andreina Olivieri - 83 anni
Sono nato e cresciuto a La Spezia in via Gianturco, abitavo in un palazzo al quarto piano.
A Spezia la prima domenica di agosto c’erano le
gare di barche, il Palio del Golfo, una gara tra tredici
imbarcazioni a remi, simili al gozzo, ma con alcune
differenze che le rendevano più veloci e agili. Erano
costruite a mano dai nostri artigiani.
Io ci andavo sempre a vedere il palio e tifavo per il
Canaletto; il nostro colore è il giallo, infatti ci chiamano canarini. Mi ricordo che mio padre mi aveva
raccontato che all’inizio i marinai delle barche cariche
di pesce o di muscoli si sfidavano tra loro per approdare per primi in banchina, così è nato il palio a cui
partecipano con passione tutti gli abitanti delle
tredici borgate che si affacciano sul mare. Tutti per
mesi partecipano ai preparativi dei costumi e dei
carri per la sfilata, che si tiene il giorno prima della
gara per le vie del centro della città. Gli atleti delle
diverse borgate si allenano tutto l’anno per vincere
l’ambito palio. La festa si conclude la domenica sera
con la premiazione dei vincitori del palio e con i
fuochi d’artificio.
Mauro Perioli - 88 anni
Sono nato a Filattiera, ma a quattro anni con
la mia famiglia ci siamo trasferiti a Falcinello, vicino
al torchio, perché cercavano un contadino a cui
affittare la casa e il terreno. Poi, in tempo di guerra,
hanno bombardato la nostra casa e abbiamo perso
tutto. Allora il comandante dei carabinieri ci ha
ospitato nel distretto nella zona militare.
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Ho frequentato la scuola a Sarzana, in città; ero
bravo, il voto migliore lo avevo in disciplina e buona
condotta perché in classe stavo attento, in silenzio.
Allora c’era severità!
Finita la guerra sono andato a vivere in cittadella,
nel centro storico di Sarzana; mi ricordo che ci pioveva in casa, entrava l’acqua dal tetto per via dei
bombardamenti. Dopo siamo andati alla Bradia, ci
hanno dato la casa popolare e lì sono rimasto.
Sarzana nel tempo è stata trasformata, ai miei tempi
in piazza Matteotti c’erano tutte piante di arance e
vicino all’Alhambra, una discoteca, c’era un pozzo
che è stato riempito dai detriti delle case costruite
vicino, sino a farne una piazza. Allora si poteva
camminare in mezzo alla strada, non c’erano pericoli,
passava una macchina ogni tanto.
Giuseppe Picchiò - 84 anni
Io sono nata a La Spezia, ma a Podenzana abitavano i miei suoceri, ed è la terra di origine di mio
marito. Fino alla fine della guerra, io e i miei figli
siamo rimasti lì, nella casa dei miei suoceri. Anche
se abitavamo a Spezia, andavamo sempre a Podenzana con i bambini, anche dopo la guerra...
Da bambina giocavo nel cortile della mia abitazione
con le bambine della mia età; i giochi erano più
semplici di quelli che ci sono oggi, avevamo bambole
di celluloide, giocavamo al pampano, a nascondino…
poi mi piaceva curare le piante assieme a mia mamma. Avevamo una casa con il giardino e avevamo
tanti fiori, che meraviglia erano!
Da ragazza invece mi piaceva andare a vedere l’opera, sono una grande appassionata di musica lirica.
Se devo scegliere un posto che per me è stato molto
importante, scelgo il teatro Monteverdi. Quando ero
bambina, venivo sempre con mio padre ad assistere
agli spettacoli lirici. A volte mi vengono in mente le
arie delle opere e le canto, mi piace cantare, ho
preso anche delle lezioni da ragazza.
Mio marito l’ho conosciuto in tribunale. Sicuramente
è stato molto importante per me come luogo; non
solo perché avevo un lavoro che mi piaceva molto,
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ero la segretaria del presidente del tribunale di La
Spezia, ma anche perché mi ha fatto conoscere mio
marito. Lui era un avvocato e passava sempre dal
mio ufficio per far archiviare delle pratiche o consultare dei documenti.
Mara Toracca - 93 anni
Il mio primo amore è sbocciato all’età di quindici
anni. Lui era più grande di me e abitava nel mio
paese, Lerici; facevamo belle passeggiate sul lungomare mano nella mano, fino alla Venere Azzurra,
dove in spiaggia prendevamo il sole e facevamo il
bagno.
Si chiamava Gino ed era bello, alto, abbronzato,
capelli e occhi scuri. Mi piaceva molto stare con lui,
mangiare sulla spiaggia i panini preparati da me.
Questo mio primo amore è stata una storia segreta
che ho raccontato solo alla mamma.
Piera Chiappini - 86 anni
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La mia infanzia è stata bellissima, piena di libertà
e nello stesso tempo di regole da me osservate
sempre. Ho avuto molti amici, compagni di giochi e
di studio. Nel pomeriggio, dopo aver studiato, mi
recavo con loro nel pianone, un altopiano nella piana
a Nicola di Ortonovo, per i giochi di tradizione e
quelli che inventavamo sul momento. Sono lieta di
dire che con alcuni di loro ho mantenuto contatti e
rapporti ancora vivi oggi.
A Nicola di Ortonovo c’era un edificio, un collegio di
suore dove c’era l’asilo e un salone col palco. C’era
la tv dove si andava con i ragazzi. C’era un dondolo
grande coi sedili, noi spingevamo di qui e di là.
Nora Corsini - 65 anni
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Genova
A diciotto anni sono entrato in ferrovia; prima
ho avuto l’incarico a Pietralcina, il paese di Padre
Pio, poi sono stato trasferito in provincia di Teramo
e lì ho conosciuto quella che sarebbe stata mia
moglie. Infine sono stato trasferito in Liguria dove
sono rimasto; quando ho saputo del trasferimento
in provincia di Genova ho chiesto a mio suocero di
poter sposare sua figlia, così che mi potesse seguire
a Zoagli. Zoagli è un piccolo borgo, si trova tra
Chiavari e Rapallo, nel golfo del Tigullio, e secondo
me è il più bel paese della Liguria. C’è una passeggiata sul lungomare, una scogliera pedonale proprio
a livello del mare e una rotonda sul mare; come dice
la canzone, lì si cominciava a ballare la sera e si
finiva alla mattina. È un paese meraviglioso, per
questo mi è rimasto nel cuore; quando c’erano le
mareggiate le onde arrivavano in piazza. Il paese si
sviluppava invece in collina, sembrava di vedere un
presepe con la stazione che era a picco sul mare.
A Zoagli ho anche iniziato la mia attività di commerciante, ho aperto la prima latteria del paese. Quando
mia figlia era piccola, non si trovava il latte, così ho
pensato che come me altre famiglie potessero avere
il mio stesso problema.
Zoagli è un posto meraviglioso, poi in piazza ci sono
i ristoranti dove si mangia dell’ottimo pesce. Dalla
Cesarina, se c’è ancora, si mangia benissimo.
Giovanni Prisciandaro - 82 anni
Da ragazza, prima di sposarmi, sono andata a
servizio a Genova. La domenica pomeriggio avevamo
qualche ora libera e andavamo al mare, io e le mie
amiche; ho anche delle foto con il costume, me lo
aveva regalato una mia amica. A Genova mi sono
trovata bene, però l’ho lasciata quando il mio fidanzato è tornato da militare e poi ci siamo sposati.
Clarice Venturi - 87 anni
Sono andata a Genova a lavorare presso una
famiglia molto per bene. Nei giorni liberi, con le mie
colleghe, andavamo in via XX Settembre e guardavamo i negozi fino a Piazza De Ferraris. Nel periodo
estivo ci piaceva andare in Corso Italia a mangiare
il gelato, a me non è mai piaciuto andare al mare e
prendere il sole. I ragazzi di Genova sono più belli
di quelli di Cerignale perché sono della città.
Natalina Castelli - 81 anni
La città in cui ho vissuto meglio al di fuori del
mio paese d’origine è Genova.
Mi sono trasferita per lavorare presso una famiglia
come donna tuttofare, ero giovane e fidanzata con
un mio paesano. La mia signora mi trattava bene e
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si fidava di me, spesso loro andavano in vacanza e
mi lasciavano sola nella loro casa.
Il mio futuro marito veniva spesso a trovarmi e si
fermava a mangiare con noi, come invitato dalla
padrona di casa. Dopo pranzo uscivo con lui e facevamo delle passeggiate, a volte andavamo a ballare
al “Righi”. Ho smesso di andare a Genova quando
mi sono sposata.
Beatrice Sacchi - 84 anni
Da adulto mi sono trasferito a Genova e facevo
l’asfaltatore. Questa città ti fa sudare ma è molto
bella, io andavo spesso in Via XX Settembre fino a
Piazza De Ferraris. Non mi piaceva andare in spiaggia
a prendere il sole o a fare il bagno, ma passeggiavo
volentieri in Corso Italia.
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Enrico Valla - 92 anni
Sono nata il 16 luglio del 1928 a Casella. Abitavo
in mezzo al paese con i miei genitori e tre fratelli. Io
ero la più giovane e la più brava. A scuola fino alla
quarta sono andata a Costa, poi la quinta l’ho fatta
a Casella, di sera. Mi piaceva andare a scuola, però
avevamo gli occhi coperti, eravamo molto indietro;
come nascono i bambini l’ho scoperto a dodici anni,
ma solo perché un mio amico aveva sentito delle
urla di notte, si era svegliato e di nascosto aveva
visto la mamma partorire.
A ventiquattro anni mi sono sposata con Dario, che
abitava nel mio paese; siamo stati morosi per cinque
anni e poi ci siamo sposati, era il 16 maggio e siamo
andati ad abitare in una sua casa sempre a Casella.
Mario l’ho partorito in casa. Mamma mia, che dolori!
Ho pensato che, se non morivo lì, non sarei più
morta; invece con Rosella sono andata all’ospedale.
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Lina Scaglia - 87 anni
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Milano
Sono andata a Milano quando ho iniziato a
lavorare nella moda, facevo la sarta per più di una
casa di moda e mi piaceva.
Passare da un paesino alla città non è mica difficile,
mi sono trovata bene subito. Mi muovevo coi mezzi,
la macchina non ce l’avevo. Abitavo a San Siro, poi
ho abitato a Porta Magenta per molto tempo.
Ci sono bei negozi, bei palazzi.
Milano è una città interessante, ci sono eventi importanti, le mostre. Io andavo a vederle a Palazzo
Reale o anche negli altri musei, perché ho studiato
pittura a scuola. Preferivo vedere le mostre degli
artisti emergenti in Piazza Duomo, magari uno che
non so neanche chi è.
Milano è una grande città, può anche non piacere
per tutto il traffico che c’è. Ma Milano è sempre
Milano, si sa. C’è poco da dire.
Anna Covini - 90 anni
Ho abitato una vita a Santa Maria. Però da
sposata sono andata ad abitare a Milano, perché
mio marito era nella polizia e l’hanno trasferito lì.
Mio figlio è nato a Milano, quando si è sposato è
stato due o tre anni a Milano e poi si è spostato
vicino a Siena.
Abitare a Milano a me piaceva. Mi sono adattata
subito, era più comodo, insomma è tutta un’altra
vita, a noi sarebbe piaciuto stare anche un po’ fuori
ma per il lavoro che faceva mio marito era più comodo così.
Angela Boioli - 86 anni
Abitavo in un palazzo, a Milano. È raccontata
in tutte le storie, l’arte di Milano.
Da ragazza andavo a vedere le mostre a Brera e in
Duomo, con l’autobus. Non era mica tanto comodo,
ci voleva del tempo. Da bambina, giravo a piedi.
Piazzale Corvetto è dove ho vissuto con tutti gli
inquilini. Ci ho visto anche il Duce lì.
La cosa più bella di Milano è il Duomo. Da ragazza
andavo a mangiare in piazza del Duomo, dove
c’erano i miei amici. Formavamo il gruppo e andavamo a declamare le poesie. Tutta la mia vita è successa
a Milano, da quando ero piccolina a quando poi
sono diventata grande.
A Milano ce n’è tanta, di nebbia. Quando mi alzavo
alla mattina trovavo la nebbia. Era un problema
andare a lavorare. Io prendevo il tram, la bici la usavo
per divertimento.
All’Idroscalo ci andavo la domenica a fare il bagno,
ero una signorinetta. È il mare dei milanesi. Si prendeva il sole e si faceva il bagno con il costume.
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Si andava a sentire le opere al Castello Sforzesco e
alla Scala a vedere i balletti, in platea o sul loggione.
C’era una mia amica che mi trovava i posti.
Mi mettevo il profumo per andarci. E bisognava
vestirsi bene, ci sono persone intelligenti e colte, è
bello sentirle.
Milan l’è un gran Milan e un po’ mi manca. Andavo
a pranzo con il mio principale sotto la Galleria, salivi
e da sopra vedevi tutto il Duomo.
Nataly Redaelli - 92 anni
Io ho fatto solo le elementari a Bernate. Ah, la
scuola che roba!
Mi ricordo che in prima elementare dovevamo spazzare noi per terra a scuola, perché era di mattoni e
facevano la polvere. Guai a sollevarla da terra!
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Spazzavamo fino alla porta e poi buttavamo via
tutto. A scuola ci insegnavano a fare anche i mestieri:
come usare la scopa e a raccogliere tutta la polvere
per bene. E lo facevano anche i maschi! Sai, ci insegnavano l’educazione, il rispetto per la gente.
Mi ricordo che una volta è venuto un professore del
liceo. Ci ha sentiti parlare in dialetto ed era stupito
perché facevamo tanti errori di ortografia, ma i
contenuti dei temi erano molto belli. Lui pensava
che ce li scrivesse la maestra e noi li copiassimo.
Invece li facevamo noi, eccome!
Però ci fece i complimenti, diceva che nel paese si
stava meglio e i bambini imparavano prima a fare
le cose della vita quotidiana.
Iride Bognetti - 78 anni
Sono nata a Milano in Viale Zara, all’altezza del
deposito ATM, mi sono trasferita in Piazzale Lagosta
e poi in Fulvio Testi. Mio marito era macellaio, non
si aveva tempo per girare, lavorava molto. Non gli
piacevano le mostre ma, appena avevamo tempo,
andavamo in Brianza, a Lomagna, da parenti. Da lì
quando ci sono le belle giornate si vede il Duomo!
Facevano anche un burro buonissimo, con la stampa
della mucca; l’ho mangiato per quarant’anni!
Stefania Pogliani - 101 anni
Ho sempre vissuto nella zona di Milano. Andavo
a giocare nell’aia a Bruzzano. Mettevano il frumento
a prendere il sole e noi si giocava lì. I giochi che
facevamo erano nascondersi, rincorrersi.
Ho sempre lavorato in casa, curavo i miei fratelli.
Abbiamo tanti anni di differenza, sono nati a sedici
anni di distanza da me perché in tempo di guerra
non si facevano figli.
Angela Redaelli - 84 anni
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Quando ho iniziato a lavorare avevo quindici
anni. Ero stenografa. Ho iniziato alla Montecatini di
Milano, una società che portava il vanto. Donegani
era il direttore. Il primo giorno è stato una prova di
stenografia. Ero in un ufficio con tante persone, tutte
giovani, poi sono passata in segreteria e ho fatto la
mia carriera. Ho avuto tanta soddisfazione dal lavoro:
una carriera molto riconosciuta con mazzi di fiori.
Ho concluso la mia carriera in un ufficio di importexport.
Valeria Carnovali - 95 anni
Mi trasferii a quindici anni a Milano, per raggiungere i miei fratelli; il primo impatto con questa
grande città è stato buono. Ricordo del grattacielo
della Pirelli in costruzione e lo stupore per le linee
tranviarie. Pochi giorni dopo l’arrivo, ho cominciato
a lavorare all’interno di una fabbrica di interruttori
elettrici e, grazie a questa esperienza, intorno ai
sedici o diciassette anni, visitai prima Capri e in
seguito Palermo.
All’età di diciannove anni venni assunto in una importante fabbrica di componenti elettronici, fu una
vera fortuna. In questa fabbrica conobbi la donna
che sposai e che dopo tanti anni è ancora al mio
fianco. È stato il classico colpo di fulmine, sia per
me sia per lei.
Alessandro Boaretto - 71 anni
Io sono nata a Greco Milanese. Abitavamo in
via Pulci. Alla mattina la mia mamma mi faceva
scaldare dei mattoni da mettere sullo stomaco, per
via del freddo. Andavamo al lavoro a piedi. A scuola
andavamo a Prato Centenaro. Mia mamma faceva
la bidella e ci portava sempre a scuola con lei, il
primo giorno della prima elementare mi sentivo già
a casa.
In tempo di guerra eravamo sfollati a Lierna, sul
lago. La nostra casa era tra la Pirelli, la Breda e la
Magneti Marelli; quando abbiamo visto che i bom-
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bardamenti continuavano, abbiamo deciso di sfollare. Mi ricordo che portammo via anche la mobilia,
con un camion.
La casa che ricordo con più affetto è quella di via
Sarca, rimane la casa che ho vissuto di più. Mi ci
sono trasferita a tredici anni.
Esite Palazzoni - 91 anni
Abitavo a Milano in via di Missaglia, vicino ai
campi. La chiamavano “il rocchetto delle rane”,
perché c’erano tante rane attratte dai campi di risaie.
Non mi piaceva andare da quelle parti, perché oltre
alle rane trovavi bisce e altri pericoli. Ci toccava
attraversare il cimitero e noi avevamo molta paura;
non per i morti, ma per i ladri che ci si nascondevano.
Purtroppo però, a volte, ci toccava attraversarlo per
andare alla messa nella nostra chiesa di San Barnaba, dove c’è il monumento dei caduti e il fratello di
mia madre, chiamato Vecchio Giuseppe, morto in
guerra.
Il ricordo della mia chiesa è molto legato alle feste
natalizie, perché solo per queste occasioni mio padre
riusciva a liberarsi da ogni impegno e ci portava tutti
insieme ad ascoltare la messa. È il più bel ricordo
che ho di mio padre!
Nel 1960 abbiamo dovuto trasferirci in via Degli
Etruschi. Ho saputo che la mia vecchia casa è ancora
lì. Dicono che la stalla della cascina è diventata una
biblioteca e la mia casa è diventata la casa del
portiere. Io ci vorrei tornare solo per vederla, com’è.
Ho dei ricordi belli e brutti, ma è stata la mia casa.
Carla Virpo - 86 anni
Sono nato il 5 luglio 1924 a Inzago, a nord di
Milano. In quegl’anni c’erano solo campi e le case
erano distanti tra loro. Facevamo così l’orto dietro
casa. Era molto bello perché passavamo alcune ore
della giornata a coltivare la verdura e la frutta, in
particolare l’uva. Mi piaceva tanto ma soprattutto
piaceva a mio padre, perché amava prepararsi il vino
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in casa. La nostra coltivazione è stata un aiuto,
perché i soldi erano pochi e si pativa la fame.
Ricordo la Falck; in quegl’anni era famosa per la
produzione di acciaio e ferreria e mio padre e miei
fratelli ci lavoravano. È stata un’azienda molto importante che è entrata a far parte della storia del
circondario. Mi piaceva andare a trovare mio padre
all’uscita dal lavoro. I capi di mio padre avevano
dato il permesso ai lavoratori di poter accedere a
un grandissimo orto, e noi ci fermavamo a coltivare
l’uva insieme.
All’età di ventisei anni mi sono sposato con Elda, lei
di anni ne aveva ventitré. Ci siamo sposati nella
chiesa di San Francesco a Sesto San Giovanni.
Per il viaggio di nozze siamo andati a
visitare Firenze, Roma, Castel Gandolfo e Napoli e Amalfi, un posto
più bello dell’altro. Purtroppo
abbiamo interrotto il nostro
viaggio perché mia moglie soffriva il mal di mare. Ma fino a
quel momento nessuno di noi
lo sapeva. E così dopo quindici
giorni intensi di amore e distrazione siamo dovuti ritornare.
Carlo Buzzini - 91 anni
Abitavo a Milano in via Pagliano,
successivamente in via Martinetti al
numero 27.
Non ho avuto luoghi ma momenti importanti nella
mia vita, e sono stati tre. Il primo era stare nella mia
casa in montagna, che era come essere in vacanza.
Il secondo momento è stato quando ho preso la mia
laurea, non mi ricordo dove; è stato il momento più
importante per me perché finalmente potevo insegnare. L’insegnamento è stato sempre la mia passione.
Il terzo momento migliore della mia vita è stato
quando ho iniziato a lavorare, ho girato alcune scuole
e ho dei bellissimi ricordi dei miei allievi, ero molto
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benvoluta da loro per il mio modo di insegnare.
Penso che oltre all’insegnamento dovevo guadagnarmi la fiducia e quindi cercavo di capirli. Quando
andai in pensione venivano a cercarmi a casa per
salutarmi e sapere come stavo.
Miranda Giovanacci - 86 anni
Sono nato a Foggia, ad Ascoli Satriano, e mi
sono trasferito a Milano a diciassette anni, nel 1949.
Mio padre era un agricoltore, ma io e mio fratello
volevamo trasferirci a Milano per lavorare nel mondo
dell’industria. Così ho iniziato a lavorare alla
Remington, come apprendista. Nel 1984
sono andato in pensione. Aiutavo i
miei genitori anziani. Ero pieno di
impegni. La giornata passava in
fretta.
Francesco De Nittis
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Io sono nata a Garbagnate
e mi ricordo con affetto dei
negozietti di una volta, ne avevo
uno proprio vicino a dove abitavo. Le chiamavano botteghe, un
nome antico. Quando andavi a fare
la spesa segnavano sul quaderno e
pagavi a fine mese. Il bottegaio conosceva bene i suoi clienti, perché andavamo
tutti i giorni. Forse è un po’ come adesso il banco
del mercato. In paese c’erano un medico, due preti
e un’ostetrica. Io stessa ho fatto nascere quattro
bambini: sono stata chiamata dal sacrestano, Don
Giacomo, perché l’ostetrica non c’era.
Rosa Colombo - 87 anni
Io sono della zona del Niguarda. C’era il Seveso
che puzzava. C’erano le officine che davano lavoro
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nel dopoguerra. C’erano più che altro terreni.
Mia madre aveva una trattoria. Quando ero piccolo,
lei prendeva le rane dalle pozzanghere e le friggeva
in casa. Vivevamo in casa tutti insieme e per l’intimità
si tirava una tenda.
Mario Manenti - 81 anni
Io sono nato e ho vissuto a Gratosoglio.
A Gratosoglio c’erano tre cartiere che davano lavoro
alla gente del posto. Intorno c’erano risaie e campi
di granturco. Tra il 1957 e il 1958 c’è stato il boom
e, hanno costruito i palazzi: arrivavano con enormi
blocchi di cemento e li posizionavano con una gru.
Al posto dell’ Esselunga di oggi, c’era una cascina.
Nella Gratosoglio vecchia c’erano una cooperativa
con sala da ballo, il tabaccaio e una salumeria. Vicino
alla salumeria c’era una pasticceria. Io abitavo vicino
al Ronchetto. Il quartiere ha preso il nome San Rocco
dal depuratore e c’erano sono stalle e mucche.
Intorno, campi.
Il resto è nato mentre io crescevo.
Paolo Carnevali - 83 anni
Sono nata in un paese dell’Emilia Romagna,
Castelnovo, vicino a Reggio Emilia. Mi è venuto il
pallino di venire a Milano e così l’ho fatto a diciannove anni circa, e ho avuto fortuna. Lavoravo in casa
di medici e ho abitato in piazza Insubria. La domenica
andavo al cinema per vedere i film d’amore e d’avventura. In vacanza andavo quasi sempre al mare,
anche se non so nuotare. Andavo sui barconi e prendevo molto sole.
Emma Lusuardi - 90 anni
Sono nata a Milano e ho vissuto in via Zecca
Vecchia. Mia mamma aveva una sartoria molto quotata in via Sant’Orsola. Io avevo la smania di trovare
un lavoro, quindi non ho proseguito gli studi. Così
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sono diventata segretaria in una ditta che importava
trattori e finitrici per le strade.
A sedici anni, scoppiata la guerra, sono stata sfollata
nel varesotto, a Sant’Ambrogio Olona, dove avevamo
una casa con un bel giardino. Ma io sono rimasta
sempre legata a Milano.
Laura Mongelli - 96 anni
Mi sono trasferito a Milano il 26 ottobre 1955.
Sono pugliese ma il mio cuore è di Milano, la città
che mi ha adottato. Nel periodo della pensione
abitavo in via Conegliano. Ho sempre sognato la
pensione, la vedevo come un periodo di tranquillità.
Dopo i primi quattro mesi mi mancava il cartellino,
mi mancava qualcosa. D’altronde rimaniamo legati
ai luoghi in cui passiamo la vita, anche quelli lavorativi, nonostante i problemi che si possono avere.
Ogni tanto faccio un sogno: sogno di essere alla
Innocenti, di fronte a me ho il timbratore delle
entrate e delle uscite.
Così i primi mesi dopo il pensionamento, mi sono
messo a cercare un lavoro su Secondamano, ma
nulla. Alla fine trascorrevo le giornata al bar sotto
casa.
Antonio Giorgino - 73 anni
Nel dopoguerra dalle mie parti non c’era lavoro,
così mi hanno preso come infermiera al Niguarda
a Milano. I lavori umili in quel periodo li facevano
quelli che venivano da fuori Milano, dicevano che
le infermiere di Milano non volevano pulire gli
ammalati, e quindi siamo arrivate noi dal Veneto e
le bergamasche. Io sono più legata a Milano perché
mi ha dato da mangiare. Ho comprato una mucca
a mia madre. Mio padre ne era stato molto felice.
A mia madre davo persino le mance come regalo.
Io non spendevo nulla per me.
Ho lavorato in ospedale per sei anni, poi mi sono
sposata e una volta sposata non ti volevano più.
Così ho fatto per sessant’anni la custode in un
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palazzo in via de Santi: i padroni mi volevano bene.
Ho curato il loro orto e devo dire che venivano su
dei fichi buonissimi.
Mi sono sposata in Chiesa Rossa, e il viaggio di
nozze… l’ho fatto a casa mia!
La gita più lontana che ho fatto è stata a Recoaro,
ma il viaggio più bello è stato visitare piazza Duomo.
Al Niguarda avevamo il giorno di riposo, in cui
spesso però stavamo dentro. Alla fine ho detto alle
suore: «Io vado a visitare il Duomo».
Elena Cariolato - 88 anni
Sono nato a Terrazzano e ho vissuto sempre lì.
Ai miei tempi faceva veramente freddo, non come
adesso; allora in piazza con gli amici si faceva una
montagna con tutta la neve che c’era e poi si faceva
lo scivolo. Ai tempi a Terrazzano c’erano settecento
abitanti al massimo, ci si conosceva un po’ tutti. Da
grandi, invece, di giorno si lavorava e di sera si
andava al circolo e si giocava a carte. Era bello,
anche nel divertimento c’era organizzazione, ci si
trovava nello stesso posto e si stava insieme. E c’era
anche solidarietà: se qualcuno faceva fatica si andava
tutti ad aiutarlo.
Andrea Moroni - 93 anni
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Sono nata a Garbagnate. Ho fatto fino alla
quinta elementare, ero brava a scuola. Giocavamo
nella piazza, vicino c’era un prato con un ruscello.
La gente portava le oche e noi bambini giocavamo
alla corda, alle biglie e al mondo, anche se io ero un
po’ delicata di salute e all’asilo mi davano sempre
l’olio di merluzzo per rafforzarmi. Poi, crescendo,
quando battevano il fieno, si andava ad aiutare, così
i contadini ci regalavano due o tre pannocchie a
testa. Quando tornavi a casa, mettevi la pannocchia
sotto il fuoco mentre si faceva la polenta. Una volta
non c’erano i pop-corn, però era la stessa cosa: la
pannocchia scoppiettava comunque!
Angelina Meroni - 88 anni
Sono nata a Francofonte, in provincia di Siracusa. Lì ho conosciuto mio marito, abitava vicino a me.
Aveva un negozio di pellame, faceva le scarpe su
misura. Quando ci siamo trasferiti a Milano, ha
trovato lavoro in un negozio in via Montenapoleone,
vicino a quello del marito di Rita Pavone. Io facevo
la sarta, ho lavorato per gente famosa e sono finita
pure sui giornali.
Maria Saggio - 90 anni
Dopo aver finito la quinta elementare mi hanno
mandato a lavorare a Milano, facevo il commesso
in un forno. Ero bravo, un po’ birichino, ma non
avevamo molto. Facevo il fornaio e mi alzavo molto
presto. Era dura, perché al pomeriggio andavo a fare
il pisolino, ma poi alle cinque dovevo andare a pulire
il negozio, mettevo a posto la pasta e il riso e mi
rimaneva poco tempo per giocare. Non eri mai fermo,
non mi sono mai sentito dire: «Vai pure a fare un
giretto!». Anzi, il mio giretto era la domenica, quando
controllavo se i figli del padrone andavano a messa.
Sono rimasto a Milano circa sette o otto anni; abitavo
a San Siro, e scappavo dentro lo stadio con i miei
amici, gli altri garzoni, ci buttavamo nella ressa in
mezzo alla gente e andavamo dentro.
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Almeno un po’ di divertimento ce l’ho avuto; anche
i figli del padrone con me erano molto buoni, erano
bravi ragazzi e con me sono sempre stati degli amici.
C’era rispetto e un bel rapporto, ero di famiglia.
La domenica mi trovavo con tutti gli altri garzoni.
Ci ammiravano per la buona volontà, per il temperamento, per la voglia di imparare e lavorare. Il
rispetto mi ha fatto imparare di più che a scuola; la
scuola ti insegna, io sono stato un po’ disgraziato
perché non ho studiato, ma ho imparato dalla vita,
dalle persone e dal lavoro!
Mario Tomaselli - 76 anni
La casa che ricordo con più amore è quella di
Milano, dove ho vissuto con mia moglie e dove sono
nati i miei tre figli. Si trovava in via Rizzoli, proprio
di fronte al palazzo della casa editrice Rizzoli. Non
dimenticherò mai la demolizione di quel palazzo, al
posto del quale è stato costruito un grattacielo.
Nicolò Mazzone - 91 anni
Da ragazzina vivevo a Milano nelle case popolari. La mia mamma lavorava tutto il giorno e mi
lasciava all’asilo. Da ragazza ho iniziato a studiare
la stenografia, mi è piaciuta così tanto che mi sono
impiegata come stenografa alla Montedison, dove
ho incontrato Eraldo, l’amore della mia vita. Abbiamo
vissuto a Milano in Corso Sempione, in una bella
casa. Ho dei bellissimi ricordi di quegli anni.
Luisa Baldassini - 91 anni
La città dove vorrei stare è Milano; ci sono nata,
cresciuta e successivamente mi ci sono sposata.
Da ragazza andavo al cinema e a ballare in un locale
di Porta Ticinese; eravamo una bella squadra di
ragazzi, partivamo con le bici e facevamo lunghe
passeggiate. Ho iniziato a lavorare in fabbrica e lì
ho conosciuto mio marito; dopo dieci anni di matri-
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monio e con il figlio piccolo ci siamo trasferiti a
Zibido San Giacomo. La fabbrica dove lavoravamo
è stata chiusa, così siamo andati a fare i contadini.
Carla Locardi - 83 anni
Da ragazza mi sono trasferita a Milano dalle
suore per imparare un mestiere e sono diventata
infermiera. Ho lavorato all’ospedale Niguarda e sono
diventata brava. Naturalmente mi sono trasferita in
pianta stabile a Milano, a Limbiate. È un posto tranquillo, c’è tanto verde.
Mi piaceva molto viaggiare. Ho girato in Italia e sono
stata anche in Svizzera e in Germania. Ora sono qui
bloccata, vorrei uscire e andare lontano…
Loreta Menichetti - 72 anni
Fin da ragazzo ho sempre avuto grande passione
per l’elettronica ma i miei genitori mi hanno mandato
all’Istituto Commerciale. Siccome non mi piaceva
quello che studiavo, ho coltivato i miei interessi per
conto mio: rubavo i libri a mio fratello per studiare
i disegni e le macchine. Ho iniziato a lavorare a
Livorno, ma ero così bravo che sono stato chiamato
a Milano. Sono stato tecnico riparatore alla Grundig
e mi è piaciuto moltissimo. Il mio lavoro è stato come
un hobby, per l’amore e la passione che ci ho messo.
A Milano mi sono trovato bene, ho incontrato una
brava ragazza e l’ho sposata. In quegli anni mi ricordo
una grande armonia a casa, nel frattempo era anche
nata mia figlia, si era trovato un appartamentino a
Bobbio e si andava lì ogni volta che era possibile.
Era bello perché ci passavamo i weekend, le feste
e il periodo estivo. Sono stati anni molto felici.
Elio Ferretti - 87 anni
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Monza - Brianza
Sono nata a Ferrara ma ho abitato lì per poco
tempo, perché mio papà viaggiava per lavoro e noi
ci spostavamo con lui. Era un calzolaio specializzato
nei tacchi alti e lo chiamavano negli stabilimenti in
tutta Italia. A sedici anni ci siamo trasferiti a Monza
definitivamente, in via Zucchi. Mio papà ha comprato
un negozio, nel quale lavoravo anche io. Facevo le
rifiniture dei lavori grezzi che mi davano: cucivo,
rammendavo, sostituivo. Le cose andavano bene
così mio papà ha comprato un altro negozio, dove
lavoravano mia sorella e mio fratello. Col tempo
abbiamo avuto sei operai: quattro nel negozio di
viale Italia e due in quello di via Zucchi.
Sono la più piccola di cinque fratelli e ho abitato con
i miei genitori fino a quando mi sono sposata.
Abitavamo a Concorezzo, in una corte in via Santa
Marta; eravamo quattro famiglie, tutte numerose.
Avevamo la cucina al piano terra e due stanze al
primo piano. Una per la mamma e il papà e una per
noi figli. Il bagno era fuori, ma per lavarci scaldavamo
l’acqua e portavamo le bacinelle in stanza.
Quando poi mi sono sposata, sono andata ad abitare
in via santa Agata, nella “Curt di Martei”.
Ma questa è un’altra storia.
Ester Soglio - 92 anni
Lidia Ghelfi - 90 anni
Sono nato a Meda, che è una bella cittadina
con gente di mentalità aperta e benestante. È anche
la città di origine di Johnny Dorelli. L’ho visto qualche
volta al cimitero e mi ricordo quando si è sposato la
prima volta. Adesso abita da anni a Roma con Gloria
Guida e non si è più visto dalle mie parti.
Giuseppe Allievi - 73 anni
Da giovane ho studiato, poi ho imparato a
lavorare. A usare l’ago, ad aggiustare le cose.
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Sono figlia di due genitori molto uniti che hanno
reso la nostra famiglia felice. Mio papà era un operaio
e mia mamma una casalinga. Ho sempre abitato a
Concorezzo, in una corte in centro. Sempre nella
stessa corte, prima con la mia famiglia nativa, poi
con mio marito. E sono sempre stata felice.
Ricordo che, prima di chiamarsi via Libertà, la mia
via ha cambiato diversi nomi perché era la via più
importante del paese, quella che portava in chiesa.
In cento passi ero in chiesa, con qualcuno in più ero
all’asilo e alle scuole.
Lorenzina Fumagalli - 87 anni
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Sono nata a Concorezzo e ho sempre abitato
qua. Prima con i miei genitori, poi con mio marito e
i figli. Della casa paterna ricordo una credenza,
piccolina, in cui mettevamo dentro tutto. A quei
tempi Concorezzo era un paese, non una città come
adesso. Sono andata a scuola fino alla quinta, poi
subito a lavorare sul telaio, facevo i nastri di velluto.
Nel 1952 mi sono sposata a Concorezzo e abitavamo
nella “Curt dal Lacc”. Avevamo una stanza e una
cucina. Il bagno era uno per tutta la corte, in cortile.
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soprattutto, c’era il riscaldamento. Ero al secondo
piano e quando uscivo in balcone vedevo tutto il
parco della Villa Zoia.
Anna Barna - 88 anni
Angela Frigerio - 88 anni
Sono nata a Concorezzo e sono figlia di una
famiglia numerosa. Ho sempre abitato con i miei
genitori nella “Curt di Martei”, in via Santa Agata,
perché non mi sono mai sposata.
A Concorezzo ogni corte aveva un soprannome e
pure chi ci abitava dentro. A me chiamavano “La
Martelascia”, che non è che mi piacesse tanto, ma
abitavo nella “Curt di Martei” e me lo dovevo tenere.
Ho il ricordo di una frase di quando ero piccola, che
era in dialetto, e diceva: “Asciugarà il mare e il Ticino
ma mai il borsellino di Felicino”. Si asciugherà il
mare e il Ticino, ma non il portafoglio di Felicino,
mio papà. Quando la ricordo sorrido, perché penso
al mio papà e ai tempi in cui ero una bambina.
Maria Ratti - 87 anni
Sono nata a Concorezzo, nella “Curt di Mean”.
Era una corte che sembrava piccola ma non era così
piccola; si entrava da via Libertà ma si usciva da via
XXV Aprile. Abitavamo in cinque famiglie ed eravamo
una decina di bambini.
Con Mario, mio marito, ci siamo trasferiti prima in
una corte in via Manzoni, poi tra la metà e la fine
degli anni Sessanta abbiamo comprato casa in un
palazzo in via Libertà, quello che oggi ospita il bar
Moderno. Abitare nel palazzo era molto diverso da
abitare in corte, avevamo tutte le comodità ma,
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Cremona
Il luogo che ricordo è il collegio a Cremona in
via Geromimi, eravamo cento bambini fra maschi e
femmine. Io ci sono andata che avevo sette anni e
ci sono rimasta fino ai quattordici anni.
Durante le vacanze estive andavamo al mare a Sanremo e, prima di iniziare l’anno scolastico nuovo, si
stava una settimana dai genitori e pure per Natale
e Pasqua.
Mi portava il papà, perché alla mamma dispiaceva.
Diventata più grande, verso i dodici anni, mi hanno
messo con le donne inservienti e allora mi piaceva
restare lì perché mangiavo con loro, aiutavo le più
piccole a mettersi le scarpe e i vestiti. Compiuti i
quattordici anni non ho voluto più andarci. A volte
ci penso e non so se ho fatto la scelta giusta.
Giovanna Carrara - 65 anni
Sono stato trasferito per lavoro a Cremona.
Cremona è la patria della nebbia, c’erano certi giorni
che alle due del pomeriggio non si vedeva nulla e
io per tornare a casa contavo i semafori per orientarmi.
A Cremona c’è una festa durante la quale tutti i
figuranti in abiti medioevali rievocano, in piazza del
Duomo, il matrimonio in cui si racconta sia stato
inventato il torrone. Cremona al tramonto è suggestiva, assume un colore rosato perché la città è fatta
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di mattoni; anche piazza del Duomo è bellissima.
La Mille Miglia, la gara di auto storiche, prima faceva
il tragitto Brescia-Roma e ritorno senza passare da
Cremona, poi abbiamo fatto in modo di includere
anche Cremona nel percorso proprio per la bellezza
di piazza del Duomo.
Cremona è una città di grande cultura, c’è una mostra
di violini e nel palazzo comunale suonano uno Stradivari.
A settembre c’è una fiera di bovini, mettono le mucche in stand tutti colorati con tanti fiori, e le mucche
le pettinano e le profumano.
Enrico Cerretti - 68 anni
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Pavia
Dopo sposata, insieme a mio marito e ai miei
suoceri, siamo partiti per Vigevano. Siamo stati via
per quarant’anni anni, a lavorare in fabbrica.
Di Vigevano ricordo piazza Ducale, i portici del centro,
viale del Popolo, il Duomo e via Cairoli, dove abitavo
al numero 21. È in provincia di Pavia. Mi hanno anche
festeggiato e mi hanno regalato le foto del paese.
Lì abitavo in appartamento. Erano altri anni, ero più
giovane, avevo altre possibilità, stavo bene. Facevo
le scarpe in fabbrica e non sarei più tornata a Stanghella, il mio paese d’origine.
Maria Miotto - 80 anni
Abitavo a Montù Beccaria, in una frazione chiamata Case Barbieri. Sono paesini di trenta o quaranta
famiglie, ci conoscevamo tutti e adesso si sono tutti
spostati. Per arrivarci si va su dalla strada per Torre
Quattrini e sotto c’è Case Barbieri, in faccia c’è
Bergamasco, il Poggiolo è dopo.
Da giovani lavoravamo in campagna. C’era una miseria! Divertimento ce n’era poco. Andavamo un po’
fuori a fare la spesa. Si vendeva al Poggiolo, dove
c’era una bottega. Adesso hanno aperto i supermercati.
Riccardo Del Monte - 89 anni
Io abitavo a Ca’ Nova di Rovescala. A scuola ho
ripetuto la prima tre volte perché non sono andato
all’asilo. L’asilo era importante ma io di andare in
quel posto dove i bambini piccoli ti sputano addosso
non ne volevo sapere.
Da giovane per divertimento c’erano le feste di
dimostrazione del vino. Quando avevo sedici anni
era tempo di guerra, lavoravo già come un uomo di
quaranta in campagna, nei campi. Avevo in affitto
venti pertiche di terra da un nostro parente che abita
verso Castel San Giovanni, che aveva una tenuta di
duecento pertiche.
Ho iniziato il lavoro da giovane, in tempo di guerra.
Usavo l’aratro e i buoi. Adesso hanno tutti i trattori,
fanno presto a lavorare in campagna. Oggi lavorare
in campagna è un piacere, mica come prima.
A Rovescala c’era qualche festa, venivano i corridori.
Era un’epoca diversa. Ho fatto tanta di quella strada
a piedi! Per andare a trovare una ragazza mi dovevo
fare cinque chilometri a piedi.
Giovanni Vercesi - 87 anni
Sono nata al Carmine e anche la scuola l’ho
frequentata lì. È un paesino, un posto un po’ di
campagna e un po’ di collina. La scuola era lungo la
strada, la provinciale. Io andavo a piedi, ma non era
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distante, solo pochi metri. Al Carmine di speciale
c’erano i balli pubblici, erano un po’ giù dalla piazza
e c’era un’orchestra. Io ci andavo e sentivo la musica.
L’orchestra veniva dal piacentino e ci andavano tutti
i ragazzi del paese e non solo, alcuni venivano da
lontano. Da Zavattarello, da Torre degli Alberi, che
passando a Torre degli Alberi vai a Casteggio.
A me come zona piace, mi è capitato di andar via di
lì, ma era la nostra casa e noi ci abitavamo. L’ultima
domenica di giugno e l’ultima di settembre ci sono
le feste paesane. Perché dicono che è comparsa la
Madonna a Montelungo, sulla strada, al bivio che
va a Zavattarello e Varzi.
È il mio posto preferito, io sono nata lì, e i miei ci
abitavano già. Abbiamo sempre abitato lì. Se avessi
dovuto dire a mia mamma e mio papà di andar via,
guai! C’era l’aria buona, porca miseria, se non fosse
buona lì!
La Chiesa del Carmine l’hanno fatta che è poco.
Allora c’era una casa di ricchi, mamma e figlia, e
avevano la cappella e andavamo lì a dire il rosario
per il mese di maggio. La chiesa era a Montelungo
e andavamo dove c’era l’oratorio. Anche quando
andavamo a scuola ci facevano andare all’oratorio,
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una volta a settimana: dicevamo il rosario e cantavamo le orazioni. A cantare cominciavo sempre io
perché avevo la voce che non stonava.
C’era una donna che non si era sposata, che ci teneva
alla chiesa, e mi diceva: «Lina, ti chiamiamo Lina
perché Ercolina è un nome vecchio». E poi è rimasto
Lina, anche se nei documenti ci devo mettere Ercolina.
Lina Reposi - 90 anni
Sono nato a Borgo Priolo, in una cascina in
campagna. Mio papà lavorava la terra e curava gli
animali e noi fratelli gli davamo una mano. La sera,
la mamma ci chiamava in casa e preparava un bel
tegame di minestra. I tempi erano molto diversi,
allora. Se c’era qualche poveretto che cercava ristoro,
lo si invitava in casa e il primo piatto era per l’ospite,
poi c’era nostro padre e poi tutti noi. L’ultimo piatto,
se avanzava della minestra, era per lei.
Dopo cena mio padre ci mandava a letto presto,
perché al mattino dovevamo essere freschi e riposati.
C’erano anche altre cascine nella zona, tutte abitate
da famiglie numerose. Era bello perché c’era tanta
collaborazione. La domenica mattina le donne infornavano le focacce e ci si svegliava con il profumo
del pane fresco. Si facevano i carri per andare alla
Messa e poi si sceglieva una cascina per pranzare.
La sera ci si incontrava nei fienili e c’erano anche le
ragazzine… non per vantarmi, ma ho avuto parecchie
fidanzatine.
Ora non è rimasto più nulla di quelle cascine, è vivo
solo il ricordo dei vecchi come me.
Aldo Dabusti - 93 anni
Ho fatto una scelta strana, ho accettato di sposare un ragazzo che non avevo mai visto. Il primo
anno di matrimonio eravamo poverissimi, io non
avevo nemmeno una coperta per ripararmi dal freddo. Col tempo ci siamo scoperti innamorati, abbiamo
lavorato tanto e siamo riusciti a guadagnare i soldi
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necessari per vivere dignitosamente. La casa che
ricordo con più affetto è quella che ci siamo costruiti
a San Martino Siccomario, in provincia di Pavia. Era
una bella villetta e poi era frutto dei nostri sacrifici.
Ci abbiamo vissuto diciassette anni, felicemente.
Letizia Gianesin - 88 anni
Io e mia moglie abbiamo vissuto e lavorato a
Casteggio. Io avevo la carrozzeria e lei la latteria.
Ci conoscevano tutti ed eravamo amati e rispettati.
Nei momenti più difficili parlavamo e sognavamo
insieme… avevamo deciso di aspettare la pensione
per lasciare Casteggio e partire all’avventura.
Avremmo acquistato un camper per fare il giro
dell’Italia, forse anche dell’Europa. Ci siamo arrivati
vicini, ma poi il sogno si è infranto.
Però siamo rimasti uniti e ci vogliamo ancora bene
e questa è la cosa più importante.
Mario Bagnoli - 86 anni
Sono nata a Robbio, il penultimo paese della
Lombardia. Pensavano che non sarei campata perché
ero molto magra e piangevo sempre, perché il latte
che mi dava mia madre non era sufficiente ed era
poco nutriente. Se il latte non era sufficiente, i signori
avevano la nutrice, la povera gente, invece, dava al
neonato latte di mucca…
Abitavamo in affitto, eravamo in tre. Una casa semplice, con camera da letto ampia; una tenda separava
il mio letto da quello dei miei genitori.
Giù c’era la cucina piccolina e il bagno era fuori.
Mussolini aveva stabilito che doveva essere a cento
metri di distanza, venivano quelli del berretto nero
a misurarla.
La mia scuola era al pianterreno, un bel salone.
Eravamo in cinquantaquattro in classe! Nella fila
davanti c’erano i figli dei signori e dietro quelli dei
contadini. Io non volevo la divisa e non l’ho mai
messa. Andavamo a far ginnastica nel campo sportivo, tutte vestite uguali: grembiulino rosa, cappellino
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bianco, che ho perso quasi subito perché… ehm…
mi piaceva proprio tanto!
Ho lavorato tanto. Ho raccolto il tabacco, il riso…
Quando andavo a raccogliere tabacco avevo solo
undici anni e mezzo, ma a me piaceva andare a
lavorare più che andare a scuola. Volevo essere
indipendente e guadagnare per aiutare i miei genitori. Avevo trovato un lavoretto di mattina e non
avevo detto nulla ai miei genitori, sapevo che non
me lo avrebbero permesso; infatti, quando l’hanno
scoperto si sono arrabbiati.
Il mio luogo preferito era un cascinino vicino al
paese; passava il treno e io e i figli del padrone
salutavamo le persone sul treno e qualcuno rispondeva al saluto: «Ciao bambini, ciao bambini!». Quanto tempo là ad aspettare i treni! Sentivamo il fischio
che arrivava e, nell’attesa, stavamo in silenzio ad
aspettare o commentavamo.
Quando non avevo niente da fare, con gli altri bambini andavamo a “controllare” l’orto e rubavamo i
pomodori maturi, li condivamo con il sale, anch’esso
rubato, e li mangiavamo.
Gina Gardellini - 84 anni
Dopo il diploma mi sono trasferito a Pavia per
frequentare la Facoltà di Scienze Politiche e lì sono
rimasto sino alla laurea. Pavia è una città che deve
piacere, perché d’inverno è brutta, c’è nebbia e un
freddo pungente che entra nelle ossa. Invece in
primavera è molto bella, c’è tanto verde, è vicina al
fiume e poi è una città medioevale con tanta storia.
Borgo Ticino è una zona di Pavia molto bella con
tutte le casette tipiche del Ticino e con un caratteristico ponte coperto. A Pavia anche il mercato è
sotterraneo, per ripararsi dal freddo. Mi ricordo un
dolce buonissimo che faceva una sola pasticceria
che aveva il monopolio, la torta paradiso, molto
sottile e friabile.
Enrico Cerretti - 68 anni
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Varese
Ricordo che andavo a fare delle passeggiate ad
Affori nei giorni di mercato. Ho fatto anche una gita
nei pressi di Varese, più precisamente a Castel
Cabaglia dove facevo delle lunghe camminate insieme a mio padre, a raccogliere funghi, fragole, more
e nocciole. Mio padre si arrampicava su un melo e
mangiavamo le mele insieme strada facendo. Lui mi
voleva molto bene.
Livia Schieppati - 68 anni
Sono nata a Ranco, dove il Lago Maggiore si
restringe e diventa stretto e poi diventa il Ticino.
Perché il lago Maggiore sta a metà tra la Lombardia
e il Piemonte, e io mi ricordo che ad Angera, dall’altra,
parte vedevo il Piemonte.
Quando ero piccola avevamo la casa per conto nostro
e la mamma non mi lasciava andare fuori, aiutavamo
lei che affittava le camere ai milanesi che venivano
al lago. D’estate andavamo a fare il bagno; c’era
tanto verde, non è come in città. E poi c’era il castello,
la rocca di Angera; si andava anche con la scuola a
vederla e dal castello si poteva vedere anche il San
Carlone.
La mia casa era proprio sotto il campanile, sentivo
le campane e la casa parrocchiale confinava con la
mia; andavo alla finestra e parlavo con i preti. Ho
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ancora un pezzo di bosco lì, perché mio nonno aveva
comprato un terreno per costruirci una casa e andare
fuori dalla città come i milanesi che vanno in vacanza.
Margherita Sibillini - 98 anni
Mi trasferii a Sesto Calende, Varese, dove le
acque del Lago Maggiore si confondono con quelle
del fiume Ticino. In pochi anni, nelle domeniche
pomeriggio e poi la sera, andai a ballare, ebbi una
breve crisi mistica, ma il twist ed il cha cha cha
ebbero la meglio. Furono i tempi dell’ufficio, il matrimonio, mia figlia, l’herpes zoster che mi accecò
per più di un anno e che mi avrebbe angustiato per
tutta la mia successiva vita di rappresentante e giù
di lì. Il trapianto di cornea infatti è stato solo nel
2006.
Fui la prima rappresentante donna di prodotti tecnici
per una grande azienda. Andavo su e giù anche per
il Passo del Sempione e le Prealpi della zona.
Meraviglie di luoghi. Ricordo un grandioso arcobaleno sul Lago Maggiore, sembrava una gran luce di
fronte e invece l’avevo alle spalle. Le poche nevicate
sul Lago erano magia…
Graziella Salterini - 71 anni
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Como
La mia è stata un’infanzia divisa tra Milano e
Mandello del Lario, in provincia di Como. A Milano
abitavo in centro, invece a Mandello ci andavo perché
ci abitava la nonna: era una casa bellissima, aveva
un grande giardino e avevamo costruito delle capanne sugli alberi. Siamo stati tranquilli a Milano fino
al 1942, poi la nostra casa è stata distrutta dalle
bombe, per cui ci siamo trasferiti al lago dalla nonna.
In zona c’era il signor Guzzi, quello delle moto, e ci
portava in giro a raccogliere i proiettili.
La casa di Mandello era bellissima, ne conservo
davvero un bel ricordo: aveva un giardino incredibile,
anzi, un parco, e poi lì c’erano famiglie importanti:
i Guzzi, i Falck…
Ho tanti ricordi a Mandello. Una volta arrivarono
delle scarpe da un amico inglese di mio padre: erano
bellissime, come quelle di marca oggi, l’equivalente
di Tod’s. Bene, mio padre arriva con queste scarpe.
Un signore del paese gli chiede la scarpe in cambio
di un provolone… un bel provolone, enorme! Allora
non è che ci fosse molto da mangiare così mio padre
accetta. Non le dico che delusione scoprire che il
provolone era di gesso! Si rende conto? Senza scarpe
e senza cibo! Noi ragazzi rubavamo i pomodori, le
carote e i cachi. Il pane era immangiabile, uno a
testa ogni due giorni e ovviamente carne e latte non
c’erano…
Sono rimasto al lago dal 1942 al 1946. Mi iscrissi al
Liceo Scientifico. Continuavo a stare a Mandello,
per cui Carlo Guzzi mi portava a scuola. Una volta,
all’altezza di Merate, cademmo con la moto, ma non
ci siamo fatti niente.
Marco Nazarri - 85 anni
Sono nata a Brunate, in provincia di Como, nel
periodo dello sfollamento. Brunate si raggiunge con
la funicolare. Al di sopra si trovano i colli, in questo
periodo saranno già in fiore. Dopo, la mia famiglia
si è trasferita a Milano. Io ho nel cuore le zone con
i campi di granoturco, le bancarelle che immediatamente fuori dai campi vendono le pannocchie. Probabilmente questa sensazione è legata ai ricordi
d’infanzia, che poi sono quelli più forti in noi.
Claudia Perini - 70 anni
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Mantova
C’era la seconda Guerra Mondiale e mio padre
fu trasferito in vari aeroporti militari italiani. I ricordi
più forti furono gli spezzonamenti degli aerei su
Mantova dove si abitava e quindi il trasferimento
nelle notti su camion pieni di gente e con i fari dai
vetri offuscati. E poi, la residenza in un villa di campagna a Cappelletta Virgiliana, patria del Grande
Virgilio. C’erano grandi pini in quella parte di campagna padana e la Villa, requisita poi dai tedeschi,
fu usata come nascondiglio dei loro mezzi, i panzer;
ogni notte ronzava il Pippo per cercare luci o mezzi
da bombardare.
A scuola andavo volentieri, peccato che ho fatto la
seconda con la maestra che veniva a casa, dovevo
studiare grazie ai quaderni dei compagni di scuola.
Insomma avevo avviato la mia carriera di catorcio…
che però ha potuto avere buone puntate di vita
normale o quasi. Non mi piacque il trasferimento da
Mantova a Milano, d’altra parte fu là che iniziai le
scuole Medie per passare poi al Classico, ma io avrei
voluto fare le Magistrali. Ma tanto non avrei potuto
finire neppure quelle e poi fu là, all’Ospedale Neurologico, che incontrai il Grande Medico che mi salvò
la vita dopo la nefasta asiatica del 1957 che tanti si
portò via. Dopo vari capitomboli di salute precedenti,
atti un po’ a scusare la mia asineria in matematica
e greco e la fiacca in campo studentesco, imparai di
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nuovo a camminare e dopo tre anni di convalescenza avrei ballato anche il twist e il rock ‘n’ roll.
Graziella Salterini - 74 anni
Sono nato a Maccacari l’1 giugno 1920.
La maggior parte della gente, lì, faceva il pescatore.
Ero coccolato dai nonni. Il nostro gioco d’inverno
era “slisiàr”, scivolare sul ghiaccio.
Hanno costruito l’asilo come un monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra.
Mi portavano all’asilo, dove la maestra custodiva
quindici, venti bambini. Il buon cuore degli abitanti
contribuì a creare uno spazio per i bambini, con
qualche semplice gioco.
Ricordo che la mia parrocchia era molto povera.
Il parroco del paese sapeva sempre tutto e controllava quello che facevano i ragazzi e soprattutto le
ragazze, chiamandole addirittura sgualdrine. Non
la frequentavo molto perché era lontana, così,
invece di andare a dottrina, giocavo con i miei
amichetti alle biglie. Eravamo un gruppetto di bambini molto vivaci.
Al mio paese circa l’ottanta per cento degli abitanti
era analfabeta. Eravamo ignoranti ma la voglia di
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imparare e il bisogno di fare e di migliorare mi ha
aiutato a fare del mio meglio nella vita. Ho trovato
delle persone che mi hanno dato fiducia e stimolato
a sviluppare le mie capacità. C’è voluta ambizione,
fortuna e audacia visti i tempi di estrema povertà.
Quante volte mi sono chiesto come mai con tutta
la povertà che c’era, si era contenti e si cantava
sempre…
Da ragazzino ero sempre in giro, così mio papà si
è accordato con il proprietario dei campi affinché
portassi l’acqua alle donne che lavoravano per
tenermi impegnato. Suonavo l’armonica a bocca e
mi è sempre piaciuta la compagnia e chiacchierare.
Vivevo con i nonni e la mamma perché il papà era
in Germania a lavorare. A Gazzo c’era tanta acqua
e la gente dei paesi limitrofi veniva a prenderla per
poterla utilizzare in altri paesi siccitosi. Molti si
improvvisavano pescatori, perché nell’acqua c’era
tanto pesce.
Armando Casari - 94 anni
Sono nata a Cavriana, in provincia di Mantova,
nell’agosto del 1921. La mia casa era vicina all’autostrada fra Pozzolengo e Castellaro. Era un bel posto.
Tanti anni dopo ho rivisto la casa passando in
macchina. In famiglia c’era il “fameio”. Il “fameio” era un ragazzo che viveva nella famiglia in cambio del lavoro nei campi. Era trattato quasi come
un figlio.
Ho abitato a Castellaro Lagusello. C’era un cortile
con tante famiglie, si giocava senza pericoli.
Si usciva il pomeriggio dopo una certa ora per non
disturbare gli altri. Si giocava a mondo, pega, scalon
e campanon; mia nonna stava attenta che non si
andasse sulla scala ripida che portava al fienile.
Quando si usciva dal paesino, si scendeva una
scala e si raggiungeva il laghetto a Castellaro Lagusello. Usavo anche la bicicletta ma il paesino era
piccolo e si percorreva in fretta. Ricordo che un
giorno il nostro parroco ha riunito un gruppo di
bambini e ci ha portato a piedi alla Madonna della
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Corona. A scuola andavo a Solferino, distava tre o
quattro chilometri. La mattina della domenica si
andava in chiesa e il pomeriggio c’era la dottrina.
Quando c’era qualche festa particolare, la chiesa
era addobbata e i cantori si mettevano in divisa.
Non sono mai andata a ballare, abitavo in campagna. Alla domenica si andava a piedi in paese, si
andava a Messa.
Maria Castenedoli - 92 anni
Vivevo a Borgo Franco Po, in provincia di Mantova, località Quingentola. Il mio paese? Poche
case e un prete. La casa era a tre chilometri dal
paese; noi avevamo una bicicletta in sette. Da noi
si coltivavano frumento, granoturco ed erba per il
bestiame.
La corte dove abitavo era grande. La strada divideva
la corte. C’erano case di qua e di là. Ci vivevano
centoventi persone e c’era solo un padrone, sia dei
campi, sia delle case. C’erano i campi tutto intorno,
dove andavamo a raccogliere le pompogne, i maggiolini.
Andavo a scuola a piedi, in gruppetto; a volte passava il padrone dei campi col carretto e ci faceva
salire fino a scuola.
Ricordo che al mio paese c’era una chiesa grande.
Nel cortile della parrocchia si giocava e le suore ci
controllavano. Andavamo a dottrina tutte le domeniche pomeriggio, in chiesa.
Gina Bellutti - 96 anni
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Bergamo
Sondrio
Io sono molto legata ad un paese del lodigiano,
San Colombano al Lambro. La prima volta che ci
andai avevo dodici anni: quando vidi tutti questi
vigneti non riuscii a coglierne nemmeno un grappolo, rimasi immobilizzata dalla bellezza di quella
distesa.
Andavo anche a Monza e poi a Trescore Balneario
per le cure termali. Trescore era bellissimo, andavamo in un albergo dove c’era un meraviglioso
giardino. Ricordo che nella piazza centrale facevano
il mercato: c’erano polli, pulcini, galline…
Dopo l’università ho vinto un concorso all’ACI
e la prima sede che mi hanno assegnato è stata
Sondrio, una città di montagna. Mi ricordo che una
notte sentivo il suono di tanti campanelli, poi mi
hanno spiegato che erano le mucche che alla fine
dell’inverno dalle stalle venivano portate a valle
per mangiare l’erba. Erano molto bravi a fare i
formaggi.
Mi sono trovato molto bene a Sondrio, perché
c’erano persone provenienti da tutta Italia; ho fatto
molte amicizie in quel periodo. Erano molto belli
anche i dintorni di Sondrio. È bella la parte di
Chiavenna, c’è un paesaggio lacustre, sembra di
essere sul mare perché ci sono le scuole nautiche
e tante barche e motoscafi. Lì inizia il lago di Como.
Mi ricordo dei salumi a forma di violino che lasciavano appesi alle pareti di grotte naturali a stagionare e una volta all’anno c’era una festa durante
la quale tutti si recavano alle grotte per degustare
questi violini.
Rosalina Saccani - 91 anni
Enrico Cerretti - 68 anni
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Veneto
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Padova
Quando ero ragazza sono stata a Padova. Ero
a servizio da una famiglia e curavo i loro tre bambini.
Andavo in giro per Padova con la bambina in braccio
e un altro scappava e mi faceva disperare. La cosa
che ricordo sono le chiese, in particolare quelle
dedicate a Sant’Antonio.
Dirce Bernardi - 85 anni
Sono nato nel 1944 in provincia di Padova, a
Galzignano Terme, dove rimasi fino ai quindici anni.
La mia casa era una delle tipiche ville di campagna.
La situazione economica non era agiata ma la mia
infanzia è stata un periodo sereno nel quale non è
mai mancato nulla.
Ho frequentato le scuole, sia elementari che medie,
a Galzignano. Finito l’orario scolastico, andavo con
i miei amici a giocare nel bosco. Un giorno i miei
genitori decisero di assegnarmi un compito per
collaborare in famiglia: raccogliere la legna, le
castagne, i funghi e perfino le erbe selvatiche.
Alessandro Boaretto - 71 anni
Noi andavamo a scuola in bicicletta. Ci sono
otto chilometri da Ponso a Este e li facevo pedalan-
do. Mi ricordo che la scuola era grande, con un bel
giardino dove si faceva ricreazione. In ricreazione
veniva un signore che vendeva dolciumi e bonbon:
che buoni!
Mi piaceva andare a scuola, ero brava. L’aula era
al piano terra, coi banchi di legno e una stufa di
mattoni. La maestra metteva la legna.
Poi giocavamo alla ‘palca’: si gettava un bottone
verso il muro, se ribalzando andava più lontano,
vinceva quello più lontano.
Il nostro paese era molto povero, non c’era niente.
Da grande lavoravo in comune, in segreteria; mi
trovavo bene con i colleghi, era un bell’ambiente.
Crimene Businaro - 89 anni
Noi siamo nati a Monselice, in via 28 Aprile,
nella trattoria “Alla Posta Vecchia”. Dicono ci abbia
abitato anche Francesco Giuseppe. Eravamo tanti,
è una storia lunga. I miei genitori lavoravano nella
trattoria sotto casa, servivano a pranzo e cena. Il
profumo di casa che ricordo di più è quello del
musso.
Avevamo la lampada a petrolio e i lampioni!
Giovanni Canola - 94 anni
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Io da piccola non giocavo, ho sempre lavorato
tanto anche allora: d’inverno con il bosco e
d’estate nei campi.
Andavo a scuola a Piombà, in Palugana. La strada
era brutta, fatta di sassi, noi andavamo cogli
zoccoli, li chiamavamo “zopei”. Gli uomini e i
bambini, invece, usavano le “sgalmare”.
Prima di sposarmi andavo a servizio in una famiglia. L’ho fatto per diciotto anni. Era una famiglia
di Este, un paese vicino al mio. Dopo sposata ho
fatto la casalinga e il lavoro nei campi.
Sorisa Capuzzo - 88 anni
Abitavo in via IV Novembre, a Solesino. Avevo
le bancarelle con mio marito, non andavo alle
sagre per divertirmi ma per lavorare. Esponevo la
mia roba: calze, maglie, mutande… Per tanti anni
ho tenuto la bancarella di mercerie per vari mercati
della zona. Ho iniziato portando calze, fazzoletti
e maglie con la bicicletta, di casa in casa, poi ho
preso la bancarella e ora ci lavorano i miei figli.
Rina Castello - 92 anni
Sono nata a Fontaniva, nel mese di marzo.
Da bambina abitavo in località Fratte, in mezzo ai
campi. Mia madre si chiamava Olga, mio papà
Bertrando.
Ho trascorso i miei primi vent’anni nella casa dei
miei genitori. Dopo mi sono sposata e trasferita
a Carmignano di Brenta, dove ancora oggi si trova
la mia casa. È a due piani e ha una cantina e una
taverna, come si usa dalle nostre parti.
Esternamente è rosa, ha un bel giardino che adesso ormai sarà una foresta, ma quando c’ero io in
casa era un bijou.
Dietro la casa c’era la vite che produceva il vino
per la famiglia e un bell’orto per i bisogni della
famiglia. Mio marito lavorava in cartiera ma è
morto giovane. Mi ha lasciato con due bambine
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piccole, che ho dovuto crescere da sola.
Il posto a cui sono più legata è il mio paese natale,
Fontaniva. Lì ci sono i miei ricordi più belli, quelli
della prima infanzia, i pochi anni in cui non ho
dovuto lavorare. Noi bambini giocavamo nelle
strade e nei campi. Passavamo tanto tempo nella
stalla; c’era più caldo che in casa perché le bestie,
a modo loro, scaldavano.
In quelle lunghe serate d’inverno passavamo il
tempo pregando, le donne facevano i lavori che
non avevano potuto fare durante il giorno, rammendavano, facevano a maglia. Noi bambini giocavamo con i pochi giochi che avevamo a disposizione, “gli scartossi dee panocce”, le foglie delle
pannocchie, due legnetti che potevano diventare
qualsiasi cosa con la fantasia…
Angela Conte - 83 anni
C’è un bel parco davanti alla Villa di Mottinello, proprio davanti a casa mia. Dentro c’è la
grotta della Madonna, un ponticello che passa
sul fiume, un laghetto...
Una volta, quando c’erano eventi importanti in
famiglia, si andava là a festeggiare e vi si celebrava
la Santa Messa.
La chiesa di Mottinello, a quei tempi, era brutta.
C’era un palco dove si sedevano i signori, i Conti,
poi in parte c’era un palco dove si faceva un po’
di teatro e noi andavamo a vedere passare un po’
di tempo.
Giovanna Didonè - 91 anni
Abitavo a Castelbaldo, in provincia di Padova.
La mia era una casa piccola, con due stanze: una
cucina e una camera. Eravamo poveri, ma non ci
è mai mancato da mangiare. Se penso alla mia
casa, mi viene in mente l’odore della minestra.
C’era minestra tutti i giorni, perché scalda e riempie le pance!
Andavo a scuola al tempo dei fascisti. Li ricordo
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vestiti di nero, vestiti bene. La mia era una bella
scuola grande, vicina a casa. L’aula era grande,
coi banchi di legno e il tavolo che si alzava. Si
metteva l’inchiostro sul bordo. Io ero brava, prendevo sempre ‘buono’ e ‘lodevole’. Mi piaceva
leggere e scrivere.
Dopo i doveri di casa e di scuola si giocava nei
campi. Ce n’erano tanti, parte per parte, lunghi,
coi fossi che correvano a lato. Le terre erano tutte
misurate dai geometri e mettevano gli stroppari
per andare sulle vigne, quando le potavano.
Si facevano tante cose con le stroppe, anche ceste
e fiaschi. Le strade, una volta, erano una meraviglia! I campi si delimitavano coi marmi o i sassi e
tutti sapevano quale era il loro pezzo.
Ho sempre frequentato la chiesa di Castelbaldo.
Aveva un campanile alto con sette campane nuove:
le hanno battezzate, sono state cambiate da poco.
Le campane suonavano mattina, mezzogiorno e
sera. Suonavano anche quando nasceva un bambino e quando c’era il temporale, perché erano
benedette e scongiuravano il maltempo.
C’era la sagra di San Valentino: era bella, lungo
tutta la strada, bancarelle di dolci, arance e la
chiesa tutta addobbata con drappi rossi ai lati.
C’erano pure le giostre ed esponevano anche i
maiali. C’era anche la balera, ma io andavo solo
a guardare, non ho mai ballato.
Il luogo più importante per me è il mio paese,
Castelbaldo, dove sono nata e cresciuta, e la
chiesa di San Prosdocimo più di tutto, perché ero
quasi sempre in chiesa. Ho sempre vissuto a Castelbaldo, non mi sono mai spostata.
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Ho studiato come maestra nell’educandato, abitavo lontano dalla scuola. Andavamo a piedi, cantando, si arrivava in mezz’ora; eravamo in quattro
o cinque. Quanti ricordi, che nostalgia.
A Pra’ di Botte la sagra era un po’ misera, con poche
bancarelle. Era la sagra di San Luigi e si teneva in
estate, a giugno. Io ci andavo di nascosto, perché
i miei genitori non erano propensi che ci andassi.
In inverno invece ci ritrovavamo in stalla: si faceva
filò e si cantava con la fisarmonica.
Ho sempre lavorato come maestra, subito dopo
essermi diplomata.
Il primo giorno di scuola l’ho fatto a occhi aperti.
Gli alunni erano vivaci, venivano dalla campagna.
Ero sufficientemente severa, come punizione facevo
scrivere tante volte una frase, ma non ho mai alzato
le mani: solo punizioni scritte.
Luigina Ferruda - 86 anni
Sono nato a Ospedaletto Euganeo, vicino alle
suore. Ho tanta malinconia di Ospedaletto, certe
notti mi viene da piangere.
Da piccolo giocavo a baete, a marmorine: erano
delle palline piccole di vetro, delle biglie. D’estate
si giocava nel frumento e poi dai miei zii bevevo la
Ida Faccioli - 91 anni
La mia casa d’infanzia era grande perché vivevo con i nonni, la famiglia, gli zii, i figli. Era a
Ponso, abitavamo vicino al fiume Frassine, quello
che pochi anni fa è straripato. Mi ricordo anche
la sagra del Tresto, per noi bambini era la fine del
mondo! Partivamo in una quindicina a piedi per
andarci.
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graspia, cioè quello che resta dopo il vino, in cui
si aggiungeva acqua finché diventa buona. Il vino
lo tenevano per venderlo.
Era frizzante, buona e chiara. Che bontà!
A fine settembre, andavo alla sagra del Tresto.
Era una festa grandissima a Ospedaletto Euganeo,
in mezzo ai campi. Anche quando ero piccolo era
grandissima, con le giostre: la ruota panoramica,
l’autoscontro, la giostra a catene… Io andavo sugli
autoscontri coi soldi che mi dava mio papà: era di
manica larga. Mia madre, invece, era tirchia. Cinque
lire a giro!
Di lavori ne ho fatti tanti: all’Utita, in fabbrica a
Este, si facevano macchine utensili e macchine da seta. Era un capannone unico
molto alto, enorme. C’era anche la
fonderia, bisognava fondere i macchinari che erano in ghisa. Lavoravo otto o nove ore, anche
di notte. Si facevano i turni ma
io, soprattutto nel turno di
notte e di sabato, mi nascondevo dappertutto, non mi
piaceva farli.
Gli ultimi lavori che ho fatto
sono stati il tassista, un lavoro
da signori, e l’autista di pulmini: lavoravo in proprio, da
solo, mi trovavo bene. Mi ero
comprato il pulmino e stavo bene
a lavorare senza padrone.
Alessandro Francescon - 66 anni
Sono nata a Villetta, un quartiere di Galliera
Veneta che ora non credo esista più. Solo molto
più tardi ci siamo trasferiti in via Montegrappa.
La mia vita non è stata facile: eravamo orfani, la
mia mamma è morta molto presto e io ero l’unica
femmina in casa. Da ragazza ho lavorato in una
fabbrichetta di scatolame che produceva alici in
salamoia. Questa esperienza è stata orribile, perché
ci toccava lavorare per tutto il giorno con i piedi
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dentro delle vasche piene di alici e, anche se avevamo gli stivali, l’umidità ti entrava nelle ossa. Per
non parlare dell’odore, che ti sentivi addosso anche
se ti lavavi mille volte. Ho resistito solo tre mesi,
perché la padrona era severissima, non ci lasciava
riposare un attimo e, se rallentavamo un po’ il ritmo,
passava e diceva: «E allora, stiamo dormendo in
piedi qui?».
Così me ne sono andata a lavorare in filanda da
Andretta; facevo il “redevidè”, una tecnica di filatura
per ridividere le matasse e produrre diversi tipi e
qualità di filato.
Elisa Marchiori - 87 anni
Avevo tre anni e mi ricordo quando
andavo a scuola. Ricordo il profumo della crema di cioccolata
che facevano le suore. Io a casa
mangiavo solo minestra e mi
faceva una gola, allora la suora
mi ha spalmato un fetta di
pane con la crema di cioccolato!
Abitavo a San Siro, a Bagnoli
di Sopra. Della casa ricordo
quando stavo vicino alla stufa
con mia mamma che mi raccontava le favole. Mi ricordo che a
scuola c’era un gran salone dove si
faceva ricreazione. Era tutta ad un piano.
Si riscaldava con stufa a legna fatta di cocci
rossi a tre strati, veniva caricata dalla suora o dalla
bambina più grande. Mi ricordo di aver imparato
una poesia per l’arrivo del prete nuovo; io ero sul
palco a recitare e abbiamo cantato col fiore in
mano. C’erano anche i miei genitori a vedermi ed
ero contenta.
Della sagra del mio paese ricordo le giostre con i
cavalli. C’erano bancarelle con zucchero filato,
mandorle dolci e croccante, il banco della frutta e
delle verdure. La prima domenica di ottobre era
San Gabriele Arcangelo e c’era la processione.
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Nell’esposizione mia madre comprava oche, galline… e ogni domenica e sabato si andava al cinema.
Graziella Mattioli - 70 anni
A Stanghella ci ho abitato da quando sono
nata fino al 1955. Era un bel paese. Andavo dalle
suore e ci stavo tutto il giorno, poi andavo in campagna con la mamma. Io non ho fatto tanti giochi,
andavo a sbarbare le barbabietole.
Ho cominciato da piccolissima a lavorare. Si può
dire che non ho mai giocato.
Frequentavo la mia chiesa, si chiamava di Santa
Caterina. Era nella piazza principale del paese e
attorno c’erano piante, panchine, il monumento ai
caduti. C’era anche un’altra piazza, detta “la
piazzetta”.
Quando sono cresciuta sono andata a ballare a
San Giovanni Battista. Andavo poco alla sagra
perché non c’erano schei. Mi piacevano le mele
caramellate ma non c’erano soldi per comprarle.
Maria Miotto - 80 anni
Sono nato il 13 aprile 1939 a Cittadella e ho
vissuto a Tombolo.
Per tirare avanti la famiglia sono andato anche io
a lavorare da mio cugino barbiere, per imparare il
mestiere. Poi sono partito per il militare e al mio
rientro ho aperto un negozio mio, che ho tenuto
per vent’anni. Sono molto conosciuto in paese e
tutti quelli che vengono a trovarmi sono miei clienti.
A molti che venivano facevo i capelli gratis, se
sapevo che non avevano soldi.
Sono molto legato alla vita del mio paese. Sono
sempre stato benvoluto, perché ho sempre avuto
creanza e ho aiutato in parrocchia. La mia vita
complessivamente è stata faticosa, ma me la sono
anche goduta. Ero cassiere della Pro Loco e, quando
si organizzavano viaggi, io e mia moglie partecipavamo volentieri. Siamo stati in tanti posti: Francia,
Germania, Spagna e Austria, e siamo andati a Roma
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tante volte. Anche mia moglie Lucia era molto
impegnata perché faceva parte del coro, e anche
per questo qualche volta si andava in giro, perché
lei doveva cantare con il coro.
Lino Pontarolo - 75 anni
Andavo al mercato nella piazza di Vò centro.
Ogni giovedì c’era il mercato. Era una piazza grande
con il monumento ai caduti. Nel mio tempo libero?
Pulivo in casa e cavavo l’erba dall’orto e davanti
casa, strappavo le erbacce!
Quando ero piccola giocavo con la palla davanti
casa mia o delle mie amiche. Si calciava per farla
andare in un posto, se centravi avevi vinto. La palla
era in cuoio, mia mamma le vendeva e io mi tenevo
quella che mi piaceva di più. Io rubavo tutte le palle
di gomma a mia madre e le davo ai bambini che mi
dicevano: «Se non mi porti le palle dico a tutti che
sei cattiva!». Poi mia mamma mi ha scoperto, ha
parlato con la maestra e non mi hanno più preso
in giro.
A Vo’ Euganeo si festeggiava San Lorenzo, tra il
nove e il dieci agosto. C’erano tutti i banchi con la
sagra, i dolci e quello che volevano vendere.
La strada era tutta illuminata. Arrivavano anche le
giostre: cavallini, catene… Anche la chiesa era
addobbata a festa.
Ho iniziato a lavorare imparando a cucire con mia
sorella, avevo sette o otto anni e andavo da una
signora che abitava vicino a casa mia. Mio padre
faceva il maniscalco e io lo aiutavo a battere il ferro.
C’era il fuoco continuo. Bisognava essere molto
attenti perché potevi farti molto male: se non battevi nel punto giusto, il ferro saltava in aria.
Romilda Ravazzolo - 93 anni
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Rovigo
Al tempo della Seconda Guerra Mondiale ero
giovane e andavo a Ca’ Cappellino, dove c’era il
metano, con le secie, le secchie, ed “el basolo”, un
attrezzo con due secchi alle estremità per trasportare
l’acqua. Andavo a prendere l’acqua salata che serviva
per cuocere, perché non avevamo il sale. Un giorno,
mentre stavo ritornando a casa con i secchi pieni
d’acqua, un aereo da guerra ha cominciato a sparare;
per fortuna mi sono rifugiata nella casa vicina e mi
sono salvata per miracolo. I secchi che avevo lasciato
cadere a terra si erano completamente rotti.
Lo stesso episodio mi è successo un altro giorno,
mentre andavo a lavorare in campagna a Villaregia.
Ero insieme alla mia nonna che, poverina, veniva
anche lei a lavorare, ed eravamo sulla scala
dell’argine vicino alla Madonnina, quando abbiamo
sentito la rusa, il rombo dell’aereo da guerra.
Per fortuna a ogni palo del telefono c’era un rifugio
e ci siamo nascoste dentro. I rifugi erano delle specie
di buche a forma di quadrato, dove ci si buttava per
ripararsi dalle mitragliate degli aerei. Quel giorno le
piante che avevo sopra la testa le ha spaccate tutte,
stroncate.
In campagna a Ca’ Cappellino andavo a barbabietole,
a cavarle e a tagliarle. Quando sono rimasta vedova,
sono andata a stare a Contarina, attuale Porto Viro,
sotto al castello.
Ho conosciuto mio marito proprio a Ca’ Cappellino,
perché veniva a lavorare da Villaregia. Avevo dicias-
sette anni e andavamo a ballare ai paioli.
Un giorno ero andata a ballare con mio fratello più
grande, Angelo, che si incontrava con i suoi amici
tra i quali il mio futuro marito, che gli ha chiesto il
permesso per invitarmi a ballare.
Giuditta Antonioni - 87 anni
La prima casa aveva pochi mobili e Marcello
diceva che con uno spago si potevano legare tutti!
Sotto il letto matrimoniale ci tenevamo quasi tutto:
gli attrezzi per lavorare la terra, le patate e altra roba
da mangiare. Pensa che sotto uno dei nostri cuscini
sono nati i topi! Questa casa era in quartiere Portesin,
più tardi siamo andati ad abitare a San Pasquale,
dove c’era la porta che si apriva metà sopra e metà
sotto come nel ponaro, il pollaio. Marcello mi diceva
che ho la “porta cotola e blusa”, gonna e camicia.
Quando ci siamo sposati sono andata nella sua casa
di famiglia. Dove abitavo prima, avevo una buca al
posto del bagno; loro, invece, avevano un gabinetto
con le pietre e la porta. Ero diventata una signora
sposando lui, la sua casina era bellissima, aveva un
pezzo di terra e la lissiara.
Andavamo tutti gli anni al mare per un mese.
A Levante andavo con la barca, avevo una casetta
tutta di legno. C’era una bottega sola, da Cavallari,
una delle poche famiglie che abitavano là. Ricordo
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le cappe, conchiglie, sulla spiaggia. Alla sera mettevamo i materassi a terra e alla mattina li tiravamo
su. Avevo la piccola che allattavo io stessa, un uomo
mi avevo avvisato di non tenere il latte perché dai
fossati venivano su le vipere, e si diceva che bevessero il latte senza toccare la bimba. Avevo tanta
paura.
Ho cominciato ad andare al Moro a Rosolina Mare,
c’era solo un chiosco dove vendevano la mortadella
e la marmellata. Poi hanno cominciato a costruire
le case e i negozi. Andavamo sempre tutti gli anni
con i nostri bambini. C’erano i soldati che sbarcavano,
mia figlia Rossella aveva sette o otto anni.
Li conosceva tutti e si faceva dare la cioccolata;
erano ragazzi che facevano esercitazione militari
dove adesso c’è il giardino botanico. Mio figlio Marco
era sempre assieme ai militari, lo dovevo portare
tutti i giorni sul groppone per vederli.
Marcello ha lavorato anche per la Zecchi a Bologna
come verniciatore, poi è andato in Sardegna a lavorare sul faro. In quel periodo è nata Rossella, era
gennaio; al faro non arrivavano i telefoni, così gli ho
scritto una lettera e ci ho messo dentro un nastrino
rosa, la lettera gli è arrivata dopo un mese, quando
l’asino è arrivato al faro. Lui portava a casa i giochi
per i suoi figli, e loro giocavano con le sue ciabatte!
Io gli raccontavo tutto quello che facevano e lui mi
diceva che non portava rabbia.
Marcello Baratella, 85 anni,
con la moglie Teresa
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Abitavamo a Ca’ Morina, frazione di Porto Tolle.
Lavoravo in campagna con il mio trattore, lavoravo
la terra per conto terzi, per quelli che mi chiamavano.
Sono andato anche a Rovigo perché il padrone aveva
terra là, oltre che a Gnocca. Sono stato a Costa per
quindici giorni e poi sono tornato a casa.
Qualche volta sono andato in Barricata, era deserta;
per arrivarci facevamo il giro per l’argine del Po con
la macchina. La spiaggia era piena di sassi e uno ci
aveva costruito un ristorante, si mangiava bene.
Io ho visto di tutto. Vestivo sempre in giacca e cravatta, era la mia mania, il mio marchio di fabbrica,
conquistavo le donne perché ero vestito bene, era
il mio segreto, bravo ed educato!
Sergio Bellan - 78 anni
Sono nata a Contarina, in via Alberi o Collettore
Destro, dove adesso ci fanno il mercato; quando ero
bambina non lo facevano lì, è venuto in seguito.
Mi ricordo la Fiera Mata: la facevano la prima settimana di novembre in piazza a Contarina.
Dopo si è ingrandita e l’hanno fatta anche nelle vie,
c’era il mercato da una parte e dell’altra c’era la
mostra del bestiame. Io ci sono andata molto poco,
avevo la mamma ammalata e dieci fratelli da accudire, visto che sono la più vecchia aiutavo mia mamma praticamente in tutto, facevo la domestica come
una donna anche se ero bambina.
A scuola ci sono andata, piangevo quando mi toccava
restare a casa, quando mia mamma aveva tanto
bisogno non poteva lasciarmi andare. Le elementari
all’epoca erano in via Guglielmo Marconi, sull’alta
per andare verso i carabinieri, nel Palason.
Dopo hanno messo le scuole da Carrer, l’asilo era
vicino a Mamante che vendeva la frutta e la verdura
e noi prendevamo la mistoca o mincona, cioè il
castagnaccio.
Andavo anche a scuola dalle principine, ragazze che
insegnavano un po’ di tutto, dalla religione al cucito;
erano otto sorelle e fratelli, il loro papà faceva il
falegname e anche loro abitavano sempre in via XI
novembre e facevano lezione in casa. Le principine
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erano distinte, volevano essere altolocate. Erano
tutti istruiti, era una famiglia conosciuta e benestante; sono andata da loro che avevo cinque o sei anni
e ho imparato a ricamare a dieci anni.
A ballare ci sono andata davvero molto poco, un po’
perché c’era la guerra e un po’ per la situazione
familiare. Si andava a ballare da Cecon a Contarina:
era una vera sala da ballo, c’era tanta gente, un bel
posto con la zona estiva e anche invernale, ma non
mi ricordo bene perché ci sono andata poco!
Al mare andavamo al Moro a Rosapineta; ci sono
andata con mio marito perché aveva dei dolori.
Là c’erano le cabine del Genio Civile, ci lavorava mio
fratello che ci dava la possibilità di usare una cabina
per spogliarsi. Tutte le mattine d’estate, io e mio
marito ci andavamo con la nostra Vespa 150; poi la
vespa l’ha data via senza volere un soldo.
Gino, mio marito, andava anche a pescare in Cavana;
era alla fine della nostra terra, uno scolo enorme di
tre metri di larghezza, alimentato dall’acqua del
collettore vicino. Mio marito andava a pescare i siluri,
un pesce simile al pesce gatto. Una volta ne ha pure
preso uno, ma era tanto brutto che gli ho detto:
«Buttalo via, per carità!».
Argentina Ferro - 93 anni
Sono nato in via Alberi a Contarina, dove c’era
un ponte in pietra che era carolà, sconnesso, caduto
con l’alluvione del 1951 e rifatto in un secondo
momento; lungo la via c’era anche la caserma dei
carabinieri. La via andava fino al ponte delle Fornaci
e costeggiava il canale che divide Contarina da
Donada.
Abitavo in una casetta vecchia e bassa. Mia mamma
faceva la sarta in casa e si sceglieva le scolare a cui
insegnare il lavoro. Era molto brava: riusciva a fare
dieci braghe in giornata e io l’aiutavo a fare il
“sorafilo”, cioè l’imbastitura. Mio papà si lamentava
spesso con lei perché lo faceva aspettare di più
rispetto agli altri, così un giorno mia mamma l’ha
invitato ad andare a letto e all’indomani gli avrebbe
fatto avere un paio di pantaloni nuovi.
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Mio papà era un tipico brasiliano un po’ aggressivo
e amava suonare il violino. Andava a scuola a Taglio
di Po e con il gesso scriveva le note da suonare sulla
tavola, perché io imparassi a leggere la musica.
Sono andato a scuola fino alla quinta elementare
alle scuole vecchie, lungo la via Alberi, in bicicletta
o camminando. Quano ero più grande andavo a
scuola di falegname da Luigi Tiozzo, che aveva in
paese la bottega di generi alimentari. Era un vero
maestro e con il legno sapeva fare di tutto, mobili
e quant’altro. Di solito, quando c’era poco lavoro e
aveva della legna da tagliare, mi diceva: «Carlin,
vieni a tagliarmi un quintale di legna? Così ti viene
fame!».
Avevo diciotto anni quando ho lavorato in fornace:
lungo il Po ce n’erano tre, una era la famosa SAME.
Io ho lavorato in due di queste. Avevo il compito di
descolmare, cioè di infornare e suddividere nelle
varie bocchette i mattoni, che erano più in alto, e la
roba più fina ossia i coppi, le tegole. Quando c’era
il vento che tirava da Scirocco, tutto il calore ti veniva
contro e ti bruciava… In fornace lo stipendio è guadagnato!
Carlo Gazzignato - 88 anni
Sono nata a Bonelli, la mia casina era vicino
alla chiese e non era grande, ma io ero contenta lo
stesso. Avevamo il camino e a quei tempi i nostri
genitori, quando non andavano a lavorare, si prendevano qualche giorno in autunno per andare con
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la barca nelle valli a raccogliere le canne per bruciarle
e fare fuoco. La legna non si poteva raccogliere
liberamente, era dei padroni del bosco.
Ero giovane, ma mia mamma mi aveva insegnato a
fare i lavori di casa, avevo otto anni e mezzo. I miei
genitori lavoravano la terra e in risaia a Bonelli;
anche io qualche volta ci ho lavorato, a maggio si
andava a seminare e poi si andava a pulire. Adesso
è tutto diverso, non si fa fatica.
Avevamo un piccolo orto, mio papà lo sistemava
quando tornava a casa dopo il lavoro e io cercavo
di aiutarlo. A me piacevano i fiori, mio papà mi
preparava un pezzo di terra e io li piantavo e li curavo;
lui mi aiutava e tutti guardavano il mio giardino!
A scuola sono sempre andata a Bonelli. Non eravamo vestiti come
adesso, adesso nessuno va a
scuola con le scarpe rotte… Comunque a scuola ci si andava
più che altro solo d’inverno,
specialmente chi era grandicello e aveva dei fratellini piccoli, perché doveva aiutare i
propri genitori che andavano in
campagna o in risaia a lavorare.
A ballare ci siamo andati ma
poco, si andava a Scardovari; non
era brutta, per carità, però una
volta non è che ci fossero tante cose
belle! Al mare siamo andati in Barricata, proprio dove adesso c’è il campeggio, ma lavoravamo tanto ed eravamo
stanchi; al mare poi ci si portava tutto, non c’erano
chioschi, non c’era niente. A Bonelli, dove c’è il
ristorante Da Renata, c’era il traghetto per andare
in Barricata.
Una volta, andando a lavorare in barca la mattina
presto, non mi ricordo se c’era vento o se andavamo
troppo forte, ci siamo sporti un po’ troppo e siamo
caduti in acqua! Eh, a quei tempi sorridevamo, non
come adesso che per un po’ d’acqua ci si mette a
piangere!
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Il marito Claudio racconta:
A Donzella c’è ancora la sala da ballo dove ballano
il liscio, al cinema andavamo a Scardovari, a quei
tempi il cinema ce l’aveva mio zio; anche mio papà
ci ha lavorato in biglietteria, poi è cresciuto mio
fratello e ci è andato lui...
Era difficile anche per i maestri all’epoca, di insegnanti non ne avevamo e quei pochi che c’erano
venivano da lontano, non c’erano pullman o mezzi
di trasporto per muoversi facilmente; dopo la guerra
il Signor Fusetti, che aveva iniziato a occuparsi di
trasporti, aveva comperato un camion degli americani, ci aveva messo delle panchine, l’aveva coperto
e lo usava per portare avanti e indietro la
gente che aveva bisogno di andare ad
Adria o all’ospedale. Mio papà andava
ad Adria in bicicletta, aveva due
portapacchi e andava a prendersi
i film da proiettare nel suo cinema
per la settimana.
Tolmina Marangon, 78
anni, e il marito Claudio
Quando sono nata, abitavo
in Portesin, in via Porticino di
Contarina, in una casa di due
piani con quattro camere. Davanti
avevo l’aia, “el ponaro”, il pollaio,
la “lisiara”, la casetta per gli attrezzi
e il camino per cucinare, “el bosgato”,
il maiale, “la cavra”, la capra, che mio papà
mungeva per avere il latte.
Io e i miei fratelli abbiamo sempre lavorato in campagna da Toffano, tra la Mea e la chiesa di Contarina,
che è stato anche il nostro “santolo”, il padrino.
Toffano era a sua volta in affitto dalla famiglia Carrer,
una famiglia veneziana proprietaria del Palason, una
villa che l’Argentina dice di aver sempre ammirato.
La famiglia Carrer non l’abbiamo mai vista perché
la casa era provvisoria, usata solo quelle poche volte
che venivano di passaggio.
Quando mi sono sposata mio marito è venuto a
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stare con me nella mia casa a Portesin, avevamo
la camera da letto per conto nostro e nel piano
sotto mangiavamo tutti insieme alla mia famiglia.
In quella casa sono nati i miei quattro figli.
La mia vita l’ho trascorsa tra campagna, casa e
“funsion”, le funzioni religiose. Ai miei tempi, nei
pressi del cinema, c’era la polontona, cioè la
signora Marangon che era titolare di un noto panificio che ora non c’è più. Era soprannominata
polontona perché era molto grossa.
Mio marito andava a Levante a pescare i rinati, le
carpe, le barbone, cioè il pesce gatto, tanto buono
tagliato a metà e fritto; ha il gusto simile al bisatto,
l’anguilla. A quei tempi a Porto Levante c’era zero,
niente, tutto deserto, sembra impossibile che
adesso sia tutto cambiato.
Qualche volta andavo al Moro, al mare, quando i
miei figli venivano giù da Milano.
Corina Milan - 93 anni
Sono nata il 23 febbraio del 1931 a Contarina,
in via Fiume. Abitavo con i miei genitori e il nonno.
Mio nonno mi voleva tanto bene, ero la primogenita e mi chiamava Neffa. Mi chiedeva sempre di
andare a fare un giro in bicicletta con lui, mi caricava sul palo e via!
Il mio fidanzato abitava non lontano da casa mia
e riuscivamo a vederci spesso. Quando mi sono
sposata, sono andata a stare nella località di
Fornaci, a Porto Viro, prima con i suoceri e poi,
quando mio marito è tornato dal militare, per
conto nostro. Nella via mi sono fatta tante amiche
e ci incontravamo tutti i giorni per chiacchierare.
C’era parecchia gente alle Fornaci, ai miei tempi.
Ma già allora la gente cominciava a emigrare a
Torino e a Milano.
All’età di quarantasei anni sono andata Torino,
con mio marito e mio figlio. Abitavo in città, in
Corso Francia, in un appartamento di un grande
edificio. Mi piaceva tanto stare a Torino, ma a mio
marito no, a tal punto che quando per strada
trovava una macchina targata Rovigo diventava
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matto e mi diceva che ci sarebbe salito sopra per
ritornare a Contarina.
Mio marito lavorava alla Viberti, una fonderia,
mentre io lavoravo nella catena alla Gallino, dove
si lavoravano i cruscotti delle macchine. Ero molto
brava e le altre non riuscivano a fare il lavoro che
facevo io. Facevo otto ore, pagavano bene e a
cottimo.
Quando siamo ritornati a Porto Viro, siamo ritornati con il camion perché un tempo si facevano i
traslochi in questo modo e si poteva dormire,
visto che si dovevano percorrere tanti chilometri.
Abbiamo cambiato casa e ce la siamo comprata
a Contarina. Negli anni Ottanta e in dieci anni che
sono stata via, il mio paese non era cambiato di
molto. Anche la gente era sempre quella, sempre
con la loro stessa idea, sempre la stessa tiritera.
Quando siamo ritornati a Porto Viro, mio marito
si è ammalato e non siamo più riusciti a andare
da nessuna parte.
Genoveffa Pozzato - 84 anni
Sono nata a Pincara, una località in provincia
di Rovigo, vicino a Fiesso Umbertiano. Era un paese in mezzo ai campi, c’erano poche case, l’asilo
delle suore, la scuola e il municipio. C’era anche
una chiesetta e una volta alla settimana veniva
un prete per la Messa. Io ci andavo sempre, a
piedi e distava qualche chilometro da casa mia.
Da piccola ero in casa con gli zii; in famiglia eravamo ventuno, e i bambini giocavano in cortile,
sul selese, che è l’aia. Solitamente saltavamo con
la corda.
In inverno giocavamo e ci scaldavamo nella stalla.
A scuola avevamo le suore. Avevo il grembiulino
a quadretti bianchi e rosa con il fiocchetto.
Ci portavamo da casa il piatto, l’asciugamano, le
mutandine di ricambio se ci bagnavamo, il cucchiaio. Andavamo a piedi con mio fratello, per tre
chilometri e mezzo.
Noi non siamo mai andati a ballare perché era
peccato. I genitori erano severi: si doveva andare
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a Messa e alle funzioni. Gli appassionati di ballo
di Rovigo andavano a Ferrara, così sfuggivano ai
controlli dei preti. Ci andava anche mio fratello, ma
io non ho mai fatto la spia con la mia mamma.
Lucia Toffanin - 72 anni
Vicenza
Il luogo dove sono nato è un paese molto
piccolo, tanto che si chiama “Peocio”, pidocchio;
allora contava non più di cinquecento anime. Sono
figlio di un papà molto buono di nome Arduino,
che era un bravo tecnico meccanico. Il mio papà è
stato il primo dei sette operai della Riello di Legnago
che faceva bruciatori a benzina, poi sono passati
ai bruciatori a gas. Il signor Riello ha fatto fortuna
a Legnago, tanto che gli hanno fatto una statua di
bronzo che hanno messo davanti a una sua fabbrica. Al tempo della guerra la fabbrica era stata
occupata dai nazisti e mio papà, col fatto che era
uno dei preferiti del signor Riello, non ha dovuto
fare la guerra. Dei suoi amici nessuno è tornato
vivo.
Da Peocio sono poi andato a San Bonifacio, poi ci
siamo trasferiti a Lonigo e mi sono diplomato perito
meccanico a Vicenza.
Sono stato con amici al mare, in montagna, ricordo
soprattutto alcuni viaggi in un paese sul Sile dove
siamo andati a vedere una rustica, interessante
villa con parco. Resta il fatto che amici ne ho avuti
tanti nella mia vita. L’amicizia è importante per
sopravvivere.
Silvano Darcosti - 66 anni
Sono nata il 7 novembre 1920 a Enego, un
piccolo comune dell’altopiano di Asiago.
Sono la maggiore di quattro figli, l’unica femmina.
La prima guerra mondiale aveva lasciato la mia
famiglia senza un tetto, e per questo motivo ci siamo
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trasferiti a San Pietro di Rosà, in via Brega, dove il
conte Dolfin aveva messo a disposizione una casa
colonica in cui vivevamo noi, i quattro fratelli di mio
padre e le loro famiglie. Io ho vissuto in questa casa
finché mi sono sposata con Bertrando, e mi sono
poi trasferita a Fontaniva, a casa di mio suocero.
Poi ci siamo trasferiti nella nostra casa, a Laghi di
Cittadella. Se avessi la possibilità di andare a vedere
un posto della mia vita è lì che vorrei andare, in
particolare mi piacerebbe rivedere la mia chiesa.
Annita Guglielmi - 87 anni
Ho conosciuto mio marito a Gallarate. Ero da
mia zia, suo figlio era ingegnere. Lei mi aveva
chiamato per chiedermi se andavo a farle compagnia,
perché suo figlio era andato a lavorare in Africa.
Sono andata da lei, e lei mi ha detto: «Ma vai a fare
un giro, ogni tanto!».
Così sono andata a fare un giretto e vicino a Gallarate
c’è l’aeroporto di Malpensa. Ci sono tutti i piloti.
Lì ho conosciuto mio marito, lui era un aviatore di
Vicenza. Mi ha conosciuto e insomma… ci siamo
visti, ogni tanto veniva a Gallarate e dopo ha detto:
«Sposiamoci». Allora ci siamo sposati e sono andata
a vivere a Vicenza. Vicenza è una bella città, è grande.
Abitavamo in via Geronimo Salvi.
E poi è nato Walter.
Cecilia Riccardi - 97 anni
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Verona
Sono nato a Bussolengo, in vicolo Rivolti.
La mia abitazione era modesta, come lo erano quelle
del tempo, del resto. Sono nato in casa, c’era la
levatrice, la comare che andava per le famiglie.
A dieci mesi mi hanno portato dai nonni a Tricesimo,
vicino a Udine, perché il papà era morto di polmonite
e la mamma doveva lavorare. Il paese era piccolo e
la gente un po’ chiusa. C’erano tante corti con tante
famiglie imparentate. Si giocava con i cani e con i
gatti all’aria aperta. Nel mese di maggio si andava
al rosario la sera, e poi si prendevano le lucciole.
D’inverno si cenava alle cinque e mezzo perché si
seguiva la luce naturale. C’erano le lampade a petrolio e le candele. Si doveva per forza frequentare
la parrocchia, ma poi potevamo fermarci sul sagrato
della chiesa a giocare. Si andava al cinema dai preti
a sedici anni. Quando sulla scena gli innamorati si
baciavano, il prete oscurava l’immagine con le mani.
Si proiettavano perlopiù film d’avventura e storie
dei santi. A undici anni sono andato a imparare il
lavoro di sarto, eravamo sette, otto allievi. Poi a
Bussolengo sono andato sotto padrone per imparare. Il proprietario si chiamava Falconi, aveva un
negozio per vestiti su misura e anche le stoffe. Ero
bravo, facevo giacche e pantaloni da uomo, il padrone era contento. Dopo la guerra ho proseguito il
corso di taglio a Verona e ho ottenuto il diploma.
Lavoravo a casa e avevo anche degli aiutanti. Erano
anni difficili, anche se avevo un mestiere, per questo
poi sono andato in Svizzera.
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usavano la scurietta per farli rientrare. Quando avevo
sei anni, siamo andati ad abitare a Sommacampagna
dove sono rimasta fino ai ventidue anni, età in cui
mi sono sposata.
Sono andata tante volte a ballare a Boscofontana,
avevo quindici anni e andavo con mio fratello.
Era molto bello, si cantava, si suonava, ci si divertiva.
Si ballava a piedi nudi, altrimenti si consumavano
le scarpe.
Irma Vallenari - 96 anni
Marano di Valpolicella è il mio paese. Si trova
sulle colline veronesi.
La mia casa era semplice. Noi siamo cresciuti con la
mamma perché il papà era in Africa per lavoro.
Marano era una contrada tranquilla, ci si conosceva
tutti. Siamo rimasti lì fino a undici anni, poi ci siamo
trasferiti a San Pietro Incariano.
C’era una corte con attorno delle case. Raccoglievamo le viole per portarle a scuola alla maestra. Si
giocava nella piazza della chiesa e il prete era contento di avere i bambini lì.
Sono andata a scuola a Fane. Andavo a piedi con
altri bambini: partivamo all’orario giusto e ci ritrovavamo davanti all’ingresso della scuola. Ognuno si
sedeva al proprio posto e prima di iniziare la lezione
si recitava la preghiera. Ricordo quando la maestra
ci spiegava la storia della regina Elena e della figlia
Maria Pia.
Gemma Zampini - 84 anni
Giulio Penna - 91 anni
Sono nata a Sant’Anna d’Alfaedo. A Sant’Anna
c’era la chiesa e la mia casa era lì vicina. Vivevo sotto
il Corno d’Aquino, c’erano i prati ma anche le pietre
della montagna. La mia casa era proprio l’ultima
sotto il monte, vicino al Santuario della Madonna
della Corona. In cortile c’erano le pietre per terra e
ci si rincorreva. C’erano tanti bambini e si giocava
insieme. Le mamme, quando chiamavano i bambini,
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Venezia
Andavo tutte le sere a Sottomarina alla Taverna
Europa. Avevo fatto amicizia con la proprietaria, lei
conosceva tutte le signore che frequentavano il
locale e mi informava su quelle che non erano
sposate o separate e mi indicava con chi ballare.
Ci andavo sempre da solo perché non c’erano tanti
che avevano la libertà e i soldi che avevo io. Con il
trattore guadagnavo cinquanta mila lire al giorno e
tutte le sere avevo i soldi in tasca. Andavo anche in
un altro locale vicino alla diga: mi sono divertito per
tutta la vita, ho sempre fatto tutto alla luce del sole.
Sono andato tre giorni in Inghilterra. Londra è il
posto più bello del mondo, sanno usare tutte le loro
risorse e la gente è sveglia. Ho visto tutto fuorché
l’America, avrei voluto andarci ma non ci sono
riuscito.
Sergio Bellan - 85 anni
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Mi ricordo che facevo la bambinaia ai tre bambini
della contessa Amalia, che viveva tra Vescovana e
Venezia. Dormivo insieme a loro tre; stavano sempre
con me, tutto il giorno e la notte. Due femmine e un
maschietto, Agostino. È stato un bel periodo della
mia vita, prima di sposarmi. Avevano due ville
bellissime. Erano ricchi, ma anche gentili e generosi.
Mi piaceva abitare a Venezia, è una città unica.
Antonia Savogin - 85 anni
Belluno
Il ricordo più bello è stato quello di quando ho
scalato le Dolomiti per la prima volta: erano le Tre
Cime di Lavaredo. Abbiamo scalato per tre ore e
siamo arrivati in cima: era un sogno! Tutte le cime
attorno erano dorate, ma alcune avevano la neve.
Nel tempo ho scalato tantissime volte. Il silenzio
che si sentiva in cima era fatto di un vento speciale,
la caduta di piccole rocce era un rumore gioioso.
Il rincasare era solo dispiacere, con la speranza e la
certezza che ci sarei tornata.
Lia
Treviso
Io sono nato a Vittorio Veneto e ci sono rimasto
fino all’età di quindici anni. Quando mi sono trasferito
mi è dispiaciuto lasciare i miei amici, con i quali
andavamo in parrocchia o in Piazza Grande a giocare
a nascondino e con la palla. Negli anni a venire non
ci sono più tornato.
Gaetano Livi - 99 anni
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Piemonte
Toscana
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Torino
Quando abitavo a Torino sono andata in tanti
posti. Io e mio marito ci siamo sempre andati in
gita con un’altra coppia, anche loro contarinanti.
Giravamo sempre con il tram e andavamo dappertutto. Sono andata a vedere Superga, una bella
collina; siamo andati a vedere il Po, il parco del
Valentino dove c’erano tutte prostitute. Il Po era
come qua da noi a Porto Viro, con gli argini dove
si poteva camminare. Abbiamo fatto tanti pic-nic
e qualche volta siamo andati a mangiare le lumache alla parigina: erano un “bocon tanto bon”,
buone!
A Torino c’erano tanti negozi, tante vetrine tutte
attaccate l’una all’altra. Ricordo che mi piaceva
andare in via Garibaldi a passeggiare, guardare i
vestiti e fare commenti con la mia amica.
Non andavamo a ballare; a Torino il mercato non
l’ho mai visto, vai in via Garibaldi e c’è tutto.
Quando siamo ritornati a Porto Viro siamo tornati
con il camion perché un tempo si facevano i traslochi in questo modo e si poteva dormire visto
che si dovevano percorrere tanti chilometri, sui
cinquecento. Abbiamo cambiato casa e ce la siamo
comprata a Contarina. Negli anni Ottanta e in dieci
anni che sono stata via, il mio paese non era
cambiato di molto. Anche la gente era sempre
quella, sempre con la loro stessa idea, sempre la
stessa tiritera. Quando siamo ritornati a Porto
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Viro, mio marito si è ammalato e non siamo più
riusciti a andare da nessuna parte.
Genoveffa Pozzato - 84 anni
Nel 1961, in occasione del centenario dell'Unità
d'Italia, mi sono recato a Torino. Ho avuto modo
di apprezzare molto la città, specialmente la Sinagoga e il Museo Egizio, e ricordo con tanto orgoglio
la sfilata a cui ho partecipato in veste di artigliere.
Ottavio Capelli - 75 anni
Verbano-Cusio-Ossola
Nel 1944 mi sono arruolato fra i partigiani e
sono partito per le alture della Val d’Ossola.
In montagna, presso la Brigata Carroccio, ho trascorso otto mesi della mia vita attendendo la fine della
guerra. Un giorno stavo andando al lago di Garda a
trovare delle amiche crocerossine, conosciute anni
prima durante la mia residenza in loco. Era il periodo
post-bellico dal 1947 al 1949, avevo trovato lavoro
come autista di camion per trasporto merci a Merano.
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Dopo la guerra sono tornato in montagna, in vacanza.
D’estate, nel periodo di Ferragosto, andavo con la
famiglia a passeggiare sulle alture del Monte Rosa.
In particolare, si andava a Macugnaga dove c’era
una succursale della parrocchia di San Domenico e
dove il mio hobby preferito era la raccolta di castagne.
Giuseppe Calvi - 89 anni
Cuneo
Il periodo più bello della mia vita è stato nella
zona delle Langhe: è qui che puntualmente trascorrevo le mie vacanze estive lontano dai miei genitori
e dalla loro disciplina e autoritarismo invasivo e
fustigante. Si trattava di un paesino collocato sul
cucuzzolo della montagna, a circa cinquecento metri
di altezza, dove non c’era mai nebbia. Alla Morra ho
trascorso un lungo periodo della mia vita, dai dieci
ai diciotto anni. Era un luogo felice dove esistevano
poche ma imprescindibili regole: mangiare insieme
a mezzogiorno, e di sera rientrare entro le dieci.
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Alessandria
Nel 1958 la leggenda vuole che Bartali salvò
l’Italia. Mi trovavo al mio paese di origine, Volpedo.
I contadini si aggiravano armati di forcone, cercavano
i proprietari terrieri per dargliele; poi venne la notizia
della vittoria di Bartali. A Volpedo credo ci fosse
solo una radio, quella del bar in piazza; insomma,
la notizia suscitò in tutti una gioia incredibile. Bartali
salvò l’Italia!
Mi domando come sia cambiato il tempo; anche se
ci fossero gli stessi campioni, non ci sarebbe più la
stessa atmosfera…
Carlo De Maestri - 83 anni
Io sono di Morbello, in provincia di Alessandria.
Sono nata nel 1917, sono dura a morire. Eravamo in
sette fratelli. I grandi non volevano lavorare la
campagna. Ci siamo trasferiti poi ad Acqui Terme.
Teresa Barisone - 97 anni
Luisa Mongini - 92 anni
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Massa Carrara
Sono originaria di Gragnana, un paesino sopra
Carrara. Ho vissuto lì sino all’età di vent’anni.
Gragnana era un paesino circondato da boschi di
castagne e terrazzamenti coltivati, non c’era un
granché. C’era la scuola sino alla quarta elementare,
noi bambini si andava a giocare fuori, allora non
c’erano pericoli. Per giocare al righetto al posto dei
soldi usavamo i bottoni e li rubavamo dalle federe,
perché non c’era nulla.
Mio papà lavorava alle cave del famoso marmo
bianco di Carrara. Allora il lavoro del cavatore era
faticoso e pericoloso; i cavatori partivano all’alba
e tornavano a casa la sera, sfidando i rischi della
montagna per uno stipendio che spesso non bastava per mantenere la famiglia. Gli incidenti in
cava erano frequenti e venivano comunicati mediante il suono di un corno. Non appena sentivano
quel triste suono, le donne correvano verso la
strada per le cave e aspettavano pregando, in attesa
di sapere a chi fosse toccato.
Io e la mia mamma ci occupavamo delle olive, allora
facevano tutti una vita grama. A quei tempi si sudava davvero per un pezzo di pane. Mi ricordo che
il lunedì andavamo al mercato a Carrara: a piedi,
non dalla strada ma da una scorciatoia attraverso
il bosco. Facevamo la spesa per tutta la settimana.
In paese c’erano dei negozi, ma noi compravamo
solo la verdura.
Carrara era bellissima, c’era la discoteca e il cinema,
invece a Gragnana non c’era niente. La domenica,
qualche volta, con le amiche andavo a Carrara al
cinema.
A Sarzana ho cominciato a lavorare come domestica. Una mia vicina di casa di quando abitavo a
Carrara aveva una rosticceria a Sarzana, che si
chiamava “La Carrarina”, e così mi ha preso a lavorare con lei. Allora non c’era la lavastoviglie, si
lavava tutto a mano e io usavo sempre la candeggina per disinfettare. Anche se era una rosticceria,
spesso avevamo anche quaranta persone che si
fermavano a pranzo da noi. Era molto impegnativo,
ma che bei tempi!
Ho lavorato in quella rosticceria per ventitré anni;
quanta cacciagione ho cucinato! E quanta polenta!
A forza di mescolare polenta mi era venuto il callo
sulla mano. Le torte di verdura, ah, se ci penso mi
viene l’acquolina in bocca: mettevamo gli erbi e il
formaggio buono, avevano un sapore buonissimo!
Infatti venivano da noi professori, medici, avvocati…
Andreina Biselli - 93 anni
Io sono dell’alta Lunigiana, sono cresciuto in
un paesino nel comune di Casola, Vedriano: da lì
si vede tutto il pisano, sopra di noi c’erano solo
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boschi di cerri. Quelli del mio paese venivano detti
i Cerri; ogni paese aveva il suo soprannome, i Cerri
era il nostro.
Il mio era un piccolo paese di montagna, allora ci
vivevano una quindicina di famiglie, oggi ne sono
rimaste solo tre. Le case erano di pietra, così come
la piccola chiesa dove la sera veniva recitato il
vespro, invece la messa della domenica veniva
celebrata nel paese vicino, Reosa. Mi ricordo che
mi arrampicavo sul campanile per suonare le campane; da ragazzo non avevo paura di niente, camminavo scalzo nei boschi e la sera dovevo togliermi
le spine dai piedi, pian piano, un po’ da solo e un
po’ con l’aiuto di mia mamma.
Nel mio paese la scuola non c’era, quindi andavamo
nel paese vicino a piedi, con gli zoccoletti che a
volte perdevo per strada; allora entravo a scuola
cercando di non farmi vedere i piedi. A scuola, per
scaldarci nei mesi invernali, avevamo una stufa;
tutti portavamo un po’ di legna secca che prendevamo dalle siepi lungo il tragitto che ci portava a
scuola. La scuola era una baracca di legno, costruita
dopo il terremoto del 1920 che aveva devastato la
Lunigiana e che aveva distrutto anche la scuola.
Ermete Fantelli - 78 anni
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Io sono nata a Torsana, una piccola frazione
di Comano. È sempre stato un bel paesino, si trova
in cima al paese di Camporaghena.
Per raccontare tutto ci vorrebbe un romanzo. La
mattina andavo a scuola a piedi, a Camporaghena,
il pomeriggio andavo a lavorare nei campi. I miei
fratelli, in quanto maschi, hanno studiato; noi
femmine no, a che serviva, bastava giusto un po’
di scuola, quel tanto per imparare a leggere e
scrivere e a far di conto. Si lavorava nei campi e si
viveva delle cose coltivate, senza troppe comodità.
Ho cominciato a camminare con le pecore. Da piccola, insieme ad altri bambini, si portavano le
pecore ai pascoli. Da noi c’erano molti cavalli,
bellissimi. A Comano facevano anche la fiera dei
cavalli.
Nel mio paese non c’era niente, era isolato dal
resto del mondo, sperduto tra le rocce, senza una
strada, senza niente. All’epoca era proprio un mondo secondario.
La prima corriera l’ho presa a diciassette anni per
andare a trovare mia sorella che, già sposata, viveva
a Santo Stefano Magra. Ma l’ultima fermata della
corriera era proprio al paese di Comano, distante
dal mio ben sette chilometri. Ovviamente li avevo
fatti a piedi. Che tempi! Ricordo ancora la stanchezza provata, ma la gioia di aver rivisto mia sorella,
dopo qualche tempo, è stata enorme.
Al mio paesello facevano due feste: una per San
Giacomo, il 25 luglio, e l’altra l’8 settembre per la
Madonna delle Grazie, che era molto più importante
e frequentata. Per l’occasione, mia madre mi faceva
un bel vestitino e mi comprava un paio di scarpe,
tutto questo mi doveva durate per tutto l’anno.
Dopo le funzioni religiose si mangiava fuori tutti
insieme, si cantava, si stava in compagnia. Non
c’erano banchetti, il paese era impervio e non si
raggiungeva con i mezzi.
Adesso c’è la strada, ci vanno macchine, ma non
c’è più nessuno, sono andati tutti via. Quando c’ero
io eravamo diciotto famiglie, eravamo in parecchi,
ma non c’era niente per mangiare; bisognava andare a Comano a comprarne. Però c’era la terra e
con quella sapevano arrangiarsi. Ora è disabitato,
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non c’è più nessuno, sono paesi abbandonati; il
mio come tanti altri.
Maria Giannarelli - 89 anni
Andavo a scuola a Ponzanello nel comune di
Fosdinovo. Avevo una cartella di cuoio scura, dentro
avevo due quaderni a righe e a quadretti e un solo
libro. Le classi erano tutte insieme, dalla prima alla
quinta, tutti avevano il grembiule nero con il colletto
bianco e il fiocco azzurro. I banchi erano di legno
nero ed eravamo in due per banco. In ogni aula
c’era il crocifisso e, appese al muro, le carte geografiche. Avevamo le pagelle dove venivano scritti
i voti e consegnate ai genitori ogni tre mesi, per
essere firmate. Ricordo la scuola come un periodo
interessante della mia vita.
Ricordo che la festa più grande del paese era quella
di Ferragosto. Andavamo tutti a messa e poi a
pranzo da mio fratello; dopo che era morta la mamma, era l’unico giorno in cui c’era anche l’antipasto.
Nel pomeriggio con tutti i paesani andavamo alla
funzione, c’era anche la processione, e portavamo
la statua della Madonna per le vie del paese; noi,
dietro, recitavamo il rosario e cantavamo l’Ave
Maria.
Festeggiavamo anche San Martino che ricorreva
l’11 novembre, era il patrono di Ponzanello e in
quella giornata le scuole rimanevano chiuse.
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e temi per i bambini della scuola materna ed elementare ed esponevamo tutto nel palazzo della
provincia. Per tutte queste attività mi hanno dato
il diploma di “Angelo della strada”.
Enrico Cerretti - 68 anni
Io aiutavo la mamma nei lavori di casa, perché
lei con il mio papà andava a fare la spesa per il bar.
Facevo quello che potevo, perché non mangiavo
molto ed ero piuttosto gracile. Quando chiedevo
qualcosa ai miei genitori dovevo dire loro «posso»
o «non posso». Non erano cattivi, ma un po’ severi
e quando decidevano che una cosa non si poteva
fare non si faceva.
La festa più grande del nostro paese di Podenzana
era la Madonna del Gaggio o Madonna della Neve,
che si svolgeva il giorno di Ferragosto. In questa
occasione si fa la processione che parte dalla chiesa
fino al santuario del Gaggio, con la banda.
Con quello che sarebbe diventato mio marito si
andava ad Aulla con la macchina, in motorino a
giocare a pallone, lui faceva parte di una squadra.
Con lui mi divertivo, ed è stato il mio primo grande
amore. Era un amore puro e rispettoso.
Rita Baldassini - 76 anni
Lidia Bertagnini - 66 anni
Con il mio lavoro sono stato trasferito a Massa,
che ho trovato una città accogliente e pronta alle
iniziative proposte. Nel mio lavoro organizzavamo
il rally che era molto seguito e le auto storiche.
A Massa in quel periodo facevo tanti progetti di
educazione stradale con l’organizzazione di percorsi
per le scuole elementari e la produzione di videocassette e pubblicazioni. Abbiamo pubblicato anche
un libro intitolato “Cento anni di storia sulle strade
apuane”. Inoltre, facevamo un concorso di disegni
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Lucca
Io sono nato a Lucca. Le mura di Lucca tutte
intere sono quattro chilometri e duecento metri.
E poi sono, mi pare, tra i dieci e i quindici metri di
altezza. Io ci facevo le passeggiate a piedi, ma sulle
mura ci viaggiano anche le macchine.
Le mura all’esterno sono tutte di mattoni e dietro
ci sono strati di terra. Ci sono anche i baluardi.
E lì la gente va a fare i pic-nic, a divertirsi.
A Lucca le mura sono un’attrazione importante.
La strada che le segue gira tutto intorno alla città
e dietro, all’interno, c’è l’erba battuta e la terra.
Sopra c’è la strada doppia che gira tutt’intorno a
Lucca. Vengono i turisti a vederle. Venivano anche
quando ero giovane, poi proseguivano verso Viareggio, che è vicino. Io non sono mai stato un
signore che andava in giro a mangiare nei ristoranti.
Oreste Caprara - 90 anni
Il luogo che mi è rimasto impresso è senza
dubbio la Toscana, ci ho passato parte della mia
infanzia, ma era il paesaggio a essere bello, con
gli alberi, la pineta, le castagne, il ruscello. Il ponte
sembrava un quadro. Ci siamo trasferiti a Lucca
con l’arrivo della guerra, perché mio papà lavorava
con l’arsenale. Mi ricordo che vicino a casa nostra
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c’erano tanti alberi di castagno e mia mamma cucinava la pattona, il castagnaccio, con le castagne
e i pinoli. Le persone erano molto buone e ci ho
vissuto bene. Vicino a casa nostra c’erano le pinete
e spesso avevamo gente a cena. Vicino c’era un
ruscello con un ponticello e il paesaggio sembrava
un quadro.
Bruna Ferrari - 82 anni
Livorno
Per dieci anni, in agosto, sono andata un mese
all’Isola d’Elba e, finito il mese, anche le ferie erano
finite. L’Isola d’Elba è bella, proprio bella da visitare.
Andavo a Marina di Campo, a Lacona, a Porto Ferraio, ma a noi piaceva tanto andare per sentieri un
po’ scomodi, che portavano a belle spiagge isolate
dove c’erano scogli grandi su cui potevi sdraiarti
a prendere il sole. Erano calette stupende. Partivo
da sola, perché là avevo gli zii e i cugini, ci abitavano
quattro fratelli di mia madre.
Gabriella Canovi - 76 anni
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Pordenone
Fino a diciannove anni sono cresciuta a Pordenone. Sono nata in via Revedole, dove c’era un
grosso seminario e noi eravamo i mezzadri dei
preti. Di terra ne avevamo giusta, né troppo né
poco. Pordenone mi è rimasto nel cuore perché
sono cresciuta lì, la mia città è sempre stata molto
grande, importante, e dove sono cresciuta c’era un
viale grandissimo, bellissimo e il seminario… è
questa l’immagine che mi porto nel cuore.
Emma Perissinotti - 85 anni
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Lazio
Sardegna
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Roma
Sono nata in un paesino del Lazio con 750
persone, 750 metri sopra il livello del mare; le case
sono carine dentro ma fuori sono diroccate, non ci
sono le strade asfaltate ma solo con il selciato.
È rimasto tutto come allora. C’è una chiesa molto
bella intitolata a San Pietro, nella quale c’è una
statua del Bernini raffigurante il Santo a figura intera.
Sono nata in tempo di guerra. Allora non c’erano
corde per giocare, allora io prendevo la corda che
la mia mamma usava per stendere e si andava in
piazza con le amiche. Quando dovevo ritornare,
papà mi chiamava con un fischio, ed era sufficiente!
Si giocava a sassetto, a mosca cieca. Quando non
c’era il bucato steso, usavamo la corda per saltare.
Le occasioni di ballo erano in famiglia, in paese non
avevo amiche. La mia mamma diceva che prima
dovevo andare a messa, poi potevo giocare.
Francesca Apolloni - 74 anni
A Roma ho fatto il viaggio di nozze assieme a
mio marito. Ho visitato tutte le cose più belle e
importanti della città. Mio marito aveva degli amici
che ci hanno fatto da guida. Ho visto il Colosseo, è
bellissimo, immenso; piazza di Spagna, la fontana
di Trevi e tanti monumenti. Poi sono tornata a Roma
anche in seguito: mia figlia si è sposata e si è trasfe92
rita là con suo marito e i miei nipoti. Sono andata a
trovarla tante volte. Purtroppo adesso non riesco a
vederli spesso, ci vogliono tante ore per arrivarci.
Dopo il matrimonio, mio marito affittava una casa
a Fiumaretta. Io avevo smesso di lavorare, lui invece
non era ancora andato in pensione. I nostri due
bambini erano piccoli e io li portavo al mare.
Mio marito ci raggiungeva la sera. Mi piaceva molto
stare lì, avevamo la possibilità di farci una piccola
vacanza. Io adoro il mare, se fossi più giovane ci
tornerei subito!
Giovanna Mori - 84 anni
A vent’anni mi sono trasferita a Roma: sono
entrata in convento per farmi suora, dalle figlie di
San Paolo che facevano le Bibbie e i Vangeli.
Mi piaceva l’idea di divulgare il Vangelo. In quel
convento c’erano la tipografia e la legatoria, dove
ho lavorato anch’io nel periodo in cui sono rimasta.
Tra suore e novizie eravamo più di cinquanta.
Le paoline erano così belle con il velo lungo, il colletto…
Sono rimasta in convento per tre anni, poi la madre
superiora mi ha detto che ero debole sia fisicamente
che mentalmente e che non potevano tenermi in
convento; mi hanno rimandato a casa. La vita in
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convento era molto dura, sembrava di essere in
caserma: sveglia alle cinque, studio, lavoro o preghiera sino alle dieci di sera. Io ho provato, ma non
ci sono riuscita.
Nonostante tutto, di Roma ho tanti ricordi belli, in
estate ci portavano in giro a visitare le grandi chiese
o ci portavano all’Eur a fare merenda sui prati.
Quanto ho pianto, diventare suora era il mio sogno
ma per i miei problemi di salute non mi hanno voluta.
Ora però sono felice sono riuscita a prendere i voti
qui in struttura, c’erano quattro preti, ho letto la
formula... è stato molto commovente.
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il 29 agosto si celebra la sagra del redentore e i
fedeli salgono sul monte Ortobene ai piedi della
statua per partecipare alla messa. La domenica
prima, invece, c’è la sfilata dei costumi tradizionali
alla quale prendono parte molti gruppi folkloristici
provenienti da tutta la Barbagia.
In provincia di Nuoro c’è il paese di Orgosolo, famoso
per il banditismo; i banditi rubavano il bestiame
nelle altre province della Sardegna o ai confini della
nostra, lontano dalla città.
Franceschino Virdis - 86 anni
Maria De Maria - 76 anni
Sardegna
Sono originario di Nuoro, nel cuore della Sardegna. Vivevamo in città, ma in campagna avevamo
un podere dove c’erano i mezzadri; il mio babbo era
ferroviere e non aveva tempo, mio fratello più grande
era sempre dietro alle ragazze, allora ero io che
seguivo le donne che raccoglievano le olive e il
trasporto al frantoio per ricavarne l’olio. Ho fatto i
miei studi a Nuoro, invece l’università a Sassari
perché tra Nuoro e Sassari c’è un’affinità, il centro
della Sardegna non ha nulla a che fare con Cagliari,
è proprio un’altra civiltà.
Nuoro è una bella città nel cuore della Sardegna,
rappresenta la Sardegna di una volta, con una cultura
particolare. Cagliari è una città moderna, invece a
Nuoro e a Sassari c’è proprio la tradizione sarda, un
modo di vivere particolare: casa, famiglia e campagna sono i valori più importanti, non c’è famiglia che
non abbia un podere.
I mercati da noi fanno pochi affari perché le famiglie
comprano l’essenziale, quello che non riescono a
fare in casa. Il pane tradizionale sardo è il carasau,
un pane molto sottile. Ogni tanto lo compro perché
mi ricorda la mia terra.
La statua del redentore sovrasta la città di Nuoro;
Quando ero piccola, abitavo in Sardegna, a
Villamar, un paese dove tutti lavoravano nelle campagne. Poi io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a
Carbonia, la città che era stata fatta costruire da
Mussolini. C’era una miniera e tutti gli uomini lavoravano lì, tra cui mio padre.
Per andare da Villamar a Carbonia, io e la mia famiglia
abbiamo usato un carro trainato da un cavallo, come
quelli che si vedono nei film western.
Maria Porcedda - 79 anni
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Sicilia
Trapani
Sono nato in provincia di Trapani nel 1921, a
Custonaci. Mio padre aveva comprato una grande
casa con dietro un po’ di terreno dove si coltivava
frutta e verdura, avevamo anche la cantina.
Nel mio paese c’era una chiesa grande, speciale,
si trovava in piazza e venivano da tutte le parti per
vederla. Quando c’erano gli sposalizi, avresti dovuto
vedere!
Il mio paese era vicino al mare e in estate ci andavo
sempre a fare il bagno. Mia mamma non è che non
volesse, ma solo per poco; invece io ci stavo tanto.
C’erano i marinai, quando tornavano al molo dalla
pesca portavano delle casse piene di pesce, uno
spettacolo. Una volta mi hanno portato con loro in
mare a pescare e mi ricordo che abbiamo preso tre
grossi pesci spada. Che emozione!
Il sabato sera si andava a ballare nella sala da
ballo; a me è sempre piaciuta la musica, così sono
andato a imparare a suonare la chitarra e poi accompagnavo il violino ai matrimoni o alle feste.
A vent’anni sono venuto via dalla Sicilia, sono
andato al militare ed è tutto finito. Ho iniziato a
fumare durante il militare, mio babbo non voleva
ma lì fumavano tutti.
Mi sono arruolato nell’aeronautica militare e sono
stato inviato all’aeroporto di Luni, Sarzana. In Sicilia
avevo imparato il mestiere del calzolaio ed ero
molto bravo a fare gli scarponi da roccia cuciti a
mano con il triplo filo incrociato, stagni all’acqua,
così spesso andavo in un negozio di scarpe e riparazioni di San Lazzaro per acquistare il materiale
per riparare le scarpe degli ufficiali.
Il proprietario del negozio aveva una figlia, Leda,
ed è stato amore a prima vista; ci siamo sposati
nel 1946, quando è finita la guerra. Da allora sono
rimasto a Sarzana e ho cominciato a lavorare con
mio suocero nel suo negozio di scarpe, che dopo
la sua morte ho gestito da solo sino alla pensione.
Giuseppe Savalli - 94 anni
Messina
Durante la guerra sono andato per un periodo
in Sicilia, sullo Stretto di Messina, a “fare le
fucilate”. Eravamo in guerra, mi ricordo che c’erano
i fucili che cadevano in acqua, nel mare. Il posto
della mia vita che mi rimarrà più impresso, infatti,
è la nave; ricorderò sempre come buttavano giù i
fucili, che cadevano addosso alla gente.
Venerio Guidetti - 92 anni
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Ho fatto un viaggio, organizzato dalla parrocchia, in Sicilia. È stato il mio primo viaggio in aereo;
il comandante l’ha saputo e mi ha scritto un attestato di primo volo. In questo viaggio ho visto tanti
posti e tante cose, come il Duomo di Messina. E
più di ogni altra cosa, ho fatto una scorpacciata di
pasta alla norma!
Salvatore Piazzolla - 84 anni
Se penso a quello che ho visito, mi ricordo con
affetto la Sicilia, la terra di mio marito. Siamo andati
in vacanza in Sicilia per venticinque anni, a Tindari.
La madonna del Tindari è molto bella. La Sicilia è
stupenda, ci sono gli ibisco, le arance, i mandarini.
Sarà per via di mio marito, ma la Sicilia mi è sempre
piaciuta tantissimo, anche se il viaggio è molto
lungo. Voi non ci crederete, ma una volta sono
anche entrata in treno dal finestrino; mi hanno
fatto entrare da lì per non farmi perdere il treno.
Avevo vent’anni, dovevo partire per la Sicilia e non
potevo perderlo.
Sarj Malnis - 77 anni
Catania
Io sono siciliana, di Caltagirone. Ho preso
l’aereo quattro o cinque volte per andare giù. La
prima volta ho avuto un po’ paura, poi è diventata
un’abitudine.
Nel mese di luglio, a San Giacomo, a Caltagirone
è festa: si illumina la scala in ceramica della piazza
che ha ben centoquarantasette gradini ed è spettacolare. È la scalinata più bella d’Italia.
Filippa Nicosia - 85 anni
A causa del lavoro di mio marito ho vissuto
diversi anni in Sicilia, luogo davvero splendido sia
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per il clima sia per la bellezza delle città. Mio padre
mi ha accompagnata e il matrimonio è stato celebrato nella Chiesa di Santa Maria della Guardia il
4 luglio 1954. Ho vissuto a Catania per undici anni
e mi sono sempre trovata bene; gli abitanti sono
molto ospitali e comunicativi. Uscivo di casa per
fare la spesa e sulla piazza principale trovavo tutti
i negozi: pescheria, fruttivendolo, salumeria e panetteria.
Alla domenica andavo con mio marito a fare la
passeggiata sul lungomare, dove vedevo poche
palme e molti bei condomini. Non ho mai frequentato la spiaggia, ribattezzata la playa dagli spagnoli,
e non ho mai fatto il bagno, ma mi piaceva guardare
il mare, il porto e i pescherecci che vedevo uscire
ma mai rientrare.
In Sicilia ho passato la mia gioventù, i miei giorni
migliori e, se avessi potuto, sicuramente sarei
rimasta a vivere lì.
Giulia Castellaro - 85 anni
Da tanti anni vivo a Milano ma la mia famiglia
è siciliana, di Militello. Forse non tutti sanno che
Militello è il paese natale del famosissimo Pippo
Baudo.
Quando avevo sette anni, mio padre possedeva il
pastificio nella piazzetta di Militello. Proprio in
questa piazzetta c’era una palazzina a due piani,
al primo piano abitavano la mamma e il papà di
Pippo Baudo. Mio padre era molto amico di suo
padre e mio fratello lavorava presso gli agrumeti
dei Baudo. Già da piccolo si capiva la sua predisposizione per il mondo dello spettacolo, fu scritturato
da una compagnia teatrale per recitare in uno
spettacolo. Questa compagnia cercava una bambina, ma la gente del paese era scettica e i papà non
permettevano alle bambine di recitare. Il papà di
Pippo invece era già aperto di vedute ed aveva
spinto Pippo a proporsi. Nonostante fosse un maschietto era talmente bravo che bastò travestirlo
da bambina per permettergli di partecipare allo
spettacolo.
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Dopo qualche anno il mio papà chiuse il pastificio
e si impiegò in un paese vicino chiamato Paragonia.
Io non mi volevo trasferire perché amavo molto
Militello, così papà mi diceva che Paragonia era
bellissima e ci avrei trovato anche i tram. Io non
ero molto convinto e ho chiesto proprio a Pippo di
dirmi la verità sui tram, visto che lui andava spesso
a Paragonia dalla nonna. Lui mi disse che non avrei
trovato i tram, ma mi promise che ci saremmo visti
spesso anche là.
Sono passati tanti anni ma conservo un bel ricordo
di quel ragazzino di Militello.
Nicolò Mazzone - 91 anni
Agrigento
Ricordo con piacere la casa della mia infanzia,
a Sciacca. È un paese grande e bello, si affaccia
sul mare dalla parte di Agrigento, in Sicilia. La casa
era grande, con quattro camere, la cucina e il bagno.
Non avevamo il giardino e con gli altri bambini
giocavamo in strada.
Ricordo che avevamo tutto vicino: la scuola, la
chiesa, i negozi di tessuti e il mare. Mi piaceva.
Tanto. Mi piaceva nuotare, prendere il sole, passeggiare sulla spiaggia. Ricordo la sabbia bianca
e le conchiglie. Gli scogli li raggiungevamo nuotando.
Quando sono venuta al nord, la cosa che mi è
mancata di più, è proprio il mare.
Maria Cucchiara - 87 anni
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Campania
Quando avevo otto anni mio papà fu chiamato
dalla ditta Cirio, era un meccanico specializzato e
quindi ci siamo trasferiti in provincia di Caserta;
mia mamma, poverina, piangeva sempre.
Io ero ragazzina, eravamo in piena guerra; abitavamo vicino alla polveriera, per cui bombardavano
sempre. I miei genitori avevano molta paura, così
smisi di andare a scuola, mi fermai in seconda
elementare. Lì siamo rimasti tanti anni, perché la
Cirio ci mandava da mangiare: pane, latte, zucchero.
Si parlava poco perché non conoscevamo la lingua.
Mia mamma andò in negozio e chiese la “puina”,
la ricotta, ma il negoziante che non capiva si è fatto
un sacco di risate. Noi bambini abbiamo fatto amicizia con gli altri bambini e abbiamo imparato subito
il loro dialetto, ma a mia mamma ci è voluto un po’.
A Caserta siamo andati a visitare la Reggia, era
bellissima; mi è rimasta impressa una pianta che,
se la toccavi, si chiudeva e dopo si riapriva e se la
ritoccavi si chiudeva di nuovo.
Dopo Caserta ci siamo trasferiti a Castel Volturno,
sempre in provincia di Caserta, perché mio papà
si ammalò e dovette lasciare la Cirio. E lì c’era il
mare, per me è stata la prima volta che ho visto il
mare. Per andare a Castel Volturno si doveva prendere il traghetto per attraversare il fiume che si
immetteva nel mare. Mi ricordo che in quel periodo
andavo a ballare, ero ormai ragazzina e mio padre
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era invitato a suonare la fisarmonica alle feste; noi
figli andavamo con lui e lì ho incontrato Luigi.
Maria Valente - 82 anni
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Paesi esteri
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Africa
Un luogo che sicuramente mi è rimasto nel
cuore è il Kenya, dove sono andato a fare un safari
con mia moglie e mia figlia una ventina di anni fa.
Ho potuto vedere tutte le qualità di animali, una
bertuccia mi si è avvicinata mentre stavo mangiando una banana e voleva rubarmela a tutti i costi.
Per farla andare via le ho dovuto dare una pedata!
Per fare una foto a un ippopotamo immerso
nell’acqua con solo il naso fuori, mi sono avvicinato
a un laghetto. A un certo punto ho visto che lì vicino
a me, a una spanna di distanza, c’era un coccodrillo
che mi si stava avvicinando: l’ho scampata per un
pelo!
Le persone che vivono in Kenya sono coperte di
stracci ma sono pulite e sempre serene perché si
accontentano della vita così com’è e vivono alla
giornata: io non sarei capace di vivere così, non
riesco a stare con le mani in mano, devo sempre
creare qualcosa.
Gabriele Marangoni - 73 anni
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A fine di gennaio 2005 sono partita dall’aeroporto
di Milano con mia figlia Giuliana e alcuni amici per
andare a trovare i miei fratelli che vivono in America,
in California. Il viaggio di andata è durato quattordici
ore: abbiamo fatto scalo a Parigi e sull’aereo continuavano a dirmi «Bonjour Madame».
All’inizio non volevo prendere l’aereo perché avevo
paura ma poi mi è piaciuto, anzi, l’ho preferito al
pendolino, che ti sbatacchia di qua e di là e non ti
lascia dormire: sull’aereo sono riuscita a dormire
come nel mio letto!
Siamo arrivati in America a mezzogiorno. L’aeroporto
era enorme e c’erano scale mobili ovunque. Io non
le volevo prendere perché una volta mi si è incastrato
il piede e mi sono fatta male. Siamo arrivati da mio
fratello a Los Angeles alle cinque del pomeriggio.
La via dove abita mio fratello è molto bella, ci girano
sempre dei film. Los Angeles è un set a cielo aperto!
La casa di mio fratello è meravigliosa, con le tende,
la moquette, ha almeno quindici finestre e un balconcino al primo piano che è proprio come quello delle
case che si vedono in televisione. Quella sera mio
fratello mi ha portata a mangiare al ristorante.
Il giorno dopo siamo stati a fare compere in uno store
grande come quattro o cinque dei nostri centri commerciali. Sono stata anche a visitare un museo dove
c’erano tantissimi gioielli bellissimi.
Il successivo fine settimana mi hanno portato al Casinò
di Las Vegas. É bellissimo, ci sono tutte le macchinette
per giocare e anche tutti i tavoli da gioco. Quando
giochi con le macchinette e vinci si sente un suono
di campanello. Meno male che c’era mio fratello che
è venuto e mi ha detto: «Nina, hai vinto!». Avevo
messo cento dollari e nel cassettino della macchinetta
ne ho trovati trecento! Ho guardato mentre gli altri
giocavano a carte, a Black Jack, alla roulette e ai dadi.
Al bar del Casinò abbiamo preso un caffè: non era
male ma era molto amaro.
È stato un viaggio che mi è piaciuto moltissimo!
Nina De Cesare - 84 anni
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America
Mia sorella si è trasferita in America e ha trovato
lavoro come poliziotta, ora è in pensione e con i
soldi che guadagnava è riuscita a costruirsi una bella
villetta su due piani. Si sta bene là, gli stipendi erano
buoni. Quando siamo andati a trovarla ci ha trattato
molto bene, ci ha ospitati in casa sua e ci ha portato
a visitare diversi posti: abbiamo visto il ponte di
Brooklyn e la Statua della Libertà, abbiamo girato
per diverse città e siamo andati a mangiare in ristoranti buonissimi.
In America molte case hanno i giardini e sono tutti
ben tenuti, con l’erba tagliata e curata e diversi fiori.
Anche a me piace avere cura del giardino, ho sempre
coltivato un piccolo orto, da quando sono andato
in pensione. Abbiamo dei limoni giganteschi!
Luigi Panigli - 88 anni
Quando mio marito è andato in pensione mi ha
fatto girare il mondo, siamo stati in tanti posti, anche
a Parigi e a New York. L’inglese non lo so, però
qualche parola in francese me la ricordo ancora.
Quando ho preso l’aereo è stata una scoperta, mi
sembrava di essere in paradiso! Dal finestrino guardavo le case e i paesi.
Mara Toracca - 93 anni
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Asia
Io ho viaggiato molto e secondo me il luogo
più bello al mondo è Petra, un importante sito
archeologico della Giordania: sembra di essere in
Palestina ai tempi di Gesù.
Si entra da un canyon scavato nella roccia, la città
è colorata di rosso e rosa, passano di continuo
cammelli e cavalli, sembra di essere tornati indietro
nel tempo. La prima volta dalla cima della collina
ho visto la città e le tombe, perché Petra è costituita
prevalentemente da sepolcri. Nelle ricorrenze si
ritrovano sulle tombe scavate nella roccia ed è loro
usanza allestire dei banchetti funebri. Sulla cima
della collina ho incontrato una ragazza che vendeva
collane, ci siamo parlati con gli occhi, mi ha offerto
la collana… sembrava una visione antica. La cosa
unica di Petra sono i colori, è conservata intatta e
alcune grotte sono ancora abitate con gli animali
e le pecore nel cortile.
La seconda volta che sono stato a Petra non c’era
nessuno, perché doveva venire in visita Tony Blair;
era ancora più bella, sembrava di essere ai tempi
dei Nabatei, la popolazione che viveva a Petra.
Petra è stata inserita nelle sette meraviglie del
mondo moderno. In Giordania ho fatto il bagno nel
Mar Morto con i famosi fanghi dalle proprietà benefiche per la pelle. Si esce dall’acqua tutti neri, la
salinità dell’acqua è tale che si galleggia senza
neppure nuotare.
In Asia centrale ho visitato l’Uzbekistan, il paese
di Gengis Khan, il grande condottiero mongolo.
Le ragazze hanno gli occhi a mandorla e sono bellissime…
In Uzbekistan ci sono le suggestioni simili alla
Mongolia, tanto deserto dove le persone vestono
con i loro costumi tradizionali molto colorati.
Una volta ci siamo trovati in una cerimonia famigliare e le signore del nostro gruppo hanno socializzato con le donne del posto, molto socievoli. La
mattina dopo ci hanno invitato a casa a mangiare
il pane. Il padrone di casa che stava facendo il
pane, quando ha saputo che eravamo italiani, ha
esclamato: «Campioni del mondo!».
Il pane veniva cotto nel forno a legna, non appoggiato sul piano del forno ma alle pareti, e cadeva
una volta cotto. Quello che mi aveva colpito era
che in quella casa, sebbene semplice, regnava
l’ordine e la pulizia. Alle sette del mattino sulla
tavola c’era un vaso con dei fiorellini.
Enrico Cerretti - 68 anni
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Inghilterra
Il mio viaggio all’estero è stato in Inghilterra.
Mio figlio ha ricevuto dei soldi per i risultati scolastici. Ha deciso di utilizzarli per imparare l’inglese,
trasferendosi a Londra. Noi l’abbiamo raggiunto
due volte.
Ricordo il gran freddo, le file per salire sul bus,
perfette; le cabine telefoniche rosse e la guida al
contrario. Mio marito si legava il fazzoletto al polso
destro per ricordarsi e non sbagliare.
Giuseppina Boldissoni - 93 anni
La città che ho amato di più è stata Londra,
non saprei dire il perché ma io mi sentivo in pace
e rimanevo incantata ad ammirare le sue bellezze.
Forse mi attraeva un po’ anche il clima di modernità
che si respirava già allora. Se chiudo gli occhi
ricordo ancora quel lungo viale che conduceva a
Buckingham Palace.
Sono originaria di Borgo Priolo e vengo da una
famiglia umile e onesta. Tutti si aspettavano che
io mi sposassi e avessi dei bambini, come le altre
ragazze. Io ho novantun’anni e, a quei tempi, le
donne avevano il destino segnato: mogli e mamme.
Ho iniziato a lavorare come cameriera negli hotel
di lusso, e ho capito subito che la mia vita sarebbe
stata diversa. Ho conosciuto tante persone, ho
imparato molto e mi sono divertita. Non mi sono
mai sposata ma sono stata legata tutta la vita ad
un uomo, un direttore di crociera. Grazie a lui ho
potuto lavorare in giro per il mondo e imparare
tantissimo.
Oggi la convivenza non è più una scelta anticonformista, ma allora faceva scandalo.
Noi non ce ne siamo mai preoccupati, ci volevamo
bene e avevamo un appartamento a South Kensington dove ci incontravamo nelle pause di lavoro.
Ho un ricordo meraviglioso di questi anni.
Se mi guardo intorno sono soddisfatta e felice della
vita che ho vissuto perché non mi sono fatta condizionare dalle regole e dalle tradizioni, ho sempre
scelto per me stessa e non mi pento di nessuna
scelta fatta.
Alessandra Defilippi - 91 anni
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Nella mia vita ho viaggiato moltissimo insieme
alla mia compagna. Il luogo che mi è rimasto nel
cuore è il Sud America, Cuba in particolare. Ho una
vera e propria passione per Che Guevara e Cuba è
stata la mia meta privilegiata: ci sono stato sei volte!
La piazza dell’Havana, Piazza della Rivoluzione, è
bellissima. Al centro c’è un monumento su cui si
dice abbia messo le mani Che Guevara, un’effige in
ferro del Che incollata alla parete di un palazzo e un
sacco di murales con l’immagine del Che e la scritta
‘Hasta la victoria, siempre!’.
Oltre che dalla bellezza dell’Havana, patrimonio
dell’Unesco, sono rimasto colpito dalla gente che ci
vive. La loro carnagione è molto scura e si tingono
i capelli di biondo anche se di biondi naturali non
ce ne sono.
Una grande fonte di reddito è la lavorazione della
canna da zucchero, da cui si ricava il rum. C’è la
grande fabbrica della Bacardi che produce il rum,
ma ci sono anche tanti artigiani. Non si riesce a
trovare il vino, perché a Cuba non ne producono, ne
importano una piccola parte dalla California e una
bottiglia può arrivare a costare persino cento dollari.
Importante anche la produzione dei sigari Havana:
le foglie selezionate e il clima li rendono i migliori al
mondo. Infatti li fumano i più grandi personaggi al
mondo. Una scatola di sigari può arrivare a costare
anche mille dollari!
Un altro viaggio che mi è piaciuto molto è il viaggio
in Messico nel gennaio 1991. Sono stato a Cancún,
che è stata ritrovo dei pirati. Cancún ha una parte
vecchia che sembra uscita da un film western, e una
parte nuova, caratterizzata dalla discoteca più bella
del mondo e da un centro commerciale faraonico.
A Cancún ho fatto la pesca d’altura: sono andato in
alto mare con una barca con le canne fisse d’acciaio
e c’è la paura a novanta perché ci sono onde alte
cinque metri.
Ho fatto alcune escursioni in corriera: a circa quaranta chilometri da Cancún sono stato a Chichén
Itzá e a Tulum, due siti archeologici, con piramidi a
gradoni tipiche delle civiltà precolombiane.
Ho avuto modo di visitare anche le Gran Cayman,
paradisi fiscali dove i ricchi di tutto il mondo portano
i soldi. Ho visto macchine grosse con i vetri scuri.
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Messico e Cuba
La cosa che mi ha colpito maggiormente è il silenzio
assoluto che regnava per le strade e che per trovare
una bottiglietta d’acqua che costasse meno di cinque
dollari ho dovuto girare mezz’ora! Alla fine sono
riuscito a trovare un negozio dove l’ho pagata due
dollari.
Vittorio Poggi - 76 anni
Io sono stata due volte in Messico, mio marito
lo adorava.
È bellissima la Madonna di Guadalupa. In Messico
sono molto religiosi e si usciva dalla parte opposta,
perché non si giravano le spalle alla Madonna.
I fedeli cantavano Adios Maria; c’era un ragazzo così
assorto nella preghiera che mio marito per rispetto
non ha fotografato.
Ho visto anche le piramidi. Hanno i gradini verticali
e piccoli, è faticoso salire. Mi viene da pensare che
i messicani avessero i piedi piccolissimi, non me lo
spiego altrimenti. Per fortuna ai lati ci sono i cordoni
per aiutarsi, perché al centro si fa una fatica!
Poi le ragazze hanno le trecce. La lunghezza dei
capelli indica lo stato civile. Chi ha la treccia lunga
per esempio cerca marito.
La seconda volta in Messico è stata per i miei venticinque anni di matrimonio. Il Messico è floreale; ti
dà quella sensazione particolare, man mano che la
senti vorresti sentirla ancora di più. I viaggi sono
stati i momenti più belli della mia vita.
Irene Amori - 89 anni
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Svizzera
A ventidue anni mi sono sposata.
Nell’immediato dopoguerra, io e mio marito ci siamo
trasferiti in Svizzera perché qui non c’era lavoro. Abbiamo vissuto nella Svizzera francese, in un paese che si
chiama Bex. Lì ho fatto di tutto: la cuoca, stiravo… Nel
mese di luglio accompagnavo i bambini in montagna,
in colonia sulle Alpi svizzere. Erano una ventina ogni
quindici giorni, poi se ne andavano e ne arrivava un
altro gruppo. Venivano dalle città vicine, Ginevra e
Losanna. Mi piaceva molto come lavoro, i bambini
danno soddisfazione. Un bambino, per ringraziarmi,
mi aveva donato il suo dessert dicendomi che era tutto
buono.
La montagna mi è sempre piaciuta tanto. Da giovane,
prima di sposarmi, ho trascorso sei mesi a Milano.
Tutte le sere, appena andavo a letto, iniziavo a piangere.
Mi atterriva trovarmi in un posto dove vedevi solo
cemento e cielo, solo case e cielo: non si vedeva altro.
Elda Giampellegrini - 91 anni
spesso vedevamo le marmotte. In quel periodo ero andato a fare un’escursione nei ghiacciai, avevo sottovalutato la pericolosità di quei luoghi, non avevo pensato
che, con il vento, i crepacci potevano essere ricoperti
da una lastra sottile di ghiaccio e che sarei potuto
precipitare. Quando me ne sono reso conto sono tornato indietro e da allora non sono più andato sui
ghiacciai. Ginevra è una città grande internazionale, si
incontravano i Capi di Stato. A me piaceva andare
all’aeroporto a vedere decollare gli aerei; io non ci sono
mai salito, ma una volta ho fatto un volo su un elicottero
da turismo, si pagavano quindici franchi, siamo passati
sopra a Montreux che si trova sul lago di Ginevra ed è
famosa per il festival del jazz. Avevo imparato bene il
francese, pensavo in francese, sognavo in francese e
quando si sogna in francese significa che si conosce
bene quella lingua.
Ermete Fantelli - 78 anni
Negli anni Sessanta sono andato a lavorare in
Svizzera e ci sono rimasto per vent’anni. In Svizzera
ho vissuto in tanti posti diversi, perché la ditta per cui
lavoravo ci trasferiva ogni sei mesi senza alcun preavviso a seguito del cantiere. Uno dei cantieri si trovava
a 2200 metri d’altezza in montagna; durante il lavoro
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Sono nata a Guglieri il 15 settembre 1920. Fino
ai trent’anni sono rimasta a casa a curare i miei vecchi,
poi ho lavorato per tre anni in Piemonte e vent’anni
in Francia, a Parigi.
A Parigi sono stata sempre nella stessa famiglia,
facevo le pulizie e curavo i bambini, ero molto legata
a quella famiglia. Inizialmente, quando dovevo portare
i bambini a scuola, mi accompagnava uno dei due
genitori perché non ero esperta della città e non
volevo che succedesse qualcosa. Poi però ho imparato
e giravo da sola. Ho visto la Tour Eiffel, la basilica del
Sacro Cuore, l’Arc du Triomphe e poi tante altre cattedrali e musei.
Fortunata Villa - 95 anni
Sono stato a Parigi dove facevo l’idraulico. Sono
partito a quindici anni con un amico. Mi ricordo l’indirizzo: Avenue de Glicine, in un appartamento grande.
Non mi piaceva, eravamo in sei per appartamento,
tutti uomini. Non mi trovavo bene con le persone,
così sono scappato in Italia. Mi sono sposato con una
bergamasca. Mi ricordo di Pigalle, del Moulin Rouge:
il luogo più bello di Parigi! C’era la metro e ho contribuito anch’io a costruirla.
Ho girato tanto: Francia, Spagna poi di nuovo Francia.
Luigi Gasparetto - 83 anni
Non ho viaggiato molto nella vita, ma il viaggio
che ho fatto a Lourdes in compagnia di una mia amica
mi è rimasto nel cuore. Durato una settimana, è stato
organizzato molto bene dai Paolini. Siamo partiti in
treno da Piacenza alla mattina presto e siamo arrivati
a Lourdes a notte fonda. Appena arrivati siamo andati
in albergo: alloggiavano vicini a noi un gruppetto di
seminaristi che avevano sempre fame. Visto che per
noi il cibo che ci davano era troppo abbondante, davamo quello che non riuscivamo a mangiare a questi ragazzi.
Durante la nostra permanenza abbiamo visitato tutto
il paese. Mi sembrava di essere in un altro mondo,
persino il cielo sembrava diverso da quello di casa.
Insieme alla mia amica mi sono immersa in una vasca
di cemento contenente l’acqua che dicono venga
direttamente da sotto i piedi della Madonna della
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Francia
Grotta. L’acqua era talmente fredda che la mia amica
è stata male; io, invece, stavo benissimo, anche se
quando mi hanno fatto spogliare mi vergognavo un
po’. Il viaggio è filato liscio, tutti siamo stati contenti,
a parte tre signore di Brescia che dicevano «Be’, tutto
qui? Ma che cosa ci sarà mai da vedere?». Mi veniva
da rispondere «Cosa vi aspettavate di vedere, dei
ragazzi nudi?!».
Evelina Bernardelli - 88 anni
A diciotto anni sono andata a Parigi. Abitavo a Rue
Royale, vicino all’obelisco, alla Tour Eiffel e al museo del
Louvre. L’ho visitato, c’era la Monna Lisa!
Ci sono stata per sei mesi, facevo la cameriera personale
di una signora. Questa famiglia aveva una casa anche
a quindici chilometri da Parigi e abitavamo là per la
maggior parte del tempo. Aiutavo anche a tenere la
contabilità. Andavo spesso a Parigi con un’altra ragazza,
anche lei a servizio presso una famiglia.
Mi piaceva tanto Parigi: le Prinptemps era un grande
magazzino dove ho comprato souvenir. Il Royale era il
posto che mi piaceva di più perché alloggiavano molte
persone famose che andavano anche a farsi i vestiti, c’è
andato pure Fernandel. Ai miei diciotto anni la famiglia
in cui ero di servizio mi ha regalato due vestiti nuovi.
Ero trattata bene, ma avevo nostalgia di casa…
Parigi come città era bella, ma non mi piaceva la confusione, e neanche il modo di vivere, perché le donne
cambiavano moroso un po’ come si cambiano le scarpe.
La famiglia presso cui lavoravo si occupava di pubblicità,
erano facoltosi. La figlia della famiglia scriveva al Figaro.
Ho imparato molte cose, anche a servire a tavola.
Graziella Mattioli - 70 anni
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Croazia
Sono nata in Dalmazia a Spalato, ma ricordo poco
di quei posti. Tanti anni fa mia sorella mi mostrò alcune
fotografie della mia città natale, così ho potuto vedere
com’era.
A tre anni sono scappata a Fiume perché sono arrivati
i croati. Lì mio papà cominciò a lavorare. Gli operai del
cantiere dove lavorava mi hanno regalato un agnellino,
poi quando ci siamo trasferiti l’abbiamo regalato.
A Fiume abbiamo cambiato tre appartamenti. Nel 1930
la mia casa aveva già l’ascensore, perché nella zona
c’era già comodità. Il papà parlava ben cinque lingue.
Frequentavo la parrocchia a Fiume, non era tanto lontana da casa. Andavo con un’amica. Andavo anche a
catechismo e non bisognava perderlo altrimenti il
parroco ci sgridava. Mi sono anche sposata in quella
parrocchia lì.
Dora Rizzardi - 86 anni
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Argentina
Germania
Sono nata a Vallà di Riese Pio X. I luoghi che
più ricordo sono la mia casa e la chiesa. Me la
ricordo bene la chiesa perché è lì che i ragazzi ci
incontravano, ed era emozionante andare a messa.
Se a un ragazzo piacevi, ti portava la sedia e si accomodava vicino a te. Questo ovviamente ti rendeva
felice, ma attirava molte invidie.
A diciassette anni sono partita con la mia famiglia.
Mio padre non ce la faceva più e decise di portarci
via tutti. Ricordo il viaggio, lungo e pieno di disagi.
Ci siamo trasferiti a Pergamino, una piccola cittadina dell’Argentina. Eravamo più italiani che argentini a Pergamino, e noi frequentavamo soprattutto
italiani. E infatti anche mio marito era un italiano
trasferitosi lì. Anche le nostre abitudini erano italiane, anche se poi con il tempo ci siamo adattati.
A Monaco sono stato tre volte all’Oktoberfest,
grandissima festa della birra. La parte più interessante è l’inaugurazione: sfilano i carri delle aziende
produttrici della birra e ognuno è vestito alla tirolese. Le persone vanno lì a mangiare e a bere e tutti
sono ubriachi, ma non c’è neppure una rissa, sono
tutti amici. Ho mangiato lo stinco di maiale e vitello.
A mio parere la migliore produttrice di birra è la
Paulaner.
Lucia Vigo - 83 anni
Austria
A causa della guerra il lavoro alle fornaci si era
fermato, così sono andato a lavorare in Austria. Ci
ero andato anche prima, e una volta anche fino a
Bolzano, e in un ufficio mi hanno dato diversi indirizzi ai quali ho inviato una lettera di richiesta. Mi
hanno risposto dandomi tutti i connotati. Così ho
fatto il sacco e me ne sono andato, anche se mio
papà non voleva. In questo paese austriaco era
stata bombardata la stazione ferroviaria e io avevo
il compito di smantellarla con il piccone e la mazza,
tirando giù il tetto. Ci sono stato due mesi, poi sono
ritornato a Contarina per lavorare alle fornaci.
Carlo Gazzignato - 88 anni
Gabriele Marangoni - 73 anni
Olanda
Quello che mi è rimasto più impresso è una
cosa che ho visto in Olanda. Ero andata là quattro
giorni per fare i denti e ho visto il mare ghiacciato;
non ci crede nessuno se lo racconto, ma c’era il
ghiaccio spesso fin sulla riva. Io non l’avevo mai
visto, ma mi ricordo bene che era un fenomeno che
faceva impressione, non ho mai visto un lavoro del
genere. C’era un cimitero a picco sul mare, in alto,
e anche l’aeroporto, che io non avevo mai visto,
sembrava sommerso.
Questo è un posto che se anche non ha ricordi
affettivi, mi è rimasto e voglio raccontare; perché
per me è un ricordo e perché sono andata all’estero
e perché nessuno qui lo ha mai visto.
Olga Martini - 93 anni
Spagna
Mi è rimasto impresso il viaggio che ho fatto
a Barcellona, perché ero già vedova da un pezzo
e l’ho fatto con un mio amico. La città è molto bella,
ha dei palazzi alti, lavorati. La sera andavamo a
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ballare, perché vicino c’era un ballabile, e ballavamo
tanto... Chi l’avrebbe detto che le gambe mi avrebbero abbandonato! Erano bei tempi, non avevamo
le comodità negli spostamenti ma sapevamo apprezzare le piccole cose, e secondo me eravamo
anche più felici.
Ricordo che facevamo delle escursioni nei posti
vicini; il mare, il sole e la brezza rendevano i momenti unici. Mi sembra ancora di vederli.
I momenti più belli sono quelli che passano subito
e che però ritornano e sembra di viverli ancora.
Pierina Repetti - 79 anni
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Kenya. Mi è molto piaciuta l’esperienza del safari.
Ho fatto anche qualche crociera. Ma preferivo viaggiare in aereo, mi sentivo più sicura.
Ho deciso di non sposarmi, nonostante avessi i
corteggiatori, ero bella da giovane. Insomma non
ho nulla da aggiungere di più della mia vita che,
se posso dirlo, è stata abbastanza interessante e
travolgente. Non mi sono privata di nulla! Adesso
sono vecchia e non mi dispiace per l’età, ma per le
condizioni e restrizioni che questo comporta e
limita il mio spirito libero.
Andreina Merlo - 86 anni
Viaggi di nozze e altri viaggi
In viaggio di nozze sono stata a Firenze e a
Roma. Siamo partiti con il treno e siamo arrivati a
Firenze dove siamo rimasti per un giorno. Abbiamo
visitato gli Uffizi e Piazza della Signoria. Dopo siamo
arrivati a Roma, dove ci siamo fermati per sette
giorni. Abbiamo visitato il Colosseo, Piazza di Spagna, la Fontana di Trevi. Siamo andati dal Papa che
ci ha dato una corona e abbiamo fatto la Scalinata
Santa in ginocchio.
Sono stata molto contenta di questo viaggio, solo
che, quando siamo ritornati a casa, abbiamo trovato
allagato dappertutto perché mentre eravamo via
era piovuto molto e l’acqua era entrata in casa da
un buco nel tetto!
Anna Lambertini - 77 anni
Mi piaceva molto viaggiare, ero un’anima libera. Ho conosciuto quasi tutta l’Italia e l’Europa. Mi
è piaciuta soprattutto la Francia, in particolare
Parigi e il paesino dove c’erano i Castelli della
Loira, dove sono ritornata parecchie volte.
Sono andata in America, in Russia, in Africa, in
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Ringraziamenti
Si ringraziano le strutture che hanno partecipato alla pubblicazione: C.R.A. “Villa delle Ginestre”, Castelnovo
ne’ Monti (RE); C.P. e C.D. “Correggio”, Correggio (RE); C.P. “Villa Minozzo”, Villa Minozzo (RE); R.S.A.
“Luisa Guidotti”, Fabbrico (RE); R.S.A. “Al Parco”, Scandiano (RE); “I Ronchi”, Castelnovo ne’ Monti (RE);
C.R.A. “Ellenio Silva”, Bobbio (PC); C.R.A. “Alta Val Nure”, Farini (PC); C.P. “Villa Verde”, Ancarano di
Rivergaro (PC); C.P. “Norge”, Roccabianca (PR); Residenza “Al parco”, Monticelli Terme (PR); C.P. “San
Camillo”, Piacenza; “Villa Teruzzi”, Concorezzo (MB); R.S.A. “Il Poggio”, Casteggio (PV); R.S.A. “Mons.
Luigi Novarese”, Palestro (PV); R.S.A. “Lainate”, Lainate (MI); R.S.A. Baroni Milano; R.S.A. “Quarenghi”,
Milano; R.S.A. “Via Ornato”, Milano; R.S.A. “Dott. Mario Leone”, Mesero (MI); R.S.A. “Villa Elvira”, Santa
Maria della Versa (PV); C.S.A. “Villa Imperiale”, Galliera Veneta (PD); C.S. “Villa Tamerici”, Porto Viro (RO);
C.S.A. “Valgrande”, Sant’Urbano (PD); Centro Polifunzionale “Papa Giovanni Paolo II”, Lugagnano (VR);
R.S.A. “Felicia”, La Spezia; R.S.A. “Sabbadini”, Sarzana (SP); “Residence degli Ulivi”, Podenzana (MS).
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Un ringraziamento speciale agli anziani che hanno donato le loro storie e in particolare:
Eleonora Borlenghi, Stefania Pogliani, Rosalina Saccani, Uber Cavalletti, Vanda Lavezzi, Ida Alberici, Giuseppe Allievi,
Irene Amori, Giuditta Antonioni, Francesca Apolloni, Angela Aramini, Adriana Ariobelli, Emilio Bacci, Mario Bagnoli, Luisa
Baldassini, Rita Baldassini, Marcello Baratella con la moglie Teresa, Adele Baria, Teresa Barisone, Anna Barna, Bruno
Battini, Sergio Bellan, Gina Bellutti, Evelina Bernardelli, Dirce Bernardi, Lidia Bertagnini, Aldina Biagioni, Andreina Biselli,
Alessandro Boaretto, Iride Bognetti, Angela Boioli, Giuseppina Boldissoni, Bruna Bologna, Lidia Bonanni, Giulio Botti,
Crimene Businaro, Carlo Buzzini, Giuseppe Calvi, Vittorina Campi, Luigia Canevari, Giovanni Canola, Gabriella Canovi,
Ida Canovi, Ottavio Capelli, Oreste Caprara, Sorisa Capuzzo, Gabriella Carini, Elena Cariolato, Paolo Carnevali, Valeria
Carnovali, Armando Casari, Maria Casella, Giulia Castellaro, Natalina Castelli, Rina Castello, Maria Castenedoli, Maria
Cattivelli, Angela Cattoni, Paolo Ceragioli, Enrico Cerretti, Giuseppe Cervetti, Piera Chiappini, Cesare Citterio, Alide Coli,
Lina Colombo, Rosa Colombo, Antonina Comasri, Lia, Angela Conte, Clite Corghi, Nora Corsini, Anna Covini, Maria
Cucchiara, Aldo Dabusti, Silvano Darcosti, Rina Davoli, Nina De Cesare, Maria De Maria, Francesco De Nittis, Alessandra
Defilippi, Riccardo Del Monte, Giovanna Didonè, Sergia Duranti, Edda Fabbricotti, Luigi Faccini, Ida Faccioli, Ermete
Fantelli, Bruna Ferrari, Carmen Ferrari, Severino Ferrari, Elio Ferretti, Nice Ferretti, Olga Ferri, Argentina Ferro, Luigina
Ferruda, Alessandro Francescon, Mafalda Fresco, Angela Frigerio, Alfredo Fugazza, Rosanna Foroni, Lorenzina Fumagalli,
Teresa Gambarini, Gina Gardellini, Luigi Gasparetto, Carlo Gazzignato, Lidia Ghelfi, Giovanna Carrara, Luigi Giacopazzi,
Elda Giampellegrini, Letizia Gianesin, Maria Giannarelli, Antonio Giorgino, Miranda Giovanacci, Annita Guglielmi, Venerio
Guidetti, Bruno Iemmi, Pierina Levani, Anna Lambertini, Gaetano Livi, Robi, Carla Locardi, Giuseppina Lombardi, Emma
Lusuardi, Laura Mastini, Carlo De Maestri, Maria Magnani, Giulia Maini, Gabriele Maioglio, Sarj Malnis, Mario Manenti,
Tolmina Marangon con il marito Claudio, Gabriele Marangoni, Elisa Marchiori, Olga Martini, Rosa Maschi, Margherita
Massenza, Graziella Mattioli, Nicolò Mazzone, Loreta Menichetti, Tersilla Mercati, Ermanno Meriggi, Andreina Merlo,
Angelina Meroni, Corina Milan, Maria Miotto, Fausto Molla, Laura Mongelli, Luisa Mongini, Bruna Montanarini, Giovanna
Mori, Angela Morisi, Andrea Moroni, Marco Nazarri, Filippa Nicosia, Andreina Olivieri, Laura Orlandini, Carla Maria Paini,
Esite Palazzoni, Luigi Panigli, Rita Parmigiani, Giulio Penna, Claudia Perini, Mauro Perioli, Emma Perissinotti, Salvatore
Piazzolla, Giuseppe Picchiò, Vittorio Poggi, Lino Pontarolo, Giuseppina (Geppa) Ponti, Maria Porcedda, Genoveffa Pozzato,
Giovanni Prisciandaro, Don Olimpio Raggi, Maria Ratti, Romilda Ravazzolo, Ferdinanda Rebolini, Don Rebuffi, Angela
Redaelli, Nataly Redaelli, Pierina Repetti, Lina Reposi, Cecilia Riccardi, Dora Rizzardi, Beatrice Sacchi, Maria Saggio,
Graziella Salterini, Giuseppe Savalli, Antonia Savogin, Lina Scaglia, Giuseppina Scapini, Loredana Schiavi, Livia Schieppati,
Margherita Sibillini, Ester Soglio, Egle Stabellini, Lucia Toffanin, Mario Tomaselli, Mara Toracca, Maria Valente, Enrico
Valla, Irma Vallenari, Lorena Vascelli, Clarice Venturi, Giovanni Vercesi, Franca Verzè, Lucia Vigo, Fortunata Villa, Franceschino
Virdis, Carla Virpo, Bruna Zenezini, Vittorio Zambonini, Gemma Zampini, Francesca Zannellotti.
Si ringraziano inoltre tutti gli animatori, educatori e i referenti di Area dell’Animazione e Terapia Occupazionale per la
raccolta delle testimonianze.
Progetto a cura di Dina Bonicelli, Direttore Tecnico Area Assistenziale Coopselios.
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Finito di stampare in dicembre 2015
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