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Celiachia
Nuove frontiere dell'endoscopia
nella diagnosi di malattia
celiaca: la videoregistrazione
con capsula
La celiachia nelle Marche:
analisi di una casistica di 24 anni
The safe threshold for gluten
contamination in gluten-free
products.
Can trace amounts be accepted
in the treatment of celiac disease?
La soglia di sicurezza della
contaminazione di glutine
nei prodotti gluten-free.
È possibile accettare la presenza
di tracce di glutine nel
trattamento della celiachia?
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ws
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Questo inserto
può essere utile
al tuo medico
A cura del prof. Carlo Catassi
Consulente Scientifico di Celiachia Notizie
Ennas Sara, de Vitis Italo,UO di Gastroenterologia, Istituto.di Medicina Interna e Geriatria,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Nuove frontiere dell'endoscopia nella diagnosi di malattia
celiaca: la videoregistrazione con capsula
D
a alcuni anni, grazie agli enormi passi avanti compiuti dalla tecnologia
applicata alla medicina, abbiamo a disposizione nuove metodiche in grado di far luce
lungo il percorso, non scevro di difficoltà,
verso la diagnosi di malattie che colpiscono
l'apparato digerente ed, in particolare,
l'intestino tenue; quest'ultimo si configura
infatti come una realtà complessa per indagare la quale, fino ad un recente passato, lo
strumento più valido era rappresentato
dall'esperienza clinica, essendo la gran parte degli esami in uso caratterizzata da valori
di sensibilità e specificità diagnostica piuttosto limitati.
Oggi la clinica, il cui ruolo resta comunque cruciale ed insostituibile - specie in riferimento alle sindromi da malassorbimento
ed alla celiachia - viene supportata dall'integrazione delle moderne tecniche radiologiche ed endoscopiche e, nell'ambito di queste ultime, un apporto di notevole significato è offerto dall' enteroscopia e dall'avvento
della videoregistrazione mediante capsula
a telecamera.
Questa tecnica, che è stata dapprima testata sugli animali 1,2, con l'incoraggiante
raggiungimento di risultati privi di effetti
collaterali, e successivamente sull'uomo, è
basata su una miniaturizzazione tecnologica applicata alle sue componenti elettroniche che va a realizzare il cosiddetto sistema
Given costituito da tre parti fondamentali:
la capsula M2A, il registratore ed un software, detto RAPID, deputato all'interpretazione dei dati.
La capsula M2A, di forma cilindrica (simile ad una comune capsula antibiotica), è
la parte da deglutire, di piccole dimensioni
(26 mm x 11 mm), e contiene una telecamera miniaturizzata dotata di flash, una batteCeliachia news 14
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ria, un trasmettitore ed un'antenna.
3
76
5
5
4 2
3
1.Optical dome
2.Lens
3.Illuminating LEDs
1 4.CMOS imager
5.Battery
6.ASIC transmitter
7.Antenna
Weight 3.7 gr
Fig. 1. Schematic representation of a video capsule3
Essa deve la propria progressione attraverso il tratto gastrointestinale alla sola peristalsi, non necessitando di ulteriore forza
propulsiva per attraversare lo stomaco,
l'intestino tenue ed il colon. Inoltre, data
l'anatomia dell'intestino, non è di fondamentale importanza che la capsula punti in
avanti o indietro, mentre procede 4. Una volta che la trasmissione è terminata, la capsula, monouso, viene eliminata per via naturale e non può essere riutilizzata.
Il registratore funge sia da ricevitore
che da trasmettitore, ha le dimensioni di un
Walkman ed è alimentato da una batteria;
durante l'esame il paziente lo indossa in una
tasca predisposta sulla cintura. Consta di un
ricevitore, un processore e di un hard disk
che immagazzina le immagini, inoltre si
connette a sensori posizionati a livello della
parete addominale. Il corretto funzionamento del registratore è assicurato da una luce blu lampeggiante visibile sulla sua sommità. I dati trasmessi dalla capsula a telecamera sono rintracciati dagli 8 sensori localizzati sull'addome e spediti al registratore
tramite un cavo coassiale flessibile, detto
detector.
Prima di ogni esame i dati del paziente
vengono immessi nel registratore al fine di
una corretta attribuzione del film al paziente stesso. Alla fine della giornata, quando il
registratore viene disconnesso dal paziente,
il film può essere scaricato sul computer,
operazione che richiede per completarsi un
tempo di poche ore, durante il quale però il
computer non può svolgere altre funzioni.
Il computer dedicato è atto ad immagazzinare, mostrare le immagini ed i filmati acquisiti dalla videocamera e facilitare la reda-
4
zione del referto medico, che deve riportare
una descrizione dettagliata ed accurata dei
vari tratti esaminati. A questo scopo è disponibile un software, chiamato RAPID,
che viene connesso al processore. Le immagini ottenute dalla capsula vengono compattate e trasformate in un filmato della durata approssimativa di un'ora, che può essere esaminato e revisionato a velocità variabile e le immagini interessanti o patologiche possono essere evidenziate e discusse.
I pazienti devono astenersi dall'assunzione di cibi liquidi o solidi per almeno 8
ore prima di ingerire la capsula. La somministrazione cronica di farmaci può essere
mantenuta, purché non venga rallentato lo
svuotamento gastrico (es. Ca-antagonisti).
Il giorno precedente la procedura i pazienti
si sottopongono a preparazione intestinale,
2 litri di polietilenglicole, secondo le linee
guida elaborate dalla ESGE (European Society of Gastrointestinal Endoscopy) che alternativamente possono essere assunti il
giorno dell'esame almeno 2-3 ore prima
dell'ingestione della capsula 5. Una buona
toilette intestinale permetterebbe infatti di
ottenere immagini migliori, con particolare
riferimento all'ileo terminale. Attualmente
non vi sono ancora studi controllati che sostengano quest'atteggiamento.
A questo punto la capsula viene rimossa
dal proprio involucro ed immediatamente
inizia a lampeggiare, viene passata per pochi secondi sulla superficie dell'addome per
controllare che il registratore sia in funzione e questo è assicurato dalla luce blu lampeggiante visibile sulla sommità del registratore stesso. Una volta che sia stato accertato il corretto funzionamento del sistema, la capsula può essere ingerita con
l'aiuto di un bicchiere d'acqua. Il paziente
da questo momento può lasciare l'ospedale,
andare a casa o al lavoro; può bere approssimativamente due ore dopo l'ingestione della capsula, mangiare uno snack leggero dopo circa quattro ore, deve evitare attività fisica durante l'esame, in quanto una profusa
sudorazione potrebbe compromettere
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l'integrità dei sensori addominali, e deve
prestare attenzione ed annotare ogni eve-
precauzione in caso di sospetta stenosi intestinale, fistole e disordini della deglutizione. Dati recenti suggeriscono che il segnale
radio della capsula non interferisca con pacemakers cardiaci (la presenza dei quali, come di altri presidi medici impiantabili elettrici, costituisce ancora una controindicazione relativa all'esame). Nei pazienti portatori di pace-maker l'esame endoscopico
con videocapsula può essere effettuato con
un monitoraggio stretto del pace-maker
stesso; se un paziente è disfagico o ha subito un intervento chirurgico, la capsula può
essere posizionata all'interno dello stomaco, nel primo caso, e nell'ansa efferente, nel
secondo caso 3.
Non è stata valutata la sicurezza della videocapsula in gravidanza, tuttora altresì
controindicazione relativa.
Secondo precedenti osservazioni la presenza di disordini psichici controindica
l'esame in maniera assoluta.
I vantaggi apportati dalla videocapsula comprendono:
! la possibilità di visualizzare l'intero intestino tenue;
! lo svolgimento dell'esame in maniera sicura ed indolore;
! l'assenza di limitazione all'usuale attività
quotidiana.
Gli svantaggi invece si riassumono nei
seguenti punti:
! difficoltosa identificazione della sede precisa in cui vengono osservate le lesioni;
! eventualità che una lesione singola possa
apparire multipla, a causa della frequente
propulsione retrograda della capsula;
! possibile fallimento nell'identificazione
delle lesioni;
! immagini talvolta non ottimali (specialmente in caso di scarsa toilette intestinale);
! presenza di immagini patologiche multiple (molte di queste non sono specifiche o
il loro potenziale patologico è indefinito);
! valore solo diagnostico dell'esame.
In futuro tuttavia la gran parte di questi
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problemi potrà trovare una risoluzione, ad
esempio il sistema RAPID è già in grado di
sua sensibilità e specificità devono essere
ancora esattamente definite in accordo alle
varie indicazioni e analogamente dovrebbero essere standardizzate le corrette indicazioni e controindicazioni per le quali non
si va ancora oltre linee guide peraltro non
estese a livello mondiale. Dovrebbero essere stabiliti il guadagno diagnostico, rispetto
alle comuni procedure, così come il punto
di vista farmaco-economico 3,25 ed inoltre sarebbe utile accertare quali sono i quadri normali e quali i patologici, determinare la modalità di preparazione all'esame e sviluppare una maggiore abilità nell'identificare la
sede di una lesione, con lo sviluppo di un appropriato supporto tecnologico. Resta da verificare la riproducibilità dell'esame, che ripetuto in uno stesso paziente a distanza di
qualche tempo teoricamente potrebbe non
dare gli stessi risultati, e questo sarebbe dovuto a diversi fattori: variabilità biologica,
correlata alla malattia, o variabilità della registrazione dell' immagine.
Per risolvere esaurientemente tutte le
questioni sopra citate e per conferire validità all'esame bisognerà basarsi su trials clinici controllati 3.
Intanto l'impegno è volto anche a cimentare nuove possibilità tecnologiche: in
studi sperimentali è stata usata l'elettrostimolazione per muovere capsule endoscopiche, a suggerire che è possibile un controllo robotico remoto 26 e per la prima volta
immagini senza filo del tratto gastrointestinale sono state trasmesse da un endoscopio
guidato roboticamente 27.
Il futuro in fondo non è poi così…lontano!
Bibliografia
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wireless capsule endoscope. Endoscopy 2000;
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2.Appleyard M, Fireman Z, Glukhovsky A et
al. A randomised trial comparing wireless
capsule endoscopy with push enteroscopy
for the detection of small-bowel lesions. Gastroenterology 2000; 119 (6): 1431-1438.
3.Riccioni ME, Foschia F, Mutignani M, Perri
6
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V, Tringali A, Costamagna G. Small bowel
exploration with video capsule endoscopy.
cal Application of Video Capsule Endoscopy. Scand J Gastroenterol 2003 (Suppl
239) 24-8.
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Issues Emerg Health Technol 2003 Dec;
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27.Swain P, Mosse CA, Burke P, et al. Remote
propulsion of wireless capsule endoscopes.
Gastrointest Endoscop 2002; 55: Ab88.
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B. Kienberger, C. Pettinari, M. Marigliano, G. D'Angelo, C. Catassi
Dipartimento di Scienze Materno Infantili, Università Politecnica delle Marche, Ancona
La celiachia nelle Marche: analisi di una casistica di 24 anni
N
egli ultimi anni si è assistito ad un notevole interesse nei confronti della
malattia celiaca (MC), soprattutto per quanto riguarda gli aspetti epidemiologici e clinici. Numerosi studi hanno ormai documentato non solo la elevata prevalenza di tale affezione (circa 1 caso ogni 130 - 300 individui), ma anche il suo notevole polimorfismo clinico. Infatti, accanto ai quadri cosiddetti “tipici” (ovvero ad esordio precoce e
caratterizzati principalmente da sintomi intestinali), sono state individuate anche forme cosiddette “atipiche” (esordio generalmente tardivo e presenza di disturbi extraintestinali, quali l'anemia con o senza sideropenia, la bassa statura, il ritardo dello sviluppo puberale) o addirittura silenti 1-3. Il riconoscimento di questa eterogeneità clinica è stato possibile grazie alla disponibilità
ed alla diffusione nella pratica clinica di test
sierologici semplici ed affidabili, quali gli
anticorpi antigliadina di classe IgA ed IgG
(AGA-IgA e AGA-IgG), seguiti dagli anticorpi antiendomisio di classe IgA (EMAIgA) e, più recentemente, dagli anticorpi anti-transglutaminasi tissutale umana di classe IgA (anti-tTG IgA). Tali indagini sierologiche hanno altresì consentito l'attuazione
di programmi di screening di massa, al fine
di valutare la reale prevalenza della MC nella popolazione generale (ad es., donatori di
sangue, studenti) e nei cosiddetti gruppi “a
rischio” (familiari di primo grado di pazienti celiaci, soggetti con diabete mellito insulino-dipendente, sindrome di Down) 3-4. Per
tali gruppi a rischio, è emersa inoltre la possibilità di determinare anche dal punto di vista genetico la predisposizione alla malattia, con lo studio del genotipo HLA (DQ2 e
DQ8). Alla luce di quanto sopra, la MC è stata paragonata ad un iceberg, la cui parte
emergente, e quindi facilmente individuaCeliachia news 14
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bile, è rappresentata dalle forme classiche o
tipiche, mentre i quadri atipici o addirittura
silenti costituiscono la parte sommersa 1, 5.
Lo sviluppo di nuovi test diagnostici, nonché la maggiore consapevolezza del polimorfismo clinico della MC, ha contribuito
all'aumento delle diagnosi di questa patologia in anni recenti. Tuttavia, a fronte di numerosi studi che denotano l'elevata prevalenza della MC nella popolazione generale,
pochi sono i dati sull'andamento
dell'incidenza dei casi che vengono diagnosticati su base clinica.
Lo scopo primario di questo lavoro è stato quello di indagare retrospettivamente la
frequenza delle diagnosi di MC in tutti i soggetti giunti alla osservazione presso il nostro Istituto durante gli ultimi ventiquattro
anni (dal 1980 al 2003). Quale obiettivo secondario, abbiamo altresì valutato la modalità di espressione clinica della MC in relazione soprattutto alla sua evoluzione nel
tempo.
Pazienti e metodi
!È stato effettuato uno studio retrospettivo
di tutti i casi di malattia celiaca diagnosticati presso la Clinica Pediatrica di Ancona
nell'arco degli ultimi ventiquattro anni
(Gennaio ‘80 - Dicembre ‘03). Ciascun soggetto arruolato è stato considerato come celiaco se la diagnosi era stata effettuata secondo i seguenti criteri diagnostici :
! positività anamnestica o rilevata durante
la valutazione ospedaliera degli AGAIgA ed IgG, degli EMA-IgA o anti-tTG
IgA;
! esame istologico del frammento bioptico
di mucosa duodeno-digiunale compatibile con un quadro di malattia celiaca sulla
base dei criteri ESPGAN 3.
Per ciascun soggetto incluso nell'indagine sono stati presi in considerazione i
seguenti parametri:
a) demografici (sesso, regione di provenienza, data di nascita, familiarità positiva
per malattia celiaca, età al momento della
diagnosi);
12
b) clinici (quadro clinico di esordio, presenza di eventuali patologie correlate alla
MC);
c) bioumorali (emocromo e metabolismo marziale, immunoglobuline sieriche di
classe A, transaminasi, AGA-IgA ed IgG,
EMA-IgA, anti-tTG IgA);
d) strumentali (biopsia intestinale).
Tutte le informazioni anamnestiche, cliniche, bioumorali ed istologiche relative a
ciascun paziente arruolato nello studio sono state ottenute mediante revisione delle
cartelle cliniche, individuate mediante uno
specifico codice identificativo in relazione
alla diagnosi posta al momento della dimissione. Per quanto riguarda la modalità di
presentazione clinica della MC, questa è stata suddivisa in 3 forme principali:
1) tipica, ovvero tutti quei casi ad esordio generalmente precoce e caratterizzati
principalmente dalla presenza di sintomi gastrointestinali (diarrea, arresto e/o calo ponderale, vomito, distensione addominale);
2) atipica, ovvero tutti quei soggetti con
sintomi prevalentemente extra-intestinali
(anemia con o senza sideropenia, bassa statura, ritardo dello sviluppo puberale, ipertransaminasemia persistente idiopatica);
3) silente, ovvero tutti quei pazienti completamente asintomatici ed individuati a seguito di indagini di screening. I risultati
emersi da questo studio possono, almeno in
parte, essere considerati rappresentativi della realtà marchigiana, dato che la Clinica Pediatrica dell'Università di Ancona costituisce il centro di riferimento principale presso il quale afferisce la maggior parte dei soggetti residenti nella regione con sospetto diagnostico di MC. Sulla base dei dati relativi
al numero delle diagnosi effettuate per anno
presso questa Clinica e dei dati ISTAT relativi al numero dei nati vivi per anno, è stato
possibile risalire alla incidenza annuale della celiachia nella Regione Marche.
Risultati
Il numero totale di pazienti affetti da
MC dimessi dalla Clinica Pediatrica di
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Fig. 1. Età media di diagnosi per triennio
età media di diagnosi
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
80-82 83-85 86-88 89-91 92-9495-97 98-00 01 03
anni
età media di diagnosi
Dal punto di vista clinico, 240 soggetti
(69%) presentavano all'esordio una forma
tipica, 70 (20%) una forma atipica o extraintestinale e 41 (11%) una forma silente.
Dei 240 soggetti che hanno manifestato la
forma classica ad interessamento prevalentemente gastrointestinale 33 (13.7%) hanno avuto un esordio tardivo della malattia,
oltre il terzo anno di età.
Nelle forme atipiche sono stati riscontrati all'esordio i seguenti segni e/o sintomi:
7 pazienti (7%) presentavano bassa statura,
9 pazienti (10%) stomatite aftosa ricorrente, 5 pazienti (5%) ipertransaminasemia isolata, 3 pazienti (3%) dermatite erpetiforme,
27 pazienti (29%) anemia con o senza sideropenia, 25 pazienti (27%) dolore addomi-
nale ricorrente, 2 pazienti (2%) ipoplasia
dello smalto dentario, 7 pazienti (7%) stipsi
ed infine 9 pazienti (10%) ritardo puberale
(Fig. 2).
Fig .2.
Distribuzione segni/sintomi nella forma atipica di MC
10% 7%
10%
7%
2%
5%
3%
27%
Bassa Statura
Ipertransaminasemia isolata
Dolore addominale
ricorrente
29%
Stomatite aftosa
ricorrente
Anemia con o
senza sideropenia
Ipoplasia dello
smalto dentario
Dermatite
erpetiforme
Stipsi
Ritardo
puberale
Per quanto riguarda l'andamento della
variabilità clinica della malattia, sebbene la
comparsa della forma atipica e silente siano
da far risalire rispettivamente agli anni
1988 e 1993, deve essere comunque riconosciuta la netta predominanza delle forme tipiche su quelle atipiche e silenti nel corso
degli anni fino al 2001. Nell'ultimo biennio
si è invece assistito ad una riduzione del numero di forme tipiche con rispettivo incremento delle forme atipiche e silenti, raggiungendo quasi una equivalenza nel numero di diagnosi (Fig. 3).
Fig. 3.
Andamento delle forme cliniche negli anni
100
90
80
70
60
% 50
40
30
20
10
0
19
8
19 0
82
19
84
19
86
19
88
19
90
19
92
19
9
19 4
96
19
98
20
00
20
02
Ancona negli ultimi ventiquattro anni dal
1980 al 2003 è risultato pari a 351 soggetti,
236 femmine (67%) e 115 maschi (33%)
con un rapporto femmine/maschi di circa 2
a 1. Di questi, 282 (80%) erano marchigiani
e 69 (20%) provenienti da altre regioni.
Considerando adulti i soggetti con età alla diagnosi superiore a 18 anni, il numero di
questi ultimi è risultato essere pari a 8
(2.3%) mentre quello dei bambini pari a
343 (97.7%). Dell'intero campione l'età media alla diagnosi è stata stimata pari a 5.9 anni (range 4 mesi - 60 anni). In particolare, di
tutti i soggetti con MC, 109 (31%) avevano
un'età alla diagnosi compresa tra 0 e 2 anni,
96 (27%) tra i 2 e i 5 anni, 75 (22%) tra i 5 e i
10 anni ed infine, 71 (20%) oltre i 10 anni.
La Fig. 1 riporta l'andamento nel tempo
dell'età media alla diagnosi (in anni).
anni
TIPICA
ATIPICA
SILENTE
Da una distribuzione triennale delle forme atipiche e silenti su quelle tipiche (A +
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S) / T si è constatato un trend in ascesa costante negli anni, con il raggiungimento
nell'ultimo triennio della sostanziale parità
tra il numero di forme atipiche e silenti e il
numero di forme tipiche (Fig. 4).
Discussione
80
-82
83
-85
86
-88
89
-91
92
-94
95
-97
98
-00
01
03
(A+S)/T
Fig. 4. Trend triennale di (A+S)/T
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0
anni
(A+S)/T
Dei 25 bambini (7.1%) di cui è stata constatata la presenza di familiarità per MC, 10
soggetti erano totalmente silenti e sono stati
riconosciuti solo grazie alle indagini di screening. E' stata, inoltre, riscontrata la presenza di patologie correlate ad MC in 30 bambini (8.5%). Tra queste si è valutata la presenza di porpora trombocitopenica idiopatica in 2 pazienti, di deficit di IgA in 9 pazienti, di sindrome di Down in 3 pazienti, di
fenomeno di Raynoud in un solo paziente,
di fibrosi cistica in un solo paziente, di diabete di tipo I in 3 pazienti, di epilessia con e
senza calcificazioni cerebrali in 2 pazienti,
di alopecia in 3 pazienti, di tiroidite autoimmune in 8 pazienti, di rettocolite ulcerosa in
un paziente.
Per quanto riguarda l'incidenza di MC
nelle Marche (approssimativa tenendo conto delle diagnosi poste in altra sede regionale), come si evince dalla Fig. 5, il trend appa3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
19
82
19
84
19
86
19
88
19
90
19
92
19
9
19 4
96
19
98
20
00
20
02
80
Incidenza
Fig. 5. Incidenza della MC su 1000 nati vivi
nella regione Marche
19
re in costante e progressiva ascesa, con un
tasso di incidenza che è passato negli anni
1981 2003 rispettivamente da un valore di
0.36 a 2.02 x 1000 nati vivi.
I dati presentati hanno evidenziato un
costante aumento nella incidenza della MC.
In particolare, sulla base del numero delle
diagnosi effettuate nel periodo di tempo
compreso tra il 1980 ed il 1991 è stato possibile constatare un incremento percentuale
annuo pari a circa il 9.7% . Tale dato è verosimilmente da attribuire, oltre che alla maggiore conoscenza della celiachia da parte degli operatori sanitari ed in modo particolare
dei medici di base (siano essi pediatri o medici dell'adulto), anche alla diffusione nella
pratica clinica di uno dei primi test sierologici per la MC: gli AGA di classe IgA e di
classe IgG. Dal 1991 al 2000, l'incremento
nel numero delle diagnosi di celiachia è divenuto ancora più accentuato rispetto a quello osservato nel decennio precedente. Questo fenomeno sembrerebbe trovare la spiegazione nella messa a punto e nella disponibilità, proprio nel corso di tale periodo, di
nuovi test sierologici di sensibilità e specificità superiori rispetto agli AGA: dapprima gli EMA di classe IgA e poi gli anti-tTG.
Infine, l'osservazione di una certa stabilità
nella frequenza delle diagnosi effettuate negli anni 1998 - 2000 sembrerebbe indicare
il consolidamento della nuova realtà epidemiologica. Una ulteriore considerazione riguarda l'importanza che questi test hanno
raggiunto nell'ambito dei protocolli di screening di massa per la MC. In questo studio,
ad esempio, l'incremento delle diagnosi poste sulla base delle indagini di screening
condotte nelle scuole della Regione Marche durante gli anni 1993, 1997, 2000 è risultato circa il doppio rispetto al numero dei
casi annui osservati nell'anno precedente e
successivo a tali screening. Tale dato trova
conferma da una indagine condotta nel periodo 1997-1998 in un gruppo di 6127 bam-
anni
14
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bini olandesi sottoposti a screening per la
MC, utilizzando quale test sierologico gli
EMA di classe IgA. I risultati ottenuti da
questo studio hanno evidenziato che 75 su
6127 soggetti erano positivi agli EMA, 57
dei quali sono stati sottoposti a biopsia duodeno-digiunale, indagine che ha consentito
di porre diagnosi di celiachia in 31 casi. Tali
dati hanno pertanto consentito di concludere che la vera prevalenza della celiachia era
superiore rispetto a quanto precedentemente stimata nella stessa area 6. Numerosi sono
i paesi europei con una prevalenza di MC,
documentata attraverso indagini di screening sierologico, pari ad 1:100 1:300 come
l'Irlanda, la Gran Bretagna, la Svezia, e
l'Italia 7. Le stesse indagini hanno altresì documentato come solo una parte minore dei
casi venga diagnosticata su base clinica,
mentre la maggior parte sfugge al riconoscimento. Come riportato ad esempio da
uno studio di screening condotto su donatori di sangue norvegesi mediante
l'esecuzione degli AGA e degli EMA, la prevalenza della MC era risultata pari a 1: 340,
mentre quella relativa ai casi sintomatici
era di 1 : 675 8. Dai risultati del nostro studio
è stato possibile risalire all'incidenza annuale della celiachia nella regione Marche.
È bene precisare che tale valore è approssimativo e rappresenta verosimilmente una
sottostima, poiché altri casi sono stati diagnosticati nella stessa regione presso altri
Centri ospedalieri. Nel ventennio 19812001 abbiamo osservato un trend del tasso
di incidenza in progressivo aumento che si
è poi stabilizzato nell'ultimo biennio (Fig.
5). È comunque da rilevare che una parte
dei casi continuano a sfuggire alla diagnosi,
soprattutto perché paucisintomatici o addirittura silenti sul piano clinico. L' incidenza
relativa all'anno 2003 (1:500) trova conferma da altri studi svolti in Europa 9-10.
Per quanto riguarda l'andamento delle
forme cliniche nel tempo, l'analisi del campione da noi indagato ha evidenziato che le
forme atipiche (prevalentemente extraintestinali) di MC sono state riconosciute a par-
tire dalla fine degli anni 80, mentre i casi ad
esordio silente sarebbero stati registrati solo dai primi anni 90 in poi. Sebbene dunque
sia stata osservata anche negli ultimi anni
una certa predominanza delle forme tipiche
(con prevalenza di sintomi gastrointestinali) di MC rispetto a quelle atipiche e silenti,
tuttavia la stratificazione dei dati su base
triennale ha consentito di individuare un
trend in ascesa nell'ultimo ventennio
(1980-2000), con il raggiungimento della
quasi equivalenza numerica delle forme atipiche e silenti rispetto a quelle tipiche
nell'ultimo triennio (Fig. 4). L'aumento delle diagnosi di forme atipiche e silenti è dovuto sia alla sempre maggiore conoscenza della MC da parte dei pediatri di famiglia che
alla diffusione capillare dell'utilizzo dei test
sierologici in tutta la regione. Questa nuova
realtà ha permesso all' iceberg celiaco di
emergere parzialmente, anche se in base ai
nostri dati (prevalenza 1:150, incidenza
1:500), per ogni bambino a cui viene diagnosticata la celiachia due non vengono tuttora identificati.
Un risultato analogo è stato riportato da
uno studio condotto in Spagna durante gli
anni 1981-1999. I risultati emersi da questa
indagine avevano evidenziato un aumento
significativo del tasso di incidenza da un valore di 6.87/100000 (CI 95%: 5.26-8.83)
nel periodo 1981-1990 ad uno di
16.04/100000 (CI 95%: 12.99-19.59) (p <
0.0001) nel periodo 1991-1999. Dall' analisi dei dati la forma clinica più frequente è risultata essere quella tipica (83.6% negli anni 81-91 - 58.3% negli anni 91-99) anche
se, analogamente al nostro studio, si è verificato un incremento progressivo delle forme atipiche e silenti a dimostrazione di una
sempre maggiore eterogeneità clinica con
cui la celiachia si è venuta manifestando nel
corso degli anni 10.
In conclusione, i dati presentati confermano che la celiachia rappresenta, nella realtà pediatrica italiana, una delle patologie
croniche più comuni in assoluto. È auspicabile che una maggiore conoscenza del poli-
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morfismo clinico di questa affezione renda
sempre più visibile, semplicemente attra-
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in
Collin P, Thorell L, Kaukinen K, Maki M. Department of Medicine and Pediatrics, Tampere University
Hospital and Medical School, University of Tampere (Finland); Arla Foods, Innovation Centre, Stockholm,
Sweden.
The safe threshold for gluten contamination in gluten-free
products. Can trace amounts be accepted in the treatment
of celiac disease ?
La soglia di sicurezza della contaminazione di glutine nei prodotti gluten-free.
È possibile accettare la presenza di tracce di glutine nel trattamento della celiachia?
G
li Autori hanno valutato un gruppo
di soggetti celiaci, bambini ed adulti, in trattamento dietetico da due anni in media. Alcuni di questi pazienti (n=28) introducevano prodotti privi in origine di glutine, mentre gli altri (n=48) assumevano prodotti contenenti amido di frumento. A tutti i
pazienti è stata praticata una indagine dietetica sui consumi di prodotti privi di glutine
del commercio durante 4 giorni consecutivi; in una parte dei casi (n=48) è stata contestualmente eseguita una biopsia intestinale
per la rilevazione dei più sensibili parametri
del danno mucosale (rapporto di altezza villo/cripta e conta dei linfociti intraepiteliali).
Lo studio era completato dalla analisi delle
tracce di glutine, mediante metodo ELISA,
in un campione di prodotti dietetici per celiaci presenti in commercio in Scandinavia
(59 privi glutine in origine e 24 contenenti
amido di frumento).
L'indagine analitica metteva in evidenza che tracce di glutine (> di 20 parti per milione = ppm) erano presenti nel 22% e nel
91% dei prodotti, rispettivamente privi di
glutine in origine o contenenti amido di frumento. La mediana del contenuto di glutine
era minore di 10 ppm nei prodotti privi di
glutine in origine ed attorno alle 20 ppm in
quelli contenenti amido di frumento. Nella
casistica esaminata, il consumo di farine prive di glutine risultava mediamente pari ad
80 grammi al giorno, con una variabilità individuale compresa tra 10 e 300 g. Non veniva riscontrata alcuna correlazione tra il
quantitativo di farine prive di glutine assunte giornalmente ed i parametri istologici di
danno mucosale, sia nei soggetti a dieta con
prodotti naturalmente privi di glutine che in
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quelli contenenti amido di frumento.
Nella discussione gli Autori rilevano
che non è realistico mirare ad una dieta a
contenuto zero di glutine, dal momento che
tracce di glutine possono essere riscontrate
anche nei prodotti che sono in origine privi
di glutine. Sulla base degli studi preesistenti e dei risultati di questo lavoro, dal
quale non si evince alcuna correlazione tra
la quantità giornaliera di farine ingerite e la
struttura della mucosa intestinale, Collin e
collaboratori suggeriscono che il limite accettabile di glutine negli alimenti per celiaci
possa essere fissato a 100 ppm. Tale valore,
nell'ipotesi di un consumo massimale di prodotti dietetici (300 g al giorno), comporterebbe l'assunzione di 30 mg al giorno di glutine, una quantità che gli autori considerano
tollerabile.
Commento. Questo lavoro dell'amico Pekka Collin e colleghi ha suscitato notevole interesse nella comunità scientifica e tra i celiaci poiché, partendo dalla analisi di dati
sperimentali e casistici, introduce il concetto di soglia massima di glutine negli alimenti per celiaci e suggerisce anche un valore per questo limite (100 ppm). Da notare
che tale proposta si differenzia da quella attualmente in discussione da parte della
Commissione Europea del Codex Alimentarius, ancorata al concetto di due soglie diversificate, rispettivamente per gli alimenti
in origine privi di glutine (20 ppm) e per
quelli contenenti amido di frumento (200
ppm). Come è noto, è in corso una indagine
in Italia, sotto l'egida dell'AIC, sul tema della tossicità delle tracce di glutine nella dieta del celiaco. Eviteremo pertanto di commentare la validità del valore-soglia proposto (100 ppm), sperando che il lavoro italiano contribuisca a fare chiarezza sul tema. Ci limitiamo ad osservare le “luci e le
ombre” di questa indagine.
Un pregio di questo lavoro è l'analisi
del contenuto di glutine dei prodotti del
commercio. Finalmente sappiamo quale è
il livello di contaminazione dei dietotera-
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peutici per celiaci, ed apprendiamo che la
differenza tra i prodotti privi di amido di frumento (come quelli in commercio in Italia)
e quelli contenenti amido di frumento (venduti nell'Europa del nord), seppure rimarchevole, non è così spiccata come si poteva
ritenere. Evidentemente il fenomeno della
contaminazione riguarda la “filiera” del
senza glutine in toto, per cui non è sufficiente escludere l'amido di frumento per garantire la totale assenza di glutine nel prodotto.
L'altro vantaggio è la considerazione di entrambe le variabili da cui dipende la quota
di glutine assunta: la concentrazione nel
prodotto alimentare e la quantità di prodotto assunto nel corso della giornata. In altri
termini, l'eventuale effetto lesivo non dipende tanto dalla concentrazione di glutine
nell'alimento, quanto dalla quantità giornaliera assunta. Una tabella molto efficace, nel lavoro di Collin, mostra la conversione dei valori di concentrazione di glutine negli alimenti in quantità assunte giornalmente, in funzione dell'apporto giornaliero di farine senza glutine. Infine, riteniamo che la proposta di una unica soglia, rispetto alle due in discussione attualmente a
livello europeo, debba essere vista con interesse poiché consentirebbe di semplificare
una legislazione alimentare per sua natura
complessa e un po' farraginosa.
Purtroppo, e questo è il limite maggiore
dello studio a mio giudizio, l'indagine di
Collin e collaboratori non offre alcuna riprova in sostegno della validità di una soglia a 100 ppm piuttosto che a 20 o altro valore. Infatti, gli autori si sono limitati a ricercare una possibile correlazione tra il
consumo di farine senza glutine nell'arco di
4 giorni e l'aspetto istologico della mucosa.
Diverse variabili sfuggono al controllo in
questo studio, quali il contenuto di glutine
degli alimenti effettivamente consumati da
questi soggetti in quei 4 giorni, nonché la
scarsa correlazione tra il consumo di 4 giorni e la dieta abituale del soggetto. Non solo,
non risulta che i due gruppi fossero stati formati casualmente, mediante randomizza-
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zione, né che in corso di follow-up sia stata
fatta una verifica della tipologia degli alimenti assunti (con amido di frumento o privi di amido di frumento).
Interessante la proposta del limite di
100 ppm, che dovrà essere “sostanziata”
da altre ricerche, soprattutto dal lavoro italiano precedentemente menzionato, indagine che è ormai prossima alla conclusione.
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I.R.
Associazione Italiana Celiachia