Un giorno da favola

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Un giorno da favola
IL ROMANZO
La vita di Francesca è a un’impasse: a trent’anni non ha smesso di sognare un amore
da favola, ma continua a imbattersi nell’uomo sbagliato, come l’avvocato Christian
Balardini, tanto affascinante quanto arrogante e pieno di sé, incontrato al culmine di
una sciagurata giornata di pioggia. Come se non bastasse, la sua migliore amica l’ha
arruolata come weddingplanner per il delirante progetto di un matrimonio in perfetto
stile regency. Così, in una girandola di avvenimenti, equivoci e un addio al nubilato
degno di un romanzo di Jane Austen, le strade di Francesca e Christian continueranno
a incrociarsi. E se fosse proprio lui il paladino che da tempo dimora nelle recondite
fantasie della nostra eroina romantica?
L’AUTRICE
Fabiola D’Amico è nata e vive a Palermo. Mamma, moglie e sognatrice, scrive per
evadere dalla quotidianità. È autrice di romanzi storici e sentimentali e suoi racconti
compaiono in numerose raccolte e antologie. Un giorno da favola è il primo romanzo
pubblicato con Libromania.
Un giorno da favola
di
Fabiola D’Amico
© 2014 Libromania S.r.l.
Via Giovanni da Verrazzano 15, 28100 Novara (NO)
www.libromania.net
ISBN 9788898562541
Prima edizione eBook luglio 2014
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volontà dell’autore.
Un giorno da favola
Ho conosciuto una saggia quercia,
come l’albero, mi conforta quanto vacillo;
è un’amica sincera e seppur lontana, so che mi vuole bene,
a te Mariagrazia Tommasini dedico questo piccolo racconto.
Il mio cuore batte forte
Quando guardo te
Tu mi hai rubato il cuore
E io so che sei il mio amore
Elena Cinquegrani
Capitolo 1
Brianna sussultò mentre le mani insaponate di lui scivolavano sotto i suoi splendidi
seni. Erano perfetti in quell’acqua calda, pieni, sodi, la carne come raso mentre lui li
coccolava e li accarezzava. Colton si prese il suo tempo, soppesandoli uno alla volta,
sollevando la carne come se volesse saggiare quanto fossero maturi. Quando i
capezzoli s’indurirono contro i suoi palmi, sorrise incapace di trattenersi.
Emma Wild, Lezioni di seduzione
Sicuramente quella non era una delle giornate migliori della vita di
Francesca Galizzo. Appena prima di uscire da casa ecco il primo
imprevisto: una banalissima e fastidiosa smagliatura al collant, nulla
di anormale.
Ovvio che neanche rimanere bloccata in mezzo al traffico inconsulto
causato da un improvviso temporale potesse essere la fine del mondo.
Tanto più che se avesse dato un’occhiata al meteo, lo avrebbe saputo
in anticipo e sarebbe partita prima del previsto, ma l’oculatezza non
faceva parte del suo carattere.
Accidenti! Guardò di sfuggita l’orologio e si disperò: pochi minuti
e sarebbe arrivata in ritardo all’appuntamento di lavoro. E lei odiava
arrivare in ritardo. D’altra parte, ora che era nei guai e non poteva
uscirne, meglio distrarsi e pensare al bacio appassionato che i
protagonisti del libro che stava leggendo si erano scambiati. Già che
c’era poteva leggiucchiare qualche rigo mentre era ferma.
La fila si mosse.
Fortunata come al solito.
Pochi metri dopo, si rese conto di essere quasi arrivata, forse era
meglio posteggiare e proseguire a piedi. Il suo sguardo frugò tra le
macchine alla ricerca di un posteggio. Eccolo!
“ Ehi!” esclamò poco dopo, quando un furbastro le rubò il posto.
Francesca batté la mano sul volante e si chiese stizzita che cosa ci
facesse lei nel ventunesimo secolo; lei che aveva un animo sensibile e
sognava di blasonati gentiluomini.
Sì! Blasonati, belli e intelligenti cavalieri. Insomma gli eroi dei
romance. A volte aveva la certezza di essere stata reincarnata in
un’epoca che le era estranea.
Mentre storceva il naso per l’ennesimo imprevisto della giornata,
rifletté sul fatto che cento anni prima una donna non sarebbe stata
costretta a cercare un posto in cui parcheggiare il suo landò. Qualcuno
lo avrebbe fatto per lei o, laddove fosse stata una di quelle dame piene
di iniziative, avrebbe trovato un uomo che le avrebbe ceduto il posto
per galanteria. Cento anni fa, non certo nel ventunesimo secolo.
Era inutile angustiarsi per qualcosa che non poteva trasformarsi in
realtà. Proseguì imperterrita nella ricerca, dandosi della sciocca poiché
non solo non era scesa dalla macchina per cantagliele di santa ragione,
ma non lo aveva nemmeno insultato come meritava. Perché suo padre
l’aveva cresciuta facendole credere che le femmine non debbano dire
parolacce? Le buone abitudini in certe situazioni sarebbe stato meglio
scordarsele.
Del tutto smarrita in quella riflessione, si avvide del cartello
“ POSTEGGIO A PAGAMENTO” all’ultimo istante.
Con una sterzata degna di un’automobilista imbranata, senza aver
inserito il tasto direzionale, s’immise nel garage.
Alle sue spalle uno starnazzare di clacson.
Le bastò uno sguardo allo specchietto retrovisore per rendersi conto
che un motociclista aveva rischiato grosso con la sua mossa azzardata.
Così, mormorò un mortificato: “ Scusi!”
Inutile, poiché aveva i finestrini chiusi e il poveretto, dopo averle
rivolto i peggiori ingiuri, aveva ripreso la sua strada.
Spense il motore della macchina con un sospiro rassegnato. Al
riparo dalla pioggia e da uomini moderni, si guardò allo specchietto
per dare un’ultima controllata al trucco.
I grandi occhi di un particolare ed espressivo castano erano
evidenziati dalla matita nera e le lunghe ciglia erano ancora più folte
grazie al suo nuovo mascara. Il viso ovale era leggermente colorito da
un piccolo accenno di fard e le labbra carnose erano brillanti per effetto
di un profumatissimo lucida labbra alla fragola. Aveva trent’anni, ma
con lo sbarazzino taglio a caschetto ne dimostrava molto di meno.
Peccato che per mantenere la piega così perfetta dovesse passare la
piastra un’infinità di volte sui suoi capelli castano chiaro.
Diede un nuovo ritocco alle labbra con il pennello del gloss stick e
scese dalla piccola utilitaria. Sulla camicia di raso grigio perla indossò
la giacca del tailleur in tinta, la cui gonna sfiorava il ginocchio e si
apriva in uno spacco poco profondo sul fianco sinistro; un paio di
scarpe décolleté nere, dal tacco medio, completava una mise elegante e
raffinata.
La sobrietà era qualcosa di connaturato in lei, persino quando in
casa girava con vecchi e malconci abiti. Da parte sua non avrebbe
tenuto in gran conto l’aspetto esteriore, ma era consapevole che nella
vita reale l’apparenza contasse più dell’essere. Così, quando aveva un
appuntamento, tendeva a curare l’immagine in modo particolare.
Mentre camminava sicura, non si rese conto dell’occhiata di
apprezzamento che le lanciò il posteggiatore. Era troppo indaffarata a
pescare dalla sua grande borsa il bellissimo ombrello rosso a pois
bianchi rimestando tra l’agenda, il borsello e l’ultimo libro che stava
leggendo, Lezioni di seduzione di Emma Wildes.
La storia l’aveva coinvolta al punto di volerla leggere in ogni
momento libero. In verità, camminava sempre con un libro a portata
di mano, giusto per ingannare il tempo nel caso in cui fosse stata
costretta ad attendere momenti morti tra un appuntamento e un altro;
peccato le accadesse raramente.
Tuttavia, in quel momento la sua mente era concentrata
sull’appuntamento di lavoro. Francesca era una rinomata sessuologa e
quella mattina avrebbe dovuto assistere a un’udienza in un caso di
separazione che aveva dell’incredibile. Non voleva correre il rischio di
sbagliare.
Ogni pensiero su ciò che sarebbe accaduto finì quando si ritrovò
all’esterno. Una folata di vento la investì spingendola verso il
maleodorante ma sicuro garage.
Nei pochi minuti in cui si era trattenuta, il temporale aveva
rafforzato la sua intensità e alla pioggia si era affiancato un vento che
sferzava l’acqua con forza. Sul volto di Francesca il sorriso scomparve,
sostituito da un’espressione grave; afflitta, si guardò le scarpe e pensò
che sarebbe arrivata in tribunale con i piedi a mollo. Armandosi di
coraggio, spostò l’ombrello in diagonale e con la testa bassa
attraversò la strada. Raggiunto l’altro marciapiede, cercò di camminare
sotto i balconi, ma una folata di vento imperioso rovesciò il suo
parapioggia e alcuni raggi si piegarono rendendolo totalmente
inservibile.
Sotto un’indomabile pioggia Francesca guardò l’ombrello e
desiderò piangere; si guardò sconsolata: se aveva considerato le calze
smagliate come un inconveniente, quello che le stava accadendo era un
vero disastro. Un flagello divino. Chiuse l’inservibile ombrello, lo
gettò nel cassonetto vicino e, borsa sui capelli, si apprestò con passo
veloce a percorrere l’ultimo isolato. Ed ecco la ciliegina sulla torta:
contro ogni decenza, un dannatissimo automobilista sfrecciò su una
pozzanghera e l’acqua, alzandosi come un’onda da surf, ricadde dritta
sul fondoschiena di Francesca. Per interminabili secondi, rimase
paralizzata, incapace di credere che tutto quello stesse capitando a lei.
Che male aveva fatto per meritarsi quella sciagura?
“ C’è di peggio” sussurrò il diavoletto sulla spalla sinistra.
“ Potresti scivolare sui gradini del tribunale, fratturarti una gamba e
passare giorni in trazione!”
“ Non dargli retta!” rispose l’angioletto sulla spalla destra.
Zittendo ogni altra discussione interiore, completamente bagnata
fradicia, si diresse, ormai senza alcuna fretta, verso l’entrata principale
del tribunale.
Al riparo dall’imperioso vento e dalla pioggia incessante, ebbe
l’impulso, non proprio umano, di scrollarsi di dosso le gocce
grondanti dai capelli. Guardò con raccapriccio la pozza d’acqua ai suoi
piedi e, mortificata, si allontanò, decisa a raggiungere i bagni per darsi
una sistemata.
Tuttavia, una rapida occhiata al grande orologio la dissuase;
mancavano pochi minuti all’inizio dell’udienza. Il panico sembrò
impadronirsi di lei, per interminabili secondi cercò di prendere il
sopravvento ma anni di studi sulla psicologia lo tennero a bada.
Respirando pesantemente, cercò di autoconvincersi, dicendo a se
stessa: “ Non c’è nessuna ragione di innervosirsi, sarà capitato a molta
gente di ritrovarsi nelle mie condizioni”.
Ignorando il rumore sinistro delle sue scarpe sul pavimento antico
del tribunale, prese l’agenda e lesse il numero della stanza in cui si
sarebbe tenuta l’udienza: diciassette.
“ Oggi la sfortuna ti perseguita!” la prese in giro il diavoletto
sghignazzando.
Ormai al limite della sopportazione, Francesca mise a tacere ogni
voce e, con aria stoica, andò incontro al suo destino.
Christian Balardini, avvocato civilista, era in tribunale dalle otto
del mattino; oltre a due udienze, doveva depositare alcuni decreti
ingiuntivi.
In attesa della prossima causa, sedeva su una scomoda panca, con
una gamba sull’altra, concedendosi il lusso di riflettere.
Da alcuni anni la sua vita aveva subito un radicale cambiamento. Il
lavoro e la famiglia erano diventati il suo unico pensiero.
Niente più notti brave o serate in discoteca a fare le ore piccole da
quando il fratello gemello aveva perso la vita alcuni anni prima. Non
era un uomo che piangeva facilmente, ma ora, spesso, sentiva il dolore
martellargli nel petto. Con fatica, provò a scacciare via quei tristi
pensieri concentrandosi sul caso della giornata. Aprì la ventiquattrore
e prese l’incartamento dei coniugi Canfora: una separazione scomoda e
certamente poco credibile. Il suo lavoro metteva in mostra il lato
peggiore dell’essere umano; rarissime volte lui aveva assistito a
separazioni quiete e indolori, dove la coppia, ormai in frantumi, non
si gettasse veleno per una manciata di soldi. Ingiurie e calunnie
cancellavano con un colpo di spugna anni di vita coniugale, laddove
prima aveva trionfato l’amore.
L’amore! Roba da libri, da romanzi di appendice! Era più che
consapevole che nella vita reale fossero il dio denaro e la trasgressione
a vincere sui valori morali. Quel lavoro e la gente che aveva incontrato
nella vita avevano fatto di lui un uomo cinico e freddo.
Eppure da qualche parte, la fiamma della speranza brillava ancora
tenue, poiché era abbastanza sincero da ammettere con se stesso che
esistevano ancora delle coppie felici. Lo erano stati i suoi genitori,
tuttavia loro erano persone di un’altra generazione. Una generazione
che tentava di recuperare i cocci di un rapporto piuttosto che
frantumarli del tutto, come accadeva in quei giorni.
Nessuna delle donne che aveva frequentato gli aveva mostrato un
interesse sincero per i valori veri della famiglia. Avevano nel sangue il
testosterone, ragionavano come uomini pur mostrandosi avvenenti e
seducenti. Erano brave a letto, ma per il resto erano insensibili. Non
le condannava, in fondo sapeva che nell’epoca in cui vivevano, una
donna doveva tirare fuori tutta la grinta per potersela cavare, ma si
stava oltrepassando il limite.
Non si sarebbe mai sposato con la consapevolezza di divorziare un
anno dopo e, soprattutto, non avrebbe messo al mondo figli col
rischio di poterli perdere per sempre. Quello che cercava in una donna
non era poi così irragionevole: lei avrebbe dovuto essere intelligente,
mediamente desiderabile, passionale, ben disposta a creare una
famiglia, sincera e onesta. Non gli sembrava di chiedere troppo, allora
perché non la trovava?
Si rese conto che il suo pensiero aveva imboccato una strada
scomoda: quella dell’insoddisfazione. Una strada che non era solito
percorrere, preferendo vivere alla giornata senza alcuna illusione.
Guardando le carte, dovette riconoscere che quella causa di
separazione era abbastanza stravagante e subdola. Sì, essere single
aveva i suoi vantaggi.
Un insolito scricchiolio lo distrasse da quegli scomodi pensieri. Il
suo sguardo si soffermò su un paio di décolleté, poi su delle caviglie
tornite e risalì verso il resto della figura femminile che avanzava.
Niente male! Quando i suoi occhi si soffermarono sul viso e sui
capelli, sorrise. Era bella ma fradicia. Il temporale che imperversava
all’esterno doveva averla colta in pieno: l’elegante abito era macchiato
in più parti di fango; i capelli erano bagnati e gocciolavano; sul viso il
mascara era scolorito lasciando strisce nere sulle guance. Christian
ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a un cagnolino randagio, di
quelli che camminano sul ciglio della strada e che ti impietosiscono
tanto da desiderare di portarli a casa, lavarli, coccolarli. Uno di quei
cagnolini che poi ti saltano addosso e ti leccano, scodinzolando felici.
Certo il paragone era poco lusinghiero per la donna in questione –
guai a dirglielo! – tuttavia, quando lei si avvicinò e gli fu possibile
notare la forma del seno e dei glutei, ogni pensiero tenero fu sostituito
da immagini eccitanti. Un interessante gonfiore della sua parte
anatomica preferita lo avvisò che, per la prima volta dopo tanto
tempo, desiderava con intensità una donna.
Nel frattempo, lei aveva poggiato la borsa, anch’essa inzuppata,
sulla panca dove si era seduto ad aspettare; ne aveva estratto un misero
fazzoletto che aveva diviso in due parti e, dopo averlo guardato con
espressione contrita, aveva cominciato a pulire la giacca.
Scuotendo la testa divertito e porgendole un pacchetto di fazzoletti,
lui esclamò: “ Credi davvero che quel miserevole pezzo di carta potrà
ripulirti da quell’impiastro?”
Lei lo fissò con gli occhi castani più belli che avesse mai visto, con
uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo; poi gli strappò dalle mani
il pacchetto e, ignorando ogni forma di ringraziamento, ritornò a
ripulirsi.
Lui, per nulla intimidito, aggiunse ironico: “ Basterebbe che
togliessi la giacca e saresti più presentabile”.
Francesca, non solo non gli rispose, ma evitò persino di guardarlo
con un’altra occhiata del tipo: “ Lasciami perdere, non sono per te!”
In quella tremenda giornata, le mancava essere abbordata da un
arrogante idiota!
“ Sì arrogante, ma anche molto attraente” mormorò il diavoletto
dentro di lei.
“ Ma ti sembra questo il momento di soffermarsi a guardare uno
sconosciuto?” rispose a tono l’angioletto.
“ Ogni momento è buono per guardare, soprattutto in tempo di
carestia!” ribatté dispettoso l’altro.
“ Basta!” intimò Francesca al suo doppio io. A voce alta,
purtroppo.
“ Che caratterino! Cercavo solo di essere gentile” soggiunse lo
sconosciuto, continuando a sorriderle beffardo.
Francesca arrossì e tornò a ripulirsi la giacca.
“ Togliti la giacca! ” scimmiottò dentro di sé. Come se non ci
avesse pensato! Peccato che non potesse farlo. Maledisse la sua
passione per le lingerie sexy e il volerla indossare sotto rigorosi
tailleur. Poteva sentire i capezzoli che, irrigiditi, tendevano il tessuto
leggero della camicia. Avrebbe attirato tutti gli sguardi maschili,
compreso quello di lui che non le toglieva gli occhi di dosso.
Anche lei per la verità continuava a guardarlo con troppa insistenza.
“ Ora che fa?” chiese l’angioletto.
Già perché lui stava tirando fuori dalla borsa delle salviette
umidificate e tendeva il braccio verso di lei?
Dimenticando l’irritazione lo fissò e lasciò che le sollevasse il viso.
Si ritrovò a fissare due occhi neri come la notte più buia. Intorno a lei,
tutto scomparve, rimase solo l’incessante e sonoro battito del cuore,
mentre lui le passava sul viso la salviettina. Francesca si sentì
avvolgere dal suo profumo maschio, dal respiro caldo che le alitava
appena la fronte. Era tanto alto, molto più di lei, che dovette reclinare
all’indietro il collo per poterlo osservare meglio. Lui aveva un viso
mascolino, con la fronte spaziosa, folte e scure sopracciglia, il naso
dritto e la più invitante bocca che avesse mai desiderato baciare.
“ Questo ti bacia!” sospirò estasiato il diavoletto.
Christian aveva agito trascinato da un moto di tenerezza. Lei era
piccola e sembrava fragile, con quel viso imbrattato dal trucco
scolorito. Quasi una lolita, e indubbiamente gli faceva rimescolare il
sangue. Quando cominciò a pulirle il viso, lesse nei suoi occhi il
desiderio e sorrise, sicuro del suo fascino.
Accadde qualcosa di irreale. Il mondo perse spessore... gli sembrò
che fossero avvinti da una nebbia fitta. Erano solo loro due. I passanti
che li superavano e le porte che sbattevano erano solo suoni indistinti.
Il tempo sembrò fermarsi e Christian provò lo stesso urgente
desiderio di lei. Abbassò il capo, la bocca a pochi centimetri da quella
di lei, che le sembrò morbida e invitante.
“ E dai, che aspetti, baciala!” gridò nella mente di Francesca.
La suoneria del telefonino di Chris infranse l’incantesimo.
Ignorandolo, lui disse la prima cosa che gli passò per la testa: “ Ho
una certa esperienza con i visi imbrattati. Camilla si sporca un giorno
sì e uno no. Stai ferma! Ho quasi finito”.
Francesca lasciò che la verità insita in quella frase penetrasse la
cortina di stupore che l’aveva avvolta. Non ci sarebbe cascata di
nuovo, l’aveva promesso a se stessa, tempo prima. Si spostò con
decisione, balbettando un “ Grazie”.
Christian continuò a osservarla sempre più affascinato.
“ Sei qui per la causa Canfora? Non sembri un avvocato!”
Nonostante fosse turbata, Francesca tentò di non darlo a vedere,
però la sua voce le sembrò un po’ stridula quando ribatté: “ Lei,
invece, deve esserlo, visto che non ha smesso un attimo di parlare!”
Lui scoppiò a ridere e disse: “ Devi esserti svegliata con il piede
storto stamani, ma perdonerò la tua acidità, non sei sicuramente in
ottima forma. Christian Balardini” le disse allungando la mano.
Francesca finse di non notare il gesto. Poteva un individuo
mostrarsi come il più tenero degli uomini e un attimo dopo
trasformarsi in un essere odioso? Non poté impedirsi dal mormorare:
“ Non ho mai sopportato gli arroganti!”
E poi cosa aveva da sorridere sempre? Si chiese angosciata, mentre
lo stomaco le sfarfallava.
“ Allora è una vera fortuna che io non lo sia!” le rispose lui,
strizzando l’occhio.
Francesca alzò gli occhi al cielo. Quell’uomo era insopportabile.
Insopportabilmente affascinante.
“ Dottoressa, buongiorno, ma che cosa le è successo?”
Con un’intromissione che Christian trovò inopportuna, Deborah
Benfante, l’avvocato della signora Canfora, si affiancò a loro
guardando con espressione inorridita la sua preda, poiché non c’erano
dubbi, la donna fradicia di pioggia, con quell’aria smarrita, lo aveva
conquistato e incuriosito.
“ Deborah! La perspicacia non è mai stata il tuo forte. La parola
temporale ti dice nulla?” disse Christian in tono seccato.
Francesca tornò a guardarlo totalmente istupidita, incapace di
reagire.
“ Il savoir-faire invece a te manca del tutto. Avete fatto conoscenza a
quanto pare” constatò stizzita. “ Spero che tu non ne abbia approfittato
per carpire alla dottoressa informazioni.”
“ Io? Non potrei mai fare nulla del genere!” rispose lui sorridendo a
Francesca e ignorando la collega. E chi aveva pensato alla causa da
quando aveva incrociato quei bellissimi occhi?
“ Come se non ti conoscessi, saresti capace di tutto pur di vincere,
ma mio caro stavolta non ci riuscirai!” proseguì Deborah in tono acido
e costringendo Christian a guardarla.
Con un sospiro di sollievo, Francesca si rese conto che l’attenzione
dei presenti si era focalizzata su altri argomenti. Il battibecco tra i due
avvocati proseguì per altri minuti; avrebbe dovuto interessarsene,
tanto più che il suo nome fu nominato un paio di volte, ma fu
distratta dall’esame minuzioso che il suo ego più diabolico fece
all’uomo. Sotto la giacca costosa di Balardini s’intravedeva una
muscolatura non troppo marcata, che però le diede l’impressione di
forza; a guardarlo bene non era eccessivamente alto, piuttosto altezza
media, ma per lei che non superava il metro e sessanta lo era
certamente. Arrossì pensando a quello che stava per accadere pochi
attimi prima. Solo qualche millimetro l’aveva divisa da quella bocca
che ora sorrideva ironicamente. Sarebbe bastato avvicinarsi e lui
l’avrebbe baciata o lei avrebbe baciato lui! Non era così che succedeva
nei romanzi? Già, ma la realtà era ben diversa, e quell’infelice frase
l’aveva ricondotta alla ragione.
Camilla. Aveva una figlia. Gli guardò la mano e non vide nessuna
fede, ma certo quel particolare non voleva dire nulla. Probabilmente
era divorziato e lei si era ripromessa di non avere più storie con
uomini divorziati, soprattutto se avessero avuto figli da un precedente
matrimonio.
La voce dell’usciere la fece tornare alla realtà.
L’udienza stava per iniziare.
Con passo stanco, superò i due avvocati e varcò la soglia ma la
voce dell’avvocato Balardini la bloccò: “ Una sessuologa?
Interessante...”
No. Anche lui come gli altri pensava che essere una sessuologa la
esponesse a stupide e immature allusioni. Nonostante la natura calma
e riflessiva, Francesca, che risentiva di ogni piccola disavventura di
quel terribile giorno, cedette all’istinto e, voltandosi di scatto, lo
apostrofò: “ Lei! Passino le battute ironiche, passino i suoi modi
troppo concilianti, ma non le permetterò di prendere in giro il mio
lavoro!”
L’espressione di Christian, fino a quel momento distesa e
vagamente canzonatrice, fu sostituita da uno sguardo freddo e serio.
“ Non mi permetterei mai di fare dei commenti poco lusinghieri sul
lavoro di chiunque. È un peccato che tu non sappia distinguere
l’ironia dal disprezzo.”
Senza aggiungere altro la oltrepassò, lasciandola sola. Per
l’ennesima volta, Francesca desiderò che il pavimento sotto i suoi
piedi si aprisse e potesse sprofondarvi.
Invece le toccò entrare nell’aula a testa alta, come se fosse lei a
essere l’imputata. Tuttavia nessuno badò alla sua presenza, poiché
l’attenzione era focalizzata sui coniugi che, entrati separatamente,
sedevano ben lontani l’uno dall’altra.
Quando il giudice si accomodò, nell’aula scese un silenzio teso.
Dopo i formali convenevoli, invitò gli avvocati a prendere la parola.
Deborah fu efficiente e un po’ melodrammatica: “ Signor Giudice,
sono davvero spiacente di essere qui” fece una piccola pausa a effetto.
“ Principalmente perché si tratta di una separazione, e in ciò non vi è
mai nulla di felice, ma soprattutto perché la mia cliente avrebbe voluto
evitare di giungere a questo punto. Vorrei rivolgermi di nuovo al
signor Canfora per chiedergli di accettare le condizioni avanzate dalla
signora Grace ed evitare di far conoscere a tutti delicate situazioni.”
Mettendo da parte le sue angustie personali, Francesca si dispose ad
ascoltare l’udienza sperando di non essere chiamata. Come aveva già
annunciato a Deborah, il suo intervento non sarebbe andato a sostegno
della signora Grace, pertanto non capiva perché si trovasse lì.
Nel frattempo Christian intervenne: “ Signor Giudice, il mio cliente
non vuole accogliere le richieste della moglie, poiché accettarle,
sarebbe un’ammissione di colpa. E lui non ne ha. Noi ci rimettiamo
alla coscienza della signora Grace perché non chieda più di quello che
le è dovuto e tutto si concluda pacificamente”.
Il giudice, dall’alto del suo scranno, guardò i presenti con fare
annoiato: “ Potrei sapere le pretese della parte?”
Deborah si avvicinò al giudice e gli consegnò dei fogli che si
apprestò a spiegare: “ Come potrà notare, in questa lista è indicato
minuziosamente quanto da noi richiesto; oltre al mantenimento per il
piccolo di tre anni, ci sono gioielli, suppellettili e altro. Nonché un
risarcimento di cinquantamila euro”.
Il giudice scorse la lista prima di voltarsi verso Christian, che
seduto sulla sedia in modo molto naturale, con le spalle appoggiate e
le gambe accavallate, sembrava quasi indifferente a quanto accadeva.
“ Ebbene?” gli chiese freddamente.
Christian si appoggiò con i gomiti all’ampia scrivania e con calma
rispose: “ Il mio cliente accetta tutte le condizioni di quella lista,
sebbene io lo abbia sconsigliato dall’essere così generoso, ma si
rifiuta di pagare la somma richiesta a mo’ di risarcimento”.
Il giudice stette qualche attimo in silenzio, annotò qualcosa poi
fissò il fondo dell’aula ticchettando la penna sul legno. “ La
motivazione di tale risarcimento?”
Fu ancora Deborah che prese per prima la parola: “ Tre mesi fa la
mia cliente ha ricevuto dal marito un out out. Se non avesse
acconsentito a mettere in pratica una sua richiesta, questi non avrebbe
esitato a lasciarla”.
Nella sala delle udienze scese un silenzio molto teso, spezzato solo
dal battere incessante della penna del giudice che, assorto, aspettava di
sentire il resto della vicenda.
Deborah attese qualche attimo e, fissando la parte avversa, si schiarì
la voce e proseguì: “ Ebbene signor Giudice, il signor Canfora ha
preteso che la moglie avesse rapporti sessuali con un altro uomo e che
lui assistesse all’amplesso”.
Francesca, che osservava le reazioni dei presenti, vide la signora in
questione abbassare il capo, mortificata; nello stesso momento il
Canfora si chinava verso il suo difensore e, chiaramente infastidito, gli
parlava all’orecchio.
Deborah, mentre proseguiva in tono accorato, strinse la mano alla
sua assistita: “ Pur di non perdere il marito, questa donna, andando
contro un’educazione morigerata, ha deciso di accettare, mettendo al
primo posto il sacramento del matrimonio. Signor giudice la mia
cliente si è sentita vilipesa. Sottomessa alla volontà di un podestà
senza cuore e onore”. Deborah batté energicamente la mano sul tavolo:
“ Questa donna è stata umiliata come persona, ma soprattutto come
moglie. È stata oltraggiata e denigrata. Ricattata dall’unico uomo che
mai avrebbe dovuto tradirla!”
Francesca ascoltava con interesse l’arringa, ma il suo sguardo si
posava spesso sul profilo dell’avvocato Balardini che, impassibile e
indifferente, tracciava su un foglio alcuni appunti.
Quando Deborah esplose con l’ultima frase, Francesca lo vide
sussurrare al suo cliente qualcosa, poi prese la parola.
Lei si rese conto di essere curiosa di ascoltare quanto avrebbe detto,
tuttavia la voce roca dell’uomo la distrasse e soltanto la ragione, dopo
qualche istante di smarrimento, la ricondusse alla realtà.
“ Il mio cliente non nega, se non in parte, quanto è stato
sapientemente illustrato, con accenni veramente melodrammatici, mi
lasci dire Signor Giudice, dalla mia collega. A suo dispetto, non mi
dilungherò in parole che potrebbero portarci lontano dal motivo che ci
ha condotto qui: non la separazione, ma il pagamento dell’indennità.
Dirò soltanto che la coppia ha avuto un rapporto sessuale con una
terza persona, ma l’idea è stata della qui presente signora, che non
vorrà negare di avere ampiamente goduto di quanto è accaduto. È
soltanto la parola della signora Grace contro quella del marito. E con
questo concludo.”
Nessun giro di parole per spiegare un fatto inoppugnabile.
Il giudice si prese il tempo per scrivere degli appunti, poi si rivolse
a entrambi gli avvocati, chiedendo: “ Nessun testimone? Questo terzo
partner?”
Entrambi negarono con la testa.
“ Avvocato Benfante si rende conto di non avere prove di quanto
detto? Non posso che ritenermi favorevole a quanto sostenuto
dall’avvocato Balardini e considerare conclusa la separazione.”
Deborah non sembrò sorpresa né abbattuta da quanto stava
esponendo il giudice. Attese pazientemente che questi terminasse, poi
disse: “ Vostro Onore, mi affido alla sua clemenza e le chiedo di
ascoltare una teste prima di definire la sentenza. La dottoressa
Francesca Galizzo, psicologa specializzata in sessuologia”.
Il giudice non sembrò particolarmente entusiasta ma, non trovando
nulla da obiettare, fece un cenno con la mano.
Francesca s’incamminò lungo il corridoio tra le panche,
accompagnata da un sinistro e scomodo cigolio. Il giudice la guardò e
sorridendole le disse in tono conciliante: “ È stata travolta dal
temporale?”
Sorridendo imbarazzata, Francesca rispose: “ Così sembra”.
“ Faremo il più in fretta possibile, così potrà tornare a casa e
cambiarsi prima di prendere una bronchite!” riprese il giudice.
Francesca lo guardò sorpresa e ringraziò timidamente.
Lui sorrise in modo accattivante e sporgendosi verso di lei, quasi le
sussurrò: “ Non è dovere di un giudice prendersi cura dei cittadini
indifesi?”
“ In un certo qual modo!” gli rispose lei sempre più meravigliata.
Possibile che il suo aspetto mesto avesse attirato gli sguardi di ben
due uomini?
La voce un po’ irritata dell’avvocato Balardini interruppe la sua
riflessione: “ Vostro Onore, possiamo proseguire?”
Dopo aver scambiato con la collega uno sguardo d’intesa, Christian
tornò a fissare Francesca.
“ Dottoressa conosce i due coniugi?” le chiese il giudice.
Francesca, dopo essersi schiarita la voce, rispose: “ Ho avuto il
piacere di incontrarli insieme una volta quando, dietro consiglio
dell’avvocato Benfante, avrebbero dovuto iniziare una terapia di
coppia”.
“ Avrebbero dovuto?”
“ Al secondo appuntamento si è presentata soltanto la signora,
dicendomi che il marito era contrario.”
“ Ricorda entrambi gli episodi? Può raccontare al giudice ciò che le
fu detto?” le chiese Deborah.
“ Certamente. I coniugi si sono mostrati restii a parlare, presi da
timore o da altre emozioni che non sono certa di aver identificato, il
tempo trascorso è stato veramente breve. La signora Grace, invece, si è
mostrata molto prolissa quando è venuta da sola. Ha riferito in parte
ciò che lei ha sapientemente riassunto.”
“ Ha tratto delle conclusioni?” la interruppe il giudice.
“ Vostro onore, le confesso di aver provato stupore quando ho letto
la convocazione. Come ho già riferito all’avvocato Benfante la mia
deposizione non potrebbe influenzare alcuna decisone, giacché ho
ascoltato soltanto la versione dei fatti della signora. Pertanto non ho
potuto trarre alcuna considerazione.”
“ Ebbene avvocato, dove vuole arrivare?” stavolta il giudice si
rivolse a Deborah.
“ Dottoressa saprebbe capire la verità se entrambi i coniugi
seguissero un attento e doveroso percorso psicologico?” Deborah finse
di non udire la domanda del giudice.
“ Io o qualunque altro mio collega potrebbe giungere a un
chiarimento.”
Nell’aula ci furono degli attimi di silenzio, Christian fissava
indifferente Francesca, mentre il cliente al suo fianco si muoveva
nervosamente sulla sedia.
“ Ebbene signori” decretò il giudice. “ Da quel che ho arguito, il
signor Canfora non cede di fronte al pagamento dell’indennizzo,
mentre la signora invece lo reclama a gran voce. Sulla base dei fatti,
sono spiacente di dover dire che dovrei bocciare la pretesa colpa del
marito. Eppure la coscienza non me lo permette, qualora esistesse
anche solo la remota possibilità di trovare la verità; mi riservo la
facoltà di aggiornare la seduta, nonché il giudizio a data da destinare e
obbligo i due coniugi a una serie di incontri, che stabilirà la
dottoressa, ai quali saranno presenti entrambi i legali.”
Sul volto di Deborah era evidente la soddisfazione. Doveva essere
certa dell’affidabilità della sua cliente, pensò Francesca.
Invece Christian ostentava ancora un’aria noncurante. Quanto a lei,
quell’incarico le sembrava troppo oneroso.
“ Mi riservo la facoltà di sottoporre il bambino a visite periodiche
da parte di assistenti sociali, nell’attesa di un giudizio dalla
dottoressa. Così è deciso. La seduta è tolta” concluse il giudice; e
chinandosi sussurrò a Francesca: “ Aspetterò con ansia il nostro
prossimo incontro!”
Avrebbe anche potuto dirlo a voce alta, poiché la sua ultima
affermazione aveva creato un po’ di scompiglio tra i presenti e nessuno
si curava di loro.
“ Vostro Onore! L’affidabilità di entrambi i genitori non è in
discussione” esclamò a voce alta Deborah.
Il giudice distolse la sua attenzione da Francesca e con freddezza
rispose: “ Questo è quello che lei asserisce! Così come ho messo in
dubbio la questione dell’indennità, metterò in dubbio tutto il resto. Il
mio dovere è tutelare la famiglia, c’è un minore che deve essere
protetto. Ci aggiorneremo fra qualche settimana.” E senza aggiungere
altro uscì dall’aula, lasciando entrambi i coniugi nella costernazione.
“ È inammissibile! Christian avresti potuto dire qualcosa!”
soggiunse Deborah.
Lui continuò a sistemare le carte, indifferente alla provocazione
della collega.
“ Trovi? Avete voluto mettere alla berlina faccende molto private,
solo per una questione economica! Lo trovo più che ammissibile e
soprattutto prevedibile. È vero Sergio?”
L’uomo si trovò suo malgrado costretto a chinare il capo. In effetti,
Christian l’aveva avvisato, chiedendo di chiudere la questione con
un’offerta al ribasso, ma lui non aveva voluto cedere e ora rischiavano
di perdere il bambino. Si volse a guardare la psicologa, non aveva
molta fiducia in quella categoria di medici e ora doveva affidarle la vita
del figlio. Che ironia!
Nel frattempo la signora Grace asciugava le lacrime con un candido
fazzoletto in seta, guardando di soppiatto il marito con evidente
acredine.
Osservando entrambi i coniugi, Francesca ebbe il presentimento che
sarebbe stato un percorso molto lungo. Si avvicinò al gruppo e, con
aria dispiaciuta, si congedò con la promessa di ricontattarli per il
primo appuntamento. Tutti le rivolsero un fuggevole saluto.
Lo scricchiolio delle scarpe bagnate sul marmo lucido la seguì fino
all’uscita. Nessuno la fermò né le corse dietro. Rimase stranamente
delusa.