3 storie di omofobia

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3 storie di omofobia
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3 storie di omofobia
martedì 17 gennaio 2012
Laura Robson ha 18 anni ed è una delle maggiori promesse del tennis britannico femminile. ..
1)
Laura Robson ha 18 anni ed è una delle maggiori promesse del tennis britannico femminile. Oggi ha perso un match
contro la serba Jelena Jankovic al primo turno degli Australian Open.
Il match è stato breve e senza storia. Quello che ha fatto parlare è stata la scelta di Laura Robson di indossare un
elastico per capelli arcobaleno durante l’incontro.
Un gesto di solidarietà nei confronti dei diritti di gay e lesbiche, dietro cui c’è una ragione precisa.
La partita, infatti, si è svolta sul campo dedicato a Margaret Court, la più grande giocatrice di tennis australiana,
attualmente 69enne e pastore presso la chiesa evangelica di Perth.
Il mese scorso la Court si è scagliata contro la nuova legislazione in tema di matrimoni gay promossa dal governo
australiano.
“Unioni morbose e contro natura”, ha definito i matrimoni gay Margaret Court, come riporta anche il
Guardian .
Nei giorni scorsi, gli attivisti avevano promesso di invadere con una protesta colorata e pacifica la prima giornata degli
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Open. E così è stato.
Con il suo gesto, Laura Robson ha voluto unirsi a chi era sugli spalti. “Credo fermamente nella parità di diritti per
tutti, questo è il motivo per cui ho indossato quella fascetta”, ha detto nella conferenza stampa post-match.
2)
Vittima dell’omofobia si uccide a 19 anni
“A scuola il mio nome non era Eric, ma frocio”
Si chiama Eric James Borges, ha 19 anni e si è tolto la vita mercoledì nella casa che condivideva con un amico in
California. Aveva raccontato di aver subito atti di bullismo e violenze piscologiche e fisiche anche da parte della famiglia.
Diventato attivista del Trevor Project, il suo compito era aiutare adolescenti gay
Il mese scorso aveva raccontato la sua storia a “It Gets Better”, un progetto in Rete che raccoglie le
testimonianze di giovani omosessuali. Davanti a una telecamera, aveva detto di essere stato “tormentato,
fisicamente e psicologicamente, per anni”. Aveva chiesto ai giovani gay di “non mollare, mai”.
Ma a mollare è stato lui. Eric James Borges, 19 anni, si è ucciso nella casa di Visalia, California, che divideva con un
amico. La notizia è stata data dal gruppo Trevor Project, per cui Eric lavorava. Il suo compito era aiutare altri adolescenti
gay. Evitare che, esasperati dagli abusi, si togliessero la vita.
Nelle ore successive all’annuncio, c’è incredulità, oltre che dolore, in molti gay e lesbiche americani, Il video
era stato visto da tanti in rete e il ragazzo era diventato l’immagine della possibilità per i giovani omosessuali di
superare bullismo, discriminazione, paura. La storia di Eric, un giovane bruno e magro, con un filo di barba sul mento,
sembrava davvero incarnare la possibilità che le cose potessero “andar meglio”. Oltre al lavoro con Trevor
Project, Eric aspirava a un futuro da filmaker. Un suo video di quattro minuti, “Invisibile Creatures”,
anch’esso disponibile in Rete , mostra coppie di tutte le età e orientamenti sessuali mentre si baciano e scambiano
tenerezze. Il messaggio, aveva spiegato il giovane regista, era che “l’amore è universale”.
Eric aveva fatto coming out un anno fa. Da sempre, sin dall’asilo, era stato oggetto di abusi sistematici. “Mi
molestavano, mi sputavano addosso, mi escludevano, mi assalivano fisicamente. Il mio nome non era Eric, ma
frocio”, racconta nel video. Al momento di entrare alle superiori, il ragazzo aveva sviluppato una forma di
emicrania cronica. L’escalation della violenza nei suoi confronti (“un giorno mi assalirono in una classe
piena di ragazzi. L’insegnante era presente”) lo portò ad abbandonare la scuola e a diplomarsi
privatamente.
Il contesto familiare, conservatore e cristiano, non lo ha mai aiutato. “I miei genitori mi dicevano che ero
disgustoso, perverso, innaturale e condannato all’inferno. Mia madre mi sottopose a un esorcismo nel tentativo di
curarmi”. Disprezzo di sé, disperazione, suicidio diventarono pensieri abituali: “Mi avevano insegnato che
la mia essenza più profonda era insostenibile e inaccettabile”.
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Lo scorso ottobre Eric era stato cacciato di casa. Nonostante tutto, le cose avevano cominciato a sistemarsi.
L’aiuto di un professore, al college, gli aveva ridato fiducia nel mondo degli adulti. Il sostegno psicologico di
“Trevor Project”, con cui poi aveva iniziato a collaborare, sembrava aver cancellato i pensieri di morte. Eric
era andato a vivere da solo e, come racconta nel video, si era innamorato.
“Era normale. Non dava segni di depressione. Niente che potesse far pensare al suicidio”, dice ora James
Criss, il miglior amico. Il caso di Eric richiama comunque quello di altri due adolescenti gay che, di recente, hanno deciso
di togliersi la vita. A fine 2010 Tyler Clementi, uno studente di Rutgers University, virtuoso del violino, si è gettato dal
George Washington Bridge dopo esser stato video ripreso dal suo compagno di stanza mentre baciava un ragazzo. E lo
scorso settembre un 14enne, Jamey Rodemeyer, si è ucciso a New York per le continue angherie subite a scuole.
Episodi che paiono in contrasto stridente con le conquiste più recenti della comunità omosessuale americana (gay
nell’esercito, estensione dei benefici sociali ai partner gay degli impiegati federali, matrimoni omosessuali in sette
stati americani) e che testimoniano che il cammino verso l’accettazione, soprattutto per i più giovani e deboli, è
ancora lungo e incerto. Ha lasciato detto, Eric, in “It Gets Better”: “Vi innamorerete e sarete amati e
io vi amo. Avete un’intera vita, che brucia di opportunità, davanti a voi. Non mollate mai e non pensate nemmeno
per un secondo che non rappresentate un contributo meraviglioso e pieno di senso a questo mondo. Le cose andranno
meglio”.
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