Scienze psico-sociali e affidamento dei figli in casi di separazione e

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Scienze psico-sociali e affidamento dei figli in casi di separazione e
Psicologia e Giustizia
Anno VI, numero 2
Luglio – Dicembre 2005
SCIENZE PSICO-SOCIALI E AFFIDAMENTO DEI FIGLI
IN CASI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
GIUDICE DEL TRIBUNALE DI MILANO
SILVANA D’ANTONA
Pur avendo maturato esperienza in materia di diritto di famiglia solo da circa tre anni
(avendo svolto, in precedenza, funzioni giudicanti nel ramo penale), credo di poter
affermare con convinzione che i problemi che riguardano le coppie in crisi, e cioè
direttamente i rapporti tra coniugi separandi o divorziandi, pur delicati e a volte
dolorosi, sono poca cosa rispetto a quelli derivanti dal coinvolgimento dei minori nella
crisi di coppia e nella frattura del rapporto coniugale. Nell’un caso ci si trova di fronte a
persone adulte, che devono fare i conti con il fallimento del loro matrimonio, nell’altro
caso a minori che, loro malgrado, si trovano coinvolti in una situazione che non hanno
voluto e devono accettare l’idea che i loro genitori non vogliono più condividere lo
stesso tetto insieme a loro.
Il problema dell’affidamento dei minori in caso di separazione e divorzio dei genitori
presenta ovviamente sia aspetti giuridici che psicosociali.
Con la riforma del diritto di famiglia, come è noto, è stato compiutamente definito
nell’ordinamento il concetto di interesse del minore. Sono infatti molti i riferimenti
normativi all’interesse del minore che si rinvengono nel codice civile fa; in particolare
interessano la separazione :
l’art. 155 c.c. – riferito all’affidamento dei figli che deve essere attuato nell’esclusivo
interesse morale e materiale della prole;
l’art. 158 – circa la possibilità di non omologare la separazione consensuale se l’accordo
sull’affidamento dei figli è in contrasto con il loro interesse.
L’affidamento del minore ad uno dei genitori, quale provvedimento provvisorio dopo
l’udienza presidenziale viene adottato dal Giudice, quanto meno nel così detto “rito
ambrosiano”, dopo la lettura del ricorso e della comparsa di risposta, in cui vengono
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esposte le doglianze delle parti e dopo che queste sono state sentite separatamente dal
Presidente.
Nella maggior parte dei casi sono le madri a chiedere l’affidamento ed i padri si
dichiarano d’accordo, purchè venga disciplinato in dettaglio il regime delle visite
paterne. Ho potuto rilevare che soprattutto nelle giovani coppie la nascita di un figlio
può costituire spesso la causa della crisi del rapporto: ciò dipende dall’immaturità dei
giovani nell’affrontare il matrimonio, dalla mancanza di responsabilità rispetto al tema
della maternità o della paternità o dalla non abitudine ad affrontare sacrifici personali.
E’ anche vero che il marito, con la separazione, spesso sviluppa maggiormente il senso
paterno e intende svolgere il ruolo genitoriale che gli compete.
Molti sono anche i casi in cui entrambi i genitori chiedono l’affidamento e lamentano la
mancanza di capacità genitoriale dell’altro coniuge.
In tali casi la valutazione e la preminenza riconosciuta dalla Legge all’interesse del
minore rispetto agli altri interessi con esso eventualmente confliggenti,
costituisce la
linea guida di tutti gli interventi giuridici relativi al minore. Ma perché l’interesse del
minore possa essere concretamente perseguito, non basta che la legge lo preveda
astrattamente come criterio di giudizio, essendo fondamentale esso che venga
correttamente interpretato e valutato dal Giudic e.
In tale ottica, su un piano di stretto diritto, riveste importanza fondamentale l’art. 147
c.c. laddove afferma che l’educazione dei figli deve tener conto delle loro capacità,
delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni personali. Da ciò discende che la
verifica giurisdizionale dell’esercizio della potestà genitoriale ed, in genere, il
complesso degli interventi del giudice finalizzati alla tutela del minore, non dovranno
avere come riferimento un concetto astratto di interesse del minore, ma effettivo e
specifico, cioè quello che il giudice abbia in concreto definito in relazione a quel
minore.
Il carattere di concretezza che va attribuito al concetto di interesse del minore è un
aspetto del problema da non trascurare ed impone di acquisire tutta una serie di dati di
conoscenza relativi alla situazione familiare e, quindi, ai singoli componenti di essa.
Andranno pertanto ricercati i dati riferibili ad esempio alle condizioni fisiche e
psichiche del minore, al suo grado di evoluzione e socializzazione, alle eventuali
carenze affettive o intellettive ed a quelle afferenti ai genitori, quali il loro stile di vita
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(ad es. saranno valutate le insorgenze di problematiche derivanti da alcoolismo o
tossicodipendenza), le capacità, non solo materiali, relative all’accudimento ed alla cura
del minore. E saranno ovviamente valutati eventuali episodi di maltrattamento, ma
anche la frequenza della presenza piuttosto che della assenza in famiglia, l’attitudine
alla mediazione piuttosto che la tendenza al conflitto.
Il problema della raccolta di informazioni necessarie per la decisione del giudice
introduce al tema specifico di questo incontro, cioè al ruolo dei C.T. (Consulenti
Tecnici), essendo la Consulenza Tecnica una delle modalità per entrare in possesso di
informazioni sul nucleo familiare in esame. Ed importante, ovviamente, è il tema
dell’utilizzo che della relazione peritale può fare il giudice.
Circa il contenuto del quesito da porre al CTU, si deve osservare che il contenuto delle
domande poste dai giudici ha subito notevoli modifiche nel tempo in adesione ai
cambiamenti intervenuti nella società in questi anni: si è infatti passati dalle domande,
in tempi non recenti, sulla eventuale idoneità di un genitore a quella sulla maggiore o
minore capacità genitoriale di entrambi i genitori, nonché ai quesiti” aperti”, in cui si
chiede di indagare lo spazio affettivo ed educativo dell’intero nucleo familiare
comprensivo anche di terzi, che abbiano rapporti significativi con il minore, quali i
nonni o i nuovi compagni dei genitori .
Indubbiamente la necessità di ricorrere a figure quali gli psicologi e gli psichiatri forensi
trova la sua ragione nelle sempre maggiore complessità della istituzione familiare e
nelle correlativa difficoltà del giudice di intervenire, con i soli mezzi offerti dalla legge,
in situazioni in cui spesso, i protagonisti sono schiacciati da esperienze assai dolorose..
Ma anche il concetto di famiglia nel tempo ha subito una notevole evoluzione: si è
infatti passati da un modello di famiglia orientato gerarchicamente ad un modello di
famiglia, quale quello delineato dal legislatore del 1975, attento alle esigenze di tutela
dei singoli membri della famiglia e quindi dei figli minori.
In tale prospettiva si inserisce la legge sul divorzio : li principio che emerge con
chiarezza dalla relativa normativa è quello per cui, al di là della intervenuta scissione
della coppia, la funzione genitoriale sopravvive e l’interesse del minore prevale su ogni
altro.
Quando il legislatore utilizza l’espressione “ benessere materiale e morale” del
minore non fa infatti riferimento solo all’accudimento materiale, ma anche a quello
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psicologico; in sintesi fa riferimento al concetto che potremmo definire di “adeguatezza
genitoriale”.
Di tali principi dovranno ovviamente tener conto il CTU nell’elaborazione peritale ed il
giudice nelle sue decisioni.
Orbene, premesso che l’area del diritto e quella della psiche si presentano
apparentemente lontane, ove si rifletta sulla distanza che intercorre tra la realtà del
conflitto su cui è chiamato ad intervenire il Giudice e la possibilità di valutare
l’interiorità dei soggetti, che è la caratteristica del lavoro dello psicologo, ciononostante
è necessario, per lo psicologo considerare questi due livelli, posto che con esse si
confronta quando interviene come CTU.
In effetti occorre sottolineare che la CTU relativa alle situazioni di separazione o
divorzio è sempre una consulenza psicologica in cui il consulente è chiamato ad
analizzare, come già sottolineato, le caratteristiche personologiche e le dinamiche
relazionali dei soggetti interessati. In questa ottica sarà particolarmente importante
valutare la capacità genitoriale, intesa in senso relazionale e cioè con riferimento non
solo alle qualità del singolo (la personalità, le varie competenze ), ma alla capacità
effettiva, reale di far fronte al complesso dei bisogni e delle necessità di “quel” minore.
La conseguenza di tale impostazione potrebbe essere, ad es., che una volta valutato il
tipo di relazione che intercorre fra ognuno dei genitori e tra i genitori ed il minore, in
assenza di altre valutazioni differenziali, il giudice affidi il minore al genitore che
appare più in grado di consentire il rapporto con l’altro genitore, considerato che il
primario diritto del minore, in caso di scissione della coppia genitoriale, è di mantenere
il rapporto con entrambi .
Ritengo quindi fondamentale che il giudice ponga al perito quesiti “aperti”, come ho già
detto, che consentano al CTU non solo la descrizione della situazione, ma la verifica del
“ sistema” familiare, mediante l’ampliamento delle indagini ai nonni, ove ci siano, ai
nuovi compagni dei genitori, con un’indagine di tipo dinamico, il cui fine è quello di
andare oltre la rigida indicazione dell’affidamento ad uno dei genitori, prevedendo
invece, ove possibile, il massimo dei rapporti con entrambi.
Quanto ai C.T.P. (Consulenti Tecnici di Parte), perché anche di loro si deve parlare in
questa sede, va ricordato che sulla base dell’art. 201 cpc le parti possono nominare un
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consulente di parte che tuteli i loro diritti partecipando in modo attivo all’indagine, a
conclusione della quale presenterà un proprio elaborato.
Tale possibilità, ritengo
per motivi economici, non viene utilizzata di frequente.
Talvolta, poi, si verifica che il CT di parte collabora in maniera effettiva con il CTU, in
modo da pervenire ad una conclusione che tenga conto esclusivamente della situazione
oggettiva e dell’interesse del minore; in altri casi l’elaborato del consulente di parte
risulta troppo condizionato dall’interesse del coniuge che gli ha conferito l’incarico:
ciò è ovviamente comprensibile in via generale, ma non credo che sia solo utopia
auspicare che i consulenti tengano nella dovuta considerazione il fatto che l’interesse
del minore vada tutelato con particolare attenzione. Questo sarà tanto più facilmente
realizzabile quanto maggiore è la loro preparazione professionale, come la loro
sensibilità all’oggetto di questa delicata decisione.
Molto spesso le CTU, nella fase conclusiva, suggeriscono al giudice il controllo della
situazione familiare attraverso i servizi sociali ed eventuali supporti psicologici da
effettuarsi ad opera dei servizi per i genitori o per i minori.
Non tratterò il discorso della consulenza da parte dei servizi sociali perché fuori dal
tema di questa relazione, ma è opportuno ricordare brevemente che essa presenta non
poche problematiche, laddove lo psicologo e gli operatori sociali forniscano al giudice
indicazioni diverse o in parte discordanti con il suggerimento o le conclusioni del CTU.
Peraltro, al di là di tali problemi, l’apporto dei servizi socio-sanitari può rivelarsi molto
importante sia perché, spesso, gli operatori sociali già conoscono la famiglia e possono,
quindi, fornire anche al CTU elementi per utili approfondimenti, sia perché possono
gestire successivamente un eventuale progetto di sostegno.
Non è secondaria, poi, la problematica relativa ai tempi necessari per l’accertamento.
L’indagine psicologica, per sua natura, soffre tempi molto rigidi e si può correre il
rischio, nei casi più complessi, di indurre il CTU a fornire, comunque, una risposta
rapida ai quesiti, ma non utile come risposta per la risoluzione dei contrasti. D’altra
parte, un accertamento eccessivamente lungo rischia di scontrarsi con l’esigenza di non
infliggere ulteriori disagi ai soggetti, in particolare al minore, che potrebbe trovarsi a
subire ancora maggiori strumentalizzazioni da una situazione irrisolta .
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Il problema è di difficile soluzione, soprattutto ove si rifletta che la CTU normalmente
è utilizzata in situazioni ormai degenerate in seguito, spesso, al fallimento dei vari
percorsi precedentemente esperiti.
In questo contesto, dunque, si colloca il tema della “neutralità” del CTU, il quale si
trova di fronte a due differenti verità. Il modo di affrontarle è spesso diverso da
professionista a professionista: si tratta di un tema che può essere trattato in maniera più
soddisfacente e tecnica da chi svolge attività di psicologo o psichiatra, ma qui vorrei
solo sottolineare come sia necessario che il CTU difenda la sua neutralità professionale
in ogni modo evitando qualunque tipo di strumentalizzazione da chiunque posto in
essere e ciò potrà fare solo se terrà conto che, in realtà, il suo fine ultimo è anche la
ragione della sua chiamata in causa, vale a dire l’interesse del minore.
Per quanto riguarda, infine, l’eventuale opera di mediazione che il CTU possa svolgere,
si può dire che , a rigor di logica, essa non è prevista in quanto la funzione terapeutica
esula dal campo d’intervento proprio del CTU, ma certamente il consulente, se vorrà
che i risultati della sua indagine confluiscano in una decisione capace di incidere
favorevolmente sulla situazione, dovrà cercare in qualche modo il consenso delle parti,
dovrà cercare di far comprendere ai genitori che i modi e i tempi di elaborazione della
separazione da parte dei figli, dipenderanno dai modi e dai tempi di elaborazione della
separazione da parte loro, dovrà tentare di orientare i coniugi ad accettare la decisione.
Questo, pur non potendosi definire mediazione in senso stretto, può costituire senz’altro
un notevole passo sul percorso della risoluzione del conflitto.
Conclusivamente, posso così sintetizzare la valenza dell’intervento del CTU: egli
dovrebbe aiutare il giudice a capire qual è la vera domanda sottesa alla richiesta della
coppia genitoriale, perché l’esperienza dice che, di frequente, la richiesta di affidamento
o di regolamentazione dei rapporti è solo la domanda cd. “esplicita” in quanto si
richiede, in realtà, l’intervento giudiziario per risolvere i problemi globali del nucleo
familiare che i genitori da soli non sono riusciti a risolvere. Si può dire allora che, ancor
prima di domandarsi come quel nucleo familiare potrebbe riprendere a funzionare, è
importante che tutti, compreso il giudice, riescano a comprendere cosa non ha
funzionato. La CTU, quindi, dovrebbe servire preliminarmente ad accedere a questo
primo livello di operatività, e solo dopo può utilmente compiersi un ulteriore passo,
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quello finalizzato a
tentare la soluzione dei problemi più particolari, integrando
strumenti psicologici e giuridici.
In tale ottica diventa importante la realizzazione di una comune cultura realmente
consapevole delle necessità e dei bisogni primariamente del minore, ma anche dei
genitori.
Tale impostazione consente di poter superare anche la problematica di una
sopravalutazione o, al contrario, di una sottovalutazione del CTU. Il rischio infatti
astrattamente si pone, ma può essere evitato con una operazione culturale di precisa
definizione dei ruoli e di corretta comunicazione, tenendo conto che, comunque la
decisione ultima resta affidata al giudice perché questo è il ruolo che gli è riconosciuto e
che deve svolgere.