Il nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari

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Il nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari
Opinioni
Riforma della filiazione
Adozione
Il nuovo status di figlio
e le adozioni in casi particolari
di Paolo Morozzo della Rocca
L’Autore ritiene che con il nuovo art. 74 c.c. anche i minori adottati in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 ss.
della legge n. 184/1983, siano compresi nell’unico status di filiazione, con effetti di parentela nei riguardi dei
familiari degli adottanti (spesso dell’adottante). La novella, peraltro, risulta condivisibile, anche se appare opportuna una più articolata attenzione del legislatore (non solo nell’ambito della delega legislativa) a questa tipologia di adozioni.
L’unico status di figlio comprende
anche gli adottati in casi particolari?
L’art. 1 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha modificato il testo dell’art. 74 c.c., che ora così dispone:
“La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel
caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso
in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non
sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età,
di cui agli articoli 291 e seguenti”.
La centralità di questa disposizione nella trama del
nuovo status di filiazione è evidente, ma si tratta di
un’evidenza molto problematica, dato che l’effettiva
portata della norma è divenuta subito oggetto di acceso dibattito.
Invero, la funzione svolta dal nuovo art. 74 pare trascendere il solo tema del pieno riconoscimento della cosiddetta parentela naturale, tema che la legge n.
219 risolve anche in altra sede affermando, col nuovo art. 258 c.c., che “il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai
parenti di esso”.
Dunque, già solo per effetto dell’art. 258 c.c. - forse
poco elegante, perché innesta la nuova regola di status sul diverso ambito dell’atto di riconoscimento e
del suo carattere unilaterale, tale da non coinvolgere l’altro procreatore - i figli nati fuori del matrimonio sarebbero da considerare alla medesima stregua
dei figli nati nel matrimonio riguardo alla parentela
(e dunque riguardo anche ai rapporti successori, alla
partecipazione all’impresa familiare e a tutti gli altri
possibili effetti di legge).
Cos’altro dice, dunque, di più e di diverso da quanto
non sia già detto altrove, l’art. 74? Ci dice che il vin-
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colo di parentela caratterizza ogni tipo di filiazione,
con la sola eccezione della filiazione adottiva del
maggiorenne.
La novità non riguarda però tutte le adozioni dei minori di età di cui alla legge n. 184/1983, ma solo
quelle cosiddette “in casi particolari” di cui all’art.
44 della legge sull’adozione, perché le adozioni realizzate secondo il procedimento normalmente previsto dalla legge n. 184/1983 comportavano già il sorgere dei legami di parentela ai sensi dell’art. 27 della legge n. 184/1983, ove è disposto che “per effetto
dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette
il cognome (...) Con l’adozione cessano i rapporti
dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali”.
Di conseguenza, se diamo al nuovo art. 74 c.c. il significato che la lettera obiettivamente gli attribuisce
e se riteniamo di individuare in questa disposizione
non un mero flatus vocis ma una norma dotata di una
qualche effettività (1), dobbiamo ritenere che essa
introduca un unico status di figlio-parente comprensivo di tutte le filiazioni biologiche e di tutte le filiazioni adottive, incluse quelle in casi particolari,
escludendo invece le adozioni dei maggiorenni (2).
Note:
(1) Il tema della effettività o meno del contenuto dispositivo dell’art. 74 c.c. è ben avvertito da, M. Sesta, L’unicità dello stato di
filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in questa Rivista, 2013, 3, 235, pur giungendo questo autore ad una ipotesi interpretativa opposta a quella qui proposta.
(2) Nel medesimo senso qui sostenuto cfr.:L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II,
202; M. Dossetti, La parentela, in M. Dossetti, M. Moretti e C.
Moretti, La riforma della filiazione, Bologna, 2013, 20;.
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Acquisito detto risultato interpretativo si potrebbe
discutere sulla opportunità della nuova disciplina
che ne discende. Occorre però previamente dare
conto delle diverse obiezioni all’esito interpretativo
qui proposto da parte di alcune delle più autorevoli
prime voci di commento alla nuova disciplina.
In un panorama ancora caratterizzato da un approccio di “prima lettura” della nuova disciplina e da una
non sempre chiara individuazione dei temi di maggior rilievo, queste obiezioni non sono state ancora
accompagnate da un dibattito approfondito (3).
Non molto, dunque, è stato aggiunto dai primi commentatori a quanto già sostenuto nella Relazione illustrativa alla Proposta di decreto legislativo predisposta dalla commissione ministeriale incaricata,
ove è affermato che “quanto alla posizione dei minori adottati ai sensi dell’articolo 44 della legge n.
184/1983, che disciplina l’adozione in casi particolari, in questa ipotesi è la stessa legge, che richiama,
all’articolo 55, le norme del codice civile che disciplinano l’adozione dei maggiori di età (in particolare gli artt. 293, 294, 295, 299, 300 e 304), evidenziando l’analogia tra gli istituti, che trova il suo fondamento nella conservazione, anche nell’adozione
in casi particolari, dei legami tra adottato e famiglia
di origine. Pertanto, proprio in virtù del conferimento dello stato di figli agli adottati minori di età
in stato di abbandono, le norme del codice civile
che attribuivano particolari diritti (soprattutto in
materia successoria) agli adottati non sono state
modificate in quanto riferite agli adottati maggiori
di età”.
Il primo argomento è dunque dato dall’analogia delle rispettive situazioni tra l’adozione in casi particolari e l’adozione non legittimante del maggiorenne.
Argomento a mio parere erroneo, come cercherò di
dimostrare. V’è poi l’argomento più tecnico del richiamo fatto dall’art. 55 della legge n. 184/1983 delle norme del codice civile sull’adozione dei maggiorenni, da applicare dunque all’adozione dei minore
in casi particolari (4). Delle norme richiamate la più
significativa è ovviamente quella di cui all’art. 300
c.c., ove è disposto che “l’adottato conserva tutti i
diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge”; e poi che
“l’adozione non induce alcun rapporto civile tra (...)
l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge”.
Invero non vedo alcuna difficoltà a ritenere che
l’art. 1 della legge n. 219/2012, modificando l’art. 74
c.c., abbia tacitamente abrogato l’art. 55 della legge
n. 184/1983 nella parte in cui richiama l’art. 300,
comma 2, c.c., ultimo periodo. La scarsa attitudine
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del legislatore a mantenere l’armonia formale del sistema del diritto positivo rende infatti questa modalità abrogativa molto frequente e talvolta anche meno pericolosa di certe esplicite quanto non avvedute abrogazioni dichiarate in coda alle diverse discipline sopravvenute (5).
Va infine considerato il terzo argomento presentato, sia pure in modo non chiaro, dal citato passo della Relazione: quello secondo cui la condizione del figlio minore in condizione di abbandono va distinta
da quella degli adottati di maggiore età nonché (ma
qui l’affermazione è lasciata nell’implicito) da quella dei minori adottati benché non versassero in una
condizione di abbandono.
Questo terzo argomento - in parte espresso ed in parte sotteso - altro non è che specificazione del primo
e dunque pretende risposta in una più attenta disamina dell’istituto dell’adozione in casi particolari, la
cui importanza tra gli strumenti posti a tutela del diritto del minore a crescere in una famiglia non sembra essere stata adeguatamente riconosciuta da coloro che ne propongono l’irrealistica equiparazione all’istituto di stampo patrimonialistico nel cui prisma
il codice civile disciplina l’adozione dell’adulto, la
cui regolamentazione, ferma al 1942, precede non
solo cronologicamente ma anche culturalmente, di
moltissimo, quella, ben più attenta alle esigenze dei
minori, della legge n. 184/1983.
Scopo e funzioni dell’adozione in casi
particolari
Sebbene definite come casi particolari, le adozioni
dei minori di età di cui alle diverse fattispecie elencate nell’art. 44 della legge n. 184/1983 non costituiscono di certo un fatto eccezionale, costituendo
oggi circa un terzo di tutte le adozioni di minori che
Note:
(3) Il tema è appena accennato in nota da C.M. Bianca, La legge
italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1, 2, nt. 7, ove
l’autore si limita ad osservare che ancora oggi il vincolo di parentela “deve egualmente escludersi quando si tratti di adozione in
casi particolari”.
(4) È questo, in effetti, l’argomento che, in prima lettura, sembra
convincere, pur con riserva di maggiori approfondimenti, M. Sesta, L’unicità, cit., 235.
(5) Non mi pare, invece, che possa essere utilizzato, al fine di affermare la formale compatibilità tra il nuovo art. 74 ed il combinato disposto di cui all’art. 55 della legge sull’adozione con l’art.
300 c.c., il riferimento di quest’ultima disposizione alle “eccezioni previste dalla legge”, considerando l’adozione del minore di
età in casi particolari una di quelle ipotesi di eccezione alla mancanza di effetti legittimanti delle adozioni sottoposte alla disciplina dell’art. 300 c.c.. Il richiamo alle eccezioni di legge di cui all’art. 300 c.c. è infatti indubbiamente rivolto al singolo effetto di
parentela e non alla possibilità che un’adozione pur astrattamente ricadente nel tipo regolato possa avere effetti di parentela.
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ogni anno vengono pronunciate in Italia. Questa alta percentuale di casi per un verso preoccupa perché
contraddice la prospettiva di sistema secondo cui
l’adozione di un minore è possibile solo in presenza
dei requisiti oggettivi e soggettivi di idoneità di cui
all’art. 6, salvo appunto, il ricorrere dei “casi particolari” raccolti nell’art. 44 e immaginati del tutto
residuali. Tanto residuali che, a mio avviso, l’autore
della legge n. 219 se ne è semplicemente dimenticato nel momento in cui ha redatto il nuovo art. 74
c.c.
Per altro verso, tuttavia, i procedimenti adottivi ai
sensi dell’art. 44 sono così numerosi - a parte possibili abusi, sui quali tuttavia la giurisprudenza minorile pare piuttosto ben avvertita - perché le fattispecie raccolte in questa norma consentono di dare una
risposta tutto sommato efficiente ad una molteplicità di situazioni (alcune delle quali più frequenti oggi
di ieri) di cui forse lo stesso legislatore del 1983 non
era pienamente consapevole, anche se ebbe la saggezza di lasciare loro l’uscio aperto.
Che alla prova dei fatti i casi particolari non siano
pochi non significa che essi smettano per ciò solo di
essere particolari rispetto ai due casi “principali” immaginati dal legislatore e costituiti dal minore rimasto orfano di entrambi i genitori e dal minore privo
di una famiglia idonea a curarne la crescita e lui stesso pronto ad essere inserito in una nuova famiglia
normotipizzata, o meglio conformata, dall’art. 6 della legge n. 184/1983.
Ormai a molti anni di distanza dal 1983, è forse il
più complessivo “spirito del tempo” che ci conduce
a riconoscere, quasi in ogni settore, l’esistenza di situazioni particolari meritevoli di positiva considerazione, al contrario dello spirito del tempo passato
che invece tendeva ad individuare modelli normativi più conformativi con poche o nessuna eccezione
nell’ambito regolato.
Non fa eccezione la vicenda delle adozioni in casi
particolari, caricatasi di una molteplicità di funzioni
che sfuggono allo schema ancor oggi spesso riproposto (se ne ha chiara eco anche nel qui riportato passo della Relazione al decreto legislativo di cui all’art.
2 della legge n. 219/2012) secondo cui avremmo minori in stato di abbandono adottati con effetti “legittimanti” (oggi si dovrebbe dire: con effetti di parentela) da coppie coniugate, ai sensi dell’art. 27
della legge n. 184/1983 e minori non in stato di abbandono che potrebbero invece essere adottati ai
sensi dell’art. 44 della legge n. 184 senza che si crei
un vero status di filiazione, dato il conservarsi del
rapporto giuridico di filiazione con i genitori biologici.
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Cosa non funziona in questo schema logico? In primo luogo la mancata distinzione tra effettività in
astratto ed effettività in concreto: se l’adottato in
casi particolari è privo di genitori (perché ignoti,
perché lo hanno abbandonato, o perché sono morti)
cosa potrà farsene del permanere del rapporto giuridico di filiazione biologica? In questi casi la negazione all’adozione degli “effetti di parentela” rischia di
fondarsi su un argomento esclusivamente conservativo del tipo: poiché prima non era previsto, ancor
oggi non lo posso prevedere (6).
In secondo luogo non pare corretta l’idea che l’adozione in casi particolari riguardi necessariamente
minori che non si trovano in una condizione di abbandono. Ciò può infatti riguardare alcuni ma forse
non la maggior parte dei casi che in concreto ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 44. Certamente non è in stato di abbandono il figlio del coniuge, ma lo è l’orfano adottato in casi particolari da
persona (la quale potrebbe anche non essere un parente) che già abbia col minore un significativo rapporto opportunamente valutato dal giudice dell’adozione.
Vero è che spesso l’adozione di cui all’art. 44 si propone come alternativa praticabile quando alla pur
constatabile situazione di abbandono del minore si
accompagni comunque l’opportunità di mantenere
alcuni legami con la famiglia pur inidonea a prendersene cura.
Può infatti sussistere un legame affettivo incancellabile tra genitori pur non recuperabili all’esercizio
delle loro responsabilità ed il figlio, specie se già
grandicello. In tali casi il percorso dell’adozione
“piena”, caratterizzata dall’interezza degli effetti di
cui all’art. 27 della legge n. 184/1983, ad iniziare
dall’affidamento preadottivo e dalla recisione dei legami giuridici con la famiglia di origine, potrebbe
essere davvero inopportuno trovando come primo e
definitivo avversario il minore stesso di cui si vorrebbe realizzare il miglior interesse.
Altre volte l’adozione in casi particolari consente di
ricostruire una relazione di bigenitorialità in un quaNota:
(6) M. Dogliotti, Nuova filiazione: la delega al governo, in questa
Rivista, 2013, 3, 290, si avvede, a differenza dell’autore della relazione ministeriale, della varietà di situazioni descritte dall’art.
44, proponendo che il legislatore delegato provveda a distinguere dalle altre l’ipotesi in cui il minore venga adottato da un parente o da un terzo con precedenti e significativi rapporti e quella in cui il minore venga adottato dal coniuge del suo genitore.
Casi questi nei quali - secondo Dogliotti, ma l’opinione, per le ragioni che espongo nel testo, non mi pare del tutto esatta - non
sussistendo abbandono permane il rapporto con i parenti originari del minore e pertanto non avrebbe senso la sovrapposizione
con altri parenti.
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dro familiare ricomposto. Questo potrebbe avvenire,
ad esempio, quando il padre, completamente disinteressato al figlio, acconsenta all’adozione in casi
particolari da parte del marito o del nuovo compagno della madre.
L’esclusione dei cosiddetti effetti legittimanti era
stata criticata in passato da un’attenta dottrina, rilevando come in tal modo i minori adottati ai sensi
dell’art. 44 si trovassero collocati in una posizione
tendenzialmente peggiore rispetto a quella dei minori beneficiari di una “adozione piena” (7).
Ora che - ad avviso di chi scrive - gli effetti di parentela sono stati attribuiti (giustamente, pur se inconsapevolmente) dal nuovo art. 24 c.c. anche agli
adottati in casi particolari diviene però inevitabile
interrogarsi sulla compatibilità di tali effetti con il
tratto caratteristico di questo tipo di adozione, costituito senza dubbio dalla previsione normativa del
mantenimento delle relazioni, anche in senso giuridico, con la famiglia di origine ed in particolar modo con i genitori biologici, come testimonia, tra l’altro, l’aggiunta del cognome di origine in coda a
quello dell’adottante.
Ciò conduce, ad esempio, nel caso dell’adozione da
parte del coniuge della madre, a dichiarare sospeso
ma non estinto l’obbligo del padre biologico - privato della potestà del minore, esercitata invece dall’adottante - di contribuire economicamente al
mantenimento del figlio; sicché egli ben potrebbe
essere obbligato al versamento di un assegno periodico nel caso in cui la madre ed il genitore adottivo,
tenuti in via primaria, non dispongano delle necessarie risorse e nemmeno gli ascendenti dei due coniugi possano sopperirvi (8).
Questa soluzione pare conforme al superiore interesse del minore il quale però - è utile qui osservarlo riguardo agli eventuali obblighi o diritti di solidarietà familiare gravanti, soprattutto in età adulta, sui
soggetti indicati dall’art. 433 c.c. figurerà (non importa se come debitore o come creditore) solo in
quanto figlio adottivo e non anche nella qualità di
figlio dei suoi genitori biologici.
Non sarebbe invece compatibile con l’interesse del
minore l’esclusione dal rapporto di parentela con i
familiari del genitore adottivo. Sul piano delle relazioni di fatto detto rapporto di parentela si crea comunque, essendo connaturato all’inserimento nella
nuova famiglia, di cui i parenti sono il naturale contesto sia nel caso dell’adozione di minori “ordinaria”
(un tempo legittimante) sia in quello dell’adozione
in casi particolari. Non si vede perché negare sul
piano degli effetti giuridici ciò che già avviene e con
pienezza sul piano delle relazioni esistenziali.
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Coloro che ancora oggi escludono gli effetti di parentela per le adozioni in casi particolari traggono il
loro principale argomento dalla persistenza, nell’orizzonte delle relazioni giuridiche dell’adottato,
della sua famiglia di origine, ritenendo forse addirittura lapalissiano che un figlio non possa avere contemporaneamente due famiglie, ma l’evidenza dell’argomento è in realtà solo apparente. Ci si dovrebbe allora chiedere, secondo questo medesimo spirito, come sia possibile avere due padri (il biologico e
l’adottivo) o in alternativa come sia possibile avere
un padre adottivo limitando però per legge i rapporti di parentela alla sola cerchia dei familiari del “non
più padre”; ancor meno proponibile è, infine, l’idea,
che il padre vero rimanga quello che non c’è più o
che è decaduto dalla responsabilità genitoriale,
mentre quello adottivo sarebbe una sorta di superaffidatario a vita (ma allora perché la legge dispone
che il cognome adottivo sia anteposto a quello del
padre biologico?).
Delle tre alternative l’unica che pare meritevole di
essere considerata è la prima: un padre di adozione
interviene e si sostituisce al padre biologico la cui figura non scompare però dall’identità personale e
giuridica dell’adottato e talvolta nemmeno dall’ambito delle sue effettive relazioni, ma la minore età
dell’adottato orienta comunque l’adozione di cui all’art. 44 verso il comune orizzonte che caratterizza
nel suo insieme la disciplina della legge n. 184/1983:
dare al minore che ne è privo una famiglia idonea.
Perché dunque togliergliela sulla base di astratte deduzioni non più fondate sul testo di legge e sicuramente contrarie all’interesse del minore?
In conclusione
Prima della legge n. 219 i figli adottivi, se l’adozione
non aveva effetti legittimanti, potevano dirsi assimilati alla situazione dei figli naturali, oggi diverrebbero dei “quasi non figli” e comunque gli unici figli che
pur crescendo in una famiglia sin dalla tenera età
non ne diverrebbero familiari.
A mio modo di vedere questo sarebbe l’esito infausto di una linea interpretativa poco consapevole
della differenza funzionale tra l’adozione del minore
di cui all’art. 44 (che partecipa della funzione più generale dell’adozione dei minori) e l’adozione degli
adulti, costruita sullo stampo ottocentesco della disciplina codicistica; e ciò mentre il legislatore, grazie
Note:
(7) Tra gli altri: M. Bessone e G. Ferrando, Minori e maggiori di
età (adozione dei), in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1984, 90.
(8) Cass. 30.1.1998, n. 978, in Giust. civ., 1998, I, 1955.
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forse ad una propria disattenzione, sembrava almeno
questa volta avere evitato un’ingiustizia.
Avremmo, paradossalmente, figli nati dall’unione di
parenti stretti ammessi all’unico status di figlio con
effetti pieni di parentela, almeno in quei quasi misteriosi casi in cui ciò corrisponda al loro interesse
(in pratica: al momento della successione ereditaria
dal padre incestuoso, a tutt’oggi perseguibile penalmente), ma costruiremmo una nuova ed unica categoria di figli marginali: quelli cresciuti nella famiglia
adottiva con la deminutio dell’adozione in casi particolari.
Certo possono suscitare preoccupazioni alcuni effetti giuridici derivanti dal doppio status di figlio dell’adottato in casi particolari, ormai configuratosi come una vera e propria open adoption (9). Non esagererei la portata di tali possibili effetti, quali, ad esempio, la concorrente chiamata dei genitori biologici e
di quelli adottivi sull’eredità del figlio premorto; effetti che poche norme di armonizzazione della disciplina successoria e familiare al nuovo status di figlio
adottivo in casi particolari potrebbero facilmente risolvere cogliendo anche l’occasione per meglio disciplinare l’istituto dell’adozione in casi particolari
in modo da prendere atto della molteplicità delle situazioni e dei bisogni che gli corrispondono e che
forse meriterebbero maggiore attenzione (10).
La sede deputata per tale armonizzazione dovrebbe
certamente essere il decreto legislativo di cui all’art.
2 della legge n. 219, dalla cui competenza delegata
esorbita tuttavia la correzione delle disposizioni già
introdotte con immediata efficacia dalla riforma, tra
le quali figura il nuovo art. 74 c.c.
L’ulteriore novella dell’art. 74 c.c., se dovesse essere
ravvisata come opportuna, dovrà dunque essere decisa dal legislatore con un percorso diverso da quello della delega in commento. Pare questo un ostacolo non facile da superare riguardo ad alcune osservazioni critiche che rimproverano alla legge n. 219
l’esclusione troppo tranchant di tutte le adozioni di
maggiorenni dal nuovo ed unico status di filiazione.
Secondo un’attenta dottrina, infatti, avrebbe meritato diversa considerazione la filiazione adottiva
realizzata ex art. 291 ss. c.c. nei riguardi di ragazzi già
presi in affidamento durante la minore età dagli
adottanti che pur desiderandolo non abbiano avuto
la possibilità di procedere immediatamente o comunque per tempo all’adozione ai sensi della legge
n. 184/1983 (11).
Nella stessa opportuna prospettiva di riflessione è
stata anche prospettata la problematicità dei rapporti tra fratelli entrambi adottati all’interno del medesimo nucleo familiare quando l’uno sia stato adotta-
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to da minorenne e l’altro quando aveva ormai raggiunto la maggiore età (12). In tali situazioni, a mio
avviso, un potere di attribuzione dello status di figlio-parente ai sensi dell’art. 74 c.c. avrebbe potuto
essere lasciato alla valutazione, caso per caso, del
giudice civile pur delimitando normativamente a
casi ben specifici la possibilità di richiedergli detto
scrutinio.
Note:
(9) Come nota L. Lenti, La sedicente riforma, cit., 203.
(10) È quanto emerge dal (non a caso breve) repertorio di questioni proposto da M. Dossetti, La parentela, cit., 25.
(11) In tal senso L. Lenti, La sedicente, cit., 203.
(12) Così M. Dossetti, La parentela, cit., 26.
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