Mat Compl01/02 - Università degli Studi di Parma

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Mat Compl01/02 - Università degli Studi di Parma
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DEGLI
S TUDI
DI
PA R M A
F ACOLT à DI S CIENZE M ATEMATICHE / FISICHE E N ATURALI
D IPARTIMENTO DI MATEMATICA
Carlo Marchini
Appunti di Matematiche Complementari
1° modulo
Anno Accademico 2001/2002
Introduzione .......................................................................................................................1
Capitolo 1 - Origine delle strutture formali.........................................................................6
1. 1. I numeri naturali..............................................................................................7
1.2. Insiemi infiniti................................................................................................20
1.3. Permutazioni..................................................................................................26
1.4. Tempo e ordine..............................................................................................33
1.5. Spazio e movimento.......................................................................................40
1.6. Simmetria.......................................................................................................51
1.7. Gruppi di trasformazioni................................................................................52
1.8. Gruppi ...........................................................................................................54
1.9. Algebre di Boole............................................................................................65
1.10. Continuità e Topologia.................................................................................70
1.11. Attività umane e idee ....................................................................................76
1.12. Attività matematiche .....................................................................................79
Capitolo 2 - Concetto di numero.......................................................................................91
2.1. Proprietà dei numeri naturali..........................................................................91
2.2. I postulati di Peano ........................................................................................95
2.3. Numeri naturali descritti mediante la ricursione ...........................................103
2.4. Congruenze..................................................................................................109
2.5. Numeri cardinali ..........................................................................................114
2.6. Numeri ordinali............................................................................................117
2.7. Fondazioni...................................................................................................121
Capitolo 3 - La complessa rete matematica .....................................................................123
3.1. Un diagramma esplicativo............................................................................123
3.2. Il formale .....................................................................................................124
3.3. Idee..............................................................................................................132
3.4. La rete concettuale........................................................................................135
3.5. Comprendere la Matematica.........................................................................140
3.6. Nuovi sviluppi matematici............................................................................144
3.7. La Matematica è vera?..................................................................................147
Indice..............................................................................................................................152
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Matematiche Complementari - 1° modulo
Carlo Marchini
Appunti delle lezioni
Introduzione.
Il primo modulo del corso di Matematiche Complementari intende descrivere le origini
pratiche e concettuali della Matematica, i caratteri del suo sviluppo, non in senso storico,
ma in termini intrinseci. Il motivo ispiratore è quello di offrire una lettura unitaria delle varie parti studiate nel corso di Matematica per cercare le origini di tale unità. Mi avvalgo
ampiamente del testo di Saunders Mac Lane (n. 1909), Mathematics Form and Function,
Springer, Berlin, 1986, che si pone l'obiettivo di illustrare, a parere dell'autore, quale sia la
funzione della Matematica e quale ne sia la forma. Si tratta di una riflessione di carattere
filosofico, che però richiede prima l'osservazione di cosa sia la Matematica oggi. Per
questo prima di affrontare la questione si passano in rassegna alcuni dei contenuti matematici fondamentali perché una filosofia della Matematica che non sia fortemente ancorata
alla disciplina stessa rischia di non essere convincente.
La chiarire origini e pratiche concettuali della Matematica ci si può avvalere di una specie di "scaletta"" data dai seguenti sei quesiti:
1) Qual è l'origine della Matematica? La domanda richiede di andare a cercare al di fuori della Matematica stessa le ragioni che hanno portato, ad esempio, all'aritmetica, all'algebra, alla geometria, ai teoremi ed alle teorie matematiche. In questo modo si mette in evidenza che c'è una componente empirista anche nella Matematica. Non è detto però che le
ragioni dello sviluppo siano da cercarsi solo al di fuori della nostra disciplina. Anche l'immaginazione e l'introspezione possono essere sorgenti di risultati matematici. Ciò porta
però alla domanda se la Matematica sia scoperta o inventata.
2) Qual è l'organizzazione della Matematica? Oggi si tratta di un argomento vasto e
molto differenziato e di per sé richiede un'organizzazione sistematica assai estesa. C'è una
suddivisione tradizionale in quattro parti, come si può riscontrare anche dall'organizzazione del corso di laurea: Algebra, Analisi, Geometria, Matematica Applicata. Ci si rende conto però presto che si sono forse tralasciati interi campi o che altri sono a cavallo di questi.
Ad esempio, lo studio dell'analisi complessa è argomento di Analisi o di Geometria. Così
la Teoria dei numeri viene collocata sia in Algebra che in Analisi. La Geometria algebrica
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
o differenziale in quale delle suddivisioni va considerata? E il Calcolo delle Probabilità e la
Logica matematica?
I quattro grandi campi possono a loro volta essere suddivisi in modo più fine: sono argomenti che vengono riconosciuti come pertinenti all'Algebra quelli di Teoria dei Gruppi,
Algebra commutativa, Algebra lineare (o è Geometria?).
Ogni suddivisione della Matematica in settori è necessariamente imprecisa e costringe a
sovrapposizioni e ad ambiguità. La soggettazione più recente dei lavori di ricerca matematica (AMS) presenta numerose difficoltà e ha, ad esempio, introdotto una nuova voce relativa alla Psicologia della Matematica ed all'Insegnamento della Matematica. Ma viene da
chiedersi se la reale organizzazione della Matematica non possa semplicemente essere ottenuta mediante un metodo di suddivisione in settori separati (una partizione) o se invece
non ci sono metodi più profondi, più filosofici, che spieghino l'organizzazione della Matematica. L'idea dell'organizzazione di una scienza è di matrice positivista. Su di essa ha
scritto Auguste Comte (1798 - 1857) (un matematico, era esercitatore di Analisi all'école
Politechnique, prestato alla filosofia) proponendo un'organizzazione lineare delle scienze.
Questo paradigma però non regge alla prova dei fatti, come ha mostrato anche Francesco
Speranza (1932 - 1998) 1. Non è possibile trovare cosa deve essere fatto prima e cosa
dopo, costruendo un ordine lineare della Matematica. Ci si può inoltre chiedere se esistono parti della Matematica che non sono importanti o che, al momento, possono essere non
adeguatamente comprese. Se si riuscisse a trovare un'impostazione fondazionale che
fornisse una buona organizzazione della Matematica si potrebbe rispondere a queste domande.
Per Mac Lane l'idea guida è mostrare come in ogni campo appaiano aspetti che mettono
in luce (oggi) la natura formale. I problemi effettivi richiedono spesso calcoli, ma i calcoli
richiedono a loro volta regole e queste servono ad evitare una continua attenzione ai connotati del problema. Può essere poi una sorpresa osservare o constatare che i calcoli vanno
d'accordo con i fatti (il successo della Matematica).
Le dimostrazioni in Geometria hanno un loro fluire logico a partire dagli assiomi, ma i
risultati dimostrati come teoremi poi sono in accordo con il "mondo". Va perciò analizzata
la relazione tra formale e "reale". Questo porta al terzo problema:
3) I formalismi della Matematica sono basati sui fatti o derivati da essi? Se non sono
derivati dai fatti, da cosa derivano? In alternativa, se la Matematica è un gioco puramente
formale, perché le conclusioni formali sono in accordo coi fatti?
1 Speranza F.: 1993, 'La classificazione delle Scienze: un problema concreto con fondamenti epistemologici’,
Rivista di Matematica dell'Università di Parma, ser. 5, vol. 2, 159 - 170, ristampato su Speranza F.: 1997,
Scritti di Epistemologia della Matematica, Pitagora Editrice, Bologna, 103 - 112.
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
4) La quarta questione è relativa allo sviluppo della Matematica. Come avviene tale sviluppo? Esso è motivato dai problemi quantitativi che sorgono nelle applicazioni alle Scienze ed alla Tecnologia, oppure lo sviluppo è guidato dai problemi difficili che sono presenti
nella tradizione Matematica oppure ancora sono motivati da un desiderio di comprendere
meglio la tradizione? Per esempio, quanto deve la moderna Teoria dei numeri al Teorema
di Fermat? Il risultato ottenuto è da riguardarsi come una vetta della produzione Matematica o ci deve essere un'eguale attenzione e valutazione positiva per le opere più sistematiche
che introducono idee nuove ottenute per analogia, generalizzazione o astrazione? Tra l'altro
come viene giustificata l'astrazione e come si può fare per comprendere se si tratta di
un'astrazione utile e corretta?
Questi problemi relativi alla dinamica dello sviluppo della Matematica pongono un'ulteriore difficile questione di importanza sociologica: come fare a valutare l'importanza e la
profondità di una ricerca matematica? Si pensi al confronto con ricerche in Biologia o
Chimica.
La storia ci presenta comportamenti sociali dei matematici molto diversi: metodi accurati
e rigorosi canoni dimostrativi sono stati sviluppati in antichità per la Geometria. In seguito
l'Analisi si è ben sviluppata, senza dimostrazioni accurate, usando nozioni dubbie (agli occhi degli stessi proponenti) quali gli infinitesimi attuali. Questi due casi in certo senso paradigmatici ed introducono la quinta domanda:
5) C'è uno standard assoluto di rigore in Matematica? Legata a questa questione ce n'è
un'altra relativa alla ricerca di una fondazione corretta della Matematica in cui sviluppare
tale rigore. Ebbene, e questa è storia del XX secolo, il problema dei fondamenti è stato affrontato da almeno sei scuole di pensiero in netto contrasto (e da un certo punto di vista, in
competizione) tra loro:
Logicismo: Gottlob Frege (1848 - 1925) e poi Bertrand Russell (1872 - 1970) asserirono che la Matematica è solo una parte della Logica, quindi il problema dei fondamenti e
dello sviluppo della Matematica è risolto una volta per tutte sulla base di principi logici
correttamente stabiliti. Alfred N. Whitehead (1861 - 1947) e Russell hanno trattato e sviluppato tale approccio in maniera assai vasta nei Principia Mathematica (1910/12/13). In
questa scuola di pensiero, il rigore viene definito come corretto adeguamento alle leggi
logiche.
Teoria degli insiemi: Ernst Zermelo (1871 - 1953) (e altri), e per certi aspetti, gli éléments de Mathématique di Bourbaki (1939), propongono questa soluzione. E' rimarchevole che quasi tutti gli oggetti matematici possano esser costruiti mediante gli insiemi. In
tal modo si fa strada l'idea che la Matematica tratti solo proprietà di insiemi e che queste
possano essere dedotte partendo da una opportuna lista di assiomi, ad esempio quelli della
teoria di Zermelo e Adolf Abraham Fraenkel (1891 - 1965), o con l'aggiunta di qualche al-
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
tro assioma che possa essere scoperto e conglobato nella lista. Nella Teoria degli insiemi
il concetto di rigore è legato alla corretta dimostrazione di eguaglianze e relazioni di natura
insiemistica.
Platonismo: La descrizione insiemistica della Matematica si accompagna spesso con la
forte credenza che gli insiemi esistano effettivamente in un qualche dominio reale, aggiornando posizioni già presentate da Platone (427 - 347 a.C.). Kurt Gödel (1906 - 1978), ad
esempio, giunge a supporre l'esistenza di un sesto senso che permetta di percepire il dominio ideale. Altri platonisti della Matematica limitano ai numeri ed allo spazio il dominio
ideale. In esso esisterebbe il triangolo ideale contro cui si scagliano John Locke (1632 1704) e David Hume (1711 - 1776). In ambito platonico, una dimostrazione è tanto più
rigorosa quanto più si approssima a descrivere i veri rapporti tra gli enti ideali coinvolti.
Formalismo: La scuola di David Hilbert (1862 - 1943) sostiene che la Matematica si
possa considerare una manipolazione puramente formale di simboli non interpretati, pensati come le carte di un gioco. Questa manipolazione la si esegue quando si svolge una dimostrazione rigorosa dei teoremi a partire da assiomi. Questa idea è parte del più ampio
programma di Hilbert, cioè mostrare che un qualche sistema adeguato per svolgere la matematica è coerente, nel senso che le dimostrazioni in esso non porteranno mai ad un assurdo, ad esempio a dimostrare che 0 = 1. Per ottenere ciò le dimostrazioni vengono studiate come oggetti matematici (e quindi non più come strumenti per comprovare o validare
affermazioni) risultato di manipolazioni finite di simboli; ed i metodi usati per studiare le
dimostrazioni sono i più "sicuri", basandosi solo su metodi strettamente finitistici. Finora
una dimostrazione di coerenza non è ancora stata ottenuta con i metodi detti (con altri più
potenti sì). Anzi il teorema di incompletezza di Gödel fa fortemente dubitare che sia possibile ottenere la coerenza con questi metodi. In questa scuola di pensiero il rigore è sostanzialmente stabilito dagli assiomi logici e specifici, nonché dalle regole di inferenza
applicate correttamente. In certo senso è assai vicino a quanto sostenuto dal Logicismo,
con la limitazione degli aspetti finitistici legati al formalismo.
Intuizionismo: La scuola di Luitzen Brouwer (1881 - 1966) e tutti gli studi che rientrano sotto l'etichetta del Costruttivismo, affermano che la Matematica è basata su alcune intuizioni fondamentali; per Brouwer essa è la duità che integra l'intuizione sintetica a priori
del tempo, derivata da Immanuel Kant (1724 - 1804). Questa intuizione porta alla successione dei numeri naturali (e alla loro considerazione solo come collezione potenzialmente
infinita). Di conseguenza tutte le dimostrazioni di esistenza in Matematica devono essere
svolte con l'esibizione degli oggetti di cui si afferma l'esistenza. Per questa ragione i
principi della logica cosiddetta "classica", da Aristotele (384 - 322 a. C. ) in poi non sono
accettabili. Ad esempio cade il terzo escluso (p ∨ ¬p) e di lì tante altre proprietà. In questa
presentazione dei fondamenti, il rigore è misurato dall'intuizione, non dalla correttezza
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logica, anzi Brouwer afferma che i paradossi sono di fatto causati dalla accettazione indiscriminata di una Logica valida solo per il finito, estendendola anche all'infinito.
Empirismo: è l'affermazione che la Matematica è una particolare scienza empirica, pertanto deve avere una fondazione strettamente empirista, basata esclusivamente sullo spazio
e sui numeri. Tale approccio, che può riscontarsi anche in matematici e filosofi del passato
ha avuto molto sviluppo in tempi assai più vicini a noi. Ad esempio, sorprendentemente,
Russell attribuisce una origine empirica alla Logica 1. Resta però aperto il problema se è
possibile avere un'esperienza concreta con i numeri; con lo spazio forse ci sono minori
problemi. Nella produzione degli attuali filosofi di stampo empirista viene negata la
validità assoluta del rigore e dei teoremi.
Questo elenco non è esaustivo. Tuttavia è da notare che queste ed altre impostazioni
hanno in parte esaurito negli ultimi anni la loro capacità di spiegare i problemi ed i risultati
della Matematica.
Resta ancora una domanda da porre, forse la più fondamentale.
6) Essa concerne la Filosofia della Matematica. Questa è oggi un intero fascio di questioni. Ci sono problemi ontologici: cosa sono gli oggetti della Matematica e dove esistono (se esistono)? Ci sono problemi metafisici: qual è la natura della verità matematica?
Questo è un problema tra i più trattati dato che nelle ricerche dei filosofi sulla verità si usa
la verità matematica come un primo esempio di verità assoluta. Un altro problema di natura metafisica riguarda la semplicità. Spesso il matematico affronta un problema e per risolverlo fa delle ipotesi che semplificano il lavoro. Il criterio della semplicità è solo una prassi
basata sulla "capacità" dei metodi matematici disponibili o è una scelta in qualche modo
suggerita dal pensiero umano?
Ci sono altri problemi epistemologici: come facciamo ad avere conoscenza delle verità
matematiche o degli oggetti matematici? A questa domanda si può rispondere in più modi
perché la risposta dipende da che tipo di verità o di oggetti matematici si considerano.
Questo problema è evidentemente legato a quello dell'insegnamento, ammesso che sia
possibile insegnare la Matematica, cioè come si possa favorire la concettualizzazione degli
oggetti matematici e come far apprendere le verità matematiche.
Alcune questioni più immediate e pratiche. Se la Matematica è solo un gioco formale
oppure se è solo deduzione logica dagli assiomi, come può essere così irragionevolmente
efficiente per gli scopi della scienza? O, detto in altro modo, perché la Matematica è la disciplina di maggior uso nella comprensione del mondo?
Aggiungerei un altro tipo di riflessione, connesso a quanto precede: secondo alcuni
psicologi, in particolare Philip Johnson-Laird (n. 1936), il pensiero formale matematico
1 Si veda Speranza F.: 1997, ‘Tendenze empiriste nella Matematica’, su Speranza F. Scritti di Epistemologia
della Matematica, Pitagora Editrice, Bologna, 57 - 64.
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non è "naturale"; è quindi frutto di una costruzione umana artificiale. Oppure esso è frutto
di selezione naturale, oppure è semplicemente un talento di ogni uomo, che ha impiegato
migliaia di anni di evoluzione culturale per essere compreso e utilizzato quanto lo è oggi?
Il tema è importante perché il pensiero formale è sicuramente una delle caratteristiche
umane. Ma si può apprendere oppure è necessario un "organo" opportuno, cioè una capacità innata?
Le varie scuole fondazionali hanno tentato risposte ad alcune di queste questioni, e nessuna di esse vi è stata data in modo soddisfacente. Spesso, soprattutto nei lavori dei filosofi, vengono trattate le parti più elementari della Matematica, numeri e spazio, tralasciando
molto altro "sostanzioso" materiale.
L'approccio di Mac Lane, da lui chiamato Formalismo funzionale, deve molto all'opera
di Bourbaki, da cui, ad esempio, riprende l'idea delle strutture madri.
Capitolo 1 - Origine delle strutture formali.
La Matematica è stata descritta come la scienza del numero e dello spazio, o meglio del
numero, del tempo, dello spazio e del movimento. Le più semplici attività umane richiedono una scienza di questo tipo dato che coinvolgono il contare, il temporizzare, il misurare, usando a tale scopo, numeri, intervalli, distanze e forme. I fatti attorno a queste operazioni ed idee si sono gradualmente sviluppati e mettendosi assieme hanno portato ad un esteso corpus di conoscenze basato su poche idee e hanno fornito regole formali per il
calcolo. In certi casi questo corpo di conoscenze si è organizzato come un sistema formale
di concetti, assiomi, definizioni e dimostrazioni. L'assetto dato da Euclide (intorno al 300
a. C. ) alla Geometria ha avuto una grande e lunga influenza sul pensiero occidentale (e
non solo) ed è stato perfezionato da Hilbert (1899). Similmente i numeri naturali, nati dal
conteggio, in Europa hanno avuto solo nel XIII secolo una notazione efficiente che ha permesso regole di calcolo efficaci. Successivamente (verso la fine del XIX secolo) ad opera
di Richard Dedekind (1831 - 1916) e Giuseppe Peano (1858 - 1932) hanno avuto una sistemazione formale ottenuta individuando le proprietà del passaggio al successore. Così
pure le misure di tempo e spazio, le cui origini si possono trovare nell'antichità mesopotamica, sono state codificate mediante assiomi che fanno intervenire i numeri reali. Tutt'oggi
però esse risentono della antica trattazione e numerazione sessagesimale.
Si è quindi costituita una base formale per presentare e studiare i concetti matematici
dedotti dalla esperienza e dai fatti. Questo sviluppo ha avuto una lunga storia e i punti
d'arrivo citati prima sono stati ottenuti anche in tempi diversi.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
1. 1. I numeri naturali. Se si vuole elencare, etichettare, contare, enumerare o paragonare, ciò è possibile farlo mediante un unico sistema numerico, quello dato dai numeri
naturali scritti con la consueta notazione decimale (con 10 cifre). Gli stessi numeri possono essere scritti con altre notazioni, ad esempio usando i numerali romani o usando cifre diverse (relative alla scelta della base). I numeri sono usati per elencare in ordine gli
oggetti di una stessa collezione, o semplicemente per etichettare questi oggetti, o per contare l'intera collezione o per confrontare due collezioni. Da queste attività traggono origine
diversi concetti matematici: insieme, numero, etichetta, elenco. Attenzione, qui insieme è
un sinonimo di collezione, col significato dell'uso comune. Ad esempio
(1)
S = {A,B,C},
T = {U,V,W}
sono insiemi, ciascuno di tre lettere, scritti con la notazione convenzionalmente accettata
per denotare insiemi, utilizzando lettere e segni specifici.
L'operazione eseguita nell'elencare una collezione quale {A,B,C} comporta l'associare
un numerale (un simbolo) ad ogni oggetto della collezione, secondo l'ordine regolare, ad
esempio iniziando da 1 e procedendo in ordine. Con l'elencazione si ottiene così
{A1,B2,C3}. Solo se per ogni numero esiste un numero successivo immediato, s(n) =
n+1, i numerali sono adeguati a questo processo comunque presa una collezione.
L'operazione che si esegue con l'etichettare una collezione consiste nell'associare agli
oggetti della collezione gli stessi numerali usati nell'elencazione, senza tenere conto del
loro ordine come in {A2,B3,C1}. Si pensi di avere delle etichette adesive da appiccicare
alle lettere, le etichette sono numerate con i numerali 1, 2 e 3 e vengono appiccicate alla
rinfusa. Si noti che anche l'elencazione è una sorta di etichettatura, non è detto il viceversa.
L'operazione di contare una collezione consiste nel determinare quanti numerali (o quali
numerali) sono necessari per etichettare tutti gli oggetti della collezione. A questo proposito si osservi che il conteggio, fatto in modo corretto anche più volte, fornisce la stessa risposta. In particolare, i numerali necessari non dipendono dall'ordine con cui vengono
contati gli oggetti della collezione. Ciò avviene ad esempio se si considerano {A1,B2,C3}
oppure {B1,A2,C3} o {C1,B2,A3}, esso termina sempre con 3. Questo fatto pare ovvio,
ma se si riflette un attimo, la sua ovvietà non è basata su un principio matematico, bensì sul
principio empirico - psicologico della conservazione della quantità (Jean Piaget (1896 1980)). C'è da chiedersi allora se tale ovvietà fa parte della natura del numero e dell'insieme, oppure si tratta di un risultato che va provato matematicamente.
Il confronto di due collezioni quali {A,B,C} e {U,V,W} consiste nell'associare ad ogni
oggetto della prima collezione un oggetto della seconda, finché entrambe le collezioni
sono esaurite, questo avviene, ad esempio scrivendo {A/U, B/V, C/W} oppure {〈A,U〉,
〈B,V〉, 〈C,W〉}. Ovviamente può accadere che l'operazione non possa essere portata a
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
termine in modo completo, perché una delle due collezioni si esaurisce prima dell'altra. In
questo senso la collezione che si esaurisce prima è "più piccola" dell'altra, ai fini del confronto. Il risultato di questo confronto non dipende dall'ordine in cui gli oggetti vengono
associati: qualunque sia l'ordine considerato, {A,B} è più piccolo, nel senso detto precedentemente, di {U,V,W}. Attenzione, quando si parla di due collezioni non si vuole
escludere che le due collezioni siano eguali. In questo caso, come si vedrà anche nel seguito, c'è sempre una biezione, quella che si può rappresentare come {A/A, B/B, C/C},
oppure come {〈A,A〉, 〈B,B〉, 〈C,C〉} essa viene chiamata identità. Vi sono molte coppie di
collezioni che possono essere confrontate così, ma è ovvio che si ottiene un "risparmio"
concettuale confrontando ciascuna collezione finita con i segmenti iniziali di numeri naturali positivi, che divengono così una sorta di "metro" per questa operazione di confronto:
{1,2,3), {1,2,3,4}, {1,2,3,4,5}, ecc.
In questo contesto si dice che la collezione {A,B,C} ha numero cardinale 3, e si scrive
#{A,B,C} = 3. Si noti che ciò equivale al confronto {1/A, 2/B, 3/C} oppure scritta in
altro modo {〈1,A〉, 〈2,B〉, 〈3,C〉}. Ma si può scrivere anche diversamente utilizzando il
concetto di corrispondenza biunivoca 1,
(2)
f: 1 |→ A, f: 2 |→ B, f: 3 |→ C.
Questo confronto di {A,B,C} con la collezione "campione" {1,2,3} è associata all'elencazione della collezione nel senso che ripresenta in altri termini l'elencazione detta prima.
Però c'è una differenza: quando si elenca si è all'interno della collezione. Nel confronto
con la collezione standard, si "esce" all'esterno della collezione S = {A,B,C}. La collezione T = {U,V,W} ha lo stesso numero cardinale, come è provato dalla corrispondenza
biunivoca
(3)
g: 1 |→ U, g: 2 |→ V, g: 3 |→ W.
La definizione formale di questo processo di associazione stabilisce che una biezione b
(la corrispondenza biunivoca) dalla collezione S alla collezione T è una regola b che
associa ad ogni elemento s di S un elemento b(s) di T, in modo tale che ogni elemento t
di T viene ottenuto partendo da un solo s di S. Ma ciò significa che l'inverso di b (cioè b
letto al "contrario") è una biezione da T a S. Pertanto la biezione inversa della f data dalla
(2) è:
f-1: A |→ 1, f-1: B |→ 2, f-1: C |→ 3.
C'è poi il caso particolare dell'identità, discusso prima, che può rappresentarsi come segue
(4)
I: A |→ A, I: B |→ B, I: C |→ C.
La biezione descritta in (2), "composta" con la biezione g data in (3) fornisce una biezione
f-1 seguita da g, che è una biezione (diretta) da {A,B,C} a {U,V,W}:
1 Questa dicitura italiana, tra l'altro ben consolidata dalla tradizione, è in sé "buffa". La parola biunivoca richiama due parole bi che deriva da bis, parola latina che vuol dire due volte, e uni che vuole dire uno. Quindi è
contemporaneamente associata a due ed a uno. Non è una parola di uso corrente e quindi gli studenti possono
trovarsi in imbarazzo nel comprenderne l'uso ed il significato.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
(g°f-1) A |→ U, (g°f-1): B |→ V, (g°f-1): C |→ W.
Pertanto l'osservazione elementare che due collezioni S e T hanno lo stesso numero cardinale,
#{A,B,C} = #{U,V,W}
suggerisce il processo più generale di composizione di biezioni, una seguita dall'altra.
Queste idee relative alle biezioni possono essere usate per fornire una definizione formale
di numero naturale (cardinale).
Questa modalità di introduzione dei numeri naturali viene spesso utilizzata in molte
scuole. Essa, come si vede sotto, può causare difficoltà di comprensione e apprendimento.
Sicuramente le fornisce se è l'unico approccio al concetto di numero naturale e, in questo
senso, i programmi della scuola elementare sono espliciti, raccomandando una pluralità di
interpretazioni di questo fondamentale concetto matematico. L'uso del numero cardinale di
un insieme (finito) come numero naturale ha un primo punto di difficoltà didattica
nell'introduzione di 0 come il numero cardinale dell'insieme vuoto, #∅, questo perché
entrambi gli enti, quello numerico, 0, e quello insiemistico, ∅, vengono spesso
intuitivamente rifiutati (in accordo con l'inesistenza del vuoto che ha avuto come sostenitori Parmenide (1ª metà del V sec. a. C. ), Aristotele, René Descartes (1596 - 1650), il cui
cognome viene latinizzato nella forma Cartesio e Kant anzi nella Filosofia Scolastica si
sostiene l'horror vacui). Anche il numero 1 pone dei problemi, dato che richiede un insieme formato da un solo elemento, il singoletto, e spesso non si comprende che bisogno
ci sia di distinguere tra l'elemento e l'insieme costituito da un solo elemento, visto che
quest'ultimo è perfettamente individuato conoscendone il suo unico elemento. Sulla scorta
di pensatori antichi, talora uno non è neppure considerato come numero; il numero infatti
dovrebbe essere collegato all'idea di molteplicità, quindi il primo numero è due. Si
esprimono in tal modo Pitagora (VI sec. a. C. ); ed Euclide. Coloro che pensano che uno
non sia un numero, lo ritengono un articolo. La lingua italiana permette la confusione tra
articolo indeterminativo (coniugabile) e l'aggettivo numerale. Ciò non avviene in inglese,
ad esempio, in cui a e one, hanno usi diversi.
Ma qualunque cosa siano i numeri naturali e comunque essi possano essere definiti, il
loro scopo primario è servire per calcolare somme, prodotti e potenze.
Se ci si attiene a questo ambito insiemistico, la somma di due numeri cardinali la si può
ottenere come il numero cardinale dell'insieme ottenuto "combinando" due collezioni disgiunte aventi i dati numeri cardinali usati come addendi. Così se #{A,B,C} = 3 e #{U,V}
= 2, allora #{A,B,C,U,V} = 5 e 5 = 3 + 2.
Una breve parentesi didattica: su molti testi delle scuole elementari e anche di altre
scuole si trova questa "giustificazione" dell'addizione associata alla operazione insiemistica di unione. Talvolta gli autori dimenticano di specificare accuratamente che bisogna utilizzare insiemi disgiunti, cioè tali che non abbiano elementi comuni. Questo uso degli in-
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siemi è stato giustamente criticato dai ricercatori in didattica, soprattutto perché richiede un
concetto, quello di insieme, appunto, nonché l'operazione di unione e la definizione di disgiunzione tra insiemi, concetti che non sono proprio elementari, visto anche lo sviluppo
storico dela nozione di insieme, esplicitamente presentata nel XIX secolo come oggetto
matematico, ben più tardi dell'Aritmetica, presente già negli Elementi di Euclide (Libri VII,
VIII e IX).
Inoltre le proprietà degli insiemi dovrebbero essere "indipendenti" dalla natura degli
elementi che li costituiscono, cioè le proprietà insiemistiche sono quelle "invarianti" per
biezioni, come appunto detto prima per il numero cardinale. Ma il fatto che due insiemi
siano o no disgiunti non è una proprietà invariante per biezioni. Ad esempio riprendendo
le notazioni viste in precedenza, tra gli insiemi S e T c'è una biezione. Ora gli insiemi S e
T sono disgiunti, se i loro elementi sono le lettere dell'alfabeto, se invece sono altri enti
non è così banale affermarlo. Anche l'identità vista in (4) è una biezione dall'insieme S in
sé, ma l'insieme S non è disgiunto da se stesso. In conclusione sembra che questa introduzione dell'addizione risenta troppo della impostazione insiemistica, non correttamente
intesa.
L'uomo ha introdotto ed utilizzato l'addizione ben prima di aver esplicitato il ruolo degli
insiemi e non è detto che quella proposta qui sia l'origine genetica della operazione. Ad
esempio l'addizione di due segmenti che giacciono sulla stessa retta, si può definire e non
credo sia corretto ricondurla all'unione insiemistica di insiemi disgiunti, proprio perché per
ottenere da due segmenti un segmento bisogna che abbiano un punto (estremo) in comune! Analogamente l'addizione richiesta per sapere quanto importa il conto del supermercato solo con molta fatica può essere ricondotta ad un contesto insiemistico. Viene
spontanea la domanda se tutte queste "addizioni" forniscano la stessa operazione oppure
no, ma questo è un problema sicuramente difficile e qualcosa sarà detto nel Cap. 2.
Dovrebbe essere ovvio che questa "combinazione" di insiemi è data dall'operazione insiemistica di unione che permette, dati due insiemi ,di ottenerne un terzo avente per elementi quelli che sono elementi di almeno uno dei due insiemi di partenza.
Per quanto riguarda la moltiplicazione, mediante gli insiemi c'è la possibilità di ricondurre tale operazione sui numeri alla determinazione del numero cardinale di un insieme
ottenuto grazie all'operazione insiemistica di prodotto cartesiano, il cui nome deriva da
Cartesio. Considerati i due insiemi {A,B,C} e {U,V}, si può costruire l'insieme
({A,B,C}×{U,V}) = {〈A,U〉, 〈A,V〉, 〈B,U〉, 〈B,V〉, 〈C,U〉, 〈C,V〉}. Si può rappresentare
il prodotto cartesiano mediante uno schema geometrico:
〈A,V〉 〈B,V〉 〈C,V〉
〈A,U〉 〈B,U〉 〈C,U〉
simile al seguente
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
V • • •
U • • •
ABC
Si ha #({A,B,C}×{U,V}) = 6 = 3·2 = #{A,B,C} · #{U,V}. Analizzando lo schema per
colonne ("raccogliendo" la prima componente), si ha che l'insieme ({A,B,C}×{U,V}) è
dato dall'unione di tre insiemi disgiunti aventi ciascuno numero cardinale 2 :
{〈A,U〉,〈A,V〉}, {〈B,U〉,〈B,V〉} e {〈C,U〉,〈C,V〉}, quindi 3·2 si può ritenere la somma
iterata di 2 come segue: 3·2 = 2 + 2 + 2. Analizzando lo schema per righe
("raccogliendo" la seconda componente), si ha che l'insieme ({A,B,C}×{U,V}) è dato
dall'unione di due insiemi disgiunti aventi numero cardinale 3: {〈A,U〉, 〈B,U〉, 〈C,U〉} e
{〈A,V〉, 〈B,V〉, 〈C,V〉}, quindi 3·2 si può ritenere la somma iterata di 3 come segue: 3·2
= 3 + 3.
Su questo tema ci sono due "scuole di pensiero", quella dell'iterazione del moltiplicando
e quella dell'iterazione del moltiplicatore, termini che risalgono all'Algebra retorica 1.
A ben guardare il concetto di prodotto cartesiano di due insiemi si basa a sua volta su
quello di coppia ordinata. E mentre c'è ampia convergenza di diversi pensatori sull'interpretazione delle operazioni insiemistiche di unione ed intersezione, c'è grande varietà su
cosa sia una coppia ordinata. Il problema si può risolvere dicendo che si tratta di un ente
primitivo (Peano) oppure di un ente definibile mediante insiemi. Resta da precisare che tipo di insieme e qui se ne presentano alcune alternative (le più semplici). Felix Hausdorff
(1868 - 1941), nel 1914 definisce la coppia ordinata 〈x,y〉 come l'insieme {{x,1},{y,2}}.
Norbert Wiener (1894 - 1964), sempre nel 1914 definisce la coppia ordinata 〈x,y〉 come
l'insieme {x,{x,y}} ed infine, la definizione che si incontra più spesso sui testi: Kasimierz
Kuratowski (1896 - 1980) nel 1921 pone 〈x,y〉 = {{x},{x,y}} 2. Gli elementi del prodotto
cartesiano (S×T), secondo Hausdorff, appartengono aP(P(S∪{1})∪P(T∪{2}})), quindi
(S×T)∈P(P(P(S∪{1})∪P(T∪{2}})));
per Wiener gli elementi di (S×T) appartengono a P(S∪P(S∪T)), quindi
(S×T)∈P(P(S∪P(S∪T)));
ed infine per Kuratowski, gli elementi di (S×T) appartengono a P(P(S∪T)), e pertanto
(S×T)∈P(P(P(S∪T))).
1 Si noti che anche per l'addizione è possibile una presentazione come iterazione del passaggio al successivo.
In questo caso le due scuole di pensiero riguardano il fatto se bisogna ripetere 1 tante volte quanto indicato dal
primo oppure dal secondo addendo. Si noti che il fatto non ci sia un termine specifico per "chiamare" il primo ed
il secondo addendo se non qualificandoli mediante un aggettivo numerale ordinale, in qualche modo fa presentire
il problema della commutatività dell'operazione. Per contro il fatto che i termini della moltiplicazione abbiano
nomi diversi fa pensare che la commutatività della moltiplicazione non sia di per sé ovvia. Sicuramente non lo
è, vista l'esistenza di strutture "numeriche" in cui la moltiplicazione è non commutativa: il corpo dei quaternioni
di William Rowan Hamilton (1805 - 1865).
2 Altre e più complesse definizioni sono state date da Nelson Goodmann nel 1941, da Willard Van Orman Quine
(n. 1908) nel 1945 e da Wolfram Schwabhäuser nel 1953. Con queste definizioni aumentano le "diversità" tra
gli insiemi "prodotto cartesiano".
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Come si vede si tratta di insiemi sostanzialmente diversi e questo fa capire che la non
unicità del concetto di coppia ordinata comporta la non unicità del concetto di moltiplicazione cartesiana di due insiemi. In sostanza ciò che importa della coppia ordinata è che
due coppie ordinate sono eguali soltanto se sono eguali le componenti rispettive 1. Le date
associate ai nomi degli studiosi che si sono occupati del problema mostrano che anche se
il concetto possa essere stato intuito o utilizzato da lungo tempo 2, la precisazione è
esclusiva del secolo XX.
Anche nel caso della moltiplicazione c'è da chiedersi se le operazioni di moltiplicazione
definite mediante il prodotto cartesiano o l'addizione ripetuta sono la stessa operazione
oppure no. Intanto per potere fare un'iterazione è indispensabile che l'addizione 2 + 2 + 2
abbia un senso. Ora, da come si è definita sopra l'operazione numerica, ciò richiede che
l'addizione sia desunta dall'unione di due insiemi (disgiunti). Cosa succede quando si
hanno tre insiemi? A priori sono possibili due risultati diversi a seconda di come si realizza l'unione di tre insiemi: ((S∪T)∪Z) oppure (S∪(T∪Z)). Già a questo punto ci si può
chiedere se gli insiemi risultati siano eguali. Ora dati specifici insiemi è forse possibile
verificare direttamente che ((S∪T)∪Z) = (S∪(T∪Z)). Ma in generale ci vuole una proprietà, la proprietà associativa dell'operazione insiemistica di unione, e questa è un'esplicita richiesta formale. Perché poi queste unioni possano essere utilizzate per l'addizione, bisogna che: nel primo caso, che S e T siano insiemi disgiunti e pure (S∪T) e Z siano
disgiunti; poi che T e Z siano disgiunti e successivamente che anche S e (T∪Z) siano
disgiunti. Tutte queste condizioni devono essere verificate, sia in un caso particolare di
insiemi effettivamente assegnati, sia in generale. Anche questa è un'ulteriore richiesta di
tipo formale perché richiede una dimostrazione esplicita. Una volta provata a partire dalla
definizione, la proprietà associativa dell'addizione si può scrivere anche senza utilizzare le
parentesi, 2 + 2 + 2, intendendo con essa, indifferentemente, (2 + 2) + 2 e 2 + (2 + 2).
Resta però del tutto "scoperto" il problema di cosa significhi 3·1 (per chi itera il moltiplicando, 1·3 per chi itera il moltiplicatore) dato che non è possibile sommare 3 con se
stesso una volta e pure 3·0 (rispettivamente 0·3).
Tutto quanto precede comporta una critica alla definizione di moltiplicazione come addizione ripetuta. Un'altra critica più sottile riguarda il ruolo dei linguaggi coinvolti. Se si
vuole definire m·n come l'iterazione dell'addizione di m con se stesso n volte si osserva
che nella scrittura m·n sono presenti i simboli m e n col ruolo di numeri, mentre nella
1 Attenzione, data la coppia ordinata 〈x,y〉, parlare di x e y come degli elementi della coppia ordinata, fa balenare l'idea che la coppia ordinata sia {x,y}, ma ciò è scorretto dato che {x,y} = {y,x}. Quali siano gli elementi della
coppia ordinata dipende dalla definizione di coppia ordinata che viene adottata. La nozione di componente della
coppia ordinata è invece indipendente dalla scelta della definizione di coppia ordinata.
2 In un certo senso la trigonometria introdotta da Claudio Tolomeo (II sec. d.C.) determina le posizioni di una
stella sulla sfera celeste mediante tre coordinate (polari), oppure sul piano, un punto sulla circonferenza mediante due coordinate, il coseno ed il seno di un angolo. Ovviamente dopo Cartesio, le coppie ordinate divengono
indispensabili, ma l'approfondimento del concetto ha tardato alcuni secoli.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
frase "l'addizione di m con se stesso n volte", solo il simbolo m mantiene il ruolo di numero, mentre n è qui presente non più come numero ma come un aggettivo numerale
cardinale (riferito a "volte"). Questa trasposizione dal linguaggio dell'Aritmetica (i numeri,
elementi di un linguaggio oggetto) alla lingua comune (gli aggettivi numerali cardinali
elementi di un metalinguaggio) è stata accusata da ricercatori in didattica, ad esempio
Efraim Fischbein, di costituire un ostacolo epistemologico quando si deve introdurre la
moltiplicazione di numeri non naturali, ad esempio √ 3·(-√ 2), data la preminenza e la
permanenza del modello additivo anche negli adulti colti.
I motivi però per chiedersi se le operazioni di moltiplicazione, definite in vari modi,
coincidano non si limita a questi aspetti, seppure matematicamente importanti.
Si può definire analogamente l'elevamento a potenza come moltiplicazione ripetuta 23
= 2·2·2. Stavolta non ci sono due partiti, quello che itera la base e quello che itera
l'esponente, dato che l'operazione di elevamento a potenza non è commutativa. Ma ciò
spinge a spostare lo sguardo all'indietro ed a chiedersi se le operazioni di addizione e moltiplicazione sono commutative. Se si adotta l'interpretazione insiemistica, ciò spinge a
chiedersi se l'unione insiemistica è un'operazione commutativa. Anche questa è una richiesta di carattere puramente formale, se non la si riferisce a due insiemi esplicitamente
assegnati, ma la si richiede per due insiemi (disgiunti) qualunque. La risposta è affermativa, quindi, a cascata, si può affermare che la proprietà commutativa vale per l'addizione, ma
per la moltiplicazione è tutta un'altra cosa: se si considera la moltiplicazione come addizione ripetuta, una volta scelto il "partito" si ha che 3·2 e 2·3 sono diversi, perché forniscono scritture diverse: una 2+2+2 e l'altra 3+3. Dando per buona la proprietà associativa dell'addizione, come è possibile convincere lo studente più ostinato che gli
(opportuni) insiemi considerati (S∪(T∪Z)) e (X∪Y) forniscono lo stesso risultato? E'
necessario pensare al risultato in termini di biezioni, ma questo comporta che anche la definizione di addizione deve essere data in termini di biezione, mentre ciò non è possibile!
Si può ricorrere al prodotto cartesiano. Anche con questo approccio ci si trova a mal
partito: ({A,B,C}×{U,V}) e ({U,V}×{A,B,C}) sono insiemi diversi, anzi se gli elementi
degli insiemi indicati sono le lettere dell'alfabeto, allora sono insiemi disgiunti:
({A,B,C}×{U,V}) = {〈A,U〉, 〈A,V〉, 〈B,U〉, 〈B,V〉, 〈C,U〉, 〈C,V〉}; ({U,V}×{A,B,C}) =
{〈U,A〉, 〈U,B〉, 〈U,C〉, 〈V,A〉, 〈V,B〉, 〈V,C〉}. Un grafico mostra tale diversità:
C • •
V • • •
B • •
U • • •
A • •
A B C
U V
Forse uno studente degli ultimi anni della scuola elementare o della scuola media potrebbe dire che si tratta dello stesso rettangolo solo che una volta è sdraiato e la seconda
volta è in piedi. Questa osservazione può essere tradotta in una biezione. Ma la proprietà
commutativa della moltiplicazione viene utilizzata nei primi anni della scuola elementare e
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
non è detto che il bambino piccolo sia in grado di riconoscere l'esistenza della biezione,
anzi si potrebbe affermare che per lui i due rettangoli non sono lo stesso rettangolo. Solo
grazie ad una biezione, quella che scambia le componenti della coppia ordinata (una sorta
di "movimento" rigido), si può cogliere che i due insiemi, pur sostanzialmente diversi,
hanno lo stesso numero cardinale e di qui giungere alla proprietà commutativa della moltiplicazione.
L'iterazione, stavolta richiesta per definire l'elevamento a potenza mediante la moltiplicazione, pone i problemi detti prima: serve una proprietà associativa della moltiplicazione
che è ancora più problematica della proprietà commutativa per la stessa operazione. Infatti
si devono confrontare gli insiemi ((S×T)×Z) e (S×(T×Z)). Il primo ha per elementi oggetti del tipo 〈〈s,t〉,z〉, il secondo 〈s,〈t,z〉〉, oggetti ben diversi. Per quanto detto per essi
sono possibili varie definizioni ben diverse, legate alla nozione prescelta di coppia ordinata. Comunque non c'è speranza di provare che si tratti dello stesso insieme (tranne che nel
caso che almeno uno degli insiemi S, T e Z sia ∅). Quindi tale proprietà, come per altro
la commutativa, è definita a meno di biezioni. A complicare la situazione c'è poi un oggetto
matematico nuovo, che potrebbe essere indicato con (S×T×Z) i cui elementi sono le terne
ordinate 〈s,t,z〉 definite (alla Kuratowski) come gli insiemi {{s},{s,t},{s,t,z}}. Se si
adottasse quest'ultimo approccio per definire la moltiplicazione iterata, perderebbe di
senso la proprietà associativa della moltiplicazione.
Bisogna poi comprendere cosa significhino le scritture 21 e 20, visto che in questo caso
lo schema iterativo non è applicabile.
Anche per la potenza è possibile una descrizione insiemistica, che tra l'altro in questo
caso risolve molti dei problemi detti prima: 23 lo si può considerare come il numero cardinale dell'insieme di tutte le funzioni aventi per dominio un insieme di tre elementi, ad
esempio {A,B,C} e a valori in un insieme di due elementi, ad esempio {0,1}. Si può usare
per questo insieme una delle due scritture {0,1}{A,B,C} oppure {A,B,C}{0,1}. La prima più
vicina alla scrittura consueta per l'elevamento a potenza; la seconda che serve per ricordare
da dove a dove "va" la funzione elemento generico di tale insieme. E' chiaro che per
parlare di questa descrizione insiemistica dell'elevamento a potenza ci vuole un concetto
difficile e raffinato quale quello di funzione che al momento della presentazione delle operazioni nella scuola elementare o media è prematuro.
Si noti che le interpretazioni insiemistiche della moltiplicazione e dell'elevamento a potenza sono proprietà insiemistiche nel senso detto, non dipendono cioè dagli insiemi considerati in quanto non mutano i risultati se si sostituiscono gli insiemi con altri in corrispondenza biunivoca con quelli dati. Cioè dato che esiste una biezione tra {A,B,C} e
{1,2,3} ed una biezione tra {1,2} e {A,V}, allora #({A,B,C}×{A,V}) = #({1,2,3}×{1,2})
e l'insieme delle funzioni aventi dominio {A,B,C} e valori in {1,2} ha la stessa cardinalità
dell'insieme delle funzioni aventi dominio {1,2,3} e valori in {A,V}.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Ancora una volta si noti che #{A,B,C} = #{1,2,3} e #{A,V} = #{1,2}, ma
#({A,B,C}∪{1,2}) ≠ #({A,B,C}∪{A,V}) ≠ #({1,2,3}∪{1,2}), cioè non si trovano biezioni tra tali insiemi ottenuti mediante unione, e ciò a riprova che la definizione di addizione mediante l'unione non si può ritenere una proprietà insiemistica.
E' inoltre interessante osservare che in Aritmetica si studiano altre "operazioni", quali la
sottrazione e la divisione (col resto). Per esse nella letteratura non si presentano caratterizzazioni insiemistiche, che pure sarebbero possibili, ma forse non didatticamente efficaci.
In particolare la sottrazione potrebbe essere associata alla determinazione della differenza
di due insiemi, però si può calcolare la differenza tra due numeri naturali solo se il minuendo è maggiore del sottraendo, ma questo chiama in causa un altro oggetto matematico: la relazione d'ordine. Invece la differenza di due insiemi, cioè la costruzione di una
collezione costituita da tutti gli elementi del primo insieme che non appartengono al secondo insieme, è sempre determinabile.
Si può associare ad ogni numero un insieme, ad esempio mediante i cosiddetti naturali
di Von Neumann, dal nome del matematico e fisico John Von Neumann (1903 - 1957).
Dati i numeri naturali 0, 1, 2, … ed il loro insieme e la relazione d'ordine "naturale" su
, si può associare, in modo naturale, ad ogni numero naturale un insieme, ponendo
0 = {x∈ | x < 0} = ∅;
1 = {x∈ | x < 1} = {0};
2 = {x∈ | x < 2} = {0,1}; ecc.
Dovrebbe esser chiaro come fare per associare ad un generico numero naturale n∈ ,
l'insieme n ⊆ . Alcune proprietà dei numeri naturali si "trasformano" grazie al sottosegno in proprietà espresse in modo insiemistico. Ad esempio siano n,m∈ , si ha n < m se
e solo se n∈m. Inoltre se n,m∈ sono tali che n ≤ m, allora n ⊆ m. Viceversa, se n ⊆ m,
allora se n = ∅, allora n = 0, quindi n ≤ m, se n ≠ ∅, si ha (n - 1)∈n, e pure (n - 1)∈m,
quindi (n - 1) < m, da cui n ≤ m. In particolare, siccome per ogni n∈ si ha 0 ≤ n, si ha
0 ⊆ n. Di più si ha n < m se e solo se n ⊂ m. Presi poi p,q∈m, si ha p < q oppure p =
q o ancora q < p, condizioni che possono essere ripresentate in modo insiemistico
scrivendo p∈q oppure p = q oppure q∈p. Ciò mostra che le più semplici proprietà della
N
N
N
N
N
N
N
N
N
N
relazione d'ordine tra numeri naturali si possono «tradurre» in proprietà insiemistiche che
utilizzano appartenenza e inclusione. Viene voglia di cercare di esprimere altre proprietà
dei numeri naturali mediante relazioni insiemistiche. Questo può essere fatto per la
nozione di numero successivo. Dato n∈ , il successivo di n è il numero che lo segue
N
immediatamente nell'ordine, cioè n+1. Ebbene dal confronto tra n e (n+1) si ha (n+1) =
(n ∪ {n}), infatti n = {0,1,…,(n - 1)}, mentre (n+1) = {0,1,…,(n-1),n}. Si vede facilmente
che, escludendo 0, per ogni n∈ , esiste m∈ tale che n = (m ∪ {m}).
N
N
Le proprietà fin qui descritte, come semplici proprietà dei numeri naturali, servono per
definire quegli enti, la cui funzione è quella di rappresentare i numeri naturali in termini
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
insiemistici. Per arrivare a definirli basta riprendere le considerazioni precedenti e… togliere il sottosegno. L'avere distinto in un primo tempo tra numeri ed insiemi ad essi associati, mediante il sottosegno, è solo un «trucco» espositivo. Le proprietà scritte sopra
divengono definizioni
0 = {x∈ | x < 0} = ∅;
1 = {x∈ | x < 1} = {0} = {∅};
2 = {x∈ | x < 2} = {0,1} = {∅,{∅}};
3 = {x∈ | x < 3} = {0,1,2} = {∅,{∅},{∅,{∅}}} ecc.
Inoltre si ha n ⊆ m se e solo se n ≤ m, per cui la relazione d'ordine "naturale" viene definita in modo insiemistico, divenendo, se possibile, ancora di più "naturale". Inoltre n ⊂
m se e solo se n∈m se e solo se n < m. La definizione d'ordine stretto mette in risalto che
N
N
N
N
per questi insiemi la relazione di appartenenza e quella di inclusione stretta sono equivalenti. E' importante notare che n∈m se e solo se n ⊂ m: questa è una particolarità degli
ordinali di Von Neumann, la proprietà di transitività. Presi inoltre due numeri naturali
p,q∈m, essi sono sempre confrontabili nell'ordine consueto, cioè si ha p∈q oppure p =
q oppure q∈p, proprietà di connessione.
La nozione di successivo viene espressa dalla scrittura (n+1) = (n ∪ {n}) e si può ancora affermare che, escludendo il solo caso di ∅, per ogni n esiste m tale che n = (m ∪
{m}).
Le operazioni aritmetiche di addizione, moltiplicazione ed elevamento a potenza sono
state inventate, o scoperte, poiché hanno ampio uso pratico in calcoli scientifici o finanziari. Ma attenzione, tali calcoli sono di fatto impossibili se bisogna ogni volta ricondursi
alle definizioni ed al significato "intuitivo" o insiemistico delle operazioni aritmetiche. Per
questo, una volta "sbrigata la pratica" di una introduzione delle operazioni aritmetiche,
questa oppure una introduzione alternativa, di fatto si abbandona l'idea di partenza per ridursi alle tavole pitagoriche, che con Pitagora hanno veramente poco a che fare, dato che il
filosofo greco non aveva a disposizione la notazione posizionale, quella oggi "solita", che
fa uso delle cifre arabiche, introdotte in Europa nel XIII secolo (ma usate in modo incerto
ancora per qualche secolo).
Ho parlato di tavole pitagoriche al plurale, anche se di solito nella scuola elementare se
ne fa studiare una sola, quella della moltiplicazione, perché è indispensabile anche quella
dell'addizione. Esse sono relative al sistema decimale; in esse si possono trovare i risultati
dell'addizione e della moltiplicazione dei numeri naturali tra 0 e 9 compresi. Le riporto qui
per comodità del lettore:
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
9
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
9
0 9 18 27 36 45 54 63 72 81
8
8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
8
0 8 16 24 32 40 48 56 64 72
7
7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
7
0 7 14 21 28 35 42 49 56 63
6
6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
6
0 6 12 18 24 30 36 42 48 54
5
5 6 7 8
9 10 11 12 13 14
5
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45
4
4 5 6 7
8 9 10 11 12 13
4
0 4
8 12 16 20 24 28 32 36
3
3 4 5 6
7 8
9 10 11 12
3
0 3
6 9 12 15 18 21 24 27
2
2 3 4 5
6 7
8 9 10 11
2
0 2
4 6
8 10 12 14 16 18
1
1 2 3 4
5 6
7 8
9 10
1
0 1
2 3
4 5
6 7 8
9
0
0 1 2 3
4 5
6 7
8 9
0
0 0
0 0
0 0
0 0 0
0
+ 0 1 2 3
4 5
6 7
8 9
·
0 1
2 3
4 5
6 7 8
9
La scelta di "girare" le tavole è dovuta al fatto che didatticamente non è molto corretto
presentare le tavole pitagoriche con il simbolo di operazione in alto e poi introdurre il prodotto cartesiano, come visto prima, con gli assi nella posizione canonica. Questo vale sia
per queste che per altre tabelle. Bisogna anche abituare gli studenti a pensare che le intestazioni (in basso) delle colonne sono il primo termine e l'intestazione delle righe, la colonna a sinistra della doppia sbarra, è il secondo fattore.
In fondo ai miei quaderni a quadretti delle scuole elementari non erano però queste le
tavole riportate. Oltre alla diversa orientazione, erano riportati i risultati della moltiplicazione dei numeri naturali tra 1 e 10, anzi le più raffinate, portavano l'indicazione dei risultati della moltiplicazione tra 1 e 12. Questo la dice lunga sulla "'paura" dello zero, non
del tutto debellata neppure oggi. Le tavole pitagoriche possono esser interpretate in due
modi:
1) si tratta di un "avvio", poi quando c'è bisogno di eseguire un'addizione con numeri
maggiori, ad esempio di 38 + 75, basta prolungare nelle due dimensioni la tavola, fino a
comprendere i due numeri considerati; lo stesso per eseguire la moltiplicazione. Tali prolungamenti sono costruiti osservando le regolarità presenti nella tabella di partenza. Lo
stesso per eseguire la moltiplicazione di due numeri che escono da quelli considerati.
2) ciascuna può essere considerata un quadro che "racchiude" in sé tutti i possibili risultati delle operazioni di addizione e moltiplicazione.
Penso "giusto" interpretare le tavole pitagoriche nel secondo modo, notando che il
primo non è sbagliato, solo inopportuno, soprattutto se i numeri da considerare sono
quelli che indicano il debito dello stato italiano. Nel primo modo si ritiene questo schema
solo una parte di uno schema infinito (potenziale), dato che è comunque ampliabile.
Per comprendere come lo schema sopra indicato sia sufficiente ad eseguire i calcoli richiesti, analizziamo una somma semplice, quella detta prima: 38 + 75. Se i numeri fosse-
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
ro stati inferiori avremmo potuto usare le dita delle mani, nostre o di un aiutante compiacente, o un pallottoliere, e poi contare le dita messe in mostra o le palline utilizzate. Ma con
questi numeri non è possibile. Il primo passaggio per sfruttare le tabelline è quello di
riscrivere i numeri in colonna e poi di eseguire il calcolo:
38 +
75 =
113
Il lettore tenga presente come ha eseguito il calcolo per confrontare poi quanto viene qui
esplicitato. Per svolgere il calcolo in realtà si sfrutta pesantemente la scrittura posizionale.
Si ha 38 = (3·101 + 8·100) e 75 = (7·101 + 5·100), quindi
38 + 75 =
(scritt. pos.)
= (3·101 + 8·100) + (7·101 + 5·100) =
(ass. +)
= ((3·101 + 8·100) + 7·101) + 5·100 =
(comm. +)
= ((8·100 + 3·101) + 7·101) + 5·100) =
(ass. +)
= (8·100 + (3·101 + 7·101)) + 5·100 =
(ass. +)
= 8·100 + ((3·101 + 7·101) + 5·100) =
(comm. +)
= 8·100 + (5·100 + (3·101 + 7·101)) =
(ass. +)
= (8·100 +5·100) + (3·101 + 7·101)
Quanto precede serve per giustificare il passaggio che permette di effettuare l'addizione
in colonna. Si passa poi all'esecuzione vera e propria del calcolo, che continuiamo proseguendo con le eguaglianze:
(8·100 +5·100) + (3·101 + 7·101) =
(distr. · rispetto +)
= ((8 + 5)·100 + (3 + 7)·101) =
(tav. pit.)
= (13·100 + 10·101) =
(scritt. pos.)
= ((1·101 + 3·100)·100 + (1·101 + 0·100)·101) =
(comm. +)
= ((3·100 + 1·101)·100 + (0·100 + 1·101)·101) =
(distr. · rispetto +)
= ((3·100)·100 + (1·101)·100)) + ((0·100)·101 + (1·101)·101) =(ass. ·)
= (3·(100·100) + 1·(101·100)) + (0·(100·101) + 1·(101·101)) = (prop. pot., ass. ·)
= (3·100+0 + 1·101+0 ) + (0·100+1 + 1·101+1 ) =
(tav. pit.)
= (3·100 + 1·101) + (0·101 + 1·102) =
(ass. +)
= ((3·100 + 1·101) + 0·101) + 1·102 =
(comm. +)
= 1·102 + ((3·100 + 1·101) + 0·101) =
(ass. +)
= 1·102 + (3·100 + (1·101 +0·101)) =
(distr. ·, +)
= 1·102 + (3·100 + (1 + 0)·101) =
(tav. pit.)
= 1·102 + (3·100 + 1·101) =
(comm. +)
= 1·102 + (1·101 + 3·100) =
(scritt. pos.)
= 113
Credo che da questi passaggi siano chiare alcune conclusioni forse anche sorprendenti.
1) Le tavole pitagoriche sono indispensabili e sufficienti per svolgere il calcolo.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
2) Senza regole formali per lo svolgimento del calcolo non è possibile neppure "mettere
in colonna".
3) Per eseguire una semplice addizione usando la scrittura posizionale non bastano le
regole formali dell'addizione, ma sono coinvolte contemporaneamente le proprietà della
moltiplicazione e dell'elevamento a potenza.
4) Eseguendo questa addizione con altri strumenti, ad esempio un pallottoliere, una calcolatrice o un computer, vanno perduti tutti questi aspetti formali, ma forse si chiamano in
gioco altre regole formali.
5) E' possibile generalizzare il risultato applicando lo stesso procedimento (e tavole pitagoriche diverse) a numerazioni in base diversa da 10, come le seguenti relative alla base 8
o sistema ottale.
7
7 10 11 12 13 14 15 16
7 0 7 16 25 34 43 52 61
6
6 7 10 11 12 13 14 14
6 0 6 14 22 30 36 44 52
5
5 6
7 10 11 12 13 14
5 0 5 12 17 24 31 36 43
4
4 5
6 7 10 11 12 13
4 0 4 10 14 20 24 30 34
3
3 4
5 6
7 10 11 12
3 0 3
6 11 14 17 30 33
2
2 3
4 5
6 7 10 11
2 0 2
4 6 10 12 14 16
1
1 2
3 4
5 6
7 10
1 0 1
2 3
4 5
6 7
0
0 1
2 3
4 5
6 7
0 0 0
0 0
0 0
0 0
+ 0 1
2 3
4 5
6 7
·
2 3
4 5
6 7
0 1
Le regole usate sono formali nel vero senso della parola: non si riferiscono al significato delle cifre o a quello delle operazioni aritmetiche (anche se possono esser dedotte rigorosamente da questi significati). Piuttosto esse specificano, in modo tutto sommato
semplice, ciò che c'è da fare e tale specificazione è corretta, nel senso che è adeguata la
"mondo".
Questi algoritmi, una volta ben appresi, possono essere fonte di errori minori di quelli
ottenibili utilizzando il disegno o anche la calcolatrice. Se poi uno vuole essere ancora più
sicuro, può usare strumenti quali la prova del nove. I numeri scritti in basi diverse dalla
base decimale hanno prove diverse da quella del nove. Ad esempio nel sistema ottale c'è
una prova del sette del tutto analoga (usando le tavole pitagoriche opportune) a quella del
nove.
Disegnare due insiemi disgiunti, uno con 38 elementi e l'altro con 75 elementi, per poter verificare la correttezza del calcolo effettuato lo si può fare una volta, due. Ma se ogni
volta che si deve fare un'operazione aritmetica si dovesse ricontrollarla facendo uso delle
interpretazione insiemistica di numeri e operazioni, lo sviluppo e l'utilizzazione della Mate-
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
matica sarebbero rallentati. L'uso delle regole ha "sveltito" sviluppo ed applicazioni, anzi
l'ha in qualche modo indirizzato e favorito, mettendo in evidenza proprio aspetti formali.
Gli esempi mostrati chiariscono un primo significato del termine formale: è data una lista di regole o assiomi o di metodi di dimostrazione che possono essere applicati senza
prestare attenzione al significato degli enti utilizzati, ma che forniscono risultati che sono
in accordo con le interpretazioni corrette.
1.2. Insiemi infiniti. Tra le collezioni che vengono considerate in matematica c'è la
collezione dei numeri naturali, solitamente indicata col simbolo , anzi i numeri per antonomasia. A questo proposito vale la pena di fare alcune precisazioni. Alcuni autori, anche
oggi, non considerano 0 un numero naturale, quindi 0∉ . Per essi c'è bisogno di indicare
N
N
l'insieme che si ottiene considerando i numeri naturali e lo zero con un simbolo diverso,
ad esempio 0. Per costoro, ogni numero naturale è non nullo. Quelli che considerano
N
N
invece 0 un numero naturale, parlano poi dell'insieme * dei cosiddetti numeri naturali
positivi, termine che non ha molto senso ora, ma lo acquista se si pensano i numeri
naturali come un sottinsieme dell'insieme dei numeri interi positivi. Ora ci sono stati dei
filosofi che hanno negato a 0 la natura di numero, anzi alcuni altri, come osservato sopra,
hanno negata tale natura anche a 1. In Arithmetices principia nova methodo exposita
(1889) Peano presenta una prima versione dei suoi postulati in cui non comprende 0 tra i
numeri naturali. Secondo alcuni autori, tali assiomi sarebbero stati desunti, con qualche
modifica da Was sind und sollen sind die Zahlen? di Dedekind, pubblicato nel 1888. Nel
1892 Peano pubblica in Sul concetto di numero, una nuova versione con cinque postulati.
Di solito, quando si presentano i Postulati di Peano, ci si riferisce a questa seconda
versione o meglio ancora alla definitiva presentazione con cinque postulati, apparsa sulla
seconda edizione del Formulario di Matematica pubblicata nel 1898, in cui 0 è un
numero naturale.
Una seconda osservazione è che l'esistenza della collezione dei numeri naturali, con o
senza 0, non è indispensabile, può esser comoda, ma si può sviluppare buona parte della
Matematica anche senza introdurla. Ancora nel XX secolo, è questa la posizione dell'Intuizionismo, di cui si fa cenno nell'introduzione.
Forse un primo esplicito esempio di risultato che utilizza l'infinito è quello di Euclide,
Proposizione 20 del Libro IX,
«I numeri primi sono più di ogni assegnata moltitudine di numeri primi»
in cui si dimostra che esistono infiniti numeri primi, provando semplicemente che presi tre
numeri primi, A,B e C, deve esserci un ulteriore numero primo diverso da quelli con-
- 22 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
siderati dato che il numero (A·B·C + 1) per la Proposizione 31 del Libro VII:
«Qualunque numero composto ammette come divisore qualche numero primo»
deve essere divisibile per un numero primo e non può essere diviso né da A, né da B e
neppure da C. C'è quindi la possibilità di costruire una successione (infinita e ordinata) di
numeri primi, in cui 2 è p0, 3 è p1, 5 è p2, ecc. Ad un'attenta analisi la Proposizione 31
del Libro VII viene provata da Euclide usando il metodo della discesa, del tutto equivalente al principio di induzione, che comunque utilizza l'infinito, seppure in potenza.
Vi sono infiniti numeri naturali, dato che partendo da 0 è possibile eseguire il passaggio
al successivo tante volte quante si vuole, ma ciò non basta: si pensi all'orologio: c'è sempre
un'ora "dopo", ma dodici numeri sono sufficienti per il quadrante. Il fatto che i numeri
naturali sono infiniti, oltre per la presenza del passaggio al successivo, si ha con la
garanzia (sarà uno specifico postulato di Peano) che non esiste un numero il cui successivo sia proprio il numero 0. Ma attenzione, vi è dunque una differenza profonda nell'affermazione che i numeri naturali sono infiniti e nel dire che l'insieme dei numeri naturali è un insieme infinito. La seconda affermazione richiede un atto mentale di immaginazione, con un unico colpo d'occhio mentale, della collezione dei numeri naturali come un
tutto unico. Se si accetta l'esistenza dell'ente matematico dato dalla collezione dei numeri
naturali, vuol dire che si accetta l'infinito in atto, cioè l'esistenza di un unico ente che viene
mentalmente presentato assieme a tutti i suoi (infiniti) elementi. La presentazione
insiemistica che oggi permea tutta la Matematica può fare considerare come banale l'esistenza di un ente siffatto. Si rifletta però che Zenone di Elea (V sec. a.C.) mostra che
l'accettazione dell'infinito in atto causa i suoi famosi paradossi. Proprio per evitare l'infinito in atto, almeno nella Geometria, Aristotele "inventa" le grandezze, distinguendole
così dalle quantità, limitandosi, per quanto riguarda le quantità, all'infinito in potenza.
Molta Matematica fino al XIX secolo utilizza l'infinito solo in potenza. Per vedere tornare
esplicitamente l'infinito in atto in Matematica, bisogna attendere Bernhard Bolzano (1781 1848) e più ancora Georg Cantor (1845 - 1918) e i suoi lavori sugli insiemi, ad iniziare
dal 1872.
Gli studenti hanno esperienza dell'infinito già nei primi anni della scuola. Il concetto
non viene però approfondito, e neppure viene approfondita questa fondamentale distinzione tra infinito in atto ed infinito in potenza, pur avendosi una lunga tradizione filosofica
e storica sul tema. L'infinito, anche grazie al complice silenzio del docente, entra così in
una specie di zona grigia, in cui del concetto si può dire tutto e nulla. Così tutti gli infiniti
sono eguali e al contempo tutti diversi. Gli studenti che studiano i limiti, possono avere
dell'infinito un concetto ambiguo: l'infinito assume, anche grazie ai testi ed ai docenti, a
volte il significato di elemento massimo o minimo dell'ordine (dei numeri reali), a volte
viene presentata un'identificazione "pericolosa": ∞ = ±∞, a volte il ruolo di numero con
regole di calcolo estrapolate in modo stravagante: e -∞ = 0, a + ∞ = ∞, a - ∞ = ∞, e poi
- 23 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
∞
tutte le forme indeterminate : ∞ , 0∞, ecc. D'altro canto nella tradizione letteraria, filosofica
e teologica, l'infinito è altro ancora.
Si potrebbe ritenere superfluo trattare esplicitamente l'infinito in Matematica, caso mai
confrontandolo con ciò che appare da altre discipline. Ma il silenzio dei docenti (e dei
programmi) forse è giustificabile solo se si accetta l'infinito in potenza; questa interpretazione evidentemente sopravvive nella tradizione scolastica, a dispetto della generale impostazione insiemistica che oggi è presente, sia nei contenuti che nelle modalità di insegnamento. E' appunto per studiare e trattare l'infinito in potenza, sottraendolo dai pericoli
di antinomie, che Cantor inizia la sua opera nel 1872, ponendo le basi della Teoria degli
insiemi, quella che Hilbert definirà: il Paradiso di Cantor.
Torniamo all'insieme infinito . Esso include infiniti insiemi finiti, ad esempio {0,4,3},
{1,2,6}, ecc. Si noti che qui si adoperano gli aggettivi finito e infinito, generalmente riferiti
al sostantivo insieme, in un senso del tutto intuitivo, non avendo ancora fornito definizioni
esplicite di ciò che si intende per tali aggettivi. Assumendo dunque per intuitivo ciò che si
vuole significare con tali termini, la considerazione dei sottinsiemi finiti di
porta,
ovviamente al concetto di sottinsieme e di insieme dei sottinsiemi di un insieme,
operazione insiemistica che finora non era stata presentata esplicitamente, anche se
utilizzata nel paragrafo 1.1 e che viene indicata col simbolo P. Si può provare che esiste
una iniezione ϕ tra P fin( ), la collezione degli insiemi finiti contenuti in , indicata
N
N
N
N
anche col simbolo P <ω(N ), e l'insieme N stesso. Tale iniezione può essere descritta
come segue: considerato un sottinsieme finito di N, si elencano in ordine crescente gli
elementi del sottinsieme. Sia quindi {n0,n1,n2,…,nk} il sottinsieme considerato; ϕ associa
a {n0,n1,n2,…,nk} il numero naturale 2n0·3n1·5n2·…·pknk. Per provare che ϕ è una inie-
zione un "ingrediente" fondamentale è il Teorema fondamentale dell'Aritmetica, utilizzato
(senza dimostrazione) già alla scuola media. Tale risultato è l'affermazione che ogni numero naturale è ottenibile, in modo unico, come prodotto di potenze di numeri primi e può
essere ritrovato ancora una volta nei libri aritmetici degli Elementi di Euclide.
Vi sono infiniti insiemi finiti di numeri naturali, dato che ad esempio ci sono tutti gli insiemi {0}, {1}, {2}, ecc., quindi i numeri (diversi) che ϕ associa ai sottinsiemi finiti di
N
sono infiniti. Per concludere che esiste una corrispondenza biunivoca tra i numeri naturali
e i sottinsiemi finiti di , si può applicare il Teorema di Cantor-Schröder-Bernstein, dimostrato da Cantor sfruttando però l'assioma di scelta, indipendentemente da Ernst
Schröder (1841 - 1902) ed successivamente di Allen Bernstein, senza l'utilizzo dell'assioma di scelta.
N
Teorema. (Cantor-Schröder-Bernstein). Date una iniezione f: S → T ed una iniezione
g: T → S, allora esiste una biezione ϕ: S → T.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Dimostrazione. La dimostrazione richiede un lemma preliminare. Sia S un insieme e sia
ϑ: P(S) → P(S) crescente, cioè tale che per ogni X,Y∈P(S), se X ⊆ Y, si ha ϑ(X)
⊆ ϑ(Y), allora esiste un "punto fisso" per ϑ, cioè un insieme A∈P(S) tale che ϑ(A) =
A. Si considera infatti B = {X∈ P (S) | X ⊆ ϑ(X)}. Si nota che se X∈B, allora è X ⊆
ϑ(X), quindi per la crescenza di ϑ, ϑ(X) ⊆ ϑ(ϑ(X)), quindi anche ϑ(X)∈B. Si consideri
ora A = ∪ X . Si ha A∈B, infatti per ogni X∈B, si ha X ⊆ ϑ(X), quindi A = ∪ X
(
X∈B
⊆
)
(
X∈B
)
( ∪ ϑ(X)) = ϑ( ∪ X) = ϑ(A). Per quanto provato prima, ϑ(A)∈B, pertanto A ⊇
X∈B
X∈B
ϑ(A), e così A = ϑ(A).
Con questo risultato preliminare è ora semplice dimostrare il Teorema. Basta infatti definire ϑ: P(S) → P(S) ponendo per ogni X∈P(S), ϑ(X) = (S - g[T - f[X]]). Si tratta
di una funzione crescente, nel senso detto prima, in quanto per ogni X,Y∈P(S), se fosse
X ⊆ Y si avrebbe f[X] ⊆ f[Y], da cui (T - f[Y]) ⊆ (T - f[X]), quindi g[T - f[Y]] ⊆ g[T - f[X]]
ed infine (S - g[T - f[X]]) ⊆ (S - g[T - f[Y]]), vale a dire ϑ(X) ⊆ ϑ(Y).
Per il lemma precedente esiste A1 tale che ϑ(A1) = A1. Si ponga A2 = (S - A1), B1 =
f[A1] e B2 = (T - B1) = (B - f[A1]). Si noti che A1,A2∈P (S) e B1,B2∈P (T), inoltre
dall'eguaglianza A1 = ϑ(A1) = (S - g[T - f(A1]]) = (S - g[T - B1]) = (S - A2). Pertanto
A1 e A2 sono insiemi complementari in S, dato che A1,A2 ⊆ S, A1 = (S - A2), quindi
A2 = (S - A1). D'altra parte A2 = (S - A1) = (S - ϑ(A1)) = (S - (S - g[T - f(A1]])) =
g[T - f[A1]] = g[B2].
Se si pone h = ((f|`A 1 ) ∪ ((g-1)|`A2)), si ha che essendo g iniettiva e A2 incluso nell'immagine di g, A2 è incluso nel dominio di (g-1). Il fatto che gli insiemi A1 e A2 siano
complementari in S, garantisce che h è una corrispondenza ovunque definita su S. Inoltre
le due funzioni considerate sono disgiunte ed hanno immagini disgiunte, dato che gli insiemi B1 = f[A1] e B2 = (g-1)[A2] sono complementari in T. Da queste ipotesi si ha che
h è funzionale ed iniettiva. Si ha quindi h: S → T. Inoltre h è sicuramente suriettiva,
dato che h[S] = h[A1 ∪ A2] = (h[A1] ∪ h[A2]) = (f[A1] ∪ (g-1)[A2]) = (B1 ∪ B2) = T.
Si è così provata l'esistenza di una biezione tra S e T.
N e l'insieme Pfin(N) basta ricordare che ϕ:
Pfin(N) → N è iniettiva ed osservare che ψ: n |→ {n} è una iniezione da N all'insieme
dei sottinsiemi finiti di N.
Oltre ai sottinsiemi finiti di N ci sono i sottinsiemi infiniti, ad esempio N stesso, poi
N*, ottenuto da N "togliendo" 0, anche P, l'insieme dei numeri naturali pari oppure D,
l'insieme dei numeri naturali dispari, o ancora l'insieme S dei multipli di 6, ecc. Questi
vari insiemi possono essere paragonati con N e tra loro mediante biezioni: b: N → P,
ove b: 0 |→ 0; b: 1 |→ 2; b: 2 |→ 4; b: 3 |→ 6; ecc., c: P → S, ove c: 0 |→ 0; c: 2 |→
Per concludere che esiste una biezione tra
6; b: 4 |→ 12; b: 6 |→ 18; ecc. A partire da queste due se ne può costruire una terza,
- 25 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
ottenuta componendole (c°b):
12; (c°b): 3 |→ 18; ecc.
N → S, ove (c°b): 0 |→ 0; (c°b): 1 |→ 6; (c°b): 2 |→
Definizione. Un insieme X si dice numerabile se esiste una biezione f:
NN PDS
N → X.
Gli esempi precedenti di insiemi infiniti, , *, , , sono tutti esempi di insiemi
numerabili. A questo punto Mac Lane afferma che ogni sottinsieme di è o finito o numerabile, ma ciò, almeno per me, non è banale, perché per provarlo si richiedono risultati
quali il Teorema di Cantor-Schröder-Bernstein. Con P∞( ) si indica l'insieme dei sot-
N
N
N
tinsiemi numerabili di .
L'uso delle biezioni permette di dare la seguente
Definizione. Due insiemi X e Y sono equipotenti o hanno lo stesso numero cardinale se
esiste una biezione f: X → Y.
Questa definizione include il caso dei cardinali degli insiemi finiti visti nel paragrafo 1.
Definizione. Si indica con ℵ0 (da leggersi alef - zero) il numero cardinale di
N.
Ovviamente tutti gli insiemi numerabili hanno lo stesso numero cardinale infinito ℵ0.
In questo modo l'attività del contare viene estesa agli insiemi infiniti. Potrebbe venire il
sospetto che esistano sottinsiemi infiniti di con una "infinità" diversa da quella di .
Così non è dato che il numero cardinale ℵ0 è solo il "primo" dei numeri cardinali trasfi-
N
N
niti, e che si può mostrare che esistono anche insiemi con numeri cardinali "più grandi" di
ℵ0. C'è quindi una caratterizzazione degli insiemi infiniti (ma qui si parla di insieme infiniti in atto), sono quelli che hanno numeri cardinali trasfiniti. Si può anche affermare che
un insieme S è infinito se esiste una funzione iniettiva f: → S.
Di conseguenza sia S ⊆
un arbitrario sottinsieme infinito; poiché esiste una
N
N
iniezione (l'inclusione) di S in N ed un'iniezione di N in S, dato che S è infinito, per il
Teorema di Cantor-Schröder-Bernstein, esiste una biezione tra S e N , vale a dire S è
numerabile.
Una terza caratterizzazione, dovuta a Dedekind, afferma che S è infinito se esiste un
sottinsieme proprio T ed una biezione f: S → T (o equivalentemente che esiste una biezione g: T → S, dato che g-1: S → T è ancora una biezione). In questo senso l'insieme è infinito, dato che * è un sottinsieme proprio di e s: → * definita da
s: n|→ n+1 è una biezione.
N
N
N
N
N
Ora se di tipi di infinito ne esistesse uno solo, sarebbe possibile "identificare" tutti gli
insiemi infiniti tra loro, cioè presi comunque due insiemi infiniti esisterebbe una biezione
tra essi. Ma grazie ad un semplice e profondo risultato di Cantor, ciò non è possibile.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Teorema (Cantor). Sia A un insieme. Non esiste una biezione tra A e P(A), insieme dei
sottinsiemi di A.
Dimostrazione. Si suppone, per assurdo, che esista f: A → P(A) biezione. In realtà si
prova un assurdo supponendo semplicemente che f sia una funzione suriettiva su P(A),
cioè che per ogni elemento di P(A), cioè per ogni sottinsieme di A, esista un elemento di
A di cui tale sottinsieme è immagine mediante f. Preso un generico a∈A, si ha
f(a)∈P(A), cioè f(a) ⊆ A. Ora possono verificarsi due casi: a∈f(a) oppure a∉f(a). Si
considera B = {a∈A | a∉f(a)}. Così facendo si ha B ⊆ A, quindi B∈P(A). Ma dato che,
per ipotesi assurda, f è funzione suriettiva su P(A) esiste b∈A tale che f(b) = B. Deve
ora verificarsi uno dei due seguenti casi: b∈B ∨ b∉B. Nel primo caso b∈{a∈A |
a∉f(a)}, quindi b∉f(b), ma f(b) = B, quindi se b∈B si ha b∉B, il che è assurdo. Nel
secondo caso b∉B, cioè b∉f(b) e pertanto b∈{a∈A | a∈f(a)}, vale a dire b∈B, il che è
assurdo. Quindi in ciascun caso si ottiene un assurdo, causato dall'avere assunto l'esistenza di una biezione tra A e P(A) 1.
N
N
N
Questo risultato, applicato a , garantisce che e P( ), che sono entrambi insiemi
infiniti, hanno numeri cardinali diversi. Così pure avviene tra P( ) e P(P( )) e così via.
N
N
Ciò permette, assumendo l'infinito in atto, di costruire una gerarchia infinita di numeri
cardinali trasfiniti tutti tra loro diversi.
Resta il problema di determinare il numero cardinale dell'insieme P∞( ) dei sottinsiemi
infiniti di , insieme indicato anche col simbolo Pω( ), forse da preferire per evitare
N
N
N
l'ambiguità insista in ∞ come numero o simbolo. In base a quanto detto prima, tale insieme
è infinito. Vediamo cosa succederebbe se fosse numerabile, come accade per Pfin( )
l'insieme dei sottinsiemi finiti di . Poiché Pfin( ) è numerabile è possibile considerare
una biezione tra Pfin( ) e l'insieme dei numeri naturali pari. L'assunzione che Pω( )
N
N
N
N
P
D
N
N
sia numerabile, comporterebbe l'esistenza di una biezione tra questo e l'insieme dei
numeri naturali dispari. Ma di qui discenderebbe che l'insieme P ( ) =
Pfin( )∪Pω( ), unione di due insiemi disgiunti, sarebbe in corrispondenza biunivoca
N
N
con l'insieme (P∪D) = N, contro quanto provato nel precedente teorema di Cantor.
Si può quindi concludere che Pω(N) è infinito, ma non numerabile, quindi esistono
sottinsiemi infiniti di N che non possono venire descritti con frasi della lingua italiana, arricchita da simboli matematici, dato che le descrizioni di questo tipo, essendo costituite da
un numero finito di parole, sono al più un'infinità numerabile.
1 La dimostrazione di Cantor è assai vicina all'argomento usato da Russell per stabilire il suo paradosso relativo
alla collezione degli insiemi che non si appartengono: {x | x∉x}. La differenza è che mentre nel teorema di Cantor si ottiene un assurdo che permette di escludere l'esistenza della suriezione, il paradosso di Russell presenta un
assurdo che richiede un'analisi più approfondita del concetto di insieme, oppure della logica (classica) utilizzata
o ancora sulla liceità della scrittura x∈x. Sulla base dei tentativi di soluzione del paradosso si sono avuti, rispettivamente, le risposte della Teoria degli insiemi, dell'Intuizionismo e del Logicismo di Russell, con la Teoria
dei tipi.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
I pensatori che in modo diverso si riconoscono nel Finitismo, affermano che gli insiemi
infiniti ed anche le infinità geometriche sono finzioni convenienti, dato che solo il finito è
reale, appoggiandosi anche su ipotesi cosmologiche in base alle quali il numero di particelle elementari che costituiscono l'universo è un numero finito. Ancora più restrittivo è
l'approccio dell'Ultrafinitismo, la posizione filosofica che sostiene che si possa parlare
solo del finito e che l'infinito sia evitabile, anzi sia giustificabile solo in base ad una specie
di nostra limitazione delle capacità di discriminazione intellettuale.
Ammessi gli insiemi infiniti resta comunque il problema della loro realtà, anzi quello più
ampio della realtà degli insiemi (finiti o no), tema assai dibattuto nel XX secolo, soprattutto
data l'importanza che gli insiemi hanno assunto in Matematica. E se esistono gli insiemi,
dove esistono?
1.3. Permutazioni. Un insieme finito, comunque se ne considerino gli elementi, porta
allo stesso numero cardinale (finito). Il conto non cambia permutando gli oggetti contati.
Una permutazione (su un insieme finito), si ottiene etichettando gli elementi di un insieme.
La permutazione è quindi il confronto tra elencazione ed etichettatura. Ora il problema diviene quello di contare quante sono le permutazioni. I conteggi sul numero delle permutazioni (e altri enti combinatori) vengono utilizzati in problemi di gioco o in altre attività
combinatorie (ad esempio nel calcolo delle probabilità). Ad esempio, da un mazzo che ne
contiene 13 (un seme), dopo avere mescolato, si scelgano tre carte, ad esempio (senza
perdita di generalità) le carte 1, 2 e 3 (non necessariamente in questo ordine): come valutare la probabilità che, esse vengano pescate in ordine diretto o inverso? Si possono rappresentare i casi favorevoli con 〈1,2,3〉 e con 〈3,2,1〉. I casi possibili sono 6, come si vede
in seguito. E' questo approccio la base della probabilità, anche se questo approccio è stato
poi ampiamente variato aumentando la "sofisticazione" della definizione stessa.
Come esempio si considera l'insieme {1,2,3}, si ottengono sei permutazioni, in quanto
si può scegliere a caso un elemento in tre modi diversi, il secondo elemento può essere
scelto tra i due restanti, in due modi. L'ultimo elemento è però "obbligato". Le permutazioni possono essere rappresentate come "matrici":
(11 22 33); (11 23 32); (12 21 33); (12 23 31); (13 21 32); (13 22 31).
Una possibile lettura di queste matrici è quella di interpretare la prima riga come il numero
d'ordine di un sorteggio (senza restituzione) da un'urna di tre biglie numerate con i numerali (etichette) 1, 2 e 3 e la seconda riga come il risultato del rispettivo sorteggio. Così la
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
seconda matrice ci informa che nel primo sorteggio è stata pescata la biglia 1, nel secondo
la biglia 3 e nel terzo la biglia 2.
Didatticamente nasce il problema di garantire che si sono considerati tutti i casi. Ciò richiede un'attenzione notevole (soprattutto a livelli scolari bassi). Un "trucco" per aver la
garanzia di aver fatto bene il computo è quello di considerare la successione dei numerali
che compare nella seconda riga della matrice come un numero (di tre cifre) e di ordinare i
numeri che si possono così costruire, in ordine crescente. Questo è il criterio da me seguito per indicare tutte le permutazioni. Un secondo metodo è quello di avvalersi di un grafo
ad albero in cui si etichettano i nodi a parte il primo (dal basso), la radice , con i numerali
usati per indicare le biglie. Il grafo si presenta in questo modo:
una sorta di "candelabro" con doti di "equilibrio" (da ogni nodo dello stesso livello parte
lo stesso numero di rami). Il grafo permette di ottenere visivamente la sicurezza di non
aver dimenticato dei casi. Per determinare la seconda riga delle matrici che forniscono le
permutazioni, basta percorrere un ramo partendo dalla radice e giungendo fino alle foglie,
leggendo dal basso all'alto le etichette dei nodi. Si noti che se ci si ferma ai nodi di uno
stesso livello, non quello finale, invece di ottenere le permutazioni si ottengono le disposizioni propriamente dette.
Per semplificare l'indicazione della permutazione, invece di riportare la prima riga, che è
sempre la stessa, la cosiddetta permutazione fondamentale, si preferisce indicare come si
permutano gli elementi, non scrivendo quelli che restano fissi, si ottiene così
I; (2 3); (1 2); (1 2 3); (1 3 2); (1 3),
in cui con I si è indicata l'identità. Per chiarire questa scrittura delle permutazioni come
cicli, la permutazione può essere vista "dinamicamente", cioè come operazione che fa passare dalla permutazione fondamentale 1, 2, 3 alla "seconda" riga della matrice. Il numero
degli elementi che compaiono nel ciclo si dice ordine del ciclo. In questo senso si ha:
I:
1 |→ 1, 2 |→ 2, 3 |→ 3 (ordine 0);
(2 3): 1 |→ 1, 2 |→ 3, 3 |→ 2 (ordine 2);
(1 2): 1 |→ 2, 2 |→ 1, 3 |→ 3 (ordine 2);
(1 2 3): 1 |→ 2, 2 |→ 3, 3 |→ 1 (ordine 3);
(1 3 2): 1 |→ 3, 2 |→ 1, 3 |→ 2 (ordine 3);
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C. Marchini
(1 3):
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
1 |→ 3, 2 |→ 2, 3 |→ 1 (ordine 2).
Il nome ciclo è giustificato dal fatto che l'ultimo elemento della scrittura va nel primo.
Pertanto (1 3 2), (3 2 1) e (2 1 3) sono scritture diverse per lo stesso ciclo e così pure (1
3) e (3 1) rappresentano lo stesso ciclo. I cicli di ordine 2 si dicono scambi. Essi sono
molto importanti perché bastano, mediante la composizione, a rappresentare tutti i cicli e di
conseguenza tutte le permutazioni. Si ha ad esempio (1 2 3) = (1 2)(2 3) ed anche
(1 2 3) = (1 2)(1 3)(1 3)(2 3), in cui la giustapposizione è interpretata come composizione di funzioni. In particolare per ogni scambio (a b) si ha I = (a b)(a b).
Se gli elementi sono più di tre, possono presentarsi situazioni in cui un solo ciclo non è
più sufficiente a rappresentare la permutazione e si deve necessariamente fare intervenire
la composizione. Si consideri ad esempio l'insieme {1,2,3,4}. Tra le permutazioni si han1234
1234
no le seguenti 2 1 4 3 e 4 3 2 1 . Utilizzando la scrittura in cicli la prima si può
rappresentare come (1 2)(3 4) oppure come (3 4)(1 2) o in altri modi ottenuti scambiando 1 con 2 e 3 con 4. La seconda permutazione si può rappresentare come (1 4)(2 3) o
in altri modi. In questo caso entrambe permutazioni sono il risultato della composizione di
due cicli di ordine 2. Un solo ciclo, come si diceva prima, non è più sufficiente perché,
riferendosi alla prima, la permutazione muta 1 in 2 e 2 in 1, ma non lascia fermi gli altri
elementi. L'utilizzazione di un ciclo di ordine maggiore comporterebbe che 2 non "torna"
in 1, ma ci sarebbe un altro elemento cui corrisponde 1. Ciò comporta un problema importante relativo al numero di scambi che servono a rappresentare una permutazione. Tale
numero non è univocamente determinato, mentre è univocamente determinata la parità di
tale numero, vale a dire se una permutazione può essere scritta in un modo come composizione di un numero dispari di scambi, in ogni altro modo si scriva come composizione di
scambi, tale numero è dispari. Questo risultato, che andrebbe dimostrato, è utilizzato nel
calcolo dei determinanti.
Poiché ogni permutazione è una biezione, ciascuna di esse ha una biezione inversa ed
inoltre date due permutazioni se ne ottiene una terza per composizione. Per esemplificare,
si costruisce qui la tabella della operazione di passaggio all'inverso e della composizione,
notando che usando la scrittura delle permutazioni come cicli, la composizione non viene
denotata col simbolo "°", ma semplicemente con la giustapposizione:
(
) (
)
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
b-1 I
(2 3)
(1 2) (1 3 2) (1 2 3) (1 3)
I
(2 3)
(1 2) (1 2 3) (1 3 2) (1 3)
b
(1 3)
(1 3) (1 2 3) (1 3 2) (2 3)
I
(1 3 2) (1 3 2) (1 2)
(1 3)
(1 2 3) (1 2 3) (1 3)
(2 3) (1 3 2)
I
(1 2)
I
(1 2 3) (2 3)
I
(1 2)
(1 2)
(1 2) (1 3 2)
(1 3)
(2 3) (1 2 3)
(2 3)
(2 3)
I
(1 2 3) (1 2)
(1 3) (1 3 2)
I
I
(2 3)
(1 2) (1 2 3) (1 3 2) (1 3)
I
(2 3)
(1 2) (1 2 3) (1 3 2) (1 3)
In questo modo con le permutazioni si può costruire un primo esempio di struttura algebrica, quella di gruppo, nel caso trattato esso viene indicato con due nomi diversi:
gruppo simmetrico di ordine 3, S3, perché è il gruppo di tutte le permutazioni su 3 elementi, oppure gruppo diedrico D 3 . Il secondo nome è giustificato dal fatto che si
possono interpretare le permutazioni in modo geometrico: si consideri un triangolo
equilatero i cui vertici vengono etichettati con i numerali 1, 2, 3. Si considerino ora i
movimenti rigidi di tale triangolo equilatero che lasciano "invariato" il triangolo stesso.
Tali movimenti inducono permutazioni su {1,2,3}
e le permutazioni sono rotazioni (i due cicli con tre elementi, (1 2 3) in senso antiorario e
(1 3 2) in senso orario) o simmetrie assiali rispetto all'asse del lato di cui sono indicate le
etichette degli estremi (ad esempio (1 3) è la simmetria rispetto all'asse del segmento di
estremi 3 e 1 e che passa per 2).
Oltre alle considerazioni geometriche le permutazioni hanno svolto un ruolo importante
in algebra. Si consideri il polinomio
(1)
(x1 + x2 )(x3 + x4 )
e si vogliano determinare le permutazioni degli indici che lasciano invariato il polinomio.
Gli indici considerati sono gli elementi di {1,2,3,4}. Con un ragionamento analogo ad
uno precedente, si può affermare che vi sono in tutto 24 permutazioni. Si devono individuare tra queste 24 quelle che lasciano invariato il polinomio.
Questa richiesta pone ora un problema: un polinomio cos'è? Da un punto di vista morfologico si tratta di una scrittura ottenuta con i seguenti ingredienti: ci sono delle indeterminate, le lettere x1,x2,x3 e x4, segni grafici che i numerali fanno considerare diversi e
distinti; ci sono parentesi, aperte e chiuse e il segno "+". Non viene scritto, ma viene sot-
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
tinteso, il segno "·". Da questo punto di vista le scritture (x1 + x2) e (x2 + x1) sono distinte, quindi l'unica permutazione che lascia invariato il polinomio è l'identità I. Questo
approccio è utilizzato in uno dei punti "delicati" dell'algebra scolastica, vale a dire il principio di identità dei polinomi, presentato come l'affermazione che due polinomi (nella
stessa indeterminata) sono identici (qualche autore afferma eguali) se hanno lo stesso
grado ed eguali i coefficienti delle potenze eguali.
Un secondo modo è di pensare il polinomio come elemento di una struttura algebrica,
ponendo attenzione a quali regole formali vengono utilizzate per definire tale struttura. Se
la moltiplicazione è commutativa, ma l'addizione no, permutando in (1), 1 con 3 e viceversa, 2 con 4 e viceversa, da (x1 + x2)(x3 + x4) si ottiene (x3 + x4)(x1 + x2), quindi il
polinomio rimane invariato. Se invece si assume che l'addizione sia commutativa e la
moltiplicazione no, allora permutando 1 con 2 e viceversa, 3 con 4 e viceversa, da (x1 +
x 2)(x3 + x4) si ottiene (x2 + x1)(x3 + x4) e quindi il polinomio rimane invariato. Il
problema delle permutazioni che lasciano invariato il polinomio (1), in questo approccio
sintattico dipende dalle regole utilizzate, vale a dire se ci si pone all'interno di una struttura
algebrica di anello commutativo, oppure no, o altre strutture stravaganti. Anche questo
punto di vista si può riscontare sui manuali scolastici a proposito del principio di identità
dei polinomi: (x + 1)2 e x 2 + 2x + 1 sono identici non perché sono presentati nello
stesso modo, ma perché, una volta effettuati i calcoli (in un anello commutativo con
caratteristica diversa da 2) si ottengono due polinomi identici dal punto di vista
morfologico.
C'è ancora un altro modo di vedere il polinomio (1) e quindi di rispondere alla domanda. Se si interpretano le indeterminate come variabili, fissando cioè un insieme in cui tali
simboli possono essere interpretati, il dominio di interpretazione, e in esso si interpretano
i simboli "+" e "·", allora la risposta può dipendere pesantemente dalla scelta di tale dominio. Al polinomio (1) resta associata una funzione, un esempio o istanza della funzione
polinomiale, quella che descrive cosa succede a quattro generici elementi del dominio
quando ad essi si applicano le operazioni che interpretano i simboli "+" e "·". Ad esempio
se il dominio di interpretazione è costituito da un unico elemento, {0}, e le operazioni di
addizione e moltiplicazione si assumono come quelle "solite", il polinomio (1) è la funzione costante di valore 0 e qualsiasi permutazione dell'insieme degli indici delle variabili
lascia invariato il polinomio. Questo approccio semantico comporta una forma del principio di identità dei polinomi, visto stavolta come l'affermazione (falsa) che due polinomi
sono identici se assumono gli stessi valori per ogni valore associato alla variabile. La
falsità di tale principio consiste nel non specificare il dominio di variazione. Ad esempio i
polinomi x, x2 e x3 + x2 + x non sono identici dal punto di vista morfologico e neppure
sintattico (hanno gradi diversi), lo sono semanticamente se si considera il campo 2 come
dominio di interpretazione delle variabili e delle operazioni.
Z
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Precisati questi aspetti, facciamo finta di avere detto prima che il polinomio (1) lo si
considera come polinomio di [x1,x2,x3,x4], anello commutativo unitario dei polinomi
R
R
in quattro indeterminate a coefficienti in , precisando così sia gli aspetti semantici che
quelli sintattici. L'invarianza del polinomio, dal punto di vista morfologico, è garantita solo
dalla permutazione identica I. Per la commutatività dell'addizione (richiesta nella definizione di anello), la permutazione (1 2) lascia invariato il polinomio. Anche (3 4) lascia
invariato il polinomio, quindi anche la loro composizione (1 2)(3 4) che può essere
1 2 3 4
scritta, in forma di matrice, come 2 1 4 3 . Sfruttando la commutatività della moltiplicazione (richiesta dall'affermazione che l'anello è commutativo), lo scambio dei fattori
non altera il risultato, quindi (1 3)(2 4) non muta il polinomio, ma anche
(1 4)(2 3). Con un poco di attenzione si prova che i cicli (1 3 2 4) e (1 4 2 3) non alterano il polinomio. Si sono così trovate 8 permutazioni, di cui 4 lasciano invariati i fattori.
Tutte le permutazioni dell'insieme {1,2,3,4} sono 24, quindi ce ne sono 16 che non lasciano invariato il polinomio (1); un esempio di permutazione che non lascia invariato il
polinomio è data da (1 3).
Altri esempi: il polinomio
(2)
(x1 - x2)(x1 - x3)(x1 - x4)(x2 - x3)(x2 - x4)(x3 - x4)
che può essere scritto, mediante il simbolo di determinante, come il determinante di Vandermonde,
x13 x12 x1 1
3
2
xx23 xx22 xx2 11
 33 x32 x3 1
x4
4
4
(
)
dal nome del matematico francese Alexandre Théodore Vandermonde (1735 - 1796), usato nella interpolazione polinomiale e nei sistemi differenziali lineari a coefficienti costanti.
Anzi, l'affermazione, detta ancora principio di identità dei polinomi, che due polinomi di
grado n (qui 3) sono identici se assumono gli stessi valori per n+1 (qui 4) valori distinti
assegnati all'indeterminata, è basato sul calcolo del determinante di Vandermonde.
Le permutazioni che lasciano invariato il polinomio (2) sono 12 e si può mostrare che
si tratta di tutte le permutazioni che possono essere scritte come il prodotto di un numero
pari di cicli di ordine 2, dato che un ciclo di ordine 2 fa cambiare di segno ad uno dei
fattori del prodotto che compare in (2).
Il polinomio
(3)
(x1 - x2)(x3 - x4)
viene lasciato invariato da quattro permutazioni: I, (1 2)(3 4), (1 3)(2 4), (1 4)(2 3).
Queste permutazioni rispetto al passaggio all'inverso ed alla composizione costituisce il
cosiddetto Viergruppe di Klein, così chiamato perché introdotto dal matematico tedesco
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Felix Klein (1849 - 1925); tale gruppo nella letteratura italiana viene anche chiamato
gruppo trirettangolo.
b-1 I (1 2)(3 4) (1 3)(2 4) (1 4)(2 3)
b
I (1 2)(3 4) (1 3)(2 4) (1 4)(2 3)
(1 4)(2 3) (1 4)(2 3) (1 3)(2 4) (1 2)(3 4)
(1 3)(2 4) (1 3)(2 4) (1 4)(2 3)
(1 2)(3 4) (1 2)(3 4)
I
I
I
I
(1 2)(3 4)
(1 4)(2 3) (1 3)(2 4)
I
(1 2)(3 4) (1 3)(2 4) (1 4)(2 3)
I
(1 2)(3 4) (1 3)(2 4) (1 4)(2 3)
In altro modo si possono interpretare geometricamente queste permutazioni come i movimenti rigidi che mutano in sé un rettangolo i cui vertici sono etichettati mediante i numerali
1, 2, 3 e 4.
3
2
4
1
In questo senso il gruppo di Klein può essere riconosciuto come il gruppo diedrico D2.
Non è un caso che in questi esempi si giunga sempre ad una struttura di gruppo. Non si è
detto, ma anche le permutazioni che lasciano invariato il polinomio (2) costituiscono un
gruppo, detto gruppo alterno, di cui qui si indicano gli elementi e le tavole dell'operazione
di passaggio all'inversa e della moltiplicazione data dalla composizione:
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
b-1
I
(12)(34) (13)(24) (14)(23) (132)
(142)
(123)
(143)
(124)
(134)
(243)
(234)
b
I
(12)(34) (13)(24) (14)(23) (123)
(124)
(132)
(134)
(142)
(143)
(234)
(243)
(243)
(243)
(123)
(134)
(134)
I
(234)
(234)
(234)
(124)
(132)
(143) (12)(34) (123)
(142) (13)(24) (14)(23) (142)
(243)
I
(143)
(143)
(132)
(124)
(234) (14)(23) (243)
(142)
(142)
(142)
(134)
(123)
(243)
(143)
(134)
(134)
(142)
(243)
(123)
(234) (13)(24) (12)(34) (143)
(132)
(132)
(143)
(234)
(124)
(124)
(124)
(234)
(143)
(132) (13)(24) (142)
(123)
(123)
(243)
(142)
(134)
(14)(23) (14)(23) (13)(24) (12)(34)
I
I
(134)
(132) (14)(23)
I
(14)(23) (234)
(143) (14)(23)
(12)(34) (134)
(124) (13)(24) (12)(34) (132)
(132)
I
(123) (14)(24) (13)(24) (243)
(243) (12)(34)
(123) (13)(24)
I
(123)
(14)(23) (124)
(142) (12)(34)
(134) (14)(23)
I
(124)
(234) (12)(34) (13)(24) (143)
(142)
(132)
(124)
(123)
(243)
(234)
(143)
(142)
(12)(34) (243)
(143)
(234)
(243)
(123)
(124)
(132)
(134)
(14)(23) (13)(24) (134)
(234)
(143)
(142)
(134)
(132)
(124)
(123)
I
(12)(34) (13)(24) (14)(23) (123)
(124)
(132)
(134)
(142)
(143)
(234)
(243)
I
(12)(34) (13)(24) (14)(23) (123)
(124)
(132)
(134)
(142)
(143)
(234)
(243)
(13)(24) (13)(24) (14)(23)
(12)(34) (12)(34)
I
I
(124) (12)(34) (13)(24) (132)
I
I
Le 24 permutazioni sull'insieme {1,2,3,4} con l'operazione di passaggio all'inverso e
con la composizione costituiscono un gruppo, indicato con S4. Questo avviene comunque
si prenda un insieme e si considerino tutte le permutazioni su tale insieme. Il gruppo così
ottenuto prende nome di gruppo simmetrico. Non è un caso, anzi Arthur Cayley (1821 1895), prova che ogni gruppo è (isomorfo ad) un gruppo di permutazioni 1.
1.4. Tempo e ordine. Il concetto di tempo è stato da sempre uno dei temi preferiti dalla
indagine filosofica e scientifica. Nel Timeo Platone definisce il tempo come l'immagine
mobile dell'eternità e afferma che il tempo procede secondo il numero; definisce anche l'istante come il punto di congiunzione tra tempo ed eternità. Importante osservare la presenza del numero, ma l'assenza esplicita del prima e del poi. Questi aspetti si ritrovano in
Aristotele che definisce il tempo come il numero del movimento secondo il prima e il poi,
assegnando ancora un ruolo importante al numero. Con S. Agostino (354 - 430), si pone
il problema della oggettività o della soggettività del tempo. Con l'avvento della nuova
Scienza il tempo (e lo spazio) assume un connotato fisico, come una serie reversibile di i1 Per la dimostrazione si veda il paragrafo 1.8.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
stanti omogenei, in modo da subordinare il movimento a leggi quantitative soggette alla
nascente analisi infinitesimale. Per superare i problemi posti dai critici a questa nozione di
tempo e salvare al contempo i risultati della scienza, Kant assume il tempo come giudizio
sintetico a priori. Nella filosofia contemporanea si è di nuovo posto il problema del tempo,
anche a causa della scoperta della irreversibilità dei fenomeni termodinamici e successivamente della Teoria della relatività di Albert Einstein (1879 - 1955); essa comporta la
non unicità della serie temporale per tutti gli eventi fisici e la unitarietà di tempo e spazio in
un continuum quadridimensionale propugnato da Hermann Minkowski (1864 - 1909). La
Filosofia più recente torna a connotati più soggettivi di ispirazione agostiniana.
Il passaggio del tempo suggerisce le idee intuitive di "prima" e "poi", come afferma Aristotele. Un modo per rappresentare questi rapporti è di indicarli col simbolo <. Si scrive t
< t’ per indicare che t è prima di t’ o che t’ è dopo t. E' coerente con questa interpretazione
l'accettazione della proprietà transitiva, cioè
t < t’ e t’ < t” implicano t < t”.
Questa scelta privilegia una struttura lineare data al tempo (quella che spesso viene utilizzata nelle rappresentazioni cartesiane delle leggi fisiche per rappresentare il tempo come la
variabile indipendente per antonomasia). Qualche pensatore ha riconosciuto l'influenza
sulla cultura occidentale dell'ebraismo nell'accettazione di una struttura lineare del tempo.
Infatti gli antichi greci parlano di cicli del tempo, forse come generalizzazione originata
dalla sensazione provocata dal ripetersi ciclico delle stagioni. Se si accettasse una visione
ciclica del tempo, non ci sarebbero prima e dopo, se non "localmente", perché globalmente
ogni dopo è prima di ogni prima. E' interessante osservare come i più comuni strumenti
per misurare il tempo, gli orologi, privilegino invece la struttura circolare. Con essi il
tempo viene misurato o come spazio (l'arco) o come angolo di rotazione delle lancette.
Accettata quindi la struttura lineare del tempo e dati due istanti diversi, uno dei due precede l'altro. E' questa la proprietà di linearità, che, con l'aggiunta del concetto di "contemporaneità" fornisce la proprietà di tricotomia: per ogni t, t’ si ha
t < t’, oppure t = t’, oppure t’ < t.
Sulla base di queste proprietà dato un istante t è possibile considerare il passato ed il futuro di t. Sulla base di un'idea di tempo, Dedekind giustifica le sezioni di (e quindi i numeri reali) identificando l'elemento di separazione della sezione come il presente che separa il passato ed il futuro.
Le proprietà transitiva e di linearità però non sono caratteristiche esclusive del tempo
(nella sua accezione lineare). Si possono riscontrare queste stesse proprietà a riguardo
delle relazioni "più grande" e "più piccolo" riferite ai numeri naturali ed anche ai segmenti
di una retta.
Per i numeri naturali si può scrivere
0<1<2<3<…
Q
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Se si considerano anche i numeri interi relativi si ha
… < -3 < -2 < -1 < 0 < 1 < 2 < 3 < …
Questi sono esempi "semplici" perché fanno intervenire insiemi discreti. Ma anche in situazioni matematiche più complesse, quali i numeri razionali o i numeri reali, è sempre
possibile considerare una relazione che gode delle stesse proprietà. Il fatto che in contesti
assai vari si considerino queste due proprietà, chiarisce l'aspetto formale di queste "leggi"
che vengono applicate in contesti diversi, si può dire indipendentemente dalla natura degli
elementi e dell'interpretazione delle relazioni. Per questo è bene dare un nome a questa situazione, cui riferirsi in ciascun caso che interessa, in modo uniforme.
Intanto è da precisare che serve una relazione binaria “<” su un insieme X; ma questa
richiesta può apparire ambigua. Infatti senza ulteriori precisazioni, una relazione può
essere vista in due modi, uno tipicamente linguistico, relazione come sinonimo di predicato
che applicato a due termini fornisce una formula, x < y. Su essa si può porre il problema
se sia scritta correttamente (morfologia), se sia o no un assioma o un teorema (sintassi) o
se sia o no vera (semantica). Un altro modo di interpretare il termine relazione in modo insiemistico, considerando come relazione binaria l'insieme {〈x,y〉 | x < y}, ponendo cioè <
= {〈x,y〉 | x < y}. In tale scrittura compare x < y vista come una "proprietà" cioè come
una formula che permette di individuare la totalità delle coppie ordinate che rendono vera
(soddisfano) la proprietà.
Si passa così dalla considerazione (anche intuitiva) dei singoli casi che si presentano, alla determinazione della relazione d'ordine come una unica totalità data in atto, assieme ai
suoi elementi (che sono coppie ordinate), seguendo in un certo senso il percorso suggerito
da Ann Sfard passando dall'interiorizzazione, alla condensazione, per terminare con la
reificazione del concetto. La fase di interiorizzazione è quella che si è realizzata quando
(con Aristotele) ci siamo resi conto del prima e del poi. Quando osserviamo che ci sono
proprietà "generali" di tali situazioni, tipicamente la proprietà transitiva, siamo in una fase
di condensazione dalle esperienze alla proprietà formale. L'ultimo passaggio, quello di reificazione, ci fa prendere coscienza della relazione come un tutt'uno.
Definizione. Un insieme linearmente ordinato è dato da un insieme non vuoto e da una
relazione binaria su esso, con la condizione che per la relazione valgano le proprietà
transitiva e di tricotomia.
Si possono inventare (o scoprire) numerosi altri esempi di insiemi linearmente ordinati.
Ci sono esempi finiti, quale 1 < 2 < 3 < 4, altri infiniti, come l'insieme degli ordinali quale
0 < 1 < 2 < … < ω < ω+1 < ω+2 < …
dove ω è il primo ordinale trasfinito, la prima "cosa" al di là di tutti i numeri naturali.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
La definizione precedente è uno (forse il primo) di molti casi di una lista di assiomi che
descrivono situazioni comuni a diversi esempi. Come in altri casi la scelta degli assiomi
può variare.
Piuttosto che parlare di "prima" e "dopo" si può utilizzare la nozione di "non più tardi
di" o "non prima di", che vengono "schematizzate" dalla relazione ≤. Questa alternativa
può essere schematizzata per ogni insieme ordinato X, basta definire x ≤ y per x < y oppure x = y 1. Le proprietà di questa relazione su X sono le seguenti: per tutti gli x,y,z∈X
si ha
proprietà transitiva
x ≤ y e y ≤ z implicano x ≤ z;
proprietà riflessiva
x ≤ x;
proprietà antisimmetrica
x ≤ y e y ≤ x implicano x = y;
proprietà di tricotomia
x ≤ y oppure y ≤ x.
Viceversa se è dato l'insieme X con una relazione binaria ≤ con queste quattro proprietà,
si può definire x < y per significare x ≤ y e x ≠ y. Il risultato è che X rispetto a < è un insieme linearmente ordinato. Data l'equivalenza della situazione, parlando di insieme linearmente ordinato ci si può riferire alla relazione ≤ , con le quattro proprietà oppure alla relazione < con le due precedentemente dette.
Una proprietà interessante per gli insiemi finiti è la seguente: se X è un insieme finito linearmente ordinato dalla relazione <, allora ogni sottinsieme S di X non vuoto ha un minimo elemento rispetto alla relazione <. Infatti S è finito e non vuoto. Se ha un solo elemento, banalmente questo è il minimo, mentre se ha più di un elemento, è possibile confrontare
gli elementi a due a due determinando il minimo di S. Questa proprietà vale anche per ,
pur non essendo finito, ma non è vera in generale. Ad esempio l'insieme dei numeri
interi relativi, con l'ordine naturale è linearmente ordinato, l'insieme dei numeri interi
negativi non è vuoto, ma non ha minimo. Sono importanti per aspetti teorici ed applicativi
quegli insiemi linearmente ordinati in cui ogni sottinsieme non vuoto ha minimo. Per essi
si conia la seguente
N
Z
N
Definizione. Dato un insieme X non vuoto con una relazione binaria < transitiva. Si dice
che < è un buon ordine su X o che X è bene ordinato da <, se ogni sottinsieme non vuoto
di X ha minimo rispetto alla relazione <.
Si noti che non si è chiesto che valga la proprietà di tricotomia, dato che se X è bene ordinato da <, allora considerati due elementi x,y∈X, distinti, si ha x < y oppure y < x, dato
che {x,y} è un sottinsieme non vuoto di X, quindi deve avere minimo. Si ha quindi che per
insiemi finiti le definizioni di buon ordine e ordine lineare sono equivalenti.
1 La presenza della disgiunzione "inglobata" nel simbolo ≤ è probabilmente una della maggiori difficoltà didattiche presenti nel calcolo con le relazioni d'ordine (disequazioni).
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Attenzione: dato un insieme è possibile considerare su di esso diverse relazioni binarie
che lo rendono insieme linearmente ordinato, per questo è bene specificare l'ordine scrivendo 〈X,<〉 per mettere in evidenza l'insieme e la relazione considerata in quel caso.
E' importante dare un senso al fatto che due insiemi o modelli dell'ordine lineare sono
"essenzialmente" lo stesso, nel senso che i due insiemi ordinati hanno lo stesso tipo d'ordine. Ad esempio l'insieme dei numeri naturali pari e l'insieme dei numeri naturali dispari, rispetto all'ordine "naturale" dei numeri naturali:
0 < 2 < 4 < 6 <…
1 < 3 < 5 < 7 <…
P
E' immediato constatare che
D
P e D hanno lo stesso tipo d'ordine. Per chiarire si pone
Definizione. Siano dati due insiemi linearmente ordinati 〈X, <〉 e 〈Y,∠〉. Un isomorfismo
ordinato f: 〈X, <〉 → 〈Y,∠〉 è una biezione dell'insieme X sull'insieme Y che conserva
l'ordine: per ogni x1,x2∈X, si ha
se x1 < x2, allora f(x1) ∠ f(x2)
Quando tra due insiemi ordinati c'è un isomorfismo ordinato allora si dice che hanno lo
stesso tipo d'ordine.
Si osservi che sotto le ipotesi dette, se f è un isomorfismo ordinato, per arbitrari
x1,x2∈X se f(x1) ∠ f(x2), allora, essendo l'ordine lineare, si deve avere per tricotomia, x1
< x2 ∨ x1 = x2 ∨ x2 < x1. Il primo caso x1 < x2 è quello che si vuole concludere. Nel
secondo caso x1 = x2, per definizione di funzione si ha f(x1) = f(x2), in contrasto con l'ipotesi f(x1) ∠ f(x2). Nel terzo caso, x2 < x1, si ha f(x2) ∠ f(x1), che combinato con l'ipotesi f(x1) ∠ f(x2), per transitiva, comporta f(x1) ∠ f(x1), ma tale relazione è possibile
solo se f(x1) ≠ f(x1), il che è assurdo. Di qui discende che se f: 〈X, <〉 → 〈Y,∠〉 è un isomorfismo ordinato, allora f-1: 〈Y,∠〉 → 〈X, <〉 è anche un isomorfismo ordinato.
Siano 〈X, <〉 un insieme linearmente ordinato, Y un insieme e ϕ: X → Y una biezione; si può definire una relazione d'ordine lineare su Y, ponendo per ogni y1,y2∈Y,
y1
y2 se ϕ-1(y1) < ϕ-1(y2) in X, sfruttando il fatto che ϕ è suriettiva ed iniettiva. Di
più 〈X, <〉 sarebbe un insieme bene ordinato se e solo se 〈Y, 〉 fosse un insieme ben or-
9
9
9
dinato.
La definizione di insiemi ordinati con lo stesso tipo d'ordine ricorda da vicino quella per
cui due insiemi hanno lo stesso numero cardinale, cioè tra di essi c'è una biezione. C'è
però una differenza fondamentale: per gli isomorfismi ordinati bisogna tenere conto dell'ordine. Inoltre se tra due insiemi esiste una biezione (hanno lo stesso numero cardinale),
di biezioni se ne possono trovare tante diverse (oltre alla biezione inversa), di isomorfismi
ordinati tra due insiemi bene ordinati ne esiste uno solo (e il suo inverso).
E' così possibile provare che ogni insieme linearmente ordinato di quattro elementi ha lo
stesso tipo d'ordine dell'insieme {1,2,3,4} con l'ordine in base al quale 1 < 2 < 3 < 4.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
N
In un caso precedente si è vista una proprietà dell'ordine, il buon ordine, che vale per .
Ci si chiede se si possono trovare proprietà dell'ordine che assunte come assiomi possano
"caratterizzare" strutture matematiche importanti, cioè fare in modo che, a meno di isomorfismi ordinati, le strutture siano univocamente individuate. Qui interessano principalmente , e . Trovare questi assiomi aggiuntivi per ciascuna situazione significa provare che per ogni insieme X, se su di esso viene definita una relazione d'ordine in modo
che la struttura risultante sia modello degli opportuni assiomi dell'ordine, allora esiste una
biezione f: X → , oppure f: X → , o ancora f: X →
che è un isomorfismo
NQ R
N
Q
R
ordinato .
La risposta, in questi casi, è parzialmente affermativa, almeno ad una prima impressione,
salvo cioè approfondimenti. La proprietà di buon ordine che vale per
non basta a
caratterizzarlo. Però si può caratterizzare dal punto di vista dell'ordine. Gli elementi di
possono essere pensati come istanti di tempo, in accordo col pensiero di Platone e di
Dedekind, e possono essere approssimati da numeri razionali. Per esempio
R
R
N
3; 3,1; 3,14; 3,141; 3,1415; 3,14159; 3,141592, …
sono alcune delle approssimazioni (per difetto) di π e tale numero π è l'estremo superiore
di questo insieme infinito di numeri razionali 1. In modo più formale
Definizione. Sia 〈X,<〉 un insieme linearmente ordinato. Sia S ⊆ X. Un elemento b∈X
si dice un maggiorante di S se per ogni s∈S, si ha s ≤ b. Se esiste un maggiorante di S
si dice che S è superiormente limitato. Si dice che b è l'estremo superiore di S se b è il
minimo dell'insieme dei maggioranti di S. Analoga definizione, scambiando la relazione
con >, per minorante, insieme inferiormente limitato ed estremo inferiore. 2 .
Un insieme è illimitato se non ha maggioranti superiori né inferiori.
1 Il numero π per la sua importanza è noto con almeno due milioni di cifre decimali (approssimazione per
difetto).
2 Anche questa nozione è assai complessa dal punto di vista didattico, dato che i termini minimo e maggiorante
non vengono spesso ben intesi: c'è infatti la tendenza a identificare erroneamente il concetto di estremo
superiore con quello di massimo (così come quello di estremo inferiore con quello di minimo). Quindi
apparentemente si chiede un massimo che sia minimo.
D'altra parte la definizione di estremo superiore, almeno quella data qui, ha due problemi concettuali profondi.
Il primo è di natura matematica. Il concetto di limite (per successioni) può essere evitato e sostituito a favore del
concetto di estremo (superiore o inferiore). Ciò grazie ad un importante teorema spesso associato ai nomi dei
matematici Bolzano e Karl Weierstrass (1815 - 1897) in base al quale in ogni successione limitata è possibile
individuare una sottosuccessione convergente. Se la successione di partenza è convergente, il limite di ogni
sottosuccessione è ancora lo stesso. E' poi possibile mostrare che si può scegliere la sottosuccessione in modo
che risulti monotona. Dato poi che per una successione monotona il limite è l'estremo superiore (o inferiore,
secondo che la successione sia crescente o decrescente) dell'immagine della successione, ecco che con concetto
di estremo superiore o inferiore si può ripresentare la nozione di limite.
Il secondo motivo di perplessità è di natura filosofica. E' stato messo in luce da Russell e da Jules Henri
Poincaré (1854 - 1912), che alcuni paradossi si basano sul principio di circolo vizioso o su definizioni
impredicative: viene cioè definito un ente utilizzando una totalità di cui l'ente stesso fa parte. E' questo il caso
precipuo dell'estremo superiore o inferiore. Prima si definisce l'insieme dei maggioranti (minoranti), di cui
l'estremo è elemento e poi l'estremo come il minimo (massimo) dei maggioranti (minoranti). Tale procedimento
è sospetto, perché se la matematica si costruisce, cioè si inventa, prima di scoprire l'estremo superiore si deve
avere scoperto tutti i maggioranti, quindi anche esso.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
R
Una proprietà che serve per caratterizzare l'insieme è che esso è un insieme completo,
cioè ogni sottinsieme non vuoto e superiormente limitato ha estremo superiore.
La proprietà detta prima che ogni numero reale possa essere approssimato per difetto o
per eccesso mediante numeri razionali si può formalizzare dicendo che è denso in . In
generale si la seguente
Q
R
Definizione. Sia 〈X,<〉 un insieme linearmente ordinato.
a) Si dice che l'ordine (o l'insieme ordinato) è denso se
∀x,y∈X( x < y → ∃z∈X( x < z ∧ z < y));
b) dati sottinsiemi B,C ⊆ X si dice che B è denso in C se
∀x,y∈C( x < y → ∃z∈B( x < z ∧ z < y));
c) si dice che l'insieme ordinato 〈X,<〉 è discreto se
∃x,y∈X( x < y ∧ ∀z∈X(x ≤ z ∧ z ≤ y → z = x ∨ z = y)).
Cantor ha provato che le proprietà di essere un insieme numerabile linearmente ordinato, illimitato e denso in sé, caratterizzano (nella logica del primo ordine) 〈 ,<〉. Hausdorff
Q
ha provato che le proprietà di essere un insieme linearmente ordinato, illimitato, completo
che ha un sottinsieme numerabile denso in esso caratterizzano (nella logica del secondo
ordine) 〈 ,<〉.
R
Q R
Questi risultati forniscono una descrizione degli ordini "naturali" sugli insiemi e ,
rispettivamente. Però per ottenere la consueta struttura sugli insiemi dei numeri razionali e
dei numeri reali, bisogna mettere assieme le proprietà dell'ordine e le proprietà algebriche.
Esse sono conseguenza dell'introduzione delle operazioni.
Anche aggiungendo alla proprietà di essere ben ordinato quella di essere un insieme discreto, non si caratterizza l'ordine di .
Tornando alla metafora del tempo, una volta individuati due intervalli di tempo, si può
aggiungere un intervallo all'altro. Per far questo è necessaria un'operazione di confronto
tra intervalli e la possibilità di riprodurre un intervallo di tempo fissato, assegnandone arbitrariamente un istante di partenza. Tutto ciò è possibile misurando il tempo con un orologio. Così considerati gli istanti t e t’, si considera un arbitrario istante t0 come istante ini-
N
ziale. Si considera l'intervallo che parte da t0 e termina in t, poi si considera un intervallo
della stessa durata dell'intervallo da t0 a t’, ma che abbia come istante di partenza t. Così si
ottiene l'intervallo che ha istante di partenza t0 e che ha istante terminale quello che si può
indicare con t + t’. Con questa procedura, il risultato dell'addizione dipende dall'istante
iniziale considerato. La somma t + 0 pone qualche problema per il significato "fisico" di
un istante nullo, ma non dipende dall'istante iniziale considerato. Si riesce così a definire
l'addizione di due istanti, anche se non c'è l'indipendenza dalla scelta di t0. Però così
facendo questa operazione di addizione gode delle proprietà commutativa ed associativa,
indipendentemente dalla scelta dell'istante iniziale. Dunque, partendo da esempi e
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
situazioni diverse si ottengono le stesse leggi formali valide per l'addizione dei numeri
naturali.
1.5. Spazio e movimento. Lo spazio è un altro di quei concetti su cui si è accentrata
l'attenzione di pensatori di varia estrazione. Dall'antichità questo concetto si porta dietro
altri due incomodi soggetti della ricerca filosofica: l'infinito ed il vuoto. Nella scienza e
nella filosofia contemporanea è difficile separare tempo e spazio (Minkowski). E non è
detto che dello spazio esista un'unica interpretazione. Ad esempio, da un certo punto di
vista lo spazio è ciò che è racchiuso all'interno di una figura, spazio intrafigurale. Questa
accezione induce a pensare che un segmento sia un insieme di punti o che un triangolo
individui lo spazio compreso tra i lati. Su questa linea si muove Aristotele che vede lo
spazio come qualcosa delimitato dal limite dei corpi. Ciò ha conseguenze nella visione
astronomica di Aristotele che propone un universo chiuso, limitato dal cielo delle stelle
fisse, al di fuori del quale non vi sarebbe niente, neppure il vuoto. A questa visione, che
permase nella cultura per vari secoli, si oppose Epicuro (341 - 270 a.C.), che pose il
problema di cosa avvenisse ad una freccia lanciata dal cielo delle stelle fisse in direzione
opposta a quella della Terra, vista come centro dell'universo e dello spazio astronomico. La
forza della visione intrafigurale dello spazio fece considerare assai poco la teoria eliocentrica di Aristarco di Samo (310 - 230 a.C.), il primo astronomo che la propose ed
inoltre che calcolò la distanza Terra - Sole e Terra - Luna. Infatti in presenza del moto relativo della Terra attorno al Sole, si pone il problema dell'apparente fissità nel cielo delle
stelle, fissità spiegabile solo pensando che la distanza tra Terra e Sole sia "trascurabile"
rispetto alla distanza del sole dalle stelle fisse. Ma tale teoria dilatava in maniera notevole
lo spazio astronomico. La forza della interpretazione intrafigurale dello spazio fu tale che
lo stesso Giovanni Keplero (1571 - 1630), pur formulando le leggi dei moti dei pianeti
attorno al Sole, posizionava i pianeti e il Sole all'interno di una superficie sferica di cristallo in cui si trovavano imprigionate le stelle fisse, giungendo, con calcoli che oggi fanno
sorridere, a determinare lo spessore di tale superficie sferica basandosi sulla densità del
cristallo di Boemia.
Un altro modo di vedere lo spazio è quello di pensarlo generato da due o più figure,
spazio interfigurale, oppure come un recipiente in cui si trovano oggetti geometrici. In
questo senso si muovono Leucippo (2ª metà del V sec. a.C.) e Democrito (460 - 370 a.
C.) che hanno postulano l'esistenza di uno spazio vuoto in cui si muovono gli atomi. Tale
nozione viene ripresa in epoca moderna da Gottfried Wilhelm Leibniz (1646 - 1716), il
quale negando esistenza allo spazio lo definisce come l'ordine di coesistenza dei corpi,
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
cioè come qualcosa di relativo e di non separabile da essi. Un terzo modo, forse quello più
moderno, frutto anche della introduzione del metodo delle coordinate, è quello di pensare
allo spazio come spazio assoluto. Ne è propugnatore Isaac Newton (1642 - 1727), che lo
vede come ente fisico, anche se nel suo pensiero v'è ancora traccia di ricerca teologica
perché attribuisce allo spazio il ruolo di sensorium Dei, una specie di organo sensoriale
mediante il quale Dio imprime il movimento alla materia. Per "salvare" la Fisica di Newton
dalla critica di Leibniz, Kant sposta il ruolo dello spazio da ambiente o luogo a quello di
intuizione sintetica a priori.
Come detto sopra, è difficile scindere le nozioni di tempo e spazio, dato che è assai
complesso separare quelle di spazio e di movimento. E' infatti il movimento che ha bisogno di spazio e tempo per potersi svolgere e d'altra parte non è possibile misurare lo spazio ed il tempo prescindendo dal movimento.
La nozione di spazio ereditata dalla Geometria di Euclide non ha bisogno né del movimento né del tempo. Essa trova la sua origine nella nozione di punto, ente che non ha parti,
quindi indivisibile o atomo.
In senso più moderno lo spazio è ancora costituito di punti, ma questi, o meglio la loro
collezione, hanno una struttura addizionale, quella che descrive la distanza di due punti. Se
p e q sono punti, con ρ(p,q) si indica tale distanza. Grazie ad assiomi euclidei, tale distanza può essere misurata su una linea retta, l'unica che congiunge i due punti. Ma la distanza non viene assunta come un segmento, bensì come numero. Nella filosofia pitagorica tale numero avrebbe dovuto essere un numero razionale non negativo, come rapporto di
due numerosità (anche infinite). Un altro aspetto che pare intuitivo, o meglio presente nella
nostra intuizione fisica è la mutua posizione di due rette: il "verticale" e l'"orizzontale". Le
ragioni si possono dedurre dalle posizioni di astri e ombre, dagli edifici, dall'orizzonte, ecc.
Tale visione permane ancora oggi, non ostante la diffusa nozione della Terra come pianeta
immerso nello spazio universale, in moto attorno al Sole. Due rette in questo mutuo
rapporto si dicono rette perpendicolari (con parola di origine latina) o ortogonali (con
termine di origine greca).
Di qui nasce anche l'idea del triangolo rettangolo ed il suo ruolo nella misurazione del
terreno, di cui fecero esperienza gli egiziani. Si pensi al problema pratico che si trovavano
di fronte gli impiegati del catasto egiziano che ad ogni piena annuale del Nilo erano costretti a ridefinire i confini degli appezzamenti di terra anche per motivi di imposte. Essi erano riusciti a risolvere il problema con mezzi molto semplici: una corda e dei pali, anzi il
problema aveva dato origine ad una "professione", quella dei tenditori di corde, i primi
geometri. Si noti che con un palo ed una corda si possono individuare circonferenze,
aventi origine nel palo e raggio dato dalla lunghezza della corda (tesa), oppure ellissi (con
due pali). Per risolvere il problema del catasto egiziano basta suddividere la corda in 12
parti eguali. Piantato un palo si pianta un altro palo dopo tre tratti e un terzo dopo altri
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
quattro, ma stando attenti che il primo palo disti dal terzo esattamente 5 tratti di corda. Di
fatto si considera un punto di intersezione della circonferenza avente centro nel primo palo
e raggio 5 tratti, con la circonferenza di centro il secondo palo e di raggio quattro tratti di
corda.
Si noti che in questa forma si ha la "parte inversa" del Teorema di Pitagora, la Proposizione 48 del Libro I degli Elementi di Euclide, quella che di solito su molti testi scolastici
non viene esplicitata, cioè l'affermazione che in ogni triangolo se la somma delle aree dei
quadrati costruiti su due lati (minori) fosse eguale all'area del quadrato costruito sul lato
maggiore, allora il triangolo sarebbe rettangolo, costruendo così l'angolo retto indispensabile per tracciare poi i confini degli appezzamenti.
Nell'esempio "egiziano" si considera una terna pitagorica cioè una terna ordinata di
numeri naturali 〈n,m,p〉 tale che n2 + m2 = p2. Ci sono esempi di terne pitagoriche "banali" quali 〈0,0,0〉 oppure 〈0,m,m〉 o 〈n,0,n〉, ma nelle considerazioni che seguono tali
casi vengono esclusi, anche perché non ha senso geometrico, agli occhi degli antichi,
considerare un segmento di lunghezza nulla. In base alla dimostrazione attribuita ad Archita da Taranto (428 - 347 a.C.), discepolo di Pitagora, e ripresa esplicitamente da Aristotele, nessuna terna del tipo 〈n,n,p〉 può essere una terna pitagorica. E' inoltre facile osservare che se 〈n,m,p〉 fosse una terna pitagorica, allora anche 〈m,n,p〉 sarebbe una terna
pitagorica: quindi quanto si dice per n lo si può "ripetere" per m. Se poi 〈n,m,p〉 fosse
una terna pitagorica, per ogni r∈ , anche 〈rn,rm,rp〉 sarebbe una terna pitagorica. Ci si
può limitare a considerare le terne pitagoriche 〈n,m,p〉∈( *)3 tali che MCD(n,m,p) = 1
e n < m. Si osserva inoltre che il quadrato di un numero pari, è pari e quello di un numero
N
N
dispari, è dispari. Di conseguenza tra tali terne "ridotte ai minimi termini" tutti e tre i
numeri non possono essere pari, perché in tal caso 2 dividerebbe il MCD dei tre numeri.
Non ci possono essere due numeri pari, dato che se n e m fossero numeri pari, di necessità anche p sarebbe numero pari. Così pure non possono essere n e p numeri pari e
m dispari dato che la somma di un numero pari e di un numero dispari sarebbe dispari e
non pari; lo stesso ragionamento vale scambiando m e n. D'altra parte non ci possono essere tre numeri dispari, perché la somma di due numeri dispari sarebbe un numero pari. In
conclusione in una terna pitagorica "ridotta ai minimi termini" ci deve essere almeno un
numero pari.
Si supponga che 〈n,m,p〉 sia una terna pitagorica "ridotta", si presentano due casi: p
dispari oppure p pari. Nel primo caso, p dispari, uno degli altri due, n o m sarà un numero pari. Senza perdita di generalità si può supporre che m sia un numero pari. Dalla
m2
relazione n2 + m2 = p2, si ricava p2 - n2 = m2. Ma
4 è ancora un numero naturale e si
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
√
 √
√
√
p - n p + n m2
p-n
p+n
m
può scrivere 2 ·
2 ·
2 , imponendo che tali
2 = 4 , da cui 2 =
p-n
p+n
radicali siano numeri naturali. Posto k =
2 eh=
2 , si ha m = 2hk. Di qui
h2 = p - n
 p = h2 + k2
2
 2 p + n . Risolvendo rispetto a p ed a n si ha  n = h2 - k2 . Per avere p e n dispari,
 m = 2hk
k = 2
N
uno dei due numeri h e k deve essere pari. Pertanto, per ogni h,k∈ , con k ≤ h, la terna
ordinata 〈h2 - k2,2hk,h2 + k2〉 è una terna pitagorica, dato che (h2 - k2)2 + (2hk)2 = h4 +
k4 - 2h2k2 + 4h2k2 = h4 + k4 + 2h2k2 = (h2 + k2)2.
Nel secondo caso se p fosse pari n e m sarebbero entrambi dispari. Ripetendo le considerazioni precedenti si avrebbe p 2 - n2 = m2 , per cui posto h = √
p + n e k =

=√
p - n, sarebbe m = h·k. Dato che per ipotesi m sarebbe dispari, ciò significherebbe

che anche h e k lo sarebbero, per cui esisterebbero a, b∈ tali che h = 2a + 1 e k = 2b +
h2 - k2

n
=

 p + n = h2
2
, si ricaverebbe 
.
1. Risolvendo ora il sistema 
2
2
p - n = k
 p = h + k2
2
2
2
(2a+1)2 - (2b+1)2
h -k
=
=
Queste soluzioni però comporterebbero n = 2
2
4(a2 + b2 + a + b)
=
= 2(a2 + b2 + a + b). Quindi n sarebbe pari e p dispari, il che
2
N
non sarebbe accettabile. Di conseguenza p sarebbe dispari dato che p2 risulterebbe dalla
somma di un numero pari e di uno dispari. Pertanto il numero pari presente nella terna
pitagorica deve essere il primo o il secondo, vale a dire il primo caso considerato, e ogni
terna pitagorica "ridotta" si ottiene considerando, per ogni h,k∈ , con k ≤ h, 〈h 2 k2,2hk,h2 + k2〉.
N
Utilizzando invece il Teorema di Pitagora nella versione più consueta, la Proposizione
47 del Libro I degli Elementi di Euclide, si può affermare che in ogni triangolo rettangolo
la somma delle aree dei quadrati aventi per lati i cateti è eguale all'area del quadrato avente
per lato l'ipotenusa. Pitagora stando a Proclo (410 - 485) fu il primo che trasformò la
Geometria in arte liberale, cioè suscettibile di essere insegnata. La presentazione di una
dimostrazione per il "suo" teorema, che era una affermazione ben nota nel mondo antico,
può essere giustificata con l'esigenza di presentare in modo didatticamente chiaro i motivi
per cui sussisteva tale relazione. Ma c'è una "controindicazione", bisogna escludere
〈n,n,p〉 dal novero delle possibili terne pitagoriche (anche per motivi di parità visti sopra).
In presenza di un triangolo rettangolo isoscele, l'ipotenusa deve essere tale che il suo
quadrato abbia area doppia dell'area del quadrato avente per lato un cateto. Di qui si può
m
provare che se n rappresentasse il rapporto tra la lunghezza dell'ipotenusa e la lunghezza
del cateto del triangolo rettangolo isoscele, e, senza perdita di generalità, si supponesse
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
 m
questa frazione ridotta ai minimi termini, cioè MCD(m,n) = 1, allora si avrebbe  n  2 =
 
2. Ciò sarebbe possibile solo se m2 = 2n2. Da ciò m sarebbe un numero avente per quadrato un numero pari, quindi la cifra delle unità di m2 sarebbe elemento dell'insieme {0, 2,
4, 6, 8}. Ciò avverrebbe solo se m fosse un numero pari, dato che il prodotto di due
numeri dispari è dispari. Quindi esisterebbe k, numero naturale tale che m = 2k. Si
avrebbe pertanto m2 = (2k)2 = 2n2, vale a dire 4k2 = 2n2, da cui n2 = 2k2. Ma quanto
osservato prima per m lo si può ripetere ora per n. Anche n dovrebbe essere pari. Ma se
ciò avvenisse, allora MCD(m,n) ≥ 2. Questa scoperta, che sembra sia avvenuta all'interno
della stessa scuola pitagorica, ha causato un profondo sommovimento. Ci si riferisce ad
esso col termine di crisi degli incommensurabili. Oggi, con la sensibilità odierna, non
riusciamo a renderci forse conto completamente della portata di questa crisi. Con essa si
distruggeva una "ideologia" pitagorica che il tutto fosse generato dal numero, ovviamente
naturale, e dai suoi rapporti. Inoltre veniva posta in discussione l'idea che il punto sia una
sorta di atomo che costituisce le figure geometriche. Con questa visione, due segmenti
sono formati da punti, ciascuno da un numero grande di punti, tanto grande che non si
può contare, tenuto conto che nella numerazione greca il termine miriade ha due significati, quello di 10.000 e anche quello di quantità tanto grande da non essere numerabile. Ma
passando al rapporto dei due segmenti questi numeri "grandi" si riducono a frazioni controllabili. Entra in crisi anche un'idea dell'infinito in atto, che è sottintesa alla tesi atomistica. Si esce da questa crisi con una serie di rinunce: abbandono dell'infinito in atto;
contrapposizione tra le due categorie della quantità e della qualità. I segmenti non sono
più "quantità" di punti, ma grandezze, quindi qualità, anzi a ben guardare i segmenti non
hanno punti, se non quelli che esplicitamente si trovano su di essi mediante costruzioni
geometriche, ad esempio i due punti estremi. Infine l'algebra non si sviluppa in Grecia, se
si esclude l'eccezione di Diofanto (III sec. d.C.). Euclide tratta problemi algebrici, riconducibili a equazioni di primo e secondo grado, presentandole e risolvendole in termini
geometrici, almeno secondo quanto afferma Paul Tannery (1843 - 1904).
La presenza degli incommensurabili, e quindi il bisogno dei numeri reali, è un'esigenza
dello spazio in cui si è introdotta una distanza. E' quindi abbastanza naturale rivoltare la
situazione, così come sostanzialmente propone nel 1910 Maurice Fréchet (1878 - 1973) e
chiamare spazio (o parte di spazio) una collezione di punti per ogni coppia dei quali è
assegnato un numero reale non negativo, soggetto ad opportune condizioni. Più spesso
nella letteratura europea si preferisce aggettivare lo spazio chiamando la situazione delineata col nome di spazio metrico. Più precisamente si ha la seguente
Definizione. Una coppia ordinata 〈S,ρ〉 in cui S è un insieme non vuoto e ρ: (S×S)
→ 0+ si dice uno spazio metrico, se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
R
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
∀p,q∈S(ρ(p,q) = ρ(q,p))
∀p,q∈S(ρ(p,q) ≥ 0)
∀p,q∈S(ρ(p,q) = 0 ↔ p = q)
∀p,q,r∈S(ρ(p,q) ≤ ρ(p,r) + ρ(r,q)).
Una funzione ρ che soddisfi queste richieste viene detta metrica o distanza.
La quarta richiesta prende il nome di assioma triangolare, o diseguaglianza triangolare. Il motivo è che se la più breve distanza tra due punti è quella che si ottiene congiungendo p e q con una linea retta, introducendo un terzo punto, r, se non allineato con essi,
si viene ad individuare un triangolo. Nel caso r sia allineato con gli altri due la diseguaglianza può trasformarsi in eguaglianza e questo si può utilizzare per introdurre gli intervalli (e i segmenti) in uno spazio metrico. Infatti in 〈S,ρ〉, dati p,q∈S distinti, si definisce
l'intervallo chiuso di estremi p e q come [p,q] = {r∈S | ρ(p,r) + ρ(r,q) = ρ(p,q)}.
Gli assiomi utilizzati sono in forma di affermazioni con un prefisso costituito da quantificatori universali. Tali condizioni sono banalmente soddisfatte se S = ∅. Ma ciò banalizzerebbe il concetto di spazio metrico. Per questo motivo, anche se non lo esplicita, si
considerano spazi metrici non banali, cioè tali che S ≠ ∅.
Si noti che è possibile formulare la diseguaglianza triangolare in un modo un po' diverso 1 e ricavare da essa e dalla penultima le prime due richieste, diminuendo così il numero
di assiomi. Una considerazione di carattere generale è che tale nozione si trasmette per
restrizione, vale a dire se 〈S,ρ〉 fosse uno spazio metrico e Z ⊆ S, allora considerata σ =
(ρ|`(Z×Z)), anche 〈Z,σ〉 sarebbe uno spazio metrico, anzi si può dire che si tratta di un
sottospazio metrico di 〈S,ρ〉 in quanto se p,q∈Z, si ha ρ(p,q) = σ(p,q). Per questo le
"figure" geometriche più consuete o no, sfere, cilindri, poliedri ed altro, si possono considerare come spazi metrici e si possono ritenere sottospazi metrici del più consueto spazio
ordinario tridimensionale. Lo stesso avviene per le figure piane e il piano. In questo modo
si dà una giustificazione alla considerazione dello spazio intrafigurale, che viene
subordinato da quello esterno alla figura, sia esso interfigurale o assoluto.
Ma la nozione è assai più generale e si può applicare anche a situazioni in cui difficilmente si penserebbe ad entità spaziali. Ad esempio, se si considera l'insieme (o ), per
R Q
1 Si può considerare la seguente formulazione ∀p,q,r∈S(ρ(p,q) ≤ ρ(r,p) + ρ(r,q)). Questa richiesta assieme alla
penultima permette di ottenere le altre due: siano p,q∈S. Si hanno due casi: p = q oppure p ≠ q. Nel primo p = q,
si ha ρ(p,q) = 0 = ρ(q,p), quindi ρ(p,q) = ρ(q,p). Nel secondo si ottiene dalla diseguaglianza triangolare ρ(p,q) ≤
ρ(q,p) + ρ(q,q) = ρ(q,p) + 0 = ρ(q,p); quindi ρ(p,q) ≤ ρ(q,p). In modo analogo, scambiando i ruoli di p e q si ottiene ρ(q,p) ≤ ρ(p,q), quindi, anche in questo caso ρ(p,q) = ρ(q,p). In conclusione, qualunque siano p,q∈S si ha
ρ(p,q) = ρ(q,p).
Sempre dalla diseguaglianza triangolare in questa "nuova" formulazione: presi comunque p,q∈S, distinti si
ha 0 = ρ(q,q) ≤ ρ(p,q) + ρ(p,q). Si ottiene 2⋅ρ(p,q) ≥ 0, da cui, ρ(p,q) ≥ 0. Ma per ipotesi p e q sono distinti,
quindi ρ(p,q) ≠ 0; pertanto ρ(p,q) > 0.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
R
ogni α,β∈ , posto ρ(α,β) = |α - β|, si ottiene una metrica (che è in accordo con la
R
interpretazione di come "retta" numerica).
Ancora più sorprendente è il fatto che ogni insieme può essere ritenuto uno spazio bizzarro, se si vuole. Basta infatti considerare un insieme S arbitrario. Su di esso si considera la relazione di diversità "≠". Dal punto di vista delle coppie ordinate, ≠ ⊆ (S×S)
(eventualmente vuoto se #S = 1!). Si considera poi la funzione caratteristica di tale insieme ≠, cioè la funzione χ: (S×S) → {0,1} che assume il valore 1 se la coppia ordinata è elemento di ≠, cioè se le due componenti di tale coppia ordinata sono diverse, 0 altrimenti. Immergendo {0,1} in 0+, si ottiene una funzione, indicata ancora con χ, che
R
soddisfa banalmente gli assiomi della precedente definizione.
Già questo esempio afferma che è possibile associare ad un insieme anche più metriche
diverse, quindi non è la struttura di insieme quella che permette da sola di identificare la
nozione di spazio.
Un esempio importante di metrica per le applicazioni si ottiene in relazione alla operazione di prodotto cartesiano. Siano 〈S,ρ〉, 〈T,λ〉 due spazi metrici (eventualmente eguali).
Si possono definire in modo "naturale" sull'insieme (S×T) due metriche. La prima viene
detta metrica prodotto: per ogni 〈s,t〉, 〈s’,t’〉∈(S×T), sia
(1)
(ρ×λ)(〈s,t〉,〈s’,t’〉) = √
ρ(s,s’)2 + λ(t,t’)2.

Quanto viene qui mostrato per due fattori, si può poi generalizzare per un qualsiasi numero finito di fattori, maggiore di 1.
Il secondo tipo di metrica che può essere usata per calcolare le distanze da percorrere in
città in cui le strade costituiscono un reticolato urbano a maglie rettangolari, prende il
nome di taxi metrica: per ogni 〈s,t〉, 〈s’,t’〉∈(S×T), sia
(2)
τ(〈s,t〉,〈s’,t’〉) = ρ(s,s’) + λ(t,t’).
Anche in questo caso si generalizza a prodotti cartesiani finiti con più di due fattori. La
dimostrazione che la (2) sia una metrica è semplice e viene lasciata al lettore.
Un ulteriore esempio di metrica è dato considerando µ: ((S×R)×(S×R)) →
po-
R
nendo
(3)
µ(〈x1,y1〉,〈x2,y2〉) = max(σ(x1,x2),ρ(y1,y2)) 1.
Anche questa verifica che si tratti di una metrica è lasciata al lettore.
R
1 Nel caso particolare che lo spazio sia 2 si ha µ:
ponendo µ(〈x1,x2〉,〈y1,y2〉) = max(|x1 - x2|,|y1 - y2|).
R 2× R 2 → R , definita per ogni 〈x 1 ,y 1 〉,〈x 2 ,y 2 〉∈ R 2
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
RR
La metrica prodotto che solitamente viene utilizzata in ( × ), è indicata sui testi scolastici come "distanza di due punti": se p≡〈x1,y1〉 e q≡〈x2,y2〉, la distanza tra i punti p e
q è data da π(〈x1,y1〉,〈x2,y2〉) = √
|x1 - x2|2 + |y1 - y2|2 , tranne che invece del segno

di valore assoluto si preferiscono usare le parentesi rotonde. Ciò perché il valore assoluto
è "antipatico" o "difficile", come affermano molti studenti, e forse l'insegnante ritiene che
se si può evitare è meglio evitarlo. Nel caso in oggetto |x 1 - x2 |2 = (x1 - x2 )2 . La
scomparsa del valore assoluto però nasconde l'origine di questa espressione a partire dalla
metrica su .
Per provare che (1) è una metrica la condizione più delicata è la diseguaglianza triangoρ(s,s’)2 + λ(t,t’)2 = (ρ×λ)(〈s,t〉,〈s’,t’〉) ≤
lare cioè che per ogni 〈s,t〉, 〈s’,t’〉, 〈s”,t”〉∈S, √

( ρ × λ ) ( 〈 s , t 〉 , 〈 s ” , t ” 〉 ) + (ρ × λ ) ( 〈 s ” , t ” 〉 , 〈 s ’ , t ’ 〉 ) = √
ρ (s,s”) 2 + λ (t,t”) 2 +
ρ(s”,s’)2 + λ(t”,t’)2 . Utilizzando la diseguaglianza triangolare valida per entrambe le
√
metriche si ha ρ(s,s’)2 + λ(t,t’)2 ≤ (ρ(s,s”)+ρ(s”,s’))2 + (λ(t,t”)+λ(t”,t’))2 = ρ(s,s”)2 +
ρ(s”,s’)2 + 2ρ(s,s”)ρ(s”,s’) + λ(t,t”)2 + λ(t”,t’)2 + 2λ(t,t”)λ(t”,t’). Elevando il secondo
membro della diseguaglianza da provare al quadrato si ottiene ρ(s,s”)2 + λ(t,t”)2 +
ρ (s”,s’) 2 + λ (t”,t’) 2 + 2√
ρ(s,s”)2 + λ(t,t”)2√
ρ(s”,s’)2 + λ(t”,t’)2 . Confrontando

R
l'espressione precedente con quest'ultima, la diseguaglianza triangolare per la (1) è provata
se
(4)
ρ(s,s”)ρ(s”,s’) + λ(t,t”)λ(t”,t’) ≤ √
ρ(s,s”)2 + λ(t,t”)2√
ρ(s”,s’)2 + λ(t”,t’)2 .


Elevando al quadrato entrambi i membri della (4) ed osservando che, essendo le distanze
quantità non negative la diseguaglianza si mantiene per i quadrati, si ottiene
(5)
(ρ(s,s”)ρ(s”,s’) + λ(t,t”)λ(t”,t’))2 ≤ (ρ(s,s”)2 + λ(t,t”)2)(ρ(s”,s’)2 + λ(t”,t’)2).
Sia la (4) che la (5) sono diseguaglianze assai utilizzate in matematica: ci si riferisce ad
esse ambiguamente col nome di diseguaglianza di Cauchy - Schwarz, dal nome del matematico francese Augustin-Louis Cauchy (1789 - 1857) e del matematico tedesco Karl
Schwarz (1843 - 1921) che generalizzò tale risultato 1.
1 La dimostrazione è una semplice applicazione di una proprietà ben nota delle disequazioni di secondo grado. Si
consideri infatti un numero reale α, si avrà (α·ρ(s,s”) + ρ(s”,s’))2 + (α·λ(t,t”) + λ(t”,t’))2 ≥ 0, essendo somme di
quadrati, qualunque sia il valore del numero reale α. Ma l'eguaglianza si ha solo quando ciascuno dei due numeri
ρ(s”,s’)
λ(t”,t’)
elevati al quadrato è nullo, cioè solo se α = =. Possiamo sviluppare i quadrati e ordinare il
ρ(s,s”)
λ(t,t”)
risultato secondo le potenze decrescenti di α: (ρ(s,s”)2 + λ(t,t”)2)·α 2 + 2(ρ(s,s”)ρ(s”,s’) + λ(t,t”)λ(t”,t’))·α +
(ρ(s”,s’)2 + λ(t”,t’)2). Il polinomio così trovato è sempre positivo, come detto prima, qualunque sia il valore di
α, ma ciò può realizzarsi solo se il discriminante (in forma ridotta) di tale polinomio è negativo, vale a dire
(ρ(s,s”)ρ(s”,s’) + λ(t,t”)λ(t”,t’))2 - (ρ(s,s”)2 + λ(t,t”)2)(ρ(s”,s’)2 + λ(t”,t’)2) < 0. Da ciò si ricava la (4). Il segno
di eguaglianza si ha solo nel caso indicato sopra di proporzionalità delle distanze.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Quando in geometria cartesiana si presenta la distanza di due punti, senza verificare le
proprietà della distanza, può venire il dubbio che si tratti di una vera distanza, o meglio si
fa riferimento a una nozione di distanza, ricavata dal Teorema di Pitagora, senza rifletterci
su troppo. La dimostrazione della diseguaglianza di Cauchy - Schwarz è alla portata di
una scuola superiore.
Un'ulteriore diseguaglianza si ha dal confronto tra le metriche date in (1) e (2) e questa
è nota talora col nome di taxi diseguaglianza. Si ha infatti per ogni 〈s,t〉, 〈s’,t’〉∈S:
ρ(s,s’) ≤ (ρ×λ)(〈s,t〉,〈s’,t’〉) ≤ τ(〈s,t〉,〈s’,t’〉); λ(t,t’) ≤ (ρ×λ)(〈s,t〉,〈s’,t’〉) ≤ τ(〈s,t〉,〈s’,t’〉);
essa può essere "interpolata" mediante la metrica µ, come segue (mantenendo il nome di
taxi diseguaglianza):
ρ(s,s’) ≤ µ(〈s,t〉,〈s’,t’〉) ≤ (ρ×λ)(〈s,t〉,〈s’,t’〉) ≤ τ(〈s,t〉,〈s’,t’〉);
λ(t,t’) ≤ µ(〈s,t〉,〈s’,t’〉) ≤ (ρ×λ)(〈s,t〉,〈s’,t’〉) ≤ τ(〈s,t〉,〈s’,t’〉).
Tali diseguaglianze sono alla base di molte dimostrazioni matematiche in cui si prova che
una proprietà valida per funzioni che hanno per valori coppie (terne,…) ordinate l'hanno
anche le funzioni definite mediante le componenti di tali coppie (terne,…) ordinate e viceversa.
Anche se può sembrare inconsueto, nella Matematica di oggi molte proprietà geometriche elementari non vengono studiate o introdotte in ambito euclideo, si preferisce un approccio mediante gli spazi metrici. Ciò permette di ottenere poi risultati applicabili allo
spazio "fisico" ed anche ad altre situazioni. Ad esempio si è già vista la definizione di intervallo (e di segmento); si ha pure la nozione di sfera che viene formulata (e utilizzata) in
contesti assai vari. Sia 〈S,ρ〉 uno spazio metrico, p∈S e α∈ +. Si chiama sfera di centro p e raggio α l'insieme {q∈S | ρ(p,q) ≤ α} 1. Particolarizzando lo spazio metrico si
R
R
ottengono vari "tipi" di sfera. Ad esempio in con la metrica data dal valore assoluto
della differenza, una sfera di centro p e raggio α è l'intervallo (chiuso) [p-α,p+α] 2 che
ha p come punto medio. Nel piano (cartesiano) la sfera è data dal cerchio, nello spazio
dalla vera e propria sfera. Nello spazio metrico "bizzarro" 〈S,χ〉 ci sono solo due sfere
(chiuse) aventi centro p, {p} per ogni α < 1; S, per ogni α ≥ 1 3. Anche la nozione di
curva può essere data in uno spazio metrico, come una funzione da un intervallo H ⊆ a
R
S.
1 Qui si è data la nozione di sfera chiusa. Considerando nella condizione definitoria dell'insieme la relazione < si
ottiene la sfera aperta. Con = si ottiene la superficie sferica.
2 In questo caso la sfera aperta è l'intervallo ]p-α,p+α[ e la superficie sferica è data da {p-α,p+α}.
3 In questo caso le sfere aperte sono ancora due: {p} per ogni α ≤ 1 e S per α > 1, quindi c'è coincidenza tra sfere
aperte e chiuse, tranne nel caso α = 1. La superficie sferica è data da ∅ se α ≠ 1, e da S–{p} se α = 1.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Ad esempio il movimento può essere definito in ogni spazio metrico come l'azione che
"sposta" i punti. In modo più formale:
Definizione. Sia 〈S,ρ〉. Una funzione f: S → S si dice una trasformazione. Una trasformazione si dice isometria, se per ogni p,q∈S, si ha ρ(p,q) = ρ(f(p),f(q)) 1. Dato un
intervallo non vuoto H ⊆ , un movimento in S è una funzione M: H → SS tale cioè
che per ogni t∈H, M(t): S → S. Un movimento rigido è un movimento M tale che per
ogni t∈H, M(t) sia un'isometria.
R
Si noti che una isometria è una funzione iniettiva, cioè se p ≠ q, allora f(p) ≠ f(q), dato
che se p ≠ q, ρ(p,q) ≠ 0, di conseguenza anche ρ(f(p),f(q)) ≠ 0. Un esempio banale di
isometria è dato dall'identità I su S, dato che per ogni p,q∈S, ρ(p,q) = ρ(I(p),I(q)).
In base ad un semplice (ed importante) teorema di Teoria degli insiemi, la cui dimostraH
zione è lasciata al lettore, tra gli insiemi (SS) e (S(S×H)) esiste una corrispondenza biunivoca definibile in modo "naturale". Questo fa sì che si possa considerare un movimento come una famiglia parametrizzata da H, cioè considerando M come la funzione che associa ad ogni coppia ordinata 〈p,t〉∈(S×H) il "punto" M(t)(p)∈S.
Spesso invece di considerare una trasformazione (un movimento) dell'intero spazio
metrico in sé si considera la sua restrizione ad una figura, cioè un sottinsieme F ⊆ S 2 e si
parla allora di trasformazione di una figura o di movimento di una figura. Bisogna però
prestare attenzione alla ambiguità. Ad esempio considerando un triangolo equilatero e i
"movimenti" che lo lasciano invariato, talvolta ci si riferisce alle isometrie del piano che
lasciano invariato l'insieme dei punti del triangolo, ma non necessariamente i suoi punti,
talora i movimenti del solo triangolo che lasciano invariati i rimanenti punti del piano.
In verità nel concetto intuitivo di movimento c'è dentro una componente di continuità di
cui qui non si è detto nulla. In tale accezione intuitiva, H è un intervallo di tempo.
Lo studio delle trasformazioni del piano (e dello spazio) ha avuto grande sviluppo quando mediante il gruppo delle trasformazioni Klein ha dato nel 1872, col Programma di
Erlangen, una classificazione delle Geometrie e delle proprietà geometriche, fornendo una
risposta indiretta alla nozione di spazio, rendendola inseparabile da quella di movimento.
In particolare si può provare che le uniche isometrie del piano sono le traslazioni (in cui si
mutano rette in rette parallele), le rotazioni (che hanno un unico punto fisso), le simmetrie
(assiali o centrali in cui c'è un unico punto fisso, oppure una retta luogo di punti fissi, rispettivamente) e le glissosimmetrie (che risultano dalla composizione di una simmetria e
di una traslazione in direzione dell'asse di simmetria). Per ottenere tutti questi tipi di isometrie bastano le simmetrie assiali, opportunamente combinate.
1 Spesso, e anche qui nel seguito, per parlare di trasformazioni (di isometrie) si richiede che f sia una biezione.
2 La dizione più tradizionale di figura, in questo contesto generale può perdere di senso.
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Spesso si confonde una trasformazione con un movimento: ciò avviene perché invece di
pensare al processo, il movimento, si pensa al risultato "finale", la trasformazione. Anche
Mac Lane, dopo aver definito il movimento, parla di movimento completato, cioè se
l'intervallo H è dato da [t0,t1] prende per movimento la trasformazione M(t1), confondendo il movimento con lo spostamento.
Se quindi interessano solo le isometrie, si può osservare che essendo definite come
(biezioni) da S a S, esse sono sempre componibili e la loro composizione è ancora un'isometria. Infatti si ha per ogni p,q∈S, per ogni coppia di isometrie f,g: S → S,
ρ((f°g)(p),(f°g)(q)) = ρ(f(g(p)),f(g(q))) = ρ(g(p),g(q)) = ρ(p,q). Pertanto (f°g) è ancora
(una biezione e) un'isometria. Si ha di più: se f e (f°g) sono isometrie, anche g è un'isometria. Infatti siano p,q∈S, si ha ρ(p,g) = ρ((f°g)(p),(f°g)(q)) = ρ(f(g(p)),f(g(q))) =
ρ(g(p),g(q)).
Se invece di considerare una trasformazione come una funzione da S a S la si considera come qualcosa di ristretto a certe figure di S, non è detto che due trasformazioni siano
componibili.
Più interessante è la "composizione" che si ha considerando un movimento visto come
famiglia parametrizzata di trasformazioni. Dato un movimento M: H → SS, se s,t∈H e
(s+t)∈H, l'addizione in H induce una composizione, poiché, intuitivamente, il punto generico p della figura all'istante s+t, è nella posizione M(s+t)(p) che si ottiene considerando
la posizione M(s)(M(t)(p)), occupata del punto M(t)(p) quando ad esso si applica la trasformazione M(s), ove con M(t)(p) si denota la posizione occupata dal punto p trasformato con M(t). Pertanto M(s+t) = (M(s)°M(t)).
L'ipotesi spesso esplicitamente posta dalla letteratura è che una trasformazione la si
considera sempre biunivoca. Ma si consideri ad esempio lo spazio metrico 〈 ,|.-.|〉 sottospazio metrico di 〈 ,|.-.|〉 e si consideri la trasformazione di in sé definita da f: →
tale che per ogni n∈ , f(n) = (n+1). E' un'isometria perché si ha, per ogni n,m∈ , |m
N
R
N
N
N
N
N
- n| = |(m+1) - (n+1)| = |f(m) - f(n)|, ma non è una biezione (grazie ai postulati di
Peano). Questo esempio mostra che la richiesta che trasformazioni e isometrie (e di conseguenza movimenti rigidi) siano ottenuti considerando biezioni è una comoda semplificazione.
Se f è un'isometria ed è una biezione, essa ammette la funzione inversa f-1. Anche f-1 è
un'isometria dato che l'identità è un'isometria e (f°f-1) = I e vale quanto osservato sopra per
la composizione.
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1.6. Simmetria. La simmetria è presente in oggetti di origine naturale o artificiale ed è
facilmente riconoscibile. Le simmetrie possono essere di vario tipo, dipendendo anche dal
tipo di spazio in cui si considerano: quelle rispetto ad un piano ad esempio presenti nella
figura umana, non nel corpo umano che ha organi non simmetrici, quali il cuore o il fegato. Ci sono poi oggetti spaziali che hanno simmetrie rispetto ad assi; si pensi ad una pigna. Un esempio, il più perfetto di simmetria centrale è la sfera. Nel piano non ci sono le
simmetrie planari, solo quelle assiali e centrali. Nel paragrafo 1.3 si è a lungo trattato il
problema delle permutazioni e in qualche caso si è visto che le permutazioni potevano essere associate a isometrie di opportune figure poligonali.
Bisogna prestare attenzione ad un aspetto cognitivo importante: quando si è in presenza
di una simmetria, dato un punto (figura) si chiede di costruirne il simmetrico (la simmetrica), senza far osservare che il punto (figura) di partenza risulta il simmetrico (la simmetrica) di quello (quella) costruito. Ciò è importante perché giustifica il nome di proprietà
simmetrica dell'eguaglianza o, più in generale, di una relazione di equivalenza. Diversa, dal
punto di vista cognitivo, la constatazione dell'esistenza di una simmetria in una figura data,
basandosi proprio sul fatto della possibilità di scambiare tra loro vertici, lati e quant'altro.
La costruzione del simmetrico è di tipo procedurale, la constatazione di una simmetria è di
tipo concettuale, pur basandosi sulla regolarità visuale. C'è poi da notare che spesso alla
richiesta di disegnare una figura, bambini ed adulti sono più portati a rappresentare figure
con assi di simmetria. Tipici i triangoli (generici) che molto spesso sono raffigurati
isosceli. Non è quindi un caso che un famoso test psicologico clinico basato
sull'interpretazione di macchie di inchiostro (test di Hermann Rorschach (1884 - 1922)) si
basi su forme assai irregolari ma con assi di simmetria.
La simmetria è esprimibile in uno spazio metrico. Infatti utilizzando la nozione di intervallo in 〈S,ρ〉 introdotta nel paragrafo 1.5, dati p,q∈S distinti, si può affermare che p e q
sono simmetrici rispetto a r se r∈[p,q] e ρ(p,r) = ρ(r,q).
Dal punto di vista degli spazi metrici una simmetria è ottenuta come "atto finale" di un
movimento rigido. Si può quindi parlare di simmetria in questi termini, con la condizione
che la figura di "arrivo" coincida con quella di partenza, cioè una simmetria è ottenuta da
un movimento rigido di una figura F su se stessa. La composizione di una simmetria con
se stessa fornisce l'identità. Ciò viene affermato dicendo che le simmetrie sono involuzioni. Nel caso del gruppo trirettangolo trattato nel paragrafo 1.3, i movimenti associati
alle permutazioni considerate sono simmetrie ed anche l'identità si può considerare una
simmetria, data la banale proprietà involutoria. Il gruppo trirettangolo ha la proprietà che
presi due elementi diversi tra loro e dall'identità, la loro composizione è l'altra isometria
diversa dall'identità. In particolare il movimento del rettangolo associato alla permutazione
(1 2)(3 4) è una simmetria assiale con asse "orizzontale"; (1 4)(2 3) è una simmetria con
asse "verticale". La composizione delle due è (1 3)(2 4), che è ancora una simmetria, sta-
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volta centrale, avente per centro il punto d'incontro dei due assi considerati prima. Si è
visto nel paragrafo 1.3 che lo stesso gruppo si ottiene considerando le permutazioni che in
ambito sintattico lasciano invariato il polinomio
(x1 - x2)(x3 - x4).
Variando la figura e l'ambiente si ottengono altri gruppi di simmetrie, ad esempio le
simmetrie di un cubo o di un ottaedro. Nel caso piano si ottengono quelle del triangolo
equilatero, anche questo già visto nel paragrafo 1.3. Per esso ci sono 6 isometrie che lasciano fisso il triangolo. Di esse solo 3 sono simmetrie.
Un commento sul testo: Mac Lane usa il termine simmetria anche per altre isometrie,
come si vede dal fatto che afferma che la composizione di due simmetrie è ancora una
simmetria e ritiene simmetrie anche le traslazioni.
1.7. Gruppi di trasformazioni. Nei paragrafi precedenti, si è introdotto in molti modi,
ma sostanzialmente identici, il concetto di trasformazione come biezione di un insieme in
sé, quando tale insieme sia un insieme senza struttura, ad esempio {1,2,3,4} ottenendo
così le permutazioni su esso, oppure come isometria di una figura o come movimento nel
piano. Tutte queste situazioni hanno una caratteristica: è definita una composizione
rispetto alla quale c'è un elemento neutro, la biezione identica, ed ogni elemento, essendo
una biezione, ha elemento inverso. Mac Lane dà per scontato in tutti questi casi che la
composizione (funzionale) sia associativa.
Con tutte queste richieste si ottiene un gruppo. Quindi è assai notevole che partendo da
punti diversi si giunga alla formulazione di una stessa struttura matematica, il gruppo, che
quindi sembra sempre presente ed importante. Ed è questo un esempio di come l'esperienza matematica porti ad una definizione formale. E' poi importante riconoscere quando
le situazioni trattate sono "sostanzialmente" identiche, sia che si tratti di permutazioni o
movimenti rigidi o altro, perché i gruppi ottenuti sono gli "stessi".
Un esempio può chiarire il significato delle virgolette usate nel paragrafo precedente. Si
consideri un quadrato X. Si possono etichettare i suoi vertici, cioè considerare l'insieme Y
= {1,2,3,4} e una funzione f: Y → X che associa un numero a ciascun vertice del
quadrato. L'operazione di etichettare associa numeri diversi a vertici diversi, quindi si tratta
di una iniezione. Una volta assegnati i nomi ai vertici, ogni isometria T del quadrato X in
sé, manda vertici in vertici, vale a dire per ogni k∈Y, T(f(k)) è ancora un vertice di X. In
questo modo T induce una permutazione #T: Y → Y definita per ogni k∈Y, scegliendo
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C. Marchini
#T(k)
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
= h∈Y tale che f(h) = T(f(k)), vale a dire f(#T(k)) = T(f(k)). Per la genericità di k∈Y,
ciò significa richiedere che
(1)
(f°#T) = (T°f).
Questa relazione tra funzioni può essere ripresentata in termini di diagrammi e commutatività scrivendo:
#
(2)
T→
Y 
|
f|
∨
X →
T
Y
|
f
∨|
X
La commutatività di (2), espressa dalla (1), è la richiesta che procedendo dal vertice Y in
alto a sinistra fino al vertice X in basso a destra, prima in orizzontale (con #T) e poi in
verticale (con f), oppure prima in verticale (con f) e poi in orizzontale (con T) si ottenga lo
stesso risultato. Ma tale commutatività fa comprendere il ruolo di f come il paragone dell'azione di #T sull'insieme Y con l'azione di T sui vertici di X. E questo ruolo (cioè la
commutatività) è mantenuto qualunque isometria si consideri su X.
Questo esempio e molti altri di questo tipo suggeriscono una formalizzazione generale
dell'idea di paragone tra un gruppo di trasformazioni H su un insieme Y e un gruppo di
trasformazioni G su un insieme X. Dato che su uno stesso insieme sono possibili diversi
gruppi di trasformazioni, è bene indicare tale gruppo non col solo insieme né col solo
gruppo e denotarlo come una coppia ordinata.
Definizione. Un'applicazione di 〈H,Y〉 in 〈G,X〉 è costituita da una coppia di funzioni
〈#,f〉 in cui f: Y → X e una funzione #: G → H tale che il diagramma (2) commuti per
ogni T∈G.
Nel caso in cui f sia un'iniezione, come nel caso trattato prima delle isometrie di X, la (1)
permette di determinare # a partire solo da f, dato che se U,V∈H e (f°U) = (f°V), allora per
ogni y∈Y, (f°U)(y) = (f°V)(y) comporta che f(U(y)) = f(V(y)), da cui U(y) = V(y).
Se f è una biezione, non solo f determina univocamente #, ma si può descrivere esplicitamente # utilizzando f e f-1: X → Y. Infatti per ogni T∈G, dalla (1), componendo a
sinistra entrambi i membri della (1) con f-1, si ha (f-1°(f°#T)) = (f-1°(T°f)). Per la proprietà
associativa della composizione e dato che (f-1°f) = I e che l'identità (su Y) svolge il ruolo
di elemento neutro rispetto alla composizione, si ha
(3)
#T = (f-1
°T°f),
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
vale a dire, rimanendo nella metafora dei vertici e delle etichette, per trovare la permutazione sui numeri utilizzati per etichettare, basta eseguire l'isometria della figura geometrica
e poi risalire dai vertici ottenuti alle etichette.
Ma la (3) può essere interpretata in altro modo, come l'affermazione che l'insieme
{1,2,3,4} di quattro oggetti distinti, indicati qui con numeri, è l'esempio di ogni insieme
con quattro elementi e quindi che ogni permutazione su un arbitrario insieme di quattro
elementi può essere rappresentata come una permutazione sull'insieme {1,2,3,4}.
Ciò spiega anche il simbolo # usato qui. Se X e Y sono insiemi aventi la stessa cardinalità, allora esiste una biezione f: Y → X ed essa induce, mediante la (3) una corrispondenza biunivoca # tra i gruppi di trasformazioni di X e di Y (in ordine scambiato!).
La nozione di applicazione definita prima andrebbe meglio approfondita. Ad esempio
le due figure
ove X è il contorno del rettangolo e Y è costituito dalle linee che formano questa sorta di
"bilanciere" hanno le "stesse" isometrie, ma risulta difficile costruire una biezione f: Y
→ X anche perché il punto medio dell'asta del "bilanciere" rimane unito in ogni isometria di Y, mentre un tale punto fisso non c'è per le isometrie del contorno del rettangolo.
Per determinare che effettivamente le isometrie di queste figure costituiscono lo "stesso"
gruppo c'è bisogno di un termine di paragone, un gruppo, valido per entrambi. Ma questo
porta alla necessità di definire e provare proprietà formali relative ai gruppi in astratto.
1.8. Gruppi. Il fatto che le trasformazioni di un insieme in sé siano funzioni aventi
dominio e codominio coincidenti, permette di comporre tra loro due arbitrarie trasformazioni. Inoltre la proprietà associativa di tale composizione e l'esistenza di un elemento
"neutro" rispetto ad essa, cioè l'identità, permettono di definire una struttura algebrica che
ha un certo interesse: il monoide. Se però si aggiunge l'ipotesi che le trasformazioni siano
biezioni, accanto ad ogni trasformazione T si può considerare la trasformazione T-1. Ed è
ben noto che la composizione (qui non importa in che ordine) di T con T-1 fornisce l'identità.
Il fatto che le trasformazioni biettive siano state introdotte come "azioni" su un insieme,
i primi esempi sono relativi alle radici di polinomi, perde d'importanza. La struttura che ne
risulta è determinata essenzialmente dalle sole proprietà della composizione. Il passo
successivo è quindi quello di slegarsi dalla natura degli elementi considerati e vedere non
più gruppi di trasformazioni, ma solo gruppi. Questo passaggio, oggi apparentemente
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
banale, ha richiesto tempo, tanto che per i primi studiosi di algebra c'era quasi sempre il
problema di vedere se i gruppi ottenuti potevano essere riconosciuti come gruppi di trasformazioni. Ma vediamo la definizione astratta di gruppo.
Definizione. Un gruppo è una quaterna ordinata 〈G,e,-1,·〉 ove G è un insieme non
vuoto, e∈G, -1:G → G, ·: (G×G) → G sono tali che
(1)
∀x,y,z∈G (x·(y·z) = (x·y)·z)
(proprietà associativa)
(2)
∀x∈G (x·e = e·x = x)
(elemento neutro)
(3)
∀x∈G (x·x-1 = x-1·x = e)
(inverso).
Talvolta ci si riferisce ad un gruppo citando solo l'insieme G detto anche il sostegno
della struttura. Altre volte si dice che un gruppo è una coppia ordinata 〈G,·〉, indicando
solo l'operazione di "moltiplicazione", però specificando gli assiomi (2) e (3) in altra
forma introducendo esplicitamente la quantificazione:
(2’)
(3’)
∃x∈G ∀y∈G (x·y = y = y·x)
∀x∈G ∃y∈G ∀z∈G ((x·y)·z = z·(x·y) = (y·x)·z = z·(y·x) = z).
E' importante osservare che non avendo specificato nella presentazione del gruppo, l'elemento neutro e l'operazione di passaggio all'inverso o al reciproco, gli assiomi richiedono prefissi di quantificatori abbastanza complessi ed in particolare per l'elemento neutro
è previsto un primo quantificatore esistenziale seguito da un quantificatore universale,
mentre nell'assioma del passaggio all'inverso, il quantificatore esistenziale viene dopo il
quantificatore universale. Nella formulazione degli assiomi (1), (2) e (3) sono presenti
solo quantificatori universali. Se capita di fornire la definizione di gruppo affermando che
rispetto alla moltiplicazione esiste un elemento neutro e l'inverso, si commette un grave
errore perché le due affermazioni iniziano con l'esistenza, ma mentre la prima affermazione è corretta, la seconda no perché l'esistenza è condizionata: non esiste un elemento inverso che vada bene per ogni elemento del gruppo, affermazione del tipo ∃∀, bensì che
per ogni elemento esiste l'inverso, cioè ∀∃. Si noti poi che scrivere la (2’) e poi invece
della (3’) la
(3”)
∀x∈G ∃y∈G ((x·y) = e = (y·x)).
tale affermazione utilizza un simbolo, "e" non ancora introdotto: la (2’) afferma che c'è un
elemento neutro, ma, a questo punto non è detto che sia unico e che il simbolo usato per
denotarlo sia "e". Non si può "raddrizzare" la situazione scrivendo prima la (2’) nella
forma
∃e∈G ∀x∈G (x·e = e·x = x),
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
perché la quantificazione, sia essa universale o esistenziale, fa "sparire" il simbolo usato,
nel senso che
∃x∈
N (x = x·x);
∃y∈
N (y = y·y)
sono la "stessa" affermazione. Quindi l'uso del simbolo "e" sotto l'azione del quantificatore esistenziale non serve per "denominare" con e l'elemento neutro. Una strada per
evitare questi problemi è porre tra gli "ingredienti" della definizione di gruppo, come fatto
qui, l'elemento neutro e l'operazione (unaria) di passaggio all'inverso. C'è un'altra strada
che passa però attraverso alcuni semplici teoremi: gli assiomi (2’) e (3’) potrebbero essere
(apparentemente) rafforzati osservando che i quantificatori esistenziali presenti possono
essere sostituiti con quantificatori esistenziali unici, cioè
∃!x∈G ∀y∈G (x·y = y = y·x)
∀x∈G ∃!y∈G ∀z∈G ((x·y)·z = z·(x·y) = (y·x)·z = z·(y·x) = z).
Si prova infatti
Teorema. Se 〈G,·〉 è una struttura che soddisfa l'assioma (2), allora
∃!x∈G ∀y∈G (x·y = y = y·x).
Dimostrazione. Siano u,v∈G tali che ∀z∈G ((u·z) = z = (z·u)) e ∀y∈G ((v·y) = y =
(y·v)). Si ha in particolare (u·v) = v e (u·v) = u, quindi u = v. Ma ciò prova l'unicità dell'elemento soddisfacente la (2).
Sulla base della dimostrata unicità dell'elemento neutro, è possibile ora indicarlo con un
nome proprio: e. Si può ora riformulare la (3) in una forma analoga alla (3”) con il quantificatore esistenziale unico:
Teorema. Se 〈G,·〉 è una struttura che soddisfa gli assiomi (1), (2) e (3), allora
∀x∈G ∃!y∈G ((x·y) = e = (y·x))
Dimostrazione. Si consideri un generico x∈G. Per l'assioma (3) esiste un y∈G tale che
per ogni z∈G si ha ((x·y)·z) = z = (z·(y·x)). In particolare ciò avviene per z = e, l'elemento neutro unico, sulla base del teorema precedente, quindi con questa scelta, ((x·y)·e)
= e = (e·(x·y)). Ma ((x·y)·e) = (x·y) = (e·(x·y)) = e. Si ha pertanto (x·y) = e.
Sfruttando quanto affermato nell'assioma (3) si giunge in modo analogo a provare che
(y·x) = e. Ora se t∈G è tale che (x·t) = e = (t·x), si ha t = (e·t) = ((y·x)·t) = (y·(x·t)) =
(y·e) = y. Con ciò si è provata l'unicità.
Sono questi risultati di unicità che permettono di presentare la nozione di gruppo assegnando solo la moltiplicazione e specificando (opportunamente!) gli assiomi. Mi sembra
però, almeno dal punto di vista didattico, più utile indicare da subito le operazioni, anche
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
per non dovere poi "trattare" con alternanze di quantificatori 1. Gli assiomi di gruppo, in
qualunque forma vengano considerati, hanno alcune semplici conseguenze. Ad esempio:
(s·t)-1 = (t-1·s-1); (e-1) = e; ((s-1)-1) = s e la legge di cancellazione: se (s·t) = (s·z),
allora t = z. Quest'ultima viene utilizzata nel teorema seguente.
Si noti inoltre che spesso, in base ad una consuetudine ricavata dal calcolo letterale, di
solito non si indica il simbolo "·" per l'operazione di moltiplicazione, preferendo la giustapposizione.
Un importante risultato, come già accennato in precedenza, è il Teorema di Cayley. Esso
si basa su una semplice osservazione:
Teorema. Sia 〈G,e,-1,·〉 un gruppo. Per ogni x∈G, sia Cx: G → G la funzione definita per ogni y∈G ponendo Cx(y) = (x·y); tale funzione è una biezione.
Dimostrazione. Si lascia provare al lettore che per ogni x∈G, C x è una funzione. Si
prova che Cx è un'iniezione osservando che per ogni y,z∈G se Cx(y) = Cx(z), cioè se
(x·y) = (x·z), moltiplicando a sinistra per x-1 entrambi i membri dell'eguaglianza e sfruttando gli assiomi (1), (2) e (3), si ha y = (e·y) = ((x-1·x)·y) = (x-1·(x·y)) = (x-1·(x·z))
= ((x-1·x)·z) = (e·z) = z. Si ha poi y = (e·y) = ((x·x-1)·y) = (x·(x-1·y)) = Cx(x-1·y),
quindi ogni elemento di G può ottenersi come risultato di Cx su un opportuno elemento.
Con ciò si conclude che Cx: G → G è una biezione.
Si può dire, in base al teorema precedente, che per ogni x, Cx è una trasformazione di
G. In particolare la trasformazione indotta da e, Ce è l'identità I su G, per l'assioma (2). Il
Teorema di Cayley afferma che C permette di "paragonare" il gruppo G con un gruppo di
trasformazioni 〈S,G〉 sull'insieme G, quindi ogni gruppo "è" un gruppo di trasformazioni. In termini più tecnici
Teorema di Cayley. Sia 〈G,e,-1,·〉 un gruppo e sia 〈S,G〉 l'insieme di tutte le trasformazioni biunivoche sull'insieme G. Allora C: 〈G,e,-1,·〉 → S che associa ad ogni
x∈G, Cx: G → G è una iniezione inoltre tale che Ce = I, per ogni x,y∈G, C(x·y) =
(Cx°Cy) e C(x-1) = (Cx)-1.
Dimostrazione. Il teorema è di facile dimostrazione, gran parte conseguenza di quanto
provato prima. La parte più interessante è fare vedere che C è iniettiva: se x,y∈G sono
tali che Cx = Cy, allora per ogni z∈G, Cx(z) = Cy(z). In particolare x = (x·e) = Cx(e)
= Cy(e) = (y·e) = y. Le restanti eguaglianze seguono banalmente dalla definizione di C.
1 Si può essere anche più "raffinati" e non chiedere che l'elemento neutro sia contemporaneamente neutro a sinistra e a destra, basta una sola parte. Analogamente per l'operazione di passaggio all'inverso. C'è poi un modo
"genetico" di introdurre la definizione. Cioè si può dare subito la coppia 〈G,·〉, richiedendo gli assiomi (1) e (2),
poi provare l'unicità dell'elemento neutro. Dopo ciò introdurre l'operazione di passaggio all'inverso, aggiungendo (3”). Questo è il modo di introdurre gli assiomi utilizzato anche da Euclide. Nella moderna presentazione
delle strutture algebriche si preferisce però assegnare tutta la struttura in un'unica definizione. E' quindi preferibile scindere gli aspetti definitori da quelli dimostrativi.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
L'introduzione del concetto di gruppo non è motivata solo dalla considerazione dei
gruppi di trasformazioni. Ad esempio 〈 *,1,-1,·〉 o 〈 +,1,-1,·〉 o ancora 〈 *,1,-1,·〉 sono
Q
R
C
gruppi che vengono naturalmente considerati nell'ambito della Teoria dei numeri.
Talvolta l'operazione binaria che viene considerata è l'addizione. In questo caso invece di
inverso o reciproco si parla di opposto e l'elemento neutro viene indicato con 0, chiamato
zero. Altri esempi sono dati dall'insieme dei due simboli {P,D} con le operazioni definite
come dalle seguenti tabelle:
^
P
D
D
D
P
P
D
P
P
D
*
P
D
oppure dagli elementi presenti su un orologio ordinario (ponendo 12 = e) con l'addizione
delle "ore". Gli esempi qui considerati sono tutti di gruppi in cui l'operazione binaria è
commutativa. Si introduce la seguente
Definizione. Sia 〈G,e,-1,·〉 un gruppo. Si dice che il gruppo è abeliano o commutativo,
se vale la seguente
(4)
∀x,y∈G ((x·y) = (y·x))
(proprietà commutativa)
1.
Si sono però già incontrati esempi di gruppi di trasformazioni, ad esempio D3, non
abeliani.
Lo studio dei gruppi e delle loro proprietà è uno degli argomenti di ricerca matematica
più studiati oggi grazie alle numerose applicazioni che tali strutture hanno anche nella
stessa Matematica. Sono strumenti principali di questo studio le nozioni di sottogruppo e
di omomorfismo di gruppi.
Definizione. Sia 〈G,e,-1,·〉 un gruppo e sia H ⊆ G. Si dice (impropriamente) che H è un
sottogruppo di G, e si scrive H G, se e∈H, la restrizione di -1 a H ha immagine in H e
la restrizione di · a (H×H) ha immagine in H. In altri termini se per ogni x,y∈H ,
(x-1)∈H e (x·y)∈H.
9
9
Un semplice criterio per mostrare che se H ⊆ G, si ha H G è mostrare che H ≠ ∅ e
per ogni x,y∈H, (x·y-1)∈H. Infatti di qui si ottiene che esiste h∈H, dato che H non è
vuoto, che e = (h·h-1)∈H; per ogni x∈H, x-1 = (e·x-1)∈H e per ogni x,y∈H, (x·y)∈H,
dato che (y -1 )∈ H e x·y = (x·(y-1 ) -1 )∈ H. Con queste condizioni si ha che un
sottogruppo di un gruppo è esso stesso un gruppo con le "restrizioni" delle operazioni.
1 Se si formula l'assioma della proprietà commutativa assieme agli assiomi (1), (2) e (3), gli ultimi due possono
essere scritti in modo più semplice, chiedendo una sola delle eguaglianze indicate entro le parentesi.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Definizione. Se 〈G,e, -1,·〉 un gruppo finito, si dice ordine del gruppo la cardinalità
dell'insieme G.
Si prova, ed è noto col nome di Teorema di Lagrange, dal nome del matematico torinese
Giuseppe Luigi Lagrange (1736 - 1813), l'affermazione che l'ordine di un sottogruppo è
un divisore dell'ordine del gruppo. Ciò spiega come mai i sottogruppi del gruppo simmetrico delle permutazioni su quattro elementi S4, che ha ordine 24, abbiano per ordine
divisori di 24.
Non c'è però da aspettarsi che solo alcuni sottinsiemi siano sostegno di un gruppo, dato
che per ogni numero naturale n∈ * c'è sempre un gruppo (abeliano) che ha ordine n, il
N
gruppo ciclico di ordine n, che può esser visto come gruppo di trasformazioni ottenuto
considerando un poligono regolare di n lati, il centro della circonferenza circoscritta al poligono e le rotazioni di centro tale punto che lasciano invariato il poligono. Si tratta di un
2π
gruppo abeliano e in esso la rotazione antioraria R di ampiezza n è tale che ripetuta n
volte fornisce l'identità I (l'elemento neutro) e il passaggio all'inverso, dato dalla rotazione
in senso orario. Si può presentare tale gruppo anche in altro modo, considerando n, le
classi di resto modulo n, cioè i possibili resti della divisione per n, strutturate con l'elemento neutro dato da 0, il passaggio all'opposto dato dal complemento a n, cioè l'opposto
di p è n - p, e l'operazione binaria data dal resto che si ottiene dividendo rispetto a n l'addizione dei due numeri. Per chiarire si mostrano le tavole delle operazioni di 8 e le si
confrontino con le tavole pitagoriche del sistema ottale di numerazione viste nel paragrafo
1.1.
Z
Z
- 0
7
6
5
4
3
2
1
7
7
0
1
2
3
4
5
6
0
1
2
3
4
5
6
7
6
6
7
0
1
2
3
4
5
5
5
6
7
0
1
2
3
4
4
4
5
6
7
0
1
2
3
3
3
4
5
6
7
0
1
2
2
2
3
4
5
6
7
0
1
1
1
2
3
4
5
6
7
0
0
0
1
2
3
4
5
6
7
+
0
1
2
3
4
5
6
7
Dati due gruppi 〈G,e,-1,·〉 e 〈H,u,^,*〉, si può costruire un nuovo gruppo, detto gruppo
prodotto dei due gruppi dati, che ha come sostegno l'insieme (G×H) e le operazioni sono
definite per componenti, vale a dire si considera il gruppo 〈(G×H),〈e,u〉,°,⊗〉, ove 〈e,u〉 è
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
l'elemento neutro e per ogni 〈x,y〉,〈v,z〉∈(G×H) si pone 〈x,y〉° = 〈x-1,y^〉; 〈x,y〉⊗〈v,z〉
= 〈x·v,y*z〉.
Se 〈G,e,-1,·〉 e 〈H,u,^,*〉 sono gruppi abeliani, allora il loro (gruppo) prodotto è ancora
abeliano. Questa costruzione del gruppo prodotto è fondamentale in quanto per i gruppi
abeliani finiti vale il seguente
Teorema di struttura per gruppi abeliani. Sia 〈G,0,-,+〉 un gruppo abeliano finito di
ordine m. Esistono numeri naturali non nulli k, n1, n2, …, nk tali che n1 è multiplo di n2
che è un multiplo di … che è un multiplo di n k tali che n 1 ·n 2 ·…·n k = m e G =
n1× n2× … × nk.
Z Z
Z
Questo risultato ha numerose applicazioni e la sua esigenza si è manifestata in Matematica come "punto di convergenza" di diverse teorie: nella Teoria dei numeri esso è collegato al gruppo moltiplicativo delle classi di resto modulo m di numeri che sono relativamente primi con m; in topologia il risultato sorge spontaneo dai gruppi di omologia dei complessi finiti descritti mediante i numeri di Betti, dal nome del matematico Enrico Betti
(1823 - 1892), e i coefficienti di torsione. Data l'importanza è anche assai interessante
vedere quali sono le "giuste" generalizzazioni di tale risultato (un teorema sui moduli finitamente generati a coefficienti in un anello a ideali principali). Il teorema ha portato in evidenza altri concetti "addizionali", ad esempio la nozione di prodotto diretto di gruppi e le
sue eventuali generalizzazioni al prodotto di altri tipi di strutture (anelli, spazi) e alla fine al
prodotto di oggetti nell'ambito della Teoria delle categorie.
Per i gruppi non commutativi non c'è un teorema di struttura così semplice. Per esempio
il gruppo simmetrico S3 di tutte le permutazioni su tre elementi ha ordine 6 ma non è
ciclico (non è neppure commutativo) e quindi non è il prodotto di due gruppi ciclici, uno
di ordine 2 ed uno di ordine 3. Vi sono però risultati più complessi ed anche profondi
sulla struttura di tali gruppi.
Ci sarebbe da chiedersi come mai assiomi, tutto sommato semplici, portino a risultati
così complessi e di vasta applicazione.
Un altro strumento per lo studio dei gruppi è la possibilità di paragonarli tra loro. Ad
esempio si è visto che nel caso dei gruppi di trasformazione 〈H,Y〉 e 〈G,X〉, qualora sia
data una biezione f: Y → X, si ottiene una funzione #: G → H che per ogni T∈G è
definita da #T = (f-1°(T°f)). Le proprietà di questa funzione # legata all'identità (di X, elemento neutro del gruppo G), alla composizione e alla inversione (funzionale) in G si ricavano facilmente: #I = (f-1°(I°f)) = (f-1°f) = I (stavolta però identità di Y, elemento neutro del
gruppo H), #(S°T) = (f-1°((S°T)°f)) = ((f-1°(S°f))°(f-1°(T°f)) = (#S°#T). Infine dato che la
composizione di biezioni è una biezione e che l'inversa di una composizione di biezioni è
la composizione, in senso scambiato, delle inverse delle biezioni composte, si ha
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
#(T-1)
= (f-1°(T-1°f)) = (f-1°(T-1°(f-1)-1)) = (f-1°(T°f))-1 = (#T)-1.
Queste considerazioni sono state svolte relativamente ad un gruppo di trasformazioni,
quindi un gruppo i cui elementi sono biezioni, in cui l'operazione binaria è la composizione funzionale, l'elemento neutro è la identità e il passaggio all'inverso è data dall'inversione funzionale. La situazione è generalizzabile.
Definizione. Siano 〈G,e,-1,·〉 e 〈H,u,^,*〉 gruppi. Un omomorfismo di gruppi, denotato
con ϕ: 〈G,e,-1,·〉 → 〈H,u,^,*〉 è una funzione ϕ: G → H tale che
ϕ(e) = u;
∀x∈G(ϕ(x-1) = ϕ(x)^);
∀x,y∈G(ϕ(x·y) = ϕ(x)*ϕ(y)).
Se ϕ è una biezione è detta un isomorfismo di gruppi.
Si osservi che le condizioni poste sono sovrabbondanti. In effetti per avere un omomorfismo di gruppi basta l'ultima condizione scritta. Infatti se ϕ: G → H soddisfa l'ultima
richiesta, allora per ogni x∈G, si ha ϕ(x) = ϕ(x·e) = (ϕ(x)*ϕ(e)). Per cancellazione, cioè
moltiplicando a sinistra per ϕ(x)^ entrambi i membri dell'eguaglianza, si ha u =
(ϕ(x)^*ϕ(x)) = ((ϕ(x)^*ϕ(x))*ϕ(e)) = (u*ϕ(e)) = ϕ(e), quindi ϕ(e) = u. Inoltre per ogni
x∈G, (ϕ(x)*ϕ(x-1)) = ϕ(x·x-1) = u = ϕ(e) = (ϕ(x)*ϕ(x)^) e quindi, per cancellazione,
ϕ(x-1) = ϕ(x)^.
Con la nozione di isomorfismo si può spiegare l'intuizione su cui ci si è soffermati
prima, vale a dire in che senso due gruppi di trasformazioni, pur partendo da situazioni
diverse, siano lo "stesso" gruppo. Così la funzione # usata in precedenza è un omomorfismo, anzi un isomorfismo, dato che se S,T∈G e sono tali che #S = #T, allora (f-1°(S°f)) =
(f -1 ° (T ° f)), da cui componendo a sinistra con f e a destra con f -1 , si ottiene S =
((f°f-1)°(S°(f°f-1))) = ((f°f-1)°(T°(f°f-1))) = T. Quindi # è una iniezione, inoltre per ogni
K∈H, (f°(K°f-1)): G → G e #(f°(K°f-1)) = ((f-1°f)°(K°(f-1°f))) = K e pertanto # è una
biezione, perciò # è un isomorfismo di gruppi.
L'enunciato del Teorema di Cayley richiede che la funzione C sia un omomorfismo.
Un isomorfismo ben noto nella scuola è dato dal logaritmo, ad esempio in base 10 (in
realtà in qualsiasi base). La relazione fondamentale per i logaritmi è data da
Log(xy) = (Log x + Log y),
che esprime il fatto che il logaritmo è un omomorfismo, anzi un isomorfismo dal gruppo
〈 +,1,-1,·〉 al gruppo 〈 ,0,-,+〉. Di conseguenza Log 1 = 0, Log(x-1) = -Log x. Anzi si
può far vedere che per ogni α∈ + esiste un unico isomorfismo f tra i gruppi considerati
tale che f(α) = 1.
R
R
R
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Altri esempi di omomorfismi abbastanza familiari nella scuola sono dati dal valore assoluto | . |: 〈 *,1, -1 ,·〉 → 〈 + ,1, -1 ,·〉, dal determinante det: 〈Ω n ,∆ n ,-1 ,·〉 →
〈 *,1,-1,·〉 in cui il dominio di det, Ωn, è l'insieme delle matrici invertibili di ordine n. La
R
R
R
natura di omomorfismo del determinante è garantita dal Teorema di Binet, dal nome del
matematico francese Jacques-Philippe-Marie Binet (1786 - 1856).
Gli esempi portati sopra per chiarire i motivi dell'introduzione del concetto di gruppo
mostrano come vengano generate alcune idee informali e come esse giungano ad essere
formalizzate mediante generalizzazione ed astrazione. Lo studio dei movimenti, delle isometrie di figure e di permutazioni suggeriscono l'idea di composizione. Una formalizzazione di questa idea è data dai gruppi di trasformazioni, altre generalizzazioni saranno
mostrate in seguito. La nozione di gruppo di trasformazioni generalizza una varietà di
esempi in maniera tale da aiutare la comprensione delle proprietà comuni e il confronto tra
diversi esempi. Ma ciò mette in rilievo che alcune delle più importanti proprietà non coinvolgono la composizione funzionale di trasformazioni, ma solo la composizione; inoltre
questo comportamento della composizione è simile a quello dell'addizione o alla moltiplicazione di numeri. Mediante astrazione ciò porta alla nozione più astratta di gruppo ed allo
studio approfondito di tali gruppi.
In questa presentazione si arguisce implicitamente che la nozione di gruppo venga
prima in senso di organizzazione e di importanza, di altre idee matematiche. Storicamente
però non è avvenuto così. La Geometria, ad esempio, è stata trattata prima come sistema
ipotetico-deduttivo e dopo circa 2000 anni si è evoluto l'approccio alle proprietà geometriche mediante i gruppi di trasformazioni. La classificazione dei cristalli e delle loro simmetrie non è stata sviluppata fino al XIX secolo. I primi gruppi esplicitamente individuati
come enti matematici ben precisi sono stati i gruppi di permutazioni (Lagrange, Paolo
Ruffini (1765 - 1822), Niels Abel (1802 - 1829)). La prima nozione esplicita di gruppo
compare nel 1832 ad opera di Evariste Galois (1811 - 1832), che usò gli omomorfismi
(cioè i sottogruppi normali) per trovare in quali casi equazioni algebriche a coefficienti
reali sono risolubili per radicali, dando origine alla Teoria di Galois. L'eredità di Galois
però impiegò tempo per essere compresa, anche per la politica di ostruzione praticata da
Cauchy; egli cercava di risolvere con altre tecniche il problema già risolto da Galois e
cercò di tardare la pubblicazione delle lettere di Galois. Per il resto del XIX secolo i gruppi
(descritti spesso con definizioni confuse) sono stati quasi sempre gruppi di trasformazioni. Nel 1852 Cayley presenta la nozione astratta di gruppo, avendo ben poca
attenzione dal mondo scientifico. Nel 1870 Camille Jordan (1838 - 1922) pubblica il
Traité des substitutions in cui vengono studiati i gruppi di trasformazioni. Nel 1871 Cayley ripresenta la definizione di gruppo e "trova" 3 gruppi di ordine 6, non accorgendosi
dell'isomorfismo tra 6 e ( 2 × 3 ). La monografia "definitiva" è Theory of Finite
Z
Z Z
Groups di William Burnside (1852 - 1927), pubblicato nel 1905, in cui l'autore usa i
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
gruppi astratti, ma li chiama ancora "gruppi di sostituzioni". Per altri storici, il primo
trattato sui gruppi astratti è del 1895 di Heinrich Weber (1842 - 1913). Solo il XX secolo
riconosce completamente l'utilità della nozione e di una descrizione assiomatica del
concetto come strumento per ben comprendere una varietà di esempi.
Gli assiomi di gruppo forniscono poi una sorta di "canovaccio" per altre strutture algebriche. Ad esempio invece di stabilire un assioma del tipo: "esiste in G un elemento e tale
che per ogni t di G si abbia (t·e) = t", è meglio, come detto anche sopra, specificare il
gruppo introducendo subito e, anche per evitare problemi di impredicatività. Lo stesso per
il passaggio all'inverso. Si ha quindi il gruppo assegnando un elemento e∈G, una
funzione -1 : G → G (un'operazione unaria) ed una funzione ·: (G×G) → G
(un'operazione binaria), chiedendo su essi poi opportuni assiomi. Se si vuole evitare la
"disomogeneità" presentata dall'assegnazione di un elemento, invece che di una funzione
come sono la moltiplicazione e il passaggio all'inverso, si può pensare all'elemento e come
una funzione e: {•} → G (un'operazione zero-aria), ove con {•} si è indicato un generico
singoletto.
Con questo approccio si possono vedere le "operazioni" come funzioni che hanno per
dominio potenze cartesiane di G ({•} = G0, G = G1, (G×G) = G2) e codominio G. Gli
assiomi, scritti con l'ausilio delle proiezioni e dell'identità e di !, l'unica funzione da G a {•},
divengono
(·°〈π1,(·°〈π2,π3〉)〉) = (·°〈(·°〈π1,π2〉),π3〉)
(proprietà associativa);
(·°〈(e°!),I〉) = (·°〈I,(e°!)〉) = I
(elemento neutro);
(·°〈I,-1〉) = (·°〈-1,I〉) = (e°!)
(inverso).
Come si vede in questa presentazione sono "scomparsi" gli elementi di G, le quantificazioni e le variabili cui si applicano le quantificazioni. Sono rimaste solo composizioni di
funzioni e le eguaglianze tra esse si possono esprimere con la commutatività dei seguenti
diagrammi di insiemi e funzioni 1:
1 Le proiezioni dal prodotto cartesiano ai fattori sono quelle funzioni che individuano le coordinate. Ad esempio
π2(〈a,b,c〉) = b. Si usa poi il simbolo di "coppia" ordinata anche per le funzioni. Ma date le funzioni f: C → A
e g: C → B, la funzione 〈f,g〉: C → (A×B) è tale che per ogni c∈C, 〈f,g〉(c) = 〈f(c),g(c)〉. Nei diagrammi
presentati si sfrutta il fatto che (G×(G×G)) = G3 = ((G×G)×G). Di tale "associatività" del prodotto cartesiano si
parla nel paragrafo 1.1. Ne discende la "associatività" della coppia ordinata di funzioni: 〈〈f,g〉,h〉 = 〈f,g,h〉 =
〈f,〈g,h〉〉.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Questo "canovaccio" si "replica" anche per gli assiomi relativi all'addizione ed alla
moltiplicazione di un anello, ma anche nel caso di spazi vettoriali, reticoli, ecc.
Con questa presentazione funzionale dei gruppi, anche la nozione di isomorfismo si
può esprimere in termini funzionali e di diagrammi: ϕ: 〈G,e,-1,·〉 → 〈H,u,^,*〉 se e solo
se (ϕ°e) = u; (ϕ°-1) = (^°ϕ) e (ϕ°·) = (*°〈(ϕ°π1),(ϕ°π2)〉), vale a dire la commutatività dei
seguenti diagrammi:
Di questi tre diagrammi, il terzo è sufficiente ad esprimere la nozione di omomorfismo,
come osservato sopra utilizzando gli elementi.
I gruppi sono stati generalizzati in vario modo. Ci sono ad esempio generalizzazioni ottenute togliendo assiomi: i semigruppi, in cui si chiede solo l'operazione binaria associativa, i monoidi, in cui si richiede l'operazione binaria associativa e l'elemento neutro. Non si
tratta però solo di un gioco formale, in quanto si incontrano i semigruppi ad esempio nelle
macchine a stati finiti, nella composizione delle operazioni in analisi funzionale. I monoidi
vengono utilizzati in logica considerando scritture formali. Togliendo assiomi però si
perde ricchezza di struttura. Questa tecnica di generalizzazione per cancellazione di
assiomi è molto usata in Algebra.
Un altro tipo di generalizzazione è offerto dallo studio delle strutture algebriche generali, date da un insieme, non vuoto, assieme ad operazioni, ciascuna con la sua arietà e soddisfacenti opportuni assiomi esprimibili come operazioni composte. L'Algebra Universale
ha come oggetto di studio tali strutture e le loro proprietà generali. Vengono introdotte e
studiate le algebre universali a più sorte, cioè strutture in cui sono coinvolti più insiemi;
un esempio di algebra a più sorte è dato dagli spazi vettoriali in cui intervengono l'insieme
dei vettori e il campo degli scalari. Altro esempio è dato dai gruppi di trasformazioni, come
presentati precedentemente: un insieme ed un gruppo di trasformazioni su di esso. Più
recentemente le algebre a più sorte hanno trovato ampie applicazioni in Informatica come
generalizzazione delle strutture di dati.
1.9. Algebre di Boole. Un altro esempio di struttura algebrica, diverso da quello di
gruppo è offerto dalla Algebra di Boole. Il nome non è storicamente appropriato in quanto
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
George Boole (1815 - 1864) introdusse una struttura di anello 1, noto oggi col nome di
Anello di Boole. Per presentare il concetto di Algebra di Boole, si consideri un insieme X.
Le operazioni insiemistiche elementari definite tra sottinsiemi di X sono date dalla unione
e dalla intersezione, operazioni tra l'altro già utilizzate nel paragrafo 1.1 per introdurre le
operazioni sui numeri naturali nell'approccio cardinale. Accanto a queste operazioni è
possibile considerarne altre. La scelta di queste può essere dettata da motivi di carattere
logico. Anche le operazioni di intersezione ed unione hanno una evidente controparte logica, rispettivamente, nei connettivi di congiunzione e disgiunzione. Si possono infatti
esprimere l'intersezione e l'unione di due insiemi mediante proprietà caratteristiche scrivendo per un generico elemento x,
(1) Intersezione
(2) Unione
x∈(S∩T)
x∈(S∪T)
sse
sse
(x∈S ∧ x∈T);
(x∈S ∨ x∈T);
Accanto a queste operazioni binarie si può considerare l'operazione unaria di complementazione (rispetto al fissato insieme X) dato l'insieme S ⊆ X, considerare CS = X - S. Ad
essa è "associato" il connettivo di negazione. Trascurando il fatto che tutti gli elementi di
cui si parla sono elementi di X, si può scrivere
Complementazione
x∈ C S
sse
¬(x∈S) (oppure x∉S).
Oltre a questa operazione unaria si può definire un'operazione binaria suggerita da considerazioni di carattere puramente logico, l'operazione corrispondente al connettivo di implicazione. Questa non viene solitamente trattata nelle presentazioni "intuitive" delle operazioni insiemistiche. Il simbolo usato da Mac Lane per denotarla è ⇒. Il nome di tale
operazione proposto da Helena Rasiowa e Roman Sikorski è pseudocomplementazione.
Pseudocomplementazione
x∈(S⇒T)
sse
(x∈S → x∈T).
Si può esprimere (in ambito di logica classica) la pseudocomplementazione ponendo
Pseudocomplementazione
x∈(S⇒T)
sse
(¬(x∈S) ∨ x∈T).
Si possono rappresentare tali operazioni mediante i cosiddetti diagrammi di EuleroVenn, dal nome del matematico Leonardo Euler (1707 - 1783), latinizzato in Eulero, che
usò tali diagrammi per spiegare il sillogismo categoriale di Aristotele e tali diagrammi
furono poi ripresi, in tempi più recenti, da John Venn (1834 - 1923).
1 Infatti egli privilegia le operazioni di intersezione, chiamata prodotto logico, e di disgiunzione esclusiva,
chiamata somma logica.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Le operazioni insiemistiche introdotte sono di fatto operazioni sull'insieme P(X), dei
sottinsiemi di X; esse soddisfano proprietà "banali" che possono essere assunte come assiomi per la struttura astratta di Algebra di Boole. In tal modo P(X) diviene (il sostegno)
di un'algebra di Boole.
Le operazioni di unione ed intersezione si possono generalizzare ad operazioni (omonime) su famiglie infinite di insiemi. Così se Sk è un sottinsieme di X per ogni k∈K, ove K
è un insieme di "indici", l'unione e l'intersezione degli elementi della famiglia, generalizzando (1) e (2) sono caratterizzate, rispettivamente, dalle proprietà:
( ∩ S k)
x∈( ∪ Sk)
x∈
k∈K
k∈K
sse
∀h∈K(x∈Sh);
sse
∃h∈K(x∈Sh).
Queste operazioni di intersezione ed unione corrispondono, rispettivamente ai quantificatori universale ed esistenziale.
Le Algebre di Boole forniscono un modo matematico di rappresentare "proprietà", associando ad ogni proprietà ϕ degli elementi dell'insieme X il sottinsieme di X costituito da
tutti e soli gli enti che soddisfano la proprietà ϕ. Così, ad esempio, con ϕ(x) si vuole indicare il fatto che x ha la proprietà ϕ o che soddisfa la proprietà ϕ, o ancora, che gode
della proprietà ϕ. Con S = {x | x∈X ∧ ϕ(x)} si indica l'insieme di tutti e soli gli enti che
sono elementi di X e soddisfano la proprietà.
Attenzione, quando si dice che S è l'insieme di tutti gli enti che appartengono a X e
soddisfano la proprietà ϕ significa che se (y∈X ∧ ϕ(y)), allora y deve appartenere a S,
dato che y è uno di tali enti. Dal fatto che z∈S, essendo gli elementi di S solo quelli che
appartengono a X e godono della proprietà ϕ, e niente altro, si ha (z∈X ∧ ϕ(z)).
Dicendo, come viene fatto di solito, che S è l'insieme degli x tali che …, questi aspetti
non vengono messi in luce. Ciò può provocare difficoltà negli studenti. È bene farli notare
con apposite considerazioni ed esempi.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
L'insieme S viene anche detto l'estensione della proprietà ϕ, relativamente a X; per
contro la proprietà ϕ viene detta una intensione di S, per mettere in luce che si possono
formulare proprietà diverse (intensioni diverse) aventi la stessa estensione.
La Matematica oggi tradizionale, da Cantor in poi, è quella che studia le estensioni,
piuttosto che le intensioni ed i significati. In realtà la dialettica tra intensione ed estensione
è ben presente anche nell'insegnamento.
Dall'approccio estensionale deriva l'assioma di estensionalità, cioè che un insieme è
determinato dai suoi elementi, oppure, detto in altro modo, che due insiemi sono eguali se
e solo se hanno gli stessi elementi. In simboli e relativamente a sottinsiemi di X,
S=T
sse ∀x∈X(x∈S ↔ x∈T);
mentre l'inclusione viene definita da
S⊆T
sse ∀x∈X(x∈S → x∈T) 1.
Può stupire la relativizzazione dei quantificatori a X. La scelta che Mac Lane fa è motivata sia dal contesto, Algebre di Boole di sottinsiemi di un insieme, sia dal fatto che la richiesta che ogni proprietà abbia un'estensione porta al paradosso di Russell, se non si
impongono limitazioni.
L'inclusione è transitiva, riflessiva e antisimmetrica, quindi è una relazione d'ordine su
P(X). Non si tratta però di una relazione d'ordine lineare, cioè presi due elementi (sottinsiemi di X), S e T, non è detto che per essi valga la tricotomia, cioè che S ⊆ T oppure T ⊆
S. Un insieme in cui è definita una relazione riflessiva, antisimmetrica e transitiva vien
detto insieme parzialmente ordinato, o con termine tratto dalla letteratura inglese, poset.
In molti casi matematicamente interessanti, si incontrano insiemi parzialmente ordinati,
tuttavia spesso nelle applicazioni della Matematica c'è una forte tendenza ad ordinare in
modo lineare, ad esempio in accordo ad una qualche misura numerica. È il caso, ad
esempio dei quozienti di intelligenza, delle valutazioni scolastiche, ecc. In queste applicazioni le nozioni di ordine parziale non sembra trovino spazio.
La relazione di inclusione può essere rappresentata in maniera suggestiva mediante diagrammi (detti talora diagrammi di Hasse, dal nome del matematico H. Hasse (1898 1979)). Per mostrare come essi vengono costruiti si rappresenta il diagramma di Hasse di
P({a,b,c}) = {∅, {a}, {b}, {c}, {a,b}, {a,c}, {b,c}, {a,b,c}}:
1 Sul testo di Mac Lane, l'inclusione viene denotata con il simbolo ⊂ , che in questi appunti assume il
significato di inclusione tra insiemi diversi.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Fig. 1.
In questo diagramma c'è un elemento più in basso, ∅, ed uno più in alto, {a,b,c}. Poi,
{a}, {b} e {c} sono gli elementi appena sopra ∅, e per questo detti atomi. Inoltre {a,b} si
trova "sopra" {a} e {b}, anzi è il "nodo" più basso "sopra" tali insiemi. In questo modo si
visualizza l'operazione di unione (tra i sottinsiemi di {a,b,c}). Si ottiene così che l'unione è
il minimo maggiorante, nell'inclusione dei due insiemi dati, cioè per ogni S,T, R ⊆ X, si
ha
S ⊆ (S∪T), T ⊆ (S∪T); se S ⊆ R ∧ T ⊆ R, allora (S∪T) ⊆ R.
Questa definizione non utilizza l'appartenenza, solo l'inclusione. Analogamente l'intersezione è il massimo minorante rispetto all'inclusione, cioè si può caratterizzare, per ogni
S,T, R ⊆ X, mediante le relazioni:
(S∩T) ⊆ S, (S∩T) ⊆ T; se R ⊆ S ∧ R ⊆ T, allora R ⊆ (S∩T).
Anche il complemento (rispetto a {a,b,c}) può essere individuato dal diagramma di Hasse
come l'elemento più "in alto" che bisogna unire per avere {a,b,c}, ottenendo una sorta di
"mondo alla rovescia".
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Si può quindi caratterizzare il complemento (rispetto a {a,b,c}), per ogni S,T ⊆ X,
mediante
(S ∪ CS) = X; (S ∩ CS) = ∅;
L'operazione più inconsueta è "⇒". Sempre relativamente a P({a,b,c}), si ha la seguente
tabella:
{a,b,c} {a,b,c} {a,b,c} {a,b,c} {a,b,c} {a,b,c} {a,b,c} {a,b,c} {a,b,c}
{b,c}
{a,b,c}
{b,c}
{a,b,c} {a,b,c}
{a,c}
{a,b,c} {a,b,c}
{a,b}
{a,b,c} {a,b,c} {a,b,c}
{a,c}
{b,c}
{b,c}
{a,b,c}
{b,c}
{a,b,c}
{a,c}
{a,b,c}
{a,c}
{a,c}
{a,b}
{a,b,c}
{a,b}
{a,b}
{a,b}
{c}
{a,b,c}
{b,c}
{a,c}
{a,b,c}
{c}
{b,c}
{a,c}
{c}
{b}
{a,b,c}
{b,c}
{a,b,c}
{a,b}
{b,c}
{b}
{a,b}
{b}
{a}
∅
{a,b,c} {a,b,c}
{a,c}
{a,b}
{a,c}
{a,b}
{a}
{a,b,c}
{b,c}
{a,c}
{a,c}
{c}
{b}
{a}
{a}
∅
⇒
∅
{a}
{b}
{c}
{a,b}
{a,c}
{b,c}
{a,b,c}
Da essa si colgono alcune caratteristiche: {a,b,c} è elemento neutro sinistro ed elemento
assorbente destro dell'operazione; inoltre per ogni S,T,Z∈P({a,b,c})
CS = (S ⇒ ∅);
(S ⇒ T) = {a,b,c} sse S ⊆ T;
(S ∩ (S⇒ T)) = (S ∩ T);
(Z ∩ S) ⊆ T sse Z ⊆ (S ⇒ T).
Queste proprietà insiemistiche, verificate sull'esempio particolare, valgono in generale, in
ogni insieme P(X).
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
La situazione qui trattata nel caso particolare, si può generalizzare. In questo senso dagli
insiemi parzialmente ordinati, si passa alla nozione di reticolo. Questa nozione può essere
presentata in due modi diversi: come insieme ordinato, si chiede che presi comunque due
elementi esista il loro estremo superiore (sup) ed il loro estremo inferiore (inf), rispetto
all'ordine considerato. In altro modo, si presenta la nozione di reticolo chiedendo che
esistano due operazioni ∨ e ∧ che soddisfano alcune proprietà espresse in termini di
assiomi. Talora si chiede che il reticolo abbia massimo e minimo. Un reticolo in cui ogni
elemento diverso dall'eventuale minimo segue almeno un atomo si dice un reticolo
atomico. È possibile aggiungere poi varie condizioni per avere reticoli con varie proprietà.
1.10. Continuità e Topologia. L'analisi del movimento, oltre al concetto di gruppo di
trasformazioni, giustifica l'introduzioen di nozioni diverse. I movimenti complessi dei
pianeti e le variazioni di velocità dei corpi che cadono a terra suggeriscono l'idea di tasso
di variazione. Rientrano in questo ambito la velocità come tasso di variazione della
distanza, o l'accelerazione come tasso di variazione della velocità. Queste (ed altre) idee
sono codificate nella nozione di derivata.
Oggi la derivata viene presentata a partire dal limite e questo poi fa sì che di fatto si restringa la considerazione a classi di funzioni "oneste", come le definisce Jules Henri
Poincaré (1854 - 1912), quelle differenziabili. Come primo esempio di tale tipo di idee si
esamina un'altra classe di funzioni "buone", forse un po' meno "oneste" di quelle di prima,
le funzioni continue. Questo permette di chiarire in che senso si parla di continuità del
movimento.
In senso intuitivo (e solo in quello!) una funzione f: → è continua quando se x1
R
R
e x2 sono "vicini", anche f(x1) e f(x2) sono sufficientemente "vicini". Si preciserebbe
meglio utilizzando la nozione di distanza: se x1 e x2 distano meno di ε∈ +, allora è
possibile individuare in modo opportuno δ∈ + tale che f(x1) e f(x2) distano meno di δ.
R
R
La precisazione del concetto di funzione continua ha avuto un lungo cammino storico,
essendo le funzioni nate "continue". Si è infine giunti alla definizione di continuità in un
punto, ottenuta mediante la nozione di limite. Si è anche compreso che la continuità in un
intervallo è diversa dalla continuità uniforme nello stesso intervallo. Riprendendo la
cosiddetta ε - δ definizione di Weierstrass, si ha che f: → è continua in a∈ se
R
(1)
R
R
R
R
R
∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀x∈ (|x - a| < δ → |f(x) - f(a)| < ε).
Si osservi che nella (1) oltre al connettivo di implicazione sono presenti i quantificatori relativizzati (i primi due a +, il terzo a ), nell'ordine, il quantificatore universale e
R
R
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
quello esistenziale ed infine ancora un quantificatore universale. È proprio dall'attenzione
ad una formulazione corretta di questi concetti che prende l'avvio la Logica formale. Lo
scambio dell'ordine dei quantificatori, che può sembrare un errore "veniale", snatura
completamente la definizione.
La definizione può essere "complicata" dal fatto che talora f non è definita per ogni
numero reale, ma solo su un sottinsieme B ⊆ :
R
R
R
∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀x∈B(|x - a| < δ → |f(x) - f(a)| < ε),
(2)
con il terzo quantificatore (il secondo universale) relativizzato al sottinsieme considerato.
Fin qui la nozione di continuità è una nozione locale. Da essa si deduce una nozione globale generalizzando questa proprietà (se è possibile con la funzione data), parlando di
continuità in tutti i punti y di B, vale a dire trasformando il parametro a in una variabile.
Ciò si esprime chiedendo
R
R
∀y∈B ∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀x∈B(|x - y| < δ → |f(x) - f(y)| < ε).
(3)
RR
Con C, o con scrittura più completa con C( , ) si indica l'insieme delle funzioni a
valori reali continue, in tutto . Nel caso di funzioni a valori reali definite tutte su B, e ivi
continue si usa la scrittura C(B, ). Il concetto di continuità andrebbe "raffinato" ad
esempio tenendo conto dei punti non isolati di B, ma per il momento si tralasciano questi
"dettagli". Preme solo osservare che è possibile un'altra definizione di continuità: la continuità uniforme. Essa è ancora una nozione globale, riferita a tutto B, e si formula con
una scrittura tipograficamente assai simile alla (3).
R
R
R
R
∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀y∈B∀x∈B(|x - y| < δ → |f(x) - f(y)| < ε).
(4)
È proprio l'ordine diverso dei quantificatori rispettivamente nella (3) e nella (4) che fa
cambiare natura alle proprietà.
Si rifletta inoltre sul fatto che in queste definizioni compare | - | la metrica "canonica"
su . Se si considerano invece due spazi metrici 〈S,σ〉, 〈R,ρ〉, si possono riformulare la
(1) - (4) nelle forme seguenti (più generali), relative ad una funzione f: S → R, a∈S o
ad una funzione f: T → R, con T ⊆ S e a∈T:
R
R
R
R
R
(1’)
∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀x∈S(σ(x,a) < δ → ρ(f(x),f(a)) < ε) (continuità in a)
(2’)
∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀x∈T(σ(x,a) < δ → ρ(f(x),f(a)) < ε) (continuità in a).
(3’) ∀y∈T∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀x∈T(σ(x,y) < δ → ρ(f(x),f(y)) < ε) (continuità in T).
(4’)∀ε∈ + ∃δ∈ + ∀y∈T ∀x∈T(σ(x,y) < δ → ρ(f(x),f(y)) < ε) (continuità unif. in T).
R
R
R
R
Bisogna osservare che il passaggio da funzioni reali a funzioni definite in spazi metrici
non altera la relativizzazione dei quantificatori su ε e δ. In questo contesto più generale
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
con C(S,R) si indica l'insieme delle funzioni continue definite sullo spazio metrico 〈S,σ〉
a valori nello spazio metrico 〈R,ρ〉.
La nozione di funzione continua si può "rafforzare" con la nozione di funzione lipschitziana, nel senso che una funzione localmente (globalmente, uniformemente) lipschitziana
è localmente (globalmente, uniformemente) continua. L'aggettivo deriva dal nome del
matematico Rudolph Lipschitz (1832 - 1903). In tale nozione sono presenti due quantificatori esistenziali (relativizzati a +)
R
R
R
R
R
(1”)
∃L∈ + ∃δ∈ + ∀x∈S(σ(x,a) < δ → ρ(f(x),f(a)) < Lσ(x,a)) (lip. in a)
(2”) ∃L∈ + ∃δ∈ + ∀x∈T(σ(x,a) < δ → ρ(f(x),f(a)) < Lσ(x,a)) (lip. in a).
(3”)∀y∈T ∃L∈ + ∃δ∈ + ∀x∈T(σ(x,y) < δ → ρ(f(x),f(y)) < Lσ(x,y)) (lip. in T).
(4”)∃L∈ + ∃δ∈ + ∀y∈T ∀x∈T(σ(x,y) < δ → ρ(f(x),f(y)) < Lσ(x,y)) (lip. unif. in T).
R
R
R
R
Si tratta di un evidente "rafforzamento" della nozione di continuità, in quanto se esiste
ε
L∈ +, dato ε∈ +, si ha un modo uniforme per determinare δ ponendo δ = . Alla luce
R
R
L
dell'ultima definizione si può osservare che se 〈S,σ〉 è uno spazio metrico e f: S → S è
un'isometria, allora f è uniformemente lipschitziana (e quindi continua) in S, in quanto per
ogni δ∈ +, se σ(x,y) < δ, σ(f(x),f(y)) = 1·σ(x,y) < 2·σ(x,y) = 2δ. Quindi L = 2 (ma
97
anche L = 96 va bene!). Dunque un movimento rigido è per forza continuo!
Forse questo "passaggio" può risultare non chiaro. Qui si prova che una certa proprietà
ϕ è verificata per ogni δ, ∀δ(ϕ), mentre nella (4”) si chiede che esista δ tale che ϕ. Ora è
R
un teorema logico (di Logica inclusiva, cioè quella in cui le interpretazioni si effettuano su
insiemi non vuoti) ∀δ(ϕ) → ∃δ(ϕ).
La nozione di continuità e le sue possibili generalizzazioni sono state lo spunto per l'introduzione degli spazi metrici. Un modo per rileggere le definizioni di continuità è quello
dell'approssimazione. Ad esempio nella (1), |f(x) - f(a)| < ε si può interpretare f(x) come
un'approssimazione di f(a) con l'accuratezza di ε. Nel seguente grafico (riferito a funzioni
reali di variabile reale) si vede come sono collegati ε e δ:
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Nelle definizioni date usando le metriche, {x∈S | σ(x,a) < δ} è la sfera aperta di centro
a e di raggio δ, rispetto alla metrica σ, Bσ(a,δ); analogamente {y∈R | ρ(y,f(a)) < ε} è la
sfera aperta di centro f(a) e di raggio ε, Bρ(f(a),ε). Con queste osservazioni e notazioni si
può affermare il seguente
Teorema. Siano 〈S,σ〉 e 〈R,ρ〉 spazi metrici e f: S → R. Si ha che f è continua in S se
e solo se ogni sfera aperta Bρ ⊆ R ha una controimmagine f-1[Bρ] che è unione di sfere
aperte contenute in S.
Nel caso della funzione il cui grafico è rappresentato sopra, la controimmagine della
sfera (intervallo) aperta B(f(a),ε) è l'unione delle sfere (intervalli) aperte, messe in evidenza
con i tratti. In altre parole, la continuità globale (ed anche quella locale) può essere descritta interamente in termini di intervalli aperti e di unione di intervalli aperti. Questi
aspetti servono per fornire la nozione di funzione continua tra spazi topologici.
La nozione è ovviamente assai generale e può essere particolarizzata a ciascun spazio
metrico. È interessante osservare però che le funzioni collegano tra loro gli insiemi sostegno degli spazi metrici. Se si considera uno stesso insieme e metriche diverse, può avvenire che ciò che prima era una funzione continua, poi non la divenga più. Ad esempio la
funzione Int:
→ , che associa ad ogni numero reale la sua parte intera è una fun-
R
R
zione non continua, come si può desumere dal grafico seguente:
R
R
R
rispetto alla metrica "canonica" | - | su . Se si considerasse lo spazio metrico 〈 ,χ〉, con
la metrica "bizzarra", allora la funzione Int: 〈 ,χ〉 → 〈 ,χ〉 oppure Int: 〈 ,χ〉 →
〈 ,| - |〉 sarebbe continua, dato che per ogni a∈ , per ogni ε∈ +, basterebbe considerare
δ = 1, per avere che quando x∈ è tale che χ(x,a) < 1, allora χ(x,a) = 0, vale a dire x =
a, ed allora |f(x) - f(a)| = 0 < ε.
In un certo senso inverso al problema precedente è il caso delle funzioni f: 2 → ,
R
R
R
R
R
R
R
R
R
o definite in un sottinsieme di 2. Su tale insieme si possono considerare più metriche, ad
esempio la metrica prodotto, oppure la taxi-metrica, o anche la metrica µ introdotte nel
è continua riparagrafo 1.5. Conseguenza delle taxi-diseguaglianze è che f: 2 →
spetto alla metrica µ su 2 se e solo se è continua rispetto alla metrica π e se e solo se è
R
R
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R
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
continua rispetto alla metrica τ. Anche di questo viene lasciata la verifica al lettore. Questa
situazione spinge a determinare cosa ci sia che accomuna gli spazi metrici 〈 2,π〉, 〈 2,τ〉
R
R
R
e 〈 2,µ〉 rispetto alla nozione di funzione continua. La risposta è facile: ciascuna delle tre
metriche considerate su
R2 determina le (rispettive) sfere aperte rispetto alla metrica, esse
possono essere rappresentate nel seguente disegno (in cui si presentano tre "sfere" di
raggio 1 e centro 〈0,0〉):
Nella figura la diseguaglianza tra le metriche si traduce in un'inclusione "inversa".
Date le definizioni delle tre metriche in 2, talvolta si parla di quadrati, invece che sfere
nella metrica µ, di cerchi, in luogo di sfere nella metrica π, e di diamanti, invece che sfere
nella metrica τ. E questo è ancora più giustificato se ci si muove in 3 in cui le sfere sono
R
R
vere e proprie sfere, i quadrati divengono cubi e i diamanti, ottaedri. È ovvio che data una
sfera aperta in una delle tre metriche è sempre possibile trovare una sfera, variando opportunamente il raggio, nelle altre due metriche considerate, che includa la sfera data ed una
che sia inclusa nella sfera data.
Si deve pertanto cercare una formulazione intrinseca. La via è quella già osservata, che
in una funzione continua la controimmagine di una sfera aperta è unione di sfere aperte.
Questo fornisce lo spunto per chiamare insieme aperto in uno spazio metrico un insieme
che sia unione (finita o no) di sfere aperte. In modo equivalente, dato uno spazio metrico
〈S,ρ〉, un insieme U ⊆ S è un insieme aperto 1 se per ogni x∈U esiste δ∈ + tale che
B ρ(x,δ) ⊆ U; il raggio δ della sfera B ρ(x,δ) dipende da x e non è certamente univocamente determinato poiché se η∈ + e η < δ, si ha anche B ρ(x,η) ⊆ Bρ(x,δ) ⊆ U.
Poiché la controimmagine conserva l'unione: f-1[k∈K
∪ Sk] = (k∈K
∪ f-1[Sk]), la continuità di
R
R
una funzione può ora essere espressa in termini di insiemi aperti, come la richiesta che la
controimmagine di un insieme aperto sia un insieme aperto. Questa è la formulazione generale, che non dipende dalla scelta "accidentale" della metrica. Anzi si può osservare che
le tre metriche µ, τ e π dànno origine agli stessi insiemi aperti, dato che ogni cerchio può
essere ottenuto come unione di quadrati e di diamanti e viceversa.
1 Con tale definizione si ha che una sfera aperta è un insieme aperto. Solitamente accanto agli insiemi aperti si
definiscono gli insiemi chiusi: U ⊆ S è un insieme chiuso se (S - U) è un insieme aperto. Molte delle
considerazioni che seguono, ad esempio la definizione di spazio topologico, possono essere presentate
mediante gli insiemi chiusi, invece che con gli insiemi aperti, con poche variazioni, scambiando però il ruolo
delle operazioni di unione ed intersezione.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Da questi casi nasce la nozione generale di spazio topologico che viene definito
mediante gli insiemi aperti:
Definizione. Un insieme non vuoto X è (il sostegno di) uno spazio topologico se è assegnata una topologia τ ⊆ P(X), cioè una famiglia di sottinsiemi di X tale che:
1. l'intersezione di due elementi di τ è ancora un elemento di τ;
2. l'unione di una famiglia di insiemi che sono elementi di τ è ancora un elemento di τ;
3. X∈τ e ∅∈τ.
Gli elementi di τ sono detti insiemi aperti di X.
Dato un insieme non vuoto X, su di esso esistono sempre varie topologie. La più
"grossolana" è costituita da {∅,X}, la più "fine" P (X), in entrambe sono banalmente
soddisfatte le tre richieste della precedente definizione. Queste topologie coincidono solo
se X = {•} ed in questo caso sono le sole topologie. Basta che #X ≥ 2 e subito su X si
possono considerare altre topologie, oltre alle due sempre esistenti.
Siamo qui in presenza di una nuova interpretazione del concetto di spazio, diverso da
quello di Fréchet di spazio metrico.
Ogni metrica induce una topologia, ottenuta considerando come insiemi aperti le unioni
di sfere aperte. Vi sono però topologie che non si ottengono a partire da una metrica. Ad
esempio in si può considerare una topologia che ha per elementi ∅ ed i sottinsiemi cofiniti, cioè gli insiemi S ⊆ tali che ( - S) è un insieme finito.
N
N
N
I tre assiomi usati per definire gli insiemi aperti e la topologia sono sufficienti per
esprimere la definizione di funzione continua e per provare la maggior parte delle proprietà fondamentali delle funzioni continue, ad esempio che la composizione di due funzioni
continue è ancora una funzione continua e che l'identità è una funzione continua.
Qui però si parla della nozione globale di continuità, non di quella locale; quest'ultima è
quella che di solito nei corsi di Analisi matematica viene introdotta per prima. Per parlare
di continuità locale c'è bisogno di una nozione nuova, quella di intorno di un punto. Essa
traduce il concetto di vicinanza di un punto ad un altro. La nozione in uno spazio topologico è assai semplice: è un intorno del punto p un qualsiasi aperto cui p appartenga. Tale
nozione ha però il problema di essere poco "comprensibile" perché il concetto di vicinanza
che è implicito nella parola intorno (in cui traspare una nozione interfigurale di spazio)
viene esplicitato mediante un generico aperto cui il punto appartiene (facendo riferimento
ad una nozione intrafigurale di spazio). Ripercorrendo la nozione "standard" di funzione
continua, si dice che f: 〈X,τ〉 → 〈Y,ϑ〉 è continua in p∈X se per ogni intorno V∈ϑ di
f(p)∈Y esiste U∈τ tale che f[U] ⊆ V. Di qui si ottiene che f è continua in X se f è
continua in p, per ogni p∈X.
Gli spazi topologici sono stati introdotti da Hausdorff nel suo testo Mengelehre del
1914. La nozione presentata da Hausdorff non è come quella presentata qui, essendo più
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
specifica dato che è fornita in termine di intorni speciali, ed il risultato è la nozione di
spazio di Hausdorff, in cui vale uno specifico assioma di separazione.
Lo studio approfondito degli spazi topologici ha mostrato che questa descrizione in
termini di intorni e di aperti è assai efficace ed ha permesso di formulare proprietà matematiche in termini "geometrici".
Gli esempi fin qui mostrati hanno messo in luce che molti concetti matematici sono descritti in termini di insiemi con struttura. Ne sono esempi gli insiemi linearmente ordinati, i
gruppi, le algebre di Boole e gli spazi topologici. Questi esempi sono tutti ottenuti considerando un insieme X e sottinsiemi di X o di P(X) o funzioni che hanno come dominio
potenze cartesiane di X e codominio X. L'esempio degli spazi metrici è diverso, poiché fa
intervenire l'insieme di numeri reali, "esterno" all'insieme X. Anche tra gli esempi citati
sopra c'è diversità: i gruppi e le algebre di Boole sono esempi di strutture algebriche, definite per mezzo di funzioni; gli insiemi ordinati usano un sottinsieme di X2, gli spazi topologici usano invece sottinsiemi di P(X). Dopo Bourbaki sono state introdotte anche
strutture "miste", ad esempio i gruppi topologici o i gruppi ordinati. In esse si forniscono
assiomi di connessione tra le strutture considerate.
Ad esempio per avere un gruppo topologico sull'insieme G, sono date contemporaneamente la struttura di gruppo ed una topologia. Si chiede però che l'operazione di passaggio all'inverso -1: G → G sia continua e che, una volta definita opportunamente su
(G×G) una topologia (prodotto) anche ·: (G×G) → G sia continua.
Nell'altro esempio, i gruppi ordinati linearmente, si richiede che la relazione d'ordine sia
compatibile con l'operazione, vale a dire che ∀x,y,z∈G(x ≤ y ∧ e ≤ z → (x·z) ≤ (y·z) ∧
(z·x) ≤ (z·y)).
Molte altre situazioni "reali" possono essere descritte come un insieme con opportune
strutture.
1.11. Attività umane e idee. In questo capitolo, partendo dallo studio dei numeri, dallo
spazio, dal tempo e dal movimento, si è giunti alla descrizione di varie nozioni formali:
numeri cardinali, permutazioni, ordine lineare, gruppi, continuità, topologia. Ciascuno di
questi esempi rappresenta un tipo diverso di formalizzazione in Matematica. La
formalizzazione può essere presa come una sorta di regola (ad esempio la tavola pitagorica), oppure semplicemente come una definizione (ad esempio quella di numero cardinale)
oppure una definizione assai complessa e sottile (come quella di continuità). In altre occasioni la formalizzazione porta ad una lista di assiomi che descrivono proprietà comuni di
enti diversi (gli assiomi dell'ordine); altre volte tale lista di assiomi è il risultato dell'analisi
di una situazione che si rivela importante (gli assiomi di gruppo). In altre occasioni ancora
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
gli assiomi vengono usati per descrivere in modo univoco un "oggetto" matematico
importante (è il caso dei numeri reali visti come insieme linearmente ordinato con opportune proprietà). Per gli spazi topologici, gli assiomi aiutano a comprendere aspetti comuni di una grande varietà di situazioni.
Queste nozioni formali derivano da situazioni pre-matematiche che possono essere
meglio descritte come attività culturali umane. È perciò importante mettere in luce tali tipi
di attività, anche per meglio comprendere come da queste attività culturali si passi poi a
"idee" nebulose che vengono poi finalmente formalizzate e talvolta formalizzate in modi
diversi. Per esempio, il processo del conteggio suggerisce l'idea di "successivo", l'oggetto
che viene contato dopo o il numero che viene utilizzato dopo in una qualche lista ordinata.
Questa idea di successivo può allora essere formalizzata come una regola di aggiungere
uno a ciascun decimale oppure mediante gli assiomi sull'operazione che fa passare da ogni
numero naturale al suo successivo. Ma l'idea di successivo appare anche in altre forme:
l'ordinale (infinito) successivo oltre ad un dato insieme di ordinali, oppure il passo
successivo (dopo una scelta di alternative) in un programma di computer. Oppure l'osservazione frequente di cambiamenti "rigidi" può suggerire l'idea (nebulosa) di trasformazione che poi sfocia in ciò che viene chiamato movimento parametrizzato.
Questo tipo di origine per la forma matematica, nei casi che si sono osservati prima,
possono essere riassunti in una tavola sinottica, in cui ogni attività culturale suggerisce
un'idea che viene poi formalizzata. Questa tavola vuole solo illustrare la situazione, non
essere interpretata in modo dogmatico.
Attività
Idea
Formulazione
Collezionare
Collezione
Insieme di elementi
Conteggiare
Successivo
Successivo, ordine, numero ordinale
Comparare
Enumerazione
Biezione, numero cardinale
Calcolare
"Combinazione" di Regole per le operazioni (addizione,
numeri
moltiplicazione), gruppo abeliano
Risistemare
Permutazione
Biezione, gruppi di permutazioni
Misurare il tempo
Prima e dopo
Ordine lineare
Osservare
Simmetria
Isometrie, gruppi di trasformazioni
Costruire, sagomare
Figure, simmetria
Luoghi di punti
Misurare
Distanza, estensione
Spazi metrici
Muovere
Cambiamento
Movimenti rigidi, gruppi di trasformazioni, tasso di cambiamento
Stimare
Approssimazione,
vicinanza
Continuità, limite, spazi topologici
Scegliere
Parte
Sottinsieme, Algebra di Boole
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Ragionare
Dimostrazione
Connettivi e quantificatori logici
Scegliere
Caso, fortuna
Probabilità (in senso classico)
Azioni successive
Seguito da…
Composizione, gruppi di trasformazioni.
…
…
…
Ciascuna idea suggerita ha un contenuto intuitivo; la tavola può servire come supporto per
il fenomeno ben noto (ma non precisato e forse neppure precisabile) della intuizione matematica. La stessa idea può essere originata da differenti attività che possono essere, a
loro volta, il fondamento per formalizzazioni diverse. Fin qui si è cercato di fare uso di
parole familiari, a scapito, talora, di precisione, allo scopo di descrivere ciascuna idea, ma
questo non vuole presentare la cosa come se ci fosse un ben stabilito consenso su questo
punto di vista, oppure una definizione precisa. D'altra parte ciascuna nozione indicata nella
terza colonna ha una rigorosa definizione (in un opportuno contesto), convenzionalmente
condivisa.
La tavola sinottica non è completa (come mostra la riga vuota) ed il lettore può certamente trovare altre attività, idee, formulazioni per arricchire la tavola stessa.
Anche dopo che le nozioni matematiche di base sono state sviluppate come "risultato"
di queste attività ed idee che rimangono e continuano ad offrire suggerimenti nello svolgimento della Matematica. Questi suggerimenti spesso si presentano come problemi aperti
anche in altre scienze e richiedono applicazioni della Matematica. Ad esempio la prima
applicazione dello studio del movimento indicata sopra, diviene più tardi la fonte di ispirazione della Dinamica in Fisica o della Dinamica celeste in Astronomia. Lo studio dei
mutamenti sociali in parte diviene lo studio dei costi marginali oppure l'Econometria. In
generale col nome di genesi della Matematica si intende indicare ogni sorta di suggerimento da attività scientifiche o culturali.
Alcune nozioni formali matematiche hanno un'origine più complessa. Questo è, ad esempio, il caso del concetto di insieme. L'idea intuitiva di collezione è presente quando si
fa un conteggio, ma a questo livello è ben difficile trovare un'adeguata formalizzazione.
Ciò anche perché capita di dover considerare collezioni infinite, forse generate dall'osservazione, sicuramente dalla dimostrazione di Euclide che esistono infiniti numeri primi, ma
partendo da queste, ben presto le collezioni infinite si "moltiplicano". Ci sono poi sottinsiemi del (cosiddetto) insieme dei numeri naturali, ma la nozione di sottinsieme (almeno in
questi casi) non compare alla nostra attenzione, finché non si cerca di descrivere la
completezza dell'insieme ordinato dei numeri reali o il principio d'induzione matematica.
Anche in questi casi, con un po' di lavoro, si può fare a meno dei sottinsiemi: la completezza può essere descritta con serie convergenti e l'induzione può essere formulata in
termini di proprietà. Ma le Algebre di Boole sono impensabili senza i sottinsiemi.
La nozione più sofisticata di insieme che ha per elementi insiemi, viene presentata più
tardi. L'insieme degli interi modulo 6 può essere descritto come l'insieme i cui elementi
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
sono classi di congruenza, come ad esempio {1,7,13,19,…}; uno spazio topologico è più
chiaramente definito come un insieme in cui si sono specificati opportuni sottinsiemi (gli
aperti). Tuttavia in entrambi i casi, l'uso degli insiemi di insiemi può essere evitato usando
relazioni: la relazione di congruenza su , modulo 6 (studiata da Karl Friedrich Gauss
(1777 - 1855)), oppure la relazione tra punti e insiemi, che stabilisce che U è un intorno
del punto p. La vera ragione per studiare la Teoria degli insiemi è più profonda ed è sorprendente che i problemi che hanno storicamente dato origine alla Teoria degli insiemi
sono problemi relativi alle serie trigonometriche, introdotte e studiate da Jean-Baptiste Joseph Fourier (1768 - 1830), in connessione col problema della propagazione del calore.
Z
1.12. Attività matematiche. La genesi di strutture matematiche più complesse è una
"tendenza" interna della stessa Matematica. In questo ambito vari tipi di processi possono
essere all'origine di nuove idee e nuove nozioni. Qui si fornisce una lista di questi processi, sicuramente non esaustiva.
(a) Enigmi. Trovare la soluzione di problemi difficili è uno dei "motori" più attivi dello
sviluppo matematico. Pierre de Fermat (1601 - 1665), a margine del testo di Diofanto che
stava leggendo, annotava che si poteva dimostrare che l'equazione xn + yn = zn non ha
soluzioni intere, se n > 2, ma che la dimostrazione non poteva essere scritta nel margine
perché troppo "lunga". Questo quesito ha affascinato matematici e non (in un racconto
Satana stesso scendeva a tormentare un uomo col quesito) ed è stato una delle origini storiche di quasi tutto lo sviluppo della Teoria algebrica dei numeri nel XIX e nel XX secolo,
fino alla dimostrazione di Andrew Wiles del 1996. A tale problema si deve l'origine di importanti nozioni quale quella di ideale (anche se per tale nozione ha avuto importanza pure
la Teoria delle forme quadratiche).
Il problema della risolubilità di un'equazione algebrica per radicali è stato un altro problema che ha avuto importanti ripercussioni matematiche. Per equazioni algebriche di secondo grado la soluzione è facile e, in modi molto diversi, la si può riscontrare anche in
testi dell'antichità pre-greca. Gli algebristi italiani del '500 (Scipione Dal Ferro (1465 1526), Nicolò Fontana (1500 - 1557), detto Tartaglia, Gerolamo Cardano (1501 - 1576),
Ludovico Ferrari (1522 - 1565), Rafael Bombelli (1530 - 1573)) trattarono e risolsero per
radicali le equazioni di terzo e di quarto grado. Per quelle di grado superiore al quarto, il
problema si mostrò subito assai più complesso, tanto che quasi tre secoli dopo la prima
risoluzione delle equazioni di terzo grado, nel 1799, Ruffini partendo da risultati di Lagrange, provò l'impossibilità di risolvere per radicali tali tipi di equazioni. Indipendentemente Abel nel 1824 pubblica una nuova dimostrazione più semplice di quella di Ruffini.
Il norvegese sembra poi interessarsi ad altri argomenti, la Teoria delle funzioni ellittiche;
solo più tardi funzioni di tale tipo si sono rivelate lo strumento essenziale per giungere a
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
una formula risolutiva dell'equazione generale di quinto grado. Brevemente, nella Teoria
degli integrali si conoscono classi di funzioni che non hanno un'esplicita espressione
analitica, ma sono le funzioni integrali di funzioni continue (che sono sempre integrabili).
x
⌠
dt
Ad esempio l'integrale 
(integrale ellittico di prima specie) non è


(1 - k2t2)(1 - t2)

⌡√
0
calcolabile in termini elementari. Esso tuttavia definisce una funzione f(x), non esplicitabile in termini finiti, continua, derivabile, ecc., essendo la funzione integrale di una funzione
continua. Essa ha funzione inversa. A tale funzione ellittica si è dato il nome sn(x),
senamplitudine di x. Per altra via si può determinare tale funzione risolvendo il sistema
differenziale del primo ordine
y1’ = y2y3
y ’ = - y y
1 3
 2
y3’ = - k2y1y2
Il sistema è risolvibile. Nella soluzione del sistema la funzione y1(x) è detta, appunto senamplitudine di x. La y2(x), è detta cosenamplitudine di x, e si indica con cn(x) ed il
nome è giustificato dalla relazione sn(x)2 + cn(x)2 = 1. La terza funzione presente come
soluzione del sistema viene detta deltamplitudine di x, denotata con dn(x). Tali nomi si
devono al maestro di Weierstrass, Christoff Gudermann.
Come si vede, il tema della risoluzione delle equazioni algebriche ha portato ad importanti sviluppi nella Analisi matematica.
Già Abel nel 1828 si poneva il problema di determinare in quali casi un'equazione algebrica di grado superiore al quarto è risolubile per radicali. La risposta completa giunge
nel 1832 con Galois e con gli importanti sviluppi della Teoria dei gruppi di cui si è già
detto. Si è già visto che il concetto di gruppo può essere "desunto" da molte altre situazioni; storicamente l'impulso principale ad individuare tale struttura è venuto dal problema
della soluzione delle equazioni algebriche. Il fatto poi che tale nozione risolva anche problemi sorti in altri ambiti e che in generale, cercando di risolvere uno specifico problema
poi si possa, in modo del tutto inaspettato, trovare la soluzione di altri quesiti, è un elemento vitale della nostra scienza, anzi si può dire che è una caratteristica propria della
Matematica.
(b) Completamento. Si può considerare che l'intero "elenco" dei numeri naturali parta
con i primi, 0, 1, 2, … e poi continui grazie al passaggio al successivo, anzi nasca dal
chiedersi se ci sia sempre un successivo (infinito in potenza). La risposta è affermativa. Vi
sono poi altre operazioni sui numeri naturali e ci si può chiedere se altre "operazioni"
ancora possono essere sempre definite sui numeri naturali. Ma già con l'esempio della
sottrazione si vede che ciò non può essere fatto, a meno che non si completi l'insieme dei
numeri naturali costruendo l'insieme dei numeri interi relativi. Così per assicurarsi che sia
possibile la divisione (non utilizzando però il divisore 0) si estende ancora la struttura ai
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
numeri razionali e poi, con problemi più complessi ai numeri reali e poi con altri problemi,
ai numeri complessi. Questo è un atteggiamento generale: se in un certo ambito sono
definite "operazioni" eseguibili solo per alcuni casi degli argomenti, si completa l'ambito
aggiungendo ad esso enti o completandolo opportunamente, ottenendo una nuova struttura. Anche da questo tipo di problema sono sorti gli ideali.
(c) Invarianza. Si consideri la seguente equazione
(1)
ax + by + cz = 0
Si tratta di un'equazione omogenea che ha infinite soluzioni diverse dalla terna 〈0,0,0〉, o
Z
meglio, ha infinite soluzioni se la scrittura viene interpretata in un anello infinito. In 2 le
soluzioni sono in numero finito. Riferendoci ad un generico campo K, è facile vedere che
se 〈x 1 ,y 1 ,z 1 〉 e 〈x 2 ,y 2 ,z 2 〉 sono due soluzioni, per ogni α ,β ∈ K , 〈αx 1 + βx 2 ,
αy 1 + βy 2 , αz 1 + βz2〉 sono ancora soluzioni, grazie alle proprietà commutativa ed
associativa dell'addizione, alle proprietà associativa e commutativa della moltiplicazione,
alla proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all'addizione, ed alla proprietà
dell'elemento neutro rispetto all'addizione che è anche assorbente rispetto alla
moltiplicazione.
Nel caso che si interpreti la (1) in 3, le soluzioni che si ottengono sono tutti i punti
R
del piano per l'origine individuato (a meno di un fattore di proporzionalità) dai coefficienti
a, b e c ed ogni vettore del piano (cioè avente punto di applicazione nell'origine e per secondo estremo un punto del piano) lo si può scrivere come combinazione lineare di due
vettori (indipendenti, cioè non allineati) del piano.
La situazione si ripete considerando l'equazione differenziale lineare del secondo ordine
2
d x
= - k2x, che esprime la seconda legge della dinamica (secondo la legge di Robert
d t2
Hooke (1635 - 1703)) del secondo estremo di una molla deformata, avente il primo
estremo fissato. Tale equazione è anche detta equazione del moto armonico. L'integrale
generale di tale equazione può essere scritto come x = A cos kt + B sen kt, ove A e B
sono costanti che dipendono dalla soluzione cercata (e quindi eventualmente determinabili
a partire dai valori iniziali assegnati, cioè da un problema di Cauchy). Esso è espresso
come combinazione lineare di due integrali particolari: cos kt, sen kt. Non si tratta di un
"caso", ma teoremi importanti di Analisi matematica assicurano che le equazioni differenziali lineari omogenee hanno per soluzione generale una combinazione lineare di soluzioni
particolari indipendenti.
In entrambi i casi "rispunta" il concetto di indipendenza e quindi la nozione di spazio
vettoriale e l'idea di base per un tale spazio. La scelta di una base porta con sé un problema
assai importante perché ci si deve chiedere se le espressioni di certe proprietà dipendono
dalla scelta della base o sono indipendenti dalla scelta della base, sono quindi intrinseche.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Il tema dell'invarianza è assai più generale. In molte occasioni ci si chiede se quanto
trovato sia o no dipendente dalle scelte effettuate. Un esempio assai diffuso in Matematica
si ha con le classi di equivalenza: per esprimere certe proprietà delle classi si può fare uso
dei rappresentanti delle classi stesse, poi però ci si pone il problema di verificare che le
proprietà non cambiano anche se si cambiano i rappresentanti, rimanendo fisse le classi
considerate.
(d) Strutture comuni (Analogia). L'esempio precedente relativo agli spazi vettoriali,
mostra il motivo di trovare una struttura comune (lo spazio vettoriale, appunto), che soggiace a fenomeni differenti, ma simili tra loro: qui la Geometria, le equazioni lineari, le
equazioni differenziali lineari. Altri esempi sono dati in 1.4: vari problemi conducono tutti
alla nozione di insieme linearmente ordinato. Anche trattando dei gruppi di trasformazioni
si è posto il problema di avere situazioni diverse che individuano lo stesso gruppo
(l'esempio del rettangolo e del "bilanciere" del paragrafo 1.7). La definizione di continuità
e le sue "variazioni" in uno spazio metrico mostra come sia possibile procedere per analogia partendo dal caso più consueto di una funzione reale di variabile reale.
(e) Struttura intrinseca. Talvolta una struttura formale (anche nascosta) sembra
spiegare una situazione che si sta studiando. Ad esempio un gruppo di permutazioni su n
oggetti, cioè un sottogruppo del gruppo simmetrico Sn, ha sempre un ordine che divide il
numero n!; la spiegazione è offerta da un fatto ben noto, un teorema di Lagrange,
sull'ordine possibile dei sottogruppi di un gruppo finito. Si tratta quindi di un risultato
relativo alla struttura di gruppo e che non appare sicuramente "evidente" dagli assiomi
considerati per i gruppi.
L'osservazione del paragrafo 1.9 che metriche differenti del piano possono dare la
stessa classe di funzioni continue f(x,y) viene spiegata spostando l'attenzione dalla varie
metriche alla topologia "standard" che le metriche considerate inducono nel piano e quindi
in una sorta di proprietà di continuità che è intrinseca della funzione.
Ci sono molti altri casi in cui una nozione astratta (ben scelta) serve a favorire la comprensione dei fenomeni matematici. Forse un buon numero di progressi della Matematica
dipende dal "contrappunto" tra la soluzione di enigmi e la ricerca dei concetti che favoriscono una comprensione migliore dei fenomeni.
(f) Generalizzazione. Il processo di generalizzazione in Matematica si presenta con
aspetti diversi. Ciò dipende anche dal fatto che nella storia della filosofia i termini induzione, astrazione, generalizzazione, universalizzazione, hanno via via assunto connotati e
significati differenti e talora in contrapposizione. Più recentemente ad essi si sono aggiunti
altri termini quali adduzione e abduzione (di cui fanno un gran parlare i cultori di Intelligenza artificiale).
Ad esempio ci sono generalizzazioni da molti casi concreti, interpretati come esempi di
una legge generale. Così da 2 + 3 = 3 + 2 e 4 + 7 = 7 + 4 si ottiene la proprietà
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
commutativa per l'addizione ∀x,y (x + y = y + x). Attenzione, quanto afferma Mac Lane
e fin qui riportato, non è completamente corretto: il passaggio da (due) esempi ad una
affermazione "generale" si può vedere come frutto di un'induzione che fa passare da casi
particolari a quelli generali. In questo senso si potrebbe più correttamente parlare di legge
commutativa (come in effetti fa il testo di Mac Lane). Qui si parla dell'induzione sperimentale, non dell'induzione matematica! Le leggi della fisica hanno una loro origine da
un'ipotesi, la legge appunto, suggerita dall'induzione e verificata poi mediante esperimenti.
Sul potere conoscitivo dell'induzione sperimentale si è accentrata la critica di molta filosofia contemporanea, ad esempio Karl Popper (1902 - 1994) nel 1934 nega che l'induzione possa essere la base della conoscenza scientifica, base per lui riconosciuta nella falsificabilità.
Diversa è la considerazione di una proprietà generale, nell'esempio la proprietà commutativa dell'operazione di addizione, proprietà dell'operazione, connaturata con essa, non dei
numeri coinvolti: gli esempi 2 + 3 = 3 + 2 sono esempi della proprietà. Il passaggio dalla
proprietà al fenomeno, vale a dire all'esempio, viene chiamata adduzione.
Altri esempi di quella che Mac Lane chiama generalizzazione sono offerti dai cardinali
finiti. Da essi (l'intera totalità dei quali non è sicuramente oggetto di esperienza concreta!)
si compie un'astrazione considerando i cardinali trasfiniti. Tale generalizzazione è pericolosa, dato che molte "proprietà" valide sui cardinali finiti non possono essere estese a
quelli trasfiniti: ad esempio se m,n ≠ 0, m < m + n, mentre ℵ0 ≠ 0 eppure ℵ0 = ℵ0 +
ℵ0 ( = ∪ ).
N P D
Lo stesso tipo di generalizzazione si ha passando dai gruppi finiti ai gruppi infiniti, però
si perdono vari tipi di proprietà, ad esempio il fatto che l'ordine di un sottogruppo sia un
divisore dell'ordine del gruppo.
La generalizzazione dalla Geometria analitica del piano o dello spazio a quella in n dimensioni (con n > 3) è spesso "banale", a parte la necessità di predisporre un vocabolario
opportuno (trovare ad esempio il "corrispondente" del concetto di piano, di rettangolo, di
sfera, ecc.). Nonostante tale "banalità", storicamente il processo ha richiesto molto tempo
ed ha avuto numerose obiezioni di natura filosofica. Questa generalizzazione di per sé
potrebbe avere poca rilevanza se non si fosse poi mostrata come un primo passo verso gli
spazi funzionali visti come spazi di infinite dimensioni e come l'ambiente in cui inserire
altri temi, da trattare poi con un linguaggio di natura geometrica che permette la comprensione di diversi tipi di questioni.
Nelle strutture assiomatiche, una generalizzazione si ottiene anche per eliminazione di
assiomi.
(g) Astrazione. Di questa attività Mac Lane dà un'interpretazione sicuramente discutibile. Nel suo testo viene detto che si tratta di un processo che consiste tipicamente nell'ottenere alcuni risultati sotto ipotesi più deboli o più astratte. Un esempio standard è quello
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
delle proprietà che si possono mostrare nei gruppi di trasformazioni e che possono essere
poi riottenute spostandosi nei gruppi astratti. Nel caso concreto gli elementi di un gruppo
di trasformazioni sono enti complessi e strutturati (biezioni, talora "opportune" di un insieme in sé). In questo contesto l'operazione è data dalla composizione funzionale e questa
risulta, si potrebbe dire per la definizione stessa, "automaticamente" associativa. Cogliere il
ruolo della proprietà associativa e quindi riottenere alcune delle proprietà "scoperte" o
"verificate" per le trasformazioni in un contesto diverso è un'operazione di astrazione.
Così non ha più importanza la natura degli elementi del gruppo, ma solo la tavola dell'operazione binaria che nel caso si ottenga un gruppo, dovrà avere opportune proprietà. Il
risultato di questo processo di astrazione permette di sostituire alla nozione imprecisa di
identità o somiglianza di due gruppi di trasformazioni agenti su insiemi diversi, con il
concetto preciso di isomorfismo. Tuttavia con questo processo di astrazione non si introducono nuovi oggetti come prova il Teorema di Cayley. Quindi tutti i teoremi dei gruppi
di trasformazione che non fanno uso della natura degli elementi dell'insieme su cui operano le trasformazioni possono essere "trasformati" in affermazioni che valgono per i generici gruppi astratti. Le proprietà delle trasformazioni che coinvolgono gli elementi dell'insieme dànno luogo ai concetti di gruppi di permutazioni transitivi o primitivi.
Una cosa analoga si ha con le Algebre di Boole di P(X) da cui si ottiene il concetto
astratto di Algebra di Boole, tranne poi avere un teorema di rappresentazione analogo a
quello di Cayley, il teorema del 1936 di Marshall H. Stone (1903 - 1989).
Questi due esempi mostrano come sia possibile un'astrazione senza una generalizzazione. Un esempio in cui da un'astrazione si ha una vera generalizzazione si ha col concetto
di anello. Hilbert ed altri avevano introdotto il concetto di anello di numeri, chiamando
così sottinsiemi di chiusi rispetto alle operazioni di addizione, sottrazione e moltiplicazione. Ne sono esempi, banali , , , ma anche [i], il cosiddetto anello degli interi di
Gauss, cioè l'insieme dei numeri complessi della forma (a + ib), con a,b∈ . Questo
semplice esempio è però importante perché in esso si ha 2 = (1 + i)(1 - i), quindi 2 non è
C
ZQR
Z
N
più "primo" o meglio "irriducibile". A scuola si preferisce parlare di numero primo invece
che irriducibile. Poi si dà di solito la definizione di numeri irriducibile o indecomponibile,
cioè che non ha fattori non banali. Dallo studio degli anelli, emerge l'esigenza di distinguere tra elementi primi ed elementi irriducibili. Si dice che in un anello A, a, non invertibile è
un elemento primo se ogni volta che a divide il prodotto b·c, si ha che a divide b oppure a
divide c (o entrambi i casi), mentre a, elemento non invertibile di A è irriducibile se per
ogni x∈A, se x divide a, allora x = a oppure x è un elemento invertibile. E' abbastanza
facile provare che in un anello commutativo unitario privo di divisori dello zero (un
dominio di integrità) se a è primo, allora è irriducibile. Per invertire l'implicazione ci vogliono proprietà aggiuntive, in particolare che ogni elemento abbia un'unica fattorizzazione
in fattori irriducibili. La nozione astratta di anello è dovuta a Emmy Noether (1882 -
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
1935) ed in generale non si trova una rappresentazione di queste strutture in anelli di numeri.
In questo, come in altri casi, l'astrazione consiste nel prendere in considerazione la struttura dimenticando la provenienza e la natura dei suoi elementi, focalizzando l'attenzione a
"tutte" (quelle che servono!) le operazioni sperando che queste proprietà formali delle
operazioni formulate come assiomi permettano di ottenere le caratteristiche salienti delle
situazioni studiate.
Bisogna però puntualizzare che il termine astrazione usato in questo contesto non sempre è in accordo con una tradizione culturale che parte dall'antichità.
La posizione di Platone è quella di negare l'astrazione come processo conoscitivo, infatti
la conoscenza umana della natura delle cose, secondo lui, è il risultato di un "contatto" con
gli universali precedente alla nascita, in quanto non sarebbe possibile ricavare l'universale
dai particolari se questi non fossero già identificabili come quei particolari rilevanti e
connessi tra loro in base alla preventiva conoscenza della loro essenza universale. Al
contrario l'astrazione è ritenuta da Aristotele fondamentale strumento per ottenere la conoscenza. Nel successivo sviluppo della filosofia queste due posizioni, si contrappongono
anche se presentate in modo più elaborato. Da una parte S. Tommaso d'Aquino (1221 1274), che riprende la visione aristotelica, dall'altra la tradizione agostiniana, ma più che a
S. Agostino sarebbe corretto far risalire a Plotino (205 - 270); essa trova i suoi sostenitori
nello pseudo Dionigi (V sec.), in Scoto Eriugena (IX sec.), S. Anselmo d'Aosta (1033 1109), S. Bonaventura (1217 - 1274), Nicola Cusano (1401 - 1464).
Etimologicamente l'astrazione, in senso intenzionale, è l'atto di prendere mentalmente
una cosa tralasciandone un'altra. Essa assume due principali significati, quello di generalizzare, tralasciando cioè aspetti particolari e universalizzare, tralasciando i caratteri individuali. Nella seconda accezione l'astrazione si presenta come soluzione del problema dell'origine delle idee, in contrapposizione alla intuizione delle idee. Ad esempio per generalizzazione si afferma che il cavallo è un quadrupede tralasciando il fatto che la cute di ciascun
cavallo è rivestita di pelo; nell'affermazione che il cane è amico dell'uomo, si universalizza,
dato che si trascura il fatto che negli esempi di cane che si hanno sott'occhio, alcuni hanno
il mantello nero, altri grigio, ecc.
Il problema dell'origine delle idee perde di significato se non si presuppone una differenza essenziale tra sensazioni e idee, tra fantasmi e concetti, tra sensitività ed intelligenza.
Storicamente il problema viene posto da una polemica tra i Sofisti (V sec. a.C.), da una
parte, e da Socrate (470 - 399 a. C.) e Platone, dall'altra. I Sofisti osservavano che i dati dei
sensi ed il relativismo ad essi inerente rendono impossibile un vero universalmente valido.
Socrate con la dottrina del concetto, di fronte alle incertezze della conoscenza sensitiva,
obietta che ci sono delle certezze indubitabili della matematica e della metafisica. Così
Socrate con la dottrina del concetto metteva in evidenza la conoscenza intellettiva ed il suo
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
valore universale, rendendo possibile il colloquio tra gli uomini e dando un fondamento
alla Scienza.
Platone basandosi su una intuizione da parte dell'intelligenza umana, di realtà intelligibili, immateriali, necessarie ed eterne, avuta prima della nascita, nega la sostanza e l'utilità
dell'astrazione.
Aristotele riconosceva valore alla conoscenza intellettiva dei concetti generici e specifici,
dei concetti matematici e metafisici, ma non esclude che la conoscenza intellettiva dipenda
dalla conoscenza sensitiva. A riprova di ciò porta il caso di chi manca di un senso e a
causa di tale carenza non riesce ad avere la conoscenza intellettiva degli oggetti percepibili
con quel senso. Inoltre il progresso nella conoscenza sensitiva porta ad un progresso di
quella intellettiva. Il nostro intelletto, prima di conoscere con i sensi è una tabula rasa sulla quale può essere scritta qualunque cosa. Per comprendere però come sia possibile dai
sensi derivare concetti, Aristotele ipotizza la presenza di un'intelligenza specifica per la
conoscenza intellettiva. La metafora che impiega è quella della luce: senza una luce che illumini gli oggetti, gli occhi non li percepiscono, così senza la luce intellettuale che illumina
i fantasmi degli esseri corporei presenti nell'anima, non si ha la conoscenza intellettiva. La
luce intellettuale è definita da Aristotele come intelletto attivo, contrapposto all'intelletto
possibile. Il primo è come l'arte che può fare tutto, il secondo come la materia che diviene
tutto. In De anima dice «Come gli oggetti sensibili sono quelli che direttamente muovono
i sensi, così direttamente muovono l'intelletto i fantasmi, sicché l'anima non ha nessuna
intellezione se non ci sono i fantasmi…L'intelletto acquista i concetti mediante l'astrazione… Così pure è degli enti matematici, i quali, benché non siano realizzati se non
nella materia, sono però concepiti come astratti e separati dalla materia» ed aggiunge «Nel
mondo della nostra esperienza non esistono cose che non siano estese e sensibili; perciò
le nature intelligibili, sia quelle che sono dette esistere nell'astrazione, come gli enti matematici, sia quelle che rappresentano le proprietà delle cose sensibili, esistono nelle forme
sensibili… I concetti non sono fantasmi, ma non si possono avere senza i fantasmi».
S. Tommaso riprende e approfondisce le tesi aristoteliche. Per lui la conoscenza intellettiva deve basarsi su universali perché non è in grado di raggiungere la singolarità propria
di ciascuno. Questa conclusione è argomentata dal fatto che in presenza di due gemelli
identici non siamo in grado di distinguerli. Perciò il nostro intelletto conosce direttamente
e propriamente solo l'universale. Ma dato che l'astrazione è operata sui fantasmi e i fantasmi si riferiscono agli esseri singolari, i singolari sono percepiti dall'intelletto come gli
enti in cui si attuano le nature intelligibili universali. Perciò Pietro e Paolo sono percepiti
dai sensi nella loro singolarità concreta e conosciuti intellettivamente come realizzanti le
nature di essere, di sostanza, di vivente, di uomo e con le caratteristiche secondarie che li
caratterizzano. La metafora dell'artista e del pennello è usata da S. Tommaso per illustrare
come i fantasmi agiscono sull'intelletto conoscitivo. Un pittore si serve delle proprietà di
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
uno strumento, ad esempio il pennello, per ottenere un determinato effetto. Nel dipingere i
colori vengono disposti sulla tela, ma la disposizione dei colori non dipende dal pennello,
bensì sulla base di un'idea esistente nella mente del pittore. Chi agisce è il pittore, la sua
azione passa attraverso il pennello che concorre con le sue caratteristiche alla realizzazione
dell'opera. Così i fantasmi (pennello) agiscono sull'intelletto conoscitivo (tela) come
strumenti, con le loro virtù proprie, alla luce dell'intelletto attivo (pittore).
In conclusione per la corrente di pensiero aristotelico-tomistica, l'astrazione non è cognizione, ma precede la cognizione; è piuttosto la produzione dell'intelligibile, non il possesso dell'intelligibile in cui consiste la cognizione e da cui ha origine la scienza. L'intelletto attivo che produce l'intelligibile, non è intelligenza, ma luce intellettuale. L'intelligenza
afferra l'intelligibile, lo penetra, lo sviscera, lo fa divenire affermazione e ragionamento.
L'astrazione non è un'operazione intellettiva, ma è originaria ed inconscia. Se dà origine
all'universale, questa origine non è dovuta a una riflessione su alcuni o molti concetti singolari, che si riferiscono a enti singolari, da cui si colga ciò che vi è di comune e si trascuri
ciò che è particolare. Questo processo è presentato da Aristotele come induzione. Essa ha
per oggetto "comportamenti" comuni di diversi agenti singolari, indipendenti dalle
circostanze particolari degli agenti e perciò modi di agire di nature universali esistenti in
quegli agenti. Se l'astrazione fosse cogliere il comune e tralasciare il particolare sarebbe
un'induzione; essa presupporrebbe diverse cognizioni precedenti, non sarebbe la prima
produzione dell'intelligibile. Con l'induzione è colto in molti individui ciò che è simile o identico, ma non un vero universale, in quanto si tratta di sostanza individuata che potrebbe
essere presa come rappresentante degli individui simili, non ne costituirebbe l'universale.
L'astrazione libera la natura identica degli individui dalla materializzazione, la fa intelligibile in atto.
Nella filosofia medievale la corrente di tradizione agostiniana interpreta, con varie sfumature, l'astrazione come semplice discriminazione tra sostanza individuale e accidenti.
Ciò perché come specifica De rerum principio, un testo attribuito a Duns Scoto (1265 1308), ma che pare essere di Vitale dal Forno (1260 - 1327) «Prius cognoscit intellectus
singulare quam universale; impossibile est enim quod rationem universalis ab aliquo abstrahat nisi id, videlicet a quo, abstrahit, precognoscat». Ma in questo modo l'universalizzazione diviene una semplice generalizzazione e l'astrazione una forma di induzione. Su questa strada si muove anche Guglielmo Occam (1280 - 1349), per il quale l'astrazione è una
generalizzazione, conseguente alla cognizione dei singolari. L'intelletto attivo è quello conoscitivo e per la conoscenza intellettiva non è necessario il concorso dei fantasmi.
Nella Seconda Scolastica, ad esempio in Francisco Suarez (1548 - 1617), si propone
che l'intelletto conosca prima i singolari, poi per riflessione e astrazione, gli universali: l'astrazione consiste dapprima nel prescindere dagli accidenti per considerare soltanto la so-
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
stanza individua, simile e comune a tutti i singolari, poi nel considerarla come esistente in
infiniti singolari.
La filosofia moderna ha ereditato il concetto occamistico di astrazione: generalizzazione
d'un elemento o aspetto esistente in un individuo, presente anche in altri. È però una problematica poco "frequentata" dai filosofi. Kant usa esplicitamente l'astrazione come "isolamento" degli elementi a priori della conoscenza.
Solo Edmund Husserl (1859 - 1938) sembra riprendere interesse per l'astrazione. Scrive nelle Ricerche Logiche: «Mentre abbiamo presente un oggetto rosso, messo in particolare rilievo il suo rosso, noi (producendolo) intendiamo (intellettivamente) il rosso, e lo fissiamo con una conoscenza di nuovo tipo, in virtù della quale diventa per noi oggetto la
specie invece dell'individuo…Partendo da un oggetto dato, formiamo la nozione specifica
mediante l'astrazione, concepita però in senso diverso da quello della psicologia empiricista…L'atto con cui intendiamo intellettivamente lo specifico è essenzialmente diverso da
quello con cui intendiamo l'individuale, sia questo un tutto o la parte di un tutto».
Il matematico e filosofo americano Charles Peirce (1839 - 1914) ha individuato due aspetti: l'astrazione prescissiva che è la conoscenza che si esercita isolando determinati aspetti dalle cose e trasformandoli poi, detti aspetti, in temi di argomentazione; a questa egli
contrappone l'astrazione ipostatica, che consiste nel produrre entità astratta come sono gli
enti matematici.
Nella Matematica l'astrazione è usata per fornire definizioni. Il V libro degli Elementi di
Euclide presenta la Teoria delle proporzioni di Eudosso di Cnido (408 - 355 a.C.). Secondo tale teoria il rapporto (λóγoς) di due grandezze viene definito per mezzo dell'eguaglianza di rapporti: il rapporto a:b si dice eguale al rapporto c:d se presi comunque i numeri
naturali n, m, si ha che se
ma > n b oppure ma = nb oppure ma < nb,
rispettivamente si ha
mc > nd ; mc = nd ; mc < nd.
Il processo di astrazione si trova poi codificato nella matematica moderna nel passaggio
alle classi di equivalenza, quindi connesso con relazioni di equivalenza. Così i caratteri comuni a più enti trovano nella classe che li "raccoglie" il risultato dell'astrazione, la concretizzazione della proprietà che li accomuna. Il risultato è una definizione. Ad esempio partendo dalla relazione riflessiva, simmetrica e transitiva di parallelismo Giovanni Vailati
(1863 - 1909) definisce per astrazione la direzione comune.
Avendo introdotto nuovi enti grazie all'astrazione, si pone il problema della eguaglianza
tra essi. Essa viene così definita in termini di opportune proprietà, quelle che esprimono la
relazione di equivalenza considerata. Per questo motivo data una proprietà da essa si deduce una relazione di equivalenza tra gli enti ritenendo equivalenti enti che soddisfano in
egual grado alla proprietà. Gli oggetti a e b si dicono eguali, rispetto alla data proprietà se
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
appartengono alla classe individuata dalla relazione di equivalenza. Ciò vuol dire che tali
enti si ritengono sostituibili riguardo al concetto astratto della classe (ne sono rappresentanti). L'eguaglianza che in questo modo viene ad essere determinata è una relazione che
deve però essere verificata come eguaglianza, vale a dire deve godere del Principio di sostitutività. È questa la problematica che in Matematica è presente col nome di indipendenza dai rappresentanti.
(h) Assiomatizzazione. È il tipico processo in cui, data una lunga lista di "tutti" i teoremi
di un dato argomento, ci si pone in una posizione metacognitiva, chiedendosi se c'è la possibilità di dedurli tutti da una lista opportunamente più corta e più "dominabile". Tale lista
è quella degli assiomi che servono per "descrivere" in termini sintattici quell'argomento. In
che senso la lista sia più corta va però precisato. Si prenda un argomento, ad esempio lo
studio dei numeri naturali. Man mano che lo studio avanza si possono trovare proprietà,
ad esempio fornendo una lista completa di tutti i risultati ottenuti calcolando le somme ed i
prodotti dei primi centomila numeri, considerandoli due alla volta, tre alla volta, quattro alla
volta,…, centomila alla volta. Se tale numero non è sufficiente, ad esempio quando c'è
bisogno di quantificare il debito dello Stato italiano, basta aumentare la lista ai primi
centomilioni di numeri. La lista così ottenuta è finita, anche se un poco ingombrante. Se
invece di essa si prende un'altra assiomatizzazione, ad esempio quella che prevede il
Principio di induzione matematica, si viene a chiedere una infinità di assiomi, ma tutti di
un solo schema. La lista, in tal caso non può esistere, perché infinita, ma è sicuramente più
"maneggevole" della considerazione dei risultati delle operazioni dette.
La scelta degli assiomi "giusti" può portare ad una comprensione profonda e ad una migliore comprensione dell'argomento.
Così Euclide ha presentato un'assiomatizzazione che fornisce proprietà di congruenza
dei triangoli sufficiente a provare tutti i teoremi (a lui) noti sulla congruenza di tali figure.
In tempi più recenti, con l'introduzione della metodo delle coordinate, è stato osservato che
molte delle proprietà della stereometria euclidea possono essere presentati in termini di
vettori v = 〈x,y,z〉. Si considera quindi l'insieme 3 ed in esso si definiscono l'addizione
R
di vettori (componente per componente) e la moltiplicazione di uno scalare per un vettore.
Gli assiomi sono quelli consueti per gli spazi vettoriali. Si ottiene così che 3 è uno
R
spazio vettoriale di dimensione 3; in esso si dimostrano i postulati della Geometria di Euclide, purché opportunamente tradotti. Anzi un qualsiasi spazio vettoriale su di dimensione 3 può essere visto come un modello della geometria euclidea.
R
Il modello tradisce l'originale: in
R 3 si possono considerare punti (vettori) quali
3
〈π,e, √
 2〉 che non sono costruibili nella Geometria euclidea, una volta assegnato un segmento unitario, come faceva Cartesio. Non è quindi lo stesso dimostrare proprietà nel mo-
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
dello e dimostrare proprietà nella Geometria di Euclide. Ad esempio, nel modello una retta
è un insieme di punti; nella presentazione assiomatica della geometria è un ente primitivo.
Vi sono altri esempi ben riusciti di assiomatizzazione. Il processo di astrazione di cui si
parla sopra, spesso utilizza l'assiomatizzazione. Ma il compito di trovare un sistema di assiomi per descrivere un argomento non è facile: specie quando il soggetto ha una veste
matematica incompleta. È il caso della termodinamica e della meccanica, della Teoria dell'utilità in econometrica, ecc.
(i) Analisi della dimostrazione. Si consideri un risultato matematico di un certo rilievo
sia dal punto di vista teorico che nelle applicazioni. La Matematica è ricca di risultati di
questo tipo. Svolgendo un'analisi approfondita della dimostrazione, è possibile individuare
una lista "piccola" di proprietà che possono essere assunte come assiomi di una teoria in
cui si ottiene il risultato in considerazione. Ad esempio la manipolazione delle equazioni
algebriche ha storicamente preceduto di molti anni, secoli addirittura, l'individuazione degli
assiomi di anello commutativo che forniscono la lista minima di assiomi che servono a
"permettere" le consuete manipolazioni algebriche sui polinomi.
Di nuovo, idee matematiche nuove talvolta possono essere "districate" analizzando cosa
rende "fidata" una data dimostrazione. Un semplice esempio chiarificatore di questo è la
dimostrazione che una funzione f: H → continua su un intervallo chiuso H di numeri
R
reali è ivi uniformemente continua, il Teorema di Heine e Cantor. La dimostrazione, presentata indipendentemente da Cantor e da Heinrich Eduard Heine (1821 - 1882), viene ad
essere fondamentalmente una proprietà dei numeri reali. Nel seguito Emile Borel (1871 1956), ha sviluppato e generalizzato tale dimostrazione ottenendo quello che oggi è noto
col nome di Teorema di Heine-Borel: l'affermazione che in , anzi in n, un insieme è
R
R
chiuso e limitato se e solo se è compatto 1.
Questa analisi delle attività non è completa ed inoltre non è possibile separare un'attività
matematica dall'altra, secondo lo schema qui presentato. Comunque questi processi interni
alla Matematica giocano un ruolo importante, una sorta di contrappunto alle richieste che
le applicazioni pratiche e le altre scienze pongono alla nostra disciplina.
In un certo senso lo sviluppo che si presenta nel seguito tiene conto delle idee qui illustrate. Non c'è però da confondere lo sviluppo storico dei concetti dalla presentazione attuale, soprattutto per il ruolo importante che qui viene assegnato agli assiomi, che sono,
storicamente, il frutto di una riflessione successiva sugli oggetti matematici.
1 Si noti che la nozione di insieme compatto in uno spazio topologico, cioè tale che per ogni ricoprimento di
esso mediante insiemi di aperti, esiste un ricoprimento finito estratto da quello dato, è un carattere finito. In un
certo senso esso giustifica l'atteggiamento di Aristotele nel non ritenere infinito un segmento, in quanto chiuso
e limitato.
In questo punto il testo di Mac Lane ha una imprecisione, scrive infatti a pag. 40 che un intervallo chiuso che
possa essere eguale all'unione di una collezione di intervalli aperti è anche l'unione di un numero finito di essi.
Ma l'unione di un numero finito o no di insiemi aperti è un insieme aperto. Per questo è corretto dare la nozione
di insieme compatto non con l'eguaglianza, ma con l'inclusione implicita nel concetto di ricoprimento. Se si
assume la nozione proposta da Mac Lane, alla luce del Teorema di Heine-Borel, non esistono intervalli chiusi!
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Capitolo 2 - Concetto di numero
2.1. Proprietà dei numeri naturali. Si è già argomentato che varie attività umane portano ai numeri naturali. A questo punto però c'è da distinguere tra la successione dei numeri naturali, che richiede solo l'infinito in potenza, e la considerazione dell'insieme dei
numeri naturali , la cui stessa esistenza non è pensabile senza l'accettazione dell'infinito
in atto.
Sempre sulla base di alcune attività umane, si possono introdurre su tali numeri le operazioni di addizione, moltiplicazione ed elevamento a potenza. Di tali operazioni si è parlato nel paragrafo 1.1. L'introduzione delle operazioni è sicuramente assai antica, anzi è possibile riconoscerne la presenza nelle stesse notazioni usate per denotare i numeri dalle culture precedenti quella greca. Non è facile ricostruire la storia delle proprietà delle operazioni, anzi forse non è neppure possibile. Un reperto archeologico trovato non molto tempo fa, mostrava un primo rudimentale strumento di calcolo numerico costituito da un osso
recante incise delle tacche (un tally). Si può quindi dire che i numeri sono nati assieme alle
operazioni su di essi.
Questo aspetto è assai importante ed ha una forte valenza didattica. Nei programmi della
Scuola italiana, si possono trovare occasioni per introdurre i vari sistemi numerici. Se l'obiettivo di questi argomenti fosse solo illustrare come introdurre i vari numeri, si avrebbe
ben poco. Ma è importante "lavorare" con i numeri, facendo comprendere quindi che la
"natura" dei numeri è quella di essere strumenti o modelli per le applicazioni e che la loro
duttilità per le applicazioni consiste nelle operazioni e nelle loro proprietà. Non ha quindi
molto senso lavorare anche "duramente" sull'introduzione di un certo tipo di numeri se poi
gli oggetti culturali così introdotti non si prestano ad essere soggetti e risultati di
operazioni. C'è da tenere inoltre presente che tutti i tipi di numeri sono stati prima i "soggetti" e i "risultati" di operazioni e solo in seguito i matematici hanno posto attenzione alla
possibilità di una loro definizione. Si può dire che questa attività di ripensamento sulla
natura del numero si sia svolta nel XIX secolo.
Vediamo una semplice proprietà dell'addizione tra numeri naturali, la proprietà commutativa: per ogni n,m∈
N
N
(1)
n + m = m + n.
Qui la si è presentata premettendo che n e m sono numeri naturali e quantificandoli verbalmente in modo universale. Tale proprietà però non richiede che esista l'insieme dei numeri naturali, quindi è possibile introdurla anche in un contesto di infinito potenziale, co-
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me mostra l'analisi intuizionista. Ci si chiede cosa significhi la (1), in particolare quella richiesta, espressa con "per ogni n,m". Essa può essere il risultato di varie osservazioni, una
volta chiarito cosa significhi sommare due numeri, tutte queste osservazioni portano all'eguaglianza, perciò una legge. In altro modo questa eguaglianza può essere vista come una delle proprietà formali dell'ente "addizione", che come funzione è facile introdurre nell'ambito dell'infinito in atto, però con un poco di attenzione può essere ottenuta anche in
ambito potenziale. Non si dice, lo si sottintende, che il risultato dell'addizione di due numeri naturali sia ancora un numero naturale.
Resta però in questa scrittura un altro "attore", l'eguaglianza, "=". Cosa significa che
due numeri naturali sono eguali? Una possibile risposta, che si tratti dello stesso numero,
non chiarisce il problema. Ad esempio Euclide dice che due parallelogrammi aventi la
stessa base e la stessa altezza sono eguali, intendendo che hanno la stessa area. Quindi la
nozione di eguaglianza di figure viene ricondotta ad un'altra eguaglianza. Lo stesso avvien
p
ne tra numeri razionali: si ha m = se n·q = m·p, quindi anche in questo caso l'eguaq
glianza tra numeri razionali viene ricondotta ad un'altra eguaglianza, in questo caso tra numeri interi relativi. Ma se i numeri naturali sono alla base delle costruzioni matematiche, è
importante comprendere cosa si intende per eguaglianza tra numeri naturali.
Le possibilità sono due: dare contestualmente i numeri naturali e l'eguaglianza, oppure
ricondurre i numeri naturali ad altri enti, se possibile, ancora più elementari, quali gli insiemi, e riottenere dall'eguaglianza tra questi enti quella tra i numeri naturali.
Il problema dell'eguaglianza dei numeri naturali era ben presente a Peano che in Arithmetices principia nova methodo exposita, del 1889, presenta l'eguaglianza come uno dei
concetti primitivi.
Nel successivo, Sul concetto di numero, del 1891 scompare l'eguaglianza come concetto
primitivo, in quanto viene riconosciuta come concetto logico. Gli assiomi di Peano in
questa seconda versione presentano implicitamente anche le proprietà dell'eguaglianza,
vista come quella relazione che soddisfa le richieste esplicitate.
Nell'introduzione assiomatica dei numeri naturali è necessario assegnare assieme eguaglianza ed operazioni; la presenza dell'eguaglianza e delle operazioni non è indispensabile
se i numeri vengono introdotti basandosi sugli insiemi, sia come ordinali di Von Neumann, sia come cardinali degli insiemi finiti.
Se si accetta questo punto di vista "operatorio", è importante comprendere che le proprietà (o le leggi) delle operazioni forniscono anche i connotati della relazione di eguaglianza che ci interessa definire tra i numeri naturali.
Così si possono introdurre o meglio riconoscere le proprietà delle operazioni: per ogni
n,m,k∈ si ha, oltre a (1),
N
(2)
n + 0 = n;
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C. Marchini
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
k + (n + m) = (k + n) + m;
n·1 = n;
n·m = m·n;
k·(n·m) = (k·n)·m;
k·(n + m) = k·n + k·m.
Se le operazioni vengono date in modo "assiomatico", queste sono richieste formali, veri
e propri assiomi sulle operazioni (e sull'eguaglianza). Se si adotta la "riduzione" della
Teoria dei numeri a quella degli insiemi, questi sono semplici teoremi da dimostrare. Come però già osservato nel paragrafo 1.1, una volta introdotte tali regole formali, ci si disinteressa della definizione delle operazioni stesse, ma sono tali regole che divengono il significato delle operazioni. Ed una volta stabilmente affermate le regole, la presenza di un
errore in un calcolo viene "riconosciuta" direttamente a partire dalle definizioni formali,
senza bisogno di ritornare al significato delle operazioni stesse.
Può essere interessante interpretare "geometricamente" la (7). Essa può essere letta come il fatto che si può "spezzare" un rettangolo in due rettangoli aventi la stessa altezza:
ovviamente se è noto come ottenere l'area del rettangolo. In questo modo si introducono di
fatto considerazioni che poi si raccordano nel concetto di classe di grandezze.
La (7) merita di essere analizzata anche da un altro punto di vista. Prima però si vuole
riflettere sulla (3). In essa compaiono le parentesi. L'abitudine al loro uso ci può far perdere di vista che la loro introduzione nell'attuale percorso scolastico italiano avviene solo
nelle classi terminali della scuola elementare (formula dell'area del trapezio) e potrebbe
non essere un caso se tale figura geometrica risulta tra le più difficili in quell'età scolastica.
Prima di essa le parentesi sono abolite, tanto che non è infrequente trovare sui testi elementari che l'addizione è un'operazione binaria, ternaria, quaternaria, ecc. Successivamente,
nella scuola media, le cosiddette espressioni, sono sostanzialmente dedicate anche alla
comprensione dell'uso delle parentesi (di varia foggia). Ma con le parentesi di fatto si fornisce una regola formale di calcolo che stabilisce un ordine di precedenza nello svolgimento dei calcoli e tale ordine rappresenta il significato formale delle parentesi.
Riprendiamo la (7), in essa si fa uso della convenzione che stabilisce una diversa "aderenza" delle operazioni. La scrittura corretta sarebbe
k·(n + m) = (k·n) + (k·m)
in cui si mette in evidenza che prima bisogna svolgere le due moltiplicazioni e poi l'addizione. In un certo senso quindi la (7) così come viene formulata, riassume in sé questi due
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C. Marchini
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tipi di convenzione: le parentesi e l'aderenza delle operazioni. Si può anzi aggiungere anche l'elevamento a potenza come operazione che ha la massima aderenza. Di fatto quindi
nei numeri naturali non si introducono solo le operazioni, ma anche una serie di convenzioni che in parte costituiscono il significato formale delle operazioni stesse. È da notare
che nell'estendere poi i sistemi numerici, alcune delle proprietà dei numeri naturali vengono perdute, mentre altre rimangono e tra queste le convenzioni di calcolo e delle parentesi qui accennate.
Oltre alle proprietà dette ve ne sono molte altre. Per esempio il fatto (banale) che il resto
della divisione per 4 di ogni quadrato fornisce come resto 0 oppure 1 e mai 2 oppure 3.
Un'altra fondamentale proprietà dei numeri naturali è: preso ad arbitrio b > 1, ogni numero naturale può essere scritto in un unico modo in termini di un "polinomio" in b, cioè
(8)
n = akbk + ak-1bk-1 + … + a1b + a0,
vale a dire per ogni n esiste un k ed esistono ak, ak-1,…,a1, a0, tutti numeri naturali
minori di n, tali che valga la (8). Ciò permette la scrittura posizionale dei numeri naturali in
base b ed il fatto che i coefficienti siano minori di n permette di determinare un procedimento effettivo per il computo. La più nota è la scrittura con le cifre decimali, introdotte
in Europa da Leonardo Fibonacci (1170 - 1240) con il Liber abaci (1202). Nell'ambito
informatico hanno importanza le numerazioni in base 2, quella in base ottale ed anche la
esadecimale, in cui oltre alle cifre decimali si usano come cifre le lettere A, B, C, D, E, F.
La presenza del sistema di numerazione posizionale è quindi possibile solo in base ad
una proprietà (da provare!) dei numeri naturali. Non si può pertanto ritenerla solo una
convenzione, ma è basata su un risultato teorico. Come si è visto anche nel paragrafo 1.1,
una volta scelta la base, le operazioni vengono di fatto definite dalle tavole pitagoriche utilizzando però tutte le proprietà formali delle operazioni.
2.2. I postulati di Peano. Le proprietà viste nel paragrafo precedente sono, di fatto, leggi,
cioè il risultato di una indagine sperimentale talvolta di tipo induttivo. Oltre a queste ve ne
sono molte altre. Esse però potrebbero essere dimostrate facendo riferimento ad altri
ambiti. Ad esempio possono essere ottenute come proprietà dei numeri cardinali finiti
(ammesso di avere una nozione di finito che prescinda dal numero naturale), oppure mediante gli ordinali di Von Neumann, ma anche in questo caso limitandosi a quelli finiti.
Tali dimostrazioni, a parte la loro complessità, hanno il difetto di uscire dall'ambito dei numeri naturali. Se si vuole restare all'interno dei numeri naturali bisogna identificare le
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C. Marchini
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proprietà da assumere come assiomi e ricavare mediante processi logici le altre proprietà a
partire da esse.
Un'idea in parte è già stata presentata: definendo la moltiplicazione come addizione iterata e l'elevamento a potenza come moltiplicazione iterata, si potrebbero assumere le proprietà dell'addizione come base assiomatica. A ben vedere anche l'addizione ammette una
descrizione per iterazione a partire dalla addizione di 1. Ciò che è stato proposto in modo
diverso da Dedekind e da Peano, è stato quello di prendere come operazione fondamentale
quella di sommare 1, anzi per evitare il riferimento all'addizione che potrebbe ingenerare
un sospetto circolo vizioso, considerare una "nuova" operazione, quella di passaggio al
successivo, sfruttando cioè la natura discreta dei numeri naturali 1. Con questa scelta gli
assiomi divengono una lista di proprietà dell'operazione unaria di passaggio al successivo.
C'è inoltre implicita l'idea che partendo da 0 (o da 1) mediante l'operazione di passaggio al
successivo si possano raggiungere tutti i numeri naturali. Si ottengono così i postulati di
Peano; è un problema aperto comprendere se la nozione di infinito sottintesa da Peano sia
quella attuale o quella potenziale. Le presentazioni attuali, ad esempio quella di Mac Lane,
non si pongono questi problemi, considerando gli assiomi come la descrizione dell'insieme , non le proprietà dei numeri naturali, senza per altro richiedere di collezionarli
in un insieme 2.
Si riportano qui gli assiomi nella versione strutturale, anche se non del tutto aderente a
quella originale di tali assiomi 3.
N
Definizione. (Postulati di Peano) I numeri naturali sono elementi del sostegno della
struttura 〈 ,0,s〉, ove 0∈ , s: → sono tali che siano soddisfatte le seguenti pro-
N
N N
N
prietà:
• ∀n∈ (0 ≠ s(n))
• ∀n,m∈ (s(n) = s(m) → n = m)
• (schema o Principio di induzione) Per ogni proprietà ϕ,
(1)
(ϕ(0) ∧ ∀n∈ (ϕ(n) → ϕ(s(n)))) → ∀n∈
N
N
N
N (ϕ(n)).
1 Si può parlare di successivo in un qualsiasi insieme ordinato: basta assumere come successivo di x il minimo
dei maggioranti propri di x (ammesso che questo esista). In questo modo si colgono analogie e differenze tra la
struttura dei numeri naturali e quella dei numeri reali. La presenza del successivo per ogni elemento implica la
presenza di una funzione definita sull'insieme a valori in esso.
2 Le fotocopie allegate sono relative a Arithmetices principia nova methodo exposita, del 1889, in latino e a
Sul concetto di numero, del 1891, in italiano. E' importante osservare l'evoluzione del simbolismo usato ed il
fatto che gli assiomi non sono in numero di 5. Il simbolo ε, da cui deriva l'attuale ∈ è inteso qui come una copula
in un predicato nominale. Nella prima versione non compare la richiesta che
sia una classe (un insieme) che è
presente nella presentazione del 1891.
3 Con la definizione indicata non compaiono i 5 postulati di Peano, nella forma più diffusa oggi sulla letteratura, e presentati anche da Mac Lane. Qui se ne presentano solo tre; i due che mancano, 0∈ e ∀n∈ (s(n)∈ )
sono compresi nella affermazione che la struttura che stiamo considerando è una struttura algebrica con un elemento privilegiato ed una operazione unaria, messa in evidenza prima di elencare le altre proprietà.
N
N
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N
N
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Prima di procedere qualche commento su queste richieste. La prima richiesta solitamente viene presentata assieme alla nozione di struttura algebrica: il sostegno della struttura è
un insieme non vuoto. Qui ciò è ribadito dalla presenza di un elemento privilegiato: 0 che
è elemento del sostegno. Il fatto che s sia una funzione da a , o legge di composizione interna, comporta che s applicata ad un numero naturale fornisce sempre un numero
naturale. La prima richiesta messa in evidenza afferma che s non è suriettiva, dato che
esiste 0∉s[ ], quindi s[ ] ⊂ . La seconda richiesta permette di affermare che s è
N N
N
N N
N
N
iniettiva. Ma ciò comporta che s vista come funzione da a s[ ] è una biezione, quindi
è un insieme infinito (secondo la definizione di insieme infinito data da Dedekind).
Il Principio di induzione serve allora a identificare, tra tutti gli insiemi infiniti, l'insieme
dei numeri naturali (almeno questa era l'intenzione di Peano). Qui però c'è da chiarire il
concetto di proprietà, dato che è lasciato nel vago. Come si vede nella prima formulazione
di Peano non si parla tanto di proprietà ma di classi (o insiemi). Quindi il principio diventa
N
N (n∈K → s(n)∈K)) → N ⊆ K) 1.
∀K ((0∈K ∧ ∀n∈
(2)
N (n∈K → s(n)∈K) oggi viene detto un insieme in-
Un insieme K tale che 0∈K ∧ ∀n∈
duttivo; Dedekind lo definisce come "una catena". La (2) si può leggere come la richiesta
che, sia il "minimo" insieme induttivo o la minima catena, quindi è identificabile
come l'intersezione di tutte le catene. In modo equivalente, si può richiedere che il più
piccolo sottinsieme induttivo di sia lo stesso insieme :
N
N
N
∀S⊆
(2’)
N
N ((0∈S ∧ ∀n∈N (n∈S → s(n)∈S)) → S = N).
Si hanno quindi due diverse formulazioni, una "dall'alto" e l'altra "dal basso". L'equivalenza tra la (2) e la (2’) è di facile dimostrazione: se vale la (2), allora a maggior ragione
vale la (2’) che si ottiene come caso particolare. Infatti dall'ipotesi S ⊆ e dalla conclusione della (2), ⊆ S si ha S = . Viceversa se vale la (2’) allora preso arbitrariamente
un insieme induttivo K, si considera S = (K∩ ). Si ha ovviamente che S ⊆ e 0∈ , ed
inoltre ∀n∈ (n∈S → s(n)∈S), quindi S è induttivo e per la (2’), S = , cioè =
(K∩ ), ma ciò equivale a ⊆ K, cioè la (2).
N
N
N
N
N
N
N
N
N
N
N
Un esempio d'immediata applicazione della (2’) si ottiene considerando S =
({0}∪s[ ]), per tale insieme si può provare banalmente (0∈S ∧ ∀n∈ (n∈S →
s(n)∈S)), quindi S = . Ciò comporta che ogni numero naturale è 0 oppure un successivo. Anzi, grazie al primo postulato di Peano, si può affermare che s[ ] = * = {n∈ | n
N
N
N
N N
≠ 0}.
N
1 In questa forma si parla di induzione insiemistica o induzione al secondo ordine perché il quantificatore universale non è applicato agli elementi di , ma ad insiemi. Pertanto se si assume l'assioma così, non si sta parlando solo di numeri naturali, ma intervengono anche gli insiemi e quindi le proprietà dei numeri naturali non
sono formulate solo all'interno dell'ambito aritmetico, ma richiedono una teoria degli insiemi in cui "immergerle".
N
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C. Marchini
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Questo modo di considerare la proprietà è puramente estensionale: invece che la proprietà si prende in considerazione l'estensione di essa. Accanto a questa interpretazione del
concetto di proprietà Frege ed altri propongono un'interpretazione intensionale della proprietà, cioè l'identificazione della proprietà con una formula di un opportuno linguaggio,
qui il linguaggio della Aritmetica. In tal caso ϕ è una formula arbitraria ed il principio
viene letto in questo modo.
Non è da credere che la scelta della formulazione dell'induzione nella forma (1), (2) o
(2’) sia irrilevante, soprattutto se si identificano le proprietà con le formule. Sicuramente
se si adotta (2) si ha anche (1), dato che attraverso l'estensione della formula si ha un insieme. D'altra parte poiché una formula è un ente finito scritto utilizzando un alfabeto, vi è
solo un'infinità numerabile di formule, mentre l'insieme P( ) è un insieme infinito con
N
cardinalità più che numerabile. Si possono pertanto provare teoremi sui numeri naturali
utilizzando la Teoria degli insiemi, ma che non possono essere provati all'interno dell'Aritmetica, cioè coi postulati di Peano in cui si usi l'induzione nella forma intensionale, cioè
la (1) in cui le proprietà sono intese come formule. Ad esempio una proprietà che si può
provare mediante la (2) e non con la (1) in cui si utilizzino le formule è l'unicità di a
meno di isomorfismi. Per contro usando la (1) con le formule, l'operazione di passaggio al
successivo non "esaurisce" tutto , come mostra la presenza dei modelli non standard
dell'Aritmetica.
Un'osservazione dal punto di vista didattico. È interessante riflettere sulla forma del
Principio di induzione. In esso si distinguono tre parti: la base induttiva, vale a dire ϕ(0)
che, solitamente, consiste in una semplice verifica; si ha poi il passo induttivo, cioè ∀n∈
(ϕ(n) → ϕ(s(n))) e la conclusione ∀n∈ (ϕ(n)). Una delle difficoltà didattiche maggiori
N
N
N
N
è quella di distinguere tra il passo e la conclusione. Il passo ha la forma di un'implicazione; l'antecedente, ϕ(n), viene detto ipotesi induttiva ed il conseguente, ϕ(s(n)),
detto tesi induttiva. La dimostrazione del passo induttivo, un vero teorema nel teorema, è il
punto delicato e solitamente utilizza risultati matematici legati alla natura della proprietà da
provare.
Se questi aspetti non vengono ben precisati, ad esempio scrivendo per esteso l'esempio
dello schema di induzione in cui si particolarizza la proprietà ϕ, lo studente difficilmente
può cogliere che tutto l'impianto dimostrativo è teso a provare ϕ(0), di solito una banalità,
e che poi assunto ϕ(n) si prova ϕ(s(n)), e tutto ciò per concludere ancora ϕ(n), la stessa
affermazione assunta prima come ipotesi! È quindi importante mettere in luce il ruolo dei
quantificatori ed il raggio di azione del quantificatore, evidenziato dall'uso corretto delle
parentesi. C'è poi anche da chiarire perché basta provare la base ed il passo induttivo per
avere la tesi induttiva, introducendo in questo modo la problematica del Teorema di deduzione.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Si noti che spesso erroneamente si formula l'ipotesi induttiva dicendo: «si suppone vera
ϕ(n)». Per famosi risultati di Gödel del 1931, i concetti di verità e dimostrabilità sono diversi. Sicché è corretto dire: «si assume ϕ(n)», senza menzionare la verità di ϕ(n).
La giustificazione intuitiva del Principio di induzione è basata proprio su un ragionamento induttivo, nel senso delle scienze sperimentali: se una proprietà vale per 0, poi vale
per il successivo di ogni numero per cui già vale, pertanto vale per 1, in quanto successivo
di 0 e poi per 2, in quanto vale per 1, e così via, fidando in una sorta di regolarità della natura. Di solito la locuzione e così via sottintende proprio un ragionamento induttivo che in
Matematica si può trasformare in dimostrazione per induzione.
Invece dell'assioma di induzione nella forma (2’) è possibile, seguendo un lavoro del
1908 di Mario Pieri (1860 - 1913), professore all'Università di Parma, usare il cosiddetto
Principio di minimo, vale a dire l'asserzione che rispetto all'ordine naturale è un insieme
bene ordinato. Bisogna però prima definire la relazione d'ordine e questo può essere fatto
in vari modi, ponendo per ogni n∈ , n < s(n) e poi considerare la più piccola relazione
N
N
transitiva che estende questa relazione data solo per certe coppie 1. Dal punto di vista
intuitivo il Principio di minimo, cioè l'affermazione che un sottinsieme non vuoto di ha
un minimo, è assai più intuitiva. Infatti se A ⊆ e A ≠ ∅, allora esiste a∈A. Considerato
ora l'insieme finito B = ({0,1,2,…,a}∩A) di esso si può trovare il minimo mediante un
N
N
confronto (con un numero finito di casi) tra i suoi elementi. Il minimo di B è però anche il
minimo di A. Si può quindi assumere il Principio di minimo al posto dello schema di induzione, perché più intuitivo, caratteristica questa che dai tempi di Euclide viene vista come
un pregio per un assioma. Tuttavia il Principio di minimo si avvale dei sottinsiemi di e
non delle proprietà né delle formule.
Se si assume il Principio di minimo si può provare il Principio d'induzione nella forma
(2’), purché si sia provato il fatto che per ogni z∈ tale che z ≠ 0, esiste w∈ , il predecessore, tale che z = s(w). Sia infatti X ⊆ tale che 0∈X e ∀n∈ (n∈X → s(n)∈X). Si
supponga, per assurdo, che X ≠ , quindi Y = ( - X) ≠ ∅. Per il Principio di minimo
esiste y∈Y che ne è il minimo. Ovviamente si ha y ≠ 0, dato che 0∈X, quindi 0∉Y. Ma
se u è il predecessore di y, si ha u < s(u) = y, pertanto u∉Y. Ma ciò comporta u∈X,
quindi per le richieste su X, anche s(u)∈X, vale a dire y∈X. Ciò è in contrasto con la
N
N
N
N
N
N
N
determinazione di y come elemento di Y e quindi non appartenente a X.
Viceversa dal Principio o assioma di induzione si ha il Principio di minimo. Si premette
un semplice risultato: sia B ⊆ un insieme non vuoto; si pone C = {x∈ | ∃b∈B(b ≤
x)}. Banalmente B ⊆ C per la proprietà riflessiva della relazione ≤; inoltre z = min (C) se
e solo se z = min(B). Infatti da z = min(C) si ha z∈C, quindi esiste b∈B tale che b ≤ z.
Non può essere b < z, altrimenti b, che è elemento di C sarebbe minore del minimo di C,
N
N
1 Un diverso approccio, ottenuto mediante l'addizione, viene presentato nel successivo paragrafo 3.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
quindi z∈B. Per ogni elemento b’∈B si ha z ≤ b’, dato che B ⊆ C e z = min(C). Quindi
z è un minorante di B ed appartiene a B, da cui z = min(B). Viceversa sia u = min(B). Si
ha u∈B, quindi u∈C, ma se esistesse w∈C tale che w < u, allora, per definizione di C
esisterebbe x∈B tale che x ≤ w. Di qui per la proprietà "transitiva" mista di ≤ e < si avrebbe x < u, contro l'ipotesi che u = min(B).
Ora per provare che dall'induzione segue il Principio di minimo si suppone per assurdo
che esista un insieme non vuoto B ⊆ che non ha minimo e sia C come detto prima; anche C non ha minimo. Si pone D = ( - C). Tale insieme è non vuoto, dato che 0∈D, in
N
N
quanto, altrimenti apparterrebbe a C, quindi sarebbe sicuramente il minimo di C. Inoltre
se n∈D, cioè n∉C, non esiste m∈C tale che m ≤ n, altrimenti esisterebbe v∈B tale che v
≤ m. Per la proprietà transitiva di ≤, di qui si concluderebbe v ≤ n, cioè n∈C, mentre
n∉C. Ma anche s(n)∈D, altrimenti si avrebbe s(n)∈C e nessun numero naturale minore
di s(n) potrebbe essere elemento di C, per quanto osservato sopra. In tal modo s(n) sarebbe il minimo di C. Si ha dunque che D ⊆ , 0∈D e per ogni n∈ , se n∈D, allora
s(n)∈D. Per il Principio di induzione nella forma (2), D = e ciò comporta C = ∅ da
cui, a maggior ragione, B = ∅, contro l'ipotesi.
N
N
N
Da queste considerazioni si vede il limite del Principio di minimo. Molto spesso il Principio di induzione viene assegnato con le proprietà. Passare attraverso il Principio di minimo richiede un passsaggio ad aspetti estensionali e di utilizzare l'estensione delle proprietà
ed una dimostrazione per assurdo, quest'ultima sicuramente meno accettata dagli studenti.
Apparentemente il Principio di induzione è una proprietà dei numeri naturali che può
essere applicata solo ai numeri naturali. Ben presto ci si accorge che ogni volta che in un
ambito matematico più vasto si fa uso dei numeri naturali, c'è la possibilità di avvalersi del
Principio di induzione. In questo caso le proprietà vengono espresse anche con strumenti
non riconducibili all'ambito aritmetico.
Ad esempio si può provare per induzione che per ogni insieme finito a, #P(a) = 2#a.
Questa è una proprietà insiemistica che viene "ricondotta" ai numeri naturali dalla precisazione che a è un insieme finito. Si dimostra, senza usare l'induzione, che P(a) e {0,1}a
sono insiemi in corrispondenza biunivoca, senza assumere l'ipotesi che a sia finito. Un
altro esempio, stavolta geometrico: in un poligono convesso con n lati il numero delle
n·(n-3)
diagonali è 2 . Anche qui la "finitezza" dell'insieme dei vertici del poligono porta la
possibilità di ricondurre la proprietà ai numeri naturali ed all'induzione. Nei due casi però
il passo induttivo viene dimostrato utilizzando proprietà specifiche (insiemistiche e geometriche, rispettivamente).
Torniamo alla Definizione che fornisce i numeri naturali mediante i postulati di Peano.
Questa è una tipica definizione mediante assiomi, del tutto analoga ad altre definizioni di
struttura. Ci sono alcuni termini primitivi: numero, zero, successivo. Gli assiomi presentano quantificazioni universali seguite da formule in cui compaiono i connettivi di negazio- 101 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
ne, congiunzione e implicazione, nonché il predicato di eguaglianza, che in un certo senso
va preso anch'esso come primitivo.
Partendo dai postulati di Peano si possono definire le consuete operazioni aritmetiche
mediante la ricursione: per ogni k,n∈
N
k·0 = 0
{kk ++ 0s(n)= k= s(k + n) {k·s(n)
= k·n + k
(3)
k0 = s(0)
 s(n)
= k·kn
k
Le proprietà formali relative a queste operazioni hanno ciascuna una loro dimostrazione
ottenuta utilizzando solo i postulati di Peano (e la Logica) 1. Questo argomento veniva una
volta trattato nell'Istituto Magistrale, sotto il nome di Aritmetica razionale. Oggi con tale
nome ci si riferisce, di solito, ad una presentazione del linguaggio degli insiemi e delle prime proprietà dei numeri cardinali, come fatto in questi appunti nel paragrafo 1.1.
Queste "nuove" definizioni pongono il problema, assai sentito in ambiente informatico,
se le operazioni aritmetiche definite in modo "più semplice" alla scuola elementare e queste coincidano oppure no. Si deve cioè avere un criterio per confrontare due o più algoritmi. Sicuramente il fatto che le operazioni (o gli algoritmi) operino nello stesso modo su
tanti esempi quanti si voglia, non è sufficiente per concludere la loro coincidenza. A questo proposito è noto il cosiddetto paradosso di Kripgenstein, nome che si ottiene "fondendo" il nome di Ludwig Wittgenstein (1889 - 1951), con quello di Saul Kripke (n.
1940).
Ciascuna delle definizioni ricorsive delle operazioni è del tipo seguente: si consideri, per
il momento, fissato k. Si definisce una funzione fk: → dicendo come opera su 0 e
per ogni n∈ , definendo il valore di fk(s(n)) mediante fk(n) e un'altra operazione. Si può
N
N
N
"generalizzare" questo mediante il seguente
Teorema di Ricursione (Dedekind) Siano X un insieme, a∈X e g: X → X; allora esiste un'unica funzione f: → X tale che
N
(4)
f(0) = a, (f°s) = (g°f)
o, equivalentemente, la prima delle (4) si può scrivere (f°0) = a; le eguaglianze precedenti
comportano la commutatività del seguente diagramma:
1 Anche la definizione dell'ordine discende dai postulati di Peano, si veda il paragrafo seguente. La proprietà di
linearità dell'ordine discende poi dal Principio di minimo, che, come visto è equivalente al Principio di Induzione nella forma (2) o (2’).
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
(5)
La dimostrazione di questo teorema necessariamente dipende dalla definizione di funzione. La parte di esistenza della funzione si avvale dell'induzione nella forma (1): per ogni
n∈ sia n = {0,1,…,n} 1 e si consideri la proprietà ϕ(n) data da: esiste un'unica funzione
fn: n → X tale che fn(0) = a e per ogni k∈n tale che anche s(k)∈n, fn(s(k)) = g(fn(k)).
Chiaramente vale ϕ(0), dato che f0 è perfettamente identificata dall'eguaglianza f0(0) = a.
Ma anche f1: 1 → X è perfettamente identificata: f1(0) = a = f0(0); f1(1) = f1(s(0))
= g(f1(0)) = g(a). Ora se si assume ϕ(n), per ipotesi esiste unica fn: n → X tale che
fn (0) = a e per ogni k∈n tale che s(k)∈n e fn (s(k)) = g(fn (k)). Si definisce fs(n) =
(fn∪{〈s(n),g(fn(n))〉}). Si prova che fs(n): s(n) → X e fs(n)(0) = a e per ogni k∈s(n)
tale che s(k)∈s(n) e fs(n) (s(k)) = g(fs(n) (k)). Ora se h: s(n) → X soddisfa le
richieste precedenti, anche (h|` n): n → X e (h|`n)(0) = a, e per ogni k∈n tale che
s(k)∈n e (h|`n)(s(k)) = h(s(k)), dato che s(k)∈s(n), ma per le proprietà di h, h(s(k)) =
N
g(h(k)) = g((h|`n)(k)). ma per l'unicità di fn, fn = (h|`n). Si ha poi h(s(n)) = g(h(n)) =
g((h|`n)(n)) = g(fn(n)) = fs(n)(s(n)). Pertanto h = fs(n).
Una volta provata questa proprietà si pone f = ∪ fn . E' ben noto che l'unione di
(n∈N )
corrispondenze (cioè sottinsiemi di uno stesso prodotto cartesiano) è una corrispondenza
(cioè ancora un sottinsieme dello stesso prodotto cartesiano) il cui dominio è dato dall'unione dei domini delle singole corrispondenze. Ciò dipende dal fatto che l'operatore dom
richiede un quantificatore esistenziale: dom(fn) = {x∈ | ∃y∈X(〈x,y〉∈fn)}, quindi si
N
può "distribuire" mediante unione. In generale però, l'unione di corrispondenze funzionali
non è una corrispondenza funzionale. Per provare che f è una funzione (essendo una
corrispondenza ovunque definita, basta provare che è funzionale. Per far questo ci sono
molti modi.
Uno è sfruttare il Principio di induzione nella forma (1) e provare che
∀n∈ (∀p∈n(f p (p) = fn (p))). Si considera quindi la proprietà ϕ(n) definita da
∀p∈n(fp(p) = fn(p)). La base induttiva ϕ(0) è data da ∀p∈0(f0(p) = f0(p)). Ma 0 =
N
{0}, quindi l'unico elemento di 0 è 0 e pertanto f0(0) = f0(0), provando così, in modo banale, ϕ(0).Si assume l'asserto per n, cioè si assume ϕ(n), vale a dire ∀p∈n(fp(p) = fn(p))
e lo si prova per s(n), ricordando che fs(n) = (fn ∪ {〈s(n),g(fn(n))〉}). Ma ciò comporta
che essendo s(n) = (n ∪ {s(n)}), per ogni p∈s(n) si hanno due casi: p∈n oppure p =
1 Quindi #n = n+1. Non si tratta degli ordinali di Von Neumann, perché si vuole evitare l'insieme vuoto che altrimenti corrisponderebbe a 0.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
s(n). Nel primo caso si ha fs(n)(p) = fn(p) e, per ipotesi induttiva, fn(p) = fp(p), quindi
fs(n)(p) = fp (p). Nel secondo caso, p = s(n) si ha banalmente fp (p) = fs(n)(s(n)) =
fs(n)(p). Si conclude così ϕ(s(n)). Questi risultati permettono di concludere che f è una
funzione. Infatti, per ogni n∈ , y’,y”∈X se fosse 〈n,y’〉∈f e 〈n,y”〉∈f, esisterebbero
m,q∈ tali che 〈n,y’〉∈fm e 〈n,y”〉∈fq. Di qui sarebbe n∈m e n∈q, quindi, per quanto
N
N
appena provato, y’ = fm(n) = fn(n) = fq(n) = y”, pertanto y’ = y”.
Un'altra dimostrazione che riporto qui per mostrarne un esempio (non molto significativo), si ottiene per doppia induzione. Si consideri l'affermazione (equivalente a quella
precedente) ∀n∈ ∀p∈ (p∈n → fp(p) = fn(p)). Si pone ora An = {p∈ | p∈n →
fp(p) = fn(p)}. Si considera ora la proprietà ψ(n) data da An = e si conduce la dimostrazione per induzione su n. Si prova ψ(0), vale a dire A0 = {p∈ | p∈0 → fp(p) =
N
N
N
N
N
N
f0(p)} = . La prova della base induttiva in questo caso è banale, anche se a priori potrebbe richiedere anch'essa l'induzione, cioè la dimostrazione che 0∈A0 e che se q∈A0,
anche s(q)∈A0. Come si diceva in questo caso la condizione che definisce l'insieme A0 è
dimostrabile facilmente dato che se p = 0, allora p∈0, ma fp(p) = f0(0) = f0(p). Se p ≠
0, allora, si ha che p∈0 → fp(p) = f0(p) è vera, dato che l'antecedente è falso, da cui, via
N
teorema di completezza del calcolo proposizionale, è dimostrabile. Pertanto A0 = .
Si assume ora ψ(n), cioè An = , e si vuole provare ψ(s(n)), vale a dire As(n) = . La
dimostrazione di quest'ultimo fatto avviene per induzione. Si ha 0∈As(n): è sicuramente
0∈s(n) e f0 (0) = a = fs(n)(0). Si assuma poi per ipotesi induttiva che q∈A s(n) e si
vuole provare che s(q)∈A s(n). Si hanno due casi: s(q)∈s(n) oppure s(q)∉s(n). Il
primo caso si spezza in due sottocasi: s(q)∈n oppure s(q) = s(n). Nel primo sottocaso,
dato che An = e s(q)∈n, si ha fs(q)(s(q)) = fn(s(q)), ma per definizione di fs(n) si ha
N
N
N
pure f n (s(q)) = fs(n) (s(q)). Il secondo sottocaso è banale dato che f s(q) (s(q)) =
fs(n)(s(q)), in quanto da s(n) = s(q) si deduce s(n) = s(q). Resta infine il secondo caso,
ma l'affermazione s(q)∈s(n) → fs(q)(s(q)) = fs(n)(s(q)) è banalmente vera e quindi
dimostrabile. Come si vede in questa dimostrazione c'è l'uso dell'induzione, nella forma
(2) ed un'induzione "annidata" dentro ad un'altra.
Provato così che f: → X, bisogna provare che tale funzione soddisfa le proprietà
N
richieste ed è unica con tale proprietà.
Si osserva che per ogni n∈ , 〈n,fn(n)〉∈fn e fn ⊆ f; ma essendo f funzionale, come
provato, si ha f(n) = fn(n). Si ha allora 〈0,a〉∈f, dato che 〈0,a〉∈f0, quindi f(0) = a. Per
ogni n∈ si ha fs(n)(s(n)) = g(fn (n)), vale a dire 〈s(n),g(fn (n))〉∈fs(n), e pertanto
〈s(n),g(fn(n))〉∈f, quindi 〈s(n),g(f(n))〉∈f, vale a dire f(s(n) = g(f(n)).
N
N
Per provare l'unicità si può procedere mediante il Principio di minimo. Si suppone che
h: → X tale che h(0) = a e per ogni n∈ , h(s(n)) = g(h(n)); inoltre, per assurdo, si
suppone h ≠ f. Ciò significa che l'insieme B = {m∈ | f(m) ≠ h(m)} non è vuoto. Quindi,
N
N
N
per il Principio di minimo, esiste b = min(B). Le eguaglianze f(0) = a = h(0) permettono
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
N
di concludere che 0∉B, quindi b ≠ 0. Esiste pertanto r∈ tale che b = s(r). Poiché r <
s(r) = b, si ha r∉B, per non contravvenire alla definizione di minimo. Quindi f(r) = h(r).
Di conseguenza f(b) = f(s(r)) = g(f(r)) = g(h(r)) = h(s(r)) = h(b), il che è assurdo per
definizione di b. Ne discende B = ∅, quindi f = h.
La funzione f definita mediante questo teorema si dice definita per ricursione primitiva
a partire da a e da g.
L'asserto del teorema di ricursione si può leggere come una proprietà strutturale: data la
struttura 〈 ,0,s〉 e considerata una struttura dello stesso tipo 〈X,a,g〉 esiste un unico
omomorfismo f: 〈 ,0,s〉 → 〈X,a,g〉 dato che le eguaglianze f(0) = a e f(s(n)) = g(f(n))
N
N
permettono di dire che vengono "conservate" le operazioni della struttura. In altro modo la
funzione f si può considerare una successione di elementi di X.
2.3. Numeri naturali descritti mediante la ricursione. I postulati di Peano non sono
l'unica descrizione possibile dei numeri naturali. Ad esempio si può prendere il teorema di
ricursione come unico assioma per i numeri naturali. Nel dettaglio tale teorema assunto
come assioma stabilisce una proprietà universale della struttura 〈 ,0,s〉, quella che per
N
ogni altra struttura analoga esiste ed è unica la funzione f che rende commutativo il diagramma (2.5). Questo approccio è del 1965 ed è dovuto a William Lawvere. Si è già visto
che i postulati di Peano con l'induzione in forma insiemistica implicano il teorema di ricursione. Questa proprietà è "sorprendente": da una parte i postulati di Peano, assumendo
l'induzione nella forma (2.2’), stabiliscono una proprietà "interna" di 〈 ,0,s〉, dall'altra il
teorema di ricursione, così come formulato, stabilisce una proprietà "esterna" di 〈 ,0,s〉,
N
N
nel senso che caratterizza, a meno di isomorfismi, tale struttura nella classe delle strutture
dello stesso tipo (cioè con un elemento privilegiato ed un'operazione unaria).
Questa pluralità di assiomatizzazioni è una caratteristica comune a molte situazioni: talvolta si trova la possibilità di definire un ente matematico mediante assiomi, ottenendo, in
un opportuno ambito matematico, anche proprietà di unicità di tale ente, ma non è unico
l'approccio assiomatico all'ente stesso.
Nel seguito si prova l'equivalenza di tali approcci. Mediante la ricursione si prova (all'interno della Teoria degli insiemi e della logica ordinaria) l'unicità di , a meno di isomorfismi di struttura.
N
Teorema di unicità. Gli assiomi di Peano in forma insiemistica determinano la struttura
〈 ,0,s〉 dei numeri naturali unicamente, a meno di isomorfismi, tra le strutture con un e-
N
lemento privilegiato ed un'operazione unaria.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Dimostrazione. Sia 〈Y,y,v〉 una struttura tale che y∈Y e v: Y → Y soddisfacente gli
assiomi di Peano con l'induzione nella forma (2), con l'ovvia sostituzione di Y in luogo di
. Dato che il teorema di ricursione è dimostrabile a partire dagli assiomi di Peano, per ogni 〈X,a,g〉 si può ripetere il diagramma (5) sostituendovi Y, y e v. Ma proprio dal con-
N
fronto del diagramma qui accennato con (5) e sostituendo X una volta con Y ed una volta
con , si ha
N
Data la commutatività del diagramma e l'unicità richiesta nel teorema di ricursione, e dato
che I: → è tale che I(0) = 0, o equivalentemente, (I°0) = 0, e (I°s) = s = (s°I) e pu-
N
N
re (f’°f)(0) = f’(f(0)) = f’(y) = 0 e ((f’°f)°s) = (f’°(f°s)) = (f’°(v°f)) = ((f’°v)°f) = ((s°f’)°f) =
(s°(f’°f)), si ha (f’°f) = I. Analogamente se stavolta I: Y → Y, si ha, I(y) = y e (I°v) = v =
(v°I); si ha pure (f°f’)(y) = f(f’(y)) = f(0) = y e ((f°f’)°v) = (f°(f’°v)) = (f°(s°f’)) = ((f°s)°f’) =
((v°f)°f’) = (v°(f°f’)) e sempre per l'unicità prevista dal teorema di ricursione, applicato a Y,
si ha (f°f’) = I. Ma in questo modo si prova che f e f’ sono biettive (una l'inversa dell'altra) e
sono omomorfismi della struttura, dato che f(0) = y e (f°s) = (v°f); f’(y) = 0 e (f’°v) =
(s°f’).
Questo è un risultato tipico della descrizione assiomatica di insiemi con struttura. Una
tale descrizione può identificare il modello "a meno di isomorfismi". Ad esempio si può
considerare la struttura 〈 >99,100,k〉, in cui >99 = {x∈ | ∃y(y > 49 ∧ x = 2y)}, k:
>99 → >99 è definita da k(n) = n+2 è un modello degli assiomi di Peano.
P
P
P
P
N
Una dimostrazione analoga a quella del teorema di unicità permette di provare il seguente
Teorema. Il teorema di ricursione implica l'induzione nella forma (2.2’).
Dimostrazione. Sia S ⊆ tale che 0∈S e per ogni n∈ , se n∈S, allora s(n)∈S. Di
qui si prova che S = . Si consideri s’ = (s∩(S×S)). Si tratta evidentemente di una re-
N
N
N
lazione su S, anzi è una relazione funzionale, dato che s è funzionale. In base al passo induttivo, si ha che s’ è ovunque definita su S, quindi si può scrivere s’: S → S. Si ha
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
N
pertanto che 〈S,0,s’〉 è una struttura dello stesso tipo di 〈 ,0,s〉. Dalla definizione di s’,
detta i: S → l'inclusione, si ha i(0) = 0 e, per ogni n∈S, (i°s’)(n) = i(s’(n)) = i(s(n))
fi
N
= s(n) = s(i(n)) = (s°i)(n), quindi, in termini funzionali (i°0) = 0 e (i°s’) = (s°i). Si ha così
che esiste un unico f: → S tale che il seguente diagramma è commutativo:
N
Si ha quindi ((i°f)°0) = (i°(f°0)) = (i°0) = 0; (s°(i°f)) = ((s°i)°f) = ((i°s’)°f) = (i°(s’°f)) = (i°(f°s))
= ((i°f)°s). Dato poi che (I°0) = 0 e (I°s) = (s°I) e per l'unicità richiesta nel teorema di
ricursione, si ha I = (i°f). Ma ciò comporta che i è una funzione suriettiva e l'unica inclusione suriettiva è l'identità, cioè S = . Resta così provato il Principio di induzione.
N
Una versione più elaborata della ricursione, dimostrabile a partire da questa, è la ricursione con parametri
Teorema di ricursione con parametri. Siano A, B insiemi non vuoti, e siano f0: A
→ B, f1: ( ×A×B) → B; allora esiste un'unica funzione f: ( ×A) → B tale che
per ogni a: {•} → A, (f°〈0,a〉) = (f0°a) e (f°〈s,(a°!)〉) = (f1°〈I,(a°!),(f°〈I,(a°!)〉)〉).
N
N
Dimostrazione. La dimostrazione dipende da una proprietà insiemistica dell'insieme esponenziale. Considerati gli insiemi A e B, si indica con BA = {f ⊆ (A×B) | f: A → B}.
Si può costruire la relazione ev = {〈x,h,y〉∈((A×BA)×B) | h(x) = y}. Si ha quindi per
ogni k∈BA, per ogni w∈A, ev(w,k) = k(w)∈B. Si prova che ev: (A×BA) → B e che
per ogni insieme C, per ogni g: (A×C) → B, esiste un'unica g^: C → BA tale che
(ev°〈π1,(g^°π2)〉) = g. Si ha quindi per ogni u∈C, g^(u)∈BA, per descrivere quindi la
funzione g^(u), bisogna descriverla sugli elementi di A, quindi per ogni z∈A, (g^(u))(z)
= ev(z,g^(u)) = (ev°〈π1,(g^°π2)〉)(z,u) = g(z,u). I dettagli di questa parte insiemistica
sono lasciati al lettore.
Nell'asserto è presente !: → {•}, l'unica funzione di dominio e codominio {•} e si
chiede che esista f tale che per ogni a∈A, i seguenti diagrammi siano commutativi:
N
N
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
N
N
Si considera l'insieme (A× ×B A ) e sia g: (A× ×B A ) → B definita da g =
(f1°〈π2,π1,(ev°〈π1,π3〉)〉). Per la proprietà insiemistica indicata sopra, esiste una unica
g^: ( ×B A ) → BA tale che per ogni n∈ , per ogni k∈ B A , per ogni y∈ A
(g^(n,k))(y) = g(y,n,k) = (f 1 ° 〈 π 2 , π 1 , ( e v ° 〈 π 1 , π 3 〉 ) 〉 )(y,n,k) =
f1(〈π2,π1,(ev°〈π1,π3〉〉)(y,n,k)) = f1(n,y,ev(y,k)) = f1(n,y,k(y)).
Queste costruzioni sono strumenti utili per definire ora 〈0,f0〉: {•} → ( ×B A ) e g’:
( ×BA) → ( ×BA) data da g’ = 〈(s°π1),g^〉. Per il teorema di ricursione esiste ed è unica f’: → ( ×B A) tale che (f’°0) = 〈0,f0〉 e (f’°s) = (g’°f’). Finalmente si pone f:
( ×A) → B, definita da f = (ev°〈π2,((π2°f’)°π1)〉).
Prima di concludere si osserva che si ha (π1°f’): → , ((π1°f’)°0) = (π1°(f’°0)) =
(π 1° 〈0,f 0 〉) = 0 e ((π 1° f’) ° s) = (π1° (f’ ° s)) = (π1° (g’ ° f’)) = (π1° (〈(s ° π 1 ),g^〉 ° f’)) =
((π1°〈(s°π1),g^〉)°f’) = ((s°π1)°f’) = (s°(π1°f’)), quindi (π1°f’) si "comporta" come I:
→ e per l'unicità stabilita dal teorema di ricursione, (π1°f’) = I. Si può quindi scrivere
f’ = 〈(π1°f’),(π2°f’)〉 = 〈I,(π2°f’)〉
Da quanto precede si ha, per ogni a∈A, (f°〈0,a〉) = ((ev°〈π2,((π2°f’)°π1)〉)°〈0,a〉) =
( e v ° (〈π 2 ,((π 2 ° f’) ° π 1 )〉 ° 〈0 , a 〉)) = (ev° 〈( π 2 ° 〈0 , a 〉),(((π 2 ° f’) ° π 1 ) ° 〈0 , a 〉)〉) =
(ev ° 〈a,((π 2° f’) ° (π 1° 〈0,a〉))〉) = (ev° 〈a,((π 2° f’) ° 0)〉) = (ev° 〈a,(π 2° (f’ ° 0))〉) =
(ev°〈a,(π2°〈0,f0〉)〉) = (ev°〈a,f0〉) = (f0°a). Inoltre, abbreviando i passaggi, perché molti
sono analoghi, ( f ° 〈 s , ( a ° ! ) 〉 ) = ((ev ° 〈 π 2 , ( ( π 2 ° f ’ ) ° π 1 ) 〉 ) ° 〈 s , ( a ° ! ) 〉 ) =
(ev°(〈π2,((π2°f’)°π1)〉°〈s,(a°!)〉)) = (ev°〈(a°!),((π2°f’)°s)〉) = (ev°〈(a°!),(π2°(f’°s))〉) =
(ev°〈(a°!),(π2°(g’°f’))〉) = (ev°〈(a°!),((π2°g’)°f’)〉) = (ev°〈(a°!),((π2°〈(s°π1),g^〉)°f’)〉) =
(ev°〈(a°!),(g^°f’)〉) = (ev°〈(π1°〈(a°!),f’〉),((g^°π2)°〈(a°!),f’〉)〉) = ((ev°〈π1,(g^°π2〉)°〈(a°!),f’〉)
= (g°〈(a°!),f’〉) = (g°〈(a°!),I,(π2°f’)〉) = ((f1°〈π 2,π1,(ev°〈π 1,π3〉)〉)°〈(a°!),I,(π2°f’)〉) =
( f 1 ° ( 〈 π 2 , π 1 , ( e v ° 〈 π 1 , π 3 〉 ) 〉 ° 〈 ( a ° ! ) , I , ( π 2 ° f ’ ) 〉 ))
=
(f 1° 〈(π 2° 〈(a ° !), I ,(π 2° f’)〉),(π 1° 〈(a ° !), I ,(π 2° f’)〉),((ev ° 〈π 1 ,π 3 〉) ° 〈(a ° !), I ,(π 2° f’)〉)〉) =
(f1 ° 〈I , ( a °! ) , ( e v °(〈π 1 , π 3 〉°〈( a °!),I , ( π 2 ° f’)〉))〉) =
(f1 ° 〈I , ( a °! ) , ( e v °〈( π 1 ° 〈( a °!),I , ( π 2 ° f’)〉) , ( π 3 ° 〈( a °!),I , ( π 2 ° f’)〉)〉)〉) =
(f1°〈I,(a°!),(ev°〈(a°!),(π2°f’)〉)〉) = (f1°〈I,(a°!),(ev°〈(π2°〈I,a〉),((π2°f’)°(π1°〈I,a〉)〉)〉) =
(f1°〈I,(a°!),(ev°(〈π2,((π2°f’)°π1)〉°〈I,a〉))〉) = (f1°〈I,(a°!),(f°〈I,a〉)〉).
N
N
N
N
N
N
N
N
N
N
N
N
La dimostrazione dell'unicità di una funzione che si "comporta" come f si avvale del
Principio di induzione. Sia infatti h: ( ×A) → B tale che per ogni a∈A, (h°〈0,a〉) =
(f0°a) e (h°〈s,(a°!)〉) = (f1°〈I,(a°!),(h°〈I,(a°!)〉)〉). Si possono considerare le funzioni f^,h^:
A → BN. Esse, per quanto precede, sono caratterizzate dal fatto che per ogni y∈A, per
N
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
N
ogni n∈ , si ha (f^(y))(n) = f(n,y), (h^(y))(n) = h(n,y). L'unicità si sposta ora a tale
coppia di funzioni, perché per la proprietà insiemistica introdotta in precedenza, dall'eguaglianza di f^ e h^, discende quella di f e h. Per ogni x∈A, si ha (f^°x): {•} → BN,
vale a dire (f^°x): → B. Analogamente, (h^°x): → B. Considerato ora un arbitrario x∈A, sia C x = {n∈ | (f^°x)(n) = (h^°x)(n)}. Banalmente C x ⊆ . Inoltre
(f^°x)(0) = f(0,x) = f0(x) = h(0,x) = (h^°x)(0), quindi 0∈C x. Per ogni n∈ tale che
n∈Cx, vale a dire tale che f(n,x) = (f^°x)(n) = (h^°x)(n) = h(n,x), vale a dire (f°〈I,(x°!)〉) =
( h ° 〈 I , ( x ° !)〉); pertanto si ha (f^ ° x)(s(n)) = f(s(n),x) = (f ° 〈s , ( x ° !)〉)(n) =
(f1°〈I,(x°!),(f°〈I,(x°!)〉)〉)(n) = (f1°〈I,(x°!),(h°〈I,(x°!)〉)〉)(n) = (h°〈s,(x°!)〉)(n) = h(s(n),x) =
(h^°x)(s(n)). Pertanto s(n)∈Cx. Ma dalla forma di induzione provata sopra, si ha Cx =
. Ciò vuol dire che per ogni x∈A, (f^°x) = (h^°x), pertanto f^ = h^.
N
N
N
N
N
N
È conclusa così questa complessa dimostrazione.
C'è una forma "intermedia" della ricursione, ottenuta dal teorema di ricursione con parametri, considerando A = {•} e poi "identificando" ( ×{•}) con e ( ×{•}×B) con
( ×B). Date b: {•} → B e f1: ( ×B) → B, esiste un'unica f: → B tale che (f°0)
= b e (f°s) = (f1°〈I,f〉).
Se si considera ora 〈B,b,g〉, una struttura dello stesso tipo di quella dei numeri naturali,
posto f1 = (g°π2): ( ×B) → B, esiste unica f: → B tale che (f°0) = b e (f°s) =
(f1°〈I,f〉) = ((g°π2)°〈I,f〉) = (g°f). Ma in questo modo dal teorema di ricursione con para-
N
N
N
N
N
N N
N
metri si ottiene il teorema di ricursione.
Sempre questo tipo di identificazioni permette la dimostrazione del seguente
N
N
N
Teorema del predecessore. Esiste p: → tale che (p°0) = 0 e (p°s) = I
Dimostrazione. Si pone A = {•}, B = , f0 = 0: {•} → , f1 = π1: ( × ) →
Esiste unica p: → tale che (p°0) = 0 e (p°s) = (f1°〈I,p〉) = (π1°〈I,p〉) = I.
N
N
N
NN
N.
Conseguenza banale dell'esistenza del predecessore è che (p°s) = I. Ma I è iniettiva e
suriettiva, di conseguenza s è iniettiva e p è suriettiva. In questo modo si prova il secondo
postulato di Peano, a partire dal teorema di ricursione.
Altra importante conseguenza: il primo postulato di Peano. Se per assurdo esistesse
n∈ tale che s(n) = 0, allora si avrebbe n = I(n) = (p°s)(n) = p(s(n)) = p(0) = 0, quindi
N
dovrebbe essere n = 0, cioè s(0) = 0. Se così fosse, basterebbe considerare l'insieme X =
{∅,{∅}}, porre ∅: {•} → X e g: X → X definita ponendo g(∅) = {∅} = g({∅}). Dal
teorema di ricursione esisterebbe f:
→ X tale che (f ° 0) = ∅ e (f ° s) = (g° f). In
particolare (f°s)(0) = f(s(0)) = f(0) = ∅, mentre (g°f)(0) = g(f(0)) = g(∅) = {∅}, ed
essendo ∅ ≠ {∅} si ha un assurdo. Pertanto 0∉s[ ], provando il primo postulato di
N
N
Peano.
Si conclude in tal modo l'equivalenza dei postulati di Peano e del teorema di ricursione.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
La ricursione con parametri permette di definire correttamente le operazioni, come
detto in (2.3). Ad esempio per definire l'addizione basta applicare la ricursione con parametri prendendo A = B = , f0 = I:
→ e f1 = (s°π3) : ( × × ) → . La
funzione definita per ricursione, indicata con α: ( × ) → , è tale che per ogni k∈A,
cioè k: {•} → , si ha (α°〈0,k〉) = (I°k) = k, quindi, α(0,k) = (α°〈0,k〉)(•) = k(•) = k e
(α°〈s,(k°!)〉) = ((s°π3)°〈I,(k°!),(α°〈I,(k°!)〉)〉) = (s°(α°〈I,(k°!)〉)), pertanto, per ogni n∈ ,
α(s(n),k) = (α°〈s,(k°!)〉)(n) = (s°(α°〈I,(k°!)〉))(n) = s(α(n,k)). Per rispettare l'ordine di
presentazione dell'addizione in (2.3) basta porre + = (α°〈π2,π1〉).
N
N
N
NN
N
N
NNN
N
N
Si indicano qui, a parte eventuali scambi dei termini, le funzioni usate per definire la
moltiplicazione e l'elevamento a potenza. Per entrambe si assume A = B = ; per la moltiplicazione si prende f0 = (0°!) e f1 = (+°〈π3,π2〉); l'elevamento a potenza, una volta definita la moltiplicazione ·: ( × ) → , si ottiene ponendo f 0 = (s° (0 ° !)) e f 1 =
(·°〈π2,π3〉).
N
NN
N
Dopo aver definito le operazioni è possibile provarne le consuete proprietà formali. In
particolare si ha la legge di cancellazione per l'addizione e per ogni n,m∈ , che n + m =
N
0 se e solo se n = 0 e m = 0.
Come si diceva prima, è questa la cosiddetta aritmetica razionale. A partire dalla addizione si definisce la relazione d'ordine ponendo per ogni n,m∈ , n ≤ m come abbreviazione di ∃p∈ (m = n + p). Dal fatto che per ogni n∈ , n + 0 = n, si ha n ≤ n
(proprietà riflessiva). Se poi n,m∈ sono tali che n ≤ m e m ≤ n, allora esistono p,q∈
N
N
N
N
N
tali che m = n + p e n = m + q. Di qui, grazie all'associativa, n = (n + p) + q = n + (p +
q); per cancellazione p + q = 0, da cui p = 0 e q = 0, ma ciò comporta n = m + 0 = m,
quindi n = m (proprietà antisimmetrica). Sempre in base alla associativa si ha poi la
proprietà transitiva: se n,m,p∈ sono tali che n ≤ m e m ≤ p, allora esistono q,r∈ tali
che m = n + q, p = m + r, dunque, p = (n + q) + r = n + (q + r), pertanto n ≤ p. Dato
che per ogni n∈ , n = 0 + n, si ha 0 ≤ n, cioè 0 è il minimo di . Di qui poi è facile
definire la relazione di ordine stretto <. La linearità dell'ordine si può provare solo facendo
N
N
N
N
ricorso all'induzione, o meglio, in questo caso al principio di minimo.
Avendo privilegiato l'approccio assiomatico, finora non c'è stato bisogno di introdurre i
numerali "standard". Ciò è chiaramente possibile, vi veda quanto fatto da Peano negli
Arithmetices principia nova methodo exposita, usando cioè (infinite) definizioni: 1 =
s(0), 2 = s(1), ecc. Le proprietà formali delle operazioni permettono ora di riottenere
l'aritmetica consueta, e di dimostrare, quindi, che 2 + 2 = 4.
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C. Marchini
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2.4. Congruenze. Dal punto di vista dello studio e dell'approfondimento della struttura
dei numeri naturali, più che l'operazione di addizione (e della conseguente relazione
d'ordine ad essa associata) si pone attenzione all'operazione di moltiplicazione. Ripetendo
quanto fatto per l'addizione, alla moltiplicazione resta associata una relazione (d'ordine)
solitamente indicata con il simbolo "|" e letta divide; per ogni n,m∈ *, n | m, da leggersi
n divide m, sta per ∃p∈ *(m = n·p). Il fatto che tale relazione sia d'ordine si ottiene ripetendo la dimostrazione vista prima con ≤, perché si fa uso delle proprietà formali della
N
N
moltiplicazione, esattamente analoghe a quelle dell'addizione. Il fatto che 1 sia elemento
neutro rispetto alla moltiplicazione garantisce la proprietà riflessiva: per ogni n∈ *, n | n,
N
dato che n = n·1. Si ottiene l'antisimmetria dell'ordine | con la proprietà associativa della
moltiplicazione, con la legge di cancellazione in * (per ogni n,m,p∈ *, se n·p = m·p
1, si ha n = m), e con la proprietà del prodotto unitario (per ogni n,m∈ *, si ha n·m = 1
se e solo se n = 1 e m = 1), infatti per ogni n,m∈ *, se n | m e m | n, allora p,q∈ * tali
N
N
N
N
N
che m = n·p, n = m·q, quindi m = (m·q)·p = m·(q·p), perciò 1 = q·p, da cui p = 1 e q
= 1, da cui n = m·1 = m. Infine per ottenere la proprietà transitiva basta utilizzare la
proprietà associativa della moltiplicazione: per ogni n,m,p∈ *, se n | m e m | p, allora
esistono q,r∈ * tali che m = n·q, p = m·r, dunque p = (n·q)·r = n·(q·r), cioè n | p.
A differenza dell'ordine "naturale" ≤, per la relazione "|" non vale la proprietà di lineari-
N
N
tà. Ad esempio dati i numeri 12 e 16 non si ha né 12 | 16, né 16 | 12. L'ordine che si
ottiene è diverso, un ordine parziale che ha minimo, 1, non ha massimo (in *, ma se si
considera e si estende la nozione permettendo la considerazione di 0, il numero 0 è il
massimo rispetto a tale ordine). Rispetto a questa relazione d'ordine 〈 , |〉 è un reticolo in
N
N
N
cui le operazioni di sup e inf sono date, rispettivamente dal minimo comune multiplo
(mcm) e dal massimo comune divisore (MCD) 2. In questo reticolo ci sono atomi, cioè
elementi che "seguono" 1 e che non hanno altri elementi "precedenti". È questa la caratterizzazione dei numeri primi come numeri irriducibili rispetto alla moltiplicazione. Tre importanti risultati, due dei quali si possono esplicitamente trovare in Euclide sono: il reticolo
è atomico, cioè per ogni n∈ , esiste un atomo p tale che p | n ( Prop. VII. 32); esistono
N
infiniti atomi (Prop. IX.20) e, come conseguenza di essi, il Teorema fondamentale
dell'Aritmetica, ogni elemento n∈( * - {1}) si può scrivere in modo sostanzialmente
N
unico come prodotto di fattori primi, quindi i numeri primi sono generatori dell'insieme
*, anzi ne sono una base (nel senso dell'unicità della rappresentazione).
N
N
N
1 La legge di cancellazione spiega perché qui si consideri solo *: infatti per ogni n,m∈ , anche se n ≠ m, si ha
n·0 = m·0. In un certo senso equivalente alla legge di cancellazione, però stavolta in , è la mancanza di
divisori dello zero, cioè si ha per ogni n,m∈ , n·m = 0 se e solo se n = 0 ∨ m = 0 che detta in altro modo, fornisce n≠0 ∧ m ≠0 ↔ n·m≠0, da cui la moltiplicazione è una funzione ·: ( *× *) → *.
2 Queste dizioni sono causa di confusione nella scuola: qui minimo e massimo si riferiscono all'ordine dato da | e
non a quello dato da ≤. In * si ha però il seguente risultato: se n |m, allora n ≤ m. Ciò non vale più in .
N
N N
N
N
N
N
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Per connettere la struttura additiva con quella moltiplicativa si sfrutta una proprietà che,
qui in modo semplificato, si può far risalire a Eudosso o a Archimede (287 - 212 a.C.):
per ogni m∈ e ogni n∈ *, esiste r∈ tale che m < r·n. Questa proprietà viene assunta
N
N
N
nella descrizione dei rapporti delle grandezze (Libro V di Euclide), quindi attibuibile a
Eudosso. La dimostrazione della proprietà è banale: infatti m ≤ m·n, 1 ≤ n, quindi m < m
+ 1 ≤ m·n + n, cioè basta prendere r = m+1. Grazie al principio di minimo, dati comunque m∈ e n∈ * esiste un minimo r∈ tale che m < r·n; è r ≠ 0, dato che si vuole
m < r·n. Sia q tale che q + 1 = r. Si ha q·n ≤ m, essendo q < r e perciò si può scrivere m
= q·n + (m - q·n) e, si noti 0 ≤ (m - q·n) < n. Tali valori q e (m - q·n) sono
N
N
N
univocamente determinati da m e n, in virtù dell'unicità del minimo 1. Ma così facendo si
può considerare la "operazione" di divisione, cioè una funzione 〈qu,re〉: ( × *) →
( × ). Essa ad ogni coppia ordinata 〈m,n〉∈( × *) associa 〈qu(m,n),re(m,n)〉 tale che
qu(m,n)·n + re(m,n) = m e 0 ≤ re(m,n) < n. Come si vede non è un'operazione su , nel
NN
NN
NN
N
N
senso strutturale, perché non ha come codominio e come dominio non ha una potenza
di . Si ottiene una cosa che assomiglia di più ad una operazione considerando re:
( × *) → .
N
NN
N
Alcune proprietà di re rispetto alle operazioni sono assai semplici da provare. Ad
esempio, per ogni n∈ *, per ogni a,b∈ si ha re(0,n) = 0, dato che 0 = 0·n; se a < n,
N
N
re(a,n) = a dato che a = 0·n + a; ed infine
(1)
(2)
re(a+b,n) = re(re(a,n)+re(a,b),n);
re(a·b,n) = re(re(a)·re(b),n).
Infatti si ha qu(a+b,n)·n + re(a+b,n) = a + b = qu(a,n)·n + re(a,n) + qu(b,n)·n +
re(b,n) = (qu(a,n)+qu(b,n))·n + re(a,n) + re(b,n) = (qu(a,n)+qu(b,n))·n +
qu(re(a,n)+re(b,n),n)·n
+
re(re(a,n)+re(b,n),n)
=
(qu(a,n)+qu(b,n)+qu(re(a,n)+re(b,n),n))·n + re(re(a,n)+re(b,n),n), quindi essendo 0
≤ re(re(a,n)+re(b,n),n) < n, si ha, per l'unicità del quoziente e del resto, qu(a+b,n) =
qu(a,n)+qu(b,n)+qu(re(a,n)+re(b,n),n) e re(a+b,n) = re(re(a,n)+re(b,n),n).
Analogamente qu(a·b,n)·n + re(a·b,n) = a·b = (qu(a,n)·n + re(a,n))·(qu(b,n)·n +
re(b,n)) = (qu(a,n)·qu(b,n)·n + qu(a,n)·re(b,n) + qu(b,n)·re(a,n))·n + re(a,n)·re(b,n)
= (qu(a,n)·qu(b,n)·n + qu(a,n)·re(b,n) + qu(b,n)·re(a,n) + qu(re(a,n)·re(b,n),n))·n +
re(re(a,n)·re(b,n),n) e si ha 0 ≤ re(re(a,n)·re(b,n),n) < n. Così si prova, per l'unicità del
N
N
N
1 In altro modo si può provare direttamente l'unicità del quoziente e del resto: siano m∈ e n∈ *, e siano q,r∈
tali che m = q·n + r, con 0 ≤ r < n ed anche p,s∈ tali che m = p·n + s e 0 ≤ s < n. Si ha di conseguenza che p·n +
s = q·n + r. Si supponga per assurdo 〈p,s〉 ≠ 〈q,r〉. Se fosse r = s, allora si avrebbe anche p = q, dato che da p·n +
s = q·n + r si avrebbe per cancellazione (additiva), p·n = q·n, quindi per cancellazione (moltiplicativa), dato che
n ≠ 0, p = q. Se fosse invece p = q, allora per cancellazione (additiva), da p·n + s = q·n + r si avrebbe r = s.
Quindi le due coppie se sono diverse devono avere entrambe le componenti diverse. Senza perdita di generalità
si può supporre che r < s, quindi s - r ≠ 0 e pertanto 0 < s - r ≤ s < n. Ma da p·n + s = q·n + r si avrebbe p·n + (s-r)
= q·n, pertanto (s - r) = q·n - p·n = (q - p)·n. Di qui p < q e n | (s - r), ciò in contrasto col fatto che 0 < (s-r) < n.
N
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
quoziente e del resto, che qu(a·b,n) = (qu(a,n)·qu(b,n)·n + qu(a,n)·re(b,n) +
qu(b,n)·re(a,n) + qu(re(a,n)·re(b,n),n)) e re(a·b,n) = re(re(a)·re(b),n).
Alla funzione re si associa una famiglia di relazioni di equivalenza. Questo è un fatto
generale: si consideri g: A → C, una funzione tra insiemi arbitrari. Si pone equ(g) =
{〈x,y〉∈(A×A) | g(x) = g(y)}, detta la relazione egualizzatore di g 1. Si ha, dalla definizione, equ(g) ⊆ (A×A), quindi si tratta di una relazione su A. Si tratta di una relazione di
equivalenza che in un certo senso "solleva" l'eguaglianza di C ad una relazione su A, e la
dimostrazione è banale, sfruttando le proprietà dell'eguaglianza in C.
Così se ad una funzione è possibile sempre associare una relazione di equivalenza,
considerata una funzione f: (A×B) → C, ad ogni elemento b∈B si associa fb = f^(b):
A → C, usando le notazioni introdotte nel paragrafo 2.3, cioè per ogni x∈A, fb(x) =
ev(f^(b),x) = f(x,b). A tale funzione fb resta associata una relazione di equivalenza,
equ(fb), quindi ad f si può associare una famiglia di relazioni di equivalenza, al variare del
"parametro" b . Ciò giustifica l'affermazione che alla funzione re: ( × *) →
è
NN
N
associata una famiglia di relazioni di equivalenza.
Questa introduzione matematica cela forse il fatto che tali equivalenze sono "naturali".
Ne sono esempi gli orologi (analogici), le settimane, i contachilometri delle automobili, eccetera. Già alle scuole elementari si pone il problema di determinare in che posizione si
troverà dopo quattro ore la lancetta delle ore di un orologio che abbia la lancetta delle ore
posizionata sul numero 10. È questo il problema che viene "modellato" dalle congruenze.
Seguendo quanto detto prima per ogni n∈ * si ottiene una relazione di equivalenza,
N
equ(ren) che viene detta congruenza modulo n.
Il nome congruenza ha un significato più generale: se si considera una struttura e una
relazione di equivalenza definita sul sostegno della struttura, essa viene detta congruenza
se è "compatibile" con le operazioni o relazioni della struttura.
Ciò avviene anche per la congruenza (per antonomasia) modulo n, introdotta in *. Per
ogni p,q∈ la relazione di congruenza si denota con p ≡n q o p ≡ q (mod n); per ogni
m∈ , con [m]n si denota la classe di equivalenza di m nella congruenza modulo n. In
tale classe c'è un rappresentante privilegiato: [m]n = [re(m,n)]n e re(m,n)∈{0,1, …, n-1}.
N
N
N
Z
L'insieme quoziente viene indicato col simbolo, per il momento "strano" di n. Il nome di
congruenza è "ben meritato": se a,b,c∈ e a ≡n b, si ha anche a + c ≡n b + c e a·c ≡n
N
b·c, dato che in base a quanto visto sopra, se re(a,n) = re(b,n), allora re(a+c,n) =
re(re(a,n)+re(c,n),n) = re(re(b,n)+re(c,n),n) = re(b+c,n) e re(a·c,n) =
re(re(a,n)·re(c,n),n) = re(re(b,n)·re(c,n),n) = re(b·c,n).
1 Alcuni autori usano il simbolo ker(g) e la chiamano nucleo di g. Il nome non è scelto a caso, dato che è possibile ripresentare in questo modo, nel caso di gruppi, anelli, spazi vettoriali ed altre strutture, il concetto di nucleo di un omomorfismo, come la classe di equivalenza (nella relazione egualizzatore di g) di un elemento privilegiato della struttura, che diviene, rispettivamente, sottogruppo normale, ideale bilatero, sottospazio, ecc.
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C. Marchini
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Si definiscono poi le operazioni ponendo [m] n + [p]n = [m+p]n e [m] n · [p]n =
[m·p]n. Le proprietà di compatibilità della congruenza rispetto alle operazioni permette di
provare l'indipendenza dalla scelta dei rappresentanti. È ben noto che l'insieme quoziente
di
rispetto alla relazione ≡ n con le operazioni definite sulle classi di equivalenza
N
costituisce un anello e questo comporta tra l'altro che per ogni [m] n esiste la classe
"opposta", data da [n-re(m,n)]n. Ciò rende possibile la sottrazione tra classi, operazione
che in non è "disponibile" e che per potere essere svolta senza limitazione richiede
l'introduzione dei numeri interi relativi e del loro insieme .
Nel caso che n sia un numero primo, le classi diverse da [0]n, rispetto alla moltiplicazione definita come detto sopra, costituiscono un gruppo abeliano e, in tale caso, n è (il
sostegno di) un campo. Ciò dipende da una proprietà del MCD 1: se a,b∈ *, esistono
m,n∈ tali che a·m > b·n (oppure a·m < b·n) e a·m - b·n = MCD(a,b) (oppure b·n a·m = MCD(a,b)). Se quindi si considera a∈{1,2,…,n-1} e n, essendo n primo,
MCD(a,n) = 1. Esistono quindi x,y∈ tali che a·x - n·y = 1, cioè a·x = 1 + n·y
N
Z
Z
N
N
N
oppure n·y - a·x = 1, cioè n·y = 1 + a·x. Si ha pertanto re(a·x,n) = 1, oppure re(a·x,n)
= n-1, dato che re((n·y),n) = 0. Nel primo caso [a]n·[x]n = 1, nel secondo [a]n·[n-x]n =
1. Con ciò si prova che quando n è primo per ogni elemento di {[1]n, [2]n, …, [n-1]n},
ogni suo elemento ha inverso (moltiplicativo). Si noti che se si vuole ottenere l'esistenza
dell'inverso per ogni elemento di *, bisogna estendere * a + (insieme dei razionali
assoluti). Se si vuole considerare il più piccolo campo che contiene bisogna passare a
.
Se n = r·q, non si ha un campo: basta infatti considerare le classi [r]n e [q]n. Esse sono
diverse dalla classe [0]n, ma [r]n·[q]n = [r·q]n = [n]n = [0]n. Ciò non toglie che possano
esistere degli elementi di n che abbiano inverso. Anzi le considerazioni precedenti possono essere applicate ed ottenere che se a è tale che MCD(a,n) = 1, allora [a]n ha inverso
moltiplicativo in n.
Il numero delle classi di resti di n che hanno inverso moltiplicativo viene indicato col
simbolo ϕ(n) ove la funzione ϕ è stata introdotta e studiata da Eulero per cui viene detta la
funzione ϕ di Eulero. Per ogni numero primo n si ha, ϕ(n) = n - 1 e per ogni k∈ *, ϕ(nk)
= (n - 1)nk-1 (da provare per induzione su k, osservando che se 0 < a < n allora
N
N Q
Q
Z
Z
Z
Z
N
MCD(a,n) = 1 = MCD(a+n,n) = MCD(a+2n,n) = … = MCD(a+(nk-1 -1)·n,n)).
Inoltre se MCD(n,m) = 1, si ha ϕ(n·m) = ϕ(n)·ϕ(m). Con queste proprietà, avvalendosi
del teorema fondamentale dell'Aritmetica, è facile determinare ϕ(m) per ogni m∈ *.
N
L'uso delle congruenze, oltre che negli esempi visti prima, si incontra nella scuola elementare con il nome di prova del nove, cioè la verifica che assumendo come numero 9, il
Z
Z
1 Tale proprietà dipende dal fatto che è un anello a ideali principali e che {ax + by | x,y∈ } è un ideale il più
piccolo ideale che contiene gli ideali {ax | x∈ } e {by | y∈ }. L'elemento generatore di {ax + by | x,y∈ } è
MCD(a,b) che si può scrivere come detto di seguito.
Z
Z
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Z
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
prodotto dei resti dei fattori ha un resto eguale al resto del prodotto dei fattori, cioè la (2).
Grazie alla (1) è possibile effettuare la prova del nove anche per le somme, ma di solito per
l'addizione non viene utilizzata. La scrittura posizionale decimale permette un rapido
calcolo del resto modulo 9, perché basta sommare le cifre della scrittura del numero. Per
questo la prova del nove viene insegnata, non spiegata, anche alla scuola elementare.
A ben guardare è possibile interpretare n in tre modi diversi: come l'insieme con
l'"eguaglianza" diversa ≡n, come l'insieme quoziente di rispetto alla relazione di equivalenza ≡n oppure come la struttura ottenuta sull'insieme dei rappresentati "privilegiati"
Z
N
N
delle classi di equivalenza: {0, 1, …, n-1}.
Una volta introdotti i numeri interi relativi e il loro insieme, , nello stesso modo si
definisce una relazione di divisibilità, ancora denotata con "|", e si prova un principio di
Archimede: ∀a∈ ∀b∈ * ∃m∈ (a < m·|b|). Di qui, con un percorso analogo, si introduce la divisione che diviene una "operazione" 〈qu,re〉: ( × *) → ( × ) tale che
per ogni m∈ , per ogni n∈ *, si ha m = qu(m,n)·n + re(m,n), ove 0 ≤ re(m,n) < |n|.
Z
Z
Z
Z
N
ZZ
Z
ZN
Come prima, a re si associa una famiglia di relazioni di equivalenza (congruenze modulo
…). Il risultato sorprendente è che, rispetto alla stessa congruenza, l'insieme quoziente di
e l'insieme quoziente di sono eguali. Ciò spiega il simbolo n, che ricorda di più il
Z
Z
N
Z
quoziente di .
Le congruenze vengono anche utilizzate per descrivere semplici proprietà dei numeri
naturali. Ad esempio per ogni x∈ si ha [x2]4∈{[0]4,[1]4}.
Un altro problema che riveste interesse nelle applicazioni: dati b,c∈ e n,m∈ *, trovare x∈ tale che:
x ≡n a

x ≡ m b
Z
Z
Z
N
Se MCD(n,m) = 1, allora è possibile determinare soluzioni del sistema. Questo risultato prende il nome di Teorema cinese del resto.
2.5. Numeri cardinali. Abbiamo visto che alla domanda cosa siano i numeri naturali è
possibile rispondere che si tratta dei numeri cardinali degli insiemi finiti 1. Per ottenere ciò
1 Questa definizione però richiede che si possa definire cos'è un insieme finito senza fare ricorso al numero dei
suoi elementi. Ciò è possibile, come ha mostrato Alfred Tarski (1902 - 1983) nel 1924, in più modi (e tra loro
non equivalenti se non si assume l'assioma di scelta). Tarski stesso ha proposto che un insieme a è finito se
∀y(y ≠ ∅∧ y ⊆ P(a) → ∃z(z∈y ∧ ¬∃w(w∈y ∧ z ⊂ w)))
o, in modo equivalente,
∀y(y ≠ ∅ ∧ y ⊆ ℘(a) → ∃z(z∈y ∧ ¬∃w(w∈y ∧ w ⊂ z))).
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nel paragrafo 1.2 si è introdotto il concetto di equipotenza tra insiemi e di biezione (come
funzione) o di corrispondenza biunivoca. Se ora si usa un simbolo, S ≡ S’, per indicare
che i due insiemi sono in corrispondenza biunivoca, è facile constatare che ≡ gode delle
proprietà riflessiva (I è una biezione), simmetrica (dato che se f: S → S’ è una biezione,
anche f-1: S’ → S è una biezione) e transitiva (dato che la composizione di biezioni è
una biezione).
Le operazioni aritmetiche di moltiplicazione ed elevamento a potenza funzionano "bene"
rispetto alle biezioni, non così l'addizione, dato che bisogna sempre richiedere la disgiunzione degli insiemi considerati. Si può però ovviare a questa difficoltà con un poco
di attenzione, definendo una nuova operazione di unione disgiunta. Si considerino due
insiemi diversi, ad esempio {∅} e {{∅}}, o altri ancora. Comunque presi due insiemi S e T,
si ha S ≡ (S×{∅}) e T ≡ (T×{{∅}}). Si pone (S⊕T) = ((S×{∅})∪(T×{{∅}})). Si ha
#(S⊕T) = #S+ #T. Risulta poi facile provare che se S ≡ S’ e T ≡ T’, allora (S⊕T) ≡
(S’⊕T’).
Questa operazione di unione disgiunta merita un po' più di attenzione. Non è tra le operazioni "naturali" della cosiddetta Insiemistica, anche perché richiede il prodotto cartesiano
per definire la "somma", cortocircuitando la definizione di prodotto come "somma" ripetuta. Tuttavia essa ha interessanti proprietà che la fanno "assomigliare" al prodotto cartesiano. Tra le biezioni fra S e (S×{∅]) ce n'è una "naturale" che associa a x∈S la coppia
ordinata 〈x,∅〉; una biezione, altrettanto "naturale" tra T e (T×{{∅}}) associa a y∈T, la
coppia ordinata 〈y,{∅}〉. Le composizioni di tali biezioni con le inclusioni dei due insiemi
(S×{∅}) e (T×{{∅}}) nell'unione ((S×{∅})∪(T×{{∅}})) forniscono due funzioni iniettive
i1: S → (S⊕T) e i2: T → (S⊕T). Per ogni insieme Z e per ogni coppia di funzioni
f
f
f: S → Z, g: T → Z, esiste un'unica funzione g : (S⊕T) → Z tale che g °i1
f
f
f
= fe
g °i2 = g. Tale funzione g è definita per casi: g (〈x,∅〉) = f(x);
f
g (〈y,{∅}〉) = g(y). L'analogia con il prodotto cartesiano è mostrata dai due diagrammi
commutativi, in cui con il tratteggio si mettono in evidenza le funzioni di cui si chiede, nei
due casi, l'esistenza ed unicità. Per questo la somma disgiunta viene anche chiamata
coprodotto.
(( ) )
()
(( ) )
()
()
()
Con tale definizione si utilizza solo l'eguaglianza, l'inclusione, il vuoto e l'operazione di parti, anzi, con un
poco di attenzione e con qualche "complicazione" di scrittura, si può scrivere solo con l'appartenenza e l'eguaglianza. Infatti la prima definizione può essere presentata come
∀y((∃t(t∈y) ∧ ∀u,v(u∈v ∧ v∈y → u∈a)) → ∃z(z∈y ∧ ¬∃w(w∈y ∧ ∀u(u∈w → u∈z) ∧ w ≠ z))).
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Uno sguardo alla esponenziazione. Se S ≡ S’ e T ≡ T’, e siano b: S → S’ e c: T’
→ T, allora si ha (ST) ≡ (S’T) e (S’T) ≡ (S’T’). Le biezioni che realizzano queste equipotenze, con la loro composizione permettono di stabilire che (ST) ≡ (S’T’); esse sono
date, in modo naturale, dalla … composizione. Infatti un elemento f di ST è una funzione
f: T → S. Se si vuole associare ad esso un elemento di S’T, cioè una funzione da T a S’,
c'è un candidato "naturale" (b°f): T → S’. Così per la seconda biezione, assegnato g: T’
→ S’, si ha (g °c): T → S. Resta da verificare che così facendo si ottengono le
biezioni: Φ: (ST) → (S’T) e Ψ: (S’T) → (S’T’), definite ponendo, per ogni f∈(ST) e
per ogni g∈(S’T’) Φ(f) = (b°f) e Ψ(g) = (g°c) e (Ψ°Φ)(f) = (b°f°c).
L'esponenziazione si può vedere (nel caso di insiemi finiti) anche come moltiplicazione
ripetuta perché se #T = n, allora (Sn) ≡ (ST).
Con un linguaggio già usato nel paragrafo 2.4, la relazione di equipotenza ha le proprietà di una congruenza 1. I numeri naturali risulterebbero così definiti per astrazione
come le "classi di equipotenza" degli insiemi finiti. In tal modo ogni numero naturale
viene ad essere "rappresentato" in modo insiemistico. Estendendo la considerazione a tutti
gli insiemi, si verrebbe ad avere il cardinale dell'insieme S
card(S) = { S’ | S’ ≡ S}
e con questa scelta, per le proprietà discusse prima
card(S) + card(T) = card(S⊕T), card(S)·card(T) = card(S×T).
Questa nozione di cardinale è fortemente analoga alla definizione invariante di classe di
congruenza modulo n. Storicamente il concetto di classe di congruenza ha preceduto
quello di numero cardinale. Si può vedere l'elaborazione filosofica a proposito dei concetti
di universale, categoria e specie come esempi di classi di congruenze. I numeri cardinali
sono comparsi, più o meno nel senso detto prima, nell'opera di Cantor a partire dagli anni
'70 del XIX secolo.
1 Si noti che non si è affermato che ≡ sia una relazione di equivalenza o una congruenza, solo che ne ha le proprietà. Ciò dipende dalla coerenza con una definizione insiemistica ben consolidata nella tradizione: con relazione r su A si intende un sottinsieme dell'insieme (A×A). L'equipotenza non è una relazione poiché non si riesce a dire di quale insieme sia un sottinsieme. Ci sono infatti problemi di carattere fondazionale, paradossi, che
"sconsigliano" di considerare la totalità degli insiemi come un insieme.
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C. Marchini
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N
Tra classi di congruenza in e numeri cardinali c'è però una notevole differenza: per
ogni m∈ , per ogni n∈ *, [m]n = {re(m,n) + k·n | k∈ } è un sottinsieme di , che a
N
N
N
N
sua volta è assunto essere un insieme. Invece per ogni S≠ ∅, card(S) è una totalità troppo
"grande" per essere un insieme.
Questo è garantito dal Paradosso di Russell e da altri risultati paradossali dello stesso
tipo (paradossi logici). Detta antinomia mostra che la nozione intuitiva di insieme, la collezione, quando viene considerata assieme all'idea di associare ad ogni proprietà 1
un'estensione, un opportuno insieme, porta a contraddizioni.
Una proposta dovuta a Zermelo, per evitare i paradossi è quella di applicare una sorta di
comprensione limitata, il Principio di isolamento, che può essere ispirato alla VIII nozione
comune di Euclide. In base ad esso, preso comunque un insieme A ed una proprietà P
esiste l'insieme di tutti e soli gli elementi di A che soddisfano la proprietà P.
Come si è visto nella costruzione delle Algebre di Boole, è indispensabile considerare
anche l'insieme dei sottinsiemi di un insieme dato. La costruzione del cosiddetto insieme
delle parti è strumento essenziale per fornire una sistemazione assiomatica dei concetti di
appartenenza ed inclusione, sistemazione in cui trova spazio come assioma il Principio di
isolamento.
Di più, con l'insieme delle parti è possibile dare formalizzazione ad una costruzione che
appare implicitamente anche negli studenti di scuola preuniversitaria che vengano istruiti
nel linguaggio insiemistico. Si consideri un insieme (infinito) (di elementi), V 0, ad
esempio per le consuete necessità matematiche potrebbe considerarsi V0 = . Diciamo
che esso è un tipo.Si considera poi un insieme di tipo diverso, V1 dato da P(V0). Dato
un insieme S ⊆ V0, cioè S∈V1, si può definire card(S) = { S’ | S’ ≡ S ∧ S’∈V1}.
Così facendo card(S) ⊆ V1, quindi card(S) è un insieme e card(S)∈V2, avendo posto
V 2 = P (V 1). Inoltre la definizione di card(S) usa il Principio di isolamento e non
R
quello di comprensione. Questo approccio ai cardinali è noto in letteratura come Scott's
trick, dal nome del matematico americano Dana Scott. Evidentemente se card(S) =
card(S’), si ha che S,S’ ⊆ V 0 e S ≡ S’; ma esso dipende fortemente dal tipo V 0 di
partenza e dalla gerarchia dei tipi che ne discende. Il concetto di gerarchia dei tipi è dovuto
a Russell e trova la sua presentazione più matura nel testo Principia Mathematica di Whitehead e Russell. Nella loro presentazione vi sono infiniti tipi e in questo caso ci sarebbero
nozioni diverse di numero cardinale: se S∈Vn, card(S) = {S’ | S’ ≡ S ∧ S’∈Vn}.
Le cose andrebbero attentamente precisate. Ad esempio per poter fare l'Aritmetica ci
vuole che il tipo sia "chiuso" per prodotti cartesiani e per esponenziazione. Ciò non accade
se V0 = , dato che il prodotto cartesiano di due elementi di V1, cioè di due sottinsiemi
R
di
R, non è un sottinsieme di R, ma di R2 e questo richiede anche una precisazione della
1Il fatto che si possa associare un insieme come estensione di una proprietà prende il nome di Principio di comprensione.
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C. Marchini
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natura insiemistica della coppia ordinata e del prodotto cartesiano. Inoltre la biezione che
realizza l'equipotenza tra S, S’ elementi di V1, è un sottinsieme di (S×S’), ma, in base
alla definizione di coppia ordinata, può succedere che la biezione non sia un elemento di
V 1. Infatti se si assume la definizione di Kuratowski, 〈x,y〉 = {{x},{x,y}}, si ha, come
detto nel paragrafo 1.1, (S×S’) ⊆ P(P(S∪S’)). Ora la biezione f tra S e S’ è tale che f
⊆ (S×S’), quindi si ha f ⊆ P ( P (S∪S’)), vale a dire f∈ P ( P ( P (S∪S’))). Ma se
S,S’∈V1, si ha S,S’ ⊆ V0, ed anche (S∪S’) ⊆ V0, P(S∪S’) ⊆ P(V0) = V1, da
cui P ( P (S∪S’)) ⊆ P ( V 1 ) = V 2 , ed infine f ⊆ P ( P (S∪S’)) ⊆ V 2 . Pertanto
f∈P(V2), cioè f∈V3. Si ha perciò che il Card(S)∈V2, per essere definito ha bisogno
di V3.
Anche precisando opportunamente, è facile osservare che per i numeri cardinali così
definiti si va incontro a qualche difficoltà: si può avere S ≡ T e non avere card(S) =
card(T). Infatti è possibile, ad esempio, considerare x∈ V 0, per cui si ha {x} ⊆ V 0,
quindi {x}∈V1, {{x}} ⊆ V1, pertanto {{x}}∈V2. Si ha banalmente {x} ≡ {{x}}, ma tali
insiemi non hanno lo stesso insieme di insiemi equipotenti, perché elementi di tipi diversi.
Questo problema si risolve parzialmente con la nozione di tipo cumulativo, introdotta in
seguito.
È possibile un altro approccio che però comporta che se due insiemi sono equipotenti
hanno lo stesso numero cardinale (che è un insieme), ma se hanno lo stesso numero cardinale non è detto che siano equipotenti.
Il concetto di numero cardinale si deve a Cantor che lo introdusse per "contare" l'infinito in atto. Così facendo le operazioni aritmetiche che sono state introdotte, suggerite da ciò
che accade per i numeri naturali, vengono estese anche ai numeri cardinali degli insiemi
infiniti, i cosiddetti numeri cardinali trasfiniti.
Per lungo tempo la speculazione filosofica ha cercato di dare una risposta a che cosa sia
l'infinito. All'inizio, Pitagora, Leucippo, Democrito hanno dato un connotato quantitativo
all'infinito (in atto); con Parmenide e Zenone, tale qualità dell'infinito è stata posta in discussione col risultato dell'abbandono dell'infinito in atto a favore dell'infinito in potenza.
Solo Cantor è riuscito a provare che è possibile parlare dell'infinito in atto, della sua
cardinalità, cioè della connotazione quantitativa di esso, che non è la stessa per tutti gli
insiemi infiniti (diversità di "gradi" di infinito) riconoscendo che essa può essere misurata
con numeri cardinali soggetti a operazioni e relazioni aritmetiche.
2.6. Numeri ordinali. Il numero cardinale di un insieme finito non dipende dall'ordine
nel quale vengono presentati o considerati gli elementi. Tuttavia, per altri scopi, spesso si
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C. Marchini
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fornisce una lista degli elementi in un dato ordine, così come si conta: primo, secondo,
terzo,… e non solo uno, due, tre… Questo porta alla nozione intuitiva di numero ordinale.
Un tale numero è collegato ad un insieme linearmente ordinato 〈P,<〉. Se 〈P’, 〉 è un in-
9
sieme di questo tipo, si è già visto nel paragrafo 1.4, un isomorfismo ordinato è una biezione f: P → P’ che preserva l'ordine nel senso che se p < q, in P, si ha f(p)
f(q) in
9
P’. Quando c'è un tale isomorfismo si dice che i due insiemi ordinati sono ordinatamente
equivalenti o che hanno lo stesso tipo d'ordine e ciò si indica con 〈P,<〉
〈P’, 〉. In
realtà spesso si "dimentica" la relazione d'ordine e si scrive, P
P’, in modo suggestivo,
=
=
9
ma scorretto, dato che su un insieme possono essere definite più relazioni d'ordine lineare
diverse. Ne è esempio sul quale è possibile definire ℵ1 diversi buoni ordini (e quindi
N
un numero non minore di ordini lineari, richiesti per il tipo d'ordine).
Un numero ordinale finito può essere definito mediante un insieme finito linearmente
ordinato (e quindi bene ordinato), preso modulo la relazione di equivalenza ordinata.
In modo alternativo, come con le congruenze modulo m o con i numeri cardinali, si può
definire un numero ordinale finito ancora con il cosiddetto Scott’s trick, come una classe
di equivalenza (del tipo V2) di insiemi del tipo V1 :
ord(P) = {P’ | P’∈V1 ∧ P’
= P}.
Nel caso di insiemi finiti, non c'è bisogno (grazie al principio di induzione) di specificare
l'ordine, dato che tutti gli ordini sono tra loro isomorfi. Ma questa definizione si può
applicare in generale, anche qui però con una "grana" in più e la si scopre ripetendo considerazioni svolte nel paragrafo precedente: se P∈V1, un insieme ordinato è dato da una
coppia ordinata 〈P,<〉, e < ⊆ (P×P) ⊆ P (P (P)) ⊆ V 2, e pertanto <∈V 3. Di conseguenza 〈P,<〉∈(V 1×V 3) ⊆ P(P(V 1∪V 3)). Ora (V 1∪V 3) non è un tipo, almeno
con questa definizione, e tanto meno lo è P(P(V1∪V3)). Di che tipo sia poi un isomorfismo ordinato, risulta ancora più complesso. Ma questo costringe ad una revisione
della nozione di tipo, revisione che porta al concetto di tipo cumulativo (di Zermelo). Si
pone Vn+1 = (Vn∪P(Vn)) e si completa la definizione prendendo V0 = ∅. Lo sviluppo
di questa parte porta ai modelli della Teoria formalizzata degli insiemi che merita un corso
intero.
Tralasciamo questi problemi e vediamo come si possono definire le operazioni sugli
ordinali finiti. Dati due insiemi linearmente ordinati P, Q, sottintendendo le rispettive relazioni d'ordine, si definisce l'ordine su (P⊕Q) imponendo che ogni elemento di P preceda ciascun elemento di Q 1. L'insieme ordinato ottenuto è detto la somma ordinale dei
due e di qui si definisce l'addizione ordinale. Il prodotto ordinale si ottiene considerando
sull'insieme (P×Q) la relazione d'ordine lessicografico, cioè quello che si adopera nella
1 In realtà bisogna considerare ogni elemento di (P×{∅}) precedente di ciascun elemento di (Q×{{∅}}).
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C. Marchini
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consultazione del vocabolario: 〈p1,q1〉 < 〈p2,q2〉 se p1 < p2 oppure p1 = p2 e q1 < q2.
Così sul vocabolario "il" si trova prima di "io" e di "la" e dopo di "ed". In questo modo si
definisce il prodotto ordinale. Anche l'operazione di esponenziale può essere utilizzata per
la definizione di potenza ordinale. Però mentre nella definizione di somma e prodotto
ordinale i due insiemi ordinati sono arbitrari, qui si richiede che l’"esponente" sia un insieme finito e l'ordine è ancora lessicografico. Infatti l'insieme (PQ), quando #Q = n è
equipotente a Pn, quindi invece di considerare le "parole di due lettere", come in (P×Q), si
considerano le parole di n lettere. In termini più formali: siano f,g∈(PQ), cioè f,g: Q →
P, con f ≠ g, si pone f < g se considerato {z∈Q | f(z) ≠ g(z)} e sia q = min{z∈Q | f(z) ≠
g(z)} , si ha f(z) < g(z). Ora se Q è un insieme finito, come detto anche prima, l'ordine
lineare implica il buon ordine. Di qui si vede che se 〈Q,<〉 è un buon ordine, con Q anche
infinito, è possibile definire la potenza ordinale anche in questo caso.
Tali tre operazioni sono invarianti per isomorfismi ordinati. Però attenzione: se gli insiemi ordinati non sono finiti, le operazioni non sono commutative e molte delle proprietà
aritmetiche "saltano". Per questo bisogna fare attenzione: si pone (tradizionalmente)
ord(Q)·ord(P) = ord(P×Q).
Per mostrare la non commutatività della addizione ordinale si consideri il seguente esempio: è facile provare che ({0}⊕ )
, ma ( ⊕{0}) non è ordinatamente isomorfo a ,
N =N
N
N
N
dato che il primo insieme ha minimo e massimo, mentre ha minimo, ma non massimo.
Analogamente non vale la commutatività della moltiplicazione ordinale, si considerino
( ×{0,1]) e ({0,1}× ); l'ordine del primo insieme è isomorfo a quello di , l'ordine del
N
N
N
secondo no; il primo può rappresentarsi come NNNNN…, mentre il secondo può
rappresentarsi come ____________ … _____________ … . Nel primo insieme c'è
minimo, 〈0,0〉 e non c'è massimo, la coppia ordinata 〈n,0〉 ha successivo 〈n,1〉 e la coppia
ordinata 〈m,1〉 ha successivo 〈m+1,0〉. A parte la coppia 〈0,0〉, ogni altra coppia ha
predecessore: 〈p,1〉 ha predecessore 〈p,0〉, mentre 〈q,0〉 (con q ≠ 0〉 ha predecessore 〈q1,1〉. Nel secondo insieme c'è il minimo, sempre 〈0,0〉, non c'è massimo, ogni elemento ha
successivo: 〈n,0〉 ha successivo 〈n+1,0〉, mentre 〈m,1〉 ha successivo 〈m+1,1〉, però gli
elementi 〈0,0〉 e 〈0,1〉 non hanno predecessore.
Nel caso di insiemi linearmente ordinati infiniti si riesce a definire un tipo di ordine, ma
talvolta non si riesce a definire un ordinale. Si consideri ad esempio l'insieme - degli
Z
interi relativi negativi, con l'ordine naturale sugli interi; ha un tipo d'ordine, ma non un
numero ordinale, dato che si vuole "generalizzare" quanto avviene per i numeri naturali,
tutti aventi "minimo". Per questo si fornisce la definizione di numero ordinale di un insieme, finito o no, bene ordinato. Anche tra i numeri ordinali si introduce una relazione
d'ordine: si pone P Q, trascurando o dando per sottintese le rispettive relazioni d'ordine, se P è ordinatamente isomorfo ad un "segmento iniziale" di Q. Per chiarire sia T ⊆ Q,
‹
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C. Marchini
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T è un segmento iniziale di Q se per ogni x∈T, per ogni y∈Q, se y < x, allora y∈T. Ciò
spiega perché non si associa un numero ordinale a -. Infatti P = {x∈ - | x < -8} è un
Z
Z
Z
segmento iniziale di -, ma il tipo d'ordine di P è eguale al tipo d'ordine di
morfismo ordinato è dato da f: P → -, definito da f(x) = x + 8.
Z
Z- e l'iso-
Inoltre ciascun numero ordinale deve essere del tipo d'ordine di tutti i numeri ordinali
che lo precedono, ordinato con la precedente relazione . Quest'ultima proprietà motiva la
‹
descrizione dei naturali di Von Neumann, visti nel paragrafo 1.1. In tal modo i naturali di
Von Neumann divengono gli ordinali (di Von Neumann, si veda sotto) finiti. Per
maggiore chiarezza si può esprimere che l'ordinale di Von Neumann A è finito, dicendo
A = ∅ ∨ ∃y(A = y ∪ {y} ∧ ∀z(z∈y → (z = 0 ∨ ∃u(z = u ∪ {u})))) 1.
Collezionando i naturali di Von Neumann in un insieme, si ottiene un nuovo ordinale
(stavolta infinito) ω0 = ord( ) = {0,1,…} = . Tali ordinali presentano il problema che
N
N
non si riesce, per la loro costruzione, a "rinchiuderli" in un unico tipo.
Più in generale, nel contesto di una Teoria formalizzata degli insiemi (con assioma di
fondazione) in accordo con Zermelo e Fraenkel, si dice che un insieme A è un ordinale di
Von Neumann assumendo la congiunzione delle due seguenti richieste
∀x(x∈A → x ⊆ A); ∀x,y∈A(x∈y ∨ x = y ∨ y∈x)
La prima si esprime a parole dicendo che A è un insieme transitivo; la seconda richiesta
esprime che A è un insieme connesso, cioè linearmente ordinato da ∈. Quindi un ordinale
è un insieme che è linearmente ordinato, anzi bene ordinato, dalla relazione di appartenenza. In questo modo si può pensare di aver scelto in modo uniforme, in ogni classe di
isomorfismo ordinato un rappresentante privilegiato, quello in cui l'ordine è la relazione di
appartenenza, dato che se x e y sono ordinali ed esiste un isomorfismo ordinato, allora x
= y. Alcune proprietà importanti sono le seguenti: siano x,y ordinali, allora x∈y sse x ⊆
y; (x∪{x}) è ancora un ordinale, anzi è il successivo. L'unione arbitraria di ordinali è un
ordinale. Queste stesse proprietà erano state osservate per i naturali di Von Neumann, nel
paragrafo 1.2.
Mediante questo approccio si dice che un ordinale α è un cardinale se è il minimo degli
ordinali ad esso equipotenti. Si definisce poi cardinale di un insieme il minimo ordinale
equipotente all'insieme. Questa è l'altra possibile opzione per il concetto di cardinale, anche se sorgono altri problemi. Si ha infatti che se 〈P, ∠〉 è un insieme bene ordinato e f: S
→ P è una biezione, è possibile definire una relazione binaria ⊆ (S×S) ponendo per
ogni x,y∈S, x y se e solo se f(x) ∠ f(y). È facile provare, ed è lasciato al lettore, che
i
i
1 Si confronti questa nozione di finitezza per un insieme bene ordinato (in cui il buon ordine è dato dall'appartenenza) con quella di Tarski, data in una nota precedente, nozione quest'ultima che non sfrutta la presenza di un
ordine.
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i
i=
〈S, 〉 è un insieme bene ordinato e che f è un isomorfismo ordinato per cui
〈S, 〉
〈P,∠〉. Cercare un ordinale che sia in corrispondenza biunivoca con l'insieme,
equivale a cercare una relazione di buon ordine sull'insieme stesso. Nel 1882 Cantor aveva
avanzato una congettura: il cosiddetto Principio di buon ordinamento che afferma che
ogni insieme è bene ordinabile. Al terzo congresso internazionale di Matematica, svoltosi
ad Heidelberg nel 1904, Julius König (1849 - 1913) presentò la dimostrazione (in seguito
risultata errata, ma ridimostrata correttamente in altro modo più tardi) che non può essere bene ordinato. Nello stesso congresso Zermelo diede la dimostrazione della congettura di Cantor, in base alla quale anche
sarebbe bene ordinabile. I due matematici
avevano entrambi ragione: dipende, rispettivamente, se tra gli assiomi per gli insiemi, non
si assume o si assume l'assioma di scelta. Se un insieme non è bene ordinabile, bisogna,
per altre ragioni, associargli l'ordinale ∅ che sicuramente è minimo. Con questo approccio
R
R
possono esistere due insiemi aventi lo stesso cardinale ma non equipotenti.
2.7. Fondazioni. La ricca molteplicità di oggetti matematici e le dimostrazioni di teoremi
su di essi possono essere formalmente ricondotte con precisione assoluta 1 ad una base
notevolmente "parsimoniosa". In questo modo tutti gli oggetti della Matematica possono
essere descritti come insiemi: un numero naturale è un insieme (naturali di Von Neumann
cfr. paragrafo 1.1 o cardinali di insiemi finiti, cfr. paragrafo 2.5). Una coppia ordinata è
descrivibile mediante insiemi, ad esempio secondo la definizione di Kuratowski, si veda il
paragrafo 1.1. Un numero intero relativo si può introdurre come un insieme di coppie
ordinate (una classe di equivalenza) di numeri naturali, analogamente un numero razionale
può essere introdotto come insieme di coppie ordinate (una classe di equivalenza) di
numeri interi relativi, il secondo non nullo, un numero reale è a sua volta descrivibile come
una coppia ordinata di sottinsiemi di
(sezioni di Dedekind) o come una classe di
equivalenza di opportune successioni di numeri razionali (Cantor). A loro volta, prodotti
cartesiani, funzioni, relazioni sono descritte come insiemi, ecc. In questo modo un teorema
di Matematica può essere ricondotto 2 ad un linguaggio molto semplice, basato solo sul
predicato di appartenenza e sulle regole (assiomi) che si impongono a tale predicato, formulate mediante il linguaggio logico in cui sono presenti connettivi, quantificatori, parentesi, variabili o indeterminate. Questa riduzione agli insiemi, esplicitabile con il detto tutto è
Q
1 Questo aggettivo tradisce una posizione epistemologica ben lontana da quelle del neo-empirismo matematico
che vede impossibile una assoluta precisione.
2 La "riconduzione" di fatto è solo teorica, data la complessità e la lunghezza delle scritture che si otterrebbero
eliminando le definizioni via via introdotte, per ricondurre il tutto alla teoria degli insiemi. Con questo
procedimento si toglierebbe "trasparenza" alle proprietà. Si pensi, ad esempio, cosa significherebbe provare la
proprietà associativa della moltiplicazione di numeri naturali, come detto nel paragrafo 1.1.
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C. Marchini
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insieme, pone un problema di notazione: non ha più senso distinguere graficamente insiemi ed elementi, quindi è possibile usare solo lettere minuscole o solo lettere maiuscole.
L'uso delle due grafie diverse sembra associato ad una intuizione (primaria o secondaria)
della distinzione tra tipi, usata nel paragrafo 2.5. Nel caso della Geometria (sintetica) è forse necessario ampliare la base degli enti primitivi aggiungendo termini quali "punto", "retta", "incidenza". Alla fine la maggior parte delle dimostrazioni di teoremi matematici può
essere stabilita, con rigore assoluto, come una successione finita di applicazioni di un numero finito di regole di inferenza.
Dare una fondazione alla Matematica significa fornire un procedimento di riduzione
della Matematica agli insiemi, a formule ben formate e a inferenze formali.
Sono esclusi da questo processo un piccolo numero di teoremi matematici formalmente
indecidibili e le costruzioni in cui si richiede l'"universo" di tutti gli insiemi.
Ma poiché si è sostenuto che la Matematica è basata su attività umane e problemi scientifici, si è rimandata la discussione del problema dei fondamenti fino a questo punto, e si
sono presentati invece molti "oggetti" matematici che richiedono una salda fondazione.
Per descrivere le strutture matematiche, quasi tutti i matematici usano oggi il linguaggio
convenzionale della Teoria degli insiemi, ma assai pochi tra essi esplicitano gli assiomi che
pongono a base della teoria stessa. Allo stesso tempo quasi nessuno tra essi (tranne i logici) puntualizza le regole di inferenza che adopera.
Talora si fa riferimento alla Teoria degli insiemi così come formalizzata da Zermelo e
Fraenkel, la cosiddetta teoria ZF, ma questa teoria non prende posizione né sull'assioma di
scelta 1, né sull'ipotesi del continuo, che sono di fatto principi indipendenti da ZF così
come il postulato delle parallele è indipendente dai restanti assiomi di Euclide.
Di conseguenza è possibile aggiungere alla teoria ZF un'ampia varietà di assiomi aggiuntivi, facendo scelte tra proprietà tra loro in contraddizione e questo rende meno
"chiara" la Teoria degli insiemi che viene applicata tacitamente.
Più recentemente, a partire dal 1960, sono state avanzate, ad esempio da Lawvere,
fondazioni della Matematica che "evitano" gli insiemi e assumono come enti primitivi le
funzioni, o meglio la loro astrazione avviata con il concetto di morfismo e di categoria.
Nel 1979 Petr Vopenka (n. 1936) ha introdotto una teoria "insiemistica" come fondazione della matematica, per altri aspetti assai peculiare, la Matematica alternativa. In essa
vengono trovate soluzioni per numerosi argomenti che nella presentazione "classica" sono
paradossi semantici. Attenendosi ad aspetti fenomenologici, si postula l'esistenza solo di
insiemi finiti. Viene inglobata nella teoria e trasformata positivamente parte della crisi dei
fondamenti e dei risultati limitativi, ad esempio il fenomeno dell'incompletezza sintattica
evidenziato da Gödel, ipotizzando una sostanziale limitazione del potere di discriminazione
1 Non così l'originale teoria di Zermelo che postulava l'assioma di scelta.
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concettuale dell'uomo. L'infinito (e la continuità, come il movimento, ecc.) sono "cattive"
letture della realtà. Questa l'interpretazione dell'infinito è chiamata da Vopenka, infinito
naturale. Altre fondazioni vedono nella ricorsività il concetto fondamentale (Andrej
Andreevic Markov (1903 - 1979) figlio)
Anche le regole di inferenza non sono universalmente accettate nella stessa forma ed infatti non c'è solo una logica. Quella più comunemente applicata è la logica classica, si potrebbe dire, la logica che governa i sottinsiemi di un insieme. Ma anche il più "classico"
dei logici è costretto ad utilizzare una logica diversa quando, ad esempio è interessato ai
sottinsiemi aperti di uno spazio topologico o a studiare le proprietà locali di una funzione.
Capitolo 3 - La complessa rete matematica.
3.1. Un diagramma esplicativo. In questo capitolo si trattano argomenti che vengono
svolti nel Capitolo XII del testo di Mac Lane, più volte citato.
Nei primi due capitoli si sono presentati alcuni oggetti e teorie matematici, cercando di
fornire giustificazione ed accenni ad una loro sistemazione che partendo da aspetti intuitivi
vada via via precisandosi e "formalizzandosi" 1. Gli esempi sono stati semplici, forse
troppo, ma possono già illustrare una sorta di atteggiamento generale: l'approfondimento
spesso è obbligato dal fatto che l'intuizione porta a effetti contraddittori o indesiderati,
quindi si deve procedere per altra strada, salvando quanto di positivo trovato fino a quel
punto, oppure partendo da approcci completamente alternativi.
Negli studi matematici si incontra una larga varietà di argomenti. Viene da chiedersi
cosa dica questa varietà sulla natura della Matematica, o anche come tale varietà illumini la
questione filosofica di quanto la "verità" e la "bellezza" della Matematica siano un aiuto ad
indirizzare la ricerca matematica, in particolare le fondazioni della Matematica.
Un'osservazione fondamentale è questa: lo sviluppo della Matematica fornisce una
stretta e connessa rete di regole formali, concetti e sistemi. I nodi di tale rete sono strettamente correlati alle procedure utili nelle attività umane e ai problemi che sorgono nelle
scienze. Il passaggio dalle attività umane ai sistemi formali matematici è guidato da una
varietà di intuizioni e idee generali. In questa rete formale, nuovi sviluppi vengono stimo1 Spesso la mia presentazione è stata ispirata dal fallibilismo che trae origine da Popper e Imre Lakatos (1922 1974).
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C. Marchini
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lati e guidati da congetture, problemi, astrazioni ed inoltre dal costante desiderio (curiosità)
dell'uomo di comprendere sempre di più. Un diagramma può aiutare a riassumere queste
considerazioni.
(
)-(
Attività umane
Problemi scientifici
)
Procedure
Problemi
 Regole 
 Definizioni 
- Idee -  Assiomi  - (La rete dei sistemi formali)
 Dimostrazioni
↑

________________________________________________________|
Si continua ora analizzando varie porzioni di questo diagramma in paragrafi separati.
3.2. Il formale. La presentazione della Matematica è formale: i calcoli sono svolti seguendo regole specificate in anticipo: le dimostrazioni vengono svolte da assiomi stabiliti
in precedenza e seguono regole di inferenza predeterminate; i nuovi concetti, riconosciuti
rilevanti, vengono introdotti mediante definizioni non ambigue; gli errori e i punti critici
vengono chiariti non in base ad un dibattito in cui si portano a giustificazione impressioni
personali, ma facendo riferimento alle regole. La caratteristica di ogni procedura formale è
che essa non fa riferimento al significato od alle applicazioni delle regole stesse, ma solo
alla forma. Il formalismo può essere imperfetto o abbozzato, ma porta in sé la possibilità
di essere perfezionato. A causa di queste caratteristiche, la Matematica (entro i suoi limiti)
è assolutamente precisa ed indipendente dalle persone. Gli aspetti formali possono essere
comunicati bene, senza ambiguità. Essi si sviluppano in molti stati successivi.
Il formale si origina, dapprima nelle regole usate in problemi aritmetici. Dati due interi
in base dieci, le regole (tabelline) forniscono le informazioni necessarie per scriverne la
somma o il prodotto. Queste regole non sono ambigue; siamo sempre in grado di verificare se sono state applicate in modo corretto, sia a mano, sia con l'abaco, sia col calcolatore.
Calcoli diversi di uno stesso prodotto, quando svolti correttamente, forniscono lo stesso
risultato. Le regole non dicono cosa possano significare i numeri o cosa siano le scritture
decimali usate, anche se in un sistema più generale, ad esempio nella Aritmetica di Peano,
che è pure essa formale, mediante le definizioni ricorsive si possa fornire un significato ai
numeri, alle operazioni ed alle scritture decimali, a partire dal passaggio al successivo e
dallo zero.
La "austerità" delle regole dell'Aritmetica è la base per la loro ampia applicabilità. L'uso
dell'Aritmetica è governato da operazioni pratiche ben comprese. L'operazione data dal
contare usa i successivi di ciascun numero (in scrittura decimale, con le regole del "riporto") e prescrive i modi del contare, ad esempio, il numero di carte in un mazzo. L'addizione
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
di due numeri, scritti in base decimale, può essere associata al processo pratico di unire
due mazzi di carte per formarne uno solo. Se il risultato di un simile conteggio non è
corretto, l'errore non viene attribuito alle regole usate, ma ad un conteggio non accurato o
alla perdita di qualche carta. La grande generalità delle regole ed i molteplici usi sono una
garanzia che un errore accidentale non viene mai visto come una "minaccia" in agguato
alle regole stesse. In modo simile ci sono operazioni di senso comune che vengono
applicate alla determinazione dell'area di una figura anche approssimativamente rettangolare. In questo caso le procedure sono la determinazione delle lunghezze dei lati seguite
dalla moltiplicazione delle misure; il risultato può essere controllato, ad esempio mediante
una quadrettatura. Eventuali errori di calcolo dell'area possono essere dovuti al fatto che la
figura non è un rettangolo, bensì un parallelogramma, oppure che l'unità di misura non è
ben scelta, sicuramente non dalla inaffidabilità della moltiplicazione (e delle tabelline).
Apro a questo proposito una breve parentesi didattica. Anche in questo caso le cose non
vanno del tutto in modo così semplice: se l'unità di misura di lunghezze è stabilita a priori,
è possibile che il rettangolo non venga esattamente ricoperto da un numero naturale di
quadrati, perché restano "parti" non quadrate che rendono difficile il computo. Si dovrebbe operare diversamente: assegnato un rettangolo, bisognerebbe determinare un'opportuna unità di misura mediante la quale si possano misurare entrambi i lati e ricoprire
esattamente il rettangolo mediante quadrati di lato unitario.
Questo problema è quasi certamente irrisolubile, d'altra parte è sicuramente risolubile in
modo semplice. L'impossibilità dipende dal fatto che dati due segmenti, grazie ai risultati
già ottenuti nella geometria greca, in generale essi sono incommensurabili. Così in un
rettangolo che ha per dimensioni quelle di una tessera telefonica (in cui il lato più breve è
la sezione aurea dell'altro) o in uno ad esso simile, non è possibile determinare un'unità di
misura di lunghezze con cui misurare esattamente entrambi i lati.
D'altra parte assegnato un rettangolo materiale e presa a priori un'unità di misura per le
lunghezze, le misure dei lati sono ottenute mediante misurazioni dirette, ottenute confrontando i lati con un'asta graduata ottenuta considerando multipli e sottomultipli della prescelta unità di misura. I valori che si ottengono da una misura diretta sono sempre dei
numeri razionali. Ma ciò significa che è individuabile un sottomultiplo dell'unità di misura
delle lunghezze che permette di misurare esattamente i lati.
In altro senso ancora il problema è risolubile: dato che non si stanno più considerando
rettangoli "geometrici" ma fisici, è possibile operare direttamente su di essi (o forse operare sul modello mentale di cui il rettangolo fisico è una rappresentazione).
Un modello "generico" è offerto da un foglio rettangolare; piegando opportunamente il
foglio, si può determinare il segmento (massimo) sottomultiplo comune dei lati diversi,
senza per questo dover misurare il foglio con righelli graduati. Questo procedimento è
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
originato da quello euclideo per la determinazione del Massimo Comune Divisore, solo
che viene applicato a segmenti e non a numeri.
La figura mostra, in successione, in quale modo si può procedere. L'ultimo rettangolo
mostra le piegature risultanti da cui si può verificare che l'area del rettangolo di partenza è
ottenibile sia per conteggio diretto dei quadrati aventi per lato il massimo comune divisore
dei segmenti dati; oppure mediante la moltiplicazione delle misure dei lati, rispetto al segmento trovato.
La costruzione qui mostrata è valida per un foglio in cui le dimensioni dei lati stanno tra
loro come 20 : 24. Se il rapporto tra le dimensioni è diverso, la costruzione viene alterata
in modo ovvio, a riprova che non si sta operando su uno specifico foglio di carta, ma che
si procede sul modello di rettangolo.
Apparentemente questa tecnica urta contro la scoperta pitagorica degli incommensurabili. Questo è vero, in teoria, non in pratica: il metodo delle piegature è assai grossolano e
ben presto, grazie alle imprecisioni, si giunge a trovare il quadrato unitario atto a misurare,
per conteggio, il foglio dato, e pure il segmento che suddivide entrambi i lati diseguali del
rettangolo. Ma il quadrato così ottenute ed il suo lato sono intrinseci al foglio da misurare, non dipendono da misure esterne, dunque la procedura è applicabile al modello mentale. Questa costruzione evidenzia una proprietà del rettangolo: che l'area è data dal prodotto delle misure dei lati. Essa non dipende da unità di misura delle lunghezze assunta indipendentemente dal rettangolo in considerazione.
L'uso delle piegature è interessante anche perché è una realizzazione pratica dell'algoritmo (euclideo) della determinazione del massimo comune divisore di due numeri, col
metodo delle divisioni successive 1.
Tali aspetti possono essere trascurati nella scuola dell'obbligo, ma possono essere fonte
di spunti di discussione nella scuola superiore, sull'"affidabilità" delle misure, sulla
presenza di grandezze incommensurabili, sui procedimenti algoritmici, eccetera.
Ritornando al tema di questo paragrafo, le regole formali dell'aritmetica sono salde basi
che non vengono sicuramente messe in dubbio da occasionali errori di calcolo.
Gli assiomi di Peano forniscono un secondo passo per la formalizzazione. Infatti le
operazioni e le loro regole formali possono essere riottenute dagli assiomi e ciò può essere fatto senza doversi rifare alla natura dei numeri: non dipendono dal fatto che i numeri
naturali vengano introdotti come insiemi, come ordinali o come cardinali. D'altra parte sarebbe possibile, ad esempio, scegliere per i numeri naturali gli ordinali di Von Neumann,
ma di nuovo le loro proprietà potrebbero essere ricavate come regole formali dedotte dagli
assiomi della Teoria degli insiemi, ad esempio nella presentazione di Zermelo e Fraenkel,
trascurando l'intuizione che gli ordinali sono la formalizzazione dei tipi d'ordine degli in-
1 Lagrange ne adopera uno analogo per introdurre e giustificare le frazioni continue.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
siemi bene ordinati. Ciò mostra che in Aritmetica ci sono molti e diversi stadi di formalizzazione, tra loro connessi. Ciò accade anche in altre branche della Matematica.
I sistemi di assiomi forniscono un altro importante esempio di formalismo. L'esempio
cardine è l'assiomatizzazione completa della geometria piana euclidea.
Intuitivamente si può pensare di trattare figure piane, ma con una accurata formulazione
degli assiomi, ad esempio quelli di Hilbert che tuttavia rappresentano un buono stadio di
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
formalizzazione, ulteriormente "migliorato" da una proposta di Tarski, tutte le dimostrazioni dei teoremi possono essere ottenute strettamente partendo dagli assiomi, presentando
così "dimostrazioni senza figure". Ciò perché con una accurata formulazione non c'è bisogno dell'ostensione di figure, ostensione che "nasconde" la presenza un "contenuto".
Non c'è più bisogno di riferirsi alla retta come ciò che ha lunghezza e non ha spessore
("definizione" di Euclide), basta considerarla come ente utilizzato con assiomi di incidenza, ordine e congruenza. Così facendo non c'è più bisogno che "esista" una vera e propria
linea "dritta" da qualche parte nel mondo, e neppure che esista un piano "piatto". Con una
presentazione assiomatica è possibile "accoppiare" l'austerità della Matematica con le regole operazionali da usare in essa. Gli angoli possono essere misurati guardando attraverso un telescopio e registrando le posizioni di un satellite rispetto una "sbarra" verticale. Le
distanze possono essere misurate con una catena o un filo a piombo. Se, ad esempio, le
distanze non soddisfano il teorema di Pitagora, l'errore viene addebitato alla imperfezione
della misura ottenuta con questi mezzi, non alla dimostrazione del teorema. Se si individuano con accuratezza tre punti non allineati e da ciascuno di essi si misura l'angolo individuato dagli altri due, si possono determinare tre angoli la cui somma non è un angolo
piatto. Se ciò avviene si decide che si è commesso un errore di misura oppure si adopera il
risultato come un'indicazione che per questa esperienza bisogna muoversi in ambito non
euclideo (Gauss). La geometria piana euclidea e la trigonometria si basano saldamente su
assiomi, immuni dalle deviazioni dei raggi luminosi o dalle rotte dei satelliti. Inoltre una
volta dati gli assiomi, il processo deduttivo segue standard formali. Questa saldezza è nota
da tempo e si è mostrata utile, grazie alla lunga esperienza. La geometria piana così è un
sistema deduttivo, utile per analizzare lo spazio, ma non è in sé una scienza dello spazio.
La Geometria euclidea utilizza le regole di inferenza consuete tratte dalla logica. Una dimostrazione in geometria non fa riferimento alla verità (eccetto forse per alcuni usi verbali)
o a verità successive, solo a tautologie, viste come teoremi proposizionali, assiomi ed
effettive applicazioni delle regole di inferenza. E la descrizione delle tautologie in termini
di tavole di verità, oggi, non è il modo di riferirsi al concetto filosofico di verità, ma dopo
l'opera di Boole, di William Stanley Jevons (1835 - 1882), Peirce e Schröder, è divenuta
una tecnica formale di sostituzione di 0 e 1 nella formula, sostituzione che è procedimento
decidibile per provare la dimostrabilità delle formule (Teorema di completezza).
Questa osservazione è ancora più pregnante nel caso dei quantificatori. Nel calcolo dei
predicati una affermazione del tipo ∃x(ϕ(x)) (in logica classica) non significa: ho trovato
e mostrato un elemento a tale che ϕ(a). Se si trova un elemento a tale che ϕ(a),
banalmente da questo si può concludere ∃x(ϕ(x)); è però possibile ottenere la stessa
conclusione anche per via indiretta provando, ad esempio che assumere che per un
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
generico x si abbia ¬ϕ(x) porta a contraddizione 1. In tal modo la formula ∃x(ϕ(x)) viene
vista come una formula logica "qualunque" che può essere manipolata in accordo con altre
regole logiche, suggerite dall'esperienza, di cui si occupa appunto la Logica matematica
(formale). Con ciò non si vuole affermare che non siano corrette (o formali) altre
presentazioni del calcolo dei predicati con regole più restrittive. Ad esempio tali regole
possono essere suggerite dalle interpretazioni costruttive del quantificatore esistenziale.
Ma, sia la presentazione classica, sia quella costruttiva (meglio quelle costruttive), possono
essere rese pienamente formali: esse specificano solo che "significato" dare alla
"dimostrazione". Gli assiomi rendono tipico il formale e ciò non avviene solo nell'Aritmetica o nella Geometria, ma in ogni occasione in cui appaiono (gli assiomi) in Matematica.
In questo modo i numeri reali "intuitivi" divengono essi stessi la sorgente di dimostrazioni accurate sui numeri reali, partendo da proprietà che siano coerenti con le operazioni
usate nel misurare. Similmente, gli assiomi di Zermelo e Fraenkel per gli insiemi non sono
la descrizione delle vere collezioni o delle totalità di oggetti: essi sono regole formali per la
manipolazione della relazione binaria "appartenenza" e solo una lunga esperienza ha
mostrato che esse sono utili nella costruzione dei concetti matematici. Questi assiomi sono
suggeriti dall'esperienza, in particolare dalle proprietà dell'appartenenza nella descrizione
intuitiva della gerarchia dei tipi cumulativi. Tuttavia queste "ispirazioni" non determinano
in nessun modo "matematico" il modo di formulare tali assiomi. Per esempio, dall'intuizione non viene nessun suggerimento se usare quantificatori limitati o illimitati nel Principio di comprensione. E ciò perché la gerarchia intuitiva (la vasca da bagno) viene costituita considerando tutti i sottinsiemi dell'insieme che costituisce il tipo precedente e, in
questo caso, viene a mancare un "significato" formale, codificato cioè da assiomi, della
nozione di sottinsieme. Allo stesso modo la gerarchia intuitiva non fornisce informazioni
su fino a che punto bisogna procedere con le costruzioni di ordinali e cardinali. Gli assiomi della Teoria degli insiemi hanno lo stesso status degli assiomi della geometria, che
sono suggeriti, ma non determinati, dalla pratica di chi li usa.
Le definizioni servono anch'esse per mettere in luce gli aspetti formali. In linea di
principio, in ogni argomentazione il definiendum può essere rimpiazzato dal definiens.
Basta però considerare particolari definizioni per rendersi conto che ciò non può avvenire,
o meglio ciò porterebbe a inutili e "dannose" complicazioni. Ad esempio una funzione è
definita come un certo tipo di insieme di coppie ordinate: le proprietà delle funzioni sono
quelle che sono conseguenza della definizione. Le definizioni sono state però scelte in
modo che usando le funzioni si possano applicare le proprietà desiderate. Ad esempio,
1 Due importanti osservazioni. La prima: Euclide quando deve provare l'esistenza di un ente geometrico ne
fornisce la costruzione esplicita. La seconda: la Matematica che interpreta il quantificatore esistenziale come
l'esistenza di una costruzione esplicita viene detta Matematica costruttiva o Costruttivismo. In realtà esistono
molte e diverse interpretazioni del Costruttivismo, talora differenti tra loro, anche in modo notevole.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
quando x e y rappresentano quantità fisiche e y = f(x), allora la misura (indiretta) di y
viene a dipendere da quella (diretta) di x. Oppure h: U → definita su un aperto di
è detta una funzione olomorfa quando per ogni a∈U esiste la derivata complessa di h in a.
C
C
Provare adesso ad eliminare tutte le definizioni richieste per giungere al concetto di
funzione olomorfa porta a nascondere tutte le proprietà che possono essere ricavate, quasi
direttamente, dalla definizione data. Si può dire che tra le definizioni formali, quella di
funzione olomorfa è una di quelle meglio scelte, come poi mostrano le sorprendenti proprietà di tali tipi di funzioni. Tuttavia, noi sappiamo che le proprietà valgono proprio perché esse sono tutte conseguenze strettamente formali della definizione. Si potrebbe, per
mostrare ciò, considerare la nozione di funzione olomorfa data da Weierstrass, come una
funzione f: U → che in ogni punto a∈U può essere rappresentata come una serie di
C
potenze in (z - a) convergente. Ma anche questa è una definizione formale e la dimostrazione che le due definizioni sono equivalenti è anch'essa puramente formale. Inoltre la
Teoria delle funzioni olomorfe richiede definizioni formali di altri concetti: integrali, curve
regolari (differenziabili) a tratti, ecc. Ma tutti questi casi mostrano, ancora una volta, come
si ottenga chiarezza quando tutti i concetti rilevanti siano definiti saldamente e formalmente; pertanto introdotti nella formazione di un giovane matematico sono un mediatore
utile per comprendere il rigore tipico della matematica.
La meccanica newtoniana presenta un'altra applicazione del formale, e questo forse può
parere sorprendente. La legge F = ma, legge perché derivata per induzione sperimentale
dalla realtà, che afferma che la forza si ottiene moltiplicando la massa per l'accelerazione, è
incompleta se non viene specificato cosa si intenda per forza. Ma quando la forza
(gravitazionale) viene specificata come la legge della attrazione universale, mediante le
masse e l'inverso dei quadrati delle distanze, si può fornire in modo completamente formale il calcolo dell'orbita di un pianeta. Ci sono allora operazioni osservazionali (cosa c'è
da esaminare con un telescopio) che suggeriscono come verificare il risultato del calcolo
formale anche in contrasto con le osservazioni. Il caso di un proiettile o di un razzo è
simile: data l'equazione fondamentale, si può calcolare la traiettoria prima e senza
effettuare il lancio e solo dopo comparare la teoria con le osservazioni. Questo confronto è
di solito non completamente preciso, ma ciò non invalida il calcolo formale: può solo
suggerire ulteriori calcoli o formule che fanno intervenire le forze di resistenza dell'aria.
Gli aspetti formali trovano largo spazio nell'algebra odierna. Nei gruppi finiti si prova in
modo formale, ad esempio, il teorema di Lagrange sull'ordine dei sottogruppi; ciò può
essere verificato in numerosi esempi di gruppi particolari o di figure geometriche usando
la descrizione gruppale delle trasformazioni (isometrie). Chi è esperto di geometria usa
esempi grafici e l'intuizione, ma il carattere formale è pur sempre presente, come ad
esempio nel caso della geometria intrinseca definita mediante una metrica di Riemann, dal
nome del matematico tedesco Georg Friedrich Bernhard Riemann (1826 - 1866), su una
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Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
superficie astratta, mentre le superficie "reali" che si "rappresentano" appaiono come superficie immerse in opportuni spazi euclidei. In questo modo la effettiva generalità della
geometria dipende in modo completamente formale dalla definizione degli oggetti geometrici coinvolti.
L'"apoteosi" della formalità potrebbe essere la deduzione meticolosa di tutti i teoremi
matematici dalle definizioni in termini di insiemi e degli assiomi di Zermelo e Fraenkel.
Questo estremo non è mai stato raggiunto, ma la sua presenza potenziale serve per delimitare la possibile estensione della formalità. Ci sono stati molti altri casi in cui è stato storicamente necessario sviluppare una meticolosa formalizzazione di parti della Matematica
precedentemente costruite in modo intuitivo. Un esempio è la fondazione rigorosa del calcolo differenziale ed integrale (Aritmetizzazione dell'Analisi) che è stata oggetto di numerose ricerche nel XIX secolo, un processo che non è stato solo importante di per sé, ma
che ha favorito un approccio concettuale profondo a tutta la Matematica.
La Geometria algebrica ne è un altro esempio. Il suo sviluppo tra la fine del XIX secolo
e l'inizio del XX è stato vivace (in Inghilterra, Germania e Italia), ma un po' precario come
risulta dalla "panzana" che il più importante risultato della Geometria algebrica sia
consistito nella dimostrazione di un teorema generale e nella simultanea costruzione di un
controesempio (speciale) di quel teorema. Le varie intuizioni geometriche di questo sviluppo sono state formalizzate in seguito in numerosi stadi successivi, nel periodo 1925 1975, dapprima con un uso più sistematico della Teoria degli ideali, poi con l'introduzione
della Teoria generale della valutazione, poi mediante lo studio di specializzazioni, fasci e
schemi (e quest'ultimo processo storico illustra anche fino a che punto la precedente
osservazione che una idea (geometrica) ha solitamente tante diverse formalizzazioni).
I calcoli aritmetici, algebrici o trigonometrici, così come si praticano di solito, tendono
ad essere calcoli precisi del risultato. Molti altri problemi hanno bisogno o permettono
solo risposte approssimative. In altri casi, i principi sottogiacenti i calcoli possono essere
incerti e i dati necessari essere approssimati alla meglio. Quindi molti calcoli hanno il carattere di stime. Effetti collaterali vengono tralasciati, oppure termini con grandezze di
ordine inferiore vengono eliminati, oppure ancora formule non maneggiabili vengono
rimpiazzate con altre più maneggevoli (con la speranza che siano adeguate). Tali procedimenti possono essere parzialmente formali ma talvolta sono grossolani, nel senso che la
scelta dell'approssimazione dipenda dal significato scientifico dei dati.
Situazioni di tale tipo prevalgono in molte parti della Matematica applicata. Talvolta le
stime in questo senso possono essere pienamente formalizzate, in particolare nelle stime
usate nella Teoria analitica dei numeri ed in molti argomenti di analisi classica. Altre volte,
le stime in questo senso sembrano "resistere" ad assumere una forma strettamente assiomatica. Detto differentemente: alcuni argomenti della Matematica applicata non presentano
teoremi o dimostrazioni di teoremi; questi argomenti sembrano essere esclusi da un'analisi
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
della Matematica come ente formale o formalizzabile. Pertanto le linee di confine tra la
matematica formale e le sue applicazioni sono vaghe e mobili. Questo è un risultato necessario delle teoria secondo cui alcune idee matematiche hanno origine dalle applicazioni.
Per riassumere, il formale in Matematica appare in molti stadi:
Regole di calcolo (aritmetico, trigonometrico, …);
Formule usate per la differenziazione nell'Analisi;
Regole per le stime e le approssimazioni;
Sistemi di assiomi per l'aritmetica e la geometria;
Regole per l'inferenza logica
Assiomi per oggetti astratti algebrici o topologici;
Assiomi per gli insiemi o per i topos;
L'inesorabile piena formalizzazione della Matematica.
La tesi formalistica di Hilbert pretende che la Matematica si possa ridurre alla sistematica manipolazione di formule. Questo è stato un necessario punto di partenza per il suo
tentativo di fornire una dimostrazione formale di coerenza per tutta la Matematica; ma non
deve essere confusa con le versioni estreme del formalismo (Circolo di Vienna) che vede
la Matematica semplicemente come un gioco, privo di "contenuto", con simboli non interpretati né interpretabili.
Mac Lane dice di non riconoscersi in queste posizioni estreme, solo di asserire che gli
aspetti formali sono essenziali in Matematica. La Matematica non è lo studio scientifico
dei fatti, ma un'analisi, tutta da sviluppare, della forma che soggiace ai fatti. Cioè non è la
scienza dello spazio o del tempo, ma una formulazione delle idee necessarie per comprendere il tempo, lo spazio e il movimento. Questa comprensione dipende dalle idee. Le idee
sottostanti possono essere precise e comunicabili solo quando sono rese formali, come
mostrato nelle considerazioni precedenti.
3.3. Idee. La maggior parte delle formalizzazioni in Matematica sono basate su idee
sottogiacenti che forniscono le linee guida e gli scopi. Non è facile dare una descrizione
precisa della natura di un'idea; infatti un'idea più profonda può essere quasi completamente impossibile da comunicare e così può essere riconosciuta solo dopo che è stata incorporata in una qualche formulazione. Un gran numero delle idee più generali della Matematica sono stimolate più o meno direttamente dalle attività umane. Può poi avvenire che
una stessa idea possa avere numerose differenti realizzazioni formali. Ad esempio l'idea di
varietà nasce come luogo geometrico di tutti gli enti o i punti di un certo "concetto".
Diventa formale come varietà topologica o come varietà differenziale (C∞, C1 o "liscia" in
un qualche senso) o forse come varietà complessa. In tutti questi casi, ogni punto della
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
varietà ha un intorno descritto da una "buona" carta, ma l'idea originale di varietà permette
in certo senso di considerare anche varietà con singolarità (e forse in futuro la geometria si
occuperà in modo formale di concetti di questo tipo). In ogni caso, l' "idea" di varietà è
abbastanza nebulosa da ricevere molte formalizzazioni; inoltre queste formalizzazioni
differenti ci permettono di studiare separatamente aspetti differenti dell'idea.
Le idee matematiche hanno origine non solo dalle attività umane o dalle questioni scientifiche; esse nascono anche dall'urgenza di comprendere in anticipo parti della Matematica.
Un "insieme" è stato inizialmente una collezione di punti su di una retta o del piano, e poi
ogni tipo di "collezione" di oggetti matematici ben definiti, considerata come un'unica cosa. In seguito l' "idea" di un insieme è stata descritta in modo più specifico in termini di
gerarchia cumulativa dei tipi. Oggi abbiamo un idea abbastanza chiara da essere comunicata, ma ancora confusa: ad ogni stadio Vα della gerarchia si può formare l'insieme di tutti
i sottinsiemi di Vα, e non c'è una descrizione formale a quali sottinsiemi ci si riferisca,
come provano i risultati di Gödel sulla costruibilità. Le idee, così come si usa qui il
termine, sono vaghe per motivi intrinseci, ma non devono essere confuse con l'idea platonica della linea retta o della «sfera in sé, divina» come afferma Platone o dell'insieme
ideale.
Non siamo in grado di fornire una descrizione precisa del termine "idea", si possono
solo fare esempi: nella tabella seguente si osservano idee che provengono dalla Matematica e, di nuovo, si indica come ogni idea abbia molte formalizzazioni.
Alcune idee che hanno origine in Matematica
Origine
Idea
Versione formale
Polinomi
sin, tan, log
variabili dipendenti
Funzione
Espressioni formali (in un
linguaggio)
Tavole dei valori
Insiemi di coppie ordinate
Frecce in una categoria
Velocità, accelerazione
retta tangente
Tasso di cambiamento
Variazione
Derivata
Derivate parziali
Derivate complesse
Operatori differenziali
Matrici
Operazioni aritmetiche
Operazioni
Trasformazioni lineari
Operazioni binarie
Operazioni unarie
Operazioni insiemistiche
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Fattorizzazione con numeri Scomposizione
primi
Frazioni continue
Componenti (di una varietà)
Fattorizzazione in ideali
primi
Prodotto
Coprodotto, ecc.
Si possono fare molti esempi: l'idea di curvatura nella geometria differenziale, o le idee
connesse all'idea degli autovalori e allo spettro degli operatori auto-aggiunti.
Lo sviluppo di un'idea può essere lungo e complesso. Per esempio lo studio del cambiamento e del movimento suggerisce l'idea che il cambio può essere "liscio" piuttosto che
improvviso. Esempio di tali cambiamenti lisci appaiono sia nella meccanica, sia nella
geometria. È possibile che l'idea di "liscio" si separi nell'idea di "continuo" e di "differenziabile". La differenza tra le due, tuttavia, diviene chiara solo dopo che entrambe siano state
accuratamente formulate mediante la descrizione con i limiti. La differenziabilità, descritta
in questo modo, appare nell'analisi delle strutture locali delle curve, superficie e varietà; e
di qui essa ha probabilmente generato, ma non prima del 1930, la definizione precisa e
globale di varietà liscia. La continuità, una volta formalizzata, è similmente vista applicata a
funzioni di più variabili e a funzioni di curve, porta allora gradualmente alla nozione di
spazio metrico, comparsa solo nel XX secolo. Alla fine è divenuto chiaro che la nozione
metrica di distanza può essere rimpiazzata dalla nozione più qualitativa di intorno, come
nella definizione di spazio topologico. In questo ambito le proprietà formali degli insiemi
aperti servono poi a codificare la "vera" idea di continuità.
Ci sono anche idee meno generali: l'idea di come si può dimostrare un qualche risultato
come teorema. Talvolta l'idea porta a vicoli ciechi, e talvolta la sua esecuzione ha successo,
ma comporta complicazioni o risultati o artifici addizionali. Di nuovo la dimostrazione può
essere solo un'esecuzione di "routine" di un'idea. In ogni caso, quando la dimostrazione
formale è disponibile, l'idea originale è stata realizzata (con i dettagli esplicativi). Le idee
perciò richiedono formalizzazione.
L'idea di connettere assieme pezzi separati di una funzione porta, da una parte, al concetto di fascio, d'altra parte, quando i pezzi sono sviluppi in serie di potenze, si ottiene il
concetto di continuazione analitica di una funzione olomorfa.
La posizione che la Matematica sia e debba essere formale è confortata dall'osservazione che ciascun formalismo si basa su qualche idea sottogiacente e conduttrice. Accade anche l'opposto, come quando le idee geometriche vengono formulate in modo così vago che
da esse non si riescono ad ottenere vere e proprie dimostrazioni dei risultati considerati.
3.4. La rete concettuale. Non è possibile costringere la Matematica in un solo sistema
formale; infatti è possibile vedere la Matematica come una rete elaborata di stretti legami
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che costituiscono una rete di sistemi formali, sistemi di assiomi, regole e connessioni. La
rete è legata a e trae spunto dall'attività umana e dai problemi scientifici. Si è cercato di
schizzare alcuni tratti di questa rete, mostrando interazioni tra funzioni, trasformazioni,
gruppi, geometria ed anche Analisi, meccanica ecc. Nella rete completa, densa, delle parti
della Matematica, ci sono anche molti legami esterni. I concetti fondamentali (i punti
cardine di questa rete) sono tra loro strettamente comunicanti ed hanno anche connessioni
esterne alla Matematica. I legami primari sono quelli con le varie attività umane. Il contare,
il misurare, muoversi, osservare, cambiare ed altri che sono stati indicati in precedenza. In
alcuni casi, questi legami possono essere interpretati come connessioni non alle attività, ma
coi fenomeni: la moltitudine (che può essere contata), l'estensione (che può essere
misurata), il movimento (che può essere osservato), il cambiamento (che di nuovo può
essere osservato). Mediante questi legami o connessioni, la Matematica è basata sulla
"realtà", almeno in quel tipo di realtà che è rappresentata mediante queste attività e questi
fenomeni.
I concetti matematici sono anche legati o connessi con altre parti della conoscenza
umana, in particolare con le varie scienze. La geometria ha a che fare con la misura, con
l'architettura, con la contemplazione, con la navigazione e, a livello più sofisticato, con lo
spazio e il tempo, i quali a loro volta, con la nozione di spazio-tempo, entrano nella Fisica.
L'Analisi è unita con la meccanica, la dinamica e molte altre parti della Fisica teorica. Le
equazioni differenziali e l'analisi di Fourier, allo stesso modo, sono associate alla Fisica,
così come l'analisi vettoriale completata con tutte le sofisticazioni dello spazio duale e il
prodotto tensoriale. L'Analisi ha poi applicazioni nell'Economia, per esempio, nell'uso dei
concetti del marginalismo relativamente all'economia matematica. Il numero di simili
connessioni tra Matematica e le scienze è molto grande e spesso queste connessioni chiamano in gioco parti centrali della matematica, non frange esterne della rete matematica.
Le connessioni esterne sono numerose e strette, ma esse non descrivono o determinano,
in modo completo, i concetti matematici; i più importanti tra essi sono piuttosto derivati
dalle attività umane, ma a loro volta non sono attività di questo tipo, così come non
possono essere identificati con i fenomeni coinvolti come livello fondamentale di tale attività. Ciò di cui si occupa la matematica applicata è molto prossimo alle branche delle
scienze, ma, si può ritenere che non sia a sua volta, scienza. Una teoria scientifica può
essere falsificata da dati sperimentali, mentre una teoria matematica non può essere falsificata 1 Per esempio la geometria euclidea (almeno come si pensa ad essa oggi) non viene
falsificata misurando la somma degli angoli interni di un qualche triangolo (ad esempio
uno realizzato mediante raggi luminosi). Qualora tale somma devii sostanzialmente da un
1 Questo è il parere di Mac Lane. Altri pensatori, ad esempio Lakatos, vede nel contrasto tra livello intuitivo e
livello formale un esempio di falsificazione anche in Matematica e nella falsificabilità vede un criterio di
scientificità della disciplina.
- 137 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
angolo piatto, ciò falsificherebbe una teoria scientifica che afferma che i raggi di luce
soddisfano la geometria euclidea, non la geometria euclidea. Tuttavia la geometria euclidea
potrebbe essere falsificata solo ottenendo per derivazione dagli assiomi, una contraddizione. In un certo senso il metodo assiomatico è una "dichiarazione di indipendenza"
della Matematica dalle teorie scientifiche che assumono l'applicabilità della matematica
nelle varie scienze.
I soggetti di cui si occupa la Matematica sono forse "estratti" dall'ambiente: cioè dalle
attività, dai fenomeni o dalle scienze e poi vengono applicati a queste stesse o ad altre situazioni. In questo senso la Teoria dei numeri è "estratta" dall'attività del contare e la geometria dal movimento e dalle forme. Il meccanismo esatto di questa "estrazione" non è
stato descritto in dettaglio anche perché esso varia considerevolmente da caso a caso. La
parola "estrazione" è scelta deliberatamente per essere più prossima alla parola matematicamente più familiare di "astrazione" e con l'intento di suggerire che gli oggetti matematici
che risultano da un'estrazione sono astratti. La Matematica non riguarda pertanto le attività
umane, i fenomeni o le scienze, essa riguarda l'estrazione e la formalizzazione delle idee e
le loro molteplici conseguenze.
Talora le interconnessioni intime delle idee matematiche sono sorprendenti. Ad esempio
le nozioni geometriche di varietà, fibrato tangente e fibrato cotangente vengono introdotte
in stretto parallelismo con i concetti meccanici di spazio delle configurazioni, spazio delle
fasi e spazio dei momenti. In certo senso questa analogia e connessione è la continuazione
del modo in cui si originano l'Analisi e la Meccanica celeste nelle mani di Newton. Similmente Riemann propone la connessione tra l'idea di varietà e la geometria differenziale
delle superficie con le varietà complesse che oggi vengono dette varietà di Riemann. Lo
sviluppo completo di queste idee ha preso quasi un secolo ed ora in parte è sfociato nell'idea di fascio e nella relativa teoria, il fascio dei germi delle funzioni olomorfe e nel suo
uso sorprendente nei metodi del forcing in Teoria degli insiemi.
Ci sono molte altre profonde connessioni: un esempio è la situazione triplice che mette
in relazione gli ideali primi nella Teoria algebrica dei numeri, i punti sulle superficie di
Riemann ed i punti sulle curve algebriche. Una breve illustrazione di ciò: un numero algebrico α su è una radice o uno zero di un polinomio (irriducibile) a coefficienti raziom
m
nali. Ogni elemento n di è un numero algebrico, dato che è radice del polinomio x - n .
Considerando non solo un numero algebrico α, ma tutte le combinazioni a coefficienti
razionali del numero α e delle sue potenze, queste formano un campo K, detto un campo
di numeri algebrici. Solitamente tale campo si denota con [α]. Il grado n del polinomio
irriducibile a coefficienti in di cui α è una radice è detto anche grado di trascendenza
Q
Q
Q
Q
Q
di K su ed è semplicemente la dimensione di K visto come spazio vettoriale sul campo
. Questa osservazione stabilisce un notevole aggancio con l'Algebra lineare. Ogni
elemento w∈K è radice di un polinomio di grado al più n, come è facile provare
Q
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
osservando che 1, w, w2, …, wn, sono n+1 elementi (vettori) di K e quindi non possono
essere linearmente indipendenti, dato che la dimensione è n, quindi esiste una
combinazione lineare di tali elementi a coefficienti non tutti nulli che si annulla, cioè un
polinomio a coefficienti in di cui w è una radice. Se il coefficiente direttore di tale
polinomio è 1 e tutti i coefficienti sono in , si dice che w è un intero algebrico. La
collezione di tutti i w di K che sono interi algebrici forma un anello commutativo O. Si
nota che ⊆ O, dato che ogni m∈ è radice del polinomio x - m. Ciò non avviene ad
1
esempio per il numero 2, dato che è zero del polinomio 2x - 1. Si ha poi
Q
Z
Z
Z
Z⊂Q
∩
∩
O ⊂ K
Questo importante esempio con i polinomi storicamente è stato la ragione fondamentale
per introdurre il concetto di anello. Il nome di intero algebrico è giustificato dal fatto che
rifacendo la costruzione (localizzazione) che porta da a , partendo da O si ottiene K.
Z Q
Questo è il punto di partenza delle connessioni tra Teoria algebrica dei numeri e Teoria di
Galois.
Il primo caso che si può considerare è il caso quadratico , cioè quello in cui α è radice
di un polinomio di secondo grado. Un esempio è quello di α = i, unità immaginaria, ottenuta come radice del polinomio x2 + 1. In questo caso O è l'anello degli interi di Gauss,
cioè dei numeri complessi del tipo n + im, con n,m∈ . In questo anello ogni intero può
Z
essere fattorizzato e tale fattorizzazione è essenzialmente unica, in numeri complessi
"primi". Ma una tale fattorizzazione unica non sussiste in molti altri campi quadratici.
Quando α è una radice dell'unità di grado superiore al secondo (nel qual caso K si chiama
campo ciclotomico) l'unicità della fattorizzazione non sussiste più, come ha scoperto Ernst
Eduard Kummer (1810 - 1893), tentando di dimostrare il teorema di Fermat.
Tuttavia la proprietà dell'unica fattorizzazione può essere "ripristinata" fattorizzando gli
interi algebrici non mediante tali interi, ma mediante i fattori "ideali" che sono esattamente
gli ideali visti come nuclei di omomorfismi di anelli. Ma ciò comporta che si possa definire un prodotto AB di due ideali in O, come l'ideale generato da tutti i prodotti ab, con
a∈A e b∈B, cioè il più piccolo ideale che contiene tali prodotti. Si "identifica" un elemento w∈O con l'ideale da esso generato (w), cioè l'insieme dei multipli di w. Un numero
intero algebrico w∈O è primo in O quando non può essere fattorizzato, cioè quanto per
ogni x,y∈O tali che xy∈(w), allora x∈(w) oppure y∈(w). Similmente un ideale P di O è
detto un ideale primo se per ogni x,y∈O, ogni volta che xy∈P, si ha x∈P oppure y∈P.
Il primo importante teorema della Teoria algebrica dei numeri è che ogni intero algebrico
e e
e
w∈O ha una decomposizione unica, cioè (w) = P 1P 2…P r, in cui e k è un numero
1
- 139 -
2
r
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
naturale e gli ideali Pk sono ideali primi. Inoltre l'ideale P è il nucleo di un omomorfismo
di anelli O → O/P, in cui O/P estende il ben noto campo quoziente p di .
Z
Z
C
Traslando ora il meccanismo ad una situazione più complessa, si consideri il campo e
su di esso si costruisca [z] l'anello dei polinonomi nell'indeterminata z. Si ripete la
stessa situazione vista prima: dato che [z] è un dominio di integrità, col processo di localizzazione è possibile costruirne il campo dei quozienti (z). Si consideri ora una indeterminata w su (z). Una funzione algebrica w della variabile complessa z è definita
come una radice di un polinomio irriducibile i cui coefficienti sono elementi del campo
(z):
C
C
C
C
C
wn + an-1(z)wn-1 + … + a1(z)w + a0(z) = 0 1.
(1)
C
Come prima le funzioni algebriche costituiscono un campo, (z,w), il campo delle funzioni algebriche. Ogni funzione algebrica w ha una superficie di Riemann sul piano complesso, o meglio sull'intera sfera di Riemann 2. Tutte le combinazioni razionali di z e w
sono analitiche (anzi olomorfe eccetto che nei poli) su questa superficie di Riemann. Una
funzione razionale di z è determinata, a meno di un fattore costante, dandone le sue radici
e i suoi poli. Similmente ciò che ha importanza per ciascuna funzione algebrica w sono i
punti P sulla superficie di Riemann in cui w ha uno zero o un polo. Si può scrivere
Vp(w) per l'ordine dello zero (oppure negativo per l'ordine del polo 3). Di conseguenza
Vp(w) = ep ≠ 0 solo per un numero finito di punti P. C'è una analogia con gli esponenti
della decomposizione di un intero mediante ideali. Così, w viene detta funzione intera, cioè
senza poli in una porzione finita della sfera di Riemann, precisamente quando i coefficienti
razionali ar(z) nel polinomio irriducibile (1) che definisce w sono tutti polinomi, quindi
appartengono a [z] 4 . Le funzioni intere nel campo (w,z), formano un anello
commutativo O che è assai simile all'anello degli interi algebrici. In esso è contenuto l'a-
C
C
C
nello dei polinomi [z] in z a coefficienti complessi, a sua volta anello contenuto nel
campo (z) delle funzioni razionali in z a coefficienti complessi. Si ha così per localizzazione
C
C
C
1 Essendo i coefficienti elementi di (z), cioè quozienti di polinomi di [z], mediante il calcolo del minimo
comune multiplo, il polinomio irriducibile nella (1) si può scrivere nella forma
(2)
bn(z)wn + bn-1(z)wn-1 + … + b1(z)w + b0(z)
in cui i coefficienti sono elementi di [z]. Ciò rende più "stringente" l'analogia con i numeri complessi
algebrici, radici di polinomi irriducibili a coefficienti in .
2 Per sfera di Riemann si intende il piano complesso completato con ∞.
3 Nello studio locale delle funzioni di variabile complessa, in un intorno di P associato al valore complesso ζ ,
0
si usano le serie di Pierre Alphonse Laurent (1813 - 1854) che si possono considerare ancora serie di potenze,
ammettendo però anche le potenze negative di (z - ζ0). Il minimo grado positivo o negativo della potenza di (z ζ0) presente nella serie viene detto ordine del punto P. Se P è uno zero, la serie ha solo potenze positive di (z ζ0). Se P è un polo, ci sono anche potenze negative di (z - ζ0).
4 O in modo equivalente, mediante un polinomio come (2) in cui b (z) è 1.
n
C
Z
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
C[z] ⊂ C(z)
∩
∩
O ⊂ C(w,z)
È evidente il parallelo tra i numeri algebrici e le funzioni algebriche. Questa analogia
permette di trasportare da un campo all'altro risultati teorici trovati in uno di essi. D'altra
parte gli ideali si applicano alle funzioni algebriche. Così l'anello O delle funzioni intere
sulla superficie di Riemann ha la proprietà di fattorizzazione unica mediante ideali primi e
tali ideali corrispondono esattamente ai punti, almeno nella parte al finito della superficie
di Riemann. Inoltre l'esponente es con cui compare nella scomposizione l'ideale primo
associato al punto P è eguale all'ordine di zero del punto stesso. I rimanenti punti sulla
superficie di Riemann (i punti definiti su ∞ sulla sfera di Riemann), possono essere "cat1
turati" mediante la trasformazione conforme che porta z in z ; ciò corrisponde all'usare gli
1
ideali primi dell'anello  z  . In breve, i punti su questa superficie di Riemann possono
 
C
essere trattati geometricamente, topologicamente e possono anche essere descritti algebricamente come ideali primi.
La situazione può essere rovesciata, usando metodi analitici nell'algebra. Per ciascun
punto P su una superficie di Riemann, la funzione Vp che fornisce l'ordine degli zeri ha le
seguenti proprietà formali:
Vp(wu) = Vp(w) + Vp(u); Vp(w + u) ≥ min(Vp(w),Vp(u))
e Vp(a+ib) = 0 per ogni costante complessa a+ib. Una tale funzione su un campo è
C
chiamata una valutazione e ogni valutazione del campo (z,w) è originata da un punto P
su una superficie di Riemann e, a meno di una costante moltiplicativa, è data da V p.
Questa è un'ulteriore descrizione dei punti su una superficie di Riemann.
Ora per un numero algebrico w, si consideri l'esponente e con il quale è presente l'ideale primo P nella scomposizione di w. Questo esponente V p è una valutazione sul
campo dei numeri algebrici (w) e tutti gli ideali primi di O possono essere ottenuti dalle
Q
valutazioni. Inoltre è possibile imitare le serie di potenze usate nell'analisi. Ciascuna valutazione V può essere "trasformata" in una funzione
|w| = 2-V(w)
(2)
simile al valore assoluto usato in analisi. Una serie di potenze di (z - ζ)
c0 + c1(z - ζ) + c2(z - ζ)2 + …
C
con coefficienti complessi cr∈ [z]/(z - ζ), viene rimpiazzata in questa proposta, con
- 141 -
C. Marchini
(3)
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
c 0 + c1 p + c2 p 2 + …
Z Z
potenze in p, ove i coefficienti 0 ≤ cs < p sono elementi di p = /(p). Il problema della
convergenza di una serie è legato alla scelta di una norma. Scegliendo come norma quella
associata al punto P, cioè prendendo come "valore assoluto" quello descritto in (2), la serie (3) converge, dato che all'aumento di V(w) diminuisce il valore di |w|. Ma V(w) è
tanto più grande quanto più grande è l'esponente di p che divide w. I numeri p-adici, che
traggono origine dall'Analisi, hanno importanti usi in Algebra. In questo modo Analisi ed
Algebra si intersecano con vantaggio di entrambe le discipline.
C'è anche connessione con le curve algebriche piane: l'equazione (1) può essere vista
come l'equazione in forma implicita di una curva piana nelle variabili z e w. In questo
modo si attenua il ruolo di privilegio di z. Un'idea analoga si sviluppa nell'ambito delle
equazioni diofantee in due variabili, cioè quelle di equazioni implicite
n
∑ arsxrys = 0
r,s=0
a coefficienti interi. Rimpiazzando x,y con z, w, si ottiene un'equazione complessa e si
determina una superficie di Riemann di un certo genere g 1. Luis Joel Mordell (1888 1972) ha avanzato la congettura che un'equazione diofantea con genere g > 1 dovrebbe
avere solo un numero finito di soluzioni razionali. Recentemente, usando una vasta
estensione del metodo delle superficie di Riemann, Gerd Faltings ha dimostrato la congettura. In altre parole, la connessione tra Teoria dei numeri e superficie di Riemann è stretta
ed "operativa". La matematica è una rete e in essa i concetti formali abbondano.
3.5. Comprendere la Matematica. Uno dei maggiori problemi della Matematica è la
necessità di comprendere pienamente perché le formule "operano" e perché i teoremi
"valgono". Durante le lezioni, nei corsi scolastici di vario livello e in conversazioni, i matematici cercano ripetutamente di comprendere meglio i risultati ottenuti in ciascun argomento matematico. I loro metodi sono vari; ne esaminiamo alcuni riassumendoli come:
analogia, esempi, analisi della dimostrazione, spostamento dell'attenzione e la ricerca di
1 Il concetto di genere per una curva algebrica è un invariante topologico: una curva algebrica irriducibile di or(n-1)(n-2)
dine n ha al più
punti doppi. Se una curva di ordine n ha solo d punti doppi nodali o cuspidali di 1ª
2
(n-1)(n-2)
specie, il numero p =
- d è detto il genere della curva algebrica. Esso corrisponde al numero di manici
2
o di buchi della corrispondente superficie di Riemann. Ad esempio un toro (ciambella col buco) ha genere 1.
- 142 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
forme invarianti. Questi aspetti possono rivestire anche connotati didattici, in quanto la
comprensione della Matematica è uno degli scopi dell'istruzione.
(a) Analogie. In molti aspetti, la geometria euclidea piana è molto simile alla geometria
dello spazio tridimensionale: i punti e le rette diventano punti rette e piani; i triangoli e i
cerchi diventano tetraedri e sfere. Queste e altre analogie suggeriscono fortemente la considerazione anche di configurazioni "spaziali" di dimensioni maggiori. Alcuni tentativi
iniziali descrivono lo spazio a quattro dimensioni in termini di punti, rette, piani ed iperpiani; però poiché questo approccio diventa ingombrante ed inoltre i fenomeni da studiare
spesso richiedono dimensioni ancora maggiori, nasce una ricerca per metodi ancora più
effettivi, dapprima usando le coordinate e poi gli spazi vettoriali.
Negli usi iniziali della misurazione, l'analogia tra la misura delle distanze, la misura di
angoli e la misura delle quantità (come il peso) porta gradualmente alla formulazione dei
numeri reali come il significato generale della trattazione delle misurazioni.
L'analogia tra operazioni booleane sugli insiemi (intersezione, unione e "complemento")
e le operazioni logiche sulle proposizioni (e, o, non) gioca un ruolo centrale nella logica.
Altro esempio le combinazioni lineari. Ogni vettore nel piano è la somma di una componente orizzontale e di una verticale. Ogni numero complesso è la somma di parti reali ed
immaginarie. Ogni soluzione dell'equazione differenziale y” = -y è la somma di un
multiplo della funzione coseno e di un multiplo della funzione seno. Tutte queste analoghe
scomposizioni lineari uniche portano al concetto di base di uno spazio vettoriale.
Oppure, di nuovo, gli ideali primi nella Teoria algebrica dei numeri sono analoghi ai
punti su una superficie di Riemann di funzioni algebriche. Attraverso la matematica, le
analogie sono potenti sorgenti di sviluppo.
(b) Lo studio di esempi. La scelta di un esempio specifico, ma critico, può servire bene
per indicare la direzione in cui l'intera teoria si può evolvere. Per esempio la Teoria delle
funzioni analitiche di Weierstrass come serie di potenze in una variabile complessa si è
originata nella mente dello studioso dopo che il suo insegnante Gudermann gli ha presentato uno studio "combinatorio" complicato delle serie di potenze per exp, sin, cos e altre
di questo tipo. Lo studio intensivo di Hilbert delle estensioni quadratiche relative di campi
numerici lo portò ad una serie di congetture sulle estensioni dei campi di numeri algebrici
e la dimostrazione che queste congetture è stata argomento principale della Teoria dei
campi per cinquanta anni. La geometria algebrica ha preso le mosse dalla accurata classificazione delle curve di secondo, terzo e quarto ordine nel piano. Le superficie di Riemann
per funzioni a più valori di una variabile complessa sono state dapprima sviluppate mettendo assieme piani recanti rami di funzioni algebriche e solo dopo è stata data una formulazione concettuale generale.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
In un certo senso, le teorie "generali" della Matematica sono quelle usate per descrivere
in modo conveniente le caratteristiche comuni di una molteplicità di casi speciali - e un
caso speciale ma cruciale può essere la chiave per una teoria generale.
(c) L'analisi della dimostrazione. C'è una ricerca continua per ottenere dimostrazioni
migliori di teoremi noti - non solo più brevi, ma quelle che rivelano più chiaramente perché il teorema sia vero 1. Questo studio può portare alla scoperta di assiomi cruciali usati
nella dimostrazione (come la scoperta che alcuni argomenti di base dell'Analisi fanno uso
nascosto dell'assioma di scelta). Di nuovo, lo studio di una dimostrazione può suggerire
concetti nuovi. Per esempio il teorema dell'integrale di Cauchy provato inizialmente forse
senza troppa cura mediante l'uso del Lemma di Gauss-Green 2, svolge un ruolo fondamentale nell'analisi complessa. Gli studi sulla sua dimostrazione hanno suggerito argomenti di suddivisione, per i rettangoli ed i triangoli, suggerendo così metodi omologici.
Altre dimostrazioni utilizzano le deformazioni e così portano all'omotopia ed ancora altri
approcci culminano col teorema delle curve di Jordan e il più approfondito studio della
topologia del piano.
Per presentare una dimostrazione, si può spesso cercare di metterla in una forma più
evidente o usando diagrammi. Quando questo è stato fatto per il Teorema di Jordan-Hölder3 provato nel 1889, ciò ha portato in modo naturale alla rappresentazione diagrammatica di un insieme parzialmente ordinato e quindi alla nozione di un reticolo. Di nuovo i topologi hanno trovato suggestivo denotare le funzioni continue da uno spazio X ad un altro
spazio Y, mediante la freccia X → Y. Questa semplice notazione ben presto ha suggerito i
concetti fertili di sequenze esatte e di categorie. In breve, le dimostrazioni che sono la
"carne" della Matematica, e masticandole si possono produrre risultati succulenti!
(d) Spostamento dell'attenzione. La comprensione di una dimostrazione può progredire
quando l'attenzione è spostata dagli aspetti cui inizialmente si è posta maggiore attenzione,
ad altri. Così la Teoria di Galois parte come lo studio delle soluzioni di una particolare
equazione algebrica; diviene poi lo studio dei campi di tutte le combinazioni razionali delle
radici di quell'equazione. Questo mutamento rende possibile vedere il gruppo di Galois di
un equazione non come un gruppo di permutazioni delle radici, ma come gruppo degli
automorfismi del corrispondente campo. Nella Teoria dei gruppi, i laterali di un sottogruppo normale N di un gruppo G, diventano gli elementi del gruppo quoziente G/N;
quando, invece, l'enfasi è posta sulla funzione che manda ogni elemento nel laterale da
1 Questa dizione va compresa. In un certo senso essa è fuorviante: la distinzione tra aspetti semantici e sintattici fa sì che si collochi in modo adeguato il concetto di teorema in ambito sintattico, mentre la verità è tipicamente un aspetto semantico. Eppure non si può dimenticare che l'esperienza e le attività umane sono la fonte
della ricerca. Si ha quindi sempre un modello inteso, un'immagine mentale, una rappresentazione interna della
"realtà". La situazione così rappresentata è quella che spinge alla ricerca di risultati che la descrivano. In questo
senso epistemologico, il teorema è vero. Su questo tema si torna nell'ultimo paragrafo.
2 Dal nome del matematico George Green (1793 - 1841).
3 Dal nome del matematico Ludwig Otto Hölder (1859 - 1937).
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
esso individuato, viene evidenziato l'omomorfismo canonico del gruppo G sul gruppo
quoziente G/N e così le proprietà di questo omomorfismo e non le proprietà particolari
dei laterali forniscono la descrizione effettiva del gruppo quoziente. Similmente, spostando
l'attenzione dalle matrici alle corrispondenti trasformazioni lineari, sostanzialmente si
cambia l'attenzione all'algebra lineare, dal calcolo alla visualizzazione e su ciò si basa il
lavoro di base per un approccio effettivo agli spazi vettoriali di dimensione infinita.
(e) Formulazioni invarianti. L'introduzione della geometria analitica da parte di
Cartesio o meglio di Eulero, anche se il nome è dovuto a una proposta di François Lacroix
(1765 - 1843), permette di fornire dimostrazioni algebriche per fatti geometrici; ma le
dimostrazioni algebriche dipendono da una scelta del sistema di coordinate, mentre i fatti
geometrici, per esempio il fatto che le mediane di un triangolo si intersecano in un unico
punto, sono indipendenti dalla scelta delle coordinate che possono essere usate nella
dimostrazione. Per questa ragione, lo sviluppo dei metodi analitici nella geometria sono
presenti costantemente tentativi di formulare i risultati o anche le argomentazioni, in modo
indipendente dalla scelta dello strumento analitico. Nell'algebra lineare, ciò appare in
formulazioni che siano indipendenti dalla scelta delle basi. Nell'analisi tensoriale, un
k
tensore, relativo ad una base, dapprima appare come una famiglia multipla indiciata trs
di
scalari, e la descrizione di un tensore deve essere accompagnata da una descrizione
completa degli effetti del cambiamento di base su questi t; in modo alternativo, i tensori
possono essere definiti in modo indipendente dalle coordinate come elementi del prodotto
tensoriale di spazi vettoriali. Una varietà algebrica in uno spazio affine n-dimensionale è il
luogo dei punti che si ottengono come soluzioni di un sistema (finito) di equazioni
polinomiali, rispetto ad un sistema di coordinate, ma può essere descritta in termini più
invarianti come l'ideale di tutti i polinomi che si annullano su tale luogo di punti. In questo
caso le equazioni cartesiane permettono di individuare, tra i molti possibili insiemi di
polinomi, un insieme di generatori dell'ideale.
La ricerca di formulazioni invarianti non è limitata ad argomenti di geometria. Ad
esempio si può dare una presentazione del gruppo mediante generatori e relazioni. Un
caso già visto è quello del gruppo diedrico Dn costituito dalle isometrie del piano che lasciano invariato un poligono regolare di n lati. Si può dare una presentazione di Dn asse2π
gnando una generica rotazione con il centro nel centro del poligono e ampiezza n e una
simmetria rispetto un arbitrario asse di un lato del poligono. Le relazioni sono date dalle
tre eguaglianze rn = I, s2 = I e rs = srn-1, ove r è la rotazione, e s la simmetria. Data la
genericità dei generatori considerati sono possibili altre rappresentazioni, ottenute scegliendo assi di lati diversi. La descrizione del gruppo data sopra, cioè come il gruppo di
tutte le isometrie del piano che mutano il poligono in sé è una formulazione invariante.
Sono possibili però altre descrizioni. Infatti solitamente si considera un gruppo come una
struttura algebrica con un elemento privilegiato (operazione zero-aria), una binaria ed una
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
unaria, ma è possibile introdurre altre operazioni, ad esempio l'operazione unaria che
manda x in x2, quella binaria che manda 〈x,y〉 in xy-1, oppure l'operazione ternaria che
manda 〈x,y,z〉 in xz -1 yx -1 o in zy 2 x -1 yz o altre ancora. Per ciascun m si possono
definire in questo modo varie operazioni m-arie. In ambito di algebra universale una
descrizione invariante del gruppo è data dalla totalità delle operazioni di varie arietà
(clono), opportunamente strutturata.
Le formulazioni invarianti compaiono anche in meccanica in cui il Principio di minima
azione permette una presentazione delle leggi della meccanica in un modo essenzialmente
libero dal sistema di coordinate, anche se pone interessanti problemi filosofici, attribuendo
alla Natura una sorta di "benignità" e "preveggenza".
3.6. Nuovi sviluppi matematici. Problemi, generalizzazioni, astrazione e semplice
curiosità sono alcune delle forze che dirigono lo sviluppo della rete concettuale della Matematica. Ma tale rete è anche legata ad un'ampia varietà di attività scientifiche ed umane; di
qui nascono questioni che sono, a loro volta, sorgente di importanti sviluppi matematici,
innovativi. Storicamente la geometria proiettiva è iniziata in parte da considerazioni di
prospettiva pratica, Piero della Francesca (1420 - 1492) scrive De prospectiva pingendi.
Le serie di Fourier traggono origine dal problema della conduzione del calore, vengono
poi largamente usate in vari campi, ad esempio in acustica. Da problemi sulle serie di
Fourier prende lo spunto la Teoria degli insiemi di Cantor e la più generale problematica
delle fondazioni.
Ci sono molti altri esempi di questo tipo. Nella formulazione della meccanica quantistica, Paul Dirac (1902 - 1984) considera la sua ben nota funzione descritta come δ(x) che
viene chiamata funzione di Dirac o δ di Dirac, definita per ogni x∈ , ponendo δ(x) = 0
R
se x∈ *, δ(x) ≠ 0 per x = 0 e
R
+∞
∫δ(x)dx = 1. Apparentemente una tale funzione non può
-∞
esistere, tuttavia si consideri il seguente esempio: in ambito probabilistico e statistico si
considera la seguente funzione, la cosiddetta densità normale N(µ,σ2)(x) = \f(1;σ\r(2π))
e
-
(x-µ)2
2σ2
+∞
essa è tale che
∫N(µ,σ 2)(x)d(x) = 1 1. Un caso particolare è quello della
-∞
2
distribuzione normale centrata, cioè quella in cui µ =
0. Si ha N(0,σ2)(x)
-x 2
1
=
e 2σ .
σ√
2π
1 Si noti che N(µ,σ 2)(x) è un tipico esempio di funzione che ha una espressione analitica, è integrabile, ma che
non ha funzioni primitive esprimibili mediante espressione analitica.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Questa funzione è sempre positiva, simmetrica (pari) ed in 0 assume il valore
1
e ha
σ√
2π
per asintoto l'asse delle ascisse. Da questo tipo di distribuzioni si ottiene una successione
n2x2
1
n - 2
di funzioni, ponendo per ogni n∈ *, N(0, 2)(x) =
e
. Ciascuna funzione della
n
2π

√
successione è positiva, ha per asintoto l'asse delle ascisse, è pari, ha massimo in 0, in cui
n
assume il valore
e l'integrale calcolato su è 1. Al crescere di n per ogni x ≠ 0, il
2π

√
1
valore di N(0, 2)(x) è sempre più prossimo a 0, anzi per ogni β∈ +, la successione di
n
funzioni converge uniformemente alla funzione costante di valore 0 negli intervalli ]-∞,-β]
e [β,+∞[. La funzione δ(x) si può considerare il limite puntuale della successione conside-
N
R
R
rata.
Anche se è possibile introdurla in questo modo, resta comunque privo di senso parlare
di funzione e questa proposta di Dirac è stata ritenuta matematicamente priva di senso.
Solo nel seguito Sergej L’vovic Sobolev e Laurent Schwartz hanno osservato che il ruolo
della funzione δ può essere sostituito da un'opportuno operatore funzionale, cioè una
distribuzione. Con essa si poteva finalmente provare un famoso e falso teorema di AndréMarie Ampère (1775 - 1836), e di tanti studenti, cioè che ogni funzione continua è
derivabile, basta infatti non richiedere che la funzione derivata di una funzione continua sia
a sua volta una funzione, ma è sufficiente una distribuzione. Questa generalizzazione del
concetto di funzione ha aperto un ampio campo di indagine matematica e di applicazioni
alle scienze.
Intorno al 1840, mentre passeggiava a cavallo Scott Russell rilevò una strana onda
singola che si spostava nel canale da Edimburgo a Glasgow. In seguito questo tipo di
onda venne detta solitone. Per lungo tempo non si riusciva a trovare una modellizzazione
matematica di questa onda singola studiandola mediante i metodi differenziali che venivano usati per lo studio delle onde. Solo recentemente si sono trovati modelli differenziali
che spiegano e predicono tali tipi di onde solitarie. Uno è l'equazione a derivate parziali di
Korteweg-de Vries 1:
ut + ux + u·ux + uxxx = 0
in cui u(x,t) è l'altezza dell'onda rispetto al livello standard dell'acqua alla distanza x da un
punto di riferimento, al tempo t. Con il pedice si indica, come spesso avviene, la derivata
parziale. Questa equazione non è un'equazione lineare per la presenza del prodotto u·ux.
In essa i termini fondamentali u t + ux esprimono le condizioni standard per la propagazione delle onde e è possibile risolvere l'equazione ut + ux = 0 ponendo u = f(x - t).
1 L'equazioen è stata proposta da due studiosi: Dieterich Johanes Korteweg e W.C. de Vries. Mi risulta che il
caso della onda solitaria in un piano sia stata modellizzata nel 1987 da Boiti e Pempinelli.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Questa "soluzione" deve essere modificata a causa di un fattore di dispersione introdotto
dalla derivata terza uxxx e soprattutto dalla presenza del termine non lineare u·ux. L'equazione completa ha la soluzione tipica di un'onda che "viaggia" appropriata al fenomeno
studiato, ma ha altre sorprendenti applicazioni in magneto-idrodinamica. Inoltre ha aperto
un nuovo campo di grande interesse scientifico e applicativo, quello dei fenomeni nonlineari. La procedura standard nella costruzione di modelli matematici di fatti fisici è
quello di semplificare le relazioni riconducendole a fenomeni lineari. In questo esempio
non è possibile trascurare i termini non lineari, perché altrimenti si otterrebbe il consueto
modello delle oscillazioni smorzate.
L'Informatica ha portato altre e nuove idee matematiche. Per esempio ci sono nuovi algoritmi che servono a calcolare il prodotto di due matrici più velocemente della consueta
moltiplicazioni per righe e colonne. Vi sono molti altri algoritmi che si possono applicare
in luogo di quelli "tradizionali". Altro importante problema è quello della complessità
computazionale: cioè la stima del tempo (macchina) minimo per svolgere un computo. Di
solito sono accettabili tempi polinomiali, cioè i tempi che possono essere espressi come un
polinomio i cui argomenti sono le grandezze in input. Ma dato un algoritmo ci si deve
chiedere se esso è di tipo polinomiale o no e nel secondo caso se si possa trovare un algoritmo equivalente che invece sia calcolabile in tempo polinomiale.
Non tutti i problemi esterni sono fruttuosi. Un esempio, secondo Mac Lane, è dato dagli
insiemi fuzzy. Ne parla con un certo "disgusto", dicendo che un ingegnere, senza darne il
nome, Lofti Zadeh, ha introdotto la nozione di insieme fuzzy, cioè un insieme X in cui
l'affermazione x∈X di appartenenza assume valori nell'intervallo reale [0,1]. La posizione
di Mac Lane è riassunta nella sua affermazione che si riteneva che questa nozione avrebbe
portato ad ogni sorta di applicazioni utili e ad una diversa versione della matematica, ma
questo non è avvenuto. La posizione del nostro autore sembra strana perché: esistono in
commercio elettrodomestici "intelligenti", cosiddetti tali perché hanno la possibilità di
prendere delle decisioni autonomamente, basandosi sull'approccio fuzzy. Tra le logiche
fuzzy si colloca anche la Logica di Jan Lukasiewicz (1878 - 1956) di cui si è mostrata
l'importanza sia dal punto di vista applicativo (indici di qualità delle acque), sia dal punto
di vista teorico trovando inattese parentele con gli C*-spazi funzionali usati in meccanica
quantistica. D'altra parte la "rottura" dello schema {0,1} per la valutazione delle
proposizioni ha portato alla considerazione dei modelli booleani valutati o heytinghianivalutati, usati per la dimostrazione dell'indipendenza dell'ipotesi del continuo in Teoria
degli insiemi.
Mac Lane ha comunque ragione quando afferma che le ricerche di nuove idee e di
nuove formulazioni sono inevitabilmente avventurose e incerte. Può ben accadere che una
nuova idea apparentemente attrattiva non si riveli così fruttuosa come sembrava o che un
nuovo concetto risulti poi troppo complesso e marginale per essere interessante. D'altra
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
parte quello che appare interessante oggi può divenirlo nel futuro, come è avvenuto per
vari argomenti. Ciò che veramente importa è il ruolo dei concetti nella rete della forma
della Matematica.
3.7. La Matematica è vera?. È abitudine del ricercatore chiedersi se una risultato ottenuto sia o no vero 1. Ad esempio ci si può chiedere se il Teorema di Jordan relativo alle
curve sia vero per una specifica curva semplice chiusa disegnata nel piano complesso. Il
teorema dice che la curva separa il piano in due parti, l'interno e l'esterno, ciascuna delle
quali connesse, ma non connesse tra loro, cioè tali che un qualsiasi cammino che congiunga un punto dell'interno con uno dell'esterno incontra la curva stessa. Si possono però
mostrare esempi abbastanza complessi, i labirinti, in cui interno ed esterno non sono così
facili da distinguere. Questa non è una domanda oziosa, perché molta topologia algebrica
nasce dalla generalizzazione del teorema di Jordan in un numero maggiore di dimensioni.
L'intera costruzione della Matematica e di come può venire esposta indica che la questione della "verità" della Matematica è una questione mal compresa e forse errata. Infatti
non esistono in natura piani euclidei perfettamente piatti paragonabili a quelli che vengono
schematizzati nella nostra disciplina. Tutt'al più ci può essere solo la limitata superficie
scabra della lavagna che non può sicuramente essere estesa all'infinito in ogni dimensione.
Ciò che appare sulla lavagna non è una curva semplice chiusa, ma una traccia ondulata e
"sottile" lasciata dal gesso; forse il gesso ha anche "saltato" nella traccia, così che un con
un poco di attenzione si potrebbe disegnare, con un gesso ancora più sottile un cammino
da un punto "interno" ad uno "esterno" che non incontra la traccia della curva. Anche se il
disegno della curva è eseguito senza lasciare "buchi" non si può dimostrare, appellandosi
all'esempio materiale, che sia continuo, cioè che per ogni ε∈ + si può scegliere un δ∈ +
R
R
tale che… Ma il vero interesse non è nell'interno e nell'esterno di questa particolare curva
di Jordan, è più importante sapere che il piano complesso è semplicemente connesso o che
le funzioni olomorfe che si intendono definire su esso soddisfano in teorema dell'integrale
di Cauchy oppure che i risultati di questo teorema possono essere applicati, via una
trasformazione conforme, per disegnare le ali degli aeroplani. Per questa e per ogni altra
sorta di ragioni i teoremi della Matematica, quello di Jordan o altri, non sono semplici
affermazioni sul comportamento degli oggetti individuali nel mondo fisico.
Questo argomento può essere presentata in modo più esplicito. Si è cercato di mostrare
che la Matematica è un'estesa rete di regole formali, definizioni e sistemi, strettamente legati tra loro e con attività umane e con altre scienze. Questa descrizione non è sufficiente a
fornire in alcun modo un oggetto fisico per ciascun temine matematico, oppure una legge
1 Si veda una nota precedente sui rapporti tra semantica e sintassi.
- 149 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
fisica corrispondente a ciascun teorema matematico. Al contrario ci sono molte parti della
Matematica e una varietà di procedure accettate per usi pratici di alcune di queste parti. Di
conseguenza è semplicemente privo di senso chiedersi, data una relazione tra termini matematici, se è vera relativamente al corrispondente oggetto fisico. La corrispondenza non è
banalmente diretta. Invece la nostra descrizione della matematica indica che le domande
corrette sono altre:
- Il "pezzo" di Matematica in questione è corretto? Cioè il calcolo utilizzato segue le regole formali prescritte e ci sono teoremi dedotti dagli assiomi assunti mediante inferenza
su cui siamo trovati d'accordo?
- Questo "pezzo" di Matematica è rispondente alle nostre esigenze? Cioè ci "sistema" il
problema che è sorto e ci permette di trarre conseguenza che portano luce e completezza in
aree affini?
- Questo "pezzo" di Matematica è illuminante? Cioè ci permette di comprendere cosa
c'è sotto, oppure ci spinge ad un'ulteriore analisi o mediante l'astrazione o mediante altre
procedure?
- Il "pezzo" di Matematica è promettente? Cioè, sebbene possa essere un nuovo punto
di partenza da dati precedenti o una nuova metodologia, c'è una possibilità ragionevole che
nel seguito trovi una sua utile collocazione nel panorama matematico?
- Questo "pezzo" di Matematica è rilevante? Vale a dire è connesso a qualcosa che a
sua volta è collegato a attività umane o a scienze?
Molte di queste questioni sono problemi di valutazione qualitativa, ad esempio il
"pezzo" è più o meno rilevante, qual è il grado di corrispondenza alle nostre esigenze e
così via. Anche questo spesso è difficile da giudicare perché, ad esempio, la rilevanza può
essere trasmessa lungo tutta la rete della matematica. Ci sono e ci sono stati molti argomenti di buon "funzionamento" che pur non essendo immediatamente rilevanti nelle
applicazioni, hanno mostrato in seguito la loro importanza proprio in inattese applicazioni.
Quanto sia promettente poi una nuova idea è anche difficile da giudicare; troppo spesso il
nuovo è stato respinto come "fuori tempo". Ma nasce una nuova questione: questo atteggiamento è corretto?
Secoli fa, quando la Matematica trattava largamente l'Aritmetica e la Geometria elementare, era forse più facile pensare ai numeri ed alle figure geometriche come oggetti reali sui
quali uno potevano stabilire enunciati veri. Questi oggetti sono stati a lungo familiari e
grandemente utili, così che anche oggi, soprattutto nella scuola, essi vengano ancora introdotti e considerati come reali. Si potrebbe dire che si tratta di una scelta fatta per non
turbare le giovani menti. Ma guardando più attentamente ad essi, oggi, questa specie di
"conforto" mentale era un'illusione. I numeri sono solo i mezzi usati nel calcolo effettuato
secondo le regole, mentre le figure sono le immagini usate per suggerire mediante l'ostensione le dimostrazioni geometriche formali; la loro utilità suggerisce semplicemente
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
che è il formale ad essere utile e "potente" nella applicazione pratica. Oggi, poi, ci sono
così tanti e così vari oggetti matematici che ogni affermazione della loro realtà offre spettacolari occasioni di taglio usando il rasoio di Occam: «Entia non sunt praeter necessitatem multiplicanda», come afferma Occam a proposito del problema degli universali.
Il mondo moderno viene compreso in termini di molte e differenti forme matematiche.
Per esempio il gruppo trirettangolo ( 2× 2) non è un singolo oggetto da qualche parte
Z Z
nel mondo reale. Piuttosto è una forma, esemplificata molte volte nel mondo, dalle simmetrie di una figura (concreta) rettangolare. Questo trova esempi anche in Matematica,
come il gruppo di Galois del campo [√ 2;i] generato da i e da √ 2. Tuttavia in matema-
Q
tica questo esempio non esiste di per sé, ma solo come piccola parte della più generale
Teoria dei gruppi, esempio che illustra il teorema di scomposizione per i gruppi abeliani
finiti, oscurata da argomenti più recenti, quale ad esempio il gruppo denominato mostro,
che è stato introdotto per risolvere il problema della classificazione dei gruppi. Secoli fa
non c'era alcuno di questi gruppi 1, e ciò perché i matematici del tempo non avevano ancora individuati tutti i gruppi. Nel frattempo la Matematica ha prodotto molte nuove e rilevanti "forme". Esse sono sorte dalla contemplazione del mondo, ma esse stesse non sono
nel mondo, sono solo forme.
Questo argomento non si basa solo sui pochi esempi citati qui, ma sull'intero peso dell'evidenza del carattere del Matematica. Il nostro esame ha mostrato che la Matematica
consiste di regole formali, sistemi formali e definizioni formali di concetti. Le dimostrazioni della Matematica non dipendono dall'esperienza, e infatti possono spesso essere inventate o prodotte da giovani con scarsa esperienza. Quindi i risultati non possono essere
verificati chiedendosi solo se possano riferirsi all'esperienza concreta. Secondo la filosofia
di Popper, la Matematica non è una scienza, perché i suoi risultati non possono essere
falsificati dal fatto o dall'esperimento; meglio sarebbe però affermare che il suo connotato
scientifico deve essere cercato individuando i falsificatori potenziali proposti da Lakatos.
Pertanto la questione se la Matematica sia vera è fuor di luogo.
Per una forma di rassicurazione, è facile e comune pensare alla Matematica come qualcosa di vero. Ciò parzialmente è giustificato dal fatto che la Matematica formale realizza
idee intuitive che di per sé possono essere assai chiare e piene di forza persuasiva. Per di
più ciò avviene anche perché la Matematica, attraverso la nozione decisiva di dimostrazione
formale, può fare appello allo standard "assoluto" del rigore. Inoltre, questo standard è
esterno e impersonale. Una volta che gli assiomi di un sistema sono stati formulati, tutte le
affermazioni del sistema siano dimostrabili o rifiutabili o (grazie a Gödel), indecidibili.
Non ci sono collusioni, né influenza politica, né ripensamenti che possano modificare il
fatto che una affermazione possa essere provata come teorema. Ad esempio data la banale
1 Un platonista direbbe che c'erano anche prima, solo l'uomo non li avevano ancora "visti" o "scoperti".
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
definizione di gruppo semplice finito, l'esistenza del mostro è ineluttabile. La Matematica
non è vera, ma è corretta e i suoi risultati sono certi. Questa tesi ha delle conseguenze. Gli
insiemi usati in Matematica non sono totalità fisiche o collezioni reali: sono esempi di un
concetto astratto definito accuratamente mediante assiomi e non possiamo anche "aggiustare" gli assiomi (sembra proprio che ce ne sia bisogno!). Questi assiomi imitano ciò che
possiamo fare in modo operativo con collezioni di pietruzze (calculi) o di persone. Ma
ciascuna collezione concreta deve essere finita; anche i migliori numismatici o filatelici
hanno collezioni finite. Ma l'assioma di infinito è necessario, sia per la Teoria di Zermelo e
Fraenkel, sia per ambiti più generali dati dalle categorie 1. Tale assioma afferma la proprietà formale di esistenza di una "collezione" infinita, ciò che non può essere mai realizzato
concretamente. L'assioma di infinito è quindi un enunciato formale (con importanti conseguenze!) ispirato o modellato sulla base di osservazioni pratiche che un numismatico
possa sempre arricchire la sua collezione acquisendo una nuova moneta. L'assioma immagina che ciò possa essere sempre fatto (ciò che appunto non può avvenire). Questo è
uno dei sensi dell'infinito in Matematica, ma tutte le operazioni della matematica, i suoi
calcoli, le sue definizioni e dimostrazioni, sono strettamente finite. Queste osservazioni
possono essere usate per distruggere le posizioni di quei finitisti (come Leopold Kronecker (1823 - 1891)) che si sono opposti all'accettazione dell'uso degli insiemi infiniti
proposti da Cantor.
L'esistenza matematica non è una esistenza reale, non c'è modo di poterla confrontare
con l'esistenza di persone, di partiti politici, o coll'inesistenza degli unicorni. Gli aspetti di
tale esistenza "reale" portano a idee matematiche o logiche che a loro volta sono formalizzate in assiomi della forma ∃x(ϕ(x)) espressi nel calcolo dei predicati. Ma in tale calcolo ciascun teorema della forma ∃x(ϕ(x)) semplicemente significa che questo enunciato
formale è stato dedotto in accordo a opportune regole formali di inferenze. In virtù di
questo parallelo, quei teoremi esistenziali sono solitamente importanti per le applicazioni
della Matematica. Essi sono anche una sorta di verifica dell'adeguatezza di una formalizzazione. Quando un'equazione differenziale si suppone sia un modello per un fenomeno
fisico, un teorema di esistenza per le soluzioni mostra almeno che il modello è capace di
produrre qualche risultato. Il Teorema fondamentale dell'Algebra proclama che per ogni
polinomio a coefficienti complessi esiste (almeno) una radice complessa, non afferma
come tale radice possa essere individuata, sebbene esistano dimostrazioni costruttive nel
senso che esse indicano i passi che calcolano una approssimazione di tale radice. Un teorema di Zermelo con una complessa e intelligente dimostrazione asserisce che l'assioma di
scelta implica che l'insieme dei numeri reali possa essere bene ordinato. Ma non mostra
nessun buon ordine, anzi finora nessuno è riuscito nell'intento di mostrare esplicitamente
1 La "teoria" proposta da Vopenka, la Matematica alternativa, non richiede tale assioma di infinito, anzi esplicita un assioma che richiede che ogni insieme sia finito.
- 152 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
R
un tale buon ordine su . I teoremi matematici sull'esistenza sono quei risultati che possono essere provati sulla base delle regole che riguardano i quantificatori esistenziali e
niente di più, niente di meno e niente di più. Ed infatti se si vuole qualcosa di meno ciò
può essere fatto applicando la logica intuizionista, ma questo egualmente è un sistema
formale. In realtà l'intuizionismo originale di Brouwer (1907) non è una sistemazione
formale ed è basato sull'assunzione del primato dei numeri naturali in Matematica e questo
contrasta con l'osservazione che la Matematica di oggi usa effettivamente i numeri naturali
e i numeri reali come egualmente primitivi. L'attuale mondo virtuale riporta però in
posizione di preminenza i numeri naturali (con una rivincita della filosofia pitagorica).
Successivamente (1930) Arend Heyting (1898 - 1980) ha esposto l'intuizionismo come
teoria formale esibendo la logica intuizionista.
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C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Indice
- 154 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
0 58
58
118
Aritmetica razionale 100
Aritmetizzazione dell'Analisi 131
assioma
di estensionalità 67
di scelta 22; 121
di separazione 76
triangolare 45
astrazione 85; 88
ipostatica 88
prescissiva 88
atomo 41; 44; 68; 109
autovalori 134
base 13
di uno spazio vettoriale 81
induttiva 97
Bernstein 22; 24
Betti (1823 - 1892) 60
biezione 8
Binet (1786 - 1856) 62
Boiti 145
Bolzano (1781 - 1848) 21
Bombelli (1530 - 1573) 79
Bonaventura (1217 - 1274) 85
Boole (1815 - 1864) 65; 66; 67; 76; 77;
78; 84; 128
Borel (1871 - 1956) 90
Bourbaki 3; 6; 76
Brouwer (1881 - 1966) 4; 5; 151
buchi 140
buon ordine 36
Burnside (1852 - 1927) 63
C( , ) 71
C*-spazi funzionali 146
campo 112
ciclotomico 137
delle funzioni algebriche 138
di numeri algebrici 136
9
=
| 109
≡ 114
≡n 111
∅9
119
〈qu,re〉 110
‹
a priori 88
abduzione 83
Abel (1802 - 1829) 62; 80
addizione 9
addizione ordinale 118
adduzione 83
Agostino (354 - 430) 33; 85
Algebra
a più sorte 64
di Boole 65
retorica 11
Universale 64
Ampère (1775 - 1836) 145
anello 84; 85
a ideali principali 60; 112
commutativo 90
di Boole 65
di numeri 84
Anselmo d'Aosta (1033 - 1109) 85
antinomia 116
applicazione 53
Archimede (287 - 212 a.C.) 110; 113
Archita (428 - 347 a.C.) 42
arietà di un'operazione 64
Aristarco di Samo (310 - 230 a.C.) 40
Aristotele (384 - 322 a. C. ) 4; 9; 21; 33;
34; 35; 40; 42; 66; 85; 86; 87; 90
Arithmetices principia nova methodo exposita 20; 92; 95
RR
-1-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Cantor (1845 - 1918) 21; 22; 24; 25; 39;
67; 90; 115; 117; 121; 144; 150
card(S) 115
Cardano (1501 - 1576) 79
cardinale 115; 120
trasfinito 24
di un insieme 120
Cartesio (1596 - 1650) 9; 10; 12; 90;
143
categoria 60; 122
della qualità 44
della quantità 44
catena 96
Cauchy (1789 - 1857) 47; 62; 81; 142;
147
Cayley (1821 - 1895) 33; 57; 61; 62; 84
centro della sfera 48
cerchio 74
ciclo 27
cifre arabiche 16
Circolo di Vienna 132
circolo vizioso 38
classe
di equivalenza 88; 111
di resti modulo n 59; 112
clono 144
cn(x) 80
complessità computazionale 146
componente della coppia ordinata 12
prima 12
seconda 12
Comte (1798 - 1857) 2
concetti 85
conclusione 97
condensazione 35
confronto 7
congruenza 111
connettivo
di congiunzione 65
di disgiunzione 65
di implicazione 65; 70
di negazione 65
contare 7
continuazione analitica 134
continuità
globale 71
locale 70
uniforme 71
continuum 34
coppia ordinata 11
di funzioni 63
coprodotto 114
corrispondenza biunivoca 8
cosenamplitudine 80
Costruttivismo 4; 129
crisi degli incommensurabili 44
curva 48
Cusano (1401 - 1464) 85
δ di Dirac 144
D2 32
D3 29
Dal Ferro (1465 - 1526) 79
De anima 86
De prospectiva pingendi 144
De rerum principio 87
Dedekind (1831 - 1916) 6; 20; 24; 34;
38; 95; 96; 101; 121
definizione
impredicativa 38
deltamplitudine 80
Democrito (460 - 370 a. C.) 40; 117
densità normale 144
derivata 70
Descartes (1596 - 1650) 9
determinante 28; 31
di Vandermonde 31
-2-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
de Vries 145
diagramma
di Eulero-Venn 66
di Hasse 68
diamante 74
dimostrabilità 98
Diofanto (III sec. d.C.) 44; 79
Dionigi (pseudo) (V sec.) 85
Dirac (1902 - 1984) 144; 145
diseguaglianza
di Cauchy - Schwarz 47; 48
taxi 48
triangolare 45
disposizioni 27
distanza 45
di due punti 47
distribuzione 145
normale centrata 145
divisione 15
divisori dello zero 85; 109
dn(x) 80
dominio
di integrità 85
di interpretazione 30
Duns Scoto (1265 - 1308) 87
ε - δ definizione 70
equazione
del moto armonico 81
Korteweg-de Vries 145
equipotenza 114
esponente 13
essere 87
estensione 97
di una proprietà 67
estremo
inferiore 38
superiore 38
etichettare 7
Euclide (intorno al 300 a. C. ) 6; 9; 10;
20; 21; 22; 41; 42; 43; 44; 57; 78; 88;
89; 90; 92; 98; 110; 116; 122; 128; 129
Eudosso di Cnido (408 - 355 a.C.) 88;
110
Euler (1707 - 1783) 66
Eulero (1707 - 1783) 66; 112; 143
fallibilismo 123
falsificabilità 83
falsificatori potenziali 149
Faltings 140
fantasmi 85
fascio 131; 134; 136
fattorizzazione unica 85; 137
Fermat (1601 - 1665) 79; 137
Ferrari (1522 - 1565) 79
Fibonacci (1170 - 1240) 94
fibrato
cotangente 136
tangente 136
figura 49
Filosofia Scolastica 9
Finitismo 26
Fischbein 13
foglia di un grafo ad albero 27
Fontana (1500 - 1557) 79
egualizzatore 111
Einstein (1879 - 1955) 34
Elementi 10; 22; 42; 43; 88
elemento 8
neutro 55; 63
éléments de Mathématique 3
elencare 7
elevamento a potenza 13
Empirismo 5
Epicuro (341 - 270 a.C.) 40
equ(g) 111
equ(ren) 111
-3-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
forcing 136
Formalismo 4
funzionale 6
forme indeterminate 22
Formulario di Matematica 20
Fourier (1768 - 1830) 79; 144
Fraenkel (1891 - 1965) 3; 120; 122;
126; 129; 131; 150
Fréchet (1878 - 1973) 44; 75
Frege 97
Frege (1848 - 1925) 3
funzione
! 63
algebrica 138
caratteristica 46
continua 70
di Dirac 144
globalmente
continua 71
lipschitziana 72
intera 138
ϕ di Eulero 112
grado
di trascendenza 136
di un polinomio 137
grafo ad albero 27
grandezze 21
Green (1793 - 1841) 142
gruppo 29; 55
abeliano 58
alterno 32
ciclico 59
commutativo 58
diedrico 29; 32
prodotto 59
simmetrico 29; 33
topologico 76
trirettangolo 32; 51; 149
Gudermann 80; 141
Hamilton (1805 - 1865) 11
Hasse (1898 - 1979) 67; 68
diagramma di 68
Hausdorff (1868 - 1941) 11; 39; 75
Heine (1821 - 1882) 90
Heyting (1898 - 1980) 151
Hilbert (1862 - 1943) 4; 6; 22; 84; 127;
141
Hölder (1859 - 1937) 142
Hooke (1635 - 1703) 81
horror vacui 9
Hume (1711 - 1776) 4
Husserl (1859 - 1938) 88
ideale 79; 112
bilatero 111
principale 112
idee 85
identità 8
immagine mentale 142
incommensurabili 44
indipendenza dai rappresentanti 89
lipschitziana 72
localmente
continua 70
lipschitziana 72
olomorfa 130
uniformemente
continua 71
lipschitziana 72
Galois (1811 - 1832) 62; 80; 137; 142
Gauss (1777 - 1855) 79; 128; 137; 142
generalizzare 85
genere 140
germi 136
glissosimmetrie 49
Gödel (1906 - 1978) 4; 98; 123; 133
Goodman 11
-4-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
induzione 87
del secondo ordine 96
insiemistica 96
matematica 83; 89
sperimentale 83
inf 109
infinito
in atto 21; 44
in potenza 21; 80
naturale 123
iniezione 52
insieme
aperto 74
bene ordinato 36
chiuso 74; 90
cofinito 75
compatto 90
completo 39
connesso 120
delle funzioni a valori reali continue
71
denso 39
discreto 39
esponenziale 105
fuzzy 146
illimitato 38
induttivo 96
inferiormente limitato 38
limitato 90
linearmente ordinato 35
numerabile 24
parzialmente ordinato 67
superiormente limitato 38
transitivo 120
vuoto 9
insiemi
disgiunti 10
equipotenti 24
integrale ellittico 80
intelletto
attivo 86
possibile 86
intensione
di un insieme 67
interi
di Gauss 84; 137
interiorizzazione 35
intero algebrico 137
interpretazione
estensionale 97
intensionale 97
intersezione 65
intervallo 48
intorno
di un punto 75
intuizione sintetica a priori 4
Intuizionismo 4; 25
inverso 55; 63
di un elemento di un gruppo 55
involuzione 51
ipotesi
del continuo 147
induttiva 97
isometria 49
isomorfismo
di gruppi 61
ordinato 37; 118
Jevons (1835 - 1882) 128
Johnson-Laird (n. 1936) 5
Jordan (1838 - 1922) 62; 142; 147; 148
Kant (1724 - 1804) 4; 41; 88
Keplero (1571 - 1630) 40
ker(g) 111
Klein (1849 - 1925) 31; 32; 49
König (1849 - 1913) 121
Korteweg 145
-5-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Kripke (n. 1940) 100
Kronecker (1823 - 1891) 150
Kummer (1810 - 1893) 137
Kuratowski (1896 - 1980) 11; 14; 117;
121
La classificazione delle Scienze: un
problema concreto con fondamenti epistemologici 2
Lacroix (1765 - 1843) 143
Lagrange (1736 - 1813) 59; 62; 79; 82;
126; 130
Lakatos (1922 - 1974) 123; 135; 149
Laurent (1813 - 1854) 138
Lawvere 103; 122
legge
di cancellazione 57; 109
di Hooke 81
Leibniz (1646 - 1716) 40
Leucippo (2ª metà del V sec. a.C.) 40;
117
Liber abaci 94
linearità 34
linguaggio oggetto 13
Lipschitz (1832 - 1903) 72
localizzazione 137
Locke (1632 - 1704) 4
logaritmo 61
Logica
classica 123
formale 71
inclusiva 72
intuizionista 151
Logicismo 3; 25
Lukasiewicz (1878 - 1956) 146
Mac Lane (n. 1909) 1; 2; 6; 24; 50; 52;
65; 67; 83; 84; 90; 95; 96; 123; 132;
135; 146; 147
maggiorante 38
manici 140
marginalismo 135
Markov (1903 - 1979) 123
massimo comune divisore 109
Matematica
alternativa 122; 150
costruttiva 129
Mathematics Form and Function 1
MCD 109
mcm 109
Mengelehre 75
metalinguaggio 13
metodo della discesa 21
metrica 45
prodotto 46
taxi 46
minimo comune multiplo 109
Minkowski (1864 - 1909) 34; 40
minorante 38
minuendo 15
miriade 44
modelli
booleani valutati 146
heytinghiani-valutati 146
non standard 97
modello
inteso 142
moduli finitamente generati 60
modulo n 111
moltiplicando 11
moltiplicatore 11
moltiplicazione 10
monoide 54; 64
Mordell (1888 - 1972) 140
morfismo 122
morfologia 29
mostro 149
movimento 41; 49; 50
-6-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
rigido 49
20
* 20
ordinale
di un insieme 118
di Von Neumann 16; 120
ordinatamente
equivalenti 118
ordine
del ciclo 27
del gruppo simmetrico 29
denso 39
lessicografico 118
P 22
N
N
N0 20
naturali di Von Neumann 15; 120
Newton (1642 - 1727) 41; 136
Nilo 41
nodo di un grafo ad albero 27
Noether (1882 - 1935) 85
notazione posizionale 16
nozione
globale 71
locale 71
nucleo 111
di un omomorfismo 111
numeri
di Betti 60
p-adici 140
numero 117
algebrico 136
cardinale 8; 114
trasfinito 117
irriducibile 84
primo 84
successivo 15
Occam (1280 - 1349) 88; 149
omomorfismo
di gruppi 61
omologia 142
omotopia 142
operatori auto-aggiunti 134
operazione
binaria 63
unaria 63
zero-aria 63
opposto
di un elemento in un gruppo 58
ord(P) 118
Paradiso di Cantor 22
paradossi
semantici 122
paradosso 115
di Kripgenstein 100
di Russell 67; 116
logico 116
Parmenide (1ª metà del V sec. a. C. ) 9;
117
passo induttivo 97
Peano (1858 - 1932) 6; 11; 20; 21; 50;
92; 95; 96; 97; 100; 103; 104; 105; 107;
108; 126
Peirce (1839 - 1914) 88; 128
Pempinelli 145
permutazione 27
fondamentale 27
Pfin( ), 22
N
Piaget (1896 - 1980) 7
Pieri (1860 - 1913) 98
Piero della Francesca (1420 - 1492) 144
Pitagora (VI sec. a. C. ) 9; 16; 42; 43;
48; 117; 128
Platone (427 - 347 a.C.) 4; 33; 38; 85;
86; 133
Platonismo 4
Plotino (205 - 270) 85
-7-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Poincaré (1854 - 1912) 70
polinomio 29
Popper (1902 - 1994) 83; 123; 149
poset 67
Postulati di Peano 20
potenza
ordinale 119
predecessore 107
presentazione 143
Principia Mathematica 3; 116
principio
di buon ordinamento 121
di comprensione 116
di identità dei polinomi 30; 31
di induzione 21; 89
di isolamento 116
di minima azione 144
di minimo 98
Principio di induzione 96
Proclo (410 - 485) 43
prodotto
cartesiano 10
diretto di gruppi 60
logico 65
ordinale 119
Programma di Erlangen 49
proprietà 66; 96
antisimmetrica 36
associativa 12; 55; 63
commutativa 13; 58
del prodotto unitario 109
di connessione 16
di linearità 34
di transitività 16
di tricotomia 34; 36
riflessiva 36
transitiva 34; 36
universale 103
prova
del nove 19; 113
del sette 19
pseudocomplementazione 65
punto 44
doppio 140
cuspidale 140
doppo
nodale 140
non isolato 71
P∞( ) 24
qu 110
qu(m,n) 110
quadrato 74
quantificatore
esistenziale 71
relativizzato 70
universale 70
quantità 21
Quaternioni 11
Quine (n. 1908) 11
radice
di un grafo ad albero 27
di un polinomio 136
raggio
di azione 98
della sfera 48
ramo di un grafo ad albero 27
Rasiowa 65
rasoio di Occam 149
re 110
re(m,n) 110
reciproco di un elemento di un gruppo
55
reificazione 35
relazione binaria 35
reticolo 70
atomico 70; 110
N
-8-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
rette
ortogonali 41
perpendicolari 41
Ricerche Logiche 88
ricursione
con parametri 108
primitiva 103
Riemann (1826 - 1866) 130; 136; 138;
139; 140; 141
Rorschach (1884 - 1922) 51
rotazioni 49
Ruffini (1765 - 1822) 62; 79; 80
Russell (1872 - 1970) 3; 5; 25; 67; 116
Russell S. 145
S 3 29
sferica
superficie 48
significato formale 94
Sikorski 65
sillogismo categoriale 66
simmetrie 49
singoletto 9; 63
sintassi 30
sistema
decimale 16
ottale 19; 59
sn(x) 80
Sobolev 145
Socrate (470 - 399 a. C.) 86
Sofisti (V sec. a.C.) 85; 86
solitone 145
somma 9
logica 65
ordinale 118
sostanza 87
sostegno
della struttura 55
di uno spazio topologico 75
sottogruppo 58
normale 62
sottogruppo normale 111
sottospazio 111
metrico 45
sottraendo 15
sottrazione 15
spazio 44
assoluto 41
bizzarro 46
dei momenti 136
delle configurazioni 136
delle fasi 136
di Hausdorff 76
interfigurale 40
S4 33
scambi 28
schemi 131
Schröder (1841 - 1902) 22; 24; 128
Schwabhäuser 11
Schwartz 145
Schwarz (1843 - 1921) 47
Scoto Eriugena (IX sec.) 85
Scott 116; 118
Scott's trick 116
Seconda Scolastica 88
segmento unitario 90
semantica 30
semigruppo 64
senamplitudine 80
sensazioni 85
sensorium Dei 41
Sfard 35
sfera 48
aperta 48
centro della 48
chiusa 48
raggio della 48
-9-
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
intrafigurale 40; 45
intuizione sintetica a priori 41
metrico 44
ordinario 45
topologico 75
vettoriale 81
specializzazioni 131
Speranza (1932 - 1998) 2; 5
spettro 134
spostamento 50
Stone (1903 - 1989) 84
struttura
algebrica 54
di dati 64
madre 6
Suarez (1548 - 1617) 88
Sul concetto di numero 20; 92
sup 109
superficie sferica 48
tabula rasa 86
tally 91
Tannery (1843 - 1904) 44
Tarski (1902 - 1983) 114; 120; 128
Tartaglia (1500 - 1557) 79
tavole pitagoriche 16
taxi
diseguaglianza 48
metrica 46
tempo 33
giudizio sintetico a priori 34
tenditori di corde 41
Teorema
cinese del resto 113
di Binet 62
di Cantor-Schröder-Bernstein 22
di Cayley 57
di deduzione 98
di Heine e Cantor 90
di Heine-Borel 90
di Lagrange 59
di struttura per gruppi abeliani 60
fondamentale dell'Aritmetica 22; 110
Teoria
algebrica dei numeri 79; 136; 137;
138; 141
analitica dei numeri 131
degli ideali 131
degli insiemi 3; 4; 22; 25; 49; 79; 93;
97; 104; 122; 126; 129; 136; 144;
147
degli integrali 80
dei campi 141
dei fasci 136
dei Gruppi 2; 80; 142; 149
dei numeri 1; 3; 58; 60; 93; 136; 140
dei tipi 25
dell'utilità 90
della relatività 34
della valutazione 131
delle categorie 60
delle forme quadratiche 79
delle funzioni analitiche 141
delle funzioni ellittiche 80
delle funzioni olomorfe 130
delle proporzioni 88
di Galois 62; 137; 142
di Zermelo-Fraenkel 3; 150
eliocentrica 40
formalizzata degli insiemi 118; 120;
122
ZF 122
terna
ordinata 14
pitagorica 42
terzo escluso 4
tesi induttiva 97
- 10 -
C. Marchini
Appunti di Matematiche Complementari - I modulo
Theory of Finite Groups 63
Timeo 33
tipo 116
cumulativo 117; 118
d'ordine 37; 118; 119
Tolomeo (II sec. d.C) 12
Tommaso d'Aquino (1221 - 1274) 85;
86; 87
topologia 75
toro 140
Traité des substitutions 62
trasformazione 49
traslazioni 49
tricotomia 34
trigonometria 12
Ultrafinitismo 26
unione 10; 65
disgiunta 114
universalizzare 85
uomo 87
Vailati (1863 - 1909) 89
valore assoluto 62
valutazione 139
Vandermonde (1735 - 1796) 31
varietà 132; 136
complessa 132
di Riemann 136
differenziale 132
topologica 132
vasca da bagno 129
Venn (1834 - 1923) 66
verità 98
Viergruppe 31
Vitale dal Forno (1260 - 1327) 87
vivente 87
Von Neumann (1903 - 1957) 15; 16; 93;
95; 101; 120; 121; 126
Vopenka (n. 1936) 122; 123; 150
vuoto 9
ω0 120
Was sind und sollen sind die Zahlen?
20
Weber (1842 - 1913) 63
Weierstrass (1815 - 1897) 38; 70; 80;
130; 141
Whitehead (1861 - 1947) 3; 116
Wiener (1894 - 1964) 11
Wiles 79
Wittgenstein (1889 - 1951) 100
Zadeh 146
Zenone di Elea (V sec. a.C.) 21; 117
Zermelo (1871 - 1953) 3; 118; 120; 121;
122; 126; 129; 131; 150; 151
zero 58
di un polinomio 136
ZF 122
Zn 59
- 11 -