Quando la vocazione è doc. Eliseo, profeta verace

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Quando la vocazione è doc. Eliseo, profeta verace
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Amedeo Cencini
Quando la vocazione è doc
Eliseo, profeta verace
Nella tipologia delle vocazioni il profeta Eliseo rappresenta quelli che sono stati scelti da Dio attraverso una mediazione
umana, come normalmente avviene nella maggioranza dei casi. E nella mediazione umana della chiamata da parte di
Dio, un grande ruolo ha il fattore testimoniale di chi già è stato chiamato, quasi un “contagio per trasmissione diretta”,
che fa vedere il senso e la bellezza della vocazione.
Ai tempi della monarchia in Israele, c’erano molti profeti. Ma non tutti erano veri profeti,
profeti dell’Altissimo, poiché non parlavano in nome suo né facevano profezie confermate
poi dai fatti. Tanti erano i falsi profeti, o perché “inviati” di falsi dèi, o perché si erano
attribuiti da se stessi il compito di parlare in nome del Dio dei nostri padri.
Evidentemente anche allora funzionavano le 4 categorie di chiamati di cui avrebbe poi
parlato S.Girolamo: coloro che sono stati scelti da Dio senza alcuna mediazione umana (e
sono una eccezione), quelli che sono stati scelti da Dio ma attraverso una mediazione
umana (come è più normale, rappresentano infatti la maggioranza), coloro che non sono
stati scelti da Dio ma solo dagli uomini (vedi discernimenti sbagliati o raggiri e
raccomandazioni falsificanti), e infine quelli che si sono… scelti da soli, senza alcuna
chiamata divina né umana (e sono i casi peggiori).
Eliseo rappresenta la seconda opzione, quella in effetti più frequente: è chiamato da Dio,
ma attraverso la mediazione di Elia che lo ungerà profeta.
Il mantello di Elia
Elia, il profeta di fuoco, non esita a porre in atto quanto Dio gli ha chiesto e getta addosso
a Eliseo il proprio mantello. Il mantello era simbolo della personalità e della vocazione
stessa, diremmo noi, di chi lo indossava. Gettandolo su Eliseo, Elia lo accoglie come
discepolo, anzi, come colui che continuerà la sua missione.
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Mi pare un gesto molto suggestivo e molto umano insieme. Allude alla vocazione non
come una questione del tutto privata tra Dio e l’uomo, che quest’ultimo interpreta a modo
suo o accetta perché… gli piace o gli serve per i suoi scopi (fossero anche nobili), ma come
una chiamata divina che ha comunque bisogno della verifica umana, e che soprattutto
giunge al diretto interessato perché un altro gliela trasmette, uno che già la vive con
passione e gliene fa vedere il senso e la bellezza, quasi la genera in lui. Si fa animazione
vocazionale per contagio. Una volta ho sentito un vescovo dire, a riguardo della vocazione
sacerdotale, che ogni prete dovrebbe “generare un figlio-prete”, almeno uno. Se non lo fa
vuol dire che non vive bene la propria vocazione.
“Prese un paio di buoi e li uccise…”
Eliseo non dubita un istante. Stava arando la terra con i buoi, non solo lascia lì tutto, ma
uccide i buoi e distrugge i suoi attrezzi da lavoro per preparare il banchetto di commiato;
ovvero manifesta la scelta di rinunciare al proprio lavoro e di lasciare la propria casa con i
suoi affetti, per assumere pienamente e con slancio la nuova missione, da lui in realtà non
programmata.
Il gesto così risoluto di Eliseo prefigura la pienezza di donazione che Gesù chiederà a tutti
coloro che vorranno seguirlo, dai primi suoi discepoli a tutti i chiamati. Non come atto
moralistico o che sa solo di rinuncia, ma come convinzione di aver intravisto un tesoro,
per il quale vale la pena dire di no a tutto il resto: la gioia della scoperta dà la forza per la
rinuncia. Al di là di ogni volontarismo o eroismo.
“Due terzi del tuo spirito siano in me”
Eliseo è davvero profeta verace se, dinanzi alla possibilità di chiedere quello che vuole,
domanda una parte dello spirito del grande profeta Elia. Eliseo è vero con se stesso poiché
chiede ciò che sente ed è più importante per lui; ma è anche umile, non presume essere
come Elia; è discreto, non pretende tutto il suo spirito; è fedele a chi lo ha preceduto, se
vuole agire come lui, con la sua stessa disposizione interiore.
La vocazione è questa storia ininterrotta di chiamati che si trasmettono fedelmente
un’eredità spirituale preziosissima, come una generazione senza fine. Ed è in effetti molto
bello pensarsi piccolo anello di questa catena, piccolo ma con la coscienza di avere tanto
ricevuto e del tutto gratuitamente, e di voler dare, con la stessa gratuità. Così com’è ancora
toccante il grido di Eliseo nel momento in cui Elia sale verso il cielo: “Padre mio, padre
mio…”.
Triste sarebbe che questa catena si interrompesse, o da una parte (chi deve trasmettere
passione e fascino della chiamata) o dall’altra (chi è chiamato).
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Fermezza e rettitudine
La vicenda di Eliseo è costellata di una serie notevole di interventi miracolosi (dalla
moltiplicazione dell’olio della vedova, alla guarigione di Naaman, alla risurrezione del
figlio della Sunammita), ma vissuti sempre da profeta, come colui che parla in nome di un
altro. Non annuncia se stesso, né sfrutta la posizione per i propri interessi. Per questo
quando si accorge che un suo servo, Giezi, ha agito in modo scorretto ed egoista
(pretendendo denaro e altri beni da quel Naaman che Eliseo aveva guarito dalla lebbra, e
poi mentendo sull’operato), interviene con durezza e lo punisce severamente. Perché? Non
tanto per la menzogna e l’avarizia del soggetto, ma perché egli aveva usurpato, per trarne
un vantaggio personale, l’autorità del profeta, negando o compromettendo sia la gratuità
del beneficio divino della guarigione, sia la credibilità del profeta stesso, che non aveva
voluto ricevere nulla per la guarigione miracolosamente da lui operata.
Giezi viene punito, per questo, addirittura con la lebbra, e non solo lui, ma pure la sua
discendenza. Perché è peccato grave usare il dono di Dio e il proprio ruolo di chiamato per
gli interessi personali. Sarebbe un autentico tradimento della vocazione, o come
un’interruzione della catena generazionale vocazionale.
Tratto da: Mondo Voc febbraio 2012
fonte: www.vocazioni.net
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