ESSERE-NEL-MONDO. - radici culturali

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ESSERE-NEL-MONDO. - radici culturali
Leggendo Heidegger
ESSERE-IN come senso dell’ESSER-CI
ed “ESSERE-NEL-MONDO.
Romeo Lucioni
Il tema dell’Essere permea la metafisica ed è il fondamento della filosofia anche se
spesso questa sembra attratta e condizionata dalla “malia del linguaggio” (come
dice Raymond Tallis) nel quale costruisce “pseudo-problemi insoluti”
Interrogare l’uomo su se stesso, sul “senso di sé” resta però il primo, il
permanente e l’infinito “gioco delle parti” nel quale pensatori, psicologi,
psicoanalisti, antropologi, biologi, neurologi e finalmente … cultori delle
neuroscienze scoprono il valore dell’interrogarsi per poter afferrar, intuitivamente
o razionalmente o affettivamente, il senso dei “fenomeni della mente”, della
coscienza, delle relazioni intime e sociali dell’uomo tra gli uomini, dell’essere -nelmondo.
Accanto alla “necessità scientifica”, quando parliamo di “essere -nel-mondo”, si
sviluppano una infinità di pensieri, intuizioni, fruizioni filosofiche ed anche di
“ingenue espressioni” che ogni persona elabora sull’onda delle proprie esperienze,
dei propri vissuti più intimi e segreti.
“Essere-nel-mondo” è, come dice Heidegger, una “esperienza intramondana”, ma
anche e forse soprattutto, “intrapsichica”, proprio perché è “nell’immagine
interiore” che si sviluppa “sinceramente ed anche nascostamente” la ricchezza
emotiva ed affettiva che lega ogni persona alle sue relazioni, alle sue …
partecipazioni.
Per Heidegger questa intenzione si traduce in “… l’Esser-ci è assorbito dal suo
mondo”.
“Chi è che nella quotidianità è l’ Esser-ci?
La risposta sta nella considerazione che “l’in-essere” è ontologicamente il senso
della presenza nella quotidianità, nell’esperienza concreta, tangibile e visibile
della “presenza come espressione esistenziale”.
La quotidianità dell’ Esser-ci é una “regione fenomenica”, proprio perché comincia
nel momento stesso nel quale “il mondo comincia ad essere percepito” e l’essere
nel mondo diventa “con-essere” e “con-esser-ci”.
In questo modo, il “Sé” può “essere se stesso” solo se visto e considerato nel suo
“essere nel mondo” con la propria finalità relazionale: “con…” e qui il “con-esserci”
si organizza e si manifesta come “se-stesso-quotidiano”.
Il “Chi” dell’ Esser-ci è l’Ente che Io-stesso sempre sono e, quindi, quel “Sé” che si
riconosce nel mondo fenomenico come “Esser-ci”, “Essere-con”, “Essere-per”.
Il “Chi”, l’Io-stesso, il Soggetto rappresentano le immagini riflesse nello specchio
della quotidianità di uno stesso ed unico Sé.
Il Sé si mantiene identico nel mostrare dei “comportamenti o delle attitudini”.
Intendiamo questo come “la realtà della molteplicità delle identificazioni dell’Io”, la
variabilità della “maschera” che l’Io utilizza per “essere -nel-mondo” rispettando le
variabili del “essere-con” o “essere-per”, ma pur sempre un “… essere
intuitivamente sempre se stesso che dà risposte multiple … pur non perdendo la
propria identità olistica che si traduce nell’unificazione del “senso di Sé” o
semplicemente il “Sé”.
Heidegger riferisce la “molteplicità” come “… dinamica conservatrice o salvifica”
che permette quella “sostanzialità” che libera dall’essere “semplice presenza”,
passivo riflesso del mondo, per creare quel “essere nel mondo che è Esser-ci”.
Il senso dell’essere risponde a quella “indeterminatezza” che permette la creazione
ontologica dell’Esser-ci, capace di esautorare quella semplice presenza che
sarebbe un “non-esser-ci”, un “Ente non conforme all’ Esser-ci” e, quindi, un
“non-esistente”.
Per Heidegger, “… la semplice presenza nel mondo” sarebbe “… quel modo di
essere dell’Ente non conforme con l’ Esser-ci”.
Un tema interessante prospettato da Heidegger è quello della “datità dell’Io”, della
sua storicità e, quindi, delle esperienze pratiche: della coscienza fattuale.
Il “dato”, la “coscienza fattuale” la espressività fenomenica aprono alla
“fenomenologia formale della coscienza” che, in termini più psicologici, fa
riferimento alla percezione, alla rappresentazione e a quello che denominiamo
“relazione con il reale” come possibilità adattiva nella relazione con il mondo (altre
sono le “rappresentazioni”, le dinamiche sessuali, i rapporti con le figure di
riferimento come padre e madre, ecc.).
Affrontando queste tematiche, sembra abbia ragione Raimond Tallis quando dice
che la filosofia ed in special modo la fenomenologia, costruiscono “… enormi
castelli di concetti astrusi” che risultano ben lontani dalla semplicità della “…
esperienza immediata e dalla realtà del vivere quotidiano”.
Sul tema, Heidegger costruisce una serie di domande che portano anche al
dubbio che l’ Esser-ci debba sempre essere un Sé-stesso che si traduce nella
definizione “… l’Io può essere compreso solo nel senso di una indicazione formale
(presenza) che però “non è vincolante”, potendosi anche rivelare come l’opposto di
quanto dato a vedere.
In questa logica però, il “non-Io” non significa “privazione di identità”, ma
solamente una “… trasformazione temporale e spaziale dell’Io”.
Dal punto di vista neuroscientifico, questo rappresenta il modello funzionale della
“maschera” o “dell’identificazione multipla” che non è “perdita di Sé” in quanto è
proprio il “Sé” che, nella sua capacità creativa, porta alla “soggettivazione”,
all’unificazione di tutte le “esperienze identificatorie”.
Questo processo, che unisce tutti gli “Io” insieme ad i “non-Io” , è una modalità
esistenziale che, “come problematica autentica” dà valore, spessore e verità al
“Sé” nel suo cammino nell’ambito del suo “Essere-nel-mondo” : Esser-ci.
Le domande:
- è certo che l’accesso all’Esser-ci debba essere una riflessione puramente
percettiva sul “… Io degli altri”?
- è forse l’Esser-ci, nel più immediato rivolgersi a se stesso, che si dichiara
“Io sono questo” e, quindi, “… non sono altro”?
- che vale il dubbio metafisico per il quale l’Io scopre di poter “… non essere
se stesso”?
- e se l’analisi esistenziale scoprisse “… la trappola dell’Esser-ci per creare
una semplice … auto-interpretazione?
- Cosa diremmo se l’analisi ontologica scoprisse che l’Esser-ci resta
fondamentalmente indeterminato?
A prima vista sembrerebbe che l’unica risposta si organizzi attorno ad una
“indicazione formale” (datità), ma è proprio questa consequenzialità di dubbi che
dà senso al “Io-non-Io”, alla “indeterminatezza della mancanza di egocità”, alla
“perdita del Sé che si sta cercando”.
Il genuino “essere se -stesso”, “l’interpretazione positiva dell’Esser-ci” assumono
un valore di perfezionamento ontico proprio nella determinatezza per la quale:
- l’Esser-ci è se stesso solo “… nella sua esistenza”;
- non c’è Io che non sia, innanzitutto, “… soggetto posto-in … messo nel suo
mondo”;
- non c’è Io isolato, solitario abitatore di un mondo “… privato degli altri”;
- non c’è esibizione fenomenica senza un “… determinato modo di essere
dell’Esser-ci e, quindi, “… dell’Esser-ci nel mondo”.
Sembra di essere “ gettati nella prassi” della psicodinamica e della psicologia dello
sviluppo che, nell’ambito della “timologia”, osservano come il “senso di essere se
stessi” si fonda sulle iniziali conquiste intuitive del soggetto che si trasformano in:
- senso di esistere;
- “ di essere;
- “ di essere se stesso e non un altro;
- “ di poter funzionare nella percezione e nella relazione;
- “ di funzionare come “soggetto normale”;
- “ di essere se stessi nello spazio e nel tempo come “oggetto permanente”;
- “ di vivere in “verità” perché “… riconosciuto dall’Altro” (la madre);
- “ di percepire la “verità della presenza dell’altro” (coscienza concreta), “le
dinamiche affettive” (coscienza emotivo-affettiva), “la consequenzialità della
ragione” (coscienza razionale);
- senso del “valore dell’altro” nelle dinamiche de l “Nome del Padre”;
- “ di essere come “… opposizione all’imposizione” (… del Super-Io applicato)
- “
di “appartenenza” come superamento delle “dinamiche edipiche” che
annullano l’indeterminatezza dell’Io-non-Io, spostando la “verità” sul piano
del “soggetto”, del “Sé-creativo”, dell’immissione nelle dinamiche
dell’immaginario.
Heidegger continua a chiarire il tema puntualizzando che “l’essenza dell’Esserci
si fonda nella sua esistenza”e nella “… esibizioni fenomenica di un determinato
modo di essere dell’ Esserci”.
In questo ordine di idee, non dobbiamo di cercare “… un semplice fondamento” (
o … “nocciolo autentico”) che sarebbe solo espressioni di una “presenza “, ma una
“esistenza “ che ha in sé il senso creativo del divenire.
La “ sostanza dell’ Uomo” non è lo “spirito come sintesi di anima e corpo” che
diventa “fenomenologia della presenza”, ma “con - l’esistenza” si apre alla
considerazione di un “…con-Esser-ci degli altri” nel contesto di un “con-esserequotidiano”.
Nella sua intenzione carica di “genialità “, Heidegger vede nella quotidianità le
dinamiche “ … dell’ opera utilizzabile”, di quella “ … economia della relazione”
che, come succede tra” fornitore e fruitore”, rispetta un “…fare su misura”, una
“… scelta dei materiali più idonei”, “….un mondo che è utilizzabile per gli altri
anche se fatto, fin da principio,per me”.
Questa sottolineatura permette di vedere “l’ Esser-ci” non come “semplice
presenza”, ma come “mondo utilizzabile “,capace di generare,quindi, quei “famosi
ponti d’amore sui quali …. succedono molte cose” (… espressione tanto
significativa per la “terapia relazionale e timologica”).
La “caratterizzazione dell’incontro” dà spessore al “Esser-ci-con” proprio perché
“gli altri” diventano “l’essere-nel-mondo”, vale a dire “… fra i quali si è anche”.
Questo “esser-ci-con-essi” nel “anche” esprime un intendersi esistenzialmente,
superando il modello categoriale e cercando quella “con-divisione” che è “anche”
un “con-essere-con-gli-altri”.
Per Heidegger “l’essere-in-sé-intramondano degli altri” è un “con-Esser-ci”.
La definizione presuppone una relazione che è “prendere -cura” per la quale,
nell’ambientalità mondana, l’Esser-ci trova se-stesso innanzitutto in ciò che “sta
facendo” in una dinamica di utilizzabile ed evitabile che dà senso e valore al
prendersi cura.
I “ponti d’amore”, come “spazialità esistenziale”, creano spazio a quel “incontrarsi
al lavoro” che è un “con … per…”, nella cui dimensione la “… non relazione con
gli altri” si trasforma successivamente in “… con gli altri”. l’Esser-ci è assimilabile
al “non-esser-ci” e questo enunciato fenomenologico ha però in sé un “senso
ontologico-esistenziale” proprio perché qualificante.
Heidegger sottolinea questo aspetto riferendo come “l’Esser-ci-con” potrebbe
anche, in modo difettivo, prospettarsi come “essere-solo”, restando però come
elemento di proposizione, di qualità oltre che di “definizione per il proprio senso di
essere-umano”.
Tutta la vocazione dell’Esser-ci, aperta all’altro nel “essere-per”, è un forte
riferimento al senso della “cura”. In questo l’Esser-ci non si colloca nell’ambito del
“prendersi cura”, ma in quello di “aver-cura”.
L’aver-cura ha in sé una profonda dimensione timologica proprio perché
presuppone, prima di tutto, “dare valore all’altro” e, in questo, si comprende
meglio “l’aver cura del valore dell’altro”, aver cura delle sue potenzialità.
Tale lettura considera l’essenzialità di “… non restare indifferente di fronte al
valore dell’altro” in una logica che la più innovativa psicologia dello sviluppo ha
recente mente puntualizzato nelle dinamiche del “Super-Io implicato” che
contrastano quelle del “Super-Io-applicato” nelle quali emerge una negativa forma
auto-referenziale che viene anche definita come “ideale del Super-Io”.
Heidegger chiarisce perfettamente questo quadro ontologico definendo i modi
positivi dell’aver-cura che si manifestano in:
- sollevare l’altro dalla cura sostituendosi, intromettendosi al suo gesto;
- inserire l’altro nella cura stessa che è appunto una forma di “implicazione”,
ma anche del “fare-con-per”; che equivale a “… aiutare l’altro a divenire
trasparente nella propria cura, rendendolo libero per essa”.
L’Esser-ci nella cura diventa quindi un “prendere cura assieme” ed ancora
“essere-assieme” che trae origine dal “fare le stesse cose” che ha implicito in sé il
senso della “sussidiarietà”.
Questo è per Heidegger un “legame autentico”, timologicamente significativo nelle
dinamiche della “implicazione” (… per liquidare tutto ciò che è applicato), nel
rispetto della libertà e del valore dell’altro, che rimette l’altro nella propria libertà
e nel riconoscimento dei “suoi valori”.
Da queste osservazioni, il quadro ontologico tracciato da Heidegger si prospetta
come una vera e propria “mondità”, cioè come segnata dalle questioni fondanti del
“mondo” nel quale “l’Esser-ci-è”.
La significatività, la familiarità, l’utilizzabile, l’appagante, ecc. diventano le
caratteristiche che portano l’Esser-ci, in quanto “con-essere”, nel suo “fare-agire
della cura” un fondamento etico.
Anche l’essere -ontico e non pura presenza si trasforma in fondamento in quanto
“verità” e, proprio per questo, si delinea un “aspetto fenomenologico del mondo”
che rispecchia un “nucleo fondante -etico” che risulta il vero punto di partenza per
tutta la visione filosofica heideggeriana.
Da tutto questo, il “trascurarsi reciproco”, la “perdita di sussidiarietà”, la
“simulazione”, diventano solo aspetti transitori, quel “non-esser-ci” che il filosofo
interpreta come “momentanea eclisse” o “momento negativo della storia” di un “…
fenomeno originario” che è l’Esser-ci-con”.
L’essere assieme (… con … per) è ciò che “… sin dal principio e originariamente
rende possibile e costituisce la relazione con gli altri…” ed anche la “mondità”.
Questo fenomeno è chiamato “empatia” e rappresenta quel “… gettare un ponte
ontologico” che, come “ponte d’amore”, costituisce non solo il fondamento del
“prendere -cura”, ma anche il senso originario dell’essere fra Esser-ci ed Esser-ci.
DISCUSSIONE E CLONCLUSIONI
Nella sua profonda e precisa lettura del “Essere-nel-mondo come con-essere ed
essere-se-stesso” Heidegger traccia il fondamento di una “mondità” (senso
originario del mondo) nella quale il soggetto-Sé trova e attiva il suo proprio
fondamento ontologico che è Esser-ci ed Essere-con.
L’originale concezione del “fare nel mondo” come “senso dell’Essere e dell’Essere cura”, stabilisce una visione etica del modo per la quale l’Essere non può essere
altro da “Essere-con”. Proprio per questo, si stabilisce un “modo d’essere” che è
“l’Essere-in-tono”.
È impossibile “… non essere -in-tonati” per il fatto stesso di Essere-uomini” come
“struttura ontologica dell’affettività”.
Parliamo di “tonalità affettiva” che nell’essere-con si traduce in “… una sorta di
atmosfera” nella quale l’essere è immerso, cioè “Esser-ci”, un “modo d’essere insieme”, “esistere con gli altri”.
L’espressione originaria dell’essere non è quella del confronto o della supremazia,
ma quella della “comunanza” che è “sentire l’altro”, far vivere quei “sentimenti”
che sono “ponti di incontro tra noi e gli altri”. Nel “sentire” non c’è un soggetto ed
un oggetto, ma un’esperienza, una relazione, una “tonalità affettiva”.
La visione etica del mondo non assume per Heidegger una tonalità morale,
proponendosi, al contrario, come un “ideologismo mistico” che vuole superare un
mero soggettivismo proprio perché traccia le linee-guida di un “Esser-ci” che si
traduce in un “… con “ ed un “… per”, che diventano un “fare”, un “… agire la
cura” intesa come “… apertura attiva e propositiva del soggetto verso l’altro:
“Esser-ci per un altro Esser-ci”.
Heidegger dunque, non si pone nella linea del “misticismo di tipo orientale”, ma in
uno “… slancio mistico” che richiede il fare che, proprio per uno “slancio
soggettivo verso l’altro, verso il sociale” trova la “sua verità” nel “risultato”, la sua
“… beatificazione” nel proposito e nel fine.
Questo “slancio mistico” è implicito nell’Esser-ci che è una “costruzione
ontologica” del tutto particolare dal momento che trova il suo fondamento nel “ci”, vale a dire nella dinamica del “essere -nel-mondo”. In tale logica, sarebbe il
mondo a dettare il “come” ed il “dove” dellpEsser-ci, ma anche del “essere -con” o
del “essere -per”.
Lo “stratagemma mistico” sta proprio nel cambiare i punti di riferimento e legare
l’Esser-ci ad una capacità primaria dell’Essere che, quindi, si autodisciplina e su
auto-riferisce.
Il “-ci”, il “-con”, il “-per” diventano solo strategie dell’Essere per completarsi e per
rendersi visibile nella quotidianità, superando anche il trabocchetto della “pura
presenza”. L’Essere è dunque “essere -in-sé” che si mostra nella “prassi del –ci, del
–con, del –per ed anche della-cura.
Da tutto questo, il pensiero dell’Esserci diventa ancora una volta “mistico” proprio
perché nella sua “purezza ontologica primitiva e primaria” assume anche quel
“mantello etico” per il quale si carica di una “dimensione affettiva positiva”, carica
di sentimenti buoni che, nell’ambito della “cura”, attivano equità, sussidiarietà,
ragionevolezza, ecc.
Nello studio della psicologia dello sviluppo e della dinamica timologica del
soggetto, il problema degli affetti positivi e negativi risulta fondamentale proprio
perché deve risolvere il problema dell’amore e dell’odio nei confronti del Sé e degli
Altri.
Per Heidegger questo tema è superato nella definizione stessa del Esser-ci proprio
perché è in questo “-ci” che si riflette una potenzialità primigenita di … fare il
bene, dal momento che “fare il male” sarebbe il segno di un “non-esser-ci”.
La mistica sta proprio nel portare alla luce quel “Esser-ci” che è “comprensione
dell’Essere in quanto tale”, che però è “tale” proprio perché è “immerso nella sua
stessa essenza etica”, prima che “nell’essenza del mondo”.
A questo proposito, ha ragione Alfredo Marini, quando dice che “… secondo
Heidegger, l’intera Seinsfrage è un problema talmente seppellito nell’oblio che
nessuno se lo pone più…”.
Il “senso dell’Essere” non può evitare “… l’orizzonte trascendentale della domanda
stessa” e, proprio per questo, il “senso dell’Essere” diventa “… la vera storia
dell’oblio della domanda”.
In questa visione filosofica, “… l’uomo comprende tutte le cose dando un senso o
comprendendo il senso del proprio “Esser-ci”. Resta il fatto però che “… l’Esser-ci
non è un dato, ma è sempre e solo una domanda”, proprio perché “l’essere
dell’uomo” sta nel fatto che “… gli importa del proprio essere”: “… l’uomo è colui
che si chiede Chi, che cosa e come egli stesso sia.