Fisica Tecnica Ambientale - Posta elettronica Mondovi

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Fisica Tecnica Ambientale - Posta elettronica Mondovi
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progetto
didattica in rete
Fisica Tecnica Ambientale
Parte IV: illuminotecnica
G.V. Fracastoro
Politecnico di Torino, giugno 2003
Dipartimento di Energetica
otto editore
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientale
parte IV - illuminotecnica
Prima edizione giugno 2003
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
PARTE IV
illuminotecnica
WWW. POLITO. IT
INDICE
1. Fotometria
175
1.1.
Luce e fattore di visibilità . . . . . . . . . . . . . . . . .
175
1.2.
Grandezze fotometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . .
178
1.3.
Cenni di colorimetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
179
2. Sorgenti luminose
187
2.1.
Efficienza di una sorgente luminosa . . . . . . . . . . .
187
2.2.
Sorgenti luminose naturali . . . . . . . . . . . . . . . .
188
2.3.
Sorgenti luminose artificiali . . . . . . . . . . . . . . . .
190
2.4.
Apparecchi illuminanti e indicatrice di emissione . . . .
195
3. Illuminazione artificiale di esterni
197
3.1.
Calcolo dell’illuminamento prodotto in un punto . . . . .
197
3.2.
Calcolo pratico dell’illuminamento
198
. . . . . . . . . . .
4. Illuminazione di interni
203
4.1.
Requisiti essenziali per l’illuminazione artificiale . . . .
203
4.2.
Determinazione del flusso luminoso . . . . . . . . . . .
206
4.3.
Illuminazione naturale di interni . . . . . . . . . . . . .
209
Bibliografia
215
173
1. FOTOMETRIA
1.1.
LUCE E FATTORE DI VISIBILITÀ
La luce è convenzionalmente definita come l’insieme delle radiazioni elettromagnetiche, di lunghezza d’onda compresa tra 0.38 µm e 0.78 µm, che l’occhio umano è in
grado di percepire.
Il fattore di proporzionalità fra la quantità di energia posseduta da una radiazione
monocromatica che raggiunge l’occhio umano e l’intensità della sensazione visiva non
è costante, ma dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione. La visibilità di una
radiazione integrale risulta pertanto dalla somma dei contributi delle varie radiazioni
monocromatiche, ognuno dei quali viene pesato in modo diverso a seconda della sua
lunghezza d’onda.
Detto pertanto:
Φe (λ) =
dΦe
dλ
il flusso energetico monocromatico, ovvero la potenza associata ad una radiazione
monocromatica (in W/µm), il flusso energetico integrale varrà:
∞
Φe =
Φe (λ)dλ
0
175
1.
FOTOMETRIA
e Φ(λ), flusso luminoso monocromatico, misurato in lumen1 al micron (lm/µm), sarà
dato da:
Φ (λ) = K (λ) Φe (λ)
1.1
dove K(λ) è il fattore di visibilità, o semplicemente la visibilità, le cui dimensioni
sono [lm/W]. Il flusso luminoso sarà dunque dato da:
∞
K (λ) Φe (λ) dλ
Φ=
1.2
0
A seconda della luminosità della sorgente luminosa nell’occhio umano entrano in
funzione due tipi di fotorecettori. Per bassi valori di luminosità (visione notturna o
scotopica) operano i bastoncelli, che non consentono la visione dei colori. Per valori
più alti (visione diurna o fotopica) operano i coni, che a loro volta presentano tre tipi
di fotorecettori, sensibili al rosso, al verde e al blu, consentendo all’occhio umano
la visione cosiddetta tricromatica. Ai due meccanismi di visione corrispondono due
diversi andamenti del fattore di visibilità.
In entrambi i casi il fattore di visibilità può essere espresso in forma adimensionale,
introducendo il fattore di visibilità relativo V (λ), variabile fra 0 ed 1:
V (λ) =
K (λ)
Kmax
1.3
dove Kmax rappresenta il valore massimo del fattore di visibilità.
In visione diurna si ha Kmax = 683 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.555 µm.
In visione notturna si ha Kmax = 1700 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.505 µm.
La CIE (Commission Internationale de l’Eclairage) ha definito nel 1924 due curve
normalizzate che rappresentano il fattore di visibilità relativo (vedi Fig. 1.1 e Tab. 1.1)
in funzione della lunghezza d’onda per visione fotopica e scotopica. La curva fotopica
di visibilità relativa presenta pertanto il massimo (V (λ) = 1) alla lunghezza d’onda
di 0.555 µm, mentre la curva scotopica ha il massimo per λ = 0.505 µm.
1
Il lumen è l’unità di misura del flusso luminoso, il cui valore sarà precisato nel seguito.
176
FOTOMETRIA
Fatt
1.
1
0. 9
0. 8
0. 7
0. 6
0. 5
0. 4
0. 3
0. 2
0. 1
0
350
450
550
650
750
lunghezza d' onda ( nm)
Fig. 1.1 – Fattori di visibilità relativi normalizzati CIE (fotopica: linea continua;
scotopica: tratteggiata).
Tab. 1.1 – Valori del coefficiente di visibilità in visione fotopica.
λ(µm)
0,38
0,39
0,40
0,41
0,42
0,43
0,44
0,45
0,46
0,47
0,48
0,49
0,50
0,51
V (λ)
0,00004
0,00012
0,0004
0,0012
0,004
0,0116
0,023
0,038
0,060
0,091
0,139
0,208
0,323
0,503
λ(µm)
0,52
0,53
0,54
0,55
0,555
0,56
0,57
0,58
0,59
0,60
0,61
0,62
0,63
0,64
V (λ)
0,710
0,862
0,954
0,995
1,000
0,995
0,952
0,870
0,757
0,631
0,503
0,381
0,265
0,175
λ(µm)
0,65
0,66
0,67
0,68
0,69
0,70
0,71
0,72
0,73
0,74
0,75
0,76
0,77
V (λ)
0,107
0,061
0,032
0,017
0,0082
0,0041
0,0021
0,00105
0,00053
0,00025
0,00013
0,00007
0,00003
177
1.
FOTOMETRIA
1.2.
GRANDEZZE FOTOMETRICHE
La grandezza fondamentale in fotometria è l’intensità luminosa (I), la cui unità di
misura è la candela (cd), definita come il flusso luminoso emesso in una data direzione
nell’unità di angolo solido da una sorgente monocromatica di frequenza 540·1012 Hz
(equivalente ad una lunghezza d’onda λ = 0.555 µm), la cui intensità energetica in tale
direzione vale 1/683 W/sr.2
Il flusso luminoso è legato all’intensità luminosa attraverso la relazione:
dΦ
dω
I=
1.4
e dunque:
Φ=
I dω
1.5
4π
L’unità di misura del flusso luminoso è, come si è già detto, il lumen (lm), pari pertanto
a 1 candela per steradiante.
Si definisce poi la radianza o emettenza M :
M=
dΦ
dSem
1.6
dove Sem è la superficie emittente. L’unità di misura della emettenza è il lm/m2
(talvolta detto "lux sul bianco" o "lux s.b.").
Un’ultima importante caratteristica delle sorgenti luminose è la luminanza L:
L=
dI
dM
d2 Φ
=
=
dω dSem cos ε
dSem cos ε
dω cos ε
1.7
dove ε è l’angolo di emissione, cioè l’angolo formato dal raggio emesso con la
normale alla superficie emittente.
L’unità di misura della luminanza è la cd/m2 (detta anche nit).
2
Si osservi che in tal modo, poiché il fattore di visibilità per la lunghezza d’onda λ = 0.555 µm è
massimo e vale 683 lm/W, l’intensità luminosa di questa sorgente vale proprio 1 lm/sr, ovvero
1 cd.
178
1.
FOTOMETRIA
È possibile dimostrare che, nel caso in cui una superficie luminosa emetta con
luminanza costante al variare della direzione (si parla in tal caso di una sorgente
lambertiana, ovvero che segue la legge di Lambert), sussiste fra luminanza ed
emettenza la relazione:
M = πL
1.8
Vi è infine un’altra importante grandezza fotometrica, caratteristica non della sorgente
luminosa ma della superficie illuminata, detta illuminamento (E), definita come:
E=
dΦ
dSric
1.9
in cui Sric rappresenta la superficie ricevente. L’unità di misura dell’illuminamento è
il lux (lx), pari a 1 lm/m2 .
Nell’interazione fra la radiazione elettromagnetica e una superficie si erano a suo
tempo definiti i fattori di trasmissione, assorbimento e riflessione (rispettivamente τ ,
α, ρ). Allo stesso modo quando la luce, ovvero la radiazione visibile, interagisce con
una superficie, può essere trasmessa, assorbita o riflessa, e i rispettivi fattori vengono
detti fattore di trasmissione luminosa, di assorbimento luminoso e di riflessione
luminosa (τ l , αl , ρl ).
Se, pertanto, su una superficie lambertiana avente fattore di riflessione ρl è presente un
illuminamento E, questa superficie diverrà essa stessa una sorgente luminosa avente
emettenza M = ρl E e luminanza:
L=
1.3.
ρl E
π
1.10
CENNI DI COLORIMETRIA
La colorimetria rappresenta il legame fra gli stimoli, di natura fisica, che raggiungono
l’occhio umano (radiazioni elettromagnetiche) e la sensazione, di natura fisiologica
(colore) che essi producono. Le radiazioni di lunghezza d’onda diversa producono
sensazioni cromatiche (colori) diverse (Tab. 1.2).
179
1.
FOTOMETRIA
6
Soglia cromatica differenziale (nm)
5
4
3
2
1
0
430
480
530
580
630
lunghezza d'onda (nm)
Fig. 1.2 – Soglia cromatica differenziale.
Tab. 1.2 – Corrispondenza fra colore e lunghezza d’onda.
Colore
violetto
blu
verde
giallo
arancio
rosso
Campo di lunghezza d’onda (nm)
< 430
430-500
500-570
570-590
590-610
> 610
La sensibilità dell’occhio umano alle variazioni di lunghezza d’onda della radiazione
elettromagnetica è ben descritta dal concetto di soglia differenziale (Fig. 1.2). Questa
rappresenta la variazione di lunghezza d’onda fra due radiazioni monocromatiche
necessaria affinché venga percepita una variazione cromatica (o di tinta) fra di esse.
La soglia cromatica differenziale è a sua volta funzione della lunghezza d’onda, ed ha
due minimi relativi (pari a circa 1 nm) intorno a 500 e 600 nm. Ne risulta che l’occhio
umano è in grado di percepire almeno 150 colori puri diversi. Se a livello di radiazioni
monocromatiche esiste una relazione di biunivocità fra lunghezza d’onda e sensazione
180
1.
FOTOMETRIA
cromatica, ciò non è più vero per radiazioni caratterizzate da spettri complessi; ovvero,
a diverse distribuzioni spettrali possono corrispondere uguali sensazioni cromatiche.
Inoltre, se due colori puri vengono sovrapposti, l’occhio non è più in grado di
distinguerne le componenti, diversamente da quanto accade, ad esempio, per due suoni
puri sovrapposti.
Le leggi di Grassman
A queste considerazioni Grassmann, già alla fine del secolo scorso, diede un carattere
di sistematicità attraverso una serie di leggi, che possono essere così riassunte:
1. in un colore l’occhio distingue tre caratteristiche
– splendore, legato alla luminanza della sorgente
– tinta, legata alla lunghezza d’onda
– saturazione, legata alla purezza, ovvero alla quantità di bianco
presente nel colore
2. miscelando due colori le caratteristiche della miscela cromatica variano con
continuità al variare delle proporzioni dei due colori
3. l’aggiunta di uno stesso colore a due colori uguali produce nuovamente due
colori uguali, indipendentemente dalla loro distribuzione spettrale originaria
4. la luminanza di una miscela di colori è la somma delle luminanze dei colori
componenti
L’apparecchio che consente di verificare sperimentalmente l’uguaglianza fra due
colori si chiama colorimetro. Esso è costituito da uno schermo bianco (avente cioè
ρ = 1 per tutte le lunghezze d’onda) illuminato per metà dal colore incognito C e
per metà da tre sorgenti monocromatiche primarie, rossa R (λ = 0.700 µm), verde G
(λ = 0.546 µm) e blu B (λ = 0.436 µm).
Regolando opportunamente l’intensità delle tre luci R, G, B (e dunque la loro
luminanza) si può ottenere un colore equivalente a C. Quando non è possibile ottenere
il colore C per via additiva, è sempre possibile ottenere una equivalenza fra due delle
181
1.
FOTOMETRIA
tre sorgenti primarie e la terza sommata al colore C, in tal modo "sottraendo" la terza
sorgente primaria.
Si può pertanto scrivere:
L (C) = LR + LG + LB
1.11
ovvero il colore C, di luminanza L(C), viene ottenuto come miscela dei colori R,
G, B, di luminanze LR , LG , LB (dette luminanze dei colori primari in condizioni di
equilibrio, o unità tricromatiche della luminanza del colore).
Il triangolo dei colori
Per motivi di opportunità, ad esempio per evitare che vi siano dei colori che in uno
spazio LR , LG , LB assumono coordinate negative, si è operato un cambiamento di
coordinate definendo un nuovo spazio tricromatico X, Y , Z in cui:
X = 2.7689LR + 0.38159LG + 18.801LB
Y = LR + LG + LB
1.12
Z = 0.012307LG + 93.066LB
Si osservi che la coordinata Y coincide con la luminanza del colore considerato.
Si definiscono poi le coordinate ridotte:
x=
X
X +Y +Z
y=
Y
X +Y +Z
z=
Z
X +Y +Z
1.13
Vale naturalmente:
x+y+z =1
1.14
e dunque bastano due coordinate ridotte per rappresentare un colore. Si è scelto il
piano (x,y). Su questo piano la (1.14) individua un triangolo di vertici (0,0), (0,1),
(1,0) detto triangolo dei colori o diagramma cromatico CIE (Fig. 1.3). In realtà,
non tutti i punti all’interno di tale triangolo corrispondono a dei colori. Questi sono
infatti contenuti all’interno di una linea (V GR) che rappresenta i colori puri o saturi,
182
1.
BIANCO
4000
FOTOMETRIA
2000
6000
W
(V)≈(B)
Fig. 1.3 – Diagramma cromatico CIE.
ovvero i colori rappresentabili con radiazioni monocromatiche. Il punto V (violetto)
corrisponde alla lunghezza d’onda di 0.400 µm, il G (verde) a λ= 0.546 µm, il punto
R (rosso) a λ = 0.780 µm.
Il punto W , di coordinate xW = yW = zW = 1/3, è detto bianco di uguale energia.
Tale punto è assai prossimo a quello che si otterrebbe da una radiazione caratterizzata
da Φe (λ) costante su tutto lo spettro visibile.
Il segmento (V R) non corrisponde ad alcun colore puro spettrale, ma a colori costituiti
da una miscela di violetto e rosso che prendono il nome di porpore o magente. Due
colori si dicono complementari se il segmento che li unisce nel triangolo dei colori
passa per W .
Ogni colore C situato all’interno della linea (V GR), eccettuati quelli contenuti nel
triangolo V RW , è una miscela di un colore puro D (detto dominante di C) e di
bianco (W ). La sua purezza colorimetrica o saturazione (pc ) è data dal rapporto
fra i segmenti W C e CD:
183
1.
FOTOMETRIA
pc =
WC
WD
1.15
Ovviamente:
pc (W ) = 0 e
pc (D) = 1
Se si utilizza come sorgente luminosa un corpo nero a temperature diverse, si osserva
che a ciascuna temperatura corrisponde un diverso effetto cromatico. Riportando
tale effetto cromatico sul triangolo dei colori si ottiene una linea curva, detta luogo
planckiano, che permette di stabilire una correlazione fra la dominante del colore e la
temperatura del corpo nero (temperatura di colore).
Note le luminanze Y1 e Y2 e le coordinate colorimetriche ridotte (x1 , y1 ), (x2 , y2 ) di
due colori C1 e C2 si può ricavare sul triangolo dei colori il colore C3 miscela dei due.
Infatti, per la quarta legge di Grassmann:
X3 = X1 + X2
Y3 = Y1 + Y2
Z3 = Z1 + Z2
ovvero:
x3 =
X3
X1 + X2
=
X3 + Y3 + Z3
X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z2
1.16a
y3 =
Y3
Y1 + Y2
=
X3 + Y3 + Z3
X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z2
1.16b
T1 =
Y1
X1 + Y1 + Z1
=
Y1 = X1 + Y1 + Z1
y1
Y1
1.17a
T2 =
Y2
X2 + Y2 + Z2
=
Y2 = X2 + Y2 + Z2
y2
Y2
1.17b
Ponendo:
si avrà, dalle 1.16:
x3 =
184
X1 + X2
T1 + T2
e y3 =
Y1 + Y2
T1 + T2
1.
FOTOMETRIA
ma:
X1 = x1 T1
Y1 = y1 T1
e
X2 = x2 T2
e Y2 = y2 T2
e pertanto:
x3 =
x1 T1 + x2 T2
T1 + T2
y3 =
y1 T 1 + y2 T 2
T1 + T2
1.18
185
2.
2.1.
SORGENTI LUMINOSE
EFFICIENZA DI UNA SORGENTE LUMINOSA
Le sorgenti luminose vengono distinte in:
– naturali (il Sole, la volta celeste) e
– artificiali (lampade)
La caratteristica fondamentale di una sorgente luminosa è la sua efficienza luminosa.
Nel caso di sorgenti naturali essa è pari al rapporto fra il flusso luminoso emesso e il
flusso di energia radiante emessa (flusso energetico):
Φ
Φe
η=
2.1a
Poiché il flusso energetico è emesso soltanto per irraggiamento, si può scrivere,
ricordando la (1.2) e la (1.3):
∞
Φ
η=
= Kmax
Φe
0
V (λ) Φe (λ) dλ
∞
0
Φe (λ) dλ
Nelle sorgenti artificiali, invece, l’espressione dell’efficienza luminosa è la seguente:
η=
Φ
Wel
2.1b
187
2.
SORGENTI LUMINOSE
in cui Wel rappresenta la potenza elettrica assorbita dalla rete. Questa è pari alla
potenza termica dissipata dalla lampada per irraggiamento e, in parte minore, per
convezione. Pertanto Wel > Φe .
2.2.
SORGENTI LUMINOSE NATURALI
Le due principali sorgenti luminose naturali sono il Sole e la volta celeste.
Dal punto di vista energetico l’entità della potenza inviata direttamente dal Sole
sull’unità di superficie viene detta irradianza solare diretta. La radiazione solare
presenta, fuori dell’atmosfera, uno spettro continuo, assai simile a quello di un corpo
nero a 5800 K, compreso dunque, per il 90% circa, nella regione dello spettro che
va da 0.3 µm a 2.5 µm (si veda il concetto di fattore di radiazione di pag. 97).
L’entità dell’irradianza solare diretta extra-atmosferica su una superficie normale ai
raggi solari alla distanza media Sole-Terra viene detta costante solare ed ha un valore
di circa 1360 W/m2 . Fuori dell’atmosfera il cielo appare invece nero.
Nell’attraversare gli strati atmosferici, la radiazione solare viene in parte riflessa (in
particolare dalle nuvole), in parte diffusa (scattering) dalle molecole di azoto ed
ossigeno, in parte assorbita da alcuni gas atmosferici (ozono, anidride carbonica e
vapor d’acqua). Ne risultano due fenomeni:
– l’attenuazione della irradianza solare diretta, soprattutto in corrispondenza
delle bande di lunghezza d’onda dove si manifesta l’assorbimento dei gas
atmosferici (vedi Fig. 2.1);
– la nascita di una componente di irradianza solare diffusa dal cielo.
A terra, col Sole allo Zenit e il cielo sereno, l’irradianza solare diretta orizzontale
(Ibh ) raggiunge i 700-800 W/m2 , mentre la diffusa (Idh ) vale circa 150-200 W/m2 . Al
diminuire dell’altezza del Sole sull’orizzonte la quota orizzontale diretta si riduce per
due motivi:
188
2.
SORGENTI LUMINOSE
campo del visibile
Fig. 2.1 – Potere emissivo monocromatico del Sole.
– la diminuzione, secondo la legge del coseno, della componente verticale
dell’irradianza
– l’aumento della massa d’aria attraversata
La massa d’aria (m) rappresenta il rapporto fra il percorso dei raggi solari negli strati
atmosferici e lo spessore dell’atmosfera. Essa è calcolabile come:
m = 1/sin β
dove β è l’altezza del Sole sull’orizzonte.
L’efficienza luminosa del Sole è di circa 100-120 lm/W, valore assai lontano dal
massimo teorico (680 lm/W). Tuttavia, è interessante notare che la temperatura di
5800 K è assai vicina a quella a cui corrisponde la massima efficienza luminosa di un
corpo nero (vedi Fig. 2.2).
189
2.
SORGENTI LUMINOSE
Efficienza luminosa (lm/W)
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
9000
10000
Temperatura (K)
Fig. 2.2 – Efficienza luminosa di un corpo nero in funzione della sua temperatura.
2.3.
SORGENTI LUMINOSE ARTIFICIALI
Le sorgenti luminose artificiali, dette comunemente lampade, si dividono in due grandi
categorie:
– a incandescenza
– a scarica nei gas (o a luminescenza)
Lampade ad incandescenza
Il funzionamento delle lampade ad incandescenza è basato sulla dissipazione di
potenza per effetto Joule da parte di una resistenza (filamento) percorsa da corrente
elettrica. A causa di ciò il filamento raggiunge alte temperature (intorno ai 2300 3000 ◦ C) e parte del flusso termico irraggiato risulta visibile.
Le lampade ad incandescenza sono costituite da quattro componenti principali:
– il bulbo o ampolla
– l’attacco
– il filamento
– il gas di riempimento
190
2.
SORGENTI LUMINOSE
Il bulbo ha la funzione di mantenere il filamento in atmosfera rarefatta per evitare che
si verifichi la combustione a contatto con l’ossigeno atmosferico, e di consentire il
passaggio del flusso luminoso. È in genere realizzato in vetro trasparente, smerigliato
o opalizzato.
L’attacco, che può essere a vite o a baionetta, permette il collegamento elettrico fra la
lampada e la rete elettrica, necessario per alimentare il filamento.
Il filamento dissipa per effetto Joule una potenza elettrica Q = RI 2 , direttamente
proporzionale alla resistenza R da esso opposta al passaggio della corrente elettrica I.
Tale potenza viene emessa secondo la legge di Stefan-Boltzmann, pertanto la temperatura raggiunta dal filamento sarà proporzionale alla radice quarta della potenza
emessa. Al crescere della temperatura del filamento crescerà l’efficienza luminosa
della lampada (vedi Fig. 2.2).
Per tale motivo il filamento deve essere costituito da un materiale con una elevata
temperatura di fusione, lavorabile in modo da permetterne la spiralazione, ovvero la
realizzazione di un filo sottile a forma di spirale. Per questi motivi, dalle primitive
lampade con filamento di cotone (Edison, 1879, Cruto, 1880) e di carbonio, si è infine
passati a quelle a filamento di tungsteno (simbolo chimico W, dal nome wolframio
con cui è anche noto), che ha una temperatura di fusione di 3370 ◦ C e di ebollizione
di 5927 ◦ C (i valori più elevati fra gli elementi chimici).
Il gas di riempimento del bulbo deve innanzitutto non contenere aria, per evitare
che si inneschi la combustione del filamento. Per tale motivo nelle lampade di
piccola potenza viene praticato un vuoto più o meno spinto. Le bassissime pressioni
esistenti facilitano però la sublimazione del filamento, abbreviando la durata della
lampada e limitando la temperatura del filamento a non più di 2450 ◦ C. Inoltre, il
tungsteno sublimato tende a depositarsi sulla faccia interna del bulbo, opacizzandola
parzialmente.
Per evitare questo problema nel bulbo delle lampade di media e grande potenza
si introducono dei gas inerti (in genere argon, più raramente azoto e krypton) che
consentono di raggiungere temperature del filamento di circa 2800 ◦ C.
Un ulteriore progresso è stato compiuto con l’introduzione nel bulbo di iodio o altri
alogeni (lampade ad alogeni) che svolgono un’azione di rigenerazione del filamento
191
2.
SORGENTI LUMINOSE
che può esser così descritta: lo iodio, dissociatosi in corrispondenza del filamento
a causa delle elevate temperature là esistenti, reagisce con il tungsteno che tende a
migrare verso la faccia interna del bulbo, formando, alla temperatura di 600-700 ◦ C,
ioduro di tungsteno:
W + 2I → W I2
Lo ioduro di tungsteno precipita sul filamento dove, a causa dell’elevata temperatura,
si dissocia:
W I2 ↔ W + 2I
Viene così liberato tungsteno, che si rideposita sul filamento, e iodio atomico, che
migra nuovamente verso la periferia della lampada per ricominciare la sua funzione di
rigenerazione.
Questo processo ha consentito di innalzare notevolmente la temperatura del filamento
(fino a 3000 ◦ C) e dunque l’efficienza della lampada.
Le lampade ad alogeni trovano impiego nei proiettori e nei fari degli autoveicoli.
Lampade a luminescenza
Il principio su cui si basa questo tipo di lampade può essere descritto come segue.
Si introduce in un bulbo di vetro di forma allungata un gas o un vapore metallico. Agli
estremi del bulbo (o tubo) sono posizionati due elettrodi, che vengono sottoposti ad
una differenza di potenziale. Il catodo emette elettroni i quali, accelerati dal campo
elettrico, attraversano il tubo urtando gli elettroni periferici degli atomi del gas che vi
è stato introdotto. Se l’energia cinetica degli elettroni è bassa l’urto è di tipo elastico,
cioè l’elettrone urtato non si sposta dalla propria orbita. Superato un certo valore della
differenza di potenziale fra gli elettrodi (potenziale di risonanza) l’energia cinetica
degli elettroni diviene tale da rendere anelastico l’urto; gli elettroni atomici si spostano
in conseguenza di ciò su un’orbita caratterizzata da un livello energetico più alto. Nel
riportarsi allo stato normale essi emettono sotto forma di fotoni una quantità di energia
pari alla differenza di livello energetico delle due orbite. La lunghezza d’onda a cui
viene emessa la radiazione è data da:
192
2.
SORGENTI LUMINOSE
transitorio
V
normale
tensione di
accensione
anormale
C
B
arco
A
O
corrente di scarica
Fig. 2.3 – Diagramma tensione-corrente nelle lampade a scarica nei gas.
λ=
1234
V
[nm]
2.2
dove V è il potenziale di risonanza, funzione del tipo di atomo del gas introdotto nella
lampada. La radiazione emessa è dunque di tipo monocromatico. Al crescere della
differenza di potenziale gli urti fra gli elettroni si moltiplicano, e nuove righe appaiono
nello spettro della radiazione emessa.
Dal diagramma tensione-corrente caratteristico della scarica nei gas, illustrato in
Fig. 2.3, si vede che, al crescere della tensione V la corrente I cresce (tratto OA)
fino a raggiungere la saturazione (tratto AB), su un valore peraltro molto debole.
A partire da B la tensione diviene sufficiente a conferire agli elettroni una energia
cinetica tale da ionizzare gli atomi. Gli elettroni così liberati ionizzeranno a loro
volta altri atomi, con un effetto detto valanga elettronica. In queste condizioni è
sufficiente un piccolo aumento di tensione per far crescere rapidamente la corrente
(tratto BC). Il valore di tensione così raggiunto viene detto tensione di accensione. Il
suo valore dipende dal prodotto fra pressione del gas e distanza fra gli elettrodi (legge
di Paschen). Una volta innescata la scarica luminescente, la tensione può essere ridotta
al valore di funzionamento normale, stabilizzando la corrente mediante una bobina di
autoinduzione.
Dalla Fig. 2.3 si vede che per l’innesco occorre una sovratensione momentanea
rispetto alla tensione di funzionamento.
In altri casi l’innesco viene facilitato
adottando un elettrodo ausiliario, più vicino, che viene poi escluso nel funzionamento
193
2.
SORGENTI LUMINOSE
normale, oppure preriscaldando gli elettrodi, in modo da ridurre il potenziale di
estrazione, per mezzo di uno starter che, chiudendosi, li mette in corto circuito, per
poi riaprirsi dopo uno o due secondi.
I principali gas impiegati nelle lampade a luminescenza sono i vapori di sodio e di
mercurio. Neon e argon vengono spesso aggiunti per innescare la scarica (luce violetta
iniziale).
Appartengono a questa categoria anche le lampade fluorescenti, nelle quali un sottile
strato di una sostanza, detta per l’appunto fluorescente, viene spalmato sulla faccia
interna del tubo entro il quale avviene la scarica. Queste sostanze (tungstato di calcio
e di magnesio, silicato di calcio, zinco e cadmio, fosfato di calcio, etc.) hanno la
proprietà di assorbire la radiazione ultravioletta emettendo a loro volta radiazione
di lunghezza d’onda maggiore (e quindi almeno in parte luminosa). Esse vengono
impiegate soprattutto nelle lampade a vapori di mercurio, nelle quali la potenza emessa
nell’UV (circa un quarto del totale) viene spostata per fluorescenza nel visibile e
nell’IR.
Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade.
Principio di
funzionamento
Incandescenza
Luminescenza
194
Tipo
di
lampada
Potenza
(W)
Efficienza
(lm/W)
Normale a
bulbo
25-100
8-12
Durata
utile
(ore)
1000
100-1500
12-20
1000
ad alogeni
10-100
100-2000
25-30
14-25
150
2000
a vapori
di Hg
a luce
miscelata
a vapori di
Na (a bassa
pressione)
50-2000
35-65
100-500
11-30
600010000
6000
18-210
72-145
10000
Campi
di impiego
abitazioni,
negozi
negozi, locali di
servizio
autoveicoli
atri,
impianti
sportivi, esterno
edifici
capannoni
industriali
fabbriche, magazzini, strade
incroci, svincoli,
gallerie stradali,
aree all’aperto
»
2.
SORGENTI LUMINOSE
Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade.
Principio di
funzionamento
Fluorescenti
2.4.
Tipo
di
lampada
Potenza
(W)
Efficienza
(lm/W)
a vapori di
Na (ad alta
pressione)
normali
70-1000
75-120
18-58
40-75
115-215
55-62
18-58
51-76
ad alta
emissione
ad alta resa
cromatica
Durata
utile
(ore)
9000
60008000
60008000
60008000
Campi
di impiego
capannoni industriali, strade,
aeroporti, porti
officine
officine
impieghi civili e
industriali
•
APPARECCHI ILLUMINANTI E INDICATRICE DI EMISSIONE
In genere la lampada è contenuta in un apparecchio illuminante, che ha la funzione di:
– orientare il fascio luminoso
– evitare l’abbagliamento diretto
– proteggere la lampada contro choc meccanici e penetrazione di umidità
– proteggere l’utente da choc elettrici
Il controllo del flusso luminoso si ottiene sfruttando le proprietà di riflessione,
rifrazione e diffusione di alcuni materiali e conferendo particolari forme alla parte
ottica (riflettore o rifrattore) degli apparecchi illuminanti. In conseguenza di ciò
l’intensità luminosa dell’insieme lampada+apparecchio varia in funzione dell’angolo
solido di emissione. Si ha cioè:
I = I (ω)
2.3
Introducendo un sistema di coordinate polari (ε, ϕ), con:
dω = sin ε dε dϕ
2.4
195
2.
SORGENTI LUMINOSE
la funzione I = I (ε, ϕ) rappresenta una superficie, luogo dei punti estremi dei vettori
intensità luminosa, detta superficie fotometrica. Il volume da essa delimitato viene
detto solido fotometrico. Il solido fotometrico si rappresenta di solito tracciandone una
o più sezioni che prendono il nome di curve fotometriche o indicatrici di emissione.
Se la superficie fotometrica è una superficie di rotazione ed ε è l’angolo formato dalla
direzione di emissione con l’asse di rotazione, si ha I = I (ε), ed è sufficiente la
conoscenza, sotto forma grafica, tabulare o (più raramente) analitica, di una indicatrice
di emissione per descrivere compiutamente la superficie fotometrica. In caso contrario
tale superficie viene in genere espressa per mezzo di due indicatrici di emissione,
determinate dall’intersezione di due piani, in genere ortogonali fra loro e passanti per
l’asse principale della lampada, con la superficie fotometrica.
Un caso particolare è quella delle lampade a superficie fotometrica sferica, in cui
l’intensità è costante in tutte le direzioni (I = I0 ). In questo caso la relazione fra
flusso e intensità è particolarmente semplice:
Φ = 4πI = 4πI0
2.5
Geometria delle sorgenti luminose
Nel calcolo dell’illuminazione artificiale è opportuno distinguere, in base alla
geometria del problema, fra sorgenti:
– puntiformi, quando le dimensioni della sorgente luminosa sono trascurabili
rispetto alla distanza fra la sorgente stessa e il punto illuminato
– lineari, quando due delle tre dimensioni della sorgente sono trascurabili
– superficiali, quando una delle tre dimensioni è trascurabile
– estese in volume, quando nessuna delle tre dimensioni della sorgente luminosa
è trascurabile rispetto alla distanza.
Nel seguente capitolo verrà trattato a titolo esemplificativo il caso di illuminazione
prodotta da sorgenti puntiformi.
196
3.
3.1.
ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
CALCOLO DELL’ ILLUMINAMENTO IN UN PUNTO
In ambienti esterni la sorgente può essere considerata, con buona approssimazione,
puntiforme. L’illuminamento prodotto da una sorgente puntiforme in un punto P
appartenente ad una superficie ricevente Sr , per le 1.4 e 1.9 è dato da:
E=I
dω
dSr
e, detto j l’angolo di incidenza (angolo formato dalla direzione del raggio con
la normale alla superficie Sr nel punto P), si ha immediatamente, ricordando che
dw = dSr cos j d2 (vedi Fig. 3.1):
E=I
cos j
d2
3.1
Si osservi che tutti e tre i termini che compaiono nella (3.1) dipendono dalla posizione
relativa del punto illuminato rispetto alla sorgente. Al crescere della distanza del punto
illuminato dalla sorgente cresce in genere anche l’angolo j, e dunque diminuisce
sensibilmente il termine cos j d2 . Per compensare tale fenomeno occorre adottare
una lampada caratterizzata da una idonea indicatrice di emissione I = I (ε, ϕ).
A tal proposito occorre ricordare che l’angolo di emissione e l’angolo di incidenza non
sono in genere uguali, a meno che l’asse principale della lampada non sia normale alla
superficie illuminata.
197
3.
ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
S
n
d
d
j
asse lampada
P
dSr
Sr
Fig. 3.1 – Illuminamento prodotto da sorgente puntiforme.
3.2.
CALCOLO PRATICO DELL’ ILLUMINAMENTO
Per calcolare l’illuminamento medio su una superficie occorre suddividerla in areole
elementari e calcolare l’illuminamento nel baricentro di ogni areola, assumendo che il
suo valore in tale punto sia pari a quello medio nell’areola considerata.
Noto l’illuminamento e l’area per ogni superficie elementare, l’illuminamento medio
si calcola dalla relazione:
1
Ē =
S
S
1
E dS =
S
n
Ei Si
3.2
i=1
dove n è il numero di areole. Se tutte le areole Si sono uguali (n = S/Si ) si ottiene:
n
1 Ē =
Ei
n i=1
La distribuzione dell’illuminamento su una superficie può essere rappresentata graficamente attraverso le linee isolux (linee di uguale illuminamento), oppure più
sinteticamente attraverso il rapporto di uniformità, definito come il rapporto fra
illuminamento minimo e medio, oppure fra minimo e massimo. Nel caso in cui, come
per le superfici stradali, quello che conta è la luminosità della superficie illuminata, a
prescindere dal flusso luminoso che vi incide sopra, il parametro che occorre rispettare
198
3.
ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
è in realtà la luminanza, che si calcola, se la superficie è lambertiana ed ha un
coefficiente di riflessione ρl , come indicato dalla (1.10):
L=
ρl E
π
Requisiti per l’illuminazione di esterni
Per le strade il rapporto di uniformità viene calcolato come rapporto fra le luminanze
(anche se, in realtà, ciò equivale a operare un rapporto fra gli illuminamenti). Si
definisce un rapporto di uniformità generale U0 :
U0 =
ρ Emin /π
Emin
Lmin
=
=
L̄
Ē
ρ Ē/π
3.3a
dove i valori minimo e medio sono valutati sull’intera superficie stradale, e un rapporto
di uniformità longitudinale Ul :
Ul =
Lmin
Emin
=
Lmax
Emax
3.3b
Tab. 3.1 – Valori minimi raccomandati di luminanza e del fattore di
uniformità per le strade (norma UNI 10439).
Classe
Tipo di strada
Livello medio
di luminanza
(cd/m2 )
Rapporto di
uniformità
U0 (%)
Ul (%)
A
B
C
D
Autostrade
Strade extraurbane principali
Strade extraurbane secondarie
Strade urbane di scorrimento
veloce
Strade urbane di scorrimento
Strade urbane interquartiere
Strade urbane di quartiere
Strade extraurbane locali
Strade urbane locali interzonali
Strade urbane locali
2.0
2.0
1.5
2.0
40
40
40
40
70
70
70
70
1.0
1.5
1.0
1.0
0.75
0.50
40
40
40
40
40
35
50
70
50
50
50
40
D
E
E
F
F
F
199
3.
ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
A titolo di esempio, in Tab. 3.1 sono riportati i valori minimi della luminanza e
del fattore di uniformità da adottare per il progetto di un impianto di illuminazione
stradale. Si osservi che l’indicazione di una luminanza minima può essere facilmente
convertita in una prescrizione di illuminamento minimo ricordando ancora la 1.10: i
coefficienti di riflessione delle strade variano da 0.13 - 0.21 per rivestimenti chiari e
levigati a 0.26 - 0.45 per rivestimenti scuri e scabri.
Un altro importante parametro per definire la qualità di un sistema di illuminazione è
il coefficiente di utilizzazione del flusso (Cu ), dato dal rapporto fra il flusso incidente
sul piano utile Φu e il flusso globalmente emesso Φ:
Cu =
Φu
Φ
3.4
Il valore di Φu può essere calcolato attraverso l’illuminamento medio sul piano utile.
Infatti:
Φu =
E dS =
n
Ei Si = Ē S
3.5
i=1
S
Il valore del flusso emesso Φ è in genere un dato fornito dal costruttore assieme
all’indicatrice di emissione1 , dalla quale può essere ricavato, nel caso non sia noto,
ricordando la relazione (1.5):
Φ=
I dω =
4π
n
Ii ωi
3.6
i=1
Metodo grafico per la soluzione della 3.6.
Tale integrale può essere risolto graficamente impiegando un metodo (vedi Fig. 3.2) basato sulla seguente proprietà geometrica: una
superficie sferica sezionata da n piani paralleli ed equidistanti dà
‹
luogo a n superfici di area uguale e pari a 4π r 2 n. I corrispondenti
1
Per gli apparecchi illuminanti vengono in genere forniti diagrammi fotometrici in cui le intensità
sono riferite a 1 klm (1000 lm) di flusso emesso. Per cui, una volta scelta la lampada con i
relativi dati di potenza e flusso luminoso Φ, i valori di intensità letti sull’indicatrice di emissione
vanno moltiplicati per Φ/1000.
200
3.
ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
Ι
ε
Fig. 3.2 – Metodo grafico per la determinazione del flusso emesso.
angoli solidi saranno anch’essi uguali e varranno ωi = 4π/n. Perciò
la (3.6) diviene:
Φ = ωi
n
X
Ii =
i=1
n
4π X
Ii
n i=1
in cui Ii è il valore dell’intensità in corrispondenza dell’angolo
solido ωi .
Occorre tener presente che il flusso emesso Φ tende a ridursi col tempo, a causa del
degrado luminoso delle lampade e dell’apparecchio illuminante. Del primo fatto si
tiene conto attraverso un coefficiente di deprezzamento D, variabile fra 0.85 e 0.90, e
del secondo attraverso un coefficiente di manutenzione M , variabile fra 0.55 e 0.80.
Tenendo conto delle (3.4) e (3.5) il flusso effettivo Φ è dato pertanto da:
Φef f =
Ē S
DM Cu
3.7
201
4.
4.1.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
REQUISITI ESSENZIALI PER L’ ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
I requisiti essenziali di un impianto destinato all’illuminazione artificiale di interni
sono indicati dalla norma UNI 10380. Esso deve:
a. assicurare un adeguato livello e uniformità di illuminamento
b. evitare forti contrasti
c. evitare l’abbagliamento diretto o riflesso
d. restituire adeguatamente i colori.
a. I valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti sono riportati
in Tab. 4.1.
I tre valori riportati (minimo-medio-massimo) si riferiscono
rispettivamente a compiti visivi:
· svolti occasionalmente e in cui velocità e accuratezza non sono importanti
· normali
· particolarmente importanti per velocità e accuratezza
L’uniformità di illuminamento viene definita attraverso il rapporto fra il
valore minimo ed il valor medio spaziale dell’illuminamento. La UNI 10380
prescrive un valore minimo di 0.8.
203
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
b. Il contrasto luminoso viene espresso attraverso un coefficiente, detto fattore di
contrasto, definito come:
C=
|L2 − L1 |
L1
4.1
in cui L1 e L2 sono le luminanze di due punti vicini del campo visivo. Si deve
avere:
C<3
tra oggetto e piano di lavoro
C < 10
tra oggetto e ambiente circostante
C < 20
tra sorgente e fondo
C < 40
tra due punti qualunque nel campo normale della vista
c. Per evitare l’abbagliamento è necessario che la luminanza degli oggetti nel
campo visivo non superi 1400 - 3000 cd/m2 .
d. Da un punto di vista del colore della luce possono essere utilizzati diversi
indicatori:
· temperatura di colore
· tonalità di colore (Tab. 4.2)
· indice di resa cromatica
· resa del colore
Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da
UNI 10380).
Tipo di ambiente
Residenze
Locali di passaggio
Camere, illuminazione
generale
Camere (zona letti)
Bagni, illuminazione
generale
Illuminamento
(lx)
Tonalità di
colore
Resa del
colore
50-100-150
50-100-150
W
W
1A
1A
200-300-500
50-100-150
W
W
1A
1A
»
204
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da
UNI 10380).
Tipo di ambiente
Bagni (zona specchio)
Cucine
Edifici per uffici
Uffici generici
Uffici disegno
Sale riunioni
Scuole
Aule, illuminazione
generale
Palestre
Ospedali
Corsie,
illuminazione
generale
Locali per esami
Laboratori,
illuminazione generale
Chirurgia, illuminazione
generale
Chirurgia, illuminazione
localizzata
Negozi
Aree di circolazione
Esposizione merci
Vetrine
Illuminamento
(lx)
200-300-500
200-300-500
Tonalità di
colore
W
W
Resa del
colore
1A
1A
300-500-750
500-750-1000
300-500-750
W,I
W,I
W,I
1B
1B
1B
300-500-750
W,I
1B
50-100-150
W
1A
300-500-750
300-500-750
W
W
1A
1A
500-750-1000
I
1A
10000-30000100000
I,C
1A
150-200-300
300-500-750
500-750-1000
I
I
W,I,C
1B
1B
1B
300-500
•
Tab. 4.2 – Tonalità di colore in funzione della temperatura di colore.
Tonalità di colore
bianco-calda (W)
bianco-neutra (I)
bianco-fredda (C)
Range di temperatura di colore (K)
< 3300
3300 - 5300
> 5300
L’indice di resa cromatica (Colour Rendering Index) definisce la capacità di una
sorgente luminosa di restituire fedelmente i colori rispetto ad una sorgente luminosa
di riferimento. La scala varia fra 100 (accordo perfetto fra luce campione e luce di
205
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
riferimento) e 0 (nessun accordo). In Tab. 4.3 sono indicate le corrispondenze fra
l’indice di resa cromatica e la cosiddetta resa del colore.
Tab. 4.3 – Corrispondenza fra resa del colore e indice di resa cromatica.
Indice di resa cromatica (CRI)
> 90
80 - 90
60 - 80
40 - 60
20 - 40
4.2.
Resa del colore (Ra)
1A
1B
2
3
4
DETERMINAZIONE DEL FLUSSO LUMINOSO
La principale difficoltà del calcolo di illuminazione degli interni consiste nel fatto che
il flusso luminoso non giunge sul piano utile solo direttamente dalle lampade, ma vi
viene anche riflesso dalle pareti e dal soffitto.
Esistono numerosi metodi per calcolare il flusso luminoso necessario per realizzare
un determinato illuminamento. Il più semplice è il metodo del flusso totale, la cui
formula risolutiva è identica alla (3.7) per l’illuminazione di esterni:
Φef f =
Ē S
Cu D M
4.2
Questa volta, però, il valore di Ē da introdurre è ricavato dalla norma UNI 10380 e
il valore di Cu deve essere calcolato con l’ausilio di diagrammi o tabelle, in funzione
dei seguenti fattori:
a. tipo di apparecchio illuminante
b. geometria del problema
c. fattore di riflessione delle pareti.
206
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
a. Gli apparecchi illuminanti si possono distinguere in funzione del sistema di
illuminazione secondo cui operano, che può essere diretto, semidiretto, misto,
semindiretto e indiretto. A sua volta questa classificazione dipende dalla
percentuale di flusso luminoso inviata verso il basso, come di seguito indicato
(Tab. 4.4).
Tab. 4.4 – Sistema di illuminazione.
Sistema di illuminazione
diretta
semidiretta
mista
semidiretta
indiretta
% di flusso inviato verso il basso
>90
60-90
40-60
10-40
<10
b. La geometria del locale è riassunta in un indice i, detto indice del locale,
funzione delle dimensioni a, b, h e h (v. Fig. 4.1):
i=
ab
h (a + b)
i=
ab
h (a + b)
per illuminazione diretta, semidiretta o mista
4.3a
per illuminazione indiretta o semidiretta
4.3b
A sua volta l’indice del locale serve a definire la classe del locale, secondo la
Tab. 4.5.
c. I valori dei coefficienti di riflessione delle pareti per i più comuni colori sono
riportati in Tab. 4.6.
Una volta noti il tipo di illuminazione, l’indice del locale ed il fattore di
riflessione delle pareti e del soffitto, il coefficiente di utilizzazione del flusso
può essere ricavato dalla Tab. 4.7, o da altre similari.
207
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
h'
h
piano utile
b
a
Fig. 4.1 – Parametri geometrici per la definizione dell’indice del locale.
Tab. 4.5 – Corrispondenza fra indice e classe del locale.
Indice i
Classe
0.5-0.7
A
0.7-0.9
B
0.9-1.2
C
1.2-1.4
D
1.4-1.7
E
1.7-2.7
F
2.7-4.0
G
Tab. 4.6 – Coefficienti di riflessione per alcune tinte di impiego comune.
Tinta
bianco
avorio
crema
Coefficiente di
riflessione
0.90-0.75
0.85-0.80
0.80-0.70
giallo chiaro
0.70-0.60
rosa
verde chiaro
0.60-0.45
0.50-0.40
208
Tinta
azzurro chiaro
grigio chiaro
grigio scuro,
marrone
blu, verde e
rosso scuro
nero
Coefficiente di
riflessione
0.45-0.40
0.40-0.15
0.15-0.05
0.10-0.05
0.04-0.01
4-6
H
4.
4.3.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
ILLUMINAZIONE NATURALE DI INTERNI
Per studiare l’illuminazione naturale in un interno il procedimento rigoroso consisterebbe nel considerare le finestre come sorgenti luminose di luminanza nota e nel
calcolare poi punto per punto i valori di illuminamento tenendo conto delle riflessioni
interne. Tale procedimento è di difficile attuazione. Anche in questo caso si preferisce
adottarne uno semplificato, che fa riferimento ad un indice detto fattore di luce diurna
(F LD), definito come:
F LD =
Ei
Eo
4.4
dove:
Ei = illuminamento orizzontale in un punto dell’ambiente interno
Eo = illuminamento orizzontale all’esterno, misurato su una superficie non
sottoposta a irraggiamento solare diretto e senza ostacoli che ostruiscono il
cielo.
Il fattore di luce diurna varia, in un locale, da punto a punto. Il suo valore medio può
essere calcolato con la seguente espressione approssimata, che non tiene conto, ad
esempio, della forma e della posizione della finestra:
F LDm =
τl Av F
(1 − ρl,m ) S
4.5
con
Av = area parete vetrata
τ l = coefficiente di trasmissione del vetro
ρl.m = coefficiente medio di riflessione di tutte le pareti interne (inclusa la
finestra)
S = area delle pareti interne
F = fattore finestra
209
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Tab. 4.7 – Valori del coefficiente di utilizzazione, in %.
Curv a
fotometrica
Illuminazione
semidiretta
d=1,1 h
Illuminazione
mista
d = 1,1 h
Indice
locale
F attore di
manutenzione
Coefficiente di utilizzazione
J
0.28
0.22
0.18
0.26
0.21
0.18
0.20
0.17
Plaf oniera
nuda o con
coppa
diffondente
I
0.35
0.29
0.25
0.33
0.27
0.24
0.26
0.24
H
0.39
0.33
0.30
0.37
0.32
0.28
0.30
0.27
G
0.45
0.38
0.33
0.40
0.36
0.32
0.33
0.30
F
0.49
0.42
0.37
0.43
0.39
0.34
0.37
0.33
E
0.56
0.50
0.44
0.49
0.44
0.40
0.42
0.38
D
0.60
0.55
0.50
0.53
0.48
0.44
0.47
0.44
C
0.64
0.59
0.54
0.56
0.51
0.47
0.50
0.47
B
0.68
0.62
0.59
0.61
0.56
0.53
0.54
0.52
A
0.70
0.65
0.62
0.65
0.62
0.60
0.58
0.57
0.8 0.7 0.6
J
0.26
0.23
0.21
0.23
0.21
0.19
0.19
0.17
Diffusore
I
0.32
0.29
0.27
0.28
0.26
0.24
0.23
0.21
H
0.37
0.33
0.31
0.31
0.29
0.27
0.26
0.24
G
0.40
0.36
0.34
0.34
0.31
0.30
0.28
0.26
F
0.42
0.39
0.36
0.36
0.33
0.32
0.30
0.28
E
0.46
0.43
0.40
0.41
0.38
0.35
0.32
0.30
D
0.50
0.46
0.43
0.44
0.40
0.39
0.34
0.33
C
0.52
0.48
0.45
0.46
0.44
0.41
0.37
0.36
B
0.55
0.52
0.49
0.48
0.46
0.45
0.39
0.38
A
0.57
0.54
0.51
0.49
0.47
0.46
0.42
0.41
0.75 0.7 0.65
>>
210
4.
Curv a
fotometrica
Illuminazione
diretta
d= h
Illuminazione
diretta
d = 0.9 h
Indice
locale
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
F attore di
manutenzione
Coefficiente di utilizzazione
J
0.38
0.32
0.28
0.37
0.32
0.28
0.31
0.28
I
0.46
0.42
0.38
0.46
0.41
0.38
0.41
0.38
H
0.50
0.46
0.43
0.50
0.46
0.43
0.46
0.43
G
0.54
0.50
0.48
0.53
0.50
0.47
0.49
0.47
F
0.58
0.54
0.51
0.56
0.53
0.50
0.52
0.50
E
0.62
0.59
0.56
0.60
0.58
0.56
0.58
0.56
D
0.67
0.64
0.61
0.65
0.63
0.61
0.62
0.61
C
0.69
0.66
0.63
0.67
0.65
0.63
0.64
0.62
B
0.72
0.70
0.67
0.70
0.68
0.66
0.67
0.66
A
0.74
0.71
0.69
0.72
0.70
0.68
0.69
0.67
J
0.35
0.32
0.30
0.35
0.32
0.30
0.32
0.30
I
0.43
0.39
0.37
0.42
0.39
0.37
0.39
0.37
H
0.48
0.45
0.42
0.47
0.44
0.42
0.43
0.41
G
0.53
0.50
0.47
0.52
0.49
0.47
0.48
0.46
F
0.57
0.53
0.50
0.55
0.52
0.50
0.52
0.50
E
0.61
0.57
0.55
0.59
0.57
0.54
0.56
0.54
D
0.64
0.61
0.59
0.62
0.60
0.58
0.59
0.57
C
0.66
0.63
0.61
0.63
0.61
0.60
0.61
0.59
B
0.68
0.66
0.63
0.66
0.64
0.63
0.63
0.62
A
0.69
0.67
0.66
0.67
0.66
0.64
0.65
0.63
Riflettore a
fascio largo
0.75 0.65 0.55
Riflettore a
fascio medi o
0.75 0.65 0.55
Fattore di
riflessione pareti
Fattore di
riflessione soffitto
75%
50%
30%
211
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Il fattore finestra rappresenta il rapporto fra il flusso luminoso che giunge sul piano
della finestra e quello sul piano orizzontale. Il flusso luminoso che raggiunge la
finestra proviene a sua volta sia dal cielo che dal terreno, mentre quello sul piano
orizzontale esterno proviene per definizione soltanto dal cielo. In assenza di radiazione
diretta e supponendo isotropi la volta celeste ed il terreno il fattore finestra può essere
calcolato con la formula seguente:
F =
1 − cos (Σ + Γ)
1 + cos (Σ + Γ)
+ ρt
2
2
4.6
in cui Σ è l’inclinazione della parete sull’orizzontale, ρt il coefficiente di riflessione
(o albedo) del terreno e Γ l’elevazione media delle eventuali ostruzioni sull’orizzonte.
I valori limite di F LDm da rispettare sono riportati in Tab. 4.8.
Tab. 4.8 – Valori limite di FLD medio (*).
FLD>1%
Edilizia
residenziale
Edilizia
scolastica
Edilizia
ospedaliera
uffici, spazi di
distribuzione,
scale, servizi
igienici
come edilizia
scolastica
FLD>2%
tutti i locali di
abilitazione
palestre, refettori e aule comuni
FLD>3%
FLD>5%
ambienti a
uso didattico,
laboratori
aule giochi e
aule nido
palestre e
refettori
ambienti di
degenza,
diagnostica,
laboratori
(*) Valori tratti da:
Decreto del Ministero della Sanità del 5/7/1975 indirizzato all’edilizia residenziale
Decreto Ministeriale del 18/12/1975 indirizzato all’edilizia scolastica
Circolare del Ministero dei Lavori pubblici n◦ 13011 del 22/12/1974 indirizzata all’edilizia ospedaliera
A partire dal livello di illuminamento medio Ei desiderato in un ambiente è possibile,
conoscendo il fattore medio di luce diurna, determinare la frazione di tempo in cui la
luce diurna è in grado di garantire una illuminazione sufficiente dell’ambiente. Sono
212
4.
ILLUMINAZIONE DI INTERNI
16000
80%
illuminamento es terno (lx)
14000
70%
60%
85%
12000
90%
10000
8000
95%
6000
4000
2000
0
30
35
40
45
latitudine (° )
50
55
60
Fig. 4.2 – Percentuale di tempo fra le 9 e le 17 in cui si supera un determinato valore
di illuminamento esterno in funzione della latitudine del luogo (Diagramma di Dresler ).
infatti disponibili dei diagrammi che forniscono la percentuale di tempo in cui viene
superato un certo livello di illuminamento all’esterno Eo in un determinato periodo
del giorno (9 - 17 per la Fig. 4.2), in funzione della latitudine del luogo. Noti il valore
di illuminamento richiesto e il fattore medio di luce diurna del locale si ha:
Eo = Ei /F LDm
In corrispondenza del valore di Eo così determinato e della latitudine del luogo si
determina la frazione di tempo in cui non è richiesto l’ausilio dell’illuminazione
artificiale.
Ad esempio, per una località a 45◦ di latitudine, l’illuminamento esterno è superiore a
10.000 lx per l’80% del tempo compreso fra le 9 e le 17. Ciò significa che in un locale
avente F LDm = 0.02 per l’80% del tempo l’illuminamento sarà superiore a 200 lx.
213
BIBLIOGRAFIA
I testi di riferimento da consultare per l’approfondimento dei temi trattati nelle
varie parti di questo volume sono:
Barducci I., Collana di Fisica Tecnica, Edizioni Scientifiche Associate, Roma,
1982.
Boffa C., Gregorio P., Elementi di Fisica Tecnica, Levrotto e Bella, Torino,
1977.
Çengel Y.A., Termodinamica e trasmissione del calore, McGraw-Hill Libri
Italia, Milano, 1998.
Per ulteriori più specifici approfondimenti si indicano di seguito i seguenti
testi:
Parte I
– Abbott M.M., Van Ness H.C., Thermodynamics, McGraw-Hill Book
Company, New York, 1972.
– Calì M., Gregorio P., Termodinamica, Progetto Leonardo, Bologna,
1996.
– Cavallini A., Mattarolo L., Termodinamica Applicata, CLEUP, Padova,
1992.
– Zemansky M.W, Termodinamica per ingegneri, Zanichelli, Bologna,
1970.
Parte II
– Bonacina C., Cavallini A., Mattarolo L., Trasmissione del calore,
CLEUP, Padova, 1989.
215
– Guglielmini G., Pisoni C., Elementi di trasmissione del calore, Veschi,
Milano, 1990.
– Holman J.P., Heat Transfer, McGraw-Hill Book Company, New York,
1977.
– Mastrullo R., Mazzei P., Naso V., Vanoli R., Fondamenti di
trasmissione del calore, Vol. I, Liguori Editore, Napoli, 1982.
Parte III
– Cirillo E., Acustica applicata, McGraw-Hill Book Company Inc., 1997.
– Spagnolo R., Manuale di acustica applicata, UTET, Torino, 2001.
Parte IV
– Moncada Lo Giudice, G., de Lieto Vollaro, A., Illuminotecnica,
Masson Editoriale ESA, Milano 1996.
216