Liberarsi dal troppo amore

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Liberarsi dal troppo amore
Un libro perché
Perché i libri aiutano a capire. È stato un libro ad aprirmi
prospettive diverse, ad aiutarmi e a permettermi di aiutare altre
donne.
Vivevo un periodo incerto: soddisfatta nel lavoro, inquieta
negli affetti. Non sapevo definire bene i contorni di questo malessere. La lettura di Donne che amano troppo di Robin Norwood,1 il
suo sostenere che quando un amore fa solo soffrire non è amore, mi
hanno dato modo di pensare che forse il problema era lì: anch’io
amavo troppo.
Nel contempo, per il mio lavoro nei campi del counseling e
della formazione, riconoscevo lo stesso disagio in molte delle persone che seguivo. Incontravo donne, spesso professionalmente
realizzate, ma insicure in amore, alla continua ricerca di qualcuno
che desse loro riconoscimento e affetto. Persone capaci di arricchire
la loro vita da sole, ma poco in grado di riconoscerlo. Ho sentito
l’esigenza di studiare a fondo il problema, maturando una sensibilità personale e professionale più attenta rispetto al tema della
dipendenza affettiva.
I risultati erano incoraggianti, le persone stavano meglio. Ho
pensato di allargare le mie intuizioni, condividerle con altre donne,
continuare ad approfondire insieme.
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R. Norwood, Donne che amano troppo, Milano, Feltrinelli, 1989.
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Così nel 1995 ho dato vita al gruppo Amarsi per non amare
troppo. Un gruppo di aiuto reciproco, dove mettere in comune la
voglia di star bene e di non soffrire più per troppo amore, confrontandosi sulle paure ma anche sui desideri e la voglia di cambiare.
Da allora il gruppo è in cammino. Su questa esperienza —
anche a seguito della pubblicazione di alcuni articoli — ricevo
continue telefonate da ogni parte d’Italia, con richieste di informazioni, confronto, conforto. Aveva ragione la Norwood: le persone
che amano troppo, che affidano ad altri il compito di renderle
felici, sono veramente molte. Ma il gruppo aiuta, è una delle strade
per uscirne. Le donne che ne hanno fatto parte ora si vogliono più
bene e sanno amare meglio.
Sei anni e più di percorso rappresentano un’esperienza ricca
ed emozionante da condividere, perché altre donne acquisiscano la
certezza che si può arrivare a stare meglio, divengano sicure che si
può cambiare, non il rapporto o il proprio partner ma il proprio
modo di vivere una relazione o, semplicemente, di stare con se
stesse. Ed è per questo che ho pensato di raccoglierne, in queste
pagine, gli aspetti più significativi e coinvolgenti.
Nella parte prima vengono descritti la nascita del gruppo,
alcune serate in diretta per dare modo di vivere gli incontri anche
da lontano, spunti di riflessione su alcuni aspetti chiave delle
dipendenze affettive, testimonianze di donne che hanno vissuto
l’esperienza.
Nella parte seconda si forniscono suggerimenti operativi:
indicazioni su come far nascere un gruppo di questo tipo, proposte
per lavorare su di sé o di cui avvalersi in un gruppo di autoaiuto per
donne che amano troppo, indirizzi utili ai quali rivolgersi, libri che
possono dare una mano per affrontare i momenti più difficili o le
dipendenze più tenaci.
L’esperienza rimane aperta affinché possa venire arricchita da
commenti, indicazioni, proposte e nuove testimonianze. In questo
modo, raccogliendo e diffondendo notizie e indirizzi, sarà possibile
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creare una rete di supporto a cui, in ogni parte d’Italia, si potranno
rivolgere le persone che intendono liberarsi dalla dipendenza affettiva e partire da se stesse per cambiare.
L’impegno e l’apporto delle donne che hanno fatto parte o
che ancora fanno parte dei gruppi, il loro incoraggiamento e il loro
sostegno sono stati determinanti per dare un senso a questo mio
lavoro e renderlo vivo.
Dal bisogno di dipendere non ci si libera una volta per tutte.
La voglia di cercare ancora chi ci salvi, ci risolva la vita o si occupi
di noi può tornare. Insieme alle altre sarà più facile volersi più bene,
proteggere le proprie emozioni, riprendersi da eventuali ricadute,
prendersi davvero cura di sé e vivere gli affetti con maggior serenità.
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Troppo amore è troppo
El massa l’è parente del miga.
(Il troppo è parente del niente.)
Proverbio trentino
All’incontro sono presenti: Lia, Sara, Giuliana, Marilena, Bruna,
Federica, Valeria e Silvia.
Lia: Benvenute! Che freddo questa sera. Fatevi guardare. Capelli
tagliati, visi allegri, visi un po’ meno gioiosi… Io sto bene e
sono in un periodo in cui medito su un po’ di cose… E voi
come state? Chi vuole cominciare a dare colore a questa serata?
Sara: Inizio io, perché questa settimana non vedevo l’ora che
arrivasse il martedì. Avevo molta voglia di rivedervi per poter
parlare liberamente, per sentirmi accettata. Avverto mio marito come sempre più estraneo e giudicante nei miei confronti.
Ha deciso di andarsene ma è tuttora in casa. Io non so quanto
reggerò a vederlo ancora lì, mentre so che non c’è più con il
cuore. La sua decisione mi fa molto soffrire. È un periodo di
forte dolore, che mi prende fino in fondo. Ho freddo anche
dentro.
Giuliana: Mi unisco anch’io al periodo duro. Ecco, una arriva a
metà della sua vita e va sempre peggio. Che sollievo poterlo
dire. Prima di venire al gruppo non ero abituata a raccontare i
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miei problemi, ad ascoltare e dare un valore ai miei sentimenti.
Li ho sempre tenuti dentro, li sminuivo. Per superarli finivo per
credere che erano assurdi. C’erano in giro problemi ben più
seri! Non volevo dar fastidio. Ritenevo di non aver diritto di
chiedere a qualcuno di perdere tempo con me. Ma intanto
stavo male…
Marilena: Come te anch’io ho capito quanto faccia bene aprirsi e
parlare. Aiuta a vedere e a vedersi meglio. Quando sono approdata al gruppo, più o meno otto mesi fa, mi sentivo come un
naufrago che avesse smarrito il senso dell’orientamento e non
solo il battello su cui viaggiava. In quel periodo vivevo con
molta sofferenza: da circa un mese avevo deciso di andarmene
dalla mia bella e amata casa, perché avevo capito che non aveva
più senso vivere con mio marito. Lui mi aveva detto di non
amarmi più e di non essere più interessato a portare avanti la
vita che facevamo assieme. Un fulmine a ciel sereno! Disperata
ripetevo: «Non può essere… non può capitare proprio a me, a
noi… ma se andava tutto bene… Proviamo a capire perché…
proviamo a recuperare…». Per alcuni mesi ho aspettato, ma
nulla cambiava. Lui era sempre più lontano. Con grande dolore, e anche forse con l’illusione che il gesto clamoroso potesse
fare scattare qualche cosa in lui, ho deciso di andarmene. In
quel periodo buio un’amica mi ha parlato del gruppo. Ero
davvero a terra e ho pensato di provare.
Valeria: Anche a me, nella fase più cupa della mia storia, un’amica
ha parlato del gruppo. Sono davvero preziose queste donne,
vero?
Marilena: Preziose davvero! Ero dubbiosa. Io non sono facile ai
nuovi incontri. La prima impressione che ho avuto, arrivando
qui, è stata però subito positiva. Mi sono sentita accolta, mi
sono sentita rispettata per quello che ero veramente: io, una
persona e una persona che stava soffrendo per amore. Può
sembrare banale ma, invece, questo è stato molto importante.
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In quel periodo mi sentivo tutta sbagliata, in colpa, mi sembrava
di non valere niente, mi vergognavo e altro ancora. Quanto
dolore, quante notti insonni, quanti pianti solitari! Facevo fatica
ad accettarmi e mi sembrava che nemmeno gli altri mi accettassero: gli amici, i parenti, i conoscenti, i colleghi di lavoro, ti
sembra che tutti ti giudichino con frasi del tipo: «Se lui se n’è
trovata un’altra è colpa tua… Ma come, non sei riuscita a tenerti
il tuo uomo? Evidentemente non sei abbastanza brava, bella,
sexy, comprensiva…». Così tu non parli, ti tieni tutto dentro e
continui a vergognarti di te stessa. Al gruppo mi sono sentita
accettata, considerata e ho iniziato ad accettarmi e a sciogliere i
grumi di sofferenza che mi soffocavano.
Giuliana: La mia sofferenza invece mi sta ancora stringendo la
gola. Io non ho mai raccontato i miei problemi, non li ho mai
condivisi perché ho imparato a convincermi del fatto che non
c’erano. La consapevolezza mi è arrivata dalla lettura del libro
della Norwood. Così ho capito cosa mi sta succedendo: non
riesco a vincere la dipendenza relazionale, la mia vita è lui, non
faccio niente al di fuori di lui, è la mia ossessione. Da ormai più
di dieci anni vivo una relazione di assoluta dipendenza, logorata e straziante. Io lo cerco, lui a volte c’è, a volte si nega. Non ha
bisogno di me, io ho un bisogno estremo di lui. Questi miei
atteggiamenti di richiesta, di attesa che lui cambi, di attesa di
lui, mi fanno soffrire terribilmente. Non mi merito questa
sofferenza. Ne voglio uscire. Più lui sfugge, più cresce la mia
ossessione e più cerco l’aiuto di persone che mi impediscano di
andare a cercarlo. Se non lo sento o non lo trovo al telefono —
so che a volte non mi vuole rispondere — mi succede di
prendere la macchina, anche in piena notte, per vedere se è a
casa, se c’è qualcuno con lui…
Lia: Ci spiace molto che tu soffra così… Non ti preoccupare se ti
viene da piangere. Sappiamo quello che provi. Per uscire da
situazioni come la tua, protratte a lungo, che ci hanno indebo35
lite e fatto perdere di vista che si può voler bene in altro modo,
ci vuole tempo. Intanto, come ben osservi tu, va sottolineato
che quello che stai vivendo, che abbiamo vissuto in molte, non
è amore ma ossessione. Quando non si riesce a dare a noi stesse
un valore, lo chiediamo a viva forza agli altri. E chiamiamo
amore questa affannosa richiesta. Ci attira chi fugge e ci tratta
male perché, forse, continua a negarci il riconoscimento di cui
abbiamo un disperato bisogno. È una lotta tra lui e noi. Non
è certo amore.
Giuliana: Io so da dove viene questo strazio. So di aver ereditato
dalla mia famiglia l’idea che la vita è dolore, fatica, dovere,
rigore, rinuncia, accettazione di qualsiasi cosa. Mi chiedo quanto
andrò avanti con queste pesanti convinzioni. Vorrei mettere un
termine alla sofferenza. Non voglio continuare a vivere in
funzione di lui, che ormai è diventato un’illusione. Non voglio
passare la vita a controllare quella di un altro e a perdere la mia.
Bruna: Tutte capiamo quanto racconti… anch’io ho vissuto problemi simili ai tuoi. Mi sono sposata giovanissima, forse per
fuggire dalla mia famiglia, con un ragazzo del quale mi credevo
innamorata. Lasciavo che le cose accadessero senza intervenire,
mi facevo trasportare dagli eventi. Qualche anno dopo sono
arrivata alla separazione, voluta da mio marito perché io stavo
vivendo una storia con un uomo felicemente sposato e per
nulla disposto a cambiare. Ho poi lasciato anche lui per un
altro amore molto coinvolgente con una persona infelicemente sposata e con problemi di dipendenza dal gioco. In seguito
altre storie anche contemporanee. Bastava che un uomo fosse
gentile con me e tac, cadevo innamorata! Tre anni fa sono stata
colpita da una seria malattia e ho subìto ripetute operazioni.
Per me la sofferenza è stata un’occasione, l’occasione per cambiare dentro.
Lia: Come per Bruna anche per me e per molte delle donne con cui
sono in rapporto, il cammino verso l’incontro con me stessa si
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è molto accelerato in seguito a un momento di straziante
dolore. Fino a quel momento ero stata troppo presa a cercare
fuori di me accettazione e amore, a occuparmi di qualcun altro
che scappava — facendo soffrire chi mi voleva bene davvero —
perdendo di vista i miei sogni, i miei progetti e i miei veri
bisogni. Toccato il fondo del dolore, un istinto di sopravvivenza, una forza che non sapevo di avere, mi ha costretta a fermarmi e a riprendere in mano la mia vita, cambiando però obiettivi
e direzione. Ho scoperto una nuova relazione con me, una
libertà interiore nel constatare che c’è comunque una persona
sulla quale si può sempre contare e che non ti lascia mai sola: te
stessa.
Bruna: Anch’io ho avuto tempo e dolore a sufficienza per rivedere
la mia vita e le mie scelte. Ho iniziato a capire che il mio
bisogno di amore a tutti i costi — e che costi! — derivava
soprattutto dal non accettarmi, dal criticarmi in continuazione… Come ero non mi piacevo per niente e mi incolpavo di
tutto. Ogni volta che vedevo qualcuno scontento o nervoso,
pensavo fosse colpa mia: chissà cosa avevo fatto per farlo arrabbiare. La malattia mi ha fermata. Dopo un periodo di confusione, dolore, rabbia, ho incominciato a dare un peso diverso
alle cose. È iniziata una lenta schiarita, un’uscita graduale dalla
nebbia e dall’immobilità. Sono arrivata al gruppo e ho resistito
con gran fatica… volevo scappare, non ho parlato per mesi…
Ho cercato pure alcuni incontri con qualcuno che mi desse una
mano e ho rivisto la mia vita. Ho ripreso a studiare, ho cercato
un nuovo lavoro ma, soprattutto, adesso non ho più bisogno di
un fidanzato a tutti i costi. Questo è quello che mi fa sentire più
libera e, anche se sembra un controsenso, mi sento meno sola.
Valeria: Prima di iniziare a uscirne, io ho sperimentato una dipendenza relazionale non solo con lui, ma anche con i miei familiari, con le mie migliori amiche… avevo il terrore di rimanere
da sola, di non avere nessuno che pensasse a me. Mi sentivo
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come un cane randagio: pensare di rimanere per conto mio era
insopportabile, un’angoscia. Adesso mi considero in maniera
diversa e sono consapevole di valere, ma è ancora una conquista quotidiana, fatta di cadute e di riprese a salire…
Giuliana: Anch’io ho un bisogno assoluto di essere con qualcuno.
Con gli amici sono brillante e simpatica, perché gli altri stiano
con me. Più sono angosciata, più sembro serena, per non far
intuire la mia vita infelice. Qualsiasi cosa pur di non star da
sola. Che fatica quella necessità di dover piacere per sentirmi
accettata che, a differenza di te, io sento tuttora nei confronti
della gente…
Lia: Riuscire a essere brillanti in compagnia non è così scontato.
Perché non provi a considerarlo come un aspetto positivo di te?
Ho capito che un buon punto di partenza per volersi più bene
è anche quello di sottolineare dentro di noi i nostri aspetti
buoni. Non solo il bisogno e la dipendenza. Ho sperimentato
che tocca a noi cominciare a viverci in maniera diversa, a uscire
dai binari di quello che già sappiamo di noi, per poter sul serio
cambiare e perché anche il nostro modo di vivere cambi.
Giuliana: Vedi… se frequento persone normali e sane, non riesco
a sentire niente, ci sto provando, ma non riesco a non pensare
a lui. È come se fossi bloccata. Non sto bene con niente e con
nessuno, ancora.
Lia: È bello che tu riesca a dire ancora… Vuol dire che ti stai dando
delle possibilità, che intuisci di avere delle opportunità per
rapportarti in maniera diversa.
Marilena: Sai, Giuliana, sto pensando che, per alcuni aspetti, il
mio percorso è simile al tuo. Entrare in contatto con me stessa
è stata una conquista tuttora in evoluzione. Ho passato periodi
neri, toccato abissi di sofferenza e di rifiuto prima di rendermi
conto che mi dovevo del rispetto e dell’amore, anche se nessun
altro me lo dava. E a chiedermi perché ero così, perché avevo
ancora, nonostante tutto, così bisogno di lui.
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Proposte operative
Accanto agli Spazi per sé, le pagine bianche che seguono ogni
serata e che possono restare tali, o riempirsi di personali osservazioni, commenti, idee e libere riflessioni, in questa parte del libro ci
sono delle proposte operative più strutturate, un’occasione di approfondimento personale, un modo per riprendere in mano la
propria vita lavorando su di sé.
Se utilizzate in un gruppo di auto/mutuo aiuto, queste schede
possono stimolare le riflessioni più diverse. Normalmente è il
dialogo che caratterizza le riunioni. Ma, a volte, può essere utile
indirizzare l’attenzione verso aspetti specifici, anche attraverso stimoli così strutturati che faranno nascere spunti su cui ognuna
potrà riflettere, come pure riparlarne in gruppo in successive serate.
Le prime schede contengono indicazioni per conoscersi meglio e vedersi da vari punti di vista. In un gruppo sono utili
soprattutto in occasione degli incontri iniziali, poiché agevolano
l’integrazione reciproca e la creazione di un ambiente caldo e
collaborativo.
Altre schede rinforzano la motivazione e stimolano il percorso nei momenti in cui è più difficile procedere, per paura, stanchezza, sfiducia in sé o altro ancora.
Si tratta solo di indicazioni di base, da cui occorre trarre delle
idee e che devono essere reinventate a seconda delle situazioni in
cui vengono utilizzate.
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Approfondire i bisogni personali, oppure cogliere il clima del
gruppo e semmai modificare la proposta, sarà pertanto compito di
chi intende partire da queste indicazioni per allenarsi a conoscersi
meglio, o per pianificare momenti di lavoro strutturato per sé e per
le altre. Basta tenere sempre presente che ciò che in una situazione
è efficace, può non esserlo in un’altra.
La mia esperienza nei colloqui individuali e nella conduzione
di gruppi mi fa ritenere fondamentale ricordare che ogni persona
— e così ogni gruppo — è davvero unica, il punto è: riuscire a dare
valore alle differenze.
Il mio poster
Perché
L’obiettivo è quello di presentarsi, senza usare parole ma
attraverso fotografie, disegni o simili, tratti da giornali vari.
L’uso di un linguaggio non consueto, qual è quello delle
immagini, permette infatti di esprimersi in maniera diversa e di
liberare emozioni per le quali, a volte, le parole non sono sufficienti.
Prendersi del tempo per considerarsi in modo nuovo è un
primo passo per aprirsi agli altri e permettersi di cambiare. Nei
gruppi, lavorare in questa maniera crea un clima di complicità e
collaborazione reciproca, accelerando i tempi di costruzione del
gruppo stesso.
Come
In un primo momento (dai 30 ai 45 minuti) vanno scelte e
ritagliate da vari giornali le immagini che sembrano significative
per parlare di sé. Fatta la raccolta, occorre selezionare le immagini
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e creare il proprio «ritratto-poster», incollando a piacere le foto
scelte su di un cartellone.
Se il lavoro si fa da sole, è necessario osservare il poster creato
e analizzare le sensazioni che si percepiscono. Occorre mettere poi
via il cartellone e riprenderlo in mano dopo qualche giorno. Quali
emozioni si provano a rivederlo? Ci si riconosce? I sentimenti sono
cambiati? Semmai bisogna confrontarsi su quanto realizzato con
qualcuno di cui ci si fida.
Se il lavoro viene fatto in gruppo, i vari cartelloni vanno
appesi ed esaminati da tutte le donne presenti. Senza sapere chi
siano le autrici dei vari poster, si darà spazio a considerazioni e
impressioni su ogni manifesto.
Finito il giro, chi ha creato il proprio ritratto dovrà presentarlo
alle altre e condividere le emozioni provate nell’ascoltare i diversi
commenti.
Materiali
Cartelloni (ma vanno bene anche dei fogli grandi di carta da
pacco), colla, forbici, numerosi vecchi giornali. Buone miniere da
cui attingere per questo lavoro risultano le riviste femminili, ma si
possono usare anche altri settimanali o quotidiani.
In più…
Il collage con i ritagli può essere usato per sviluppare molti
temi: il racconto dei desideri personali, delle paure, le previsioni sul
domani, la descrizione del proprio lavoro, ecc.
Ho sperimentato nel gruppo la riproposta del ritratto di sé,
dopo qualche tempo. I risultati sono stati molto interessanti. Il
confronto con il collage realizzato qualche mese addietro ha permesso di verificare i propri cambiamenti e di constatare che si è in
continua evoluzione. L’autostima ne è uscita rinforzata.
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I condizionamenti?
Arrivano da lontano…
Perché
Riservare una serata per individuare alcune frasi ripetute,
diventate condizionamenti che hanno segnato la nostra crescita,
significa conferire alle partecipanti la possibilità di respingere/
riconoscere questi vincoli che creano spesso il rifiuto di alcuni
aspetti di sé.
La mancata accettazione di se stesse conduce a una sottovalutazione delle proprie capacità e a una sopravvalutazione di quelle
degli altri.
Rendersi conto dei propri condizionamenti, confrontarsi con
quelli delle altre del gruppo, sorriderne assieme, significa esorcizzarli, esserne meno in balìa, capire meglio alcuni momenti di
malessere e iniziare a chiudere ferite ancora aperte.
Come
Si invitano le donne a prendersi il tempo di rievocare e
scrivere alcune frasi che i genitori, o altre figure guida, ripetevano,
limitandole o attribuendo loro caratteristiche e modi di essere che
le etichettavano.
Dopo 15/20 minuti circa si confrontano in gruppo le frasi
condizionanti, leggendole o appendendole al muro e osservandole.
Ascoltare le emozioni che emergono diventa naturale.
Materiali
Servono dei fogli di carta e delle penne. Se si intendono poi
confrontare i vari fogli scritti, appendendoli al muro è meglio usare
dei pennarelli un po’ grandi per scrivere.
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In più…
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–
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–
Alcune frasi raccolte nel gruppo:
Hai fatto solo il tuo dovere.
Sei così disordinata!
L’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re.
Queste non sono cose che fa una ragazza per bene.
Soffri, la vita è fatica.
Stai buona… sembri proprio un maschiaccio.
Ah… se tu fossi brava come tua sorella!
Non lamentarti ora. Da grandi è peggio.
Cerca di essere più simpatica… con quel carattere resterai sola!
Non provarci nemmeno, tanto non ce la fai.
Ma non rifletti mai prima di parlare?
Le vere donne? Pazienza, pazienza… prima il marito e i figli.
Una brava bambina non risponde così…
Ogni volta che si obbediva si ricevevano amore e approvazione come ricompensa. Forse li stiamo ancora cercando negli altri.
Ma ora siamo grandi e possiamo volerci bene da sole e scegliere l’accettazione rispetto alla critica.
Piccoli segreti
per piacersi davvero
Perché
Per dare energia a una serata un po’ giù di tono, per colorare
un momento un po’ buio, perché non confrontarsi sulle strategie
segrete da cui ognuna attinge per tirarsi su? Anche nei periodi neri
c’è una parte di noi che ha voglia di sorridere. Cerchiamola. Ad
esempio, ci si può sostenere ripetendosi: «Solo da me dipende
vedere le cose in modo diverso, trovare in me uno spazio sereno».
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