Diritti umani, libertà democratiche e repressione in Venezuela
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Diritti umani, libertà democratiche e repressione in Venezuela
Diritti umani, libertà democratiche e repressione in Venezuela Dossier a cura di Domenico Letizia e Giuseppe Maria Ferraro membri delle Organizzazioni per la tutela dei diritti umani “Nessuno tocchi Caino” e “Lega Italiana per i diritti dell’uomo”. Per contatti: [email protected] Il Comune di Santa Maria a Vico si caratterizza per una vicinanza sociale e antropologica con lo stato latinoamericano del Venezuela. Storicamente, siamo a conoscenza di una parte della cittadinanza del suddetto comune residente nel Venezuela e contemporaneamente nel Comune di Santa Maria a Vico ritroviamo la presenza di alcune famiglie di origine venezuelana. Le istituzioni comunali stanno tentando di allacciare, giustamente, un rapporto sempre più fecondo con gli apparati politici e culturali dello stato Sudamericano. Sabato 4 giugno 2016, l’ambasciatore del Venezuela Isaias Rodriguez è stato ospite del Sindaco e delle istituzioni comunali. Rimembrando che ogni istituzione è libera di allacciare rapporti con altre comunità a cui si è legati per ragioni storico politiche e confidando nella forza del dialogo per affermare i valori della democrazia riteniamo fondamentale ribadire il “il diritto alla conoscenza” su ciò che sta avvenendo in Venezuela e le gravose colpe del regime venezuelano. Quest’anno, tra debito sovrano e quasi-sovrano, quest’ultimo riconducibile alla compagnia petrolifera nazionale PDVSA, il Venezuela dovrà pagare circa 6 miliardi di dollari. Il motivo per il quale il regime ha deciso di restare solvibile ad ogni costo sul debito in valuta detenuto da non residenti è da ricercare nel fatto che il paese non vuole vedersi sequestrare impianti petroliferi ed altri investimenti effettuati all’estero, ma la situazione è chiaramente insostenibile. Con un deficit pubblico stimato al 17% del Pil ed una monetizzazione furiosa che ha prodotto un’iperinflazione attesa quest’anno al 1.600%, il paese è ormai perso. Saccheggi e disordini sono ormai parte del paesaggio. Nel frattempo, sempre per “risparmiare” dollari, il regime punta a finire l’opera di distruzione della domanda interna e quindi a schiacciare senza pietà le importazioni. I numeri fanno spavento, non meno delle motivazioni usate dal regime. Nel 2015 le importazioni del Venezuela sono state pari a 37 miliardi di dollari. Il governo pianifica di abbatterle a 20 miliardi quest’anno, più per mancanza di valuta che per azione deliberata, dopo tutto. Ma è una contrazione equivalente ad un evento bellico, ed oltre. Distruggere la domanda interna per “forzare il settore produttivo ad aumentare la produzione”, in un paese privo da tempo immemore di una propria industria manifatturiera sarebbe anche esilarante, come battuta, se non ci fosse di mezzo la vita di milioni di persone. Dopo di che, le imprese smetteranno di produrre per mancanza di importazioni, verranno sequestrate dal regime, forse qualche imprenditore diverrà il capro espiatorio ed il martire per le masse affamate e disperate. Il regime venezuelano appare sempre più simile a quello di Nicolae Ceausescu, che ridusse alla fame un intero popolo per poter ripagare il debito estero, a mezzo di distruzione della domanda interna1. 1 http://intermarketandmore.finanza.com/crisi-venezuela-il-paese-ormai-ha-i-giorni-contati-76991.html Considerevoli preoccupazioni sulla violazione dei diritti umani è stata espressa dal governo spagnolo. Nel corso del mese di maggio 2016, dopo una riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale sulla crisi in Venezuela presieduta dal premier Mariano Rajoy, il governo spagnolo ha denunciato “una situazione di violazione dei diritti umani e di mancanza di democrazia” nel paese latinoamericano. Fra Caracas e Madrid i rapporti sono gelidi da settimane. Il presidente Nicolás Maduro ha più volte attaccato Rajoy e denunciato ingerenze di politici e stampa di Madrid nella politica interna venezuelana. Recentemente Maduro ha dato del “codardo” a Rajoy, sfidandolo a “venire in Venezuela” per misurarsi con lui in un dibattito pubblico. Davanti al degrado crescente della situazione a Caracas la Spagna esprime preoccupazione non solo per le tensioni politiche e la detenzione di diversi oppositori al regime bolivariano, ma anche per i 200mila spagnoli che vivono in Venezuela. In una conferenza stampa la vicepremier Soraya de Santamaria ha detto che “i costanti attacchi del governo venezuelano delineano una situazione di violazione dei diritti umani, di mancanza di democrazia, creando un problema di penuria in un paese ricco come il Venezuela”2. Il rapporto di Amnesty International sui diritti umani nel mondo evidenzia per il 2016 che sia il presidente Maduro sia il presidente dell’assemblea nazionale, insieme ad altri, hanno accusato pubblicamente alla televisione nazionale alcuni difensori dei diritti umani di danneggiare la reputazione del paese e il governo. In seguito a queste dichiarazioni, diversi difensori dei diritti umani sono stati al centro di episodi di vessazione. In uno di questi, occorso a marzo scorso, Marco Antonio Ponce dell’Osservatorio venezuelano sulla conflittualità sociale e altri 11 difensori dei diritti umani, sono stati pedinati, fotografati e filmati all’aeroporto di Caracas da uomini non identificati, al loro rientro dopo un’audizione davanti alla Commissione interamericana dei diritti umani, in cui avevano esposto i loro motivi di preoccupazione. Ad aprile dello scorso anno, Carlos Lusverti, difensore dei diritti umani e docente del Centro diritti umani dell’università cattolica Andrés Bello, è stato ferito con colpi d’arma da fuoco per la seconda volta in 15 mesi, in un apparente tentativo di rapina. A ottobre 2015, Marino Alvarado Betancourt, del Programma venezuelano per l’istruzione e l’azione sui diritti umani, è stato aggredito mentre era in casa assieme al figlio di nove anni e rapinato da tre uomini armati. Ad aprile scorso, Víctor Martínez, attivista impegnato in campagne contro la corruzione e le violazioni dei diritti umani compiute dalla polizia dello stato di Lara, è stato minacciato da due uomini armati davanti alla sua abitazione a Barquisimeto, nello stato di Lara. La minaccia è parsa collegata alle critiche che l’attivista aveva rivolto alla 2 https://voce.com.ve/2016/05/28/173681/il-governo-di-madrid-denuncia-violazioni-dei-diritti-umani-in-venezuela/ polizia; all’epoca dell’aggressione si trovava sotto la protezione della polizia, una misura della quale si era lamentato perché sporadica. Tre anni fa, il 5 marzo 2013, moriva il presidente del Venezuela, Hugo Chávez Frias. O meglio ne veniva annunciata la scomparsa, che sarebbe avvenuta quel pomeriggio in un ospedale di Caracas, al ritorno dall’ennesimo viaggio a Cuba per curare un tumore assai aggressivo. Sugli ultimi giorni di Chávez si sono fatte molte illazioni. Basti dire che, fino a poche ore prima, secondo le notizie ufficiali il leader si stava riprendendo bene da una operazione, mentre le uniche notizie vere sulla gravità delle sue condizioni erano pubblicate in blog dell’opposizione. Cosa è rimasto a tre anni di distanza del chavismo, o rivoluzione bolivariana, o ancora del «socialismo del XXI secolo» che il suo fondatore sosteneva di aver creato per unificare l’America Latina, come un nuovo Simon Bolivar? Il bilancio del dopo Chávez è pessimo, da ogni punto di vista. E la sua controversa creatura politica potrebbe essere prossima alla fine. Per approfittare della commozione popolare, le elezioni per il successore di Chávez vennero indette in fretta e furia, e si svolsero 40 giorni dopo la sua scomparsa. Nicolás Maduro, il delfino prescelto dal Comandante morente, le vinse nell’aprile 2013 ma con un margine assai ridotto sull’oppositore Henrique Capriles e tra polemiche su possibili brogli. Era soltanto la promessa di quello che sarebbe successo. Maduro non si è mai nemmeno avvicinato alla popolarità di Chávez, ha mostrato enormi limiti come leader e a poco è servito citare il defunto centinaia di volte al giorno per accreditarsi (una volta arrivò a sostenere che gli era apparso nelle sembianze di un passerotto). Per i prossimi giorni il regime ha previsto una serie di manifestazioni per ricordare quella che chiamano la «siembra», la semina del Comandante. Nei tre anni del governo Maduro la situazione economica non ha fatto che peggiorare. Lo scorso anno, con una caduta del Pil stimata attorno al 9 per cento, il Venezuela ha conquistato la maglia nera mondiale. L’inflazione sfiora il 200 per cento all’anno, mentre il valore del bolivar, la moneta locale, si è polverizzato sul dollaro. Dagli scaffali sono spariti numerosi prodotti di prima necessità, mancano medicine, nel Paese è esploso il mercato nero. Il crollo del prezzo del petrolio, l’unica vera fonte di reddito del governo, fa la sua parte. Ma le disfunzioni dell’economia vengono da lontano, e possono essere imputate alle scelte radicali e populiste di Chávez: l’attacco all’imprenditoria privata, il controllo dei prezzi, l’eccesso di spesa pubblica, l’esplosione della corruzione. Nel frattempo non smette di crescere la violenza. Sempre in termini negativi, Caracas ha conquistato nel 2015 il primato di città più pericolosa del mondo. Sotto Maduro c’è stato anche un salto di qualità, in negativo ovviamente, sulla libertà di espressione. Nel 2014 un’ondata di manifestazioni contro il governo ha percorso per mesi il Venezuela, con centinaia di episodi di violenza urbana. Del saldo in termini di vite umane, una quarantina di morti negli scontri, sono stati accusati alcuni importanti leader dell’opposizione. Da due anni è in un carcere militare Leopoldo Lopez, assai popolare a Caracas, arrestato e poi condannato per istigazione alla violenza. Ai domiciliari è l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma, con accuse simili. Secondo l’opposizione, ci sarebbero alcune decine di prigionieri politici in Venezuela. Il governo ha finora respinto tutti gli appelli arrivati da organizzazioni per i diritti umani e politici stranieri. Il simbolo della resistenza è la moglie di Lopez, l’italo-venezuelana Lilian Tintori. Nel frattempo la quasi totalità dei media è finita nelle mani del governo. A dicembre 2015 l’opposizione ha inflitto al chavismo la sua prima vera sconfitta in 16 anni, conquistando una forte maggioranza di seggi al Congresso, i due terzi. E’ attraverso questo organo, l’Assemblea nazionale, che l’antichavismo sta cercando una strada per far cadere Nicolás Maduro che altrimenti governerà fino al 2019. Verrà approvato un emendamento alla Costituzione per ridurre il mandato presidenziale (oggi sei anni) e allo stesso tempo si raccoglieranno le firme per indire un referendum con lo stesso obiettivo. La popolarità di Maduro resta molto bassa, anche se il governo spera di risalire la china con un pacchetto aggressivo di misure economiche. L’appello alla memoria del Comandante eterno, come viene chiamato Chávez, anche dimenticandosi le sue responsabilità, non basta più3. In un rapporto pubblicato nel 2014 dalla prestigiosa Ong “Human Rights Watch”, sulla repressione delle manifestazioni degli oppositori da parte del potere chavista, in Venezuela, si denunciano violenze e torture. Le forze di sicurezza venezuelane hanno usato illegittimamente la forza per rispondere alle dimostrazioni antigovernative delle scorse settimane, picchiando gravemente i manifestanti disarmati e sparando a bruciapelo. Le forze di sicurezza del paese hanno inoltre sottoposto i detenuti ad abusi fisici e psicologici gravi, compresa, in alcuni casi, la tortura. Il rapporto di 103 pagine, intitolato “Puniti per aver protestato”, documenta 45 casi che hanno coinvolto più di 150 persone, nei quali le forze di sicurezza hanno abusato dei diritti dei manifestanti e hanno anche permesso a bande armate filo-governative di attaccare i civili disarmati, in alcuni casi collaborando apertamente con le bande. Human Rights Watch ha effettuato 3 http://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/03/05/venezuela-sull-orlo-caos-tre-anni-l-addio-chavez-crisi-acuisce-scontro-p olitico-ef9294bc-e2d5-11e5-a080-fdf627ee5982.shtml un’indagine conoscitiva in Venezuela nel mese di marzo, visitando Caracas e gli stati di Carabobo, Lara e Miranda, e conducendo decine di interviste con le vittime di abusi, le loro famiglie, i testimoni, medici, giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani. Nel corso dell’indagine sono state anche raccolte ampie prove materiali, tra cui fotografie, filmati, referti medici, decisioni giudiziarie e rapporti governativi. L’Ong rileva che “non c’è dubbio che alcuni manifestanti hanno usato violenza, anche lanciando pietre e bottiglie molotov contro le forze di sicurezza”. Tuttavia “le forze di sicurezza venezuelane hanno ripetutamente usato la forza contro persone disarmate e non violente”. Inoltre “la natura e la tempistica di molti degli abusi suggerisce che il loro scopo non era quello di far rispettare la legge o disperdere le proteste, ma piuttosto di punire le persone per le loro opinioni politiche”. Il Venezuela, ricorda Human Rights Watch, “dovrebbe porre fine a tutte le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza nel contesto di proteste e assicurare indagini rapide, approfondite e imparziali sugli abusi che si sono verificati, portando i responsabili davanti alla giustizia”. Il governo venezuelano dovrebbe poi “accettare le richieste in sospeso di visitare il paese” da parte degli osservatori delle Nazioni Unite, mentre l’Assemblea Nazionale del paese dovrebbe “ripristinare la credibilità e l’indipendenza della magistratura”. Immense preoccupazioni esprimiamo anche per il trattamento riservato ai principali esponenti dell’opposizione politica. Nel febbraio 2015 una ventina di agenti dei servizi segreti (Sebin) sono entrati nella sede del Municipio di Caracas per portarsi via il sindaco Antonio Ledezma. Gli 007 non si sono fatti molti scrupoli: hanno forzato l’ingresso, bloccate tutte le uscite e poi sono saliti nell’ufficio del primo cittadino, lo hanno bastonato, messo le manette e poi un cappuccio in testa. Quindi, tra lo stupore e la paura degli altri impiegati che si erano affacciati alle finestre per capire cosa stessa accadendo e una folla di passanti che si era radunata sotto la sede del Comune, lo hanno caricato su un’auto e trasferito in una delle caserme dell’intelligence. Il presidente venezuelano ha subito giustificato l’irruzione e l’arresto tuonando ancora una volta contro i tentativi di golpe che, a suo parere, vengono portati avanti da vari esponenti dell'opposizione con “il chiaro contributo degli Stati Uniti che coordina una serie di azioni secondo un’asse formato da Madrid, Bogotà e Miami”. Una vera ossessione a cui la Casa Bianca ha risposto definendo “false e senza fondamento” le accuse di Maduro. “Stigmatizziamo l’atteggiamento del governo venezuelano”, si legge nella nota del governo statunitense, “che continua a incolpare gli Usa e altri membri della comunità internazionale per quello che accade all'interno del Venezuela”. Il sindaco di Caracas è stato l’autore, insieme alla deputata Maria Corina Machado e Leopoldo López, tutti esponenti dell’opposizione, di un manifesto pubblicato su una pagina de El Nacional. Proponeva un accordo nazionale di transizione: l’epilogo politico della serie di rivolte che scandirono i primi sei mesi del 2014, quando mezzo Venezuela fu sconvolto da sommosse, scontri, barricate e piccoli attentati organizzati da un'opposizione frammentata su posizioni diverse. Questo è bastato al sindaco di Caracas per essere definito “il vampiro”. Attualmente Ledezma si trova ancora agli arresti. La preoccupazione internazionale guarda con attenzione le vicissitudini del paese. Vi è un enorme differenza tra Maduro e l’opposizione che, di fatto, è maggioranza. Quest’ultima rispetta la legalità e ha approvato una legge di Amnistia per liberare tutti i prigionieri politici, incarcerati senza un motivo. Tra cui, Leopoldo Lòpez, ex sindaco di Chacao in regime di detenzione da oltre due anni. Si parla anche di atti intimidatori, torture fisiche e psicologiche su giovani manifestanti arrestati. La risposta di Maduro è stata quella di radicalizzare ulteriormente il suo regime, impassibile di fronte alla miseria e alla disperazione dei venezuelani, mettendo l’opposizione nel difficile ruolo di cuscino tra popolo e regime, regolarmente provocata dal governo affinché la lotta si trasformi in uno scontro cruento. Il Venezuela ha bisogno di aiuto internazionale, dell’interessamento di tutti i paesi del mondo, lasciando da parte populismo e colori politici, in questo momento è la popolazione, a farne le spese. I poteri sono tutti accentrati nel Regime, gestiti direttamente da Maduro che, per giunta, si è completamente disinteressato alla necessità dei cittadini. Tali considerazioni ci inducono a sollecitare per rafforzare il dialogo tra le istituzioni di Santa Maria a Vico e l’Ambasciata del Venezuela a Roma, affinché si possa chiedere con sempre più insistenza il rispetto dei diritti umani nel paese latinoamericano e contemporaneamente intraprendere progetti e iniziative volte ad un’azione di monitoraggio, tutela e diffusione dei diritti fondamentali riconosciuti dalle convenzioni internazionali dei cittadini venezuelani.