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psicologia
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Letizia Ciancio
ESSERE PADRE. ESSERE MADRE
Storia di un’avventura
ARMANDO
EDITORE
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CIANCIO, letizia
Essere padre. Essere madre. storia di un’avventura ;
pref. di maurizio Quilici
roma : armando, © 2015
144 p. ; 20 cm. (psicologia)
isBN: 978-88-6992-001-1
1. antropologia maschile e femminile
2. ruolo del padre e della madre
3. aspetti intrapsichici della genitorialità
cdd 150
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Una vita senza ricerca
non è degna per l’uomo
di essere vissuta.
(plaToNE, Apologia di Socrate)
A ogni padre e ogni madre
a mio marito
ai miei figli
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Sommario
Prefazione di Maurizio Quilici
Introduzione
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Capitolo Primo: Aspetti antropologici e archetipici
del femminile e del maschile
1.1 Il culto della Grande Dea e le origini matriarcali
della cultura europea
1.2 Dal matriarcato al patriarcato: prime divinità maschili
e trasformazione del pantheon
1.3 L’avvento del Cristianesimo: Vergine Madre e
Dio Padre Onnipotente
1.4 Dai miti alle favole, gli archetipi dell’inconscio collettivo
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Capitolo Secondo: I ruoli paterno e materno nella storia
2.1 Aspetti generali
2.2 Le trasformazioni dall’antichità al Medioevo
2.3 Gli sviluppi culturali tra Rinascimento e Illuminismo
2.4 L’Ottocento e la modernità
2.5 Il postmoderno e l’assolutizzazione dell’istante
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Capitolo Terzo: Aspetti intrapsichici della paternità
e della maternità
3.1 Padre e madre interiorizzati: Freud e gli eredi
della psicoanalisi
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3.2 oltre la diade: triangolo primario e famiglia
3.3 da donna a madre, da uomo a padre:
cogenitorialità e dinamiche identitarie
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Riflessioni conclusive
il re degli scacchi: cambiare le regole per cambiare gioco
danzare la complessità: il tempo del cambiamento
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Bibliografia
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Fonti Web
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Dapprima eran tre i generi degli uomini, non due come sono ora (…)
essendocene in più un terzo, che accomunava in sé entrambi i
precedenti, (…) l’androgino, unico e composto del maschile e del
femminile (…). La figura di ogni uomo era tutta rotonda (…), quattro
mani e lo stesso numero di gambe (…) e con una sola testa per entrambi
i visi rivolti in senso contrario (…).
Il maschile aveva avuto origine dal sole, il femminile dalla terra e il
terzo, partecipe d’ambedue i precedenti, dalla luna, dato che anche la
luna partecipa del sole e della terra (…).
Erano terribili per forza e vigoria (…) sì da assalire gli dei (…). Zeus
e gli altri numi tenevano consiglio su quel che loro convenisse fare [per
non] lasciarli così insolentire (…). “[affinché] cessino dalla loro
oltracotanza, li spaccherò ciascuno in due (…).”
Da così lungo tempo, quindi, è innato negli uomini l’amore reciproco,
che riconduce verso l’antico stato, tendendo a fare di due esseri, uno
solo, e a ricostruir sana l’umana natura (…) ed è dunque la tendenza e
la corsa verso la totalità che ha nome Amore.
plaToNE, Simposio, 189d-191d
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Prefazione
la “rivoluzione paterna” in italia ebbe inizio alla fine degli anni sessanta del Novecento, con la contestazione giovanile che sull’onda del
maggio francese arrivò anche nelle nostre università. abbattere l’autorità era la parola d’ordine di quel movimento, e quale figura meglio del
padre poteva impersonificare l’autorità e il potere che per secoli, nel
bene e nel male, avevano caratterizzato una rete di rapporti sociali e familiari rigorosamente verticale?
diciamolo subito: di vera rivoluzione si tratta, con buona pace di
quanti negano la trasformazione, sostenendo che non è cambiato il padre,
bensì la percezione del padre. in altre parole, stando ad alcuni studiosi,
ci saremmo “immaginati” una trasformazione che non è nei fatti, ci saremmo innamorati di una figura che percepiamo in modo diverso ma
che diversa non è. insomma, una sorta di proiezione, la concretizzazione
di un desiderio. confutare questa impostazione mi porterebbe lontano
dall’assunto di questa prefazione. E tutto sommato non credo neppure
che ne valga la pena. la trasformazione – profonda ancorché incerta e
contraddittoria – è sotto gli occhi di tutti, soprattutto di quanti, per età,
sono in grado di confrontare il “prima” e il “dopo”. accade, infatti, che
a molti giovani la paternità odierna appaia scontata, “naturale”. così una
giovane avvocatessa – meno di 30 anni certamente – alla mia osservazione che in molte regioni italiane più del 90% dei futuri padri assiste al
parto rispose piccata che questo “non significa nulla”, tacciando di banalità un comportamento dalle evidenti implicazioni e assolutamente rivoluzionario se paragonato ai costumi di 50 anni fa.
dunque, gli anni della contestazione segnarono un passaggio cruciale; furono infatti il punto di svolta di un lungo processo di trasfor11
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mazione che aveva avuto inizio nel settecento, secolo non solo della
rivoluzione politica e sociale per eccellenza, ma anche di quella industriale, che – come è stato detto da claudio risé – segnò una «rottura
antropologica tra l’uomo e la cultura maschile precedente». Fu in quegli anni che per la prima volta certi caratteri che dagli albori dell’umanità avevano caratterizzato il padre – potere estremo, autorità indiscussa,
distacco emotivo – cominciarono a vacillare. E montesquieu poté dire:
«oggi tutto è abolito, perfino l’autorità paterna». Non solo, egli scriverà anche una frase davvero rivoluzionaria: «Ho vissuto con i miei
figli come con degli amici».
altri due momenti, prima degli anni della contestazione giovanile,
segnano il lungo percorso che dal pater familias romano ci ha portati –
con qualche inevitabile eccesso – al “mammo” di oggi: i due conflitti
mondiali, che per la prima volta spinsero fuori dalle famiglie milioni di
uomini: i figli, perché, come scrive pasolini, «i padri vogliono far morire i figli (per questo li mandano in guerra)»; ma anche i padri, che
nelle due guerre, quando non persero la vita, persero la comprensione
con i figli e ritrovarono la famiglia con un senso frequente di estraniazione (come non ricordare il grande Eduardo di Napoli milionaria, al
quale bastano pochi anni di guerra – un’eternità – per sentirsi dire dal
figlio: “papà, vuie cierti cose nun ‘e capite… site ‘e n’ata època”)?
E oggi? oggi la figura del padre, che a molti appare “evanescente”,
“svaporata”, “fragile”, è in cerca di una nuova identità. Ha perso molto
in termini di paternità normativa, ha molto guadagnato come paternità
affettiva. in famiglia la sua posizione, il suo “peso”, il suo significato
psicologico per l’evoluzione dei figli lascia molto a desiderare nella
considerazione comune ed è spesso soggetto ad attacchi che ne sviliscono l’importanza, a dispetto di un’estesa ricerca scientifica che lo ha
ampiamente rivalutato. a metterlo all’angolo ci ha pensato una lunga
tradizione, specialmente anglosassone, di psicologi attorno alla metà
del secolo scorso.
a pensarci bene, era inevitabile che fosse così: il padre – secondo
quanto richiesto dallo stereotipo dominante (ed anche funzionale a
quella società) – non aveva proprio nulla di attraente per un giovane
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psicologo che volesse approfondire certi aspetti della evoluzione infantile. infatti, non era lui a occuparsi dei figli piccoli, a stabilire con i
suoi bambini rapporti di empatia, comunicazione, accudimento, quotidianità. l’evoluzione infantile non poteva che apparire indissolubilmente legata alla figura materna, come indissolubilmente legato al
corpo di lei era stato per nove mesi quel feto.
come ha osservato con particolare insistenza rudolph shaffer, gli
sforzi scientifici volti alla comprensione dello sviluppo dei bambini subiscono innumerevoli influenze. E lo psicologo «è, in fondo, parte di
una particolare cultura, educato ad accogliere certi valori e ad ancorarsi
a certi sistemi di credenze che influenzeranno ogni segmento di attività
sia professionale sia privata». così la Teoria dell’attaccamento di Bowlby
non poteva che richiamarsi alla madre, gli esperimenti sulle scimmiette
rhesus di Harlow giocavano sulla madre “di stoffa” e su quella “di
ferro”, spitz, nello studiare bambini ospedalizzati, non aveva che da
prendere in esame la carenza della figura materna, Winnicott poteva al
massimo assegnare al padre funzioni “indirette”: «proteggere la madre
e il bambino da tutto ciò che tende a interferire con il legame che esiste
tra di loro».
studi, teorie, ricerche che certamente hanno dato molto alla psicologia dello sviluppo ma hanno anche contribuito a distorcere la prospettiva, focalizzando l’attenzione su uno solo dei genitori, trascurando
abbondantemente l’altro. Nei decenni a venire, quando la “mistica della
femminilità” (Friedan), la “mistica della maternità” (gianini Belotti) e
il “pensiero centrato sulla madre” (lamb) avrebbero perso il loro vigore indiscusso e soprattutto quando il padre avrebbe preteso un ruolo
diverso nei confronti dei figli, allora sarebbero stati in molti a rilevare
la unilateralità dell’approccio della scuola anglosassone e di Bowlby in
particolare. come luigia camaioni, la cui prematura scomparsa ancora
mi angustia, e anna oliverio Ferraris.
molte cose sono cambiate nel mondo del padre e molte ancora devono cambiare. Questi ultimi cinquant’anni hanno portato con sé una
trasformazione epocale. i padri hanno abbandonato un passato recente
fatto di amore, ma anche di distacco, di autorità, di lontananza. per sco13
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prire l’empatia, la dolcezza, la libertà di espressione nel linguaggio dei
sentimenti e delle emozioni, il gioco, la fisicità, la vicinanza… Hanno
scoperto che essere padre e fare il padre sono cose ben diverse. E soprattutto che si può fare il padre in un modo completamente nuovo. già,
ma quale? lo scopriranno – lo scopriremo – negli anni e nelle generazioni a venire. i “nuovi padri” sanno ciò che non vogliono essere, ma
non hanno un modello definito a cui tendere. sanno ciò a cui non vogliono assomigliare, ma non possono immaginare il loro futuro prossimo. cambiati? certo – avverte Elisabeth Badinter – ma attenzione:
gli effetti li vedremo nel corso non di qualche decennio, ma di svariate
generazioni.
perché finora ho parlato solo di padri? perché sono loro, i maschipadri, la vera novità storica del secolo scorso, la “rivoluzione” (che scaturì anche dalle donne-madri e che naturalmente oggi le coinvolge e le
interroga). E le madri? Va da sé: non si può affrontare il tema “paternità”
se non in parallelo con quello dell’essere madre; chi lo ha fatto, di solito ha prodotto opere monche. il movimento femminile e femminista
ha permesso alle donne di fare grandi passi avanti. le donne hanno elaborato nuove strategie di vita, nelle quali l’affermazione di sé non passa
più attraverso la maternità, né gode di luce riflessa del maschio. la donna
non si realizza più nella maternità (perlomeno non più solo in quella) ma
conosce nuove forme di espressione attraverso il lavoro, l’indipendenza
economica, la libertà sessuale ora garantita da quel formidabile strumento di emancipazione dal maschio che fu la pillola anticoncezionale.
il bel libro di letizia ciancio, nella sua analisi “rotonda” – per punti
di osservazione e linguaggi utilizzati – parla di paterno e materno, riferiti a due “soggetti in transizione identitaria”, eppure credo di non sbagliarmi se ritengo l’autrice consapevole del fatto che – a prescindere da
quale dei due elementi sia stato il primo motore del cambiamento – il
padre mostra i segni (e le ferite) di una strutturale trasmutazione. del
resto, lei stessa, al termine del suo percorso, conclude osservando che
«la dimensione identitaria dell’uomo è molto più instabile di quella della
donna e necessita di continui aggiustamenti in relazione alle contingenze storiche e culturali».
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le domande poste da questa trasmutazione (più forte, si badi, del
semplice cambiamento: qui, come in chimica, c’è il passaggio da un
elemento a un altro, completamente diverso) sono innumerevoli: da
quelle essenziali (da dove origina, dove conduce la trasformazione?)
a quelle secondarie (padre assente o troppo presente? padre affettivo
versus padre normativo? padre amico? compagno? “mammo”? …).
ciancio se le pone tutte, direttamente o indirettamente. ad alcune risponde, altre le lascia alla riflessione di chi legge.
dalla preistoria ai giorni nostri, il paterno e il materno si sviluppano
nel libro senza nulla trascurare: dalla storia all’antropologia, dal mito
alla cronaca, dalla psicologia alla religione, alla pedagogia, i due elementi sono analizzati in modo puntuale – talvolta persino con acribia –
ma sempre nel contesto sociale, politico, culturale dell’epoca (si veda,
ad esempio, come ciancio inserisce – con Baumann, Zoja, recalcati –
il padre di oggi con i suoi connotati nella più ampia e comprensiva cornice del postmoderno).
la specifica formazione dell’autrice la porta, naturalmente, a dare
ampio spazio a psicologia e psicoanalisi: Freud, Jung, adler, Klein,
Winnicott, Kohut, Bion… E naturalmente lacan, il criptico artefice del
“Nome del padre”, per poi approdare al Losanne Trialogue Play di Fiavaz depeursinge e del suo gruppo, con il superamento della concezione
diadica madre-bambino e l’approdo (gravido di conseguenze, mi pare)
alla triangolazione madre-padre-bambino: una triade primaria che
«viene quindi riletta come matrice interattiva di base dell’individuo,
non successiva all’esperienza diadica ma parallela e parzialmente indipendente».
anche il concetto di bigenitorialità, oggi molto invocato, dopo che
la legge 2006/54 sull’affido condiviso ne ha fatto il suo motivo ispiratore, è affrontato nel libro, ma con una significativa – e preferibile, a mio
avviso – diversa terminologia: non “bigenitorialità”, ma “cogenitorialità” (coparenting) secondo il termine introdotto nel 1974 da salvador
minuchin e al quale corrisponde un diverso significato, quello – oggi
quantomai auspicabile – di “alleanza genitoriale”.
a questo proposito, nel libro di letizia ciancio ricorre un bella me15
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tafora di paternità e maternità: quella della danza. Quando tecnica ed
esercizio approdano al momento della danza, fra i ballerini nasce la sincronia perfetta, nasce “l’universo della rappresentazione”. ma tale sincronia «presuppone una conoscenza intima, viscerale, interiorizzata,
che solo l’esercizio a due può dare». così nasce l’unicità della coppia
che danza, così quella della coppia genitoriale.
la nuova attenzione nei confronti del padre (non sempre coincidente
con tutela e rispetto del suo ruolo) ha portato al passaggio da un’assoluta carenza di studi e ricerche sulla sua figura, tipica del passato fino
alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, ad una prolificità di pubblicazioni finanche eccessiva. Non c’è editore che non si senta in dovere
di editare libri sul padre. si tratta perlopiù di testi divulgativi, che dispensano in forma discorsiva consigli ai neo-padri o ai futuri papà.
scritti in modo leggero, o addirittura spiritoso, svolgono la loro funzione di “manuali d’uso” e non vanno oltre. in qualche caso si tratta invece di testi che si definiscono “accademici” per una serie di motivi:
sono scritti da titolari di cattedra universitaria, finiscono inevitabilmente
nel circuito dei testi d’esame degli stessi accademici, ma soprattutto
sono caratterizzati da un linguaggio per lo più incomprensibile, molto
paludato, molto tecnico in base alla specializzazione dell’autore, francamente indigeribile ai più.
il libro di letizia ciancio si situa esattamente fra questi due estremi,
godendo della comprensibilità del linguaggio, della ricchezza delle informazioni e delle analisi, della precisione terminologica. che è quanto
di cui oggi sentiamo il bisogno quando leggiamo, tanto spesso, di paternità e maternità.
Maurizio Quilici
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