I tri siful - Comune di Bollate

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I tri siful - Comune di Bollate
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sezione NARRATIVA
EL CANTON DI TRI SIFUL
( una ricostruzione fantastica popolata di donne)
A Giulia piaceva rallentare con l'auto davanti a quella cascina in ristrutturazione; un
lavoro che durava da anni, tanto è vero che ultimamente edera, vite canadese, frasche
indecifrabili, assieme a delle impalcature ormai in disuso, avevano ricoperto i muri di
mattoni rossi un po' smangiati. Un angolo dell'antica costruzione dava proprio sulla strada
provinciale e, in un momento in cui le amministrazioni comunali avevano in animo di
recuperare il nome delle cascine, vi avevano applicato una targa, lussuosa per il luogo, in
marmo bianco oramai ricoperta di fronde: “ CANTON DI TRI SIFUL”.
Li' aveva abitato la sua bisnonna Lucia, alla quale lei non aveva fatto in tempo a chiedere
le ragioni di quella denominazione e neanche alla nonna Gina la quale se n'era andata
ancor prima di Lucia. Ma la mamma qualcosa sapeva, ne era certa, perché, quando le
aveva chiesto delucidazioni, le si era arrossato il viso ed aveva tergiversato.
Quel nome le eccitava la fantasia: un “siful” nel dialetto lombardo è un uomo molto
ingenuo, un po' stupido... ma possibile che in quel luogo abitassero ben tre persone con
quelle caratteristiche ?
Però “siful” significa anche fischio...che i tre fischi fossero un segnale di riconoscimento?
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Era una tipica “corte” lombarda, circondata da case contadine: ogni stanza dava sulla
corte attraverso una piccola porta. Le costruzioni erano per lo più a due piani, ed al
secondo piano si accedeva o attraverso una scala esterna in legno, un po' precaria e
sempre scricchiolante nonostante i rinforzi sovrapposti nel corso del tempo o direttamente
da una dalle porticine che, aperta, metteva in mostra una strettoia di gradini alti e faticosi.
La stanza del piano terra era adibita solitamente a cucina ed aveva un camino, quasi
sempre in disuso per mancanza di manutenzione o, più spesso, una stufa a legna, la
famosa cucina economica. Ma solo d'inverno si mangiava qui; appena la stagione lo
permetteva, a mezzogiorno in punto, segnalato dalle campane della chiesa, le donne
portavano la loro scodella all'esterno, la posavano in grembo, sui loro sottanoni spessi e
mangiavano quel piatto unico, di solito minestra di verdure, ognuna davanti alla propria
porta, ma in compagnia, scambiandosi pettegolezzi e frizzi, ingenui, ma sapidi.
Gli uomini avevano già ricevuto il loro pasto direttamente dalla moglie o da uno dei figlioli
in campagna dove lavoravano una terra ben raramente di loro proprietà.
A Lucia, una lunga malattia si era portata via il marito ed era rimasta con tre figliolette
ancora da crescere... Ci andava lei in campagna, al posto del marito, e, sempre più
spesso, a mano a mano che cresceva, portava con sé Ada, la figlia maggiore. Le altre
due, a casa, preparavano qualcosa da mangiare per la sera, si dedicavano a sommarie
Comune di Bollate Comune di Bollatepulizie, spesso litigando fra di loro, lavavano la
biancheria alla fontana del cortile che, a turno, ogni famiglia utilizzava e stendevano i
panni al sole su fili di corda sostenuti da pali piantati nella terra, sbrigavano a volte alcune
incombenza per i vicini ricevendo in cambio
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qualche preziosissimo uovo. Solo raramente facevano una modestissima spesa dal
carrettiere che una volta la settimana, percorrendo la corte con un carico di masserizie e di
legumi, invitava le donne all'acquisto della sua merce.
Ada e sua madre tornavano disfatte dalla fatica e dopo il pasto della sera (ancora minestra
di verdure o polenta e latte ( la carne era un privilegio raro: una gallina, ma solo alle feste
comandate...) , obbedendo al corso del sole, si coricavano presto per potersi alzare alle
prime luci dell'alba.
Una notte Lucia non riusciva a prendere sonno, la spossatezza che invadeva il suo corpo
precocemente invecchiato, il caldo, quell'anno arrivato troppo presto, le preoccupazioni
per quelle sue figliole da crescere e per le quali non vedeva alcun futuro, le impedivano di
riposare. Il buio opprimente e totale che la circondava le pesava addosso togliendole la
capacità di vedere oltre, ma improvvisamente udì con chiarezza nell'oscurità un fischio
ripetuto tre volte.
Pensò a qualche ubriaco che faceva lo sbruffone nel buio, ma poco più tardi percepì un
lieve tramestio provenire da giù, dalla cucina.
Stette per qualche tempo in ascolto, poi non udì più nulla; allora allungò la mano sopra la
spalliera del letto matrimoniale per cercare il filo con la “peretta” ed accese la lampadina al
centro della stanza.
Maria, la più piccina delle figliole, dieci anni appena, dormiva accanto a lei. La madre se la
guardò, la piccina, la sua preferita, forse perché non aveva conosciuto il padre morto
mentre Lucia l'allattava ancora e, per sostituire il marito in campagna, aveva dovuto darla
“a balia” in un paese vicino. Dovette spostarle la manina, rossa per i bucati alla fontana
del cortile, che la bimba, dormendo, aveva appoggiato sul corpo della madre.
Ada, la sua compagna di lavoro, aveva raggomitolato il corpo provato dalla fatica
giornaliera nel suo letto...mancava Gina. la mezzana, quindici anni appena alla quale era
affidato il compito di badare alla casa e alla sorellina.
Gina, la ribelle, quella che con i suoi capelli castani e ricci, che non riusciva a governare,
destava già qualche sguardo interessato da parte dei ragazzi della corte e soprattutto dei
loro amici più grandi.
Lucia non ebbe dubbi: buttò le gambe fuori dal letto, infilò le ciabatte e, così com'era, in
camicia da notte, scese per la scala ripida illuminata solo dal riflesso che proveniva dalla
lampadina della camera. Ai piedi della scala si scontrò quasi con Gina, che rientrava, con
un sorriso tra il timoroso e lo spavaldo sulla bocca.
Madre e figlia si trovarono una di fronte all'altra. A Lucia stava scappando un ceffone che
avrebbe smorzato quel sorriso irritante, ma Gina sollevò verso gli occhi della madre il
piccolo pugno che aprì lasciando cadere una manciata di monete.
Invece di percuoterla, come all'inizio aveva intenzione di fare, Lucia si lasciò andare contro
il corpo di Gina singhiozzando come per cercare un abbraccio di consolazione che non
aveva nella vita ricevuto né cercato. Gina se la strinse al petto con un gesto di affetto che
mai prima aveva avuto verso la madre e tutte e due piansero abbracciate, sedute
sull'ultimo gradino della scala.
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Per anni, da quella notte, i tre fischi si ripeterono nella corte, a volte brevi e imperiosi, altre
volte appassionati e voluttuosi, ma, per Gina, sempre riconoscibili.
Anno 2014
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