Alsisia dice sempre che, in un mondo dove sono gli

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Alsisia dice sempre che, in un mondo dove sono gli
Prima edizione: gennaio 2017
© 2016 Delrai Edizioni
Milano, Piazzale Siena 6
ISBN 978-88-99960-12-4
Per informazioni sulle novità:
www.delraiedizioni.com
Progetto grafico di Catnip Design.
Illustrazioni di Barbara Bolzan e Luana Curia.
© bigstockphoto.com | Kladyk, Perfect Lazybones, Zenina.
Impaginazione © Delrai Edizioni.
Stampato in Italia. Tutti i diritti riservati.
Barbara Bolzan
Fracure
t
rya series I
A mia madre,
che non vedrà questo lavoro finito
ma che mi guarda dal Cielo.
L
Sono entrata nel bel mondo ch’ero appena una ragazza, e poiché per la mia
troppo tenera età ero condannata al silenzio e all’inazione, ne ho approfittato
per osservare e riflettere. Gli altri mi credevano stordita e distratta, perché io, in
effetti, ascoltavo poco i discorsi che mi facevano con tanta premura, tutta assorta
com’ero a carpire i discorsi che cercavano di nascondermi. Questa utile curiosità,
mentre serviva per istruirmi, mi insegnò anche a dissimulare.
(...) Imparai di buon’ora a manovrare i miei occhi come volevo e a fingere quello
sguardo distratto che tante volte mi avete lodato. Incoraggiata da questo primo
risultato, cercai di padroneggiare nello stesso modo i movimenti del viso.
(...) E quando fui sicura dei miei gesti mi misi ad osservare i miei discorsi, regolando
gli uni e gli altri secondo le circostanze o magari secondo i miei capricci.
(...) Sentendo forse per istinto che non dovevo mai essere sincera con nessuno (...)
e avendo io preso, a seguito d’una più profonda riflessione, l’aria di una ragazza
sventata, che si addiceva bene alla mia età, egli mi giudicò sempre poi come una
bambina, soprattutto quando gliene facevo di tutti i colori.
Choderlos de Laclos, Le relazioni pericolose, LXXXI.
Trad. di Fernando Palazzi
ESERGO
Erano un uomo solo, non trenta. (...)
Allo stesso modo, tutte le individualità (...), il valore di uno, la paura di un altro,
la colpa e l’innocenza, tutte le differenze erano saldate in unità e indirizzate a
quello scopo fatale che indicava Achab,
loro unico signore.
Herman Melville, Moby Dick, cap. CXXXIV,
trad. di Nemi D’Agostino.
Ecco Nemi, celato entro una conca di poggetti selvosi. Egli non teme il furiar de’
nembi e, mentre il vento svelle la
quercia dalle ime radici, l’oceano sospinge alle sonanti piagge e la schiuma ne’
turbina al cielo, qua e là s’increspa, mormorando appena lo specchio ovale del
suo vitreo lago.
George Gordon Byron, Childe Harold’s Pilgrimage.
Bella gerunt alii. Tu, felix Austria, nube!
“Gli altri facciano pure la guerra. Tu, gloriosa Austria, sposati!”
attr. Mattia Corvino, re d’Ungheria (1443-1490), a proposito della politica
matrimoniale degli Asburgo.
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A
lsisia dice sempre che, in un mondo dove sono gli altri
a decidere per noi, è ben raro che ci sia concesso il
lusso di sbagliare. È indicativamente vero. Se non
altro, è stato vero per lei.
Vorrei aggiungere: gli altri possono anche decidere per noi, ma non manovrano
del tutto le nostre esistenze. E questo è stato vero per me.
Credo che, a condurmi qui, sia stata la mia incapacità di lasciare che il destino
seguisse una strada già tracciata in precedenza. Il lusso di sbagliare mi è stato
concesso. Diciamo pure che me lo sono accaparrato a viva forza, e non senza
danno. Più volte. A differenza di Alsisia che, in vita sua, ha commesso un solo
errore. Ma è stato sufficiente.
Eppure, non prova rimorso. Non è toccata dal senso di colpa. La sua coscienza
è pulita. Me lo ha ripetuto talmente tante volte che ho finito per crederle. Niente
la tormenta e, di notte, dorme tranquilla, conscia del fatto che, comunque vada, le
cose si risolveranno per il meglio.
Perfino adesso! È certa che, forse già stasera, lei e suo marito Strevj potranno
ritrovarsi, sedersi davanti al fuoco e ridere di tutto.
Vorrei avere la sua sicurezza. Per tutta la vita non ho desiderato che di
assomigliarle in tutto.
Ma siamo diverse. Indiscutibilmente diverse. E questo ha segnato le nostre vite.
BARBARA BOLZAN
All’inizio di tutto, c’è un uomo. C’è sempre un uomo.
Nemi si faceva largo tra gli arbusti, procedendo sul terreno
sconnesso e limaccioso. L’acquazzone lo costringeva ad avanzare a
testa china, col vento che gli sferzava il volto e rendeva le gocce di
pioggia pungenti come spine.
Nonostante tutto, le sue labbra accennavano a tratti un sorriso.
Tornava a casa.
La ragazza lo seguiva inerme, lasciandosi guidare. Era scalza
e barcollava. Già due volte, inciampando, era caduta a terra. In
entrambe le occasioni, era rimasta lì, immobile, nel fango. Ora
Nemi la trascinava dietro di sé tenendola saldamente per il polso,
strattonandola di tanto in tanto.
«Siamo quasi arrivati!» le gridò, sfidando l’ululato del vento.
«Ancora un piccolo sforzo.»
Lei rimase in silenzio.
Lei ero io.
È passato del tempo, e alcuni di noi hanno cercato di dimenticare. Confinati
in un esilio volontario, oggi viviamo là dove i pericoli non possono addentrarsi.
L’inquietudine, però, non si è del tutto sopita. Abbiamo escogitato pallidi
rimedi per tenerla fuori dalla porta e ci atteniamo a essi. Così, evitiamo di
spingerci fino al fiume, e nessuno di noi ha più rimesso piede nella città di
Temarin. So che la stanno ricostruendo, ma non sono pronta a vederla con i
miei occhi. È ancora troppo presto.
Talvolta ci arrivano perfino notizie dal regno di Idrethia. Il che è più
di quanto noi siamo in grado di sopportare. Ascoltiamo, accettiamo quello
che ci viene detto. Ma non poniamo domande. Non andiamo in cerca di
informazioni. Un giorno, forse, succederà.
Non oggi.
La foresta di Mejixana sembra la stessa di allora. Sta rinverdendo e il
lavoro ci tiene occupati, tanto che raramente possiamo goderci un istante di noia.
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FRACTURE
In silenzio siamo grati a queste fatiche: ci distraggono, ci costringono a concentrarci
sul presente.
Basta però un nonnulla per farci tornare indietro nel tempo. Può trattarsi
dell’improvviso scoppiettare della legna nel camino, i lapilli ardenti che si sollevano
e svaniscono. Dei rapaci che si gettano in picchiata su un topolino o banchettano
negli orti. Del grido dei bambini che giocano a una guerra che non hanno vissuto.
Isan allora si fa improvvisamente pensieroso e le spalle gli si incurvano. Non
parliamo, aspettiamo che il momento passi.
Passa sempre. Ma sappiamo a quale prezzo.
È per questo che ci sono notti insopportabili.
Lo stesso vale anche per Nemi.
So che ancora oggi si sveglia di soprassalto e gli occorre qualche istante prima
di rendersi conto di dove si trova e perché. Non rimpiange, ma ricorda. Quando
succede, si chiude in se stesso e rimane di umore intrattabile per l’intera mattinata.
Lui più di tutti avverte il peso del passato, e gli è impossibile non tornare col
pensiero a quel giorno, a quando...
... sedeva scomposto, con le gambe allungate davanti a sé e i
talloni appoggiati sul bordo del tavolo. A intervalli, sfregava l’uno
contro l’altro i piedi nudi, le piante incrostate dal fango che gli era
penetrato negli stivali. Gli abiti ancora bagnati, nonostante il tepore
diffuso dal braciere posto al centro della stanza, gocciolavano.
Sotto di lui, sul pavimento in terra battuta, si era ormai formata
una piccola pozzanghera.
Sentì del bagnato sul naso e sollevò con malanimo lo sguardo alla
macchia di umidità che si allargava sul soffitto. In corrispondenza
delle perdite erano state posizionate alcune ciotole, che sarebbero
poi state svuotate nel grosso catino di raccolta. Con un sospiro,
spostò la sedia portandosi all’asciutto. Poi, a braccia conserte, cupo
e assorto, riprese a fissare le ceneri ardenti nel braciere.
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Fu Isan a scuoterlo dal torpore, entrando nell’ambiente con una
coperta ripiegata sul braccio e due boccali di vino tiepido.
«Allora è vero, sei tornato!» Richiuse la porta accompagnandola
col piede. «Quando i ragazzi me lo hanno detto, non volevo crederci.
Non mi aspettavo un tuo ritorno, non con questo maledetto tempo!»
Svolse la coperta, accomodandogliela sulle spalle. «Non sei stato via
a lungo, questa volta. Dov’eri?»
«Nei paraggi.»
«E... la ragazza?» domandò, sedendosi su uno sgabello a tre gambe,
che scricchiolò sotto la sua grossa mole. «Chi è?»
Dai boccali si sollevava un lieve vapore speziato. Nemi si portò il
vino alle labbra, soffiando sulla superficie per raffreddarla.
Era quasi giunto in vista della foresta di Mejixana, raccontò,
quando aveva notato una sagoma seduta sull’argine del fiume,
indifferente alla pioggia scrosciante.
«Era come se stesse aspettando di essere trascinata via dalla
corrente» concluse.
Io. Piccola e bruna. I capelli, sciolti, mi aderivano alle guance e scendevano fino a terra,
imbrattati di fanghiglia. Tremavo, ma le braccia non erano strette intorno al corpo per
riscaldarlo. Poggiavano sulle ginocchia. Gli occhi semiaperti fissavano il fiume ingrossarsi.
Quando si era avvicinato e mi aveva sfiorato la spalla, mi ero lasciata sfuggire un
sussulto. Ma non mi ero mossa. Muta, col sangue tiepido che mi colava dal naso, lo
supplicavo di lasciarmi dov’ero. Tuttavia, non avevo opposto resistenza quando mi aveva
preso sotto le ascelle e sollevata.
Senza pronunciare una sola parola avevo camminato dietro di lui lasciandomi guidare,
malferma sulle gambe.
Vivere o morire. Non aveva molta importanza, in quel momento.
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FRACTURE
«È ferita?»
«È malridotta, ma non è questo il punto» rispose una voce alle loro
spalle. Marita, l’anziana levatrice del Villaggio, era ferma sull’uscio,
con una mano appoggiata allo stipite. Aveva corso, il respiro era
affaticato. «Signore» continuò, rivolgendosi a Nemi «devi venire a
vedere una cosa.»
«L’unica cosa che devo fare è togliermi questi vestiti e andare a
dormire.»
«Ti ruberò solo pochi istanti.»
«Non hai sentito quello che ti ha detto?» la redarguì il compagno,
appoggiandosi con il gomito al tavolo. «I tuoi pochi istanti possono
aspettare domani. Verrò io con te. Sono io il medico, dopotutto.»
«Visiterai la ragazza, Isan, ma non ora. Ho bisogno di Nemi»
insistette Marita. «Ti prego, signore, seguimi.»
Oggi so tutto. So cosa accadde e perché.
Posso raccontare le azioni che ci hanno condotti qui, il come e il quando. So
cosa accadde all’interno di stanze alle quali non avevo accesso, i discorsi e perfino i
pensieri di ognuno. Oggi tutto è chiaro.
Ma quanto è costata, questa chiarezza!
Oggi chiudo gli occhi e posso quasi vedere l’agitazione di Nemi come se vi avessi
assistito di persona; Isan che intaglia le sue statuine; l’ansia di Marita quando era
corsa a chiamare il capo dei ribelli. Questo, e tanto altro ancora.
Oggi non ci sono più reticenze. Abbiamo scelto la verità, dovunque essa ci porti.
È un pesante fardello, ma ne è valsa la pena.
Il capo dei ribelli si avvicinò alla panca sulla quale erano stati ripiegati
gli abiti che avevo indossato fino a poco prima. Li sollevò, scrollandoli.
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Indumenti da serva, forse da domestica. Era difficile capirlo: il semplice
tessuto marrone, che l’acqua aveva reso di una tonalità più cupa, era
lacero in più punti. La gonna era infangata e umida, macchiata d’erba
e limo.
E poi, naturalmente, c’erano quelle chiazze più scure. Sangue
rappreso.
Mi gettò un’occhiata. Dormivo, riparata fino alle spalle da caldi
panni. Rimanevano visibili solo i capelli sporchi e il volto. Il
sopracciglio era solcato da una piccola ferita, lo zigomo sinistro
stava assumendo un colorito giallastro. La fronte si contraeva
spesso e le palpebre dalle ciglia incrostate si serravano di frequente.
«Sta così male?» domandò senza un particolare interesse,
riappoggiando gli abiti sulla panca.
«Non è la sua salute a preoccuparmi. Il problema, piuttosto, è la
collana che le ho trovato al collo.»
«Consegnala ai ragazzi. La venderanno al mercato di Temarin.»
«Non è oggetto che possa essere venduto, questo.» E aprì il pugno,
mostrando il ciondolo alla luce tremula delle candele.
Da principio, Nemi non riuscì nemmeno a stendere la mano per
ricevere il monile nel palmo. Poté solo fissarlo. Una corda rossa
intrecciata; una medaglietta d’oro e un rubino incastonato. Sul retro
della lamina dorata, l’effige di un serpente a due teste.
«È impossibile.» Le uniche due parole che lo sbigottimento gli permise
di articolare. Lo prese, mosse la mano e il ciondolo dondolò. Provò un
senso di stupore e ribrezzo.
«Tu non ne sapevi niente? L’hai condotta qui... e non sapevi che avesse
indosso questo?» Era incredula. Ma lo sbalordimento al quale assisteva
era troppo genuino per essere messo in dubbio. Gli si fece più vicina,
appoggiandogli una mano sul braccio. «Nemi? Chi è questa ragazza?»
«Non ne ho idea.» La stanchezza del viaggio si era dissolta. Al suo
posto, c’era un’ansia sottile e profonda come una ferita. «Ma ho bisogno
di una spiegazione, Marita. Alla svelta.»
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L’anziana levatrice gli sistemò meglio la coperta sulle spalle, con un
gesto quasi commiserevole.
«L’unica che può fornirti spiegazioni è lei,» disse «ma ci vorrà del
tempo. Le sue condizioni...»
«Non mi interessano le sue condizioni!» Il pugno si serrò con maggior
forza intorno alla corda intrecciata. «Chiama Isan. Siete i soli che possano
rimetterla in forze, e voglio sia fatto nel più breve tempo possibile.»
La grossa donna spostò il peso del corpo da un piede all’altro e stirò
indietro la vecchia schiena dolorante.
«Come vuoi tu» rispose, benché dubbiosa.
Po si chinò su di me, perplessa. Dopo brevi momenti di tranquillità,
avevo ripreso ad agitarmi e a gemere. «Non appena l’avrò lavata,
avvertirò Isan. Devo informarlo anche del medaglione?»
«No.» Infilò il monile nella saccoccia. La sensazione di ripugnanza
aumentò. «Voglio occuparmene di persona. Credo di averne tutti i
diritti.»
«Tu più di chiunque altro, sì.» Nel parlare, lo sguardo di Marita si posò
sul pugnale che il brigante portava legato alla cintola, e Nemi ne sfiorò
istintivamente l’impugnatura: ben evidente al tatto, poteva sentire
l’effige in rilievo di un rettile a due teste e la sfaccettatura di un rubino.
Dopo tanti anni, quell’arma e il medaglione si ritrovavano ancora
uniti.
Tornò alla panca e osservò ancora una volta i miei vestiti. Mormorò:
«Nessuno può perdere tanto sangue e rimanere vivo.»
«Cosa vuoi dire?»
L’uomo prese in mano gli indumenti imbrattati, distendendo la stoffa
e mostrandogliela.
«Questo sangue non è suo. C’era qualcuno con lei, al fiume. O nei
pressi del fiume. Qualcuno che ha avuto una sorte ben peggiore della
sua.»
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