Lett_Greca_2016-17_Materiali_01 - Università degli Studi di Verona

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Lett_Greca_2016-17_Materiali_01 - Università degli Studi di Verona
Prof. Guido Avezzù
L-FIL-LET/02: Letteratura greca (i+p) (12 CFU)
Università degli Studi di Verona
a.a. 2016-2017
PROGRAMMA
(a)Euripide,Elettra.
(b) Conoscenza della storia della letteratura dalle origini al V secolo a.C.; in particolare: epica arcaica, lirica arcaica, tragedia e
commedia,storiografia.
(c) Conoscenza della storia della letteratura dalle origini al V secolo a.C.; in particolare: epica arcaica, lirica arcaica, tragedia e
commedia,storiografia.
(d)Letturepersonali:Omero,IliadeI;OdisseaIII.
Bibliografia:
(a) M.C. Cropp (ed.), Euripides. Electra, Warminster: Aris & Phillips 1988; H.M. Roisman and C.A.E. Luschnig (eds), Euripides’
Electra.ACommentary,Norman,UniversityofOklahomaPress2011.
Lalinguadellatragedia:ilcapitolodedicatoallatragediainA.C.Cassio,Storiadellelingueletterariegreche,Firenze,LeMonnier
2016.Perlalinguagreca,ingenerale:LalinguadeiGreci.Corsopropedeutico,acuradiA.Aloni,Roma,Carocci2011.
(b) Qualsiasibuonmanualerecentedistoriadellaletteraturagreca.
(c) Qualsiasibuonmanualerecentedistoriadellaletteraturagreca.
(d) IliadeI:Omero,Iliade,Libro1:lapeste,l'ira,intr.ecomm.diM.Giordano,trad.diG.Cerri,Roma,Carocci2010;OdisseaIII:è
raccomandatoilricorsoaunabuonaedizionescolasticacommentata.Peresempio:Omero.OdisseaIII,acuradiM.Marzi(Ed.
DanteAlighieri).
Commenti di riferimento: The Iliad. A Commentary, Vol. I: Books 1-4, ed. by G.S. Kirk, Cambridge University Press 1985
(Introduction:pp.1-37;Commentary:pp.51-114);Omero.Odissea,vol.1:Libri1-4,introd.,testoecomm.acuradiA.Heubeck
eS.West,Milano,Mondadori1981.
Lalinguadell’epica:ilcapitolodedicatoall’epicainA.C.Cassio,Storiadellelingueletterariegreche,Firenze,LeMonnier2016.
Perlalinguagreca,ingenerale:LalinguadeiGreci.Corsopropedeutico,acuradiA.Aloni,Roma,Carocci2011.
Altreindicazionisarannofornitealezione.
NOTA
(i)Glistudenticheseguonosololaparteintroduttivasonotenutiaipunti(b)e(d)delprogrammaealpunto(a)soloperlaparte
svoltanellaprimametàdell’insegnamento.
(p)Glistudenticheseguonol’interoinsegnamentosonotenutiatuttiipuntidelprogramma.
Orariodellelezioni:Isemestre
lunedì 15.10–16.50
Aula1.5
giovedì 10.10–11.50
Aula1.3
venerdì 8.30–10.10
Aula1.2
coninizioil3ottobre.
OrariodiricevimentonelIsemestre:
lunedì 17.00-19.00coninizioil3ottobre.Oppuresuappuntamentopresoviaemail.
INTRODUZIONE GENERALE
1. Struttura delle tragedie.
La Poetica aristotelica propone una partizione ‘quantitativa’ (mevrh ... kata; to; povson), cioè relativa all’estensione del
dramma, comprendente alcune parti comuni a tutte le tragedie (koina; me;n aJpavntwn): “prologo, “episodio”, “esodo” e
“cori”, questi ultimi distinti in “parodo” e “stasimo”, e altre parti che non appartengono a tutte le tragedie (i[dia):
Po. 52b15-18: kata; de; to; poso;n kai; eij" a} diairei'tai kecwrismevna tavde ejstivn, provlogo" ejpeisovdion e[xodo"
corikovn, kai; touvtou to; me;n pavrodo" to; de; stavsimon, koina; me;n aJpavntwn tau'ta (con riferimento all’estensione
della tragedia e a come è ripartita, le parti sono queste: prologo, episodio, esodo, canto del coro, e questo si
distingue in parodo e stasimo; queste sono le parti comuni a tutti i drammi).
Si tenga presente che queste “parti” sono altro dalle forme che gli autori possono adottare. La distinzione è chiara da
quanto segue: mevrh de; tragw/diva" oi|" me;n ãwJ" ei[desià dei' crh'sqai provteron ei[pamen, kata; de; to; poso;n kai; eij" a}
diairei'tai kecwrismevna tau't∆ ejstivn (52b25-27).
Schematizzando:
a. parti comuni a.1 prologo
precede il primo intervento del coro
koinav
provlogo"
mevro" to; pro; corou' parovdou
a.2 episodio
tra un canto completo del coro e un altro
ejpeisovdion
mevro" to; metaxu; o{lwn corikw'n melw'n
a.3 esodo
segue l’ultimo canto corale
e[xodo"
mevro" meq∆ o} oujk e[sti corou' mevlo"
a.4 cori
a.4.1 parodo
il primo intervento completo del coro
corikav
pavrodo"
hJ prwvth levxi" o{lh corou'
a.4.2 stasimo
canto del coro senza parti recitative
stavsimon mevlo" corou' to; a[neu ajnapaivstou kai; trocaivou
b. parti speciali b.1 ta; ajpo; skhnh'"
canto degli attori dalla scena
i[dia
b.2 kommov"
lamento del coro al quale partecipano gli attori
qrh'no" koino;" corou' kai; ajpo; skhnh'"
Sono state avanzate molte riserve sull’efficacia descrittiva di questa partizione, anche se si deve presupporre che essa
risponda alla percezione diffusa tra gli spettatori coevi. Si dovrà per esempio cogliere la differenza fra la parodo, che è
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lexis, e lo stasimon, che è melos: la parodo ingloba, se c’è, anche la sezione recitativa in anapesti con la quale il coro fa
talora il suo ingresso (ma che è assente nell’Elettra di Euripide come in non poche altre tragedie). Lo speciale carattere
dell’esposizione aristotelica richiede spesso integrazioni esegetiche, come a proposito dell’episodio, che sarebbe
compreso “fra cori completi” (metaxu; o{lwn corikw'n): abbiamo canti infraepisodici, sia astrofici (in Euripide, Elettra
585-95 e 1165-71) sia organizzati in coppie antistrofiche di stanze – come p. es. in OT 649-67 = 678-96 e nel Filottete
(391-402 = 507-18) dove strofe e antistrofe sono distanziate, ma anche in altri casi, nei quali i canti antistrofici sono
effettivamente “completi”.
2. Versificazione
Simboli
k
l
t
x
^
|
||
H
||
a||
|||
an
(elementum) breve
(elementum) longum
(elementum) biceps
(elementum) anceps (=i)
acefalia o catalessi
fine di parola cercata, cesura
fine di periodo, fine di verso
iato in fine di verso
(elementum) indifferens in fine di verso
fine di strofa
anapesto ty ty
ba
cho
cr
d
da
ia
ion
mol
sp
tro
baccheo
coriambo
cretico
docmio
dattilo
giambo
ionico
molosso
spondeo
trocheo
kll
lkkl
lkl
xl lkl (tipo base)
lkk
xtkt
kkll
lll
ll
tktx
La composizione del dramma attico del V secolo, tanto serio (tragedia, satiresco) quanto comico, ricorre a una varietà di
tipologie performative concepite contestualmente e giustapposte organicamente. Con terminologia aristotelica diremo
che la mimesis drammatica ricorre a ritmo, linguaggio e armonia, usandoli separatamente o congiuntamente.
Po. 1447a22s.: a{pasai (scil. aiJ eijrhmevnai tevcnai, cioè ejpopoiiva, tragw/diva, kwmw/diva, diqurambopoihtikhv,
aujlhtikhv, kiqaristikhv) me;n poiou'ntai th;n mivmhsin ejn rJuqmw/' kai; lovgw/ kai; aJrmoniva/, touvtoi" d∆ h] cwri;" h]
memigmevnoi" (tutte le arti menzionate: epica, tragedia, commedia, ditirambo, auletica e citaristica, realizzano
l’imitazione col ritmo, il linguaggio e l’armonia, usandoli separatamente o congiuntamente).
Ciascuna tipologia performativa – corrispondente alle parti del dramma, come prologo, episodio, esodo, canto del coro,
e questo si distingue in parodo e stasimo, per parlare solo di quelle comuni a tutti i drammi (vedi sopra) – comporta
l’adozione di specifici procedimenti versificatôri, coi quali forme metriche con tradizioni contenutistiche ed esecutive
diverse sono adattate al contesto drammatico; a questo proposito Aristotele parla, proprio per la tragedia, di diverse
specie o forme (ei[dh), corrispondenti a parti (movria) del dramma e ciascuna caratterizzata da specifici tratti formali.
Po. 49b25s.: (e[stin ou\n tragw/diva mivmhsi") hJdusmevnw/ lovgw/ cwri;" eJkavstw/ tw'n eijdw'n ejn toi'" morivoi", lett.: (la
tragedia è imitazione eseguita) con linguaggio adorno distintamente per ciascuna delle forme nelle diverse
parti. E continua (49b29-31): levgw de; hJdusmevnon me;n lovgon to;n e[conta rJuqmo;n kai; aJrmonivan kai; mevlo", to; de;
cwri;" toi'" ei[desi to; dia; mevtrwn e[nia movnon peraivnesqai kai; pavlin e{tera dia; mevlou" (per “linguaggio adorno”
intendo quello che possiede ritmo, armonia e canto, e con “distintamente per ciascuna delle forme” intendo che
alcune forme si producono solo con i versi, altre poi con il canto).
È opportuno non soltanto distinguere fra esecuzioni “cantate” e “recitate”, giusta la manualistica distinzione fra i metri,
ma anche considerare la prassi di parti “recitative”, per servirci di un termine decodificabile, pur con le opportune
cautele, grazie al melodramma sei-settecentesco. Designeremo come recitativo il «cantare per recitare» (così B.
Castiglione, Il libro del cortegiano, 1528) su un accompagnamento strumentale. Sarà, cioè, opportuno distinguere fra le
parti recitate, i recitativi e le parti cantate.
(a) Le parti recitate.
Per l’età di cui ci sono conservati drammi integri e frammenti cospicui, le parti recitate, si tratti di monologhi o di
dialoghi più o meno stretti, sono in trimetri giambici (3ia):
x t k t x |t k |t x t k a ||
i. Risoluzioni. Il trimetro giambico drammatico contempla la possibilità di sostituzioni isosillabiche (una sillaba
lunga [l] o una breve [k] negli elementi ancipiti [x]) e anisosillabiche (due brevi al posto di una lunga [t]
tanto negli elementi lunghi quanto in quelli ancipiti). Il valore prosodico dell’ultima sillaba del verso è
indifferente: essa vale come lunga a prescindere dall’occorrenza di pausa sintattica o di iato. La ricorrente
breve obbligata nel terzo elemento di ciascun metro garantisce la riconoscibilità del pattern ritmico
(analogamente alla breve nel secondo elemento del metro trocaico). Le sostituzioni anisosillabiche, dette
risoluzioni, comportano di poter avere tribrachi (kkk), dattili o anapesti nel primo, nel terzo e nel quinto
“piede”, e tribrachi nel secondo e nel quarto. Si riscontra che i drammi euripidei sicuramente databili
presentano quote di risoluzioni progressivamente più frequenti (con piccole deviazioni che statisticamente non
inficiano il rilievo): a prescindere dai nomi propri, si va dal 6,23% dell’Alcesti (ma 4,25% nell’Ippolito) al
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21,15% delle Troiane (del 415), al 39,41% dell’Oreste (del 408 [?]; ma 37,58% nelle Baccanti e 34,68%
nell’Ifigenia in Aulide, entrambe rappresentate postume).
ii. Cesure e “Ponte di Porson”. Salvo un ridottissimo numero di casi, è rispettata la fine di parola in
corrispondenza della quinta o (meno frequente) della settima posizione (cesura: | ). In alcune occorrenze la fine
di parola è ricercata (talora ciò dipende dalle scelte espressive dell’autore) o evitata; nella tragedia la più
rigorosamente evitata è la fine di parola polisillabica con sillaba lunga nella nona posizione, dove il terzo
ancipite è realizzato da una lunga solo se si tratta di un monosillabo, di un bisillabo in elisione o di un
polisillabo cui appartiene anche la sillaba successiva: è il cosiddetto “ponte di Porson”. In ogni caso il nucleo
prosodico-ritmico è costituito dalla parola fonetica, che include prepositive e pospositive, cfr. OT 99: Poivw/
kaqarmw'/… tivç oJ trovpoç th'ç xumfora'ç…
iii. Antilabai. Il 3ia recitato può essere diviso fra due personaggi, in due o più raramente in tre segmenti.
Nell’Elettra di Euripide ciò avviene a 579-81 e 693.
iv. Enjambement. Questo fenomeno, già attestato nell’epica arcaica e ricorrente anche nella versificazione
moderna, consiste in una tensione fra la sintassi e il metro, quando la struttura sintattica non coincida con la
fine di verso. Sull’enjambement nel trimetro giambico della tragedia, ritenuto in antico una specificità dello
stile sofocleo (sofovkleion ei\do"), sono ottime le intuizioni di Gottfried Hermann nella prefazione all’Elettra
sofoclea, dove il rilevamento delle fini di parola in rapporto alla struttura metrica, che a Porson aveva suggerito
la formulazione di regulae, approda invece alla constatazione di una sorta di doppio registro, effetto
dell’interazione fra schema metrico e verbalizzazione. Hermann cerca di proporre anche per quest’ultima una
descrizione formale. In effetti l’ei\do" sofovkleion pare talora postulare una “segmentazione retorica” che,
concluso il giro espressivo dell’enjambement, anticipa il movimento ritmico in levare che dovrebbe conseguire
alla successiva cesura, o addirittura piuttosto che anticipare la cesura si sostituisce ad essa [Sicking – van
Raalte (1993): 95s.; Marcovich (1984)]. L’esperienza moderna offre il riscontro prezioso dell’esecuzione, nella
quale si constata che «i “versi” che a volte si formano a cavallo di quelli veri difficilmente pervengono a
indebolire (…) la struttura metrica portante» [Menichetti (1993): 494].
v. Forme della recitazione. Anche nelle più antiche attestazioni della tragedia attica le interazioni fra i personaggi
presentano una varietà sostanzialmente affine a quella del teatro moderno, dal discorso lungo (rhesis, rJh'si") al
dialogo più o meno stretto. Monologica o dialogica che sia, la recitazione può avere esclusive o prevalenti
finalità informative verso altre personae e/o il coro, e direttamente o indirettamente verso gli spettatori, oppure
finalità agonistiche, nell’interazione diretta con una o più personae. I caratteri formali, le tematiche e le
funzioni delle parti recitate possono essere così schematizzati:
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tipologia
forma
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funzione
collocazione
svolgimento
a. rhesis a1. monologo
a2. soliloquio
a3. interazione
informativa
informativa
informativa
prologo
episodi
episodi
a4. interazione
b. dialogo b1. interazione
agonistica
informativa
episodi
prologo
b2. interazione
agonistica
episodi
b3. interazione
agonistica
episodi
il prologivzwn definisce il qui e ora dell’azione, espone i precedenti ecc.
una persona manifesta il suo pensiero; solo spettatore ‘interno’ il Coro
un ruolo apposito (Nunzio) o una persona informa altre personae e il
Coro su eventi accaduti altrove o nel passato
il personaggio espone le sue intenzioni, perora la propria causa, ecc.
le personae definiscono il qui e ora dell’azione ecc., nel corso di un
dialogo con parti di una certa estensione
le personae interloquiscono con battute di una certa estensione,
esponendo informazioni e/o intenzioni, argomentando ecc.
idem in un dialogo stretto, con la distribuzione di uno (stichomythia),
due (distichomythia) o più versi a testa
(b) Il recitativo (parakatalogé), cioè il «recitare» (levgein) – distinto dal «cantare» (a[/dein) – su un accompagnamento
musicale» (para; th;n krou'sin). Così Ps. Plut. De musica 1141A. Utili descrizioni in Martinelli (1995): 159-66.
Della parakataloghv come «stadio intermedio tra versi recitativi (sic) e versi lirici» e della corrispondente
esecuzione «in forma solenne di recitazione con l’accompagnamento del flauto» parla Korzeniewski (1998), a
proposito delle sequenze anapestiche “di marcia” (90) e di giambi intercalati alle parti liriche (103 n. 39). Al
carattere “recitativo” dei tetrametri trocaici catalettici accenna van Raalte (1984): 324 – tuttavia si percepisce la
mancanza di un’ulteriore distinzione fra le esecuzioni di versi lirici e recitati, e le modalità di esecuzione in
parakatalogé di anapesti, trochei e giambi.
La parakatalogé si distingue sia dal recitare, assimilato da alcune fonti al pezh/' levgein (pedester sermo), cioè alla
prosa (katalogé), giusta la constatazione che tragicus plerumque dolet sermone pedestri (Hor. P. 95) – ma su
questo si dovrà ritornare –, sia dalla versificazione lirica, poiché questa è connotata dalla coloritura dialettale
dorica, assente invece così nel recitativo come nel recitato. Nella tragedia il recitativo è certamente la modalità di
esecuzione degli anapesti collegati al movimento del coro in entrata e in uscita (anapesti “di marcia”, per
estensione dall’uso militaresco spartano e tuttavia, giova ripeterlo, sprovvisti di tratti fonetici dorici) o, per bocca
del coro o del corifeo, all’annuncio o all’arrivo di un personaggio (quanto alla funzione “di annuncio” nelle
tragedie sopravissute si ricorre una trentina di volte a sistemi anapestici, oltre che, più raramente, ai tetrametri
trocaici catalettici).
– Gli anapesti recitativi (metron: ty ty) sono organizzati in sequenze di dimetri (ty ty | ty ty)
connessi tra loro (“in sinafia”) fino alla pausa finale marcata un dimetro catalettico (paremiaco, di uso frequente
nei proverbi: ty ty | tll). Talora la sequenza finale di dimetri + paremiaco è preceduta da un monometro
(ty ty). Nell’Elettra abbiamo anapesti recitativi detti probabilmente dal Corifeo per salutare l’arrivo di
Clitennestra (988bis-997).
– Secondo la testimonianza di Arist. Po. 49a21-24 i tetrametri trocaici catalettici (4tro^ )
tktx tktx tktx tka||
erano in uso nella fase più antica della tragedia: to; me;n ga;r prw'ton tetramevtrw/ ejcrw'nto dia; to; saturikh;n kai;
ojrchstikwtevran ei\nai th;n poivhsin (da principio usavano il tetrametro perché la composizione era satiresca e
prevalentemente danzata). Essi vengono usati sia con funzione di annuncio (p. es. Eschilo Persiani), sia in fasi di
commiato (spec. in Sofocle), sia in contesti dialogici intensamente marcati dal punto di vista emotivo (come p. es.
nell’Euripide della piena maturità, ma non nell’Elettra). Nei Problemata (pseudo)aristotelici viene designata come
parakatalogé anche l’inserzione, in qualche modo straniante, di versi recitati in un contesto lirico. La pagina dei
Problemata suggerisce che questa commistione esalti il patetico: Probl. 918a10: parakatalogh; ejn tai'" w/jdai'"
tragikovn (…) dia; th;n ajnwmalivan. paqhtiko;n ga;r to; ajnwmale;".
(c) Le parti liriche, con diverse tipologie corrispondenti a diverse modalità esecutive, nelle quali si fa ricorso a
un’ampia varietà di metri e a una caratterizzazione linguistica non-attica grazie all’introduzione di una modesta
quota di dorismi, soprattutto fonetici; questi dovrebbero richiamare i tratti esecutivi della lirica corale ma vengono
adottati anche nelle liriche individuali o nelle parti cantate dai personaggi nel quadro di dialoghi lirici (qui nella
monodia di Elettra, p. es. ai vv. 112 oJrmavn, 115 ejgenovman, 121 zova", ecc.). Le parti liriche, individuali o corali,
possono essere strutturate antistroficamente o astroficamente.
Nell’Elettra sono strutturati antistroficamente, cioè nella responsione fra coppie successive di stanze isometriche
(στροφή = ἀντιστροφή):
1. la monodia di Elettra (2 coppie di stanze: 112-124 = 127-139, 140-149 = 157-166, con l’interposizione di una
mesodo [µεσῳδός] astrofica fra la prima strofe e la corrispondente antistrofe [125s.] e di un’altra fra le due stanze
seguenti [150-156]);
2. la parodo (πάροδος), ovvero canto d’ingresso del Coro e dialogo lirico con Elettra (167-174 [Coro] + 175-189
[Elettra] = 190-197 [C.] + 198-212 [E.]);
3. il I stasimo (στάσιµον), ovvero canto e danza del Coro nella sua sede, l’orchestra (ὀρχήστρα, il “luogo dove
danza il Coro”, cfr. ὀρχέοµαι): due coppie di stanze, 423-476, e un epodo (ἐπῳδός) astrofico, 476-486. Secondo
Aristotele lo stasimo, parte (µέρος) della struttura drammatica comune alle tragedie, marca la fine di un episodio
(ἐπεισόδιον). Ancora Aristotele insiste sul fatto che lo stasimo è cantato e non recitativo. Esso è generalmente
preceduto dall’uscita di scena di uno o più o di tutti i personaggi;
4. il II stasimo (due coppie di stanze, 619-675);
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5. il canto gioioso del Coro (859-879), strofe e antistrofe inframezzate dai 3ia recitati da Elettra; risponde alla
tipologia del canto-danza mimetico definito hyporchema (ὑπόρχηµα);
6. l’avvio corale (due coppie di stanze, 1147-1163) alla scena dell’uccisione di Clitemestra e al successivo
dialogo lirico;
7. il dialogo lirico fra Oreste, Elettra e il Coro (tre coppie di stanze, ciascuna simmetrica anche nella
contrapposizione delle parti: 1177-1232).
Sono invece integralmente astrofici i canti del Coro a 585-595 e 1165-1171. Si tratta di canti infraepisodici: al
primo non corrisponde alcuna entrata né alcuna uscita di personaggi; il secondo, come già 859-879, (supra: 5.) è
un epirrhema (ἐπίρρηµα), cioè un dialogo costituito di 3ia recitati (1165: Clitemestra dal retroscena, 1168: il Coro
dall’orchestra) e da versi cantati dal Coro.
Tanto il dialogo astrofico fra Clitemestra e il Coro, quanto il dialogo strofico fra Oreste, Elettra e il Coro (supra:
7.) sono spesso definiti kommoi (κοµµοί), in quanto vi partecipano il Coro dall’orchestra e uno o più personaggi
dalla scena, con riferimento al tratto formale della definizione aristotelica: «il kommos è un lamento (θρῆνος)
insieme del coro e di attori sulla scena». Tuttavia tanto questi quanto molti degli altri cosiddetti kommoi non sono
propriamente lamentazioni (θρῆνοι) – in E/El. abbiamo un’azione accompagnata dal dialogo melodrammatico
(1165-1171) e il racconto (e solo marginalmente il commento) del matricidio appena compiuto: il dialogo lirico
(supra: 7.) ricopre la medesima funzione svolta dalla rhesis del Nunzio che ha raccontato l’uccisione di Egisto
(761-859).
3. Confronto fra Coefore di Eschilo, Elettra di Sofocle ed Elettra di Euripide:
Aesch.
reggia / tomba di Agamennone
Soph.
reggia / tomba di Agamennone
Eur.
casa agreste sui monti
riconoscimento
uccisione di Egisto
uccisione di Clitennestra
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4. Struttura dell’Elettra di Euripide:
1-166
167-212
213-431
432-86
487-698
699-746
746bis-1146
1147-76
1177-237
1238-359
PROLOGO
I
1-53 Contadino prologizon
II
54-81 Entra Elettra. Dialogo col Cont. Exeunt
III
82-111 Entrano Oreste [Pilade]. 107: rientra Elettra. O. e P. si nascondono
IV
112-66 Monodia di Elettra
PARODO – 167: entra il Coro. Parodo (Coro + Elettra)
I EPISODIO
I
213-340 (215) O. e P. escono allo scoperto. Dialogo Elettra, Oreste, Corifea
II
341-431 Torna il Contadino. Dialogo Elettra, Contadino, Oreste. Cont. exit
431. Gli altri entrano tutti nella casa
I STASIMO
II EPISODIO
I
487-552 Arriva il Vecchio. Dialogo Vecchio, Elettra
II
553-693a Oreste esce dalla casa. Dialogo Oreste, Elettra, Vecchio. (693) O. e
P. escono coi Servi.
577 RICONOSCIMENTO
585-95 Canto di gioia del Coro
III
693b-698 Elettra da sola. Entra in casa
II STASIMO
III EPISODIO
I
746bis-60 preannuncio della fine dello scontro fra Oreste ed Egisto
II
761-73 arrivo del Nunzio
III
774-858 racconto dell’uccisione di Egisto
IV
859-79 canto di gioia del Coro, inframezzato dal recitato di Elettra (86672)
V
880-987 ritorno di Oreste e dialogo tra i due fratelli
VI
987a-1146 arrivo di Clitennestra e dialogo fra Cl. ed Elettra.
III STASIMO (+ commento della Corifea: 1172-6)
KOMMOS (+ la Corifea annuncia l’arrivo dei Dioscuri: 1233-7)
ESODO
5. Cronologia interna all’Elettra di Euripide. Scena. Ingressi e uscite di personaggi e Coro:
Cronologia interna. Lo spettatore sa che l’azione è collocata nell’ottavo anno dall’uccisione di Agamennone (Od.
3.305-6), in concomitanza col ritorno di Menelao (ibidem, 311: αὐτῆµαρ κτλ.; qui 1278-9), il quale parteciperà alle
esequie di Egisto e Clitennestra (Od. 4.546-7).
Scena. Siamo in una zona montana dell’Argolide, davanti alla povera (252, 404, 1139-40) abitazione del Contadino e di
Elettra. Lontana dalla città (298), la casa è su un’altura (210, 489), dalla quale si può scorgere da distante chi sta
arrivando (963-6) Il fiume Inaco forse scorre vicino (1), e certamente è vicino un confine oltre il quale Oreste potrebbe,
se necessario, fuggire (95-7, 251): possiamo dedurre si tratti del confine con l’Arcadia, dove Oreste dovrà fondare una
città (1273-4). La collocazione è quanto mai appropriata al tratto ‘montano’ e ‘selvatico’ che Oreste porta nel nome, cf.
Pl. Crat. 394e: “proprio come rischia di essere appropriato il nome di Oreste, gli sia stato dato dall caso o da un poeta,
perché grazie al nome rende palese la natura ferina della sua indole e quanto possiede di selvatico e di ‘montano’ (τὸ
θηριῶδες τῆς φύσεως καὶ τὸ ἄγριον αὐτοῦ καὶ τὸ ὀρεινὸν)”. La notte, apparentemente senza luna (54), sta per finire
(78-9; 102). Nell’Orestea (a. 458) Eschilo, che non nomina mai Micene, ambienta Ag. e Co. ad Argo. In Sofocle la
scena è collocata davanti alla reggia di Micene. La scena dell’Oreste euripideo (comunque posteriore all’Elettra) è
ancora ad Argo.
Il passaggio scenico centrale dà accesso alla casa di Elettra e del Contadino. Le due parodoi/eisodoi portano (A) nelle
vicinanze della casa (campo, sorgente, abitazioni delle donne che compongono il Coro), e (B) verso Micene, la pianura
dell'Argolide, la zona montana percorsa dal fiume Tanao e confinante con la Laconia, dove abita il Vecchio (409-12). I
Dioscuri compariranno insieme (1238; in part. 1240) sul theologeion (una struttura montata dietro la facciata scenica,
cfr. Di Marco 2009: 58-9), piuttosto che sospesi alla ‘macchina di volo’, µηχανή o γέρανος (‘gru’).
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Questo il gioco scenico degli ingressi e delle uscite (in corsivo i personaggi muti; [›] intra(n)t, [‹] exit/eunt, [ | ] esce
definitivamente):
v.
1
54
81
82
107
167
139
142
338
400
425
431
487
492
500
549
692
698
751
760
858
872
879
961
987
1141
1146
1172
1233
1356
1359
ingr. centrale
A
B
theologeion
Contadino ›
Elettra ›
‹ Cont. Elettra
Or. Pi. Servi ›
Elettra ›
Coro ›
Ancella ›
Contadino ›
‹ Or. Pi. Servi
‹ Elettra
‹ Contadino |
Vecchio ›
Elettra Anc. ›
‹ Anc. |
Or. Pi. ›
‹ Or. Pi. Servi ‹ Ve. |
‹ Elettra
Elettra ›
Messaggero ›
‹ Messaggero |
‹ Elettra
Elettra ›
‹ Pi. Servi
‹ Or.
‹ Cl. |
‹ Elettra
Or. El. Pi. Servi ›
Or. Pi. Servi ›
Clit. séguito ›
‹ Or. |
‹ Coro|
‹ El. Pi. Servi séguito |
Dioscuri ›
‹ Dioscuri |
6, Distribuzione delle parti fra gli attori nell’Elettra di Euripide:
I: Elettra;
II: Oreste, Messaggero (uno dei Servi di Oreste);
III: Contadino, Vecchio, Clitemestra, Castore.
Personaggi muti (kophà prosopa): Pilade, almeno un Servo di Oreste oltre a quello che svolgerà la funzione di
Messaggero, un’ancella di Elettra, Polluce, il séguito di Clitemestra.
Per l’impossibilità di utilizzare più di tre attori, Oreste rivolge ripetutamente la parola a Pilade senza che questi risponda
(82, 105, 111, 1340-1; cfr. Di Marco 2009: 85) Si noti che nelle Coefore il I attore impersona solo Oreste e il II tanto
Elettra quanto Clitemestra. Nell’Elettra di Sofocle il protagonistés copre unicamente il ruolo di Elettra, mentre il
deuteragonistés impersona Oreste, Crisotemide e Clitemestra. Quanto all’estensione delle parti assegnate ai personaggi
principali, la porzione assegnata a Oreste nelle Co. risulta dimezzata in Euripide e ridotta a meno di un terzo in Sofocle,
mentre quella di Elettra viene raddoppiata da Euripide e quasi triplicata da Sofocle. In Euripide Oreste esegue parti
cantate, anche se non estese quanto in Eschilo; invece Sofocle assegna al suo Oreste tutt’al più parti recitate in dialoghi
melodrammatici nei quali le parti liriche sono eseguite da Elettra e dal Coro. Il v. 1240 chiarisce che dei due fratelli di
Clitemestra ed Elena il solo a parlare è Castore.
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IL PROLOGO DELL’ELETTRA DI EURIPIDE
Coefore
Argo, tomba di Agamennone
…
Oreste προλογίζων, Pilade
77
5
10
15
20
25
30
35
21
Or. Pi. si nascondono
22
parodo
85
86
86
121
Sofocle
Euripide
Micene, davanti alla reggia
Pedagogo προλογίζων, Or. Pi.
Elettra da dentro
monti dell’Argolide
Contadino προλογίζων
intrat Elettra
exeunt Contadino Elettra
intrant Or. Pi.
intrat Elettra
Or. Pi. si nascondono
monodia di Elettra
parodo
exeunt Ped. Or. Pi.
intrat Elettra
monodia di Elettra
parodo
ΑΥΤΟΥΡΓΟΣ
Ὦ γῆς παλαιὸν Ἄργος, Ἰνάχου ῥοαί,
ὅθεν ποτ’ ἄρας ναυσὶ χιλίαις Ἄρη
ἐς γῆν ἔπλευσε Τρῳάδ’ Ἀγαµέµνων ἄναξ,
κτείνας δὲ τὸν κρατοῦντ’ ἐν Ἰλιάδι χθονὶ
Πρίαµον ἑλών τε Δαρδάνου κλεινὴν πόλιν
ἀφίκετ’ ἐς τόδ’ Ἄργος, ὑψηλῶν δ’ ἐπὶ
ναῶν γ’ ἔθηκε σκῦλα πλεῖστα βαρβάρων.
κἀκεῖ µὲν εὐτύχησεν· ἐν δὲ δώµασιν
θνῄσκει γυναικὸς πρὸς Κλυταιµήστρας δόλῳ
καὶ τοῦ Θυέστου παιδὸς Αἰγίσθου χερί.
χὠ µὲν παλαιὰ σκῆπτρα Ταντάλου λιπὼν
ὄλωλεν, Αἴγισθος δὲ βασιλεύει χθονός,
ἄλοχον ἐκείνου Τυνδαρίδα κόρην ἔχων.
οὓς δ’ ἐν δόµοισιν ἔλιφ’, ὅτ’ ἐς Τροίαν ἔπλει,
ἄρσενά τ’ Ὀρέστην θῆλύ τ’ Ἠλέκτρας θάλος,
τὸν µὲν πατρὸς γεραιὸς ἐκκλέπτει τροφεὺς
µέλλοντ’ Ὀρέστην χερὸς ὕπ’ Αἰγίσθου θανεῖν
Στροφίῳ τ’ ἔδωκε Φωκέων ἐς γῆν τρέφειν·
ἢ δ’ ἐν δόµοις ἔµεινεν Ἠλέκτρα πατρός,
ταύτην ἐπειδὴ θαλερὸς εἶχ’ ἥβης χρόνος
µνηστῆρες ᾔτουν Ἑλλάδος πρῶτοι χθονός.
δείσας δὲ µή τῳ παῖδ’ ἀριστέων τέκοι
Ἀγαµέµνονος ποινάτορ’, εἶχεν ἐν δόµοις
Αἴγισθος οὐδ’ ἥρµοζε νυµφίῳ τινί.
ἐπεὶ δὲ καὶ τοῦτ’ ἦν φόβου πολλοῦ πλέων,
µή τῳ λαθραίως τέκνα γενναίῳ τέκοι,
κτανεῖν σφε βουλεύσαντος ὠµόφρων ὅµως
µήτηρ νιν ἐξέσωσεν Αἰγίσθου χερός.
ἐς µὲν γὰρ ἄνδρα σκῆψιν εἶχ’ ὀλωλότα,
παίδων δ’ ἔδεισε µὴ φθονηθείη φόνῳ.
ἐκ τῶνδε δὴ τοιόνδ’ ἐµηχανήσατο
Αἴγισθος· ὃς µὲν γῆς ἀπηλλάχθη φυγὰς
Ἀγαµέµνονος παῖς, χρυσὸν εἶφ’ ὃς ἂν κτάνῃ,
ἡµῖν δὲ δὴ δίδωσιν Ἠλέκτραν ἔχειν
δάµαρτα, πατέρων µὲν Μυκηναίων ἄπο
γεγῶσιν (οὐ δὴ τοῦτό γ’ ἐξελέγχοµαι·
λαµπροὶ γὰρ ἐς γένος γε, χρηµάτων δὲ δὴ
πένητες, ἔνθεν ηὑγένει’ ἀπόλλυται),
ὡς ἀσθενεῖ δοὺς ἀσθενῆ λάβοι φόβον.
8
54
81
82
107
112
112
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scena
I
II
III
IV
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εἰ γάρ νιν ἔσχεν ἀξίωµ’ ἔχων ἀνήρ,
εὕδοντ’ ἂν ἐξήγειρε τὸν Ἀγαµέµνονος
φόνον δίκη τ’ ἂν ἦλθεν Αἰγίσθῳ τότε.
ἣν οὔποθ’ ἁνὴρ ὅδε (σύνοιδέ µοι Κύπρις)
ἤισχυν’ ἐν εὐνῇ· παρθένος δ’ ἔτ’ ἐστὶ δή.
αἰσχύνοµαι γὰρ ὀλβίων ἀνδρῶν τέκνα
λαβὼν ὑβρίζειν, οὐ κατάξιος γεγώς.
στένω δὲ τὸν λόγοισι κηδεύοντ’ ἐµοὶ
ἄθλιον Ὀρέστην, εἴ ποτ’ εἰς Ἄργος µολὼν
γάµους ἀδελφῆς δυστυχεῖς ἐσόψεται.
ὅστις δέ µ’ εἶναί φησι µῶρον, εἰ λαβὼν
νέαν ἐς οἴκους παρθένον µὴ θιγγάνω,
γνώµης πονηροῖς κανόσιν ἀναµετρούµενος
τὸ σῶφρον ἴστω καὐτὸς αὖ τοιοῦτος ὤν.
ΗΛΕΚΤΡΑ
ὦ νὺξ µέλαινα, χρυσέων ἄστρων τροφέ,
ἐν ᾗ τόδ’ ἄγγος τῷδ’ ἐφεδρεῦον κάρᾳ
φέρουσα πηγὰς ποταµίας µετέρχοµαι
οὐ δή τι χρείας ἐς τοσόνδ’ ἀφιγµένη
ἀλλ’ ὡς ὕβριν δείξωµεν Αἰγίσθου θεοῖς.
{γόους τ’ ἀφίηµ’ αἰθέρ’ ἐς µέγαν πατρί,}
ἡ γὰρ πανώλης Τυνδαρίς, µήτηρ ἐµή,
ἐξέβαλέ µ’ οἴκων, χάριτα τιθεµένη πόσει·
τεκοῦσα δ’ ἄλλους παῖδας Αἰγίσθῳ πάρα
πάρεργ’ Ὀρέστην κἀµὲ ποιεῖται δόµων.
ΑΥ. τί γὰρ τάδ’, ὦ δύστην’, ἐµὴν µοχθεῖς χάριν
πόνους ἔχουσα, πρόσθεν εὖ τεθραµµένη,
καὶ ταῦτ’ ἐµοῦ λέγοντος οὐκ ἀφίστασαι;
ΗΛ. ἐγώ σ’ ἴσον θεοῖσιν ἡγοῦµαι φίλον·
ἐν τοῖς ἐµοῖς γὰρ οὐκ ἐνύβρισας κακοῖς.
µεγάλη δὲ θνητοῖς µοῖρα συµφορᾶς κακῆς
ἰατρὸν εὑρεῖν, ὡς ἐγὼ σὲ λαµβάνω.
δεῖ δή µε κἀκέλευστον εἰς ὅσον σθένω
µόχθου ’πικουφίζουσαν, ὡς ῥᾷον φέρῃς,
συνεκκοµίζειν σοι πόνους. ἅλις δ’ ἔχεις
τἄξωθεν ἔργα· τἀν δόµοις δ’ ἡµᾶς χρεὼν
ἐξευτρεπίζειν. εἰσιόντι δ’ ἐργάτῃ
θύραθεν ἡδὺ τἄνδον εὑρίσκειν καλῶς.
ΑΥ. εἴ τοι δοκεῖ σοι, στεῖχε· καὶ γὰρ οὐ πρόσω
πηγαὶ µελάθρων τῶνδ’. ἐγὼ δ’ ἅµ’ ἡµέρᾳ
βοῦς εἰς ἀρούρας ἐσβαλὼν σπερῶ γύας.
ἀργὸς γὰρ οὐδεὶς θεοὺς ἔχων ἀνὰ στόµα
βίον δύναιτ’ ἂν ξυλλέγειν ἄνευ πόνου.
ΟΡΕΣΤΗΣ
Πυλάδη, σὲ γὰρ δὴ πρῶτον ἀνθρώπων ἐγὼ
πιστὸν νοµίζω καὶ φίλον ξένον τ’ ἐµοί·
µόνος δ’ Ὀρέστην τόνδ’ ἐθαύµαζες φίλων,
πράσσονθ’ ἃ πράσσω δείν’ ὑπ’ Αἰγίσθου παθών,
ὅς µου κατέκτα πατέρα χἠ πανώλεθρος
µήτηρ. ἀφῖγµαι δ’ ἐκ θεοῦ µυστηρίων
Ἀργεῖον οὖδας οὐδενὸς ξυνειδότος,
φόνον φονεῦσι πατρὸς ἀλλάξων ἐµοῦ.
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νυκτὸς δὲ τῆσδε πρὸς τάφον µολὼν πατρὸς
δάκρυά τ’ ἔδωκα καὶ κόµης ἀπηρξάµην
πυρᾷ τ’ ἐπέσφαξ’ αἷµα µηλείου φόνου,
λαθὼν τυράννους οἳ κρατοῦσι τῆσδε γῆς.
καὶ τειχέων µὲν ἐντὸς οὐ βαίνω πόδα,
δυοῖν δ’ ἅµιλλαν ξυντιθεὶς ἀφικόµην
πρὸς τέρµονας γῆς τῆσδ’, ἵν’ ἐκβάλω πόδα
ἄλλην ἐπ’ αἶαν εἴ µέ τις γνοίη σκοπῶν,
ζητῶν τ’ ἀδελφήν (φασὶ γάρ νιν ἐν γάµοις
ζευχθεῖσαν οἰκεῖν οὐδὲ παρθένον µένειν),
ὡς συγγένωµαι καὶ φόνου συνεργάτιν
λαβὼν τά γ’ εἴσω τειχέων σαφῶς µάθω.
νῦν οὖν (ἕω γὰρ λευκὸν ὄµµ’ ἀναίρεται)
ἔξω τρίβου τοῦδ’ ἴχνος ἀλλαξώµεθα.
ἢ γάρ τις ἀροτὴρ ἤ τις οἰκέτις γυνὴ
φανήσεται νῷν, ἥντιν’ ἱστορήσοµεν
εἰ τούσδε ναίει σύγγονος τόπους ἐµή.
ἀλλ’ εἰσορῶ γὰρ τήνδε πρόσπολόν τινα
πηγαῖον ἄχθος ἐν κεκαρµένῳ κάρᾳ
φέρουσαν, ἑζώµεσθα κἀκπυθώµεθα
δούλης γυναικός, ἤν τι δεξώµεσθ’ ἔπος
ἐφ’ οἷσι, Πυλάδη, τήνδ’ ἀφίγµεθα χθόνα.
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