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PRIMO PIANO
2
23 agosto
La fiancata del
Duomo di Milano,
la cui erezione
iniziò nel 1386.
Tutte le immagini
di queste pagine
sono tratte dal libro
“Ad usum Fabricae”,
catalogo della
mostra omonima
che sarà presentata
oggi al Meeting
(ore 19, sala A3).
Saranno presenti
Mariella Carlotti,
Roberto Crosta,
Erasmo Figini,
Martina
Saltamacchia e
Bernhard Scholz
Quelli che fecero la cattedrale
Nella mostra “targata” Cdo storie, uomini e genesi della chiesa al cuore di Milano. Il racconto delle donazioni di soldati,
mercanti e prostitute per la Fabbrica. E l’identità di vita e lavoro di chi, abitando nelle catapecchie, edificava un capolavoro
Questa è la storia degli uomini che
fecero la cattedrale, e del perché del
loro lavoro. Ormai da anni la Compagnia delle opere ha deciso di preparare ed esporre, nel proprio padiglione al Meeting, una mostra che esprima la natura dell’impegno nel
mondo dell’impresa.
L’esposizione accolta quest’anno
dal padiglione Cdo (“Ad Usum Fabricae”, C1) nasce dal lavoro di
Martina Saltamacchia, Mariella Carlotti e Marco Barbone; il loro incontro ha permesso di mettere a tema le
ricerche e gli studi di Saltamacchia
sul Duomo di Milano, e l’amicizia
cominciata quel giorno ha generato
un lavoro accurato che documenta
l’edificazione della cattedrale meneghina. Il percorso espositivo approfondisce inoltre la storia degli
uomini che finanziarono il Duomo e
le ragioni che portarono un popolo
intero a contribuire all’opera.
LE TRE SALE
La mostra si sviluppa lungo tre sale: il primo spazio illustra l’origine e
la forma del Duomo di Milano e
spiega il concetto di cattedrale come
il luogo della tradizione che meglio
descrive il rapporto dell’uomo con
l’infinito. La seconda sala presenta
invece il “popolo del Duomo”, esemplificato nelle storie di quattro
donatori: Marco, un ricco mercante
milanese; Alessio, un soldato al servizio del duca Francesco Sforza;
Marta, una prostituta d’alto rango e
Caterina, un’anziana indigente che
aiutava gli operai del Duomo pulendo le pietre e trasportando i mattoni
sulle proprie spalle.
La varietà delle voci è resa plastica dall’impeto di gratuità e generosità per la costruzione della cattedrale. Ci sono poi due pezzi originali
dell’archivio della “Veneranda fabbrica del Duomo”: il testamento di
donazione del mercante Marco Carelli e un documento contabile, “dati
e recepti”, che dimostra come la ca-
rità arrivasse a permeare persino un
libro di contabilità. La terza e ultima
sala è dedicata al lavoro, attraverso
uno studio sul cantiere del Duomo,
che sfata il mito secondo il quale una cattedrale è un investimento improduttivo, mostrando come il lavoro della Fabbrica sia stato anche uno
straordinario volano economico per
l’indotto generato. L’impegno di popolo ha infatto prodotto un’incidenza reale e feconda sulla società, generando migliaia di posti di lavoro,
l’invenzione di nuove macchine e
tecniche ingegneristiche e l’ampliamento dei Navigli che è stato alla
base del futuro progresso commerciale di Milano.
Il cuore della mostra intende fissare l’attenzione sul rapporto dell’uomo con l’infinito che crea, poiché
un’opera vera non può che fecondare la società intorno a sé. Questo si
documenta anzitutto nell’esperienza
di significato del lavoro per il popolo del Duomo. Malgrado i secoli, il
richiamo all’attualità è evidente: oggi la crisi economica porta incertez-
za, tanto che l’uomo è tentato di non
iniziare un’opera perché non sa se
domani potrà pagare le tasse o avere
la pensione. Ma chi iniziò a costruire
il Duomo di Milano era matematicamente certo che né lui, né i suoi figli
e nemmeno i suoi nipoti avrebbero
visto l’opera completa: o erano pazzi, oppure la loro concezione del lavoro era diversa dalla nostra.
LA GUGLIA E LE SCIMMIE
Un esempio chiaro di questo è una “guglietta”, realizzata nel XIV
secolo, che raffigura delle scimmie e
dei topi che vi si arrampicano. Lo
scultore sapeva che per cinquecento
anni nessuno l’avrebbe vista, eppure
compì la sua opera d’arte con una
perfezione incredibile. «Quell’uomo» — spiega uno dei curatori al
“Quotidiano Meeting” — era di
fronte al Mistero anche nel lavoro:
la ricerca della perfezione non poteva certo essere per la fama». Il fatto
che siano rappresentati delle scimmie e dei topi dimostra, inoltre, il
rapporto dell’uomo medievale con
la realtà: la creazione intera era un
inno al Mistero incarnato, dove tutto
cantava gloria a Dio.
Per questo uno dei punti chiave
della mostra è la testimonianza della
desiderabile unità tra la vita e il lavoro che permeava la coscienza medievale. Semplicemente, la mentalità
comune restituiva con chiarezza
l’essere nati per costruire cose grandi; e per realizzarle si deve avere
speranza, altrimenti il lavoro non incomincia neanche e si ferma.
Inoltre, per l’uomo del Medioevo,
l’impegno era di fronte a qualcosa di
più grande di sé, religioso o non religioso. La ricerca della perfezione
nel lavoro non era fine a se stessa,
ma in un rapporto costante che rendeva la ricompensa presente. Molti
storici interpretano le donazioni come il semplice “pagamento del Paradiso”, ma la storia di Marco Carelli,
presente all’interno dell’esposizione, dimostra che per i medioevali
non esisteva una separazione fra la
ricompensa spirituale e quella materiale: fama, onore, fede e redenzione
Oggi la presentazione alle 19 in A3
La presentazione della mostra “Ad Usum A margine della mostra è in vendita il cataloFabricae” si terrà oggi, alle ore 19 in
go “Ad Usum Fabricae”, che riuniSala A3. Interverranno Mariella
sce i testi della mostra (a cura di
Carlotti, insegnante e curatriMartina Saltamacchia e Mace; Roberto Cresta, titolare
riella Carlotti) cui aggiunge
della Bordline srl; Erasmo
immagini del Duomo.
Figini, presidente dell’asSempre ai banconi della
sociazione Cometa; Marmostra sono disponibili i
tina Saltamacchia, assidue libri della Saltastant professor of Mediemacchia, entrambi editi
val History alla Univerda Marietti, e dai quali
sity of Nebraska at Oè tratto buona parte del
maha e curatrice. Introdumateriale alla base dell’ece Bernhard Scholz, presisposizione: sono “Milano,
dente della Compagnia delle
un popolo e il suo Duomo”
Opere che “patrocina” l’esposi(2007, 56 euro, 168 pagine illuzione, allestita nel padiglione
strate) e “Costruire cattedrali”
C1.
(2011, 16 euro, 120 pagine).
Bernhard Scholz
della vita erano tutti fusi insieme.
Oggi domina piuttosto un’idea
dualista, innegabilmente meno conveniente, secondo la quale un tornaconto materiale non è genuino, per
l’uomo del Medioevo quest’obiezione non sussisteva. La vera ricompensa era già presente: il rapporto
con l’infinito che edificava la vita.
La gratuità, dunque, coincide con
un guadagno tangibile, anche se non
“monetizzabile”. Il primo aspetto di
questo “guadagno” è la costruzione
di un tessuto sociale fortissimo: il
cantiere forgia l’identità di un intero
popolo e forma, per esempio, giovani architetti, scultori e operai milanesi. E poi c’è la diffusione - collegata alla Fabbrica - dell’indulgenza,
una pratica che testimonia che il Paradiso si avvicinava già con l’opera
svolta sulla terra, nel quotidiano.
LA VITA COME FABBRICA
Ancora una volta, il paragone con
l’attualità misura uno scarto ampio
ma al tempo stesso una grande possibilità: l’obiettivo della mostra non
è riducibile a una generica nostalgia
per i tempi andati.
Piuttosto, la visita impone un richiamo possibile per chiunque, senza bisogno di cattedrali da costruire:
quello del rapporto con l’infinito impresso nel titolo del Meeting: la vita
stessa, se percepita come continua
relazione col suo significato, può diventare una cattedrale. Il problema,
suggeriscono i testi e le immagini,
non è l’oggetto che si ha davanti: a
una guglia del Duomo è possibile
sostituire le sedie del “Denaro” di
Péguy (quelle che non dovevano essere «ben fatte per il salario, o in
modo proporzionale al salario», né
«per il padrone, né per gli imprenditori, né per i clienti del padrone: dovevano essere ben fatte di per sé, in
sé»), o più semplicemente l’occupazione banale e grandiosa di ogni benedetta giornata.
Luca Maggi