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Anna Parisi ALI, MELE E CANNOCCHIALI La rivoluzione scientifica collana diretta da Giorgio Parisi Professore Ordinario di Teorie Quantistiche Università degli Studi di Roma “La Sapienza” © 2002 Edizioni Lapis Seconda edizione: giugno 2003 Nuova edizione: settembre 2007 Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata ISBN: 978-88-7874-072-3 Edizioni Lapis Via Francesco Ferrara, 50 00191 Roma e-mail: [email protected] www.edizionilapis.it Finito di stampare nel mese di settembre 2007 presso Grafica Nappa - Aversa (CE) illustrazioni di Fabio Magnasciutti Introduzione Nelle pagine seguenti, famosi studiosi come Copernico, Brahe, Gilbert, Keplero, Galileo, Gassendi, Cartesio, Torricelli, Pascal, Newton Leibniz, Huygens, Halley, Boyle ti aiuteranno a ricostruire le tappe principali di quella che viene considerata una delle più grandi rivoluzioni scientifiche di tutti i tempi. Questi uomini geniali, durante il periodo che va dalla fine del 1400 alla fine del 1700, riuscirono a scardinare le errate convinzioni che in epoca medioevale si erano radicate nella mente delle persone. Oggi, alcuni ritengono che questa non sia stata la “prima” grande rivoluzione scientifica avvenuta nella storia del pensiero occidentale. Nel periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.), infatti, grandissimi scienziati, come Euclide, Eratostene, Aristarco, Archimede e altri importanti pensatori greci erano arrivati a risultati veramente sorprendenti, avevano sviluppato un metodo di ricerca rigoroso e le loro conoscenze teoriche erano state applicate alla progettazione per la costruzione di strumenti di elevato livello tecnologico. Non a caso questa “seconda” rivoluzione iniziò proprio dall’approfondimento dei testi greci e dalla scoperta dei risultati e dei metodi di ricerca proposti dagli antichi. Come nell’antichità, così durante i primi tre secoli dell’era moderna, la scienza fece enormi progressi e questo grazie alla genialità degli studiosi e alla loro capacità di confrontare idee e teorie. 5 INIZIAMO DALL’INIZIO… Nonostante alcune diversità di vedute infatti, come afferma Keplero: “tutti gli amici della vera filosofia sono chiamati insieme per l’inizio di una nobile riflesione”, una riflessione che si concluderà con la formulazione di quella bellissima teoria scientifica passata alla storia con il nome di “fisica classica”. … E l’inizio non è molto allegro! I greci avevano raggiunto un livello molto elevato di conoscenze scientifiche, ma dopo la conquista degli stati ellenistici da parte dei romani, cosa rimase di quel grandissimo lavoro iniziato da Talete? Veramente ben poco. I testi dei filosofi greci sicuramente arrivarono a Roma e lì vennero letti, non realmente capiti e solo in parte copiati nelle enciclopedie latine, inesatte e superficiali. Gli originali, lentamente, andarono perduti, anche perché con il tempo si perse la capacità di leggere la lingua greca e nessuno si preoccupò di tradurre in latino i volumi antichi prima che questo accadesse. 6 7 Fortunatamente, nelle biblioteche della parte orientale dell’impero, sopravvissero molti volumi antichi come sopravvisse anche la capacità di leggerli. Alcuni studiosi, quindi, potevano ancora approfondire le opere dei grandi filosofi greci; ma anche coloro che oggi vengono considerati i maggiori scienziati della fine dell’evo antico non credevano più che l’uomo potesse riuscire a comprendere le leggi dell’universo. Si chiedevano infatti: «Chi può trovare la causa dei moti celesti? Non riusciamo nemmeno a spiegare perché le stelle siano così numerose, o perché abbiano colori e dimensioni diverse. Possiamo solo dire che Dio ha fatto le cose bene». Dove erano finiti quegli uomini coraggiosi e curiosi che volevano capire tutto? Quegli uomini che si ponevano molte domande e che volevano trovare le risposte nella natura, senza ricorrere all’intervento divino? Proviamo ad allargare la nostra visuale e dirigiamo lo sguardo un po’ più ad est. Il sogno di Aristotele E qui troviamo gli arabi, un popolo intelligente e curioso che vive a contatto con i sapienti popoli orientali, in particolare gli indiani (dell’India, non i pellirosse) e assimila le importanti scoperte scientifiche del mondo orientale. Nel VII secolo d.C. gli arabi conquistarono le coste orientali del Mediterraneo, il nord dell’Africa e la quasi totalità della Spagna. 8 L’impero arabo era governato da califfi realmente interessati allo sviluppo della scienza e del sapere in generale. Nell’VIII secolo d.C. furono invitati a Bagdad, la capitale, molti scienziati e filosofi provenienti dalla Siria, dalla Mesopotamia e dall’Iran. Erano sapienti musulmani, ebrei e cristiani e venendo da diversi paesi, parlavano diverse lingue e avevano assimilato diverse culture. Questo incontro arricchì le conoscenze di tutti. Una leggenda narra che il califfo al-Mamun sognò il grande filosofo e scienziato greco Aristotele che gli chiese di far tradurre in arabo tutti gli antichi libri greci che il califfo fosse riuscito a trovare. Al-Mamun non perse tempo, stipulò importanti trattati con il confinante impero bizantino per ricevere i manoscritti greci ancora esistenti e mise all’opera i suoi migliori uomini, aprendo un importante centro di studi: la Casa del Sapere, simile a quello che era stato il Museo di Alessandria. Per merito del califfo, molti scritti degli antichi greci sono sopravvissuti fino ai nostri giorni grazie alla loro traduzione in lingua araba. 9 Gli arabi, però, non si limitarono a leggere e tradurre i testi greci, ma li studiarono attentamente, aggiunsero diversi contributi significativi, fondarono diverse scuole e portarono nelle terre conquistate il loro immenso patrimonio culturale. L’importanza di conoscere le lingue In Europa occidentale la lingua ufficiale degli studiosi era il latino, il greco era stato quasi completamente dimenticato e nessuno conosceva l’arabo. Ma in Spagna, paese di lingua latina, gli studiosi convissero molti anni con gli arabi dai quali erano stati conquistati e impararono la loro lingua. Per questo proprio in Spagna e specialmente nella città di Toledo, poco dopo l’anno 1000, si iniziò a tradurre i testi scientifici dall’arabo in latino e dalla Spagna questi volumi si diffusero progressivamente in tutta Europa. Tra le prime opere tradotte vi furono alcuni libri di Euclide, di Apollonio, di Archimede e di Tolomeo. Ci si accorse subito dell’importanza scientifica di questi testi e quindi iniziò una vera e propria “caccia” agli originali greci. 10 In Sicilia, terra in cui convivevano popolazioni di lingua greca, araba e latina, furono eseguite le prime traduzioni in latino direttamente dai testi greci. Arabi o indiani? La cultura greca, lentamente, iniziò ad essere conosciuta e studiata, ma specialmente nel campo della matematica, non meno importanti furono i contributi scientifici aggiunti dagli arabi, primo fra tutti l’introduzione dei “numeri indiani”. – Signor Fibonacci, mi hanno detto di rivolgermi a lei per sapere cosa c’entrano gli arabi con i “numeri indiani”. – C’entrano perché gli arabi li impararono dagli indiani, capirono la loro importanza, li utilizzarono nei loro nuovi sviluppi matematici e, soprattutto, li “esportarono” in Europa. – Io non ne ho mai sentito parlare. – Invece tu li usi tutti i giorni. Questi numeri sono: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 0 11 – Non pensavo che i “numeri indiani” fossero proprio i “numeri miei”. Comunque non mi sembra che gli indiani abbiano fatto una grande scoperta. Anche i greci e i romani sapevano contare, solo che scrivevano i numeri in un modo diverso, utilizzando le lettere. Non vedo una grande differenza nella scelta di usare un simbolo o un altro. – Prova a risolvere questa operazione in numeri romani: CVII + III – Penso che riuscirò a cavarmela! Lo traduco nelle mie cifre: 107 + 3= —– 110 – In realtà: CVII + III = —–– CX – Certo, ma CX vuol dire 110! – Con le cifre indiane (che abitualmente vengono chiamate “cifre arabe” perché sono stati loro ad avercele insegnate) è molto ma molto più facile fare i calcoli. Si possono fare le “operazioni in colonna” e questo proprio perché il valore di ogni cifra è dato dalla sua posizione. Quando io scrivo CVII + III, tu nella tua testa “vedi” – Lei dove ha imparato questo nuovo modo di scrivere i numeri? – Sono nato nel 1180, il mio vero nome è Leonardo Pisano, ma tutti mi chiamano Fibonacci che significa “figlio di Bonaccio”. Fin da giovane ho viaggiato in Egitto, Siria e Grecia. Aiutavo mio padre, lui vendeva mercanzia, io tenevo i conti. I mercanti orientali usavano questo modo diverso di scrivere i numeri e facevano i calcoli con estrema rapidità, così l’ho studiato anch’io per poterlo utilizzare. L’ho trovato utilissimo e ho scritto un libro per diffonderlo in Europa il più in fretta possibile. Cultura universitaria Nei primi secoli del medioevo si studiava principalmente nei monasteri dove 107 + 3= —– quindi sommi il 3 al 7, viene 10 e hai il risultato. 110 Ma i poveri studenti antichi romani non potevano farlo perché non utilizzavano la “notazione posizionale”. 12 venivano anche conservati e copiati a mano i libri; la stampa, infatti, non esisteva ancora. 13 Dopo l’anno 1000 cominciarono a sorgere in Europa le universitas, congregazioni di studenti che pagavano alcuni professori per ricevere una preparazione sulle materie scolastiche. La prima delle università europee fu quella di Bologna, la cui nascita si fa risalire al 1088. I maestri bolognesi si concentrarono sullo studio del Corpus Iuris, una raccolta delle norme del diritto romano compiuta dall’imperatore Giustiniano nel VI secolo d.C. Le lezioni si tenevano in latino, lingua parlata dalle persone colte di tutta Europa e gli studenti venivano a studiare diritto a Bologna da diversi paesi. Nel secolo successivo sorsero molte altre università. In Italia, tra le più importanti possiamo ricordare Salerno, Napoli, Padova, Arezzo, Reggio Emilia e Vercelli. In Francia troviamo Parigi, Montpellier e Tolosa, in Inghilterra Oxford e Cambridge ed in Spagna e Portogallo vennero fondate Palencia, Salamanca e Lisbona. I libri di testo Per i testi universitari scientifici, l’autore più “di moda” era Aristotele, anche se i suoi libri erano stati scritti circa 1500 anni prima. Si studiavano i suoi volumi di Fisica (questa parola in greco vuol dire natura), il Del cielo e del mondo, che tratta i problemi del movimento dei corpi celesti, i libri di Meteorologia, dove Aristotele spiega una varietà di fenomeni che avvengono nel mondo sublunare (sotto la sfera della Luna), come i venti, la pioggia, i tuoni e fulmini ed il passaggio delle comete. Cinematica non è una parolaccia Nel XIV secolo nelle università, specialmente al Merton College dell’università di Oxford, in Inghilterra, si comincia a discutere di cinematica La parola “cinematica” deriva dalla parola greca kinema, che significa “movimento”. La cinematica studia il movimento dei corpi, cercando di spiegare come si muovono e rispondendo a domande del tipo: «quanto tempo serve per arrivare da Roma a Milano se viaggio sempre a 110 chilometri all’ora?», ma non interessandosi del perché i corpi si muovano e di cosa li spinga. La cinematica vuole conoscere solo la tua velocità, lo spazio che percorri e quanto tempo impieghi. 14 15 Riunione di gruppo – Cosa vi interessa di più? Facciamo ora conoscenza con un gruppetto di scienziati inglesi. Te li presento: Bradwardine è il più anziano, poi ci sono Heytesbury, Swineshead e Dumbleton. – Studiare le qualità. Infatti, secondo Aristotele, ogni cosa reale è formata da una sostanza e da qualità specifiche. La sostanza è la materia da cui è composto un oggetto e non può cambiare, mentre le qualità possono assumere diversi valori. – Non mi sembra chiarissimo. – È per me un piacere conoscervi, ma scusate la mia ignoranza, non avevo mai sentito i vostri nomi. – Questo non ci meraviglia affatto, primo perché gli scienziati che sono diventati talmente importanti da essere conosciuti da tutti sono veramente pochissimi e secondo perché noi viviamo in un periodo di mezzo. Il mondo greco ha prodotto dei risultati scientifici importantissimi e coloro che vivranno tra un paio di secoli avranno assimilato le conoscenze antiche e saranno pronti a proporre delle nuove teorie estremamente interessanti. Noi stiamo solo preparando la strada. – Basta fare alcuni esempi. Prendiamo un po’ d’acqua che è una sostanza; se cambio l’acqua in terra non avrò più acqua ma terra, che è una sostanza diversa. Ma se scaldo l’acqua, sempre acqua rimane, anche se calda. Il calore è una qualità. Se la tingo di rosso, sempre acqua rimane. Anche il colore è una qualità. Se la butto dalla finestra, l’acqua acquista una certa velocità, eppure sempre acqua rimane. La velocità è quindi, come molte altre cose, una qualità degli oggetti che noi osserviamo. – Bene… e allora? – Allora noi siamo molto interessati a calcolare la quantità di queste qualità. – In particolare, di cosa vi occupate? – Sembra uno scioglilingua… – Studiamo gli antichi pensatori e cerchiamo di capire il loro modo di ragionare e la validità dei loro risultati. – … invece è un problema scientifico. Per scaldare una 16 17 grande pentola d’acqua devo tenerla sul fuoco più a lungo di una pentola piccola, ma alla fine la temperatura delle due pentole sarà la stessa. Per una maggiore quantità d’acqua devo usare una maggiore quantità di calore. Noi vogliamo riuscire a misurare proprio le quantità che le diverse qualità hanno in un oggetto. Anche la velocità è una qualità che va misurata. – Che intendete dire per “misurata”? – Abbiamo bisogno di trovare il modo per stabilire se un oggetto si muova più o meno velocemente di un altro. tempo a raggiungere il traguardo, cioè a percorrere una certa distanza (dalla partenza all’arrivo). – Si potrebbe, però, anche fare il contrario, cioè definire “più veloce” chi, nello stesso tempo, è arrivato più lontano. – È vero, potete anche decidere che bisogna correre per 2 minuti. Quando sono finiti i 2 minuti si dice “stop” e ci si ferma tutti. Chi è arrivato più lontano è stato il più veloce. – Adesso assistiamo ad una gara. Diamo il via a due ragazzini. Questi cominciano a correre, ma uno dei due si ferma ad allacciarsi una scarpa, poi riprende a correre e raggiunge l’altro. Adesso sono passati 2 minuti e noi diamo lo stop. I ragazzi si fermano e risultano essere esattamente alla stessa distanza dalla linea di partenza. Quindi hanno percorso la stessa distanza nello stesso tempo. Hanno corso alla stessa velocità. – Neanche per sogno! Quello che si è fermato ha corso molto più veloce! – Allora la nostra definizione di “più veloce” non funziona sempre. – Basta vedere chi vince una gara di corsa. Fateli partire insieme e guardate chi taglia prima il traguardo. – Beh, un po’ funziona. Se si fa una gara di corsa e uno si ferma peggio per lui, conta solo chi arriva primo al tra- – Quindi tu ci suggerisci di definire “più veloce” il corpo che impiega un tempo minore di un altro a percorrere uno stesso spazio. – Certo che voi parlate in modo molto complicato! Comunque sì, vi suggerisco di definire “più veloce” chi impiega meno 18 19 guardo. Non funzionerebbe, però, se volessimo sapere chi ha raggiunto, durante il tragitto, la velocità più elevata. – È questo il punto. Se un corpo si muove sempre alla stessa velocità, senza mai rallentare o accelerare, noi diciamo che si muove a velocità costante (“costante” significa proprio “che non cambia”) e possiamo conoscerla misurando quanto tempo impiega a percorrere un certo spazio, o quanto spazio percorre in un certo tempo. Il problema nasce quando la velocità non è più costante ma cambia. Se un corpo, ad esempio, aumentasse sempre la sua velocità, si potrebbe sapere che velocità ha in ogni istante? Potremmo chiamarla “velocità istantanea”, cioè la velocità che un corpo ha in un certo, preciso, istante; non l’istante prima, né quello dopo. – E quanto dovrebbe essere piccolo questo “istante”? – Qui è il problema: non lo sappiamo! Abbiamo molte difficoltà. Se potessimo usare delle semplici formule che legano tra loro spazio, tempo e velocità, saremmo estremamente più felici e tutto apparirebbe più semplice… – E perché non lo fate? – Non è facile come pensi. Non ci è venuto ancora in mente… ci penseranno i posteri! Comunque, qualche bel risultato lo abbiamo raggiunto. Ad esempio, abbiamo imparato che se un corpo si muove di moto uniformemente accelerato, lo spazio che percorre in un certo 20 tempo è uguale allo spazio che il corpo percorrerebbe nello stesso tempo se si muovesse con una velocità costante ed uguale alla metà della velocità massima del moto accelerato. – Beh ragazzi, andiamoci piano! Veramente dite cose senza senso e con troppi condizionali. – In realtà non possiamo fare di più, però i nostri studi sulla cinematica sono stati ritenuti interessanti anche in Italia e in Francia, dove sono stati approfonditi. Vai a Parigi e cerca un certo Nicola Oresme. Lui ti aiuterà a capire meglio. La cinematica parigina Nicola Oresme (1323-82) lavorava a Parigi, ma non ebbe difficoltà a conoscere i risultati degli studiosi del Merton College di Oxford perché tutti scrivevano in latino, che nel medioevo era la lingua delle università e dei dotti di qualsiasi paese europeo. Anche Oresme era interessato alla possibilità di misurare le qualità di un corpo, tra le quali la velocità. Per capire meglio i problemi a cui voleva trovare risposta, cominciò a disegnare e questo, come vedrai, lo aiutò molto. Oresme decise di rappresentare su una linea orizzontale il tempo che passa, mentre in verticale rappresentava la velocità di un oggetto. 21 Disegnandolo diventa più semplice. Ammettiamo che un corpo abbia una velocità costante il cui valore sia 20. Se la velocità è costante, vuol dire che non cambia mai. Parte a velocità 20, al tempo 1 ha ancora la velocità 20, al tempo 2… sempre 20. E così via. La figura che si ottiene è un rettangolo. Con questo metodo possiamo disegnare anche il moto di un oggetto che, da fermo, cominci a muoversi aumentando sempre la sua velocità in maniera costante. Al tempo 1 la velocità è 10, al tempo 2 è 20, al tempo 3 è 30, al tempo 4 è 40. Disegnamo questo moto. La forma della figura non è più un rettangolo ma un triangolo. 22 Se guardi la figura dei due moti sovrapposti ti puoi rendere conto che lo spazio percorso dai due oggetti nell’intervallo di tempo che va da 0 a 4 è uguale perché la velocità del corpo A (20) è la metà della velocità massima del corpo B (40). Questo è esattamente quanto affermavano gli studiosi del Merton College. Senza una definizione esatta di velocità, per vel. B la quale si dovrà attendere ancora qualche secolo, è impossibile dimostrare rigovel. A rosamente questa affermazione, ma dal disegno puoi intuire che il corpo B passa la prima metà del tempo ad accelerare per raggiungere la velocità di A, mentre la seconda metà del tempo deve continuare ad accelerare per recuperare lo svantaggio. Raggiungerà A solo quando sarà riuscito a raddoppiare la sua velocità, e non un momento più tardi. Gli studi di questo periodo sul movimento dei corpi non si fermarono qui e adesso dobbiamo dare un’occhiata alla teoria dell’impetus del maestro di Oresme, Giovanni Buridano, professore all’Università di Parigi, vissuto all’incirca tra il 1300 ed il 1358. 23 Chi mi ha spinto? – E cosa dice questa teoria dell’impetus? – Ti ricordi come Aristotele spiega il fatto che la freccia continui a muoversi anche quando è finita la spinta, cioè quando si è staccata dall’arco? – Sì, Aristotele sostiene che l’aria crea dietro alla freccia una specie di vortice che continua a spingere la freccia. continua a muoversi da sola e non si ferma mai se non incontra qualche ostacolo. – Non mi convinci affatto, non ho mai trovato nulla che continui a camminare, camminare e non si fermi mai. – Perché tutto, qui sulla terra, trova la resistenza dell’aria a frenarlo. – Quindi noi non possiamo sapere come si muoverebbe un oggetto se non incontrasse la resistenza dell’aria. – È vero, ma se guardi il cielo puoi ben vedere che il Sole, la Luna, le stelle e i pianeti si muovevano al tempo degli egiziani, si muovono adesso e sono pronto a scommettere che si muoveranno anche nell’epoca futura in cui vivrai tu. – Sì, si muoveranno anche allora… – Bene, questa teoria dell’aria che spinge la freccia non è mai piaciuta molto, già un certo Giovanni Filipono (VI secolo d.C.) l’ha criticata e anche Avicenna (9801037 d.C.), un grande pensatore arabo, sostiene che, una volta terminata la spinta, la capacità di muoversi rimane nell’oggetto. Inizialmente le loro spiegazioni non furono accettate, ma in questo secolo, il XIV, il mio maestro Buridano ripropone l’idea di Avicenna. Lui sostiene che l’arco comunica alla freccia un certo impetus, una spinta. Questo impetus rimane nella freccia anche dopo che si è staccata dall’arco. Così la freccia 24 – … e tu pensi che qualcuno li spinga di continuo? – No… non so… non ci avevo mai pensato… – Buridano afferma che Dio, quando creò il mondo, impresse ad ogni corpo celeste un impeto in modo che continuasse a muoversi senza bisogno di un suo nuovo intervento. – Mi sembra ragionevole… è strano pensare ad un Dio che, ogni tanto, dia una spintarella all’universo. 25 – È quello che pensiamo anche noi. Sarebbe certo meno faticoso “spingere l’universo” se il Sole e le stelle stessero ferme e girasse solamente la Terra, comunque bisognerebbe sempre spingere un po’ se l’impetus non si conservasse. – Perché, voi credete che il Sole stia fermo al centro dell’universo e la Terra gli giri intorno? – Ah, saperlo! Probabilmente è il contrario, ma l’ipotesi è interessante, se girasse solo la Terra sarebbe tutto più semplice e più economico. Nel XIV secolo gli studiosi si dedicarono molto allo studio dei “mondi possibili”, mentre si preoccuparono piuttosto poco dell’osservazione dell’unico universo a nostra disposizione. In questo senso considerarono anche l’ipotesi del moto circolare della Terra intorno al Sole, non perché la ritenessero necessariamente vera, ma solo perché “ci si poteva anche immaginare un universo con il Sole al centro”… perché no? Le idee degli studiosi del Merton College, di Oresme e della scuola di Buridano si diffusero anche in Italia dove vennero approfondite e studiate specialmente all’Università di Padova. ALTRO CHE COMPUTER! La seconda metà del ‘400 vide una serie di invenzioni e scoperte che realmente rivoluzionarono la vita degli uomini in Europa: la stampa, la polvere da sparo, la bussola e la scoperta dell’America. A Magonza in Germania, nel 1456, Hans Gutemberg stampò per la prima volta un libro: una Bibbia. La stampa si diffuse rapidamente e già alla fine del ‘500 esistevano tipografie in 110 città europee, delle quali ben 50 solo in Italia. Prima i libri dovevano essere copiati a mano e per averne uno era necessario aspettare anni. Dopo questa invenzione un volume veniva stampato mediamente in 1.000 copie e i libri esauriti potevano essere ristampati. L’invenzione della stampa contribuì in modo determinante alla circolazione delle idee e all’avanzamento del sapere. Se la stampa facilitò la circolazione delle idee, la bussola facilitò la circolazione delle persone, permettendo di 26 27 viaggiare in alto mare e di seguire la rotta anche nelle notti in cui le nuvole oscuravano le stelle. La polvere da sparo, invece, cambiò radicalmente le tattiche difensive ed offensive. La scoperta dell’America che, avvenuta nel 1492, fu realmente conosciuta da tutti solo molto più tardi, fece capire ai “vecchi” europei la grandezza del mondo e la varietà della natura, mostrando nuove specie animali e vegetali. In Europa arrivarono le patate, il caffè, il mais, il pomodoro (chissà prima come condivano la pasta a Napoli), il cacao, il fagiolo, il tabacco e vennero conosciuti molti nuovi animali come il tacchino, il puma, il caimano, il lama e la lince. Nel 1620, il filosofo Francesco Bacone scriverà che dall’invenzione della stampa, della bussola e della polvere da sparo derivarono grandissimi cambiamenti tanto che: «Nessun impero, nessun gruppo di persone, nessuna stella sembra aver esercitato sulle cose umane un maggior influsso ed una maggiore efficacia». 28 Laboratori artistici Questo periodo, chiamato Rinascimento, vide fiorire le arti: la pittura, la scultura e l’architettura. Nelle botteghe degli artisti, veri e propri laboratori dove lavoravano molte persone e si formavano i giovani, si studiava anche la scienza e ci si dedicava a lavori tecnici e alla costruzione di macchine. In queste botteghe i giovani imparavano a tagliare le pietre e fondere il bronzo per plasmare le statue, studiavano le tecniche per realizzare cupole ed archi e approfondivano l’anatomia (forma del corpo) per dipingere e modellare il più fedelmente possibile la figura umana. Per rappresentare nei dipinti oggetti e persone in prospettiva, bisognava anche conoscere la matematica e la geometria. Proprio gli artisti di questo periodo, infatti, avevano introdotto la prospettiva: la tecnica che permette di disegnare su un foglio piano delle immagini tridimensionali. 29 Gli oggetti più vicini appaiono più grandi mentre quelli più lontani più piccoli, secondo precise proporzioni e regole geometriche. L’artista inventore Questo era il mondo in cui crebbe e lavorò Leonardo da Vinci. Leonardo nacque appunto a Vinci (vicino Firenze) il 15 aprile 1452. Nel 1469 si trasferì a Firenze e a soli 20 anni era già iscritto alla Compagnia dei Pittori. Leonardo ci ha lasciato molte opere e molti scritti su diversi argomenti. – Messer Leonardo, quali sono le sue specialità? – Ho spiegato tutto in una lettera scritta a Ludovico il Moro quando volevo farmi chiamare a lavorare presso la sua corte di Milano: io posso inventare e costruire macchine per la guerra, posso progettare opere di architettura, sono capace di fondere il bronzo e di scolpire, inoltre dipingo meravigliosamente… – … e sa fare anche il caffè? – Il caffè? Ma se la prima volta che sono partito per Milano mancavano ancora 10 anni alla scoperta dell’America! Lasciami continuare: «Et se alcuna de le sopradicte cose a alchuno paressino impossibile e infactibile, me offerò paratissimo ad farne experimento». – Mi scusi, ma come parla? 30 – In volgare! Io sono «omo sanza lettere» (cioè ho studiato poco) e con il latino non me la cavo affatto bene. – Meglio così, io il latino non lo conosco proprio, ma anche con il volgare ho qualche difficoltà, ai tempi miei l’italiano è diventato più semplice. – Che vuol dire più semplice? Per me è più semplice il mio volgare perché l’ho sempre parlato, comunque farò del mio meglio per essere il più chiaro possibile. – Mastro Leonardo, io so che lei è stato un eccellente pittore. La sua fama ha raggiunto tutti i confini della terra e le sue opere sono esposte nei più importanti musei del mondo. Ma questo è un libro di scienza e non capisco perché lei ci sia finito dentro. – Se hai studiato Aristotele, sai che il nostro mondo è composto da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Questi elementi si uniscono e si dividono, si mischiano e si separano, e il nostro mondo è in continuo movimento. Ogni movimento è determinato dalle leggi a cui la natura obbedisce e queste leggi si possono esprimere in forma matematica. L’artista deve conoscerle, altrimenti non può realizzare la sua opera. Ad esempio un architetto, per costruire deve saper bene «quale siano le cagioni che tengano lo edifizio insieme e che lo fanno premanente». – D’accordo, ma tutto questo non serve nella pittura. 31 – E lo dici tu! Come fai a dipingere se non conosci le regole secondo le quali un’immagine arriva al tuo occhio? – Sta parlando delle regole della prospettiva? La visione 3D (tridimensionale) – Certo. La prima regola della prospettiva riguarda la possibilità di disegnare sul piano del foglio, ciò che in natura occupa, invece, uno spazio. È un problema che sicuramente avrai dovuto affrontare anche tu: se una casa si vede in lontananza devi disegnarla più piccola del fiore che vuoi mettere in primo piano. Questa prospettiva equivale a guardare un oggetto dietro ad un vetro piano e ben trasparente. – Come, come? – Prendi un foglio di carta molto, molto sottile, in modo che sia trasparente e fermalo con lo scotch alla finestra della tua camera. Adesso prendi la matita e “ricalca” sul foglio le righe delle case e delle strade che vedi dietro. Questo è il primo tipo di prospettiva. tiva. Prima traccia la faccia del cubo che tu vedi piana (non metterla davanti al punto di fuga, ma un po’ di lato). Fai partire dagli spigoli delle linee rette che arrivano al punto di fuga, quindi disegna gli spigoli più lontani del cubo. Una volta imparato il trucco puoi disegnare quello che vuoi, ad esempio la tua stanza piena di mobili. Alla fine ricordati di cancellare tutte le linee che ti sono servite solo a costruire il disegno. – Tu dipingevi sempre così, appiccicando il foglio alla finestra? – Ma no! Una volta capite le regole, basta applicarle! Prendi il tuo foglio, disegna una riga che rappresenta l’orizzonte e sopra la linea disegna un punto, il “punto di fuga”. Adesso prova a disegnare un cubo in prospet- 32 – È fantastico, sembra veramente tridimensionale! 33 – Sì, ma manca la prospettiva “aerea”! – Che avevi studiato le macchine non lo avevo mai sentito! – Cioè vista da un aeroplano? – Se tu per “macchine” intendi le “automobili”, sono molto contento che non lo abbia mai sentito… quelle erano troppo anche per la mia fervida fantasia. Ma se per “macchine” intendi tutto ciò che è capace di compiere un lavoro, ne ho studiate anche molte ed alcune funzionavano senza bisogno di lavoro umano, come ad esempio questo fantastico girarrosto che vedi disegnato qui a lato. – Ma che aeroplano! Non sono riuscito nemmeno a far volare la mia macchina volante! “Aerea” nel senso che ti devi ricordare che esiste l’aria. – Come fa a girare? – Cosa c’entra l’aria con un dipinto? – Se guardi un orizzonte lontano lo vedi un po’ sfumato, non chiaro e nitido come un oggetto vicino, perché tra te e l’orizzonte c’è una grande quantità di aria e la tua vista ne rimane un po’ offuscata. – Certo, questo è vero. Allora nella pittura bisogna inserire anche l’aria presente tra te e l’oggetto che dipingi? – Esatto. Questo per riprodurre la natura come ci appare. Ho studiato molto i quattro elementi naturali. Un’idea che mi è sempre frullata per il cervello era quella di riuscire ad utilizzare gli elementi naturali per far funzionare una macchina senza bisogno di una forza umana o animale. 34 – Il fuoco scalda l’aria sovrastante, l’aria calda sale facendo girare le eliche di sopra e, tramite un complicato meccanismo, il moto delle eliche si trasmette nuovamente sotto e fa girare il pollo. – Accidenti, un’invenzione di portata mondiale! – Ragazzino insolente, non capisci la grande idea che c’è sotto? Tutto funziona senza che nessun uomo fatichi! – Certo, scusa e che mi dici della tua macchina volante? – Ne ho progettate tante… ma nessuna riusciva a riprodurre quello che gli uccelli sanno fare fin dai primissimi giorni di vita. Ricostruire macchine capaci di imitare la natura è molto, molto difficile perché non conosciamo ancora bene tutte le leggi a cui la natura obbedisce. 35 E Leonardo aveva ragione: capire le leggi della natura ci ha permesso di volare! Leonardo si interessò soprattutto della natura del mondo “sublunare” (la parte di universo situata sotto la sfera della Luna), come lo definiva Aristotele; studiò il comportamento dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) e usò le sue conoscenze per realizzazioni pratiche. Meglio le “stalle” che le “stelle” Molto distanti dagli occhi di Leonardo erano le stelle e i pianeti, troppo inaccessibili per essere interessanti. L’astronomia e l’astrologia erano materie studiate nelle università che Leonardo non frequentò mai. La sua idea sull’astrologia, molto di moda in quel periodo, era chiara: «Dell’influsso degli astri sulle persone non ne voglio nemmeno sentir parlare perché queste teorie non hanno fondamenti scientifici: se guardate le mani di uomini morti nello stesso momento, ad esempio in battaglia, sono tutte diverse e in nessuna loro linea si può riconoscere la loro morte». 36 L’UNIVERSO SOTTO-SOPRA Poco prima che Leonardo compisse 21 anni, il 19 febbraio del 1473, nacque in un altro angolo dell’Europa, a Thorn (Polonia) un certo Niklas Koppernigk che passò alla storia con il nome latinizzato di Nicolaus Copernicus, Nicolò Copernico in italiano. Nicolò rimase orfano di padre ad appena 10 anni di età. La sua famiglia (Nicolò era il più piccolo di cinque fratelli) poté contare sull’aiuto dello zio, un ricco sacerdote allora al servizio del principe di Polonia. Nel 1491, Nicolò si iscrisse all’Università di Cracovia. Smise di studiare prima di laurearsi, ma sappiamo che seguì i corsi di matematica ed astronomia. Nel 1495, con l’appoggio dello zio, Nicolò divenne uno dei sedici canonici della diocesi di Warmja, ma si rifiutò categoricamente di diventare sacerdote. Prima di prendere servizio presso la diocesi, decise di recarsi a studiare a Bologna dove si iscrisse alla facoltà di diritto canonico. Lì abitò nella casa dell’astronomo Domenico Maria Novara (1454-1504) che sicuramente influenzò la sua preparazione e lo incoraggiò ad osservare i fenomeni celesti. Fu proprio a Bologna che Copernico compì le sue prime osservazioni dei cieli ed in particolare studiò i movimenti della Luna che, alle ore 23.00 del 9 marzo 1497, 37 oscurò la stella Aldebaran passandogli davanti. Con le sue osservazioni si rese conto che alcuni dei risultati riportati nell’Almagesto di Tolomeo non erano esatti. Per giustificare la variazione di velocità con la quale noi vediamo la Luna spostarsi nel cielo, Tolomeo aveva ipotizzato un’orbita lunare in cui la Terra si trovava piuttosto lontana dal centro, senza però tener conto che, quando la Luna fosse stata molto vicina a noi, sarebbe dovuta apparire molto più grande di quanto di fatto ci appare. Le spiegazioni geometriche di Tolomeo descrivono bene le posizioni degli astri, ma non spiegano tutti i fenomeni che noi osserviamo e questo, a Copernico, non parve affatto bello! Il modello di Tolomeo non aveva nulla a che vedere con la realtà. Nel 1501, senza essersi laureato, Copernico tornò a casa per un breve periodo e quindi ripartì per Padova dove si iscrisse alla facoltà di medicina. Nel 1503 Nicolò decise di tornare a casa e per non farlo senza uno straccio di pezzo di carta, si laureò, infine, a Ferrara in diritto canonico. Scelse questa università perché le tasse da pagare erano minori che a Padova. 38 Allarghiamo gli orizzonti Tornato in Polonia, si stabilì inizialmente a Heilsberg e quindi a Frauenburg dove curava gli affari della diocesi. I suoi appartamenti erano collocati in una torre e la stanza più alta, dove Nicolò studiava, aveva un terrazzino dal quale si poteva osservare metà del cielo, mentre l’altra metà era coperta alla vista. Questo non andava affatto a genio a Copernico che non si lasciò scoraggiare, acquistò i mattoni e costruì un osservatorio proprio sopra la torre: da qui la vista era finalmente completa! In questa torretta posticcia, costruita con 800 pietre, nacque quella che risulterà essere una delle più grandi rivoluzioni scientifiche che mai la storia abbia conosciuto. Prima di dare un’occhiata alle idee di Copernico devi ricordare una cosa: gli astronomi ritenevano che ogni pianeta fosse ancorato ad una sfera solida che ruotava in cielo. La grande rivoluzione Tra il 1508 ed il 1514, Copernico lavorò ad un volumetto, De revolutionibus orbium coelestis. Commentariolus (Le rivoluzioni delle sfere celesti. Breve commento) che, già nelle 39 sette affermazioni introduttive, conteneva quanto bastava a sconvolgere il modo di pensare di allora. Vediamole: 1. Non esiste un solo centro di tutte le sfere celesti. 2. Il centro della Terra non è il centro dell’universo ma è solo il centro della gravità e della sfera della Luna. 3. Tutte le sfere ruotano intorno al Sole e quindi il centro dell’universo è in prossimità del Sole. 4. La distanza tra la Terra e il Sole è piccolissima in confronto all’altezza del firmamento. 5. Qualunque moto appaia nel firmamento non dipende dal moto del firmamento, ma da quello della Terra. Quindi la Terra, con gli elementi ad essa più vicini (l’atmosfera e le acque che sono sulla sua superficie), compie un moto giornaliero di rotazione completa intorno ai suoi poli fissi, mentre il firmamento rimane immobile. 6. Quelli che ci appaiono come movimenti del Sole non dipendono da un suo reale movimento, ma dal moto della sfera della Terra che ruota intorno al Sole come ogni altro pianeta. La Terra ha quindi più di un movimento. 7. Il moto apparentemente retrogrado (che torna indietro) dei pianeti è dovuto non al loro movimento ma a quello della Terra. Il moto della sola Terra è quindi sufficiente a spiegare tutte le irregolarità che appaiono in cielo. 40 Cosa c’è di strano? Copernico non fu certo il primo a sollevare queste obiezioni. Già Pitagora sosteneva che al centro dell’universo ci fosse un grande fuoco attorno al quale giravano il Sole, la Terra e tutti gli altri pianeti. È vero, il Sole non era al centro, ma non ci stava nemmeno la Terra. In seguito Aristarco aveva descritto il cosmo con il Sole immobile al centro e la Terra che ruotava su se stessa in 24 ore e conpiva un giro intorno al Sole nell’arco di un anno. Dov’era la novità, dov’era la rivoluzione? La prima osservazione da fare è che la Terra che noi abbiamo sotto i piedi è assolutamente ferma, non ci scorre sotto e non scappa. Inoltre la Terra, lo sappiamo bene, è grossa, pesante, e quindi poco adatta a muoversi per l’universo. Ma non basta. Rileggi l’affermazione numero 2: «il centro della Terra è solo il centro della gravità e della sfera della Luna». Anche questo è piuttosto strano; in primo luogo perché a questo punto esistono due centri: uno, nei pressi del Sole, per tutti i pianeti compresa la Terra e un altro, la Terra, per la Luna e per la gravità. Ma mentre è facile immaginare che tutti i corpi pesanti cerchino di raggiungere il centro dell’universo, come diceva Aristotele, non si capisce proprio perché invece 41 debbano cercare di andare verso il centro della Terra, piccolo pianeta come gli altri e per di più in continuo movimento intorno al Sole. Allora i corpi pesanti cercano di raggiungere, in ogni istante, un punto dell’universo diverso, dato che il centro della Terra si muove. E come fanno a sapere dove questo centro si trova in ogni momento? se stessa, allora un punto posto sull’equatore si muove all’incredibile velocità di più di 1.600 km/h! Infatti: 40.000 km / 24 h = 1.666 km/h. La questione americana – Copernico, perché non hai pubblicato il Commentariolus? A che velocità dovrebbe muoversi questa Terra? Per avere un’idea della velocità di rotazione della Terra abbiamo bisogno di saper quanto sia grande e qui ci viene in aiuto proprio la scoperta dell’America! Cristoforo Colombo, infatti, non partì per dimostrare che la Terra fosse tonda, questo lo sapevano tutti già da secoli, il suo scopo era aprire un nuovo canale commerciale con le Indie. Egli pensava di poterle raggiungere in molto meno tempo di quanto gli servì, invece, per arrivare in America, cioè per fare circa la metà del giro che si era proposto. Il suo viaggio dimostrò che la circonferenza terrestre era molto più grande di quanto avesse ritenuto Tolomeo, avvicinandosi, invece, alla misura che aveva calcolato Eratostene intorno al 200 a.C., ovvero circa 40.000 km. Adesso, se la circonferenza terrestre misura 40.000 km e se la Terra impiega 24 h (ore) a compiere un giro su 42 Quando è troppo, è troppo! L’idea di una Terra in movimento non è molto facile da accettare. Lo capì anche Copernico che non pubblicò mai il Commentariolus. – Ho continuato a lavorare sviluppando il mio sistema. Ho impiegato diversi anni a scrivere un libro più grande e più completo: il De Revolutionibus orbium caelestium. – Perché, il Commentariolus non conteneva tutto? – I princìpi erano gli stessi, ma bisognava sviluppare l’intero sistema in modo che si potessero calcolare gli spostamenti dei pianeti. – Cioè avevi bisogno di dimostrare che il Sole fosse veramente al centro dell’universo? – Nel mio modello il Sole non si trova esattamente al centro, ma un po’ spostato. Il centro dell’universo corrisponde al centro dell’orbita terrestre. In ogni caso, se non proprio nel centro, il Sole è fermo ed è la Terra che 43 gira. Ma questo non è possibile dimostrarlo, non esiste nulla che ci mostri inequivocabilmente che la Terra giri. Però, se riesco a calcolare tutti i movimenti dei pianeti e a trovare una spiegazione per i fenomeni che si osservano in cielo, se inoltre il mio sistema sarà più semplice di quello tolemaico, beh, spero che le persone comincino a pensare che è probabile che l’universo sia veramente organizzato come dico io. Avanti o indietro? – Quali sono i fenomeni che ti interessa spiegare? – Ad esempio, i moti retrogradi dei pianeti. Per spiegarli Tolomeo ha dovuto costruire un sistema complicatissimo. Se invece ammettiamo che il Sole sia fermo e che la Terra giri, allora la loro spiegazione diventa molto naturale. Guarda il disegno. Noi vediamo i pianeti fermarsi e tornare indietro rispetto alle stelle fisse. Bene, la Terra gira iniziando, diciamo, da T1. In quel momento Marte si trova in M1 e noi, rispetto alla sfera delle stelle fisse, lo vediamo nella posizione 1. Quando la Terra si trova in T2 e Marte in M2, lo vediamo nella posizione 2, cioè si sta movendo “in avanti” e così anche quando sono nella posizione 3. Quando, però, la Terra è in T4 e Marte in M4, noi lo vediamo nella posizione 4 ed è dunque “tornato indietro” rispetto alla posizione 3 di prima. Questo “tornare indietro” è solo apparente, in realtà Marte è sempre e solo andato avanti, ma anche la Terra è andata avanti e ha raggiunto Marte, così noi lo vediamo nella posizione 4 e ci sembra che sia tornato indietro. La stessa cosa succede nella posizione 5 in cui torna “ancora più indietro” per poi ricominciare ad andare avanti nella posizione 6 e 7. – E tutto questo solo con moti circolari! Lo sai che Platone aveva promesso un premio a quel filosofo che fosse riuscito a spiegare i moti retrogradi dei pianeti con la combinazione di più moti circolari uniformi? – Ma chissà se Platone avrebbe mai accettato l’idea di una Terra in movimento! – E a te come è venuta in mente? – Ho studiato Tolomeo con estrema attenzione e mi sono soffermato su un problema. Prendiamo, ad esempio, il sistema di Marte. Tolomeo aveva costruito la sua sfera intorno alla Terra e quindi l’epiciclo su cui gira il pianeta Marte. L’epiciclo è quel cerchio più piccolo che vedi nel disegno, il cui centro si muove sempre sulla sfera del pianeta. 44 45 Adesso proviamo a cambiare i cerchi. Costruiamo una sfera piccola ed un epiciclo grande. Abbiamo solo scambiato la sfera grande con quella piccola e viceversa. Quello che otteniamo è che dalla Terra vediamo sempre il pianeta nella stessa direzione, sia che usiamo la prima figura, sia che usiamo la seconda. Ma la seconda ha una incredibile novità: il Sole si trova sempre nella direzione che unisce la Terra al centro del cerchio grande. Così è possibile costruire un solo sistema che contenga contemporaneamente il Sole, la Terra e Marte. Adesso, se Marte e il Sole possono essere combinati insieme, forse può esserlo anche Giove. E ci sono riuscito. Piano, piano ho inserito tutti i pianeti in un solo schema. – Ma la Terra mi sembra sempre al centro ed immobile. – In questo modello matematico certamente lo è, ma puoi stare tranquillo: questo modello non rappresenta la realtà. – E come fai a saperlo? 46 Un pallone gonfiato – Per il semplice motivo che le sfere si intersecano, ma le sfere sono solide e come è possibile che si intersichino? Hai mai provato a fare intersecare due bicchieri? Nulla di fatto! Puoi al limite metterli uno dentro l’altro, ma non si intersecheranno mai. – Le sfere? Ma sei proprio sicuro che i pianeti siano fissati su delle sfere solide? – Certo! Altrimenti come farebbero le stelle fisse a rimanere sempre alla stessa distanza le une dalle altre, se non fossero ben posizionate su una sfera solida ed inalterabile? Hai mai guardato un pallone da calcio? Tutto bianco e con dei disegni neri. Perché, secondo te, i pezzi neri rimangono sempre alla stessa distanza rispetto agli altri? Perché sono disegnati su una sfera solida. La tua palla, però, non è inalterabile e se la schiacci puoi vedere bene che le distanze dei disegni neri cam- 47 biano un po’. Questo non avviene mai nelle stelle. E poi ci sarebbe un altro problema: se le sfere non esistessero come si reggerebbe tutta questa roba in cielo? – Beh, allora mi sembra che siamo tornati al punto di partenza: il modello è bello, ma sicuramente non è reale. – È vero, però… se prendi quel modello e… fermi il Sole e… fai muovere la Terra… voilà, tutto risolto: è bello, semplice e le sfere non si intersecano più! – Diamine! Fantastico! È questo che ti ha convinto? – Bene, e allora? – Ho calcolato in questo modo le distanze medie dei pianeti dal Sole, rispetto alla distanza tra la Terra e il Sole (distanza relativa), e poi ho anche calcolato quanto tempo ogni pianeta ci mette a fare un giro completo intorno al Sole (periodo). – Continua. – Il cosmo è meravigliosamente proporzionato! – Cosa stai dicendo? Commensurabilità meravigliosa – Beh, non ancora. Ho iniziato a fare un po’ di calcoli. Ammettiamo che il Sole stia fermo e la Terra giri e guardiamo Venere che è più vicino a noi del Sole. Misuriamo l’angolo tra Venere e il Sole. Questo angolo sarà massimo, se visto dalla Terra, quando Venere si troverà nella posizione A, cioè quando l’angolo segnato con un quadratino, sarà uguale a 90°. L’angolo α (si legge “alfa”) a cui vediamo il Sole lo possiamo misurare. A questo punto i matematici sono in grado di calcolare la distanza tra Venere e il Sole, rispetto a quella tra la Terra e il Sole. In particolare se diciamo che la distanza tra la Terra e il Sole è uguale ad 1, allora quella tra Venere e il Sole risulta di 0,72. 48 – Guarda, i pianeti più vicini al Sole sono anche quelli che ci mettono di meno a percorrere il loro giro e, via pianeta distanza relativa periodo (giorni) Mercurio Venere Terra Marte Giove Saturno 0,387 0,723 1,000 1,520 5,200 9,540 88 225 365 687 4.333 10.759 via che si allontanano dal Sole, impiegano più tempo. Non è stupendo? E anche i dati della Terra tornano perfettamente: è il terzo pianeta più vicino al Sole e ci mette il terzo tempo a fare un giro completo. I dati tornano, la Terra si muove. – Fantastico, hai ragione, ma hai provato a fare gli stessi calcoli mettendo la Terra al centro? 49 – Non è possibile, perché dalla Terra potremmo solo misurare l’angolo a cui vediamo i pianeti e non la loro distanza. Guarda la figura: dalla Terra, tu vedresti il pianeta nello stesso punto sia che lui si muovesse sul cerchio grande che sul cerchio piccolo. – È molto semplice. Mettiti davanti ad uno sfondo qualsiasi, la parete della tua stanza con qualche cosa appeso alle pareti va benissimo. Adesso stendi il braccio davanti a te con il dito indice alzato e guarda il dito e la sua distanza dal bordo di un quadro. Tieni il dito fermo e chiudi l’occhio sinistro, tieni ancora il dito fermo, chiudi l’occhio destro e apri il sinistro. Il dito si è spostato! – Ma io non l’ho spostato. – No, so solo che deve essere molto, molto grande. Sono sicuro che la sfera delle stelle fisse si trovi veramente lontana da noi. – Certo, il dito è fermo ma rispetto al quadro della parete si è spostato a sinistra se guardi con l’occhio destro e a destra se guardi con il sinistro. Questo è quello che si chiama errore di parallasse. – Come fai a dirlo? – E che c’entra con le stelle? – Nelle stelle fisse non si osserva parallasse! – Se la Terra si muove è come se noi guardassimo con l’occhio sinistro quando la Terra è a sinistra e con l’occhio destro quando è a destra e quindi dovremmo vedere le stelle spostarsi di conseguenza, come prima con il dito. Questo spostamento non lo osserviamo mai. L’unica spiegazione è che le stelle siano molto molto lontane. Se provi a guardare un albero lontano chiudendo prima uno e poi l’altro occhio questo errore non lo noti più. – È vero, Copernico, hai ragione. Con un sistema così bello sei riuscito anche a calcolare le dimensioni dell’intero universo? Non ti allargare – Cosa hai detto? 50 51 – Scusa la domanda, Copernico, ma se il lavoro di Tolomeo fosse così tanto sbagliato, perché darebbe dei risultati piuttosto buoni sulle posizioni dei pianeti? – Ma il moto “naturale” dei corpi terrestri è quello rettilineo, non circolare (una pietra cade dritta, non si mette mica a ruotare)… – I nostri modelli danno più o meno gli stessi risultati perché il pianeta, dalla Terra, si vede sotto lo stesso angolo, l’unica cosa osservabile. Il mio professore all’università diceva che un compito il cui risultato è giusto, o non contiene errori, oppure contiene un numero di errori pari, il cui effetto sui calcoli si elimina. – Ma la Terra è una sfera ed il moto naturale delle sfere è rotolare… Contro ogni logica – Perché, allora, tu credi tanto nel tuo modello? – Te l’ho spiegato: esprime un ordine bellissimo nel cosmo e poi, in mezzo a tutti sta il Sole. In effetti «chi, in questo tempio bellissimo (l’universo), potrebbe collocare questa lampada in un luogo diverso o migliore di quello da cui possa illuminare tutto quanto insieme?». Inoltre, che io non sia proprio un pazzo scatenato, lo dimostra il fatto che anche diversi antichi pensatori, come i pitagorici e Aristarco, abbiano affermato che la Terra si muove nell’universo. Se sono pazzo, almeno, non sono il solo! – Bella consolazione! Ma hai calcolato quale fantastica velocità dovrebbe avere la Terra per compiere un giro completo su se stessa in 24 ore? – Per quanto alta possa essere questa velocità, di certo sarebbe molto ma molto inferiore a quella che dovrebbe avere l’enorme sfera delle stelle fisse per compiere lo stesso giro. Infatti la sfera delle stelle è immensamente più grande della sfera della Terra! 52 Quando i geni si vergognano Copernico, in realtà, fu un “rivoluzionario” oltremodo prudente. Aveva paura di esser preso in giro da tutti, tanto il suo modello sembrava assurdo: non è facile pensare che la Terra, così grande e pesante, sia “lanciata” attraverso il cielo. Inoltre l’esperienza quotidiana ci dice il contrario: la Terra che noi abbiamo sotto i piedi è ferma, immobile, e di questo siamo certi! Bisogna anche dire che, per riuscire a far tornare i conti con le osservazioni dei pianeti, Copernico dovette aggiungere parecchie correzioni ai moti delle sfere tanto che, alla fine, il suo universo risultò complicato quasi come quello di Tolomeo. Nella pagina seguente puoi confrontare i modelli. 53 Copernico Tolomeo Probabilmente Copernico non avrebbe mai pubblicato niente se non ci si fosse messo di mezzo un certo Retico, il cui vero nome era Georg Joachim von Lauschen, nato nel 1514 in Rezia (che corrispondeva alle attuali Svizzera e Austria) e quindi passato alla storia con il soprannome di Retico. 54 Professore di matematica, aritmetica e geometria all’università di Wittenberg, in Germania, Retico aveva avuto notizie delle idee di Copernico, ma dato che nulla era stato pubblicato in proposito, decise di andare a trovare direttamente lo scienziato per capire qualche cosa in questa losca faccenda. Retico si recò da Copernico nel 1539 e leggendo il manoscritto del De Revolutionibus si rese immediatamente conto della novità e della forza delle idee di Copernico e decise che era giunto il momento che il mondo le conoscesse. Per questo compose un libro, la Narratio Prima, nel quale espose le idee dello scienziato polacco. Eccone alcune frasi: «La vera intelligenza delle cose celesti, come dimostra Copernico, dipende dai movimenti uniformi e regolari del solo globo terrestre: in questo è indubbiamente presente qualche cosa di divino… Perché non dovremmo attribuire a Dio, creatore della natura, l’abilità che osserviamo presso i semplici fabbricanti di orologi? Essi pongono ogni cura nell’evitare nei loro meccanismi delle ruote inutili…». Fu attraverso la Narratio Prima che il mondo scientifico conobbe le idee di Copernico, ma Retico riuscì a far pubblicare anche il De Revolutionibus. Il 24 maggio del 1543, consegnò una copia del volume nelle mani di Copernico, che vide il suo capolavoro poco prima di chiudere gli occhi per sempre. 55 Che ne pensate? Quali furono le reazioni a queste idee rivoluzionarie? Potremmo definirle quanto meno “freddine”. Alla prima edizione del De Revolutionibus fu aggiunta una prefazione scritta da Andreas Osiander, il pastore della chiesa di San Lorenzo di Norimberga. In questa introduzione, il modello Copernicano veniva presentato come una serie di ottimi trucchi matematici per far tornare i conti e non certo come una descrizione della realtà. Nonostante la prefazione, le reazioni delle Chiese furono durissime. Bisogna parlare di “Chiese” e non di “Chiesa” perché proprio durante la vita di Copernico avvenne lo scisma della Chiesa Luterana. In questo periodo era essenziale per le Chiese definire quale fosse “la verità”, non solo in campo teologico, cioè le verità che riguardavano Dio (dal greco, Theos=Dio, logos=discorso, teologico= discorso intorno a Dio), ma in tutti i campi del sapere. Nel 1539, Martin Lutero, il fondatore della Chiesa Evangelica Luterana, definì Copernico «un astronomo da quattro soldi che si pone in contrasto con la Bibbia». La Bibbia afferma, infatti, che Giosuè ordinò: «Sole, fermati in Gàbaon e tu, Luna, sulla valle di Aialon». Il Sole si fermò, continua la Bibbia e questa era una dimostrazione del suo precedente movimento. 56 Calvino, riformatore religioso francese, condivise la stessa opinione di Lutero, insistendo sul fatto che ogni parola delle Sacre Scritture debba essere considerata verità, anche se parla di problemi scientifici. La Chiesa Cattolica prese una posizione di condanna ufficiale solo più tardi, ma non furono pochi i canonici che, già nei primi anni di vita della nuova teoria, la criticarono pubblicamente dal pulpito, sostenendo che il copernicanesimo violasse il principio secondo il quale ogni scienza dovesse essere subordinata alla teologia. Nessuna scienza può sostenere modelli dell’universo in contrasto con la descrizione che si ricava dalle Sacre Scritture. La teoria copernicana è «stolta, assurda e formalmente eretica», cioè contraria alle verità della fede. Gli astronomi, dal canto loro, furono in generale cauti nell’accettare le nuove teorie, ciononostante molti apprezzarono il lavoro di Copernico, specialmente perché i dati calcolati a partire dal suo modello erano in notevole accordo con le osservazioni dei movimenti planetari. Nel 1551, Erasmus Reinold, pubblicò le nuove tavole astronomiche, calcolate sul modello copernicano, con il nome di Tabulae Prutenicae, in onore del duca di Prussia. 57 NON C’È DUE SENZA TRE La regola “non c’è due senza tre”, sebbene manchi di ogni dimostrazione scientifica accettabile, risulta vera sempre e comunque. Esistevano ormai due sistemi per descrivere l’universo, quindi ne serviva un terzo che non tardò ad apparire. Bisognava, però, farsi venire un’idea intelligente: Tolomeo aveva messo al centro, immobile la Terra, Copernico invece il Sole e Tycho Brahe, cosa altro poteva inventarsi di nuovo? Una nuova stella? Ma il cielo non doveva essere perfetto ed immutabile? Aristotele infatti così affermava, ma la nuova stella c’era, ed era anche estremamente luminosa. Piano, piano, la stella cambiò colore. Tycho Brahe era il nome latinizzato di Tyge Brahe che, nato in Danimarca nel 1546, aveva seguito in modo saltuario alcuni corsi universitari a Lipsia. Tycho credeva fermamente che i fenomeni celesti influenzassero quelli terrestri ed iniziò accurate osservazioni astronomiche mosso da interessi astrologici. Aiutati che il ciel ti aiuta Già a sedici anni scrutava il cielo e fu proprio il cielo ad offrire a Tycho un inaspettato regalo che segnò tutto il resto della sua vita. La sera dell’ 11 novembre 1572, Tycho si accorse che nella costellazione di Cassiopea era apparsa una nuova stella! 58 Passò dal bianco al giallo al rossastro ed al rosso, divenendo sempre più fioca fino a quando, verso l’inizio del 1574, sparì come era apparsa. Tycho aveva osservato attentamente e pazientemente il fenomeno e pubblicato le sue osservazioni nel De nova stella (1573). 59 La pazienza è la virtù dei forti – E chi ha mai detto il contrario? Il re di Danimarca fu colpito dalla sua bravura e volle fargli un regalo speciale: la signoria dell’intera isola di Hveen, dove Tycho fece costruire il bellissimo castello di Uraniborg e installò il più grande osservatorio astronomico fino ad allora costruito. In questo castello molti giovani vivevano, studiavano ed osservavano i moti di stelle e pianeti. – Non hai studiato molto, caro: tutti dicono il contrario! – E per quale motivo? – Secondo Aristotele i cieli devono essere perfetti ed immutabili mentre le comete appaiono e scompaiono. Quindi le comete devono appartenere ai fenomeni meteorologici, tipo la pioggia o la grandine, fenomeni che avvengono solo nel mondo sublunare, dove la materia è composta dai quattro elementi e tutto cambia, tutto si trasforma. – E sei sicuro che non sia così? Il cielo fu ancora generoso con Tycho e gli regalò le comete, apparse nel 1577 e nel 1585. Lui, per ricambiare, le osservò e studiò con attenzione arrivando ad un risultato estremamente interessante. – Tycho, cosa hai scoperto? – Le comete mostrano una parallasse piccolissima (se non ti ricordi cos’è la parallasse, rileggi meglio pagina 51). – Accidenti, molto interessante… e allora? – Questo vuol dire che sono lontane, sono più lontane dalla Terra di quanto lo sia la Luna. 60 – Impossibile, la parallasse è troppo piccola! Tutte le comete da me osservate si muovono nelle regioni eteree del mondo, e non nell’aria al di sotto della Luna, come Aristotele e i suoi seguaci hanno cercato di farci credere, senza una ragione, per tanti secoli. – Ma le comete hanno la loro sfera che ruota, come i pianeti o le stelle fisse? – Secondo la mia opinione, la realtà di tutte le sfere deve essere esclusa dai cieli. È chiaramente provato dal moto delle comete che la macchina del cielo non è un corpo duro e impenetrabile composto di varie sfere reali, come fino ad ora è stato creduto da molti, ma è libero e aperto in tutte le direzioni. 61 La ringrazio della domanda – Oh mamma mia! Ma dici cose più rivoluzionarie di Copernico! – Posso anche dire di peggio. – E cioè? Scritture. Allora io dichiaro, al di là di ogni dubbio, che si debba stabilire che la Terra occupi il centro dell’universo e che non si muova. Ritengo però sbagliato anche il modello tolemaico e penso che solo il Sole e la Luna, che come un orologio segnano il tempo, e la lontanissima sfera delle stelle fisse, abbiano la Terra come centro delle loro rivoluzioni. Mentre i cinque pianeti restanti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) ruotano intorno al Sole come loro guida e re. – Non mi è chiaro. – Guarda il disegno. – Dalle mie osservazioni risulta che le comete si muovano intorno al Sole su “orbe” non circolari ma ovali. – Che significa “orbe”? – Questa domanda viene proprio al momento giusto perché la parola “orbe”, fino a che non sono arrivato io, ha sempre voluto dire “sfera del pianeta”, da me in poi, invece, prende il significato di “orbita”, ovvero di “cammino percorso dal pianeta nello spazio”. – Questa è la novità del tuo modello cosmologico, la mancanza di sfere? – Non sarebbe poco ma le differenze sono comunque maggiori. Il modello del grande Copernico è affascinante, ma egli afferma che il corpo della Terra, grosso e pigro, si muova e questo urta non solo contro i principi della natura, ma anche contro l’autorità delle Sacre 62 63 – Ma la sfera di Marte interseca quella del Sole… – Ripetiamo per i cucuzzoni: le sfere non esistono, i pianeti si muovono nello spazio lungo orbite. Le traiettorie di Marte e del Sole si intersecano, ma i due corpi celesti non potranno mai scontrarsi dal momento che Marte ruota sempre intorno al Sole. Dal disegno puoi capire che non si verificherà mai un pericoloso scontro spaziale. – Ma è mai possibile che in questo periodo vi svegliate tutti con delle nuove idee sull’universo? – Forse non è un caso… forse il fatto che un uomo, in questo caso Copernico, abbia proposto una nuova teoria ha fatto sì che iniziasse una interessante discussione alla quale molti vogliono partecipare. Comunque non preoccuparti, siamo solo all’inizio. Tu sai che io cerco sempre di capire cosa significano i segni celesti. Forse la nascita della nuova stella stava ad indicare l’inizio di un periodo di grandi rivoluzioni nella storia della conoscenza della natura. Non lo so. So solamente che Copernico è stato un genio, anche io non me la sono cavata troppo male… ma il bello deve ancora venire! A proposito di questo, potrei presentarti il mio nuovo collaboratore: Johannes Keplero, come dite voi in italiano, Giovanni Keplero. LE NUOVE ORBITE Giovanni Keplero nacque a Weil nel 1571. Frequentò l’università protestante di Tubinga dove il suo professore di astronomia, Michael Maestlin, insegnava anche il modello copernicano, oltre a quello tolemaico. Maestlin spinse il giovane Keplero a valutare i pro e i contro dei due modelli, con il risultato che Keplero diventò copernicano. Giovane dalle idee bizzarre, quello che lo convinse della bontà del modello eliocentrico (con il Sole al centro) è che in questo caso i pianeti che ruotano intorno al Sole risultano essere solo sei, dato che la Luna gira intorno alla Terra, mentre nel modello tolemaico i pianeti sono sette, dato che anche la Luna gira intorno al Sole. I magnifici “sei” – Scusami tanto, Giovanni, ma perché ti sembra così importante che i pianeti siano sei? – Mi sono proposto di mostrare, nel mio volume Mysterium Cosmographicum, pubblicato nel 1596, che Dio Ottimo Massimo (questo è il modo con cui chiamo amichevolmente il Creatore), nella costruzione del mondo e nella disposizione dei cieli, guardò ai cinque corpi solidi regolari che tanto sono stati celebrati fin dal tempo di Pitagora e di Platone. 64 65 – Certo, la mirabile armonia delle cose immobili, cioè il Sole, le stelle fisse e lo spazio, che corrispondono alla Trinità di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, mi incoraggiò a cercare l’armonia anche nelle cose immobili ovvero i pianeti. – E quale armonia avresti trovato? – E quali sono questi cinque solidi regolari? – Puoi vederli nel disegno. – E perché sono così famosi? – Perché sono le uniche figure solide che possono essere costruite con figure equilatere tutte uguali tra loro. Il cubo è costituito da 6 quadrati che hanno, appunto, tutti i lati uguali, il tetraedro, l’ottaedro e l’icosaedro, rispettivamente da 4, 8 e 20 triangoli equilateri ed il dodecaedro da 12 pentagoni, anch’essi equilateri. – Interessante, ma cosa c’entrano con il cosmo? – Dio Ottimo Massimo dispose numero, dimensioni e movimenti delle cose celesti secondo la proprietà di questi corpi. – Ma sei proprio sicuro? 66 – L’orbe della Terra è la misura di tutti gli altri orbi. Circoscrivi ad essa un dodecaedro, la sfera che a sua volta lo circoscrive è quella di Marte. Alla sfera di Marte circoscrivi un tetraedro, la sfera che lo contiene è la sfera di Giove. Alla sfera di Giove circoscrivi un cubo, la sfera che lo racchiude sarà quella di Saturno. Nell’orbe della Terra iscrivi un icosaedro, la sfera iscritta in esso è quella di Venere. A Venere iscrivi un ottaedro, in esso sarà iscritta la sfera di Mercurio. – Ma veramente credi che queste strane figure l’una dentro l’altra descrivano bene le orbite dei pianeti? 67 – Senti caro, ho provato a trovare altre armonie più semplici, a vedere se, per caso, un’orbita fosse il doppio di un’altra, o il triplo, o il quadruplo, ma non ne veniva fuori niente. Con questa ardita costruzione geometrica, invece, i dati sono piuttosto simili a quelli ottenuti da Copernico. Ho quindi pensato di essere sulla strada giusta! cercando di instaurare una corrispondenza che aiutasse ambedue nella ricerca ma non si è fatto più sentire. Matematico imperiale – Quindi cosa hai fatto? – Mamma mia, ma la persone hanno veramente creduto a questi giochi di figure? – Ho spedito il mio libro a Tycho Brahe e lui è rimasto impressionato dalla mia capacità di fare i calcoli, anche se non condivideva il modello copernicano. A lui serviva un buon matematico e così mi ha chiamato come suo assistente a Praga, dove svolgeva il servizio di matematico imperiale, dopo aver lasciato la Danimarca. – E nessun altro ha fatto commenti? – Mi è arrivata una lettera da un italiano, un certo Galileo Galilei che si è congratulato con il fatto che seguissi il modello copernicano. Secondo me, non aveva ancora letto tutto il mio libro; in ogni caso io gli ho risposto 68 – Ho lavorato con Brahe fino alla sua morte nel 1601 e poi ho preso il suo posto come matematico imperiale. La quantità di osservazioni e l’accuratezza dei dati del «grandissimo Tycho Brahe, astronomo più grande di ogni possibile sua celebrazione» mi hanno aiutato moltissimo nelle mie ricerche, così sono riuscito a completare il mio capolavoro l’Astronomia nova seu Physica coelestis (Astronomia nuova, ovvero Fisica celeste), che ho pubblicato nel 1609. – È veramente importante questo tua nuova astronomia? – Decisamente sì. Ed è anche decisamente “nova”. Dico cose mai dette prima. – In questo periodo mi sembra che siate tutti un po’ maniaci delle novità! – Tu lo sai che i pianeti sembrano cambiare velocità? Ogni tanto sembra che vadano più lenti, ogni tanto più veloci. – Certo che lo so, per questo gli astronomi hanno sempre cer- 69 cato di comporre i moti in modo da spiegare quest’apparente variazione di velocità. – Bene, la variazione di velocità non è affatto apparente ma reale: i pianeti cambiano veramente velocità. – Non ci credo, come fai a dirlo? – Perché il raggio che congiunge il Sole al pianeta copre aree uguali in tempi uguali, ed è vero, le misure tornano! – Spiegami cosa vuol dire. – Guarda il disegno. Se il pianeta ci mette un certo tempo ad andare da P1 a P2, ci metterà lo stesso tempo ad andare da P3 a P4 se l’area dell’arco di cerchio A risulta uguale all’area dell’arco di cerchio B. – E questo che c’entra con le velocità? – Beh, vedi tu stesso che il tragitto tra P1 e P2 è più piccolo di quello tra P3 e P4. Se il pianeta ci mette lo stesso tempo a percorrerlo, vuol dire che dovrà andare più lento. Però il disegno è sbagliato perché le orbite non sono circolari. – Cosa stai dicendo? 70 Non più cerchi! – L’orbita di ogni pianeta è un’ellisse perfetta di cui il Sole occupa uno dei fuochi. Solo questa descrizione torna con le osservazioni delle posizioni e delle velocità dei pianeti. – Ma non è possibile, le orbite sono sempre state circolari! – Infatti nessuno riusciva, con un solo cerchio, a descrivere veramente i moti dei pianeti. Ho provato a calcolare le posizioni dei pianeti utilizzando tutte le possibili orbite circolari, ma niente, i dati delle osservazioni risultavano sempre in disaccordo. Avevo un errore di circa 8 minuti di grado! – Non mi sembra un errore molto grande! – Bene, con le orbite ellittiche, questo errore scompare ed inoltre basta una sola figura per descrivere l’orbita, non servono più diversi cerchi ma una sola ellisse. – Cos’è, esattamente un’ellisse? – È la figura in alto. Se vuoi sapere come la definiscono i matematici vai a pagina 164. Per disegnarla puoi mettere due puntine in A e B (questi punti vengono chiamati fuochi dell’ellisse) e legarci intorno una cordicella un po’ lunga. Come nel disegno, metti la matita nel filo e falla girare stando attento che il filo rimanga teso. Ecco la tua ellisse. 71 I pianeti percorrono un’ellisse ed il Sole occupa uno dei fuochi della loro orbita. – Questo è quello che tu hai scoperto? La musica dell’Universo – Non basta, ho continuato a cercare le armonie che governano l’universo ed ho pubblicato, nel 1619 un volume intitolato Harmonices mundi libri quinque (Cinque libri sull’armonia del mondo) in cui ricerco, oltre ai rapporti geometrici tra le orbite, cosa che avevo già esposto nel Mysterium, anche le armonie musicali, dato che Dio non è solo un geometra, ma anche un musico. – Ma queste sono le idee di Pitagora, mi aspettavo qualche cosa di più moderno! – E mica era stupido Pitagora! Però io sono andato un po’ più avanti nella ricerca delle armonie, e posso affermare che: «È un fatto assolutamente certo ed esatto che la proporzione dei quadrati dei tempi periodici di due pianeti scelti a piacere è esattamente come la terza potenza della proporzione tra le loro distanze medie, e cioè tra le loro stesse orbite». – Cosa hai detto? – Ho enunciato la “terza legge di Keplero”, che trovi spiegata a pagina 165. – Grazie. 72 – Comunque non preoccuparti, non è tanto importante capire esattamente la formula. È importante, invece, sapere che esiste una relazione precisa tra il tempo che i pianeti impiegano a fare un giro completo intorno al Sole e la loro distanza dal Sole. Inoltre, è importantissimo poter scrivere questa relazione in forma matematica. Sembra proprio che la natura obbedisca a leggi matematiche e questa non è una piccola scoperta. L’universo “conosce” la matematica e la geometria e anche bene, l’ellisse, infatti, non è mica una figura tanto semplice! Per arrivare a questa relazione, bisognava veramente avere la tenacia, la pazienza, e forse anche la fede incrollabile nell’esistenza di armonie nell’universo che aveva, appunto, Keplero. Prima di arrivare a formulare la sua legge, egli aveva provato tutte le relazioni tra periodo e distanza che gli erano venute in mente. Qualsiasi altro comune mortale si sarebbe annoiato prima ed avrebbe abbandonato la ricerca. Ma Keplero no: l’armonia esisteva e lui doveva trovarla. Le tre leggi di Keplero (che trovi riassunte a pagina 164) si studiano ancora oggi sui banchi di scuola ma, ai suoi tempi, crearono invece qualche imbarazzo, mettendo in piena evidenza il più grande dei problemi da risolvere: 73 se i pianeti si muovono liberamente su orbite ellittiche e per di più con una velocità variabile, perché non cadono e perché non si fermano mai, cosa li spinge? Non sta in piedi Keplero fornì una spiegazione al problema del continuo movimento dei pianeti. Ma prima di conoscerla dobbiamo dare uno sguardo agli studi pubblicati nel 1600 dall’inglese William Gilbert (1540-1603), nel volume De magnete. Gli aghi magnetici delle bussole puntano sempre il nord della Terra. Gilbert voleva capire perché e fece molti esperimenti studiando in particolare i magneti sferici; arrivò alla conclusione che la Terra si comporta come una grande calamita. Per questo l’ago segna sempre il nord. Keplero aveva letto il De magnete e, come Aristotele, credeva nel fatto che ogni corpo potesse compiere un movimento solo nel caso in cui ci fosse stato un motore a farlo muovere. Appena il motore avesse terminato la spinta, il corpo si sarebbe fermato. Quindi i pianeti avevano bisogno di un motore che funzionasse sempre e sempre li spingesse per il cielo. Queste le convinzioni di Keplero: 74 «La mia costruzione fu infine terminata con l’aggiunta del tetto, quando dimostrai che il moto dei pianeti deve essere prodotto da una facoltà magnetica corporea. I motori dei pianeti appaiono essere, con ogni probabilità, simili a quella qualità che è nel magnete che tende verso il polo e attrae il ferro. Solo per spiegare la rotazione locale del corpo del Sole sembra sia necessaria la forza proveniente da un’anima». Il tono di questa spiegazione è meno deciso di quello che Keplero usa per le altre dimostrazioni. Appaiono espressioni tipo “con ogni probabilità”, oppure “sembra sia necessaria”, in ogni caso, anche se non era convintissimo, aveva comunque cercato una spiegazione accettabile. Keplero non assomiglia affatto a quello che noi potremmo definire uno scienziato moderno: credeva nel potere degli astri, studiava i pronostici, affermava che il Sole avesse un’anima e ricercava la musica nei pianeti; nonostante questo ci ha regalato le tre leggi fondamentali sul moto dei pianeti. Fu probabilmente a causa del suo atteggiamento “molto fantasioso” che Galileo Galilei non lo prese mai troppo sul serio. 75 I CIELI NUOVI Ma chi era questo signore? Galileo Galilei nacque a Pisa, il 15 febbraio 1564. Iniziò gli studi di medicina, che poi abbandonò per dedicarsi alla matematica. Il suo maestro, Ostilio Ricci, trasmise all’allievo la sua grande ammirazione per Archimede. Dobbiamo ricordarci che Archimede affrontava i problemi di fisica con gli strumenti matematici e questa idea rimase sempre ben fissa nella mente di Galileo: per descrivere la natura deve essere usata la matematica. certi che questi non impiegarono lo stesso tempo ad arrivare a terra. Nel 1592, Galileo lasciò Pisa ed andò ad insegnare all’università di Padova, dove iniziò ad approfondire l’astronomia. Studiava il sistema copernicano e insegnava quello tolemaico. Ad un certo punto cominciò ad interessarsi al fenomeno delle maree e pensò che potesse essere un segno del movimento della Terra: questi ragionamenti lo convinsero della bontà delle idee di Copernico. La torre di Pisa A venticinque anni, Galileo divenne professore di matematica presso l’università di Pisa. Si narra che in quegli anni Galileo facesse esperimenti lasciando cadere oggetti dalla torre di Pisa per dimostrare che arrivavano a terra nello stesso istante, ma sembra oggi impossibile pensarlo, dato che a quei tempi Galileo ancora non riteneva vero che due corpi dai pesi diversi, se lasciati cadere insieme, arrivassero a terra allo stesso istante. Se poi, salendo sulla famosa torre, egli perse contemporaneamente la moneta e il fazzoletto, possiamo essere 76 Fino al 1609, Galileo si occupò principalmente dello studio dei movimenti dei corpi e dei periodi di oscillazione dei pendoli. Su questi argomenti arrivò a risultati importanti, ma li vedremo in seguito. Per adesso cerchiamo di capire come, nel 1609, da oscuro insegnante universitario che non aveva ancora pubblicato nulla, Galileo sia diventato, nel giro di pochissimo tempo, uno degli uomini più importanti e conosciuti della sua epoca. 77 Il cannocchiale – Galileo, hai visto gli U.F.O.? Nella primavera del 1609, Galileo venne a sapere che gli occhialai dei Paesi Bassi costruivano un oggetto guardando attraverso il quale si vedevano le cose ingrandite. Pensò subito di rivendere l’idea, come se fosse sua, alla Repubblica Veneziana, per la quale lavorava come professore all’università di Padova. – Non dire stupidaggini, ho guardato la Luna. Il favoloso oggetto si chiamava cannocchiale e poteva essere utilizzato per scrutare il mare ed accorgersi dell’arrivo di navi, prima di quanto fosse possibile ad occhio nudo. Questo procurò a Galileo molti elogi da parte del doge ed un aumento di stipendio, ma non la notorietà internazionale. Il doge venne poi a sapere che il cannocchiale già si usava nei Paesi Bassi e si adirò con Galileo che era riuscito ad ottenere un aumento di stipendio senza averne diritto! Galileo decise allora di conquistarsi un merito reale, davanti al doge e a tutta l’umanità: puntò il cannocchiale dritto verso il cielo, proprio nello stesso anno in cui Keplero pubblicava la sua Astronomia nova. Il cannocchiale permise a Galileo di osservare cose veramente mai viste! 78 – Beh, potevi anche “lanciarti” un poco più lontano… – Sulla Luna ci sono montagne e valli, la sua superficie è simile a quella terrestre. – Ma che dici? Aristotele ha affermato che la Luna, come tutti i corpi celesti, è perfetta ed immutabile! – La superficie della Luna è simile a quella della Terra. Specchio, specchio delle mie brame… – Questo me lo hai già detto, ma ti dimostro che stai sbagliando. La Luna rispecchia la luce del Sole, quindi la sua superficie è perfettamente levigata e simile a quella di uno specchio. Hai mai visto un pugno di terra riflettere la luce? – La superficie della Luna è simile a quella della Terra… – Sì, sì questo l’ho capito ma… – … ed è proprio per questo che rispecchia la luce del Sole. – Cosa stai dicendo? – Prendi uno specchio ed appendilo fuori, su una parete di una casa bianca, illuminata dalla luce solare. E adesso guarda bene cosa riflette meglio la luce del Sole: lo specchio o la parete della casa? 79 – La luce che mi viene dalla specchio mi acceca… ma se mi muovo un po’ e cambio posizione… lo specchio mi appare tutto nero!?! – Ah, e la parete? – La parete mi sembra sempre luminosa, da qualsiasi posizione la guardi! – Ah! E chi ha ragione? La superficie della Luna è simile a quella della Terra! – Ok, ok, mi hai convinto. Cos’altro hai visto con il cannocchiale? L’universo si popola di stelle e pianeti – La Via Lattea è formata da tante, piccolissime stelle. – Cos’è la Via Lattea? – Hai visto altro di strano? – Giove ha quattro lune. – Non ti sembra di esagerare? Di Luna ne esiste una sola e finora nessuno si è sognato di farla girare intorno a Giove! – Sto parlando di altri quattro, nuovi, corpi celesti. Cioè, scusa, non nuovi, solo mai visti prima perché non sono visibili ad occhio nudo. Quattro corpi celesti che girano intorno a Giove come la Luna gira intorno alla Terra. 07 - 01 - 1610 08 - 01 - 1610 09 - 01 - 1610 “tempo nuvoloso” 10 - 01 - 1610 11 - 01 - 1610 12 - 01 - 1610 13 - 01 - 1610 14 - 01 - 1610 “tempo nuvoloso” 15 -01 -1610 – Ma sei sicuro? – Se leggi il mio Sidereus Nuncius, pubblicato nel 1610, avrai un’idea chiara di tutto quanto ho visto, ma dato che sono gentile, ti ho riportato i disegni delle mie osservazioni. – Cosa hai pensato dopo tutte queste osservazioni? – Quando guardi il cielo in una notte buia, lontano dalle luci della città, puoi vedere una striscia più chiara, biancastra: la Via Lattea. Ecco, se la guardi con il cannocchiale, vedi tante piccole stelle, talmente lontane dalla Terra, ma vicine tra loro, da sembrare un’unica striscia più chiara se le guardi ad occhio nudo. 80 – L’universo non è fatto come dice Aristotele! Non esiste differenza tra “cieli” e Terra, i pianeti e le stelle sono costituiti da materia simile a quella della Terra. La Terra gira, come tutti gli altri pianeti. La teoria copernicana è valida. – Che i corpi celesti siano simili alla Terra, l’ho capito, ma non vedo perché questo ti faccia ritenere valide le idee di Copernico. 81 … Chi è la più bella del reame? – Ci sono anche altre prove. Ad esempio, secondo la teoria copernicana, Venere, girando intorno al Sole, dovrebbe apparirci di dimensioni diverse: grande se è vicina e piccola se è lontana. Inoltre non si dovrebbe vedere sempre “la Venere piena”, ma come la Luna dovrebbe presentare delle “fasi”: un quarto di Venere, mezza Venere e niente Venere, per poi ricominciare a crescere (guarda il disegno). Ad occhio nudo, Venere sembra sempre un piccolo punto brillante, ma col cannocchiale… ecco, si osservano le fasi di Venere e anche le sue variazioni di dimensione. Questo non si può assolutamente spiegare con il modello tolemaico. La pubblicazione del Sidereus Nuncius ebbe una grandissima eco: con le sue osservazioni Galileo non aveva solamente scardinato l’universo di Aristotele e Tolomeo, aveva anche proposto l’utilizzo di uno strumento tecnologico per ampliare gli orizzonti della ricerca scientifica. Questo apriva un nuovo problema: per- 82 ché con un cannocchiale si riuscivano a vedere le figure ingrandite? Quello che si osservava attraverso questa nuova “macchina” corrispondeva alla realtà o era solamente un’illusione ottica? Per adesso lasciamo perdere le risposte, ma notiamo un fatto curioso: la scoperta dei satelliti di Giove fu così importante che, ad esempio, nella cittadina universitaria di La Flèche, in Francia, fu celebrata una festa pubblica in onore di Galileo. Tra le strade della cittadella, durante la festa, girava un ragazzetto quattordicenne, di nome René Descartes. Questa informazione per adesso ci sembra poco importante… Tutti i nodi vengono al pettine Molti astronomi dell’epoca non credettero alle osservazioni di Galileo. Per sostenere le sue ragioni, Galileo cercò allora l’appoggio di Keplero, che a quel tempo ricopriva l’importante carica di matematico imperiale. Keplero ricevette una copia del Sidereus Nuncius e fu così signore da mandare alle stampe la risposta intitolata 83 Dissertatio cum nuncio sidereo, sebbene Galileo non gli avesse mai risposto quando lui, da giovane, cercava un parere sulla sua opera. Keplero, però, non si lasciò sfuggire l’occasione di mostrare il suo disappunto nei confronti dello scienziato pisano: «Non credo che Galileo, l’italiano, si sia meritato che io, il tedesco, debba adularlo rimodellando la verità o le mie convinzioni più profonde secondo le sue idee». Nella continuazione di questa lettera, comunque, Keplero dimostrò una grande stima per il lavoro di Galileo e per i suoi risultati, aggiungendo che «tutti gli amici della vera filosofia sono chiamati insieme per l’inizio di una nobile riflessione». Al di là della apparenze – Senti, Galileo, io posso anche crederti sulla parola per quanto riguarda le tue osservazioni, posso anche accettare che il modello tolemaico non funzioni, ma quello di cui io sono certo è che la Terra che ho sotto i piedi è ferma, immobile. – Certo! – Bene. Tu mi stai spiegando che se mi trovo in piedi su un carro fermo e lancio una freccia in avanti percorrerà una certa distanza e se la lancio indietro percorrerà la stessa distanza. Giusto? – Giustissimo. – Se, invece, il carro cammina e lancio la freccia in avanti, questa toccherà terra ad una certa distanza dal carro mentre, se la lancio all’indietro, la distanza tra la freccia conficcata al suolo ed il mio carro sarà maggiore, poiché nel frattempo, il carro si è mosso in avanti. – E come fai a dirlo? – Come lo dicevano gli antichi, come lo hanno sempre detto tutti: se lasciamo cadere un sasso da una torre, quello cade ai suoi piedi e non un po’ più ad ovest, come sarebbe giusto se la Terra, nel frattempo, avesse girato un po’ verso est. Se lancio una freccia verso est o verso ovest, la freccia percorre sempre la stessa distanza, dovrebbe, invece, percorrere molto spazio verso ovest e pochissimo verso est, dato che mentre la freccia è in volo, la Terra si sarebbe mossa nella direzione opposta. – Sei sicuro di quello che dici? 84 – Vedo che cominci a ragionare. – Bene, prova! – Cosa vuol dire “prova”? – Cercati l’occorrente e prova! – Ma dove la trovo questa roba? – Allora vai su una nave, quando 85 il mare è liscio come l’olio. Quando la nave viaggia a velocità costante, recati sotto coperta. Secondo te, lanciando degli oggetti in tutte le direzioni saresti in grado di dire in che verso si sta muovendo la nave? – Non so, non ci ho mai provato, ma dove la trovo una nave? – D’accordo. Quando vivrai tu, esisteranno i treni, alcuni anche molto veloci, o, meglio ancora, gli aerei, velocissimi. Se sei su uno di questi mezzi e ti stai muovendo a velocità costante (non è valido se il treno o l’aereo stanno frenando o accelerando) e lanci una palla in avanti cade più vicina a te che se la lanci indietro, dato che mentre la palla è in volo il treno o l’aereo si è spostato in avanti? – No, ma… – E sei hai portato il tuo pesciolino rosso, tutta l’acqua della boccia si sposta dal lato verso la coda del treno o dell’aereo? – No, non mi sembra… – E se guardi fuori dal finestrino del treno sei veramente sicuro che sia tu a muoverti e non gli alberi a venirti incontro? – Ti sei messo da solo con le mani nel sacco! Sono io a muovermi, gli alberi rimangono ben fissi nella terra! – Questo lo dici solo perché gli alberi non hanno piedi. Ma se sei ancora in stazione, vicino ad un altro treno, ed inizi piano a piano a muoverti, non ti sembra, forse, 86 che sia l’altro a spostarsi nella direzione opposta? – Purtroppo hai ragione tu. Sì, mi è capitato di muovermi e pensare che si muovesse l’altro. Basta, mi hai distrutto. Che fatica parlare con te! – Come che fatica? Siamo solo all’inizio! Siamo arrivati a dire che se ti muovi di moto uniforme, senza accelerare o frenare, non puoi dire se veramente ti stai movendo o se invece stai fermo. – Questo lo stai dicendo tu! – Certo, è solo il riassunto della nostra discussione. Se sei su un treno, o un aereo, o una nave o una macchina e ti muovi sempre alla stessa velocità, se non guardi fuori non puoi assolutamente sapere se ti stai movendo o se stai fermo. Se lanci una palla con la stessa forza, questa percorrerà la stessa distanza in tutte le direzioni, se hai il tuo pesce rosso, si muoverà nella sua boccia esattamente come si muoveva quando stava a casa tua, se lasci un oggetto, cadrà in verticale e non spostato. – Aspetta, aspetta, questo non lo abbiamo discusso. – Bene. Stiamo in treno, su un rettilineo, ed il treno va veloce, diciamo che va a 10 gradi di velocità. – Che significa “10 gradi di velocità”? 87 – È una misura che noi diamo alla velocità: un grado di velocità è lento, 10 gradi di velocità è piuttosto veloce. Ok? – Allora se io lascio cadere un sasso da una torre, il sasso cade ai suoi piedi anche se la Terra gira? – Colpito e affondato. Su questo punto hai vinto tu. – Galileo, “ok” in bocca ad uno studioso del 1600 suona veramente male! – Allora ti ho convinto che la Terra gira? – Perbacco, mi costringi a parlare di treni e di aerei e ti meravigli di un semplice “ok”! Non perdere il filo del discorso. Allora, stai sul treno, ti sei stufato del viaggio e ti metti a giocare con una palla: la tiri in aria e poi la riprendi in mano. – Figuriamoci, per adesso mi hai solo convinto che, se anche girasse, io non potrei accorgermene. Ma forse stai dimenticando un altro piccolo problemino: tutto, in questo mondo è fermo. Si muove solo se qualcuno gli dà una spinta o, come diceva Aristotele, se una forza lo fa muovere. Vuoi un esempio o lo capisci da solo? – Gioco veramente entusiasmante! – È probabile, anche se non sicuro, che io abbia una intelligenza sufficiente per capire quello che dici. – Più di quanto pensi. Sei sicuro di poterlo fare? – Pensi forse che non sia capace di tirare una palla in alto e poi riprenderla? – No, penso che mentre la palla è in aria il treno gli si muove sotto e quindi non atterrerà più sulle tue mani ma sulla testa di qualche signore seduto alcune file dietro. – Assolutamente no. Se tiro la palla dritta in alto, quella dritta sale e dritta riscende nelle mie mani. Se invece tu non sei capace di tirare la palla dritta… beh, questo è un altro problema. Ammettiamo che sia vero anche il contrario, cioè che tu riesca, adesso, a seguire il mio ragionamento. Prendiamo un piano inclinato, come in figura. Se voglio farci salire una palla devo darle una spinta. La palla, salendo, rotolerà sempre più piano fino a che non si fermerà. In un piano “acclive” (in salita), il corpo si allontana dal centro della Terra e quindi rallenta. Su un piano “declive” (in discesa) si avvicina al centro ed accelera. – La palla va dritta anche se il treno si muove? – Ovvio. – Certo, prova! – Prendiamo un piano “meno inclinato” e ripetiamo 88 89 l’esperimento. Diamo alla palla sempre la stessa spinta. La palla salirà, sempre rallentando, ma rallentando meno di prima e, con la stessa spinta, percorrerà uno spazio più lungo di quello che ha percorso prima. – Quello che dici è giusto, ma dove vuoi arrivare? – Prendiamo un piano ancora meno inclinato, la palla arriverà ancora più lontano. Poi ancora meno inclinato e la palla andrà ancora più lontano e così via, così via. Alla fine possiamo pensare di prendere un piano assolutamente non inclinato, cioè parallelo, in ogni punto, alla superficie terrestre, un piano perfettamente sferico. Se il piano non è né “acclive”, né “declive” la palla non può né rallentare né accelerare, non cambierà, quindi la sua velocità e non si fermerà più! – Falso! Se tiro un calcio alla mia palla e questa rotola su una strada piana, non in salita né in discesa, percorre un lungo tragitto, ma puoi star sicuro che, prima o poi, si fermerà! – Vero. Se, però, prendi la stessa palla e “lo stesso calcio” e ripeti l’esperimento sulla spiaggia, la tua palla percorre una spazio minore di quanto abbia fatto prima sulla strada, giusto? – Sì, la sabbia è un disastro, troppo morbida e piena di cunette… – Bene. Adesso raccogli la palla e vai a giocare su un lago ghiacciato. Poggia la palla e tirale lo stesso calcio di prima, quanto spazio percorrerà? – Non ho mai provato a giocare a calcio sul ghiaccio, ma direi che percorrerà più spazio che sulla strada. Il ghiaccio è così liscio, la palla trova pochi ostacoli… – Ecco, allora se la tua superficie fosse perfettamente 90 piana e perfettamente levigata e… quasi dimenticavo, non ci fosse nemmeno l’aria a fermare la tua palla, perché mai questa dovrebbe fermarsi? – Penso che tu abbia ragione, non avrebbe nessun motivo di fermarsi ma… dove lo trovi un posto in cui non esiste nemmeno l’aria? – E dove lo trovi un piano perfettamente piano e perfettamente levigato? Devi fare gli esperimenti sapendo che non daranno mai i risultati che vorresti, proprio perché su questa terra niente e nessuno è perfetto e l’aria non riusciamo ad eliminarla. Nella tua testa, però, puoi togliere tutti gli impedimenti e capire come funzionerebbero le cose se si riuscisse ad eliminare ogni disturbo. – Mi hai convinto. Sei riuscito a dimostrarmi che non ci sarebbero problemi se la Terra girasse: infatti noi, girando insieme a lei, non ce potremmo accorgere. Mi hai anche convinto che non ci sarebbe bisogno di spingerla perché continui a girare, dato che, se nulla la frena continuerà sempre il suo moto circolare uniforme, intorno al suo centro. Questo non basta, però, ad affermare che, effettivamente, stia girando. È mai possibile che non si riesca ad avere uno straccio di prova, un qualche cosa che dimostri senza ombra di dubbio se la Terra giri o no? 91 – Io penso che il fenomeno delle maree possa essere spiegato dal fatto che la somma dei moti di rotazione e di rivoluzione della Terra crei un’accelerazione che sospinge l’acqua degli oceani generando il fenomeno delle maree. – Caro Galileo, questa non la bevo. Se davvero fosse come dici tu perché solo l’acqua dovrebbe risentire di questa accelerazione e non anche l’aria e tutto quanto è posto sulla Terra? Anche noi sentiremmo questa accelerazione e ci accorgeremmo di girare. Fila liscio come l’olio Gli ultimi ragionamenti che hai discusso con Galileo passeranno alla storia con il nome di principio d’inerzia. Il principio d’inerzia, uno dei risultati scientifici più importanti raggiunti da Galileo, è quel principio che afferma: se un corpo si muove di moto uniforme, continuerà a farlo fino a che non sopraggiunga qualche ostacolo o riceva una spinta che possa far variare la sua velocità. Effettivamente le teorie galileiane sulle maree risultarono completamente errate. Galileo spiegò queste idee nel volume Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, che pubblicò nel 1632. Già dal titolo possiamo notare una cosa: nel 1632 i sistemi del mondo non erano due ma tre. Galileo non degnò nemmeno di uno sguardo le idee di Tycho Brahe. Forse gli stava “antipaTycho” ? Ah, saperlo! Il volume, passato alla storia come Il Dialogo di Galileo è appunto un dialogo tra tre studiosi di cui uno, Simplicio, sostenitore delle teorie aristoteliche, fa più o meno le domande che hai appena fatto tu e riceve dagli altri due più o meno le stesse risposte. 92 Quest’idea non è affatto banale: lo stato naturale di un corpo non è più, secondo Galileo, quello della quiete, come voleva Aristotele e come viene spontaneo pensare anche a noi, stato naturale è anche muoversi di moto uniforme. “Naturale” nel senso che non c’è bisogno di una spinta continua per mantenere il moto, ma una volta che l’oggetto è in movimento rimarrà in movimento, sempre con la stessa velocità, senza ulteriori spinte. Per Galileo il moto uniforme è quello circolare a velocità costante. I pianeti devono assolutamente avere orbite circolari e velocità costanti, altrimenti la loro variazione di moto dovrebbe essere giustificata da qualche cosa, una spinta o, come diceva Keplero, un’attrazione tipo quello magnetica. 93 Galileo pensava che la natura non potesse essere influenzata da attrazioni o simpatie, concetti troppo umani per essere applicati alla materia. Nemmeno le leggi di Keplero erano valide, secondo Galileo: perché funzionasse il suo principio d’inerzia, le orbite dovevano essere circolari e le velocità dei pianeti, costanti. Tutto è relativo Nel Discorso, viene esposto un altro importantissimo principio: il principio di relatività, secondo il quale, se tu fai parte di un sistema, non hai nessuna possibilità di stabilire se il tuo sistema sia in quiete o si muova di moto uniforme. Se prendi l’esempio che mostra Galileo, se ti trovi, cioè, sotto la coperta di una nave che si muove a velocità costante, ti puoi rendere conto che il principio di relatività è valido: se non guardi fuori, puoi pensare di stare perfettamente fermo. Nulla di quanto accade sotto coperta ti può far capire se ti stai muovendo. Il processo Il Dialogo, anche se dedicato al papa Urbano VIII, ricevette commenti assai sfavorevoli da parte degli ambienti ecclesiastici: la teoria copernicana era stata condannata dalla Chiesa e questo volume, sebbene apparisse come 94 una discussione tra studiosi di idee diverse, in realtà sosteneva apertamente la validità del sistema di Copernico. Galileo subì uno dei processi più famosi e più discussi dell’intera storia dell’umanità; alla fine fu condannato e, per aver salva la vita, dovette rinnegare le proprie idee: «Io Galileo, figliolo di Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70… sono stato giudicato veementemente sospetto di eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e immobile e che la Terra non sia centro e che si muova. Pertanto… con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori e eresie… questo dì 22 Giugno 1633». I libri del Dialogo di Galileo vennero bruciati e lui fu costretto a passare il resto della vita in libertà vigilata. Continuò ancora molto a studiare e, nel 1638, diede alle stampe la sua opera forse scientificamente più significativa: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze. L’opera voleva essere il risultato dei suoi studi sulla resistenza dei materiali e sui moti dei proiettili, ma in realtà affrontava temi ben più ampi. Come cade? – Galileo, perché i corpi cadono verso il centro della Terra? – Ah, saperlo! 95 – Ti sembra una buona risposta? – Di cosa ti sei maggiormente interessato? – La migliore che so dare. Non lo so e non lo voglio sapere! – Dei moti uniformemente accelerati. – Sei veramente sicuro di non volerlo sapere? – Perché, ai tempi tuoi è stato scoperto? – Certo, le cose cadono per gravità! – Per gravità, per gravità, questo si diceva anche ai tempi miei! Gravità vuol dire “pesantezza”. La tua frase significa: “i corpi cadono perché sono pesanti” e a me sembra che questa frase non abbia proprio alcun significato. Non ti chiedo quale sia il nome che gli abbiamo dato noi (gravità), ma vorrei sapere l’essenza della cosa: “per quale principio o per quale virtù la pietra si muove in giù?” (fa pure rima). – Allora? – Allora si può studiare “come” un corpo cade e non “perché” cade. Questo è quanto ho continuato a fare. In realtà avevo iniziato già da ragazzo ad interessarmi al movimento degli oggetti, ma non ero riuscito a risolvere diversi problemi, mentre in vecchiaia, condannato al silenzio, con molto tempo a disposizione, ho rimesso insieme i vecchi studi e sono arrivato a nuovi, interessantissimi risultati. 96 – Cioè? – Cioè quei moti in cui la velocità cambia, ad esempio aumenta, in maniera costante. – Quelli di cui, nel 1300, si sono occupati gli studiosi del Merton College? – Sì, ma mi sembra che loro abbiano affrontato il problema con troppa superficialità. Innanzitutto non è così banale rendersi conto che un corpo, lasciato libero, cade aumentando sempre e costantemente la sua velocità. – Beh, all’inizio è fermo, poi va sempre più veloce… non mi sembra difficilissimo. – Però da giovane avevo pensato che, dopo un primo periodo di “assestamento”, il corpo raggiungesse una certa velocità che rimaneva poi costante fino alla fine. – E come hai fatto a capire che non è così? – I corpi cadono molto velocemente ed è quindi difficile studiare il loro moto. Allora io ho pensato che sarebbe stato più facile capirci qualche cosa se fossi riuscito a rallentare questo moto. 97 Mi è venuta una buona idea: ho preso un piano inclinato e ho cominciato a far rotolare giù palline misurando quanto spazio percorrevano in un dato tempo. Il moto sul piano inclinato è uguale a quello in caduta libera ma è più lento, quindi è più facile prendere un po’ di misure. – Come misuravi il tempo? – Non esistevano ancora orologi precisi come quelli che puoi usare tu, ma io avevo studiato a lungo la musica e riuscivo, nella mia mente, a dividere un tempo in otto intervalli di tempi uguali. Quindi ho messo otto fili tesi lungo il mio piano inclinato, in modo che suonassero quando la pallina ci passava sopra e ho spostato i fili fino a quando gli otto suoni che udivo non mi davano esattamente il ritmo desiderato, cioè otto tempi tutti uguali. A questo punto bastava misurare le distanze dei fili ed avevo lo spazio percorso in ogni intervallo di tempo uguale. – Ma io potrei rifarlo questo esperimento! 98 – Certo, e per te sarebbe anche più facile. Prendi un cronometro (o un orologio con i secondi). Fai una linea in cima al tuo piano e lasci partire da lì una pallina. Quando passa un secondo, segni il punto in cui si trova la pallina. Poi la fai ripartire dalla linea di prima e segni il punto in cui si trova dopo due secondi. Quindi la fai partire ancora e segni la posizione della pallina dopo tre secondi… e così via. Cosa ottieni? – Che ne so! – Il primo spazio (dalla linea della partenza alla prima tacca) avrà una certa lunghezza, il secondo spazio (dalla prima tacca alla seconda) sarà tre volte più lungo del primo, mentre il terzo sarà cinque volte più lungo del primo ed il quarto, sette volte più lungo. – Lo dicevano i pitagorici che i numeri dispari portano fortuna! Ma il mio esperimento darà risultati così esatti? – Scordatelo, neanche il mio li ha dati. In primo luogo dovresti avere palline e piano inclinato perfetti, assolutamente levigati, quindi non dovrebbe esserci aria e dovresti riuscire a misurare i tempi e gli spazi senza errori. Se ti accontenti di risultati anche molto approssimati puoi provare a fare l’esperimento, altrimenti lascia perdere e fidati di me. Dato che gli intervalli di tempo sono uguali mentre le distanze percorse aumentano, possiamo essere sicuri che anche la velocità aumenta in ogni intervallo di tempo. 99 – È nero, ha gli occhi spalancati, il pelo dritto, la coda attorcigliata… – E poi? – … poi ha due orecchie, quattro zampe, la lingua di fuori, sta in piedi… cos’altro vuoi sapere? – Bene, e adesso? – Queste misure le ho fatte per verificare un teorema che avevo dimostrato geometricamente in gioventù. Questo teorema afferma che se la velocità aumenta in modo costante, lo spazio percorso è proporzionale al quadrato del tempo impiegato a percorrerlo. – Forse dovresti spiegarmelo in maniera un poco più semplice. – Certo! Possiamo usare la matematica e scrivere: s t 2 —2 = ––2 s1 t1 – Perfetto, sei riuscito a complicare la situazione! ( ) La formula del gatto – Devi imparare a guardare le formule come guardi un disegno. Lo vedi questo gatto? Descrivimelo. 100 – Basta così. Senza disegnare devi impiegare molte parole per raccontarmi il gatto mentre il disegno fa capire tutto senza perdere tempo in spiegazioni. La stessa cosa fanno le formule se impari a guardarle: capisci tutto senza spiegazioni. – Allora insegnami a guardarle. La divisione: questa sconosciuta – La formula di pagina 100 ti sta dicendo che il rapporto tra due spazi (s2 e s1) è uguale al rapporto dei rispettivi tempi al quadrato (t22 e t12). Intanto cerchiamo di capire cos’è un rapporto. Dividere s2 per s1 vuol dire calcolare quante volte s2 è maggiore di s1. Una divisione, come sai, può essere scritta sotto forma di frazione, come l’ho scritta io, e una divisione può anche essere chiamata “rapporto”; sono tutti modi di dire la stessa cosa. – Non capisco perché dividere s2 per s1 significhi calcolare quante volte s2 è maggiore di s1. – Hai 10 caramelle e 2 bambini. Quante caramelle spettano ad ogni bambino? – Facile: 10 : 2 = 5 caramelle a bambino. 101 – Perfetto! E quante volte il numero di caramelle è maggiore del numero di bambini? Anche qui deve fare una divisione. Sempre 10 : 2 (che puoi anche scrivere 10 — ). 2 Il numero di caramelle è 5 volte maggiore del numero di bambini, questo è il motivo per cui ad ogni bambino toccano 5 caramelle. – Forse comincio a capire. – Certo, ad esempio prendiamo la coppia t2=2 e t1=1, 2 2 4 t 2 allora ––2 = –– = –– = 4 t1 1 1 – Per adesso tutto bene, ma non capisco come questo si possa collegare al fatto che gli spazi percorsi lungo piani inclinati in tempi uguali crescano come i numeri dispari. ( ) ( ) – Adesso guarda il disegno e segui i miei ragionamenti. Contiamo il tempo in secondi. Dopo un secondo dalla partenza la nostra pallina arriva nel punto 1 percorrendo lo spazio s1. Dopo due secondi si troverà nel punto s2 – Bene, allora supponiamo che sia — s1 = 4 e adesso vediamo quanto devono valere s2 e s1 perché il loro rapporto sia proprio uguale a 4. Possiamo scegliere: s2 = 4; s1 = 1; s2 = — 4 =4 — s1 1 s2 = 8; s1 = 2; s2 = — 8 =4 — s1 2 s2 = 16; s1 = 4; s2 = — 16 = 4 — s1 4 possiamo scegliere tante altre coppie di numeri ma il loro rapporto sarà uguale a 4 se e solo se s2=4s1, cioè s2 è 4 volte maggiore di s1. s2 = 4 allora deve essere anche: – Mi hai convinto. Ma se — s1 t 2 ––2 = 4 t1 ( ) 102 s2 t = ––2 dato che — s1 t1 ( ) 2 2. Noi sappiamo che lo spazio tra il punto 1 ed il punto 2 (s2) è tre volte più grande di s1. Quindi possiamo scrivere s2 = 3s1. Chiamiamo a lo spazio che la pallina ha percorso dall’inizio: si vede facilmente dal disegno che a = s1 + s2 = s1 + 3s1 = 4s1. Quanto tempo ha impiegato la pallina a percorrere s1? Lo sappiamo: un secondo. E quanto tempo ha impiegato per percorrere tutto lo spazio a? Due secondi: un secondo per arrivare al punto 1 e un altro secondo dal punto 1 al punto 2. 103 certa velocità, dopo due secondi avrà una velocità doppia e dopo tre secondi una velocità tripla? Calcoliamo adesso: a 4s1= 4 — s =— s 1 1 – Bravissimo. Se raddoppia il tempo (da 1 a 2 secondi), raddoppia la velocità e se il tempo si triplica (da 1 a 3 secondi), anche la velocità diventa 3 volte maggiore, infatti: t 2 2 2 4 ––2 = –– = –– = 4 t1 1 1 ( ) ( ) Ecco, i rapporti tra gli spazi percorsi sono uguali ai rapporti tra i quadrati dei tempi impiegati a percorrerli. La frase è lunga, ma se hai imparato a leggere le formule capisci subito quello che voglio dire quando leggi: s t —2 = ––2 s1 t1 ( ) 2 Questa legge matematica è importantissima, perché se conosci lo spazio percorso dalla pallina in un certo tempo (ad esempio se conosci tutto lo spazio che lei ha percorso e tutto il tempo che ha impiegato) puoi utilizzare la formula per calcolare dove si trovava la pallina in ogni istante del suo moto, sia che scenda lungo un piano inclinato, sia che stia cadendo liberamente verso il suolo. – Sarei contento se mi facessi qualche esempio. – Certo. Puoi leggere l’appendice a pagina 165. Ma non ho finito. Se è valida la legge oraria del moto è anche vero che in questi tipi di moto la velocità aumenta in modo proporzionale a come aumenta il tempo. Adesso che sei bravo ti scrivo la formula: v t —2 = ––2 t1 v1 t2 v2 = — t v1 ; X 1 t2=2; t2 v2 = — t v1 ; 2 v =2 v; v2 = — 1 1 1 t2=3; t2 v2 = — t v1 ; 3 v =3 v; v2 = — 1 1 1 X 1 X 1 X X X X – Questa anche mi sembra una bella legge, così possiamo conoscere la velocità della nostra pallina, ma non capisco la relazione con la legge di prima. – Ho faticato molto per arrivare a questi risultati per diversi motivi, primo fra tutti il fatto che non esisteva ai miei tempi una definizione di velocità semplice ed efficace come quella che tu trovi sui libri di scuola. L’unica cosa che potevo fare era confrontare tra loro gli spazi e i tempi. Inoltre non avevo ancora a disposizione una matematica adatta a fare calcoli su grandezze che cambiano continuamente e qui tutto cambia, il tempo scorre, le velocità e gli spazi percorsi aumentano. Volevo però rispondere a questa domanda: come aumentano spazi e velocità al variare del tempo? Bene, con una dimostrazione talmente imprecisa che preferisco non dirtela, alla fine ci sono riuscito: in un moto uniformemente accelerato valgono queste… – Questo vuol dire che se dopo un secondo la pallina ha una 104 105 … Leggi del moto 1. la velocità aumenta in proporzione al tempo impiegato 2. lo spazio aumenta in proporzione al quadrato del tempo impiegato Potrai capire meglio la relazione che esiste tra queste due leggi quando potrai utilizzare la matematica che sarà sviluppata dagli scienziati che verranno dopo di me. Stai tranquillo, non dovrai aspettare molto e, dopo, leggi l’appendice a pagina 182. – È molto importante conoscere queste leggi? – Sì, sia per l’avanzamento delle nostre conoscenze, sia per poter calcolare grandezze che ci servono nella nostra vita. Ad esempio, le mie leggi sul moto dei gravi (corpi pesanti), unite al mio principio d’inerzia, permettono il calcolo della traiettoria di un proiettile. – Galileo, ti faccio i miei migliori complimenti! La moneta e il fazzoletto – Però adesso devo dirti una cosa importante: la velocità di caduta di un corpo non dipende dal suo peso. Un corpo, qualsiasi peso abbia, cade sempre alla stessa velocità. – Falso. Il tuo fazzoletto e la tua moneta, se fossero caduti 106 insieme dalla torre di Pisa, non sarebbero arrivati a terra insieme. – Vero, ma ti devi ricordare di togliere l’aria che frena il mio fazzoletto più di quanto freni la mia moneta. Se la torre di Pisa si fosse trovata nel vuoto, fazzoletto e moneta sarebbero arrivati insieme. – Dato che, ammesso che esista, non so dove trovare il vuoto, non potrò mai sapere se hai ragione o no. – Il fazzoletto pesa meno della moneta, quindi va più lento ed arriva a terra più tardi, giusto? – Io direi di sì. – Allora leghiamo con un filo fazzoletto e moneta. Adesso la moneta, più pesante, cerca di “tirare giù” il fazzoletto mentre questo, più leggero, tende a rallentare la moneta. – Esatto, quindi fazzoletto e moneta insieme andranno un po’ più veloci del fazzoletto da solo, perché la moneta accelera un po’ il fazzoletto, e un po’ più lenti della moneta da sola perché il fazzoletto rallenta un po’ la moneta. – Giusto. Ma fazzoletto più moneta non pesano di più sia del fazzoletto che della moneta da soli? – Ovvio, e allora? – Allora, dal momento che pesano di più quando sono 107 legati insieme, non dovrebbero andare più veloci di quando sono separati? – Galileo, perché ti devi far sempre una domanda di troppo? – L’unico modo per risolvere questo paradosso è accettare che tutti i corpi, nel vuoto, cadano alla stessa velocità. Puoi capirlo anche dalle formule che abbiamo scritto prima. Nelle leggi del moto compaiono solo spazi, tempi e velocità, non compare mai il peso del corpo. Andando avanti te ne convincerai sempre di più. Verso la fine del 1637, Galileo scriveva ad un amico: «Quel mondo e quello universo che io con le mie meravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto da’ sapienti di tutti i secoli passati, ora per me si è sì diminuito e ristretto che non è maggiore di quel che occupa la persona mia». Galileo, ormai anziano, stava perdendo la vista e i suoi occhi, quasi completamente ciechi, si chiusero definitivamente l’8 gennaio del 1642, lo stesso anno in cui, nella lontana cittadina inglese di Wooldsthorpe nasceva un certo Isaac Newton. 108 LA MACCHINA DELL’UNIVERSO Ma lasciamo per adesso Newton tra pappe e pannolini e torniamo qualche anno indietro, al 1610, alla festa per i nuovi satelliti di Giove osservati da Galileo, organizzata nella cittadella universitaria di La Flèche, in Francia, dove studiava il giovane René Descartes, nato a La Haye nel 1596. Cartesio (con questo nome René Descartes verrà ricordato in Italia), dopo aver conseguito la laurea in diritto canonico e civile, viaggiò molto in Europa e continuò ad approfondire gli studi. Egli credeva fermamente che l’universo fosse una “macchina” e che, in quanto tale, potesse essere studiato e capito, attraverso la matematica. Galileo aveva scardinato la fisica aristotelica. L’universo ed il mondo sublunare erano fatti dalla stessa materia e tutti e due erano soggetti ai cambiamenti. I movimenti dei corpi non erano solamente un aspetto dei cambiamenti che avvenivano su questa terra, ma potevano essere capiti e spiegati utilizzando una precisa teoria e le corrispondenti formule matematiche. 109 La caduta dei gravi (corpi pesanti) sembrava assumere una forma universale, non dipendendo più dal peso di ogni singolo oggetto. L’intero universo, effettivamente, cominciava ad apparire come qualche cosa che potesse essere descritto da leggi naturali, esattamente come poteva essere spiegato il funzionamento di una macchina. La materia di Cartesio non ha anima ed è completamente inerte, non può, da sola, compiere alcun movimento. Solo Dio, all’inizio dell’universo, imprime ai corpi un moto che rimarrà inalterato, dato che vale il principio di inerzia. Un nuovo principio d’inerzia Cartesio portò queste idee alle estreme conseguenze: Il principio di inerzia di Cartesio, però, non è esattamente uguale a quello di Galileo. Secondo Cartesio non si conserva un moto circolare uniforme, si conserva solamente il moto rettilineo uniforme. distinguendo pensiero e materia, da lui chiamate res cogitans (cosa pensante) e res extensa (cosa estesa), egli separò i problemi che riguardano l’anima da quelli che riguardano i corpi e decise che questi ultimi potevano essere spiegati utilizzando esclusivamente le idee di estensione (forma e dimensione) e quelle di movimento. L’universo di Cartesio era formato da materia in movimento, non separata dal vuoto, in modo che ogni movimento in un punto generasse un moto che si potesse trasmettere nell’intero universo. Se, ad esempio, prendi la tua tazza della colazione piena di latte e cominci a girare dentro il cucchiaino, solo al centro della tazza, si crea un vortice che trascina con sé tutto il tuo latte e non solo quello direttamente toccato dal cucchiaino. 110 – Se i tuoi genitori hanno ancora un giradischi chiedi il permesso di usarlo. Metti sul piatto una piccola pallina ed accendi il giradischi. La pallina continua a girare buona, buona sul piatto o viene schizzata via? – Sì, Cartesio, la pallina viene schizzata via. – Quale traiettoria segue la pallina uscendo dal piatto rotante? – Difficile da capire. – Prendi un secchiello, riempilo con un po’ d’acqua e fallo girare velocemente (chissà quante volte l’hai fatto da bambino sulla spiaggia); l’acqua non esce, perché? 111 – Perché l’acqua sta “cercando di andare in fuori”, sente la “forza centrifuga”, ma il fondo del secchiello non la fa uscire. – Non è vero. L’acqua non sta cercando di “andare fuori”, sta solo cercando di andare dritta, ma il fondo del secchiello glielo impedisce continuando a farla ruotare, contro il suo movimento naturale. – Come faccio io a sapere che l’acqua cerca di “andare dritta” e non di “andare fuori”? – Vuota il secchiello, fallo ancora girare e poi, quando hai il braccio esattamente in giù, lascialo aprendo la mano, senza dargli nessuna spinta. Se il secchiello cercasse di andare fuori, cadrebbe a terra, sotto la tua mano, con grande violenza, invece parte dritto, dritto in avanti. Guarda bene i disegni, puoi facilmente capire che ho ragione io. Il movimento del secchiello si conserva e, una volta lasciato ogni ostacolo (la tua mano), l’oggetto continua a muoversi di moto rettilineo uniforme. – Se questo fosse vero, la nostra Terra non girerebbe intorno al Sole, ma se ne andrebbe sempre dritta per la sua strada, a 112 meno che il Sole non possedesse, come affermava Keplero, una qualche capacità di attrarre la Terra e tenerla vicina. – Attrazione e simpatia non hanno senso in un universo di materia, lo sosteneva Galileo e lo ripeto io. La Terra e gli altri pianeti non si allontanano dal Sole perché un vortice, come il fondo del tuo secchiello, li imprigiona e li costringe a continuare a girare invece di “partire per la tangente”. – Tu hai molta simpatia per Galileo? Le illusioni ottiche – Bisogna dire che i suoi studi e le sue osservazioni sono e saranno fondamentali per molte delle ricerche future di tutti noi. Ad esempio, con quel cannocchiale Galileo ha posto un bel problema: come mai noi possiamo vedere le figure ingrandite? O noi scopriamo le leggi della natura con cui funzionano le lenti, oppure, qualsiasi ignorante ci potrà venire a dire che Galileo è stato vittima di illusioni ottiche. Proprio i fenomeni ottici devono essere sottoposti ai nostri attenti studi perché sembrano tutti un po’ magici. Se riusciamo a dimostrare che siamo in grado di riprodurli e ne conosciamo le leggi, allora dimostriamo anche che la magia non esiste e tutto può essere spiegato. 113 – A quali fenomeni stai pensando? – Prendi un bicchiere, riempilo d’acqua e mettici dentro un coltello. Adesso alza un poco la punta del coltello e guarda cosa succede alzando il bicchiere al livello dei tuoi occhi, come nel disegno. – Il coltello si spezza a metà! – Secondo te è vero o è un’illusione ottica? – Ovviamente un’illusione ottica, il coltello non si è “veramente” rotto. – Bene, bisogna studiare questo fenomeno e spiegarlo. Se un raggio luminoso illumina un corpo trasparente, in parte questo raggio sarà riflesso, ed in parte rifratto. – Cosa significa “rifratto”? – Che il raggio continua il suo “viaggio” attraverso il mezzo, raggio raggio luminoso ma cambia angolo. I riflesso raggi luminosi si muovono sempre in linea retta, ma quanraggio do attraversano un rifratto mezzo trasparente, proprio nel punto di congiunzione tra l’aria e (in questo caso) l’acqua, si “spezzano”, cambiano leggermente direzione. Guarda il disegno, questo cambiamento di angolo del raggio 114 luminoso è il motivo per cui tu vedi il coltello spezzato. Non si è veramente spezzato lui, ma si è spezzato il raggio luminoso. – D’accordo, ma io mica guardo il raggio luminoso, guardo il coltello che non si è spezzato affatto. – Ma tu come fai a vedere il coltello? Quello che accade è che i raggi luminosi partono dal coltello ed arrivano al tuo occhio, il quale li “capta” e li invia al cervello che “capisce” cosa tu hai davanti. Se tu guardi il coltello attraverso l’acqua, il raggio ha cambiato direzione, si è spezzato e quindi tu vedi il coltello spezzato. Questo si verifica solo quando un raggio passa da un mezzo di una certa densità, ad esempio l’aria, ad un altro mezzo con un’altra densità, ad esempio l’acqua o il vetro. L’angolo di inclinazione del raggio dipende dal rapporto delle due diverse densità. – Questo l’hai scoperto tu? – Beh, questa legge fisica passerà alla storia con il nome di legge di Snell. Willebrod Snell (1615-1670) è un olandese che ha scoperto la relazione per trovare l’angolo di un raggio luminoso quando passa da un mezzo ad un altro di densità diversa, ma il suo lavoro è stato pubblicato più tardi del mio e quindi, inizialmente, si pensava che la legge l’avessi scoperta io. – Così tu non hai fatto niente nel campo dell’ottica? 115 Tutti i colori dell’arcobaleno – Accidenti, ho mostrato a tutti che le leggi dell’ottica potevano spiegare il problema dei colori. – Che stai dicendo? fiore diventa scurissimo, quasi nero, ma questo solo perché non c’è luce e si vede male. – Ah, allora senza luce non ci sono nemmeno i colori? Non potrebbe il colore essere una proprietà della luce e non dell’oggetto? Pensa ad esempio all’arcobaleno: quella di diventare colorata a strisce è una qualità dell’aria? O è la luce che, attraversando l’aria umida, acquista questa meravigliosa colorazione? – Ti sei mai chiesto perché una cosa ti appare rossa mentre un’altra gialla? – Perché la mia bicicletta è dipinta con vernice rossa e le pareti della mia stanza con la vernice gialla. – E chi lo dà il colore alla vernice? – Nell’antichità usavano polveri che ricavano dalle piante o da alcuni tipi di terra e poi hanno imparato a costruire i colori in laboratorio… – Sì, ma “perché” quel fiore è colorato di rosso? Cos’è il rosso, una qualità del fiore? – Certo, una qualità del fiore, dipende dal tipo di fiore, puoi anche trovare fiori gialli o bianchi, eccetera, eccetera… – In una stanza buia il fiore ti appare ancora rosso? – L’unica cosa che ho pensato guardando un arcobaleno è: “quanto è bello!”. – E hai fatto bene. Ma lo sai che se prendi un prisma di cristallo e lo illumini come mostrato in figura, facendo passare la luce attraverso una fenditura, la luce esce dal lato opposto del prisma non più sottile, come il fascio entrato, ma aperta raggio di luce “a ventaglio” e mostrando tutti i colori dell’arcobaleno? – No, se c’è un filino di luce e riesci a vedere qualche cosa, il 116 117 – Beh, questa è una magia. iniziamo a contare e ci mettiamo lo zero. Adesso, sulle rette, segnamo i punti successivi: 1, 2, 3, eccetera… – No, si può riprodurre e si può spiegare. «Il prisma fa cambiare la velocità di rotazione della materia sottile che trasmette l’azione della luce. La parte che tende a ruotare assai più forte causa il colore rosso e quella che vi tende solo un po’ più forte il giallo e così via per tutti gli altri colori». Prendiamo l’equazione: y=2 x+1 X Sebbene questa spiegazione dei colori non abbia avuto gran fortuna, a Cartesio dobbiamo riconoscere il merito di essere stato il primo a cercare nelle leggi ottiche la spiegazione dell’esistenza dei diversi colori. I geometri alla riscossa Durante la sua vita Cartesio pose la basi per un nuovo metodo di studio della geometria che passerà alla storia, appunto, con il nome di geometria cartesiana o geometria analitica. Questo metodo fu fondamentale per semplificare e quindi risolvere moltissimi problemi. L’idea (che Cartesio abbozzò e che venne sviluppata nel corso degli anni successivi) è quella di descrivere una figura geometrica in forma algebrica, risolvendo poi il problema geometrico come si risolvono le equazioni. Tutto questo ti appare estremamente complicato, ma in realtà è semplice e molto intuitivo e te lo mostro subito. Disegnamo due rette perpendicolari, quella orizzontale la chiamiamo x e quella verticale la chiamiamo y. L’incrocio delle due rette lo scegliamo come punto da cui 118 Scegliamo alcuni valori di x e calcoliamo la y corrispondente. x=0 x=1 x=2 y=2 0+1 y=2 1+1 y=2 2+1 X X X y=0+1 y=2+1 y=4+1 y=1 y=3 y=5 Abbiamo trovato le 3 coppie di numeri: x=0 x=1 x=2 y=1 y=3 y=5 Adesso possiamo se gnare queste coppie di numeri sul nostro grafico. Oh guarda, questi punti sono tutti in fila… se li uniamo formano una retta… Allora quella strana equazione di prima descrive una retta. 119 Posso prendere altri valori di x, sostituirli nell’equazione come ho fatto prima, e trovare i corrispondenti valori di y. Confrontiamo le due figure: y=3 x+1 X x=3 x=4 x=5 y=2 3+1 y=2 4+1 y=2 5+1 X X X y=7 y=9 y=11 y=2 x+1 X ottengo i punti: x=3 x=4 x=5 y=7 y=9 y=11 Adesso proviamo con un’altra equazione: y=3 x+1 X Scegliamo alcuni valori di x e calcoliamo la y corrispondente. x=0 x=1 x=2 y=3 0+1 y=3 1+1 y=3 2+1 X X X y=0+1 y=3+1 y=6+1 y=1 y=4 y=7 Abbiamo trovato le 3 coppie di numeri: x=0 x=1 x=2 y=1 y=4 y=7 Disegnamoli sul grafico di prima e uniamo con una linea tratteggiata (per distinguerla da quella già disegnata). 120 1. rappresentano tutte e due una retta 2. partono tutte e due dallo stesso punto della y e precisamente y = 1 3. la retta che ha la x moltiplicata per 3 ha una inclinazione più verticale della retta che ha la x moltiplicata per 2. Allora possiamo pensare che qualsiasi retta si possa scrivere con un’equazione del tipo: y=a x+b X 121 Dove a e b sono dei numeri che possono essere diversi per ogni retta. Il numero a ci fa capire quanto è inclinata la retta, mentre il numero b segna il punto in cui la nostra retta incontra l’asse delle y. Prova a mettere dei numeri qualsiasi al posto di a e b e guarda un po’ cosa succede. Prova, ad esempio: a = 1 e b=0. L’equazione diventa: y = 1 x + 0, cioè Questo metodo, inoltre, si può applicare ad un grandissimo numero di curve (cerchio, parabola, ellisse, e tante, tante altre), ognuna delle quali sarà descritta da una sua equazione. Le altre curve hanno un’equazione più complicata di quella della retta e bisogna conoscere un po’ di matematica in più, ma i concetti sono semplici come quelli che hai visto. Cartesio morì nel 1650, lasciando al mondo la sua filosofia meccanicista, come fu definita dagli scienziati dell’epoca: il mondo è fatto come una macchina, la forma e i movimenti della materia possono spiegare ogni fenomeno. X y=x calcola i punti: x=1 y=1 x=2 y=2 e così via… Questa è la retta che taglia esattamente a metà l’angolo formato dalle rette della x e della y. Cambiando ancora i valori di a e b trovi tutte le rette che vuoi. A pagina 166 ti mostro altri esempi, ma se vuoi ti puoi divertire anche da solo. Il bello di questo metodo cartesiano è che, ad esempio, diventa facilissimo calcolare l’equazione di una retta conoscendo due dei suoi punti (per due punti passa una ed una sola retta). Puoi leggerlo a pagina 167, oppure costruire una retta con una certa inclinazione e… molte altre cose. 122 La scuola di Cartesio continuò ad approfondire le idee del maestro ed uno dei suoi allievi, Christian Huygens (nato in Olanda nel 1629 e morto nel 1695) riuscì ad ottenere risultati di grande importanza per quanto riguarda lo studio dei movimenti e degli urti tra i corpi. Le onde di Huygens Di grande importanza è anche la teoria di Huygens sulla natura della luce. Lui sostiene che i raggi luminosi sono in realtà onde che si propagano. Esattamente come avviene con i suoni. 123 Per capire cosa sia un’onda puoi prendere una bacinella, riempirla d’acqua e metterci dentro un dito. Agitandolo un poco o spostandolo su e giù, puoi vedere che sulla superficie dell’acqua si formano delle onde che, partendo dal centro, cioè dal tuo dito, si propagano fino al bordo del catino, sbattono sulla sua superficie e tornano indietro. Una cosa interessante delle onde è che durante il cammino (cioè mentre si spostano dal dito fino al bordo del catino) non portano con loro la materia che incontrano. Se tu prendi un piccolo oggetto galleggiante lo metti nel tuo catino e produci delle onde, puoi vedere facilmente che quando arriva l’onda, l’oggetto si alza in verticale, galleggiando sull’onda, ma non si sposta in orizzontale. Dopo che l’onda è passata il tuo galleggiante non si è avvicinato al bordo del catino, anche se l’onda si è spostata in quella direzione. La stessa cosa avviene per le onde sonore. Se tu percuoti un tamburo la sua membrana vibra e produce delle onde che si propagano nell’aria esattamente come le onde prodotte dal tuo dito si sono propagate nell’acqua. Se queste onde sonore incontrano un oggetto non lo spostano e continuano a propagarsi; arrivano alla membrana del tuo timpano, all’interno dell’orecchio, la 124 fanno vibrare e queste vibrazioni, attraverso i nervi arrivano al cervello e tu senti il suono. Perché lo stesso meccanismo non dovrebbe funzionare per la luce? Le onde luminose sono prodotte da una sorgente luminosa, ad esempio il Sole o una candela (ancora non esistevano le lampadine), queste onde arrivano sugli oggetti e “rimbalzano” o, più scientificamente parlando, vengono riflesse e continuano a propagarsi, giungono al tuo occhio, la retina le trasmette al cervello e tu “vedi”. Anche le onde luminose, come le altre, non trasportano materia (altrimenti nel tuo occhio entrerebbe un sacco di polvere incontrata lungo la strada) e si muovono molto veloci, più veloci delle onde sonore. Ti viene in mente un fenomeno che ti dimostra che la luce si muove più velocemente del suono? Te lo dico io. Durante un bel temporale ogni tanto il cielo viene illuminato da qualche lampo luminoso e, dopo un poco di tempo, si sente un grande boato, il tuono. La luce del lampo arriva ai nostri occhi prima di quanto il rumore del tuono arrivi alle nostre orecchie. La stessa cosa succede se guardi dei fuochi artificiali da lontano: prima vedi le bellissime fontane colorate e poi senti i 125 rumori che accompagnano gli scoppi. Possiamo quindi dire che le onde luminose si muovono più velocemente delle onde sonore. Un’altra importante caratteristica dei moti ondosi è chiamata interferenza. Questa parola significa che se due onde si incontrano le loro ampiezze si sommano. Guarda il disegno. Da qui si capisce che quando si A B L’orrore del vuoto Nel ‘600 non furono affrontati solamente i problemi astronomici, lo studio del moto dei corpi e molte questioni di ottica, ma divenne essenziale trovare una spiegazione ad una grande varietà di fenomeni naturali. Per poter dimostrare che la natura si comporta secondo leggi precise e relazioni matematiche bisognava chiudere ogni possibile spazio alla magia, tutto doveva essere spiegato. 1 2 1 +2 incontrano due onde (onda 1 e onda 2), l’onda che si forma dalla loro somma (onda 1+2) può essere di ampiezza doppia delle singole onde (come nel disegno A). Se le onde sono, come si dice, in opposizione di fase, cioè se un’onda presenta un massimo dove l’altra presenta un minimo (disegno B) la somma delle due onde (1+2) risulta, invece, di ampiezza nulla. Riprendi il tuo catino con l’acqua e mettici dentro due dita. Produci le onde ed osserva la figura di interferenza che le onde creano nei punti in cui si incontrano. Fenomeni di interferenza simili si notano, effettivamente, in molti esperimenti di ottica e questa è, secondo Huygens, una buona dimostrazione della natura ondulatoria della luce. 126 Ti propongo un esperimento. Prendi una cannuccia un po’ larga, tappa il fondo con un dito e riempila d’acqua. Adesso chiudi con un dito il buco di sopra, togli il dito di sotto e… magia: l’acqua non esce dalla cannuccia! Il fenomeno veniva spiegato dicendo che la natura ha orrore del vuoto e, poiché l’aria non può entrare nella cannuccia perché il buco è troppo piccolo, l’acqua preferisce non uscire pur di non creare del vuoto all’interno della cannuccia. Questa spiegazione faceva ovviamente inorridire gli scienziati del tempo, i quali sostenevano: «La natura si comporta secondo leggi precise, non ha paura di niente, tantomeno del vuoto. Si deve trovare un motivo meccanico per giustificare un simile comportamento». 127 Un certo signor Gasparo Berti, nato a Roma intorno al 1600, costruì un tubo di vetro alto più di 10 metri (sapeva, infatti, che le pompe idrauliche riuscivano a “tirare su acqua” fino ad un’altezza poco superiore ai 9 metri); lo riempì d’acqua, lo capovolse, tolse il tappo di sotto e… l’acqua uscì, ma non tutta. Uscì fino a che l’altezza dell’acqua dentro il tubo non raggiunse circa 9 metri e quindi si fermò e non uscì più. Cosa si poteva pensare? Primo: il vuoto esiste e la natura non ne ha paura. Infatti, nel tubo, sopra l’acqua non ci poteva essere rimasto altro che vuoto; sicuramente l’aria non era entrata dal momento che che non si erano viste le bollicine. Secondo: cos’è che impedisce all’acqua rimasta nel tubo di uscire? Potrebbe trattarsi della pressione dell’aria, cioè la forza che l’aria esercita sulla parte inferiore, aperta, del tubo. Se questo fosse vero, mettendo al posto dell’acqua un liquido più denso, dovrebbe rimanere nel tubo una quantità di liquido minore perché, essendo più pesante, ne basterebbe di meno a controbilanciare la pressione dell’atmosfera. Fu così che, nel 1644, Evangelista Torricelli, un allievo di Galileo, decise di fare lo stesso esperimento con un liquido 14 volte più denso dell’acqua: il mercurio… e il mercurio uscì dal tubo fino a che non raggiunse un’altezza di 76 centimetri, circa 14 volte più basso dell’altezza della colonna d’acqua. 128 L’universo “maleducato” La natura si comportò come Torricelli aveva previsto. Il mercurio non usciva per motivi “meccanici”. L’universo-macchina obbediva alle rigide regole del suo costruttore! Peccato, però, che i filosofi meccanicisti, primo fra tutti Cartesio, non credessero affatto all’esistenza del vuoto. Cosa si trovava nella parte del tubo lasciata libera dal mercurio? «Vapori di mercurio, mercurio più rarefatto» rispondeva Cartesio che aveva più paura del vuoto di quanto ne dimostrasse la natura. La filosofia di Cartesio si sarebbe infatti sbriciolata a contatto con il vuoto. Il motivo è molto semplice: l’universo di Cartesio è composto da materia inanimata ed ogni movimento è frutto di urti e vortici. Il movimento si può quindi trasmettere da un corpo ad un altro solo se i corpi sono a contatto. L’esistenza del vuoto non avrebbe permesso al moto di propagarsi nell’universo. Per fare un esempio prendiamo il sistema solare. La materia sottilissima che pervade tutto l’universo crea dei vortici che “imprigionano” i pianeti impedendogli di uscire dalle loro orbite e allontanarsi dal Sole. Se tra il Sole e i pianeti vi fosse solo spazio vuoto cosa li costringerebbe a percorrere le orbite? 129 I pianeti potrebbero “attrarsi” reciprocamente, ma “attrarsi a distanza” non è un comportamento che si addica a degli “ammassi di sassi”. Sull’esistenza del vuoto i filosofi e gli scienziati erano divisi. Alcuni sostenevano che il vuoto non esistesse e pensavano che l’universo fosse formato da una “materia continua” (la puoi immaginare un po’ come una crema, senza buchi all’interno), altri credevano al vuoto e ritenevano che la materia fosse composta (pensa un po’!) da atomi. Flussi e riflussi delle mode Nessuno li vede, nessuno li tocca, nessuno li cerca… ma gli atomi cominciano a tornare di moda! Già Galileo parlava di “particelle piccolissime”, ma Pierre Gassendi (era francese e quindi Democrito si legge con l’accento sulla “i”), inventore di atomi nato nel 1592 e morto nel 1655, lo afferma a chiare lettere: «Tutti i fenomeni naturali sono prodotti da materia in movimento, certamente, ma questa materia non è come afferma Cartesio divisibile all’infinito. La materia è composta da atomi indivisibili e tra gli atomi c’è solo spazio vuoto». Grande sostenitore dell’esistenza del vuoto fu anche Blaise Pascal, (1623-62) che lavorò a lungo con tubi e liquidi di ogni genere per generalizzare i risultati di Torricelli. Se è vero, pensava Pascal che l’altezza del liquido che rimane nel tubo dipende dal peso dell’aria, allora, ripe- 130 tendo l’esperimento in montagna, dove la colonna d’aria sovrastante è minore e quindi minore è il suo peso, dovrebbe uscire più liquido. Pascal convinse suo cognato a recarsi in montagna e a ripetere l’esperimento sulla cima di un monte; anche in questo caso i risultati furono in linea con le aspettative: all’interno del tubo rimaneva meno liquido. Pascal aveva inventato il primo barometro, uno strumento per misurare la pressione atmosferica. Risale a quegli anni l’invenzione della pompa pneumatica (in realtà oggi sappiamo che probabilmente i greci del periodo ellenistico già ne facevano uso, ma che con il tempo, queste conoscenze tecnologiche erano andate perdute). Se la pompa funziona al contrario possiamo usarla per “sgonfiare”, ad esempio per togliere tutta l’aria che è presente nella ruota della nostra bicicletta. Fu così che Otto van Guericke (1602-86) decise di costruire due calotte sferiche di metallo, di accostarle l’una all’altra e di aspirare l’aria contenuta tra le due calotte. Esse rimanevano attaccate tra loro in modo talmente resistente che non furono separate nemmeno da robusti cavalli che tiravano nelle opposte direzioni. 131 Questo esperimento fu realizzato nel 1654 nella piazza principale di Magdeburgo, in Germania, davanti agli occhi di tutti. Cartesio era morto da quattro anni e non venne mai a sapere che, non solo il vuoto esisteva, ma l’uomo era anche in grado di crearlo all’interno di uno spazio chiuso. Inoltre era ormai evidente che il peso dell’aria esercitava sui corpi una forza superiore a quanta riuscivano a generarne dei cavalli da tiro. Niente altro, infatti, se non la pressione dell’aria circostante, poteva tenere uniti i due emisferi. Una ciliegia tira l’altra Ogni nuova scoperta, ogni spiegazione scientifica che veniva trovata ai vari fenomeni, apriva un nuovo campo di ricerca. 132 Anche gli esperimenti sui tubi pieni di liquido e sugli emisferi indivisibili ponevano una nuova domanda. Se è vero che l’aria esercita una pressione allora dovrebbe essere vero che l’aria può espandersi, può occupare un volume maggiore. Vediamo perché. Se prendi una scatola rigida e ci poggi sopra una mano, anche se pompi aria dentro questa scatola la tua mano non sente nessuna pressione, dal momento che la scatola non si espande. Se, invece, metti la mano su un pallone e lo gonfi, la mano si solleva, spinta dall’espansione del pallone. Si può quindi supporre che, negli esperimenti di Pascal che abbiamo appena visto, il liquido non fuoriesca dal tubo perché riceve una spinta dall’aria che sta cercando di espandersi e la spinta venga controbilanciata dal peso del liquido nel tubo. Questa spiegazione poteva apparire assurda: se l’aria può espandersi vuol dire che può anche comprimersi. A questi problemi dedicò la sua attenzione Robert Boyle (1627-91) che, compiendo una lunga serie di esperimenti, arrivò a formulare quella che ancora oggi si studia come legge di Boyle: esiste una relazione precisa tra la pressione a cui è sottoposta una massa d’aria ed il volume che occupa. La legge di Boyle afferma che, a temperatura costante vale la relazione: P x V = costante 133 Dove P è la pressione a cui è sottoposto il gas e V è il volume che occupa. Adesso che hai imparato a guardare le formule, vediamo cosa ci dice questa. Il prodotto della pressione per il volume deve rimanere costante, cioè deve essere sempre uguale ad uno stesso numero. Facciamo un esempio: P x V = 100 Potrebbe essere: P=1 e V=100 (P x V = 1 x 100 = 100), oppure P=2 e V= 50 (P x V = 2 x 50 = 100), oppure P=5 e V= 20 (P x V = 5 x 20 = 100), e molte altre coppie di numeri. La legge di Boyle ci dice che, a temperatura costante, pressione e volume sono due grandezze inversamente proporzionali, cioè se una aumenta, l’altra diminuisce e viceversa (il loro prodotto, infatti, deve rimanere costante). Per giustificare il fatto che l’aria è capace di espandersi e di comprimersi (cioè di occupare un volume maggiore o minore), Boyle ipotizza che questa sia composta da minuscole particelle in grado di comportarsi come una molla: comprimersi se sottoposte ad una pressione esterna ed espandersi nuovamente se lasciate libere. 134 Ognuno mette bocca su tutto Leggendo questo libro ti sei potuto rendere conto di quante persone abbiano collaborato allo sviluppo del pensiero scientifico in questi secoli. La natura era un libro che tutti volevano leggere e capire. La natura era una macchina della quale doveva essere svelato ogni meccanismo. È sorprendente notare da un lato il fatto che ogni studioso, ogni filosofo, volesse dare il suo contributo all’avanzamento della scienza e, dall’altro, che molti studiosi affrontassero problemi piuttosto diversi tra loro. Le cose dovevano essere capite fino in fondo: non tutto ciò che appare evidente deve necessariamente essere vero. Inoltre la natura può essere “misurata”, si possono compiere degli esperimenti per verificare o escludere alcune ipotesi. I grandi risultati ottenuti incoraggiavano l’applicazione dei nuovi metodi sperimentali a fenomeni ancora incompresi. Tutta l’Europa guardava con stupore alla crescita delle proprie conoscenze e con ammirazione apprezzava i risultati, anche pratici e tecnologici, che la scienza riusciva a raggiungere. I migliori “cervelli” di quel periodo si dedicavano con interesse ed entusiasmo alle ricerche scientifiche: il libro della natura cominciava ad essere interpretato, i primi 135 risultati erano estremamente incoraggianti, ogni studioso sentiva di poter dare il proprio contributo e passare so, tenevano segreti i loro metodi e i loro risultati. Conosciamo, però, uno dei maggiori problemi che gli alchimisti cercavano di risolvere: fabbricare l’oro in laboratorio. Credendo, appunto, che la materia potesse variare in modo continuo, ritenevano possibile ottenere l’oro mescolando sostanze, scaldando elementi, fondendo metalli o altre procedure simili. Bastava trovare tutti gli ingredienti giusti, mescolati nelle giuste proporzioni e si sarebbe arrivati al risultato sperato. L’unica ricetta per i problemi economici così alla storia, insieme ai grandi del passato. La materia: scienza o magia? La filosofia meccanicista vedeva nella natura due principi: materia e movimento. Abbiamo visto che si erano create due diverse correnti di pensiero sulla struttura della materia. Alcuni scienziati credevano nell’esistenza degli atomi indivisibili, ma la teoria che andava per la maggiore si basava sull’idea di una materia “continua” ed infinitamente divisibile. A quei tempi era molto diffusa l’alchimia, lo studio delle forze occulte della natura. Gli uomini che la praticavano, tra i quali eccellenti scienziati, Newton compre- 136 Per capire bene il concetto di “materia che cambia con continuità” possiamo andare in cucina e prendere i seguenti ingredienti: • 2 tuorli d’uovo • sale q.b. (quanto basta) • una bottiglia di olio • 1 limone Ognuno di questi ingredienti ha caratteristiche molto diverse dall’altro: l’olio è liquido, giallo e trasparente, il sale è solido e biancastro, eccetera. 137 Da tutti questi elementi, mescolando in modo opportuno e con la dovuta perizia, si ottiene la maionese che ha un colore intermedio tra il rosso dell’uovo e il giallo dell’olio, è meno liquida dell’olio e del succo di limone, ma decisamente più liquida del sale etc… Questa è una variazione con continuità: abbiamo variato tutte le caratteristiche iniziali per arrivare ad una nuova sostanza con nuove caratteristiche da noi decise. È lecito pensare che prendendo, ad esempio: • 2 grammi di ferro • limatura di diamante q.b. • 1 cucchiaino di polline possiamo ottenere dell’oro! Ovviamente chi avesse scoperto ingredienti, dosi e procedure precise, avrebbe risolto tutti i suoi problemi economici. Anche Robert Boyle si dedicò a studi di alchimia, ma non lo fece per diventare ricco. Di questo possiamo essere sicuri dal momento che i suoi esperimenti miravano soprattutto ad identificare le diverse sostanze. Sebbene lui stesso non ne fosse convinto, gli esperimenti di Boyle si basavano sul presupposto che una sostanza non potesse trasformarsi in un’altra. Boyle aprì la strada ad una concezione discontinua della materia in cui ogni elemento fondamentale aveva caratteristiche proprie verificabili con esperimenti di chimica. 138 DALLA MELA ALLA LUNA All’inizio del capitolo precedente abbiamo abbandonato un certo Isaac Newton alle sue pappe, ma adesso, ci piaccia o no, dobbiamo andare a vedere cosa sta combinando una volta diventato un po’ grandicello. Lo troviamo, nel 1661, mentre si iscrive al Trinity College della città inglese di Cambridge. Anche in Inghilterra lo studio universitario è basato sulla cultura aristotelica, ma nelle biblioteche sono facilmente reperibili i testi dei nuovi filosofi della natura. Newton, per interesse personale, legge tutto quello che trova, e non trova poco! La Geometria di Cartesio, le opere di Boyle, la teoria atomistica di Gassendi, le pubblicazioni di Keplero e di Galileo. Newton legge molto velocemente infatti, quando nel 1665 è costretto a lasciare l’università e rifugiarsi in campagna (per scappare al pericolo della diffusione dell’epidemia di peste che aveva investito l’Inghilterra), conosce tutti questi testi e anzi, li ha già approfonditamente studiati. Al momento del suo trasferimento il giovane scienziato ha solo 23 anni. Nei due anni (1665 e 1666) trascorsi in campagna Newton studia, pensa, scrive, ragiona, immagina, approfondisce, crea… tutto fa, meno che stare a prendersi in testa le mele che cadono dagli alberi! 139 Però la mela di Newton è passata alla storia e quindi non può essere eliminata da nessun libro che parli del grande Isaac. – Professor Newton, perché la sua mela è passata alla storia? – Si racconta che io abbia capito la gravitazione universale grazie ad una mela che mi sarebbe caduta in testa mentre me ne stavo seduto a pensare sotto un albero… – Ed è vero, è stato in quegli anni passati in campagna che ha capito la gravitazione universale? – All’inizio del ’65 «… ho trovato il metodo di approssimazione della serie e la regola per ridurre un qualunque esponente di un binomio qualsiasi a tali serie. A maggio dello stesso anno ho trovato il metodo delle tangenti e a novembre avevo il metodo diretto delle flussioni. A gennaio del ’66 ho sviluppato la teoria dei colori e a maggio possedevo il metodo inverso delle flussioni. Nello stesso anno cominciai a pensare alla gravità che si estende all’orbita della Luna». – Professore… non ho capito assolutamente nulla! Se potesse parlare un poco più semplicemente… 140 Per adesso non preoccuparti di quanto ha detto Newton, lo vedremo tra poco, ma puoi giustamente rimanere sbalordito dalla quantità di lavoro concettuale profondamente nuovo che Newton fece in soli due anni. Bene, ma torniamo alla storia. Finito il pericolo della peste, Newton incarta tutti i suoi manoscritti, li mette nella borsa da lavoro e nel 1667 torna a Cambridge. Nella sua stanza, più simile ad un laboratorio che ad uno studio, apre la borsa e tira fuori i manoscritti dei suoi studi di ottica. – Professore, non sapevo nemmeno che lei si fosse occupato di ottica. – Non ero convinto delle teorie di Cartesio sui colori e così ho voluto verificarle. – Cos’è in particolare che non la convinceva? – Cartesio spiega che la luce è bianca, ma che quando il fascio luminoso investe degli oggetti, o passa attraverso un prisma, le particelle di luce più esterne del fascio entrano in rotazione mutando il loro colore. Ogni colore corrisponde ad una diversa velocità di rotazione delle particelle. Bene, non mi convince il fatto che i colori dipendano da una diversa velocità delle particelle del fascio luminoso e che, smettendo di ruotare, tornino ad essere bianche. – Invece lei cosa pensa? – Io penso che la luce bianca sia formata da raggi luminosi di colori diversi che, visti tutti insieme, appaiono bianchi e visti divisi appaiono ognuno del proprio colore. – Come pensa di poter dimostrare quanto ha detto? 141 – Con un esperimento cruciale: se mi riesce la mia teoria è vera, altrimenti ha ragione Cartesio. – Di che esperimento si tratta? – Puoi fare un esperimento simile e più convincente. Prendi un disco di carta, dividilo in sette spicchi e colora ogni spicchio di uno dei colori dell’arcobaleno. Adesso fallo girare veloce. Di che colore appare? – Bianco, sbalorditivo! Gli altri scienziati come hanno accolto il suo esperimento? – Facciamo passare un fascio di luce attraverso un prisma e osserviamo lo spettro cromatico prodotto sul muro. Come sostiene Cartesio si vedono tutti i colori dell’arcobaleno. Fino a qui nulla di nuovo. Adesso, dopo il prisma mettiamo delle lenti che riuniscano il fascio in un punto. Se questo punto apparirà bianco ho ragione io: il prisma separa i diversi raggi colorati e quando io li metto nuovamente insieme, mischiandosi, appaiono bianchi. Se invece il punto apparirà colorato, allora vuol dire che il prisma ha modificato la velocità di alcune particelle del raggio luminoso che, a causa di questa modifica, appariranno colorate. – Un esperimento molto interessante. Che risultato ha ottenuto? – Perché me lo chiedi? Il tuo errore, come quello di molti scienziati miei contemporanei, sta nel fatto di ipotizzare che io possa non aver sempre ragione! Ovviamente ho ottenuto un punto di luce bianca. – Non mi convince molto… 142 – Nel 1672 ho pubblicato sugli Atti della Royal Society di Londra il mio esperimento e, incredibile ma vero, ho ricevuto un sacco di critiche. Hooke, il presidente della società, ha sostenuto che non basta un solo esperimento per verificare una teoria e Huygens (probabilmente il più importante scienziato vivente) ha detto che come prima cosa bisogna decidere se la luce sia composta da onde o da particelle, e quindi non trova affatto interessante il mio esperimento. – E lei cosa pensa: la luce è composta da onde o particelle? – Penso che la luce sia composta da particelle, questa è l’ipotesi più semplice per giustificare il fatto che la luce si propaga in linea retta. L’ombra di un oggetto su uno schermo è netta. Se la luce fosse composta da onde si osserverebbero dei fenomeni di attenuazione della luce sui bordi della figura, dovuti alle interferenze che le onde produrrebbero “sbattendo” contro l’oggetto. 143 Chi aveva ragione? La luce è composta da onde o da particelle? Ah, saperlo! Ai tempi di Newton era impossibile dare una risposta ma anche più tardi non sarà facile trovare una soluzione a questo problema. Dovremo aspettare un’altra rivoluzione scientifica per avere le idee un po’ più chiare in proposito. Quiz a premi Christopher Wren, Edmond Halley e Robert Hooke erano tutti membri della Royal Society di Londra, l’accademia reale inglese nella quale venivano dibattuti i più importanti problemi scientifici del tempo. Robert Hooke ne era il presidente ed Edmond Halley (1656-1742) era un giovane associato che, studiando attentamente il moto delle comete, aveva stabilito che la forma delle loro orbite dovesse essere un’ellisse molto, molto allungata. Riconobbe la cometa del 1682 come quella già apparsa nel 1607 e nel 1531, e calcolò che sarebbe ricomparsa alla nostra vista nel 1759. Questo evento, effettivamente si verificò e quelli un po’ più “vecchi” tra voi hanno potuto osservare la Cometa di Halley anche nel 1986. 144 Un bel giorno Christopher Wren, matematico e architetto, indisse una gara tra Edmond Halley e Robert Hooke: chi tra loro fosse stato in grado di dimostrare che i pianeti erano attratti verso il Sole da una forza inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza dal Sole, avrebbe vinto 40 scellini (che oggi sembra una somma miserabile ma ai tempi non doveva essere poco!). Cerchiamo di capire il significato della domanda di Wren. Pensiamo di avere un mobile da spostare. Se lo spingiamo verso destra, si sposterà a destra, se lo spingiamo verso sinistra, si sposterà a sinistra e così via. Questo fa pensare che se i pianeti ruotano intorno al Sole potrebbe esistere una forza che li spinge da dietro. Se l’orbita è un’ellisse, vuol dire che questa forza dovrebbe continuamente cambiare la sua direzione. Per capire guarda il disegno qui sotto. Questa descrizione della natura ci lascia perplessi perché è difficile immaginare che qualche forza possa occuparsi di spingere i pianeti cambiando continuamente la sua direzione in modo da farli ruotare. Sappiamo, però, che se un corpo si muove con velocità rettilinea uniforme non ha bisogno di forze per continuare il suo moto. 145 Pensiamo allora di avere un pianeta che si muova con velocità rettilinea uniforme nelle vicinanze del Sole. Se non intervenisse niente altro, il pianeta continuerebbe il suo moto rettilineo uniforme, allontanandosi sempre più dal Sole. Però Keplero ci ha insegnato che i pianeti non si muovono di moto rettilineo uniforme, ma girano intorno al Sole percorrendo un’orbita ellittica. Possiamo pensare, allora, che esista una forza che obblighi il pianeta a curvare. Vediamo perché. Prendiamo una pallina legata ad un filo e facciamola ruotare. La forza che tiene la pallina “in orbita” è sicuramenF te diretta lungo il filo, quindi verso il centro dell’orbita; se noi tagliassimo il filo, la pallina partirebbe dritta in avanti. Possiamo quindi pensare che una situazione simile valga anche per i pianeti… peccato che la mancanza del filo complichi un po’ la situazione. Comunque è realistico pensare che la forza che mantiene in orbita il pianeta sia diretta verso il Sole, cioè verso il centro dell’orbita, come accade alla nostra pallina. Cosa vuole dire che questa forza deve essere inversamente proporzionale alla distanza del pianeta dal Sole al quadrato? “Inversamente proporzionale” significa che se la distanza dal Sole (r) aumenta, deve diminuire la forza (F) che attrae il pianeta. 146 Proviamo a scrivere un’equazione che soddisfi queste condizioni: r 1 F = ––2 r Dove r è la distanza dal Sole, come vedi in figura. Adesso vediamo se i conti tornano: 1 1 1 1 1 1 1 1 1 r=1 F = ––2 = ––2 = – = 1 r 1 1 r=2 F = ––2 = ––2 = – r 2 4 r=3 F = ––2 = ––2 = – r 3 9 Sì, se aumenta la distanza, diminuisce la forza. Ma perché dobbiamo usare proprio il quadrato della distanza e non la distanza semplice, oppure il cubo della distanza o qualche altra relazione? Unificando la terza legge di Keplero e gli studi di Huygens sui moti circolari uniformi si ricava che una buona formula per questa forza potrebbe essere quella che abbiamo appena scritto. Se vuoi vedere quali calcoli portano a questo risultato puoi leggere a pagina 168. Questi ragionamenti erano interessanti, ma erano solo ipotesi che dovevano essere verificate e, nel caso, dimostrate. La prima cosa da decidere era: è possibile che i pianeti si muovano lungo orbite ellittiche se la forza che 147 li attrae verso il Sole dipende dalla distanza come 1 F = ––2 ? r Questa era la domanda la cui risposta valeva 40 scellini. Una possibile soluzione In meno di tre mesi, Newton invia ad Halley la soluzione del problema e inizia a lavorare al suo capolavoro scientifico Philosophiae Naturalis Principia Mathematica che sarà pronto in tempi brevissimi e verrà pubblicato nel 1687. I Principia, questo il nome con cui viene ricordata l’opera di Newton, sono costituiti da tre libri difficilissimi che, come dicevano sarcasticamente gli studenti di Cambridge «nemmeno il loro autore riesce a capire». Il primo libro tratta del moto dei corpi nel vuoto, il secondo del moto dei corpi in mezzi resistenti, quali l’aria o l’acqua ed il terzo affronta finalmente il Sistema del Mondo. Il principio dei Principia Già dalle prime pagine scopriamo che per descrivere l’universo non bastano materia e movimento, ma dobbiamo aggiungere anche la forza e Newton ce ne dà una definizione: «La forza è l’azione esercitata su un corpo per cambiare il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme». Dopo poco, nel primo libro, compaiono le tre leggi del moto. Halley ha un’idea: andare a chiedere la soluzione a Newton. Così, nell’agosto del 1684 si reca a Cambridge e bussa alle porte del Trinity College. La risposta di Newton lascia Halley a bocca aperta: «Mi sembra di aver affrontato questo problema e di averlo risolto in alcuni miei studi giovanili. Riguarderò tra le mie vecchie carte e le farò sapere». 148 Legge 1. Ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto uniforme e rettilineo, se qualche forza ad esso applicata non lo costringe a mutarlo. Legge 2. Il cambiamento del moto è proporzionale alla forza motrice impressa e segue la retta secondo cui tale forza è stata impressa. Legge 3. L’azione è sempre uguale e contraria alla reazione: cioè le mutue azioni di due corpi sono sempre uguali e dirette in senso opposto. 149 Ecco fatto. Con queste tre frasi Newton ha sistemato gli studenti di tutto il mondo per i secoli a venire! Prima o poi anche a te toccherà impararle ed utilizzarle per risolvere i problemi di meccanica classica. Come la cambia? Andando avanti a leggere otteniamo una spiegazione che può essere riassunta nell’equazione: F=mxa Data l’enorme importanza di questa equazione, forse conviene darle un’occhiata. “F” è la forza con cui viene spinto un oggetto, “m” è la massa del nostro oggetto ed “a” è l’accelerazione che l’oggetto ha a causa della forza che lo spinge. La prima legge descrive il principio d’inerzia e Newton asserisce di averla “copiata” da Galileo anche se la sua corretta definizione non fu data da Galileo, ma poco più tardi da Cartesio. La seconda e la terza legge sono invece delle assolute novità anche se, come sempre accade, sono il frutto dei ragionamenti e delle intuizioni di Newton sulle ricerche e i sui risultati raggiunti precedentemente da molti scienziati. Grazie al principio d’inerzia, sappiamo che la velocità di un oggetto può essere maggiore di zero anche se nessuna forza lo sta spingendo. Allora, quando applichiamo una forza, cosa accade all’oggetto? A questa domanda risponde la seconda legge: l’oggetto cambia la propria velocità. 150 Facciamo un esempio. Possiamo pensare di spingere il pedale dell’acceleratore della nostra auto, tenendolo premuto a fondo per la durata di due secondi. Possiamo vedere che la nostra auto, durante quei due secondi, passa da una velocità iniziale di 10 km/h ad una finale di 130 km/h. Conosciamo allora la variazione totale di velocità: ∆v = 130 km/h – 10 km/h = 120 km/h Abbiamo introdotto un nuovo simbolo: ∆ (si legge “delta”). Useremo il simbolo ∆ per definire una variazione di una certa grandezza, in questo caso della velocità. ∆v = vfinale - viniziale = 120 km/h Questo aumento di velocità è avvenuto durante 2 secondi. Se definiamo l’accelerazione come la variazione di velocità avvenuta durante un certo tempo, allora la nostra accelerazione risulta: ∆v 120 km/h dove s, sta per secondi. — = —––––––– 2s 2s 151 Dato che un’ora dura 3.600 secondi, possiamo scrivere: ∆v 120 km/h = —–––––––––––––– (120 km)/(3.600 s)= –– 1 km/s2 — = —––––––– 2s 2s 2s 60 Questo vuol dire che, ogni secondo, la nostra velocità è 1 km/s . aumenta di –– Tutto questo, che è piuttosto intuitivo, viene dimostrato da Newton affermazione dopo affermazione, utilizzando solo la geometria classica, la geometria sviluppata dagli antichi greci che Newton riteneva i suoi inestimabili maestri. 60 Vediamo se i conti tornano. La nostra velocità, ogni secondo, è aumentata di: 1 km/s = 1 km/min = 60 km/h –– 60 È giusto, infatti in 2 secondi abbiamo aumentato la velocità di 120 km/h: l’abbiamo aumentata di 60 km/h ogni secondo. Non abbiamo finito di commentare la seconda legge del moto… «il cambiamento del moto segue la retta secondo cui la forza è stata impressa». E questo non è difficile da credere: se spingiamo un corpo in avanti, quello andrà avanti e non di lato. Bene, ma che succede se A lo tiriamo in due direzioni diverse? R Risposta di Newton: «Si muove lungo la diagonale B (R) del parallelogramma formato dalle forze A e B». Guardando il disegno è abbastanza facile da capire. E se lo tiriamo con la stessa forza a destra e a sinistra contemporaneamente? Se ne rimane fermo fermo nel centro. 152 Bene, siamo arrivati a capire che non è possibile dire solo “questa forza vale tanto”, dobbiamo anche dire in che direzione la applichiaverso mo (cioè lungo quale direzione retta) e in che verso (cioè verso destra o verso sinistra). Ogni retta (la direzione) ha due versi, indicati nel disegno dalle frecce. Se un bambino cammina su un cornicione è piuttosto importante sapere di quanto si sposterà, ad esempio 10 metri, ma è forse più importante sapere in che direzione (lungo il cornicione) farà questi 10 metri e, soprattutto, in che verso (se decide, infatti, di andare verso destra…)! Vediamo adesso la terza legge di Newton che può essere riassunta in “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Se spariamo un colpo di pistola, dobbiamo stare attenti al rinculo, ma gli esempi non finiscono qui. Se il Sole esercita sulla Terra una certa forza attrattiva, allora anche la Terra esercita sul Sole la stessa identica forza. 153 – Professor Newton, se fosse vero, allora perché la Terra girerebbe intorno al Sole e non viceversa? – Non è vero che la Terra giri intorno al Sole, esattamente quanto non è vero che il Sole giri intorno alla Terra. massa del Sole è estremamente più grande di quella della Terra, il centro di massa del sistema è posizionato all’interno della superficie del Sole. Intorno a questo punto gira il Sole, che quindi farà dei giri molto, molto piccoli, mentre la Terra, girando intorno allo stesso punto, compirà delle vere e proprie rivoluzioni intorno al Sole. Sei convinto? centro di massa – Ha inventato un altro sistema cosmologico? Non ne bastavano tre? – Io non ho inventato niente, ho solo scoperto come le cose funzionano veramente. – Cioè? – Definiamo la massa di un oggetto come la quantità di materia da cui è formato. Bene, la Terra e il Sole girano tutti e due intorno al centro di massa del sistema Terra-Sole. Questo è vero se, per adesso, facciamo finta che non esistano gli altri pianeti. – Cos’è il centro di massa del sistema Terra-Sole? – È un punto posizionato sulla retta che congiunge la Terra ed il Sole. Semplificando un po’ la questione, possiamo dire che tanta materia hai a destra del punto, quanta ne hai a sinistra. Guarda il disegno: dato che la 154 – La spiegazione è accettabile, ma come le è venuta in mente? – È semplice. Se i corpi si attraggono perché possiedono una massa, come io penso, allora anche i pianeti, dotati di massa, devono attrarre il Sole. Ma il centro del sistema del mondo, essendo il centro di massa del mondo, è in quiete e tutto ruota intorno ad esso. – Anche le stelle fisse? – No, le stelle fisse sono, appunto, fisse. – Perché, non risentono di nessuna attrazione? Non sono dotate di massa? 155 – Certo che hanno una massa, ma le forze che agiscono su di esse sono in equilibrio e quindi è come se nessuna forza agisse su di loro, così che non possono muoversi. Per questo possiamo definire uno spazio assoluto ed un movimento assoluto. Per il principio di relatività, infatti, se vediamo un corpo che si muove con velocità rettilinea uniforme non possiamo dire se veramente è lui che si sta muovendo o se siamo noi che ci muoviamo in senso opposto. Possiamo dirlo solo rispetto alle stelle fisse. Se un corpo si muove rispetto alle stelle fisse, si muove veramente. – Che le stelle fisse siano proprio fisse mi sembra un po’ incredibile, ma per adesso soprassediamo. Piuttosto, esiste una formula precisa per calcolare la forza con cui due corpi si attraggono? – Certo: questa forza è proporzionale al prodotto delle masse dei corpi e inversamente proporzionale alla loro distanza al quadrato. m1 x m2 F = G x ––––––– r2 La costante G, chiamata costante di gravitazione universale, ha un valore molto piccolo. Se misuri le masse in chilogrammi, la distanza in metri e la forza in Newton (l’unità di misura della forza ha preso il mio nome, indovina perché!), allora 6,67 G = 6,67x10-11, cioè G = –––––––––––– 100.000.000.000 Ho dimostrato che se questa è l’equazione della forza, allora valgono le tre leggi di Keplero. Se Terra e Sole si attirano con una forza proporzionale al prodotto delle 156 loro masse ed inversamente proporzionale alla loro distanza al quadrato, allora la Terra, più leggera del Sole, percorre un’orbita ellittica di cui il Sole occupa uno dei fuochi. – E questa è anche l’equazione della forza che attira la famosa mela verso la Terra? – Certo! – E allora la forza dipende dalla massa! Più un corpo è pesante, più è attratto dalla Terra e quindi la sua velocità di caduta sarà maggiore. – Non ho detto che la velocità di caduta dipende dalla massa, ho solo detto che la forza dipende dalla massa. – Ma è la stessa cosa. La massa è proporzionale alla forza, la forza è proporzionale all’accelerazione (le ricordo la seconda legge del moto da lei scritta), l’accelerazione è proporzionale alla variazione di velocità e quindi… mi dispiace per Galileo, ma la moneta cade più velocemente del fazzoletto! – Ti sei contraddetto. – Non mi sembra. – Certo che ti sei contraddetto, se non sei capace di trovare il tuo errore puoi leggere a pagina 169. – Il mio errore è che anche questa volta non ho considerato che ha sempre ragione lei! Senta professore, c’è una domanda che veramente vorrei farle… 157 per la mia bravura matematica, ma considera le mie idee sulla luce e sulla gravitazione, assolutamente assurde. E poi Leibniz, il peggiore di tutti! Ha completamente copiato la mia nuova matematica, facendo credere che l’aveva inventata lui. Ma io l’ho denunciato e la Royal Society mi ha dato ragione. La matematica nuova è mia. – Ma lei non l’ha pubblicata la sua matematica! – Prego. – Le masse si “attirano”? – Le masse si attirano. – Ma le masse non sono inanimate? – Le masse sono inanimate. – Come fanno ad “attirarsi” se sono inanimate? – L’ho pubblicata nel 1707, mentre Leibniz, dal 1684, aveva cominciato a pubblicare i suoi risultati su un giornale scientifico. – Mi scusi, allora come fa a dire che Leibniz l’ha copiata se lei ha pubblicato più tardi? – Io e Leibniz ci eravamo scritti, anche se ero stato attento a non svelare segreti, e poi, a qualche mio allievo fidato, avevo confidato qualche cosa dei miei studi… non so di preciso come abbia fatto a copiarmi, ma di sicuro l’ha fatto! – Ah saperlo! Io ho spiegato come si attirano, non perché. – Professore, il mondo è rimasto a bocca aperta davanti alle sue dimostrazioni? – Ben pochi sono stati capaci di capirle e, tra questi, molti le hanno anche criticate. – Veramente? – Sì, certo, specialmente quelli che vivono nel continente, mentre qui in Inghilterra ho avuto molti sostenitori. – In particolare chi se l’è presa con lei? – Beh, il grande Huygens, ad esempio, dice di stimarmi 158 159 Dall’altro lato della Manica Gottfried Wilhelm Leibniz era nato a Lipsia nel 1646, aveva studiato filosofia e legge in ben tre università e quindi si era dedicato alla carriera diplomatica. Aveva un sogno facilmente condivisibile: che in Europa regnasse la pace. Venne mandato a Parigi per convincere il Re Sole a non invadere i paesi del nord Europa. Come diplomatico, però, Leibniz non si mostrò molto capace. Durante il suo soggiorno parigino conobbe Huygens e si lasciò affascinare dai numerosi volumi che questi lo spinse a leggere. Tornò così ai suoi vecchi amori per gli studi e… dopo poco tempo, da studioso diventò professore, formulando quello che passerà alla storia come calcolo differenziale ed integrale. – Signor Leibniz, questo “calcolo differenziale e integrale” l’ha veramente copiato da Newton? – Ma figuriamoci! Quel Newton non fa conoscere niente a nessuno. Parla solamente, ed in gran segreto, con alcuni studiosi inglesi se, e solo se, sono disposti ad andarlo ad omaggiare nella sua università di Cambridge! – Mentre lei ha pubblicato tutto? – Certo, la cultura deve circolare, tutti devono imparare ad utilizzare uno stesso linguaggio simbolico in modo che ci si possa facilmente capire l’uno con l’altro. – “Linguaggio simbolico”? 160 – Lo usi tutti i giorni. Quando scrivi “=”, sono solo due lineette ma tutti capiscono “uguale”. “A=B” significa che A è uguale a B, non ti sembra un linguaggio simbolico? – Avevo solo paura che fosse qualche cosa di più complicato. – Nulla è complicato, basta trovare il linguaggio adatto, linguaggio che deve diventare universale. Quel Newton, più ci penso e più divento furioso, non solo tiene tutto segreto, ma usa anche dei simboli e dei nomi difficilissimi e, ovviamente, diversi da quelli che si usano qui in Europa. – Oh, questa mania gli inglesi non la perderanno. Ancora ai miei tempi, useranno le miglia e non i chilometri, le libbre e non i chilogrammi, e… forse per lei sarà una notizia strana, ma guideranno anche dalla parte sbagliata! – Non mi meraviglia più di tanto, hanno sempre avuto la fissazione di doversi distinguere dai continentali (come li chiamano loro). – Posso chiederle qualche cosa su questo famoso “calcolo”? – Mio caro, non è facilissimo. Se farai il liceo classico e non seguirai uno studio scientifico all’università, vivrai tutta la vita senza sapere nulla di questo fantastico calcolo. 161 – Mi scusi, se è così difficile non le chiedo niente. – E invece ti sbagli! Non ti spiegherò molto, ma se leggi a pagina 170 avrai almeno un’idea della sua potenza e della sua utilità. Potrai anche capire meglio i grandi risultati di Galileo. “Io” ti spiegherò qualche cosa, perché se speri che lo faccia Newton… – Su, non si scaldi tanto. Newton è acqua passata, non ci pensi più. Ai nostri tempi tutti sapranno che lei e Newton avete sviluppato lo stesso tipo di calcolo autonomamente e che nessuno dei due ha copiato dall’altro. – Acqua passata dici? Sono stato condannato per plagio dalla Royal Society (inglesi pure loro e per di più influenzati dallo stesso Newton), non sono riuscito a pubblicare gran parte delle mie opere ed al mio funerale, nel novembre del 1716, erano presenti solo i miei parenti ed i miei amici. Invece Newton, morto nel 1727, ha ricevuto un funerale da re ed è stato seppellito nell’abbazia di Westminster, accanto ai suoi sovrani. – … ma Newton non si è occupato solo del calcolo, ha anche capito e spiegato la gravitazione universale. – Non mi parlare di quella! Ti pare possibile che due corpi possano attrarsi a vicenda in modo istantaneo anche essendo molto distanti ed essendo vuoto lo spazio tra loro? E poi, cos’è questa storia del moto assoluto? Non possiamo in nessun caso capire se stiamo vera- 162 mente fermi o ci stiamo muovendo di moto rettilineo uniforme. E la faccenda degli atomi! Se veramente esistessero e fossero perfettamente “duri”, cioè non elastici, come afferma Newton, allora un urto tra due di loro produrrebbe un cataclisma! Alle importanti obiezioni di Leibniz, Newton non diede risposte e le polemiche tra le due scuole di pensiero non terminarono con la morte dei maestri. La “scuola di Leibniz” generò una classe di matematici tra i più importanti della storia, mentre le idee di Newton formarono la solida base su cui si svilupperà la fisica dei due secoli successivi. Ma lasciamo da parte i dissidi personali e diamo un’occhiata a quali grandissimi risultati scientifici tutti questi uomini hanno lasciato alla storia. Siamo partiti dalle timide idee di Copernico per arrivare ad un universo libero da sfere solide “rotolanti”, un universo in cui i pianeti si muovono seguendo precise leggi matematiche, un universo “democratico”, nel quale valgono le stesse leggi, sia per la Luna che per la mela (“La legge è uguale per tutti”). Un universo in cui esiste il vuoto, l’aria “pesa”, si contrae e si espande, un universo in cui anche la luce e i colori obbediscono a leggi matematiche. Un universo che si può esplorare con il cannocchiale e che appare più “grande”. Quanto grande? Avrà una fine o sarà invece infinito? E la materia, la luce, da cosa sono formate? Abbiamo ancora tante domande… 163 APPENDICE, PER CHI VUOLE SAPERNE DI PIÙ Cos’è un’ellisse L’ellisse è quella figura che ottieni tagliando un cono come vedi a lato. Adesso prendi due punti, A e B e disegna un terzo punto C. La distanza tra A e C la chiamiamo a e la distanza tra B e C la chiamiamo b. La somma delle distanze di C dai fuochi A e B (a+b) la chiamiamo d (d = a+b). La somma delle distanze del punto C dai fuochi (cioè d), deve essere maggiore della distanza h del fuoco A dal fuoco B. Tutti i punti del piano la cui somma delle distanze da A e B risulta uguale a d formano l’ellisse. Per il punto C’, sarà a’+b’=d, per il punto C’’, a’’+b’’=d, e così via. La figura ti mostra quanto detto. Per questo puoi disegnare l’ellisse usando due puntine ed uno spago (vedi pagina 71): la lunghezza dello spago non cambia. Le tre leggi di Keplero 1. Ogni pianeta si muove lungo un’orbita ellittica in cui il Sole occupa uno dei fuochi. 2. I raggi vettori delle orbite dei pianeti spazzano aree uguali in tempi uguali. 164 3. ( —TT ) = ( —dd ) 1 2 3 1 2 2 Questa relazione indica che il rapporto tra i periodi di rivoluzione (T) intorno al Sole di due qualsiasi pianeti, elevato al quadrato, è uguale al cubo del rapporto delle loro distanze medie dal Sole (d). Il periodo di rivoluzione è il tempo che il pianeta impiega a compiere un giro intorno al Sole. Esempi di moti uniformemente accelerati Se lasciamo cadere un vaso dal tetto di una casa alta 20 metri e sappiamo che impiega 2 secondi ad arrivare a terra, possiamo calcolare a che altezza si trovava dopo un solo secondo da quando l’abbiamo lasciato. Infatti: s t —2 = —2 s1 t1 ( ) 2 sappiamo che s2 = 20 metri e t2 = 2 secondi, e vogliamo sapere quanto vale s1 se t1 = 1 secondo ( ) 20 = — 2 — s1 1 2 20 = 4 — s1 moltiplicando a destra e a sinistra per s1 e dividendo per 4, si ottiene: s 20 s —1 x — = 4 x —1 4 s1 4 20 = 5 metri s1 = — 4 dopo un secondo, il nostro oggetto aveva percorso 5 metri. Galileo aveva ricavato la legge: t s —2 = —2 s1 t1 ( ) 2 165 studiando i moti sui piani inclinati, mentre noi l’abbiamo applicata ad un corpo in caduta libera. È lo stesso Galileo che ci autorizza a farlo, infatti, sebbene non avesse potuto prendere le misure su oggetti che cadevano in verticale, dato che il loro moto era troppo veloce, egli aveva usato tanti piani, ognuno con una diversa inclinazione e aveva osservato che la legge rimaneva invariata. Aveva potuto quindi generalizzare il risultato ad un moto con inclinazione verticale, cioè in caduta libera. x=5 3 2 x=0 y+5 X 1 0 calcoliamo i punti scegliendo i valori delle y: 5 y=0 y=1 y=2 Disegnamo altre rette sul piano cartesiano Riscriviamo l’equazione di una retta generica: Per disegnare una retta parallela all’asse delle y, possiamo usare un’equazione del tipo x=0 0+5 x=0 1+5 x=0 2+5 x=5 x=5 x=5 X X X Troviamo la retta che passa per due punti y=a x+b X scegliamo i valori a=0 e b=3. La nostra equazione diventa y=0 x+3 X Vogliamo trovare l’equazione della retta che passa per i punti: punto 1: x = 0; y = 3 punto 2: x = 1; y = 6 sappiamo che, come tutte le rette, la sua equazione è del tipo: y=a x+b calcoliamo i punti: X x=0 x=1 x=2 y=0 0+3 y=0 1+3 y=0 2+3 X X qualsiasi valore diamo alla x, la y risulta sempre uguale a 3. Disegnamo come prima i nostri punti: x=0 y=3 x=1 y=3 x=2 y=3 È una retta parallela all’asse delle x. 166 y=0+3 y=0+3 y=0+3 X y=3 y=3 y=3 questa volta, però, non conosciamo a e b, ma conosciamo i valori di x e di y. Possiamo sostituirli nell’equazione per ricavare a e b. Sostituiamo il primo punto 3 = a X 0 + b; y=3 3 = 0 + b; 3=b Abbiamo ricavato il valore di b. Adesso sostituiamo il secondo punto e b, dato che ormai lo conosciamo: 3 6 = a X 1 + 3; 6 = a + 3; 6 - 3 = a; 3=a Abbiamo ricavato anche a = 3, allora la nostra retta sarà: y=3 x+3 X 0 1 2 3 4 167 Per essere sicuro adesso puoi disegnarla e controllare se passa veramente dai punti giusti. 1 Perché F = — r2 ? Dobbiamo mettere insieme le conoscenze raggiunte fino a quel momento. La terza legge di Keplero afferma: 2 T =r 3 (a) (il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza dal Sole). Secondo Cartesio ed Huygens, ogni corpo in rotazione (la nostra pallina attaccata al filo) ha una certa “tendenza ad allontanarsi dal centro”. Huygens aveva calcolato che questa “tendenza ad allontanarsi dal centro” (ac) era proporzionale alla velocità della nostra pallina al quadrato ed inversamente proporzionale alla sua distanza dal centro. v2 ac = –– (b) r Dove “r” è il raggio dell’orbita e quindi la distanza della pallina dal centro. La velocità (v) della nostra pallina la possiamo calcolare dividendo tutto lo spazio da lei percorso in un giro, per tutto il tempo che impiega a percorrere un giro. Questo tempo si chiama periodo e si indica con T. Dato che la pallina percorre un cerchio, lo spazio percorso sarà uguale al perimetro del cerchio (perimetro del cerchio = 2πr). 2πr v = ––– T Elevando al quadrato otteniamo: 168 (2πr)2 v2 = ––––– T2 (c) ma, per l’equazione (a), T2 = r3 e quindi, sostituendo nella equazione (c), e semplificando, otteniamo: (2π)2 r2 (2πr)2 (2π)2 2 = ––––––– 2 = ––––– v2 = ––––– v v r3 r3 r sostituendo questo valore di v2 nell’equazione (b) si ottiene (2π)2 1 (2π)2 ac = ––––– X –– ac = ––––– ; r r r2 Quindi ac, cioè la “tendenza ad allontanarsi dal centro” (che sarà proporzionale alla forza che “non fa allontare dal 1 . centro”) è uguale ad un numero ((2π)2) che moltiplica — r2 La velocità di caduta della moneta La forza che attrae la moneta verso la Terra è: MXm F = G X –––––– r2 (a) Dove r è la distanza della moneta dal centro della Terra, M la massa della Terra e m la massa della moneta. Questa forza, applicata sulla moneta, genera un’accelerazione: F a = –– m (questo per la seconda legge di Newton) quindi, sostituendo a F l’equazione (a) si ottiene: Mxm x 1 a = G x –––––– –– r2 m ; M a = G x ––– r2 Vedi, la massa della moneta è scomparsa dall’equazio- 169 ne, l’accelerazione quindi dipende solo dalla massa della Terra e dalla distanza della moneta dal centro della Terra. Perché abbiamo usato la distanza tra la moneta ed il centro della Terra e non la distanza tra la moneta e la superficie della Terra? Perché Newton ha dimostrato (con calcoli molto complicati) che i corpi si attraggono come se tutta la loro massa fosse situata nel loro centro. La distanza tra la moneta e il centro della Terra sarà praticamente uguale al raggio della Terra e quindi possiamo calcolare l’accelerazione che la moneta subisce in caduta libera verso la Terra: 24 5,97 x 10 M a = G x ––– = 6,67 x 10-11 ––––––––––– = 9,8 m/s2 2 r (6,37 x 106)2 questa accelerazione è valida per tutti i corpi, qualsiasi massa abbiano, dato che per calcolarla non abbiamo dovuto usare la massa della moneta. La nuova matematica Il grandissimo merito di Newton e di Leibniz è stato capire che per fare i conti con le grandezze che cambiano continuamente bisognava saper calcolare le tangenti alle curve. Vediamo perché e cosa vuol dire. Andiamo in bicicletta a velocità costante. Impieghiamo un secondo per percorrere 10 metri. A che velocità siamo andati? Ci siamo mossi alla velocità di dieci metri al secondo (10m/s). s Se la velocità è costante possiamo definire: v = — t la nostra velocità la misuriamo come lo spazio che abbiamo percorso diviso il tempo che abbiamo impiegato a percorrerlo. Vediamo se questa definizione funziona. 170 Se la velocità è costante e in un secondo abbiamo percorso 10 metri, quanti metri percorriamo in due secondi? Ovviamente 20 metri (10 metri il primo secondo e 10 metri il secondo secondo). A che velocità siamo andati? s 20 m = 10 m/s v=— t = —— 2s sempre a 10 metri al secondo. È giusto, avevamo detto che la nostra velocità doveva essere costante. Adesso disegnamo su un grafico lo spazio che percorriamo in funzione del tempo che passa se la nostra velocità rimane costante e uguale a 10m/s. t0 = 0 s ta = 1 s tb = 2 s spazio (metri) sb 20 sd 17 sc 12 sa 10 s0 = 0 m sa = 10 m sb = 20 m 0 1 1,2 1,7 2 tempo Se la nostra definizione ta tc td tb (secondi) di velocità è giusta, vuol dire che sarà sempre uguale a 10 m/s dividendo un qualsiasi spazio percorso per il tempo che abbiamo impiegato a percorrerlo. Prendiamo lo spazio percorso tra i punti sa e sb segnati sul grafico. Quanto spazio abbiamo percorso? (Con ∆s intendiamo l’intervallo di spazio percorso, cioè sfinale - siniziale) ∆s = sb - sa = 20 - 10 = 10 Quanto tempo abbiamo impiegato a percorrerlo? 171 ∆t = tb - ta = 2 - 1 = 1 Qual è la nostra velocità? ∆s = — 10 = 10 m/s v=— 1 ∆t Per adesso funziona, ma noi non ci fidiamo. Prendiamo uno spazio più piccolo e facciamo di nuovo i calcoli: ∆s = sd - sc = 17 - 12 = 5 Quanto tempo abbiamo impiegato a percorrerlo? ∆t = td - tc = 1,7 - 1,2 = 0,5 ∆s = — 5 = 10 m/s v=— ∆t 0,5 La velocità rimane sempre uguale. Possiamo dimezzare lo spazio percorso, ma si dimezzerà anche il tempo impiegato a percorrerlo. Possiamo prendere uno spazio 10 volte più piccolo, anche il tempo impiegato diventerà 10 volte più piccolo, così quando andiamo a calcolare lo spazio diviso il tempo otteniamo sempre 10m/s. Possiamo quindi prendere uno spazio piccolissimo e dividerlo per il piccolissimo tempo che abbiamo impiegato a percorrerlo ed ottenere sempre lo stesso risultato: 10m/s. Ma quanto piccoli possiamo prendere questi spazi e questi tempi? Piccoli quanto ci va, piccoli “a piacere”, il rapporto rimane sempre 10m/s. Ma se prendiamo uno spazio che è talmente piccolo da diventare uguale a zero? Anche il tempo sarà talmente piccolo da essere uguale a zero. ∆s = — 0 Certo, ma mica si può scrivere: v = — ∆t 0 172 Non si può dividere un numero per zero! È vero non si può, ma dice Newton, se diminuisco sempre lo spazio e diminuisce sempre il tempo impiegato a percorrerlo, se “un istante prima” che diventino tutti e due uguali a zero, il loro rapporto è 10m/s, allora posso dire che sarà sempre 10m/s, al limite anche quando sono diventati tutte e due uguali a zero. Se la velocità è costante abbiamo risolto il problema di come calcolarla: ∆s v=— ∆t I grafici cartesiani ci sono utili per poter disegnare, come abbiamo appena fatto, lo spazio percorso in funzione del tempo impiegato a percorrerlo. Se cominciamo a contare il tempo e lo spazio da zero, cioè se tiniziale = 0 secondi, e siniziale = 0 metri, allora ∆s = s - siniziale = s - 0 = s, s ∆t = t - tiniziale = t - 0 = t, quindi: v = — t moltiplichiamo a destra e sinistra dell’uguale per t e semplifichiamo s x vxt=— t t s v = 2 m/s v = 1 m/s s=vxt Ma guarda un po’, se v è costante (quindi possiamo scriverlo come un numero che non cambia mai), non ti sembra che si ottenga l’equazione di una retta? Sull’asse delle x abbiamo messo il tempo, su quella delle y, lo spa- 173 t zio percorso. Più la nostra bicicletta si muove veloce, più la retta è verticale. Che succede quando la velocità non è più costante ma varia, ad esempio aumenta sempre, come nel moto in caduta libera? Prendiamo l’equazione di Galileo: s t 2 —2 = —2 s1 t1 Disegnamo le coppie di punti sul nostro grafico: Abbiamo visto che un corpo in caduta libera, dopo un secondo ha percorso 5 m, allora possiamo scrivere: s2 t2 2 —— = — ; s2 = (5m/s2) x t22 5m 1s Questa figura non è una retta. I matematici la chiamano “parabola”. Adesso proviamo ad applicare la nostra definizione di velocità ad un intervallo della curva, ad esempio studiamo cosa succede tra t3 e t4. ( ) ( ) t2 rappresenta un certo tempo, quello che noi scegliamo e al quale misuriamo la distanza s2 che l’oggetto ha percorso. Per comodità togliamo il simbolo “2”, infatti t2 può essere un tempo qualsiasi, l’importante è che lo spazio (al quale anche togliamo il simbolo “2”), corrisponda esattamente a quel tempo. Togliamo anche m/s2 (metri al secondo quadrato) che serve ad indicare che stiamo misurando lo spazio in metri (e non ad esempio in chilometri) e il tempo in secondi (non in minuti o ore). s = 5 x t2 Usiamo come prima i grafici di Cartesio per disegnare lo spazio in funzione del tempo che passa. Calcoliamo i punti: t0 = 0 t1 = 1 t2 = 2 t3 = 3 t4 = 4 174 s0 = 5 x t02 = 5 x 02 = 5 x 0 = 0 s1 = 5 x t12 = 5 x 12 = 5 x 1 = 5 s2 = 5 x t22 = 5 x 22 = 5 x 4 = 20 s3 = 5 x t32 = 5 x 32 = 5 x 9 = 45 s4 = 5 x t42 = 5 x 42 = 5 x 16 = 80 t0 = 0 t1 = 1 t2 = 2 t3 = 3 t4 = 4 s0 = 0 s1 = 5 s2 = 20 s3 = 45 s4 = 80 ∆t = t4 - t3 = 4 - 3 = 1 ∆s = s4 - s3 = 80 - 45 = 35 spazio (metri) s4 80 s3 45 s2 20 s1 5 0 1 t1 2 t2 3 t3 4 tempo t4 (secondi) ∆s = — 35 = 35 v=— ∆t 1 Possiamo dire che se in questo intervallo di tempo la nostra velocità fosse stata costante, sarebbe stata uguale a 35 m/s. Infatti, come hai visto, se la velocità è costante e disegnamo lo spazio percorso in funzione del tempo, otteniamo una retta e la velocità rappresenta proprio l’inclinazione della nostra retta. Dal disegno puoi vedere, però, che lo spazio percorso dal nostro oggetto tra t3 e t4 non può essere descritto dalla retta, ma da quel pezzetto di parabola che coincide con la retta solo nei punti 3 e 4 ma si discosta dove fa la “pancia” (guarda la figura a pag. 176). 175 Prendiamo allora un intervallo più piccolo, la metà di quello di prima e facciamo nuovamente i conti: s4 80 ∆t = tb - ta = 3,75 - 3,25 = 0,5 ∆s = sb - sa= 70,3 - 52,8 = 17,5 sb 70,3 ∆s = —— 17,5 = 35 v=— 0,5 ∆t sd 64,8 Guarda un po’! Prendendo un intervallo più piccolo la velocità non cambia. La nostra retta, si vede nel disegno, è parallela alla retta di prima e quindi ha la stessa inclinazione, ma è più “vicina” alla parabola, i suoi punti sono meno lontani, la distanza della retta dalla “pancia” della parabola è diminuita. Prendiamo un intervallo ancora più piccolo (e ingrandiamo la figura intorno al punto che ci interessa): s4 61,25 sc 57,8 sa 52,8 s3 80 45 3 t3 ∆t = 3,6 - 3,4 = 0,2 ta tc td 3,75 4 tb t4 ∆s = 64,8 - 57,8 = 7 sb 70,3 ∆s = — 7 = 35 v=— ∆t 0,2 Bene, questa volta ce lo aspettavamo. Diminuiamo l’intervallo e otteniamo sempre la stessa velocità. Il vero risultato è che, diminuendo l’intervallo, la retta si avvicina sempre più alla parabola, più l’intervallo diventa piccolo, più la nostra velocità in quell’intervallo piccolissimo, può essere considerata costante. Ma quanto piccolo deve essere questo intervallo? Questa volta non possiamo più dire “piccolo a piacere”, questa sd 64,8 61,25 sc 57,8 sa 52,8 s3 3,25 3,4 3,5 3,6 45 3 3,25 3,4 3,5 3,6 t3 ta tc td 3,75 4 tb t4 177 volta il nostro intervallo deve essere piccolo come un punto della nostra parabola, perché in ogni punto della parabola la nostra velocità varia, pochissimo, ma varia. Ma un punto non ha dimensioni, un punto è “grande 0”, non possiamo dividere ∆s per ∆t se diventano tutti e due uguali a zero! E invece possiamo, ci assicurano Newton e Leibniz, se, mentre diventano sempre più piccoli, il rapporto tra i due intervalli tende ad un numero finito. Anche da un punto di vista geometrico la situazione è abbastanza chiara: mentre i nostri intervalli diminuiscono, la nostra retta tende a diventare la tangente della parabola nel punto di mezzo dei nostri intervalli. sempre, se pensiamo di poter aspettare un tempo lunghissimo, lunghissimo, lunghissimo, possiamo dire un “tempo infinito”, anche la velocità del nostro oggetto sarà diventata infinita! E questo è un problemino che la scienza affronterà diversi annetti dopo la morte di Newton. Ma torniamo alla nuova matematica. Newton e Leibniz non solo hanno capito che per fare i conti con le grandezze che cambiano continuamente bisogna saper calcolare le tangenti alle curve, ma hanno anche sviluppato un metodo generale per poter calcolare le tangenti. Calcoliamo le tangenti ad una parabola Ti ricordi cos’è una tangente? È la retta che tocca la curva in un solo punto. La velocità, in ogni punto, è proprio data dall’inclinazione della retta tangente in quel punto. Guarda il disegno della parabola con alcune sue tangenti: le inclinazioni di quelle rette rappresentano la velocità che il nostro oggetto ha in ogni punto segnato, cioè nei punti “di tangenza”. Dopo 1 secondo, la retta tangente ha un’inclinazione uguale a 10. Il nostro oggetto avrà acquistato la velocità di 10 m/s, dopo 2 secondi, la velocità sarà di 20 m/s e così via. Così via, così via, per quanto tempo? All’aumentare del tempo la velocità cresce sempre, cresce 178 Possiamo provare ad utilizzare questo metodo per quanto riguarda il calcolo delle tangenti ad una parabola, ma ti avverto, devi conoscere un po’ di matematica. Se non capisci tutti i passaggi fidati dei miei calcoli, ma cerca di capire il metodo che viene y utilizzato. L’equazione più semplice di una parabola è y = x2 x0=0 x1=0,5 x2=1 x3=1,5 x4=2 x5=2,5 y0=02=0 y1=0,52=0,25 y2=12=1 y3=1,52=2,25 y4=22=4 y5=2,52=6,25 Adesso che siamo convinti che y = x2 rappresenti effettivamente una parabola, lasciamo stare i numeri e usia- x 179 mo le lettere. Questo serve perché dobbiamo trovare una regola generale, che valga per ogni punto e per ogni intervallo, alle nostre lettere potremo sostituire, quando ci farà comodo, un qualsiasi punto e intervallo della parabola. Guarda la figura. Abbiamo scelto un punto x generico, il suo punto y corrispondente, e degli intervalli a e b, intorno ai punti scelti. a lo prendiamo come ci T ∆y pare, ma b deve corrispondere all’intervallo a scelto. Adesso sappiamo che per calcolare l’inclinazione della tangente ∆x alla nostra parabola nel punto T dobbiamo prendere l’intervallo ∆y, dividerlo per l’intervallo ∆x e trovare il risultato. Quindi prendere intervalli sempre più piccoli e vedere se il nostro risultato rimane uguale. Adesso noi sappiamo che vale sempre la relazione y = x2 per ogni punto della curva, altrimenti la nostra curva non sarebbe quella disegnata in figura ma un’altra. 2 (x-a)2 ∆y = — (y+b) - (y-b) (x+a) –— ——— —— = — ———-— —— = ∆x (x+a) - (x-a) (x+a) - (x-a) 2+a2+2xa-(x 2+a2-2xa) x— =— ————————— = (x+a) - (x-a) 2-a2+2xa x2—— +a2+— 2x a-x 4xa = 2x =— — —— ——— = — 2a x+a-x+a Quindi: ∆y = 2x –— ∆x L’inclinazione della tangente in un qualsiasi punto x, vale 2x. Nel punto x = 1, l’inclinazione è 2x = 2 x 1 = 2 Nel punto x = 2, l’inclinazione è 2x = 2 x 2 = 4 Nel punto x = 3, l’inclinazione è 2x = 2 x 3 = 6 Per essere sicuri, però, che abbiamo trovato proprio l’inclinazione della tangente nel punto x, dobbiamo verificare che il risultato non cambi se diminuiamo il nostro intervallo e scegliamo un a più piccolo. Questo perché noi vogliamo essere sicuri che la relazione valga quando a tende a zero. Allora, quanto vale il punto y - b? sarà y - b = (x - a)2 quindi anche y + b = (x + a)2 facciamo un po’ di calcoli: 180 Ma guarda che fortuna, non dobbiamo nemmeno rifare i calcoli. ∆y = 2x ; a è scomparso dalla nostra equazione! Infatti –— ∆x Qualsiasi a scegliamo ∆y/∆x sarà sempre uguale a 2x. 181 Il moto uniformemente accelerato Torniamo alla velocità. Eravamo partiti dall’equazione a pagina 174: s = 5 x t2 e volevamo conoscere la velocità in ogni punto. A parte quel 5 che moltiplica t2, la forma dell’equazione è proprio quella di una parabola, il “5”, la renderà solo un po’ più stretta. Bene, sappiamo che se: ∆y = 2x y = x2 allora –— ∆x quindi se: s = 5 x t2 ∆s = 5 x (2 t) allora — ∆t ∆s è proprio la nostra definizione di velocità; ma — ∆t allora: ∆s = 5 x (2 t) = 10 x t v=— ∆t Utilizzando questa formula possiamo calcolare la velocità del nostro oggetto in qualsiasi istante. Notiamo un’altra cosa. La velocità, in un moto uniformemente accelerato risulta proporzionale al tempo. Aveva ragione Galileo! Non aveva ancora le conoscenze matematiche per dimostrarlo, però era riuscito a capirlo: se lo spazio percorso è proporzionale al tempo al quadrato (di questo Galileo era sicuro perché risultava dai suoi esperimenti sul piano inclinato), allora la velocità è proporzionale al tempo. Ma l’appetito vien mangiando e così, avendo trovato questa bella relazione per la velocità, ci viene voglia di dise- 182 gnarla e capiamo subito che si tratta di una retta. La sua inclinazione, quindi, è costante ed uguale al numero che moltiplica il tempo (10). Ma la variazione di velocità rispetto al tempo non l’avevamo chiamata “accelerazione”? Ecco le equazioni per un moto in caduta libera: ∆v = 10 m/s2 (costante) a=— ∆t v=axt (= 10 x t; proporzionale al tempo) 1 a x t2 s=— 2 (= 5 x t2; proporzionale al tempo al quadrato) Ma l’accelerazione di gravità non era 9,8 m/s2? Sì, questo è il valore giusto ma, per fare i conti più velocemente, l’ho approssimata a 10 m/s2, non cambia molto nella sostanza ma semplifica moltissimo i calcoli. Nelle figure puoi vedere come varia l’accelerazione, la velocità e lo spazio percorso, in funzione del tempo, per un corpo in caduta libera in prossimità della superficie terrestre. 183 INDICE DEI CAPITOLI E DEI PERSONAGGI Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Iniziamo dall’inizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Gli arabi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Fibonacci (1175-1240) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Gli studiosi del Merton College . . . . . . . . . . . . . 16 Nicola Oresme (1323-1382) . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Giovanni Buridano (1300-1358) . . . . . . . . . . . . . 24 Altro che computer! . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Leonardo da Vinci (1452-1519) . . . . . . . . . . . . . 30 L’universo sotto-sopra . . . . . . . . . . . . . . . . 37 Nicolò Copernico (1473-1543) . . . . . . . . . . . . . . 37 Retico (1514-1576) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 NOn c’è due senza tre . . . . . . . . . . . . . . . . 58 Tycho Brahe (1546-1601) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 Le nuove orbite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 Giovanni Keplero (1571-1630) . . . . . . . . . . . . . . 65 William Gilbert (1540-1603) . . . . . . . . . . . . . . . 74 I cieli nuovi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 Galileo Galilei (1564-1642) . . . . . . . . . . . . . . . . 76 186 La macchina dell’universo . . . . . . . . . . . . 109 Cartesio (1596-1650) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 Christian Huygens (1629-1695) . . . . . . . . . . . . 123 Evangelista Torricelli (1608-1647) . . . . . . . . . . 128 Pierre Gassendi (1592-1655) . . . . . . . . . . . . . . 130 Blaise Pascal (1623-1662) . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 Otto van Gueicke (1602-1686) . . . . . . . . . . . . . 131 Robert Boyle (1627-1691) . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Dalla mela alla Luna . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 Isaac Newton (1643-1727) . . . . . . . . . . . . . . . . 139 Edmond Halley (1656-1742) . . . . . . . . . . . . . . 144 Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) . . . . . 160 Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 Cos’è un’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 Le tre leggi di Keplero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 Esempi di moti uniformemente accelerati . . . . . 165 Diesegnamo altre rette sul piano cartesiano . . . 166 Troviamo la retta che passa per due punti . . . . . 167 1 Perché F = — r2 ? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 La velocità di caduta della moneta . . . . . . . . . . 169 La nuova matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170 Calcoliamo le tangenti ad una parabola . . . . . . . 179 Il moto uniformemente accelerato . . . . . . . . . . . 182 187 di a ! ur nt erlo e vv ap L’a h, s A Ettore Perozzi Il cielo sotto la terra In viaggio nel sistema solare Anna Parisi Numeri magici e stelle vaganti I primi passi della scienza Seguendo i ragionamenti dei primi uomini che hanno cercato di capire come funziona la natura, il volume ripercorre i primi passi del lungo cammino della scienza, tra bellissime risposte, problemi irrisolvibili, misteri insondabili. Anna Parisi Ali, mele e cannocchiali La rivoluzione scientifica Pianeti, decine di nuovi satelliti, stelle, asteroidi. Un “universo” tutto da scoprire. Questo libro racconta ai ragazzi con semplicità e assoluto rigore scientifico che cosa succede quando si parla di Scienze Planetarie. Anna Parisi - Lara Albanese Dipende Einstein e la teoria della relatività Protagonista di questo volume è il grande fisico Albert Einstein, che “aiutato” da altri importanti scienziati, tra aneddoti, vignette e dimostrazioni spiega ai ragazzi la teoria della relatività. Ali, mele e cannocchiali racconta lo sviluppo della prima rivoluzione scientifica. Da Copernico a Newton i giovani lettori potranno scoprire con facilità il “nuovo” e affascinante disegno dell’universo, che passerà alla storia con il nome di “fisica classica”. 188 Anna Parisi - Alessandro Tonello Il filo conduttore L’anticamera dell’atomo Vincenzo Guarnieri Maghi e reazioni misteriose L’alchimia e la chimica a spasso nel tempo Il volume affronta quel periodo di sensazionali scoperte che portò a comprendere e utilizzare le grandi potenzialità dell’elettricità e del magnetismo, alla definizione della termodinamica fino all’ipotesi atomica! Questo volume è dedicato alla storia della chimica. Un libro per ragazzi che viaggia attraverso i secoli, dai primi “strambi” stregoni fino ai più grandi chimici del Novecento. Una divertente avventura pronta a svelare tutti gli enigmi della natura. 189 Clara Frontali Geni Dalle prime domande sull’ereditarietà all’ingegneria genetica Geni è il viaggio tra le scoperte che hanno portato l’uomo a capire come si trasmettono le informazioni genetiche tra i genitori e i figli, fino alle tecniche di ingegneria genetica oggi utilizzate dagli scienziati. L’avventura di Ah, saperlo! continua… Mario Corte Goal! Le origini del calcio, il calcio cinese e il calcio azteco, il football medievale inglese e il calcio fiorentino, la storia della Coppa dei Campioni, il Pallone d’oro e l’Italia che ci fece sognare nell’82… insomma tutto, ma proprio tutto sul mondo del calcio. 190