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CULTURA
Corriere della Sera Venerdì 11 Settembre 2015
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Il 23 settembre ad Annecy
Storie, persone, paesaggi
i film di Elisabetta Sgarbi
volano in Italia e in Francia
di Severino Colombo
A Mantova è il giorno di Trieste. Stasera al
Festivaletteratura viene presentato il film di
Elisabetta Sgarbi Il viaggio della signorina
Vila (2012) che racconta l’anima segreta e
composita di Trieste attraverso chi la
conosce, la ama e la vive. L’ispirazione viene
dal romanzo Il mio Carso di Scipio Slataper,
tra i protagonisti Claudio Magris e Boris
Pahor, intervistati sul rapporto con la città.
Alla presentazione (alle 21.15, al Cinema
Oberdan) oltre alla regista e a Magris
partecipano Mauro Covacich, Luciana
Castellina, Pino Roveredo, presenti anche nel
film. Sempre di Elisabetta Sgarbi, regista,
direttrice editoriale di Bompiani e ideatrice
de «La Milanesiana», ieri sera alla Mostra del
Cinema di Venezia è stato proiettato con
successo Il pesce rosso dov’è?, ultimo atto
della trilogia che Sgarbi ha dedicato a storie
e persone del Delta del Po, zona dichiarata
La regista
Elisabetta Sgarbi
Patrimonio dell’Umanità. La trilogia
comprende anche Pesce siluro è innocente e
Per soli uomini. Proprio quest’ultimo film è
tornato in questi giorni in programmazione
nelle sale cinematografiche (a Milano, al
Cinema Centrale) e sarà proiettato il
prossimo 23 settembre alla 33ª edizione del
Festival del cinema italiano di Annecy, in
Francia, alla presenza della regista.
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Parla Giulia Cogoli
Il giallo
del Salone
di Torino
di Cristina Taglietti
O
John Stezaker
(1948),
Love XI
(2006, collage,
particolare)
stiche. Pretese di partecipare, in veste di conferenziere, alla prima presentazione romana del
mio libro. Di fronte a una cospicua platea di amici e parenti, enumerò i difetti di un’opera prima
pomposa, maldestra e sopravvalutata. Ancora
una volta diede spettacolo: smanioso di umiliarmi, finì con l’umiliare se stesso. Allora gliene
volli, oggi non più. Solo in seguito avrei capito
che parlava in nome della mia coscienza, dando
voce al sospetto di non essere scrittore più di
quanto fossi professore. La sindrome dell’impostore s’insinuava in me subdola come una malattia cronica.
Noi siamo niente
In uno dei più celebri brani di L’essere e il nulla, quello dedicato al cameriere del bistrot parigino, Sartre illustra la condizione di un uomo
semplice, a suo agio nei panni imposti dalla professione: «Ha il gesto vivace e pronunciato, un
po’ troppo preciso, un po’ troppo rapido, viene
verso gli avventori con un passo un po’ troppo vivace, si china con troppa premura, la voce, gli occhi, esprimono un interesse un po’ troppo pieno
di sollecitudine per il comando del cliente, poi
ecco che torna tentando di imitare nell’andatura
il rigore inflessibile di una specie di automa,
portando il vassoio con una specie di temerarietà da funambolo, in un equilibrio perpetuamente instabile e perpetuamente rotto, che perpetuamente ristabilisce con un movimento leggero del braccio e della mano. Tutta la sua condotta sembra un gioco. Si sforza di concatenare i
movimenti come se fossero degli ingranaggi che
si comandano l’un l’altro, la mimica e perfino la
voce paiono meccanismi; egli assume la prestezza e la rapidità spietata delle cose. Gioca, si diverte». Sartre mette in scena l’impostore lieto e
consapevole. Ovvero il cameriere che si comporta da cameriere. Provate a pensare allo sconcerto
che ci suscita il causale incontro per strada con
un cameriere di un ristorante che frequentiamo
abitualmente: è lì, fuori dal perimetro privilegia-
to in cui decine di volte l’abbiamo visto agire, in
abiti borghesi a dir poco incongrui. Dapprima
stentiamo a riconoscerlo, poi ci sentiamo ingannati.
En passant, Sartre rivela che non c’è azione
umana aderente all’individuo che la compie.
Ciascuno di noi recita. Recita la mamma carezzando il bimbo che si addormenta (eccola scrutarsi da fuori, soddisfatta nel percepirsi madre
modello). Recita il professore fumando la pipa,
il calciatore masticando la gomma, l’attore inforcando i Ray-Ban. Recita il giudice quando con
solennità condanna un uomo alla pena capitale,
e persino il condannato a morte strillando la sua
innocenza. Recita il martire che si fa esplodere
nella moschea e il mendicante inginocchiato
sulle scale della chiesa.
E tuttavia non sono molti a soffrire della sindrome dell’impostore. Di norma la gente non se

Utilità sociale
Chi rientra in questa categoria vuole
migliorarsi, non si accontenta.
Scommette su un futuro implausibile
ma eccitante; coltiva il desiderio che
le cose si aggiustino. E diventa
un’indispensabile risorsa sociale
Los Angeles, le preziose serigrafie erano state sostituite da copie
ne cura. Per lo più si è lieti di fingere di essere ciò
che non si è. Diffido dei palloni gonfiati che, per
chiudere un contenzioso, ti sbattono in faccia
qualifiche o competenze: «Io sono un avvocato».
«Io faccio televisione da trent’anni». «L’enologia
è la mia vita». Diffido di chiunque stia bene nei
propri panni. La disinvoltura è la condizione climatica in cui germoglia la pianta dell’impostura.
Mi chiamo nessuno
Non sorprende lo straordinario numero di
impostori messi in scena dalla letteratura (la letteratura è un ricettacolo di bastardi e lestofanti,
peggio di un carcere di massima sicurezza). Più
sorprendente forse è che tali personaggi siano
spinti all’impostura da moventi così diversi,
spesso palesemente antitetici. Per Ulisse l’impostura è il solo modo di risolvere i problemi: dopo
aver violato le mura di Troia con un raggiro truffaldino, fornisce false generalità sia a Polifemo
che ai Proci. Lui è il «nessuno» per antonomasia
(millenni prima che Sartre scrivesse L’essere e il
nulla). Le motivazioni che spingono Frate Cipolla e Tartuffe all’impostura sono altrettanto disoneste, ma di certo meno nobili. Cyrano è impostore per amore, Valmont per lussuria, il conte di
Montecristo per vendetta, Gatsby per rivalsa,
Madame Verdurin per snobismo, Mattia Pascal è
smanioso di libertà e così via a seguire. I personaggi letterari che rifiutano la maschera dell’impostura di solito fanno una brutta fine: per tutti
valga l’esempio di Mersault, lo straniero di Camus.
Che l’impostura non sia una condizione ineludibile? Di più: un’indispensabile risorsa sociale.
Denunciando una patologica mancanza di autostima, l’impostore è colui che vuole migliorarsi,
che non si contenta; scommette su un futuro implausibile ma eccitante; coltiva il desiderio che
le cose si aggiustino, le speranze si rinnovino, i
sogni si realizzino, anche a costo di essere smascherato.
ggi si riunisce l’Assemblea dei soci del
Salone del libro di Torino, che dovrà
prendere decisioni importanti riguardo al futuro della fiera, in questi giorni al
centro di polemiche e discussioni. Temi del
dibattito che coinvolge prima di tutto i soci
fondatori, Comune e Regione: il modello per
il futuro, l’eventuale ingresso dei privati, la
gestione commerciale, i problemi finanziari.
A questi si aggiunge il giallo della nomina di
Giulia Cogoli (nella foto) a direttore editoriale. Cogoli, ideatrice del Festival della Mente di Sarzana, è stata infatti designata,
ma la sua nomina non è
ancora stata ratificata.
Dal consiglio di amministrazione è arrivata, attraverso la presidente Giovanna Milella, la richiesta di
presentare un piano editoriale che indichi le linee guida per il futuro e
di applicare un taglio al compenso. «Ci tengo a chiarire — replica Giulia Cogoli — che
per quanto mi riguarda il tema in questo
momento non è affatto di carattere economico, ma organizzativo. Lo dimostra il fatto
che ho lavorato intensamente e gratis per
due mesi, giugno e luglio». Cogoli vuole
precisare che non è vero che le sue richieste
riguardino un aumento del compenso rispetto a quello del suo predecessore Ernesto
Ferrero (circa 109 mila euro), come alcuni
giornali hanno scritto: «Le cose non stanno
affatto così, non voglio passare per una persona esosa. Lo dimostra il fatto che io ho già
un contratto per uno stipendio non superiore a quello di Ferrero. Il 30 giugno Giovanna
Milella mi ha mandato un contratto con la
stessa cifra del mio predecessore perché, in
seguito al consiglio di amministrazione del
23 giugno, aveva ricevuto mandato di procedere ed evidentemente era d’accordo. Dopo
questo passo, però, non è successo più niente, la mia nomina non è più stata all’ordine
del giorno. Evidentemente lei ha cambiato
idea». Naturalmente all’assemblea dei soci
di domani Giulia Cogoli ci sarà: «È un appuntamento decisivo e sul tavolo ci sono
temi fondamentali: il disavanzo del 2014 è di
450 mila euro, ma per il 2015 la situazione si
prospetta ancora più grave».
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Il premio giapponese considerato il «Nobel delle arti»
Scoperto il furto di nove Warhol L’Imperiale a Laib e Guillem
di Stefano Bucci
P
er chi come Andy Warhol (1930-1987) ha sempre
rappresentato il lato più eccentrico e irriverente della Pop Art, il furto scoperto ieri a Los Angeles potrebbe avere i contorni di un happening d’artista. Perché
se dalle pareti di uno studio cinematografico sono effettivamente sparite nove serigrafie su carta appartenenti ad
una serie del 1980 dedicate a icone della cultura ebraica
(da Freud a Golda Meir ai Fratelli Marx, a fianco), al suo
posto il ladro aveva comunque ben pensato di sostituire
gli originali con altrettanti falsi. E così nessuno si è accorto dell’audace colpo fino a quando ai proprietari dello
studio non è sembrato che le serigrafie si stessero letteralmente afflosciando. Il verdetto è arrivato dal corniciaio
convocato per un consulto: le opere erano false. Le prime
tracce avevano portato alla casa d’aste Bonhams dove
«qualcuno nel mese di agosto avrebbe chiesto informazioni sulle stampe di Andy Warhol». Sembra però che
l’opera presentata per una stima non fosse della serie in
questione.
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I
l giapponese Tadanori Yokoo (1936)
per la pittura; il tedesco Wolfang
Laib per la scultura (1950); l’inglese
Mitsuko Uchida (1948) per la musica; i
francesi Dominique Perrault (1953) e
Sylvie Guillem (1965), rispettivamente
per l’architettura e per il teatro-cinema:
questi i vincitori del Praemium Imperiale 2015, il riconoscimento nipponico
considerato il Nobel delle arti. L’annuncio è stato dato ieri a Roma da Lamberto
Dini, consigliere internazionale del Premio. Nella sezione teatro-cinema era
stato in realtà scelto Martin Scorsese,
ma non potendo però il regista essere
presente alla cerimonia del 21 ottobre a
Tokyo (condizione essenziale) gli è stata
preferita Guillem.
Dunque, nessun italiano stavolta tra i
vincitori (lo scorso anno era toccato a
Giuseppe Penone per la scultura) per
quello che riguarda le cinque categorie
Vincitori
 Wolfgang
Laib (1950):
uno dei cinque
vincitori della
edizione 2015
del Praemium
Imperiale: con
lui Tadanori
Yokoo, Mitsuko
Uchida,
Dominique
Perrault, Sylvie
Guillem
principali (a loro un assegno di circa 111
mila euro). Yokoo è tra i maggiori esponenti dell’arte giapponese del secondo
Novecento, protagonista della Pop Art
del Sol levante; Laib è un «concettuale»
famoso per le sue straordinarie installazioni materiali naturali; Perrault è autore di progetti innovativi come la Bibliotheque nationale de France; Uchida
è celebre per le sue interpretazioni pianistiche di Mozart, Schubert, Schumann e Beethoven; Guillem a soli 19 anni, era stata scelta da Nureyev quale
Etoile dell’Opera di Parigi.
Giunto alla ventisettesima edizione,
il riconoscimento anche quest’anno ha
come filo conduttore l’apertura al sociale: la Borsa di Studio della Japan Art Association per giovani artisti è andata,
con un assegno da circa 37 mila euro,
alla Yangon Film Schooll del Myanmar.
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