Fotografia Digitale

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Fotografia Digitale
Gli obiettivi
Gli obiettivi fotografici sono il naturale complemento della fotocamera e costituiscono il mezzo attraverso cui le immagini giungono ad
impressionare il sensore. È facile dunque comprendere quanto siano
responsabili della qualità finale troppo spesso attribuita “solo” al numero
di pixel impiegati dal sensore. Il digitale inoltre richiede configurazioni
ottiche più particolari di quelle studiate negli anni sulla pellicola e tutto
ciò in particolar modo su schemi grandangolari o comunque inferiori al
50mm. Il sensore infatti “patisce” maggiormente l’inclinazione dei raggi
che proiettano l’immagine sul piano focale.
L’inclinazione aumenta sui bordi ed in relazione alla focale dell’obiettivo
che cambia la distanza dell’ultima lente posteriore più ravvicinata in configurazioni grandangolari. A differenza della pellicola il sensore, sopra ad
ogni pixel, ha una microlente che assume il compito di focalizzare i raggi
ricevuti nella parte sottostante sensibile. Le microlenti raggiungono il
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DX per l’accoppiata ideale obiettivo-sensore
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1 · Attacco a baionetta
2 · Piano focale (piano del sensore)
3 · Pupilla d’uscita
4 · Apertura diaframma
5 · Pupilla d’ingresso
6 · Flangia posteriore*
7 · Portata della pupilla d’uscita
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* La flangia posteriore costituisce il “tiraggio” focale
determinato dalla fissa distanza tra baionetta e piano sensore.
Ogni costruttore di obiettivi, anche il più
prestigioso, va incontro a sfide non indifferenti durante la progettazione di ottiche super-grandangolari. Le caratteristiche negative dei grandangolari più spinti
sono ben note: i bordi dell’immagine si
confondono tra aberrazione cromatica,
vignettatura e mancanza di nitidezza,
con risultati ancora peggiori se abbinati a sensori digitali di ampie dimensioni.
Con la maggior parte degli obiettivi per il
formato 135mm, la distanza della pupilla
d’uscita varia enormemente secondo la
lunghezza focale. Distanze non costanti della pupilla d’uscita rendono difficile
stabilire con precisione la posizione del
piano focale in modo che possa andare bene per tutti gli obiettivi, ed i risultati
non potranno che essere altrettanto incostanti ed in particolare se si tratta di
un grandangolo spinto. Perché:
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· la luce ai bordi della scena giunge al
piano della pellicola o del sensore con
una forte angolazione.
· Tale angolo risulta avere un’incidenza
anche superiore se la pupilla è molto
vicina al piano focale.
· La luce ai bordi del fotogramma percorre una distanza superiore rispetto
a quella del centro immagine, manifestando quindi una inevitabile caduta di luminosità,
con perdita di vivaRIPRESA
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cità dei colori ed una messa a fuoco
meno precisa.
La nuova famiglia di obiettivi appositamente realizzati per le reflex digitali denominati Nikkor DX, fa si che i raggi di
luce che colpiscono il sensore arrivino
con inclinazioni minori.
· In primo luogo, il retro flangia della
baionetta di innesto obiettivo di tutti
gli apparecchi Nikon si trova più lontano dal piano focale (pellicola/sensore)
rispetto alle fotocamere di altre marche, e quindi l’angolo di incidenza della luce che arriva ai bordi è più prossimo alla perpendicolarità.
· In secondo luogo, i cerchi immagine
DX sono più piccoli che negli obiettivi progettati per coprire il formato
135mm, e gli angoli d’incidenza dei
raggi luminosi risultano quindi più favorevoli.
· Infine, la pupilla d’uscita di tutti gli
obiettivi DX Nikkor è praticamente la
stessa. Ciò assicura una copertura
costante del piano focale e una maggiore costanza di qualità, in particolar
modo quando si passa da un obiettivo all’altro.
Con le ottiche grandangolari DX dunque, l’intero fotogramma è più nitido,
meglio definito per quanto concerne il
colore, ed esposto in modo costante.
naturale limite fisico sull’accettazione inclinata della luce perdendo
efficienza man mano che questa
aumenta sui bordi del fotogramma. Questa è una delle ragioni
che ha portato Nikon alla scelta
del sensore in dimensione DX per
mantenere la compatibilità più
estrema con il ricco parco ottiche
Nikon già in possesso dei fotografi
anche se prendendo solo la parte
centrale qualitativamente superiore
e meno inclinata dell’intero cerchio
di copertura.
La differenza delle dimensioni del
sensore rispetto alla pellicola 24x36,
comporta un aumento della focale
dell’obiettivo impiegato sulla digitale
che andrà ricalcolato moltiplicandola per 1.5. Un 20mm diverrà così
equivalente ad un 30mm come un
300mm diverrà equivalente ad un
450mm. Le focali grandangolari non
coperte sono state offerte con l’introduzione di dedicati obiettivi DX
studiati apposta in tutti gli aspetti
contemplando anche l’ideale potere
risolvente che per ottimali risultati, in
digitale, deve rispettare un fattore di
divisibilità con la densità fisica tra i
pixel che costituiscono il sensore.
Tutto ciò, ovviamente, anche nell’obiettivo Zoom 18-70 DX fornito
nel kit con la D70.
All’interno degli obiettivi, oltre a
complessi schemi ottici costituiti
da lenti di differente e complessa
costituzione, trovano posto una
serie di meccanismi di controllo
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1000 mm
21⁄2°
500 mm
5°
300 mm
135 mm
8°
18°
105 mm
23°
50 mm
47°
28 mm
75°
7,5 mm
180°
Grafico della lunghezza focale, angolo di campo inquadrato e conseguente ingrandimento
rapportato al formato 24x36. Per ottenere
l’equivalenza DX bisogna moltiplicare la focale
dell’obiettivo per 1,5 ottenendo di conseguenza
l’equivalente più ristretta copertura in gradi
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quali il diaframma ed il sistema per la messa a fuoco motorizzata con
obiettivi AF-S. Il primo è assimilabile ad un foro di dimensione regolabile
che consente di far arrivare al sensore una quantità variabile di luce oltre
a conferire maggiore o minore profondità di campo.
Il sistema di messa a fuoco, invece, manuale o automatico che sia, serve
per regolare l’obiettivo in base alla distanza del soggetto, in modo che sul
sensore sia proiettata una riproduzione nitida della scena inquadrata.
Ciò che distingue un obiettivo da un altro, è principalmente la sua lunghezza focale. Questo parametro, che si esprime in millimetri, incide
in modo determinante sull’aspetto dell’immagine: al crescere della
lunghezza focale aumenta l’ingrandimento (il soggetto, in pratica, risulta “avvicinato”), diminuendo di conseguenza l’ampiezza del campo
inquadrato. Al variare della focale, inoltre, viene a modificarsi il rapporto
dimensionale tra gli elementi di un’inquadratura posti su piani diversi.
La luminosità
La luminosità è una caratteristica di rilievo degli obiettivi fotografici. Questo parametro rappresenta il più alto valore di apertura disponibile, ossia
la massima quantità di luce che può entrare attraverso la lente frontale
con il diaframma tutto aperto. Gli obiettivi luminosi sono particolarmente
utili quando si fotografa con poca luce. Sono più pesanti a causa di maggiori diametri impiegati dal vetro ottico che costituisce ogni singola lente
e conseguentemente più costosi degli altri ma permettono di usare tempi di esposizione più rapidi e quindi avere più possibilità di ottenere immagini nitide disponendo di tempi d’otturazione più veloci o di utilizzare
sensibilità ISO più contenute. La maggiore luminosità consentita a tutta
apertura aiuta inoltre, e non di poco, le prestazioni AF fornendo maggiore luminosità nel mirino visto all’atto dell’inquadratura e di conseguenza
percepita anche dai sensori autofocus posti sotto lo specchio reflex.
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Gli zoom
Gli obiettivi sono costituiti da complessi schemi di lenti originariamente
combinate per costituire una focale fissa ideale per i fini preposti. Con
l’avvento del computer impiegato nel complesso calcolo di simulazione
e di lenti tecnologicamente più avanzate, si è iniziato a disegnare schemi
ottici molto più complicati ma più versatili, rendendo più ampie le potenzialità di impiego. Bisogna sempre ricordare però che i limiti fisici sono
da questo punto di vista poco aggirabili rendendo di fatto impossibile
una costruzione ottica universalmente ideale per riprese grandangolari,
riproduzioni, macro e magari anche contemporaneamente luminosa,
senza pagare qualche limite. Le ottiche zoom sono dunque la più
pratica soluzione che mantiene
elevati livelli qualitativi quando non
si estremizza nel compromesso dal
punto di vista grandangolare e nel
fattore di moltiplicazione richiesto
da contenere preferibilmente entro
il 4x circa. La caratteristica principale ed apprezzata di un obiettivo
zoom è quella di poter variare con
continuità, intervenendo su una
ghiera di regolazione, la lunghezza
focale e dunque l’angolo di campo
inquadrato. Il campo d’azione di
uno zoom, ossia il numero di ottiche che di fatto può sostituire, è
definito escursione focale.
Uno zoom da 18 a 70mm (equivalente in digitale DX a 27-105) ad
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Compatibilità
con l’esteso sistema
Nikkor AF
Dal Fisheye Nikkor 10,5 mm
Eq. DX=15,75
all’AF-S Nikkor 600 mm f/4DII
Eq. DX=900
esempio, comprende le focali relativamente grandangolari fino ad un
discreto medio tele da ritratto, consentendo un considerevole risparmio di
peso ed ingombro rispetto ad un equivalente quantitativo di ottiche fisse.
Il nemico giurato di qualsiasi fotocamera con qualsiasi obiettivo, zoom
o focale fissa di qualsiasi livello e apertura è il micromosso. Mentre si
impugna la fotocamera e si sta per scattare non si è mai completamente
immobili; inoltre la pressione stessa sul pulsante di scatto può ulteriormente sbilanciare l’apparente immobilità del fotografo. Non ha alcun
senso disporre di una splendida reflex e di splendide ottiche se non si
fanno poi conti con il rischio del micromosso.
Spesso si ottengono risultati migliori con un obiettivo economico innestato sulla fotocamera saldamente ancorata a un treppiede che con
un’ottica professionale usata a mano libera in situazioni di luce critica.
Una regola non scritta dice che il tempo più lungo di scatto impiegabile
con un obiettivo corrisponde in frazioni di secondo alla sua lunghezza
focale. Con un 50mm quindi il tempo di scatto più lungo impiegabile pri-
ma di avvertire il micromosso è 1/50 (1/60) di secondo; con 28mm 1/28
(1/30) di secondo, con un 15mm un 1/15 di sec. Con una focale 135mm
il tempo più lungo impiegabile diventa 1/135 (1/125) di secondo, con
200mm 1/200 (1/250) di secondo, con 300mm 1/300 di secondo e così
via. In fotografia digitale il rapporto andrà adeguato alla nuova focale
equivalente ottenuta.
Più una focale è lunga, quindi, più dovrà essere veloce il tempo di scatto
e tutto questo in teoria perché in pratica ci sono fotografi che hanno la
mano più ferma e possono azzardare tempi più lunghi e fotografi con la
mano meno ferma che devono utilizzare tempi minimi ancora più veloci
di quelli qui indicati. Se poi la situazione comincia ad essere scarsamente
illuminata e non si può o non si vuole ricorrere né al flash né al treppiede
che in modalità diverse sono in grado di congelare gli involontari movimenti del fotografo, l’unica strada è quella di salire con la sensibilità ma
introducendo comunque maggiore “grana”. In aiuto a tutte queste situazioni sono stati progettati gli obiettivi stabilizzati Vibration Reduction.
Di norma sono zoom che incorporano delle lenti in grado di muoversi,
controllate da giroscopi elettronici, e di compensare fino ad un certo
punto gli involontari movimenti del fotografo evitando così il micromos-
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Gli obiettivi stabilizzati VR
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so. In pratica, decentrano a velocità elevatissime e sui due assi, una delle
lenti poste sul punto nodale dell’obiettivo.
Nel mirino, forzando i movimenti di inquadratura, si potrà percepire lo
spostamento dell’immagine nella direzione opposta al movimento fatta
proprio per compensare l’effetto. Gli obiettivi VR sono mediamente in
grado di compensare movimenti con un parametro 2/4x, il che significa
che quando si imposta per esempio un tempo di 1/30 di secondo, l’ottica
stabilizzata permetterà un “fermo immagine” tele come se si fosse impostato un tempo di 1/125 o grandangolare pari ad 1/250 di secondo: si
potranno così usare tranquillamente
le focali più lunghe di uno zoom in
tutta tranquillità in situazioni di luce
normale ed azzardarsi spingendosi
fino a tempi lunghi come 1⁄2 sec. o
addirittura 1 sec. con le focali grandangolari disponibili sullo zoom.
È bene chiarire immediatamente
che le ottiche stabilizzate sono in
grado di compensare esclusivamente gli involontari movimenti del
fotografo, non quelli del soggetto:
se si sta fotografando una ballerina
sul palcoscenico con lo zoom su
posizione grandangolare e con un
tempo diciamo di 1⁄4 di sec., certamente il palcoscenico risulterà
perfettamente nitido e privo di micromosso mentre la ballerina, a seconda della velocità del suo volteggio e del tempo di posa impostato,
risulterà più o meno mossa. Solo il
flash è in grado di “congelare” sia
un involontario movimento del fotografo che un involontario o in questo caso volontario movimento del
soggetto e solo, ovviamente, se lo
stesso si trova nella portata utile del
lampo flash. In situazioni estreme
con tempi di posa molto lunghi, la
possibilità di appoggiare almeno l’obiettivo su qualcosa di solido mentre
si inquadra e si scatta aiuta sicuramente a migliorare in partenza la stabilizzazione mentre al sistema di stabilizzazione vero e proprio dell’ottica
non resterà da fare che correggere piccoli involontari movimenti.
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Un monopiede, che chiuso non porta né a pesi né a ingombri così evidenti alla propria attrezzatura, può diventare un valido ausilio al lavoro
dello stabilizzatore. Oltre un certo limite l’ottica stabilizzata non è più in
grado di compensare i micromovimenti del fotografo, vuoi perché sono
in realtà dei macromovimenti, vuoi perché si è impostato un tempo di
scatto troppo lungo rispetto alla focale impiegata: qui entra in scena
l’unica soluzione valida è possibile, il cavalletto treppiede.
La complessità di un’ottica stabilizzata è tale che ad oggi in Europa sono
solo tre i centri autorizzati in grado di fare assistenza in caso di problemi
soprattutto d’uso, come un’accidentale caduta della fotocamera con
l’ottica stabilizzata montata e uno di questi tre centri si trova alla Nital,
l’unico distributore ufficiale Nikon per l’Italia: una volta riportata l’ottica
ai livelli di qualità e di tolleranza di fabbrica un fascio laser viene puntato
attraverso l’ottica fino ad arrivare sulla parete opposta della sala dove
è montato un sistema di collimazione visivo: quando lo stabilizzatore è
inattivo il punto rosso del laser “pennella” letteralmente la parete per diversi centimetri in alto e in baso o sui lati, quando viene inserito il sistema
di stabilizzazione il punto luminoso deve praticamente fermarsi con una
tolleranza compresa nei decimi di millimetro.
Ma attenzione, la prima regola è quella di preservare l’attrezzatura da
urti e ciò anche su un comune e semplice obiettivo perché quello che si
danneggia non è la visibile parte esterna o la palese scheggiatura di una
lente ma l’allineamento micrometrico che ogni gruppo deve mantenere
sull’asse ottico. Un urto altera dunque la necessaria planarità dei piani
dei diversi gruppi ottici coinvolti portando a sfocature magari solo su un
lato, su un angolo e tutto ciò con variabili diverse in base alla distanza di
messa a fuoco ed al diaframma di lavoro. Ciò per dire che l’impiego di fil-
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tri di protezione per prevenire urti serve solo “psicologicamente” perché
ciò che si rovina sta dentro e nell’insieme dei minuscoli giochi meccanici
degli elicoidi.
Stabilità e nitidezza
Utilizzando sensibilità basse associate a ridotte illuminazioni magari da
impiegare con diaframmi chiusi, la realizzazione dello scatto può richiedere tempi di esposizione particolarmente lunghi anche per la persona
con la mano più ferma.
Prolungando la durata del tempo di otturazione aumenta il rischio di
ottenere fotografie mosse per via delle vibrazioni che, durante l’esposizione, possono interessare il sistema di ripresa. Quando questo pericolo
sussiste, è necessario impiegare un supporto stabile che sostenga la
fotocamera. Un sostegno è necessario anche quando i tempi di posa
non sono lunghi in assoluto, ma risultano tali in relazione alla focale
dell’obiettivo. Le focali lunghe offerte dai teleobiettivi accrescono infatti, oltre l’ingrandimento, pesi e volumi richiedendo tempi di posa più
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veloci del “normale” per mantenere
stabilità e quindi nitidezza. Il limite di
durata dell’esposizione oltre il quale si
rischia l’effetto mosso, dipende dalla
posizione utilizzata per la ripresa, dalla
fermezza soggettiva della mano ma
in gran parte dalla lunghezza focale
dell’obiettivo utilizzato per la ripresa.
Se un obiettivo grandangolare risente
solo in piccola misura delle vibrazioni,
con i teleobiettivi spinti, da 300mm di
focale in su, il ricorso a un supporto è
caldamente raccomandabile.
Il paraluce
Tra gli accessori più utili non bisogna
dimenticare il paraluce. Questo accessorio consente di eliminare parte dei
raggi luminosi che, anche se non in
campo, colpiscono direttamente la curvatura della lente frontale dell’obiettivo,
generando riflessi interni allo schema ottico. Il digitale aggiunge anche la
variabile di maggior riflessione del sensore rispetto alla pellicola riportando tali riflessi nuovamente in ritorno sulla lente posteriore dell’obiettivo.
Gli effetti sono talvolta manifestati con strisce di luce colorata ben riconoscibile ma molto spesso difficilmente individuabili perché abbassano
il contrasto generale della scena oltre ad ammorbidire sostanzialmente il
micro contrasto percepito in nitidezza nei fini dettagli.
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