storia della letteratura inglese

Transcript

storia della letteratura inglese
Franco Marucci
STORIA DELLA
LETTERATURA INGLESE
DAL 1922 AL 2000
VOLUME V
TOMO II
DAL SECONDO ANTEGUERRA AL 2000
LE LETTERE
INDICE DEL VOLUME QUINTO
dal 1922 al 2000
Tomo II
DAL SECONDO ANTEGUERRA AL 2000
p. 15
21
§ 1. La letteratura inglese dal secondo anteguerra al 2000.
2.
Dalla ricostruzione alla desocializzazione.
Parte prima
Gli scrittori contro i totalitarismi
27
3-12.
AUDEN.
(§ 3. La meteora spenta. Militanza e disimpegno nel capofila del trentismo,
p. 27. § 4. Il teatro cabaret, p. 36. § 5. Il solipsismo ermetico scosso dal richiamo all’azione, p. 47. § 6. La lirica entro il 1939, p. 54. § 7. L’emigrato
dalle isole, p. 59. § 8. L’età postbellica dell’ansia, p. 61. § 9. Poesie sciolte
fino al 1957, p. 67. § 10. Il saggismo, p. 69. § 11. Il canzoniere del sorpassato, p. 72. § 12. I libretti operistici, p. 73).
77
13-14.
ISHERWOOD.
(§ 13. Le saghe berlinesi, p. 77. § 14. La dolorosa e dubbiosa consapevolezza della diversità, p. 83).
87
15-16.
SPENDER.
(§ 15. L’imperiosa domanda: «perché scrivo?», p. 87. § 16. L’eroismo romantico tra le due guerre, p. 90).
93
17-18.
MACNEICE.
(§ 17. Il fiancheggiatore senza tessera, esistenzialista disilluso, p. 93. § 18.
I calendari autunnali, p. 98).
104
19-20.
DAY LEWIS.
(§ 19. Inni e cori del proletariato in marcia, p. 104. § 20. Poesie del deflusso, p. 111).
113
21-29.
ORWELL.
(§ 21. La salvaguardia dell’integrità intellettuale, p.113. § 22. Evoluzione
del pensiero politico ed estetico orwelliano, p. 125. § 23. I reportages, p.
132. § 24. Burmese Days. Reietti in Birmania, p. 139. § 25. A Clergyman’s
Daughter, p. 142. § 26. Keep the Aspidistra Flying. Lo scrittore dentro e
fuori la politica, p. 144. § 27. Coming Up for Air. L’edonismo piccolo borghese prende coscienza, p. 147. § 28. Animal Farm. Lo stalinismo smascherato, p. 149. § 29. Nineteen Eighty-Four. L’ultimo uomo, l’ultimo umanista, p. 153).
8
INDICE
p. 161
164
§ 30. CAUDWELL.
31.
T. E. LAWRENCE.
Parte seconda
Il romanzo dopo il modernismo
169
32-36.
HUXLEY.
(§ 32. Il contrappasso dell’evoluzionismo, p. 169. § 33. La gioventù bruciata degli anni Venti, p. 174. § 34. Brave New World. Dio scalzato da Ford,
p. 188. § 35. Il distacco atarassico dal mondo e dalla storia, p. 192. § 36.
Immaginazioni distopiche del domani, p. 196).
198
37-40.
BOWEN.
(§ 37. Malie irlandesi, p. 198. § 38. I sordi drammi dell’adolescenza sognante, p. 202. § 39. Gelo e allucinazione prima e durante la guerra, p. 206.
§ 40. Memorie e nostalgie dell’infanzia, p. 208).
210
41-43.
GREEN.
(§ 41. L’idiosincratico camaleontismo di un modernista ausiliario, p. 210.
§ 42. Primi esperimenti nel genere documentario e fantastico, p. 215. § 43.
Satire, parodie e burlesche di microcosmi chiusi, p. 219).
223
44.
228
45-48.
HARTLEY.
WAUGH.
(§ 45. La farsa del mondo irredento, p. 228. § 46. La deflagrazione della vis
comica, p. 233. § 47. Brideshead Revisited. Il tiro alla fune, p. 238. § 48.
Tiri burloni del fine carriera, p. 242).
247
49-55.
GREENE.
(§ 49. Il braccio di ferro con il Creatore, p. 247. § 50. Dalla parte di Giuda,
p. 253. § 51. Brighton Rock. Il santo satanico, p. 258. § 52. The Power and
the Glory. La teologia del ladrone pentito, p. 262. § 53. The Heart of the
Matter. Il giudice giudicato, p. 267. § 54. Romanzi di spionaggio e di esotismo, p. 271. § 55. Il fattore umano, p. 275).
279
56-57.
SNOW.
(§ 56. La callida junctura tra umanesimo e scienza, p. 279. § 57. Strangers
and Brothers. Gli intrighi della politica e della vita accademica, p. 284).
289
58-61.
POWELL.
(§ 58. Le comiche dell’impotenza e del potere, p. 289. §§ 59-61. A Dance
to the Music of Time. [§ 59. Alti intrattenimenti per un’intellighenzia rilassata, p. 295. § 60. Splendori e miserie della borghesia, p. 302. § 61.
Ascesa e caduta dell’arrivista, p. 305]).
308
62.
CARY.
315
63.
LOWRY.
318
64-67.
DURRELL.
(§ 64. Il mitografo delle città secolari, p. 318. § 65. La fuga di Prospero, p.
321. § 66. Il quartetto di Alessandria, p. 323. § 67. Il postludio di Avignone,
p. 328).
INDICE
p. 332
9
§ 68. Narratori minori fra le due guerre.
Parte terza
La poesia fino agli anni Ottanta
341
69-73.
DYLAN THOMAS.
(§ 69. «Prigioniero in una torre di parole», p. 341. § 70. Le allucinazioni
della genesi, p. 346. § 71. The Map of Love, p. 352. § 72. La fede capovolta,
p. 353. § 73. Le prose e il dramma per voci Under Milk Wood, p. 357).
362
74.
Surrealisti e neoapocalittici.
368
75.
Il Movement «and after».
372
76-77.
LARKIN.
(§ 76. Romanzi di esordio e prime poesie, p. 372. § 77. Il miniatore squisito, p. 377).
383
78-80.
GUNN.
(§ 78. La celebrazione dell’entropia, p. 383. § 79. La stasi e il moto, p. 386.
§ 80. Gunn «on the road», p. 390).
392
81.
JENNINGS. DAVIE.
394
82.
EMPSON.
397
83.
RICHARDS. LEAVIS.
398
84.
TOMLINSON.
401
85.
BETJEMAN.
405
86-91.
TED HUGHES.
(§ 86. La forza della natura, p. 405. § 87. Autobiografismo e mitopoiesi, p.
408. § 88. I bestiari, p. 414. § 89. Crow, p. 419. § 90. Diari della vita di fattoria e di stalla, p. 421. § 91. Raccolte e poesie sui pesci e sui fiori, p. 424).
426
92-96.
HILL.
(§ 92. Dopo la caduta, p. 426. § 93. Le riserve della parola votiva, p. 431.
§ 94. I Mercian Hymns, p. 435. § 95. Tenebrae e The Mystery of the Charity of Charles Péguy, p. 436. § 96. Divagazioni polimorfe e ventriloque
sulla storia irredenta, p. 438).
Parte quarta
Le letterature regionali
443
97.
MUIR.
448
98.
MACDIARMID.
453
99.
Il Rinascimento scozzese.
10
INDICE
p. 456
460
§ 100. La poesia irlandese dopo Yeats.
101.
La poesia gallese.
Parte quinta
Il teatro dell’assurdo, arrabbiato e politico
465
102-104.
COWARD.
(§ 102. La fatua borghesia allo specchio, p. 465. § 103. La terna delle commedie matrimoniali, p. 466. § 104. Operette e drammi onirici, p. 469).
470
105-112.
BECKETT.
(§ 105. Stazioni di un’antropologia negativa, p. 470. § 106. L’arte della
matematica, p. 479. § 107. Le eroicomiche di Belacqua, p. 483. § 108. La
trilogia, p. 491. § 109. Watt, p. 504. § 110. La quadrilogia dell’assurdo, p.
510. § 111. Il teatro multimediale e minimalista, p. 521. § 112. Le prose
«brevi» e le mirlitonnades, p. 526).
532
113.
SIMPSON. NICHOLS.
532
114.
Gli arrabbiati e la rivoluzione teatrale degli anni Cinquanta.
537
115.
KINGSLEY AMIS.
539
116.
SILLITOE.
544
117.
Altri romanzieri arrabbiati.
546
118-119.
OSBORNE.
(§ 118. Vituperio e rimpianto in Look Back in Anger, p. 546. § 119. Drammi
ripetitivi del primattore, p. 549).
553
120.
554
121-124.
DELANEY. JELLICOE.
PINTER.
(§ 121. Atmosfere e risonanze postbeckettiane, p. 554. § 122. Protezione e
aggressione dell’apolide, p. 559. § 123. I doppi fondi della memoria, p.
563. § 124. I cortometraggi, p. 567).
568
125-126.
WESKER.
(§ 125. La fiaccola semispenta del socialismo, p. 568. § 126. Drammi posteriori di un ebreo marginalizzato, p. 572).
576
127-129.
ARDEN.
(§ 127. Ambivalenze a scena aperta, p. 576. § 128. Il sestetto dei drammi
maggiori, p. 578. § 129. Coproduzioni di teatro politico fuori dai circuiti,
p. 583).
585
130-134.
BOND.
(§ 130. Predicazioni della non-violenza?, p. 585. § 131. Estremismo iconoclasta nel primo Bond, p. 588. § 132. Favole esotiche sul tema del potere, p. 592. § 133. Le sfide mancate della storia, p. 595. § 134. La sussistenza dell’umano nel futuro postatomico, p. 598).
INDICE
p. 601
11
§ 135. ORTON.
603
136.
SHAFFER.
605
137.
BEHAN.
Parte sesta
I contemporanei
611
138-139.
WILSON.
(§ 138. Velleità e insipienze dei quadri dirigenti, p. 611. § 139. The Old
Men at the Zoo, un apologo grottesco, p. 617).
622
140-144.
GOLDING.
(§§ 140-141. Le parabole della primitività [§ 140. Lord of the Flies, p. 622.
§ 141. The Inheritors e Pincher Martin, p. 629]. § 142. The Spire. Il diavolo nella cattedrale, p. 633. § 143. Fantasticherie e satire di transizione,
p. 636. § 144. La fine dell’ancien régime, p. 638).
642
145.
643
146-150.
RHYS.
MURDOCH.
(§ 146. L’inchiesta sull’intelligibilità del reale, p. 643. § 147. Casistiche
della dipendenza psichica, p. 648. § 148. The Red and the Green e la rilettura dell’eroismo irlandese, p. 654. § 149. L’amore infedele, p. 659. § 150.
Studi estremi del carisma intellettuale, p. 666).
671
151-156.
SPARK.
(§ 151. Capricci diabolici e piani criminosi di un dio romanziere, p. 671.
§ 152. Le intrusioni vocali dell’ultraterreno nel quotidiano, p. 677. § 153.
Gli anni di grazia della signorina Muriel Spark, p. 680. § 154. I gialli teologici, p. 687. § 155. Divertissements grotteschi e neogotici, p. 693. § 156.
Divagazioni dell’ultima ora, p. 697).
699
157-164.
LESSING.
(§ 157. Le madonne laiche di una romanziera senza fedi, p. 699. § 158.
Cercarsi, ma non trovarsi. La saga formativa di Martha Quest, p. 705.
§ 159. The Golden Notebook. I quaderni di una comunista disillusa,
p. 712. § 160. Discese nell’onirico e riemersioni nel reale nei romanzi dopo
il 1962, p. 714. § 161. Canopus in Argo. Divertimento e inquietudine nel
ciclo fantascientifico, p. 716. § 162. The Diaries of Jane Somers. Il mutuo
soccorso femminile, p. 720. § 163. Il decesso della cellula familiare, p. 723.
§ 164. In principio era la donna. Romanzi dei primi anni Duemila, p. 727).
733
165.
BERGER.
734
166.
BROOKNER.
735
167-175.
FOWLES.
(§ 167. Declinazioni metanarrative di un esistenzialismo negativo, p. 735.
§ 168. L’ultimo discepolo di Eraclito, p. 739. § 169. The Collector. Il gioco
con la «tempesta», p. 741. § 170. The Magus. La sostanza di cui sono fatti
i sogni, p. 743. § 171. The French Lieutenant’s Woman. Uno straniato ca-
12
INDICE
leidoscopio del vittorianesimo, p. 746. § 172. The Ebony Tower, p. 749. §
173. Daniel Martin, p. 750. § 174. Mantissa. Anamnesi postmoderna dell’ispirazione, p. 751. § 175. A Maggot. Una ricostruzione storico-inventiva
del milieu settecentesco, p. 752).
p. 754
759
§ 176. BURGESS.
177-182.
CARTER.
(§ 177. Gioco fantastico e utopie rifondatrici, p. 759. § 178. Il malessere,
la rabbia, la psicosi della classe sessantottina, p. 763. § 179. Il dittico dei
romanzi della controcreazione, p. 771. § 180. La donna sadiana, p. 775.
§ 181. I racconti, p. 778. § 182. Ultimi capricci, p. 779).
781
183.
BARNES.
784
184.
RUSHDIE. KUREISHI.
789
185.
MCEWAN.
795
186.
GRAHAM SWIFT.
800
187.
MARTIN AMIS.
805
188.
ISHIGURO. MO.
810
189.
Altri romanzieri postmoderni.
815
190-193.
HEANEY.
(§ 190. La nostalgia della vanga, p. 815. § 191. Lo scavo delle stratigrafie,
p. 819. § 192. Raccolte degli anni Ottanta, p. 822. § 193. La «macchina rimembrante», p. 824).
827
194.
MAHON. MULDOON.
830
195.
HARRISON.
833
196.
La poesia inglese oggi.
836
197.
FRIEL. MCGAHERN. BANVILLE.
840
198-206.
STOPPARD.
(§ 198. Il teatro dei vasi comunicanti e del bibliofilo, p. 840. § 199. Shakespeare il catalizzatore, p. 845. § 200. The Real Inspector Hound. Il fuoco
delle reversibilità drammatiche, p. 847. § 201. I radiodrammi, p. 848. § 202.
Il matrimonio della farsa e delle idee, p. 850. § 203. I drammi impegnati,
p. 853. § 204. The Real Thing. Le relazioni pericolose, p. 854. § 205. Storia e fantaletteratura, p. 855. § 206. La trilogia dei prodromi della rivoluzione bolscevica, p. 858).
859
207.
AYCKBOURN.
863
208.
GRAY.
864
209.
GRIFFITHS. EDGAR.
INDICE
p. 865
§ 210. HARE. BRENTON.
867
211.
HOWARD BARKER.
868
212.
CHURCHILL.
870
213.
FRAYN.
871
214.
ALAN BENNETT.
872
215.
HAMPTON.
Indici
875
897
Indice dei nomi
Indice analitico
13
PARTE PRIMA
GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
§ 3. Auden*. I. La meteora spenta. Militanza e disimpegno nel capofila del trentismo. Il decennio letterario 1930-1940 è dominato da Wystan Hugh AUDEN (19071973), che sovrasta ogni altra figura operante in Inghilterra nel campo drammatico
e poetico – senza dunque toccare il romanzo – con la sola e possibile eccezione di
Dylan Thomas, come lui esordiente e ancora più precoce in quel decennio, e di D.
H. Lawrence. Questa sovranità e questo primato possono essere lievemente ritoc-
* The Complete Works of W. H. Auden, 6 voll., a cura di E. MENDELSON, Princeton 1989(Plays and Other Dramatic Writings, 1927-1938, 1989; Libretti and Other Dramatic Writings,
1939-1973, 1993; Prose and Travel Books in Prose and Verse: Volume I, 1926-1938, 1997; Prose,
Volume II: 1939-1948, 2002; Prose, Volume III: 1949-1955, 2008). Per la poesia le edizioni di
riferimento sono Collected Poems, a cura di E. MENDELSON, London 1976, 1991, 2007, che contiene le revisioni finali di Auden, e The English Auden: Poems, Essays, and Dramatic Writings,
1927-1939, a cura dello stesso, London 1977, che ristampa le poesie nella prima versione pubblicata. Juvenilia: Poems 1922-1928, è a cura di K. BUCKNELL, Princeton 2003.
BIOGRAFIA. C. OSBORNE, W. H. Auden: The Life of a Poet, London 1980; H. CARPENTER,
W. H. Auden: A Biography, London 1981; T. CLARK, Wystan and Chester: A Personal Memoir
of W. H. Auden and Chester Kallman, London 1995.
CRITICA. F. SCARFE, Auden and After: The Liberation of Poetry 1930-1941, London 1942, e
W. H. Auden, Monaco 1949; R. HOGGART, Auden: An Introductory Essay, London 1951; J. WARREN BEACH, The Making of the Auden Canon, Minneapolis 1957; M. K. SPEARS, The Poetry of
W. H. Auden: The Disenchanted Island, New York e Oxford 1963, 1968, e, a cura, Auden: A Collection of Critical Essays, Englewood Cliffs 1964; B. EVERETT, Auden, Edinburgh e London
1964; J. G. BLAIR, The Poetic Art of W. H. Auden, Princeton 1965; F. BINNI, Saggio su Auden, Milano 1967, e «Wystan Hugh Auden», in CAB, vol. II, 235-321 (il secondo saggio, che rifonde il
primo, è farraginoso e ripetitivo, per quanto ricco di utili informazioni e rilievi critici); J. REPLOGLE, Auden’s Poetry, London 1969 (centrato sulle discontinuità concettuali, stilistiche, di
voce e di genere, collegate a un’antitesi presunta tra «Poeta» e «Antipoeta»); A. SERPIERI, «Lo
specchio e il caos», in Hopkins-Eliot-Auden. Saggi sul parallelismo poetico, Bologna 1969, 165208 (ottimo medaglione d’insieme); G. W. BAHLKE, The Later Auden: From «New Year Letter»
to «About the House», New Brunswick 1970, e, a cura, Critical Essays on W. H. Auden, Boston
1991; J. FULLER, A Reader’s Guide to W. H. Auden, London 1970, e W. H. Auden: A Commentary, London 1998; F. DUCHÊNE, The Case of the Helmeted Airman: A Study of W. H. Auden’s Poetry, London 1972; F. BUELL, W. H. Auden as a Social Poet, Ithaca e London 1973; Auden: A Tribute, a cura di S. SPENDER, London 1975; E. MENDELSON, Early Auden, New York 1981, 1983, e
28
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
cati e ridimensionati se si pensa che agli inizi degli anni Trenta Yeats pubblicava
le sue ultime raccolte, che Eliot si dibatteva in una delicata fase di ripensamento
della sua arte, che Beckett drammaturgo non era ancora nato, e che Beckett romanziere e poeta era ancora in gestazione. Addirittura prima di precisare la portata
intrinseca e individuale dell’avvento letterario di Auden, va premessa quella storica e collettiva. Con la sua personalità carismatica Auden dette infatti vita a un movimento e a una generazione che si suole denominare il trentismo, che può essere
risolto e scomposto in quattro aspetti e concetti principali. Dopo ripetuti e cronici
isolazionismi, o velleitari ed effimeri sodalizi, rinasceva in Inghilterra una forma
di cultura associata, con un gruppo di affiatati poeti e intellettuali dagli intenti comuni – eppur obiettivamente critici nei confronti l’uno dell’altro – quale non era
più esistito sin dai tempi del primo romanticismo: un cenacolo che sentiva infatti
zampillare in sé il senso gioioso e fruttuoso del comporre assieme, come per
Wordsworth e Coleridge, e che coltivava l’abitudine antica della dedica, delle composizioni scritte «a» e «per»1. Attorno all’astro centrale, Auden, in quel decennio
gravitarono soprattutto tre scrittori satelliti, Christopher Isherwood, Stephen Spender e Louis MacNeice; e seguendo un’orbita di poco più larga Cecil Day Lewis e
Edward Upward. Questo drappello costituiva una formazione ed espressione letteraria totalmente e radicatamente inglese, e lo si deve ben rimarcare guardando al
fatto che si era costituito sin dai banchi delle scuole pubbliche e all’università di
Oxford, dove i quattro rampolli della media borghesia agiata erano stati a studiare.
Studente universitario a Oxford, Auden impressionava appunto i compagni per il
suo fare pontificale, la facondia inesauribile, le pose da Wilde, e la volubilità. Era
quindi una filiazione, l’ultima, del prolificissimo sistema educativo britannico, lad-
Later Auden, New York 1999 (studi del più autorevole critico e conoscitore di Auden, debitori del
metodo di lettura trasversale di J. Hillis Miller); D. MITCHELL, Britten and Auden in the Thirties:
The Year 1936, London 1981; G. T. WRIGHT, W. H. Auden, Boston 1981; E. CALLAN, Auden: A
Carnival of Intellect, New York e Oxford 1983; CRHE, a cura di J. HAFFENDEN, London 1983;
S. SMITH, W. H. Auden, Oxford 1985, e Auden, Plymouth 1997, anche curatore di The Cambridge
Companion to W. H. Auden, Cambridge 2004; L. MCDIARMID, Auden’s Apologies for Poetry,
Princeton 1990; J. R. BOLY, Reading Auden: The Returns of Caliban, Ithaca 1991; M. O’NEILL
e G. REEVES, Auden, MacNeice, Spender: The Thirties Poetry, Houndmills 1992, 6-34, 85-115,
145-180 e passim; A. HECHT, The Hidden Law: The Poetry of W. H. Auden, Cambridge 1993; C.
DELL’AVERSANO, The Silent Passage: itinerario poetico di W. H. Auden, Pisa 1994; R. DAVENPORTHINES, Auden, London 1995; M. BRYANT, Auden and Documentary in the 1930s, Charlottesville
e London 1997; A. JACOBS, What Became of Wystan: Change and Continuity in Auden’s Poetry,
Fayetteville 1998; R. EMIG, W. H. Auden: Towards a Postmodern Poetics, London 1999; A.
MYERS e R. FORSYTHE, W. H. Auden: Pennine Poet, Nenthead 1999; The Poetry of W. H. Auden:
A Reader’s Guide to Essential Criticism, a cura di P. HENDON, Cambridge 2000; P. E. FIRCHOW,
W. H. Auden: Contexts for Poetry, Newark 2002; A. KIRSCH, Auden and Christianity, New Haven
2005; T. SHARPE, W. H. Auden, London 2007.
1
HYN 85. Questa compattezza non va esagerata, e capita di leggere boutades «negazioniste» occasionali, come quella di PRESS 1965, 24 (libro su MacNeice cit. nella Bibliografia di questo poeta, § 17.1), cioè
che non è attestato che mai i quattro poeti si incontrassero insieme e sedessero a discutere fra loro nella
stessa stanza. È vero che dal quartetto base restava sistematicamente escluso MacNeice.
§§ 3-12. AUDEN
29
dove la scena letteraria immediatamente precedente registrava sodalizi molto blandi
e tardivi come quello di Eliot, Pound e Joyce, e gli scrittori del momento erano o
americani emigrati (Eliot, Pound), o irlandesi che si portavano addosso marchi storici e razziali estranei e persino antiinglesi (Yeats, Joyce), uno scrittore spasmodico
e sradicato come Lawrence, o un altro fenomeno isolato come Virginia Woolf. Il
secondo e il terzo dato sono che il trentismo audeniano si proponeva un’ennesima
rifondazione dell’arte letteraria come strumento rivoluzionario; il quarto e ultimo
è l’omosessualità che, oltre alla passione letteraria, legava e cementava strenuamente il gruppo, e che dovette essere celata e mimetizzata a lungo da tutti i suoi
componenti2.
2. Come molti coetanei, Auden subì il fascino della propaganda fascista di Mosley, e credeva nell’avvento messianico di un uomo forte. Sono un mito, e una autoproiezione, che affiorano lungo tutta l’opera e hanno riferimenti reali e immaginari, il primo dei quali è sicuramente quel salvatore carismatico che risponde al
nome di T. E. Lawrence. Come in molti poeti operanti nei primi anni del secolo –
si pensi alla dichiarazione di intenti di Dylan Thomas3 – a Freud si attribuiva un valore rivoluzionario che poteva risultare complementare a quello di Marx. Auden auspicava anzitutto una rivoluzione puramente psichica, la liberazione della personalità, soprattutto dei sensi, e dai cappi della repressione religiosa, cioè la liberazione dell’es. Solo dopo il viaggio a Berlino del 1929, la rivoluzione fu da lui intesa nel suo significato più squisitamente politico, senza però mai dimenticare il
sottosenso freudiano. Il trait d’union, fino a un certo e confuso punto, è anche la
filosofia dell’inconscio, solo parzialmente freudiana, dell’altro Lawrence, D. H.
Ma Auden e compagni scelsero puntualmente l’antidoto del fascismo. Nel 1922
Auden ricordava di aver perso la fede e insieme di aver cominciato a scrivere poesie grazie all’incitamento di un compagno di scuola, Robert Medley4. Durante lo
sciopero generale del 1926 prese le difese dei sindacati e dette prova per la prima
volta di un impegno politico. La poesia di Auden esordiente descrive in alcuni suoi
momenti, senza filtri simbolici e reti allusive, la desolazione dei poveri e la depressione del 1929; il suo teatro illustra provocatoriamente la futilità dell’esistenza
borghese, la confusione del mondo moderno, le sue convenzioni e i suoi pregiudizi.
L’impegno nel dramma e nel cinema fu abbracciato per meglio veicolare un impulso trasformativo della società. Il marxismo sempre giovanilmente intellettualistico e velleitario dei trentisti si sarebbe però definitivamente squagliato dopo la stipula del patto russotedesco del 1939, e sarebbe stato abiurato più tangibilmente
dopo il trasferimento di Auden in America. Non sono Auden e gli altri trentisti a
insidiare il primato di Orwell come unico scrittore socialista di grido, sia pur dissidente, dell’anteguerra. Coerente al suo sostegno ideologico alla causa repubbli2
Auden e Isherwood furono amanti sino al 1939; solo MacNeice non era omosessuale; Spender lo fu
anche se si sposò due volte.
3
«La mia poesia […] è la registrazione del mio sforzo personale per emergere dall’oscurità a qualche
barlume di luce» (cit. nella biografia thomasiana FITZGIBBON 19702, 151-152, elencata in Bibliografia in
§ 69.1).
4
A Medley, che divenne un pittore, si deve l’aver per primo suscitato in Auden l’inclinazione omosessuale. Era addebitata da Auden alla lunga assenza da casa del padre, partito in guerra tra il 1914 e il 1918; così
come il vizio del fumo era ricollegato al troppo precoce svezzamento dal seno materno (OSBORNE 1980, 44).
30
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
cana Auden era sceso in Spagna nel gennaio del 1937 con il proposito di fare il guidatore di ambulanze5, ma testimone dello spettacolo delle chiese ridotte in macerie era rientrato in patria disilluso, avendo però scritto quella che è stata giudicata
la più intensa poesia di un inglese suscitata da quel conflitto. Il risvolto della militanza erano la resistenza e l’indecisione, coperte dall’autoincitamento. Auden
non fu mai iscritto al Partito comunista inglese, e lo stesso Orwell considerava nel
1938 Auden e Spender «dei bolscevichi da salotto»6 – le sue bestie nere – e in particolare Auden un «Kipling senza fegato»7. Già l’Auden marxista inglese aspirava,
pressappoco come Yeats, alla rifondazione di un ordine patriarcale, umanistico e
illuministico. Un’ultima cartina di tornasole delle sue caute coordinate ideologiche
si ricava da un questionario molto tardo, rivolto ai poeti circa la guerra americana
nel Vietnam: Auden protestò che i poeti ne dovessero, chissà perché, sapere più dei
comuni cittadini, ché anche loro leggevano i fatti della politica sui giornali. In realtà la risposta di Auden è anticomunista, e a favore di una pace negoziata; e gli
americani dovevano rimanere in Vietnam fin tanto che non fosse stata stipulata.
Scrisse pure una poesia contro l’invasione sovietica di Praga. L’impegno politico
non aveva mai del resto inficiato le ragioni dell’arte per l’arte. Auden esordiente è
un poeta per e di poeti, che impasta echi e provenienze disparate e stratificate. Il
tirocinio è un transito e un attraversamento di strati, o un’incorporazione di dosi che
devono essere metabolizzate: fasi distinte di assorbimento, che vengono appunto
assunte e come risputate. Nativo di York, era terzogenito di un medico e di una ex
infermiera, e la famiglia si trasferì a Birmingham perché il padre divenne funzionario della scuola medica militare e professore di Igiene all’università; pertanto i
primi scenari che gli rimasero impressi sono i vittoriani distretti minerari di quella
famigerata zona centrale dell’Inghilterra. Da piccolo leggeva avidamente trattatelli e pubblicazioni di carattere scientifico, geologico, minerario, e, fino ai sedici
anni, voleva fare l’ingegnere minerario. La biblioteca di casa abbondava però anche
di libri di fiabe e di poesie giocose. Disse di aver ricevuto l’impulso poetico dall’antologia Come Hither di de la Mare, nel 1923. Hopkins era stato rivelato al
grande pubblico nel 1918, quindi in un’età audeniana decisamente ricettiva; ma
non erano meno influenti Owen con i suoi esperimenti sulla pararima, Hardy con
la sua varietà formale e stanzaica, l’antica poesia allitterativa anglosassone, e al
polo opposto i ritmi del vaudeville e del blues. A Oxford Auden scoprì T. S. Eliot,
che scalzò Hardy e Edward Thomas nelle sue simpatie. A quel tempo riteneva che
la poesia dovesse essere clinica e austera, lontana dalle passioni dell’uomo comune. In un altro piccolo manifesto appoggiava un’arte che fosse disposizione di
parole in un pattern, con i sentimenti e le idee relegate alla sola funzione di occasioni. Davanti alle raccolte del 1930 e del 1933 MacNeice rilevava che era una
poesia camaleontica, derivata dai metafisici e dalla «musica delle idee» di Eliot,
dalla varietà estrema dei ritmi, delle misure, dei toni: solenne e scanzonata, drammatica e umoristica. Divenne subito prammatico esaltare o deprecare l’oscurità
5
In realtà i suoi compiti si ridussero a quello di annunciatore radiofonico di programmi in inglese destinati ai soli connazionali combattenti.
6
OCE I, 347.
7
Un giudizio in seguito ritrattato.
§§ 3-12. AUDEN
31
audeniana, lamentando che le doti autentiche del poeta non giungessero ad ultimare
il prodotto, e che Auden si intestardisse in un associazionismo strano e strambo.
L’insidiosità del primo Auden deriva naturalmente dall’assenza di contestualizzazione, un vizio in sé comune a quasi tutti i poeti del suo tempo; inoltre dalla deissi
vuota – qui, questo, quello, ma dove e come e quando? – o dalla sigla o spesso dal
kenning (i «figli del mare», ovverosia i pesci), o anche dai riferimenti volutamente
e necessariamente cifrati all’amore omosessuale8, e ai gerghi studenteschi oxfordiani. Il discorso valutativo che prendeva forma a caldo era il solito britannico:
quello che, dettato dal gusto, si limitava a catalogare come efficaci, vigorosi, riusciti certi versi estrapolati a scapito di altri, trattando il poeta come un musicista che
si può lodare o biasimare per i puri suoni che produce. Un simile frammentismo
poteva giustificarsi perché discendeva dal modo in cui le liriche audeniane erano
messe assieme, con materiali a volte di scarto di composizioni sottoposte agli
amici, e da loro sfrondate.
3. La diatriba critica ancora in corso riguarda il secondo Auden. Se abbiamo definito Auden il poeta che dà il la a un decennio, è, implicitamente, perché i decenni
successivi non sono dunque più di Auden. Dopo esordi tanto promettenti la comunità dei lettori e degli studiosi si aspettava qualcosa di più e di diverso. È un
poeta non raro che ha attinto il suo picco, in quantità e qualità, molto precocemente; o che, in una stima più ampia, cessa con il 1957, con un dopo di piccoli resti
insignificanti. Se ne accorgevano gli amici, che sapeva rivestire tutto di poesia, intesa come involucro metrico e prosodico e versi rimati o assonanti di bellissima fattura; e che lasciato a se stesso non aveva gran che da dire. Per cui il difetto di
Auden è di non aver trovato strada facendo un suo definito, marcato, personale
universo concettuale trasfuso in metafore e simboli inediti e tutti suoi. È indubbiamente poca cosa dire che Auden è il paladino dell’amore spiritualizzato contro
l’odio (un verso troppo retorico proclamava che «dobbiamo amarci l’un l’altro o
morire»9), che la sua poesia è la critica della hybris e l’elogio dell’umiltà, o che un
suo bordone è che l’arte non basta e «non fa accadere le cose». Il suo vizio è quindi
la debolezza concettuale, è la scarsità delle idee10. Sono anche spesso idee scarsamente interessanti, che non ci catturano o riscaldano, e nonostante tutto vengono
8
Le abitudini sessuali di Auden fanno pensare a uno iato controllato, in realtà alquanto sconcertante,
tra un appetito bestiale e famelico irresistibile e la sfera posata e controllata dell’agire artistico: due sfere non
comunicanti. Il promiscuo Auden era un cacciatore di muscolosi fanciulli, e faceva collezione di conquiste
nei luoghi e nelle occasioni più varie. Come raccontava lo psichiatra Layard (cit. in CARPENTER 1981, 90),
«a Wystan piaceva un po’ essere anche frustato». Questa reciproca separazione tra corpo e mente viene fatta
risalire ed acquisire (da MENDELSON 1983, 65 e 216-217) ai e dai nove mesi berlinesi del 1929. L’esame dei
taccuini e delle lettere, ancora a quel tempo non pubblicate, consente a MENDELSON 1983, che ne fa largo
uso, di scoprire e illuminare alcuni nessi interni alle liriche. Auden, in particolare, vi esplicitava il rovello
della sua omosessualità, e appunto le liriche entro il 1933 occultano anche questa corda.
9
Verso di chiusura di una stanza ripudiata di una delle poesie audeniane ripudiate, September 1, 1939,
la data dello scoppio della guerra (questo contorsionismo è abituale in Auden, come diremo). Un’altra breve
lirica ripudiata, ma presente nelle antologie, Petition [Preghiera], del 1929, chiede a Dio, tra l’umoristico e
il patetico, una palingenesi universale, riassunta però nel facile esergo dickensiano di un «cambiamento del
cuore».
10
La «mancanza» in Auden di «una salda ideologia» era risultata nel 1930 a T. S. Eliot, che aggiungeva
che se uno scrittore difettava di «convinzioni etiche e religiose» anche la tecnica ne viene danneggiata (cit.
in CARPENTER 1981, 137).
32
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
elaborate con una soffocante prolissità11. Fino all’infatuazione per Kierkegaard,
Auden ricava queste idee da pensatori di secondo piano, marginali e poco accreditati, e giustamente tali, uscendo in tal modo dal circuito della fruizione generale12.
In definitiva, escludendo l’enorme promessa del decennio d’oro, la successiva reflective poetry di Auden non esalta13, e i poemi lunghi sono quasi un fiasco: dobbiamo perciò cercare la sua vena migliore nel song, o nella poesiola arguta ma vigile e spoglia nelle immagini, spesso lievemente assurde e incongrue, dove la
fantasia audeniana, la sua vena degli accostamenti, è sotto controllo, e dove la
linea del pensiero non sovrasta né è troppo cervellotica. Dunque dove il fluire
del discorso è piano, non incagliato dalla divagazione erudita. La mancanza improvvisa di inventiva traspare innegabile intanto nei cosiddetti poemi lunghi posteriori al 1940, allorché Auden non può nascondere il bisogno di appoggiarsi
allo spunto preesistente, venutagli a mancare un’idea originale (non così, anzi
tutto il contrario era stato agli esordi). Nel 1939 Auden aveva celebrato Yeats defunto, ma gli mancava e continuava a mancargli, da antiromantico, il piglio visionario yeatsiano, apocalittico e profetico, e quindi la poesia della visione; gli
mancava anche un mito personale magari appoggiato a qualcuno degli antichi, di
Elena o di Ulisse14; da piccolo era affascinato dal mito norreno15, ma senza che riverberi se non epidermicamente sulla pagina. Auden si trasferì in America nel
1939 insieme a Isherwood, e fu arruolato nel servizio strategico americano con
il grado puramente fittizio di maggiore: nell’autunno 1945 era già di ritorno negli
Stati Uniti dalla Germania. Nel 1946 divenne cittadino americano, compiendo il
tragitto opposto rispetto a James e a Eliot16. Fu un passo giudicato emblematico
di una resa ideologica, di un vile disimpegno politico, e ancora Orwell gli rimproverava nel 1943 che stesse «guardandosi l’ombelico in America». Poco prima
Auden si era riflesso nell’alter ego M. F. Ransom del dramma The Ascent of F 6.
Questo eroe che fallisce e soccombe è un mistico diviso tra la hybris solipsistica
e l’attività socialmente utile, e che per di più non ha ancora domato un feroce
complesso edipico. Auden si scompone così, e si legge, in una serie di dualismi.
Il primo è quello della nazionalità, ed è la scansione tra un Auden inglese e un
Auden americano. Il varco del 1939 cade perciò alla metà quasi esatta della sua
vita, anche se non della sua carriera. Questa data segna anche la demarcazione tra
11
Azzeccato il giudizio del recensore R. MAYNE (CRHE 449), che Auden talvolta «complexifi[es] simplicity» [«complica quel che è semplice»].
12
Oltre a Freud, a Lawrence, a Marx e a Groddeck, Auden, come diremo, subì l’influenza di Layard e
di Gerald Heard.
13
Anzi, la parola «bore» [«noia»] e l’aggettivo «boring» compaiono con indipendente puntualità nei giudizi di alcuni più o meno famosi lettori storici: Edith Sitwell, E. A. White, Evelyn Waugh, P. Dickinson (citt.
in CARPENTER 1981, 137, 189, 247, 348). Auden medesimo, nella poesia The Cave of Making [La caverna
della creazione] (1964), si augurava di diventare, o forse credeva già di essere, un Goethe «minore e atlantico», «sciocco» come tutti i poeti, e «at times a bore» [«qualche volta una noia»]. In tempi recenti il solo
Derek Walcott insiste in un ricordo sulla «tremenda intelligenza dietro la poesia» di Auden (cit. nell’articolo
di Jenkins discusso sotto in nota 34).
14
Come nota anche SERPIERI 1969, 168-169 e 170, dove si parla di «ripugnanza per i miti personali».
15
Auden credeva di avere ascendenti norreni, e che il suo cognome, invero non comunissimo in inglese,
fosse la contaminazione di uno scandinavo.
16
Auden guarda all’isola, a molte isole, e le oppone al continente, una costante interna all’opera, e alla
biografia.
§§ 3-12. AUDEN
33
Auden comunista ateo prima del 1939, e Auden credente e spiritualista dopo.
Prima aveva accarezzato un progetto che si chiude con la partenza: il progetto di
una letteratura militante, comunista e rivoluzionaria e al tempo stesso assoluta e
artistica. Se si scende di un livello si percepiscono altri dualismi interni all’opera
scritta. Auden è poeta e drammaturgo, e da poeta scrive poesie che furono da lui
stesso raccolte, in due volumi, come brevi e lunghe. Come drammaturgo lavora
solo e in coppia, e a lavori autonomi e ad altri servili, come librettista. Non va dimenticata la mediazione in questo campo, della musica e del melodramma, con
le sue collaborazioni con Britten, le traduzioni in inglese di alcuni libretti
mozartiani e il suo servizio in due opere capitali del melodramma del Novecento,
di Stravinskij e di Henze.
4. Accanto all’Auden che scrive e pubblica in fieri, un altro Auden rivedeva a
distanza la propria opera formando un canone parallelo, e suddividendo il suo canone breve in quattro stagioni che raddoppiano il detto dualismo17. Etichettando
come «collected» le due edizioni delle poesie, brevi e lunghe, nel 1947 e nel 1957,
si dimostrava già precocemente pronto al disarmo. Nel 1956 rientrò in Inghilterra
per assumere il posto di professore di poesia a Oxford, tenuto fino al 1961. Nell’ultimo decennio visse tra New York e l’Europa (Italia, Ischia, e Austria18) secondo
un ritmo ormai divenuto quello dei grandi vittoriani ricchi, inverni di lavoro in patria, estati nell’ameno sud italiano. Aveva ormai assunto le fattezze inconfondibili,
per il grande pubblico, di un grosso elefante rugoso, o di un piccolo Budda dalla
pelle scavata e dalle dita ingiallite, con le unghie nere e morsicate fino alla radice,
che non si curava del vestiario e dell’igiene personale, e si presentava in pubblico
calzando consunte pantofole di feltro. Avendo aderito ufficialmente alla Chiesa
anglicana, andava regolarmente in chiesa la domenica nel paesino austriaco dove
si era stabilito, facendo di necessità virtù e frequentando perciò le chiese cattoliche, ma andando alle messe che si celebravano senza la predica. Il suo credo era
elastico ed irenico, senza vedere la sua omosessualità praticata, e dalla Chiesa a
quel tempo condannata, come un ostacolo o una colpa. Fumatore indefesso, fu un
giorno trovato morto di infarto nella colonica di Kirchstetten. L’anno del riavvicinamento alla fede è il 1940, ma fu un processo graduale e oltretutto un’accettazione
ipotetica: spesso anche solo il recupero e l’uso di una serie di miti paralleli per
veicolare determinate emozioni. Nacque dal ripudio di quell’umanesimo liberale
che dispiaceva anche a Eliot e lo lasciava deluso. Il concetto dell’ansia, su cui s’impernia la sua teologia personale, era spiegato da Auden in senso sia psicanalitico
che esistenzialistico, con Freud (ansia circa il proprio passato e i propri genitori)
e con Kierkegaard (ansia come senso del rapporto tra sé e Dio)19. L’ansia cambia
17
REPLOGLE 1969, cap. II, formula la tesi di un Auden discontinuo e contraddittorio, Poeta e Antipoeta,
un’antitesi tutt’altro che felice e applicata troppo meccanicamente. Sono due volti di uno stesso poeta, il
primo sublimante, il secondo satirico, e che tutto mette in burla. È una discontinuità tra solennità e autoparodia. Anche la prosa rivelerebbe la spaccatura tra Poeta e Antipoeta (ibid., 176).
18
La colonica di Kirchstetten fu comprata nel 1958 con i proventi del premio Feltrinelli, non essendo
andato in porto l’acquisto di una casa a Ischia per l’esosità della richiesta.
19
Auden è stato curatore di un’edizione di scritti di Kierkegaard. REPLOGLE 1969 cerca troppo disinvoltamente di dimostrare che da Marx a Kierkegaard il passaggio era consequenziale e indolore: il secondo
condivideva l’analisi dell’alienazione umana, ma vi aggiungeva Dio.
34
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
di segno, da malattia a disagio che conduce alla scelta, ed è dunque l’insicurezza
dell’uomo e un periodo di crisi foriera di un esito20. Il complemento dell’ansia è una
triade di concetti teologici oppositivi, Eros, Logos, e Agape. Ripartendo da Yeats,
l’agape non nega la carne ma la pone in equilibrio con il corpo, e si oppone al
logos che è solo spirito. Ma anche Sant’Agostino soccorre, dove subentra la casistica della città, che è sana e insana, città agapica e città egotistica. Questa serie di
istanze ideologiche e teologiche venne trasferita in poesia in termini astratti ed euristici, non già scaturendo da una magari prepotente folgorazione personale, da un
dissidio intimo, drammatico, riferito sia pure in tranquillità. Auden ne era conscio,
e precisava di non essere attratto dalla maniera mistica di Eliot e di Hopkins, che
sciorinavano impavidi i loro crucci21. Non era mai stato del resto poeta e scrittore
angoscioso e arrovellato. Non lo si coglie mai gridare, stracciarsi le vesti, nemmeno da giovane. La sua stance non è del lirico e nemmeno del simbolista22. Mancava a lui, diceva Spender23, la reale «esperienza dalla quale scrivere». In questa
poesia di idee i corollari sono il discorso sui limiti dell’arte nei confronti della vita,
e l’inefficacia ultima dell’arte nel cambiare le sorti del mondo, il bordone che accomuna le numerose liriche di necrologio, e che ha come risvolto la negazione
della magia taumaturgica dell’arte. Il ridimensionamento dell’uomo come signore
del creato non riceve quelle trattazioni apocalittiche che si trovano in Beckett, ma
natura animata e inanimata procedono in progressione asintotica senza incontrarsi,
anzi nella reciproca indifferenza, un tema in vista nelle odi medesime sui grandi
defunti, alla cui morte la natura assiste impassibile24. Meno dolente e macerato di
Matthew Arnold, con Arnold Auden condivide un messaggio tollerante, liberale,
europeista, che perciò esalta l’amore non romanticamente egocentrico ma sinonimo di amicizia. Destino incrociato, chiastico, per concludere, tra i due maggiori
coetanei, Auden e Beckett, di cui il secondo muove dal turgore barocco alla secchezza telegrafica e scarna, mentre il primo parte dalle poesie spoglie, paratattiche
degli esordi verso il verso stracarico e fastoso – anch’esso, soprattutto esso, barocco – del dopo 1939. Gradatamente questo Auden espansivo e discorsivo viene
ad assomigliare al secondo Browning, non essendogli estraneo un quadro mentale
erudito, peregrino, raccogliticcio, in forma di schegge scelte un po’ a casaccio.
Non indagava Browning le relazioni tra amore umano e divino, tra corpo e spirito,
tra sesso e sublimazione? E, come Browning, Auden sapeva sempre, in attimi di eccezione, scrivere la lirica immacolata, il piccolo capolavoro tardivo25. Il suo clima
ideale, il suo tempo di elezione sono, dopo il 1940, e al di sotto dello sperimentalismo metrico, quelli augustani. Lo proclamano la predilezione per il wit, per le
20
Viene cioè risemantizzato in senso spirituale e religioso il concetto della «frontiera», di cui diremo
(SPEARS 1963, 185).
21
Cit. in SPEARS 1963, 334.
22
SERPIERI 1969 insisteva che è l’allegoria l’area nella quale Auden si muove, anziché quella del simbolo e del simbolismo, o del modernismo o del metodo archetipico. Come in Eliot, Serpieri scorge nel secondo Auden, l’Auden convertito, l’avvento di una «nuova maniera allegorica».
23
CRHE 342. Lo ha riecheggiato DUCHÊNE 1972, 14, quando dice di un poeta che «si ritrae costantemente dall’esperienza».
24
BAHLKE 1970, 18.
25
Raramente Browning si trova evocato a proposito di Auden: lo fa Herbert Read nel tributo a lui dedicato, riportato in CRHE 272-273.
§§ 3-12. AUDEN
35
forme brachilogiche del dire, per l’assenza pur non sempre rispettata di diffusione.
Ama l’aforisma, il giro di pensiero allusivo e perciò oscuro; predilige l’epitaffio,
e scrive encomi come i grandi del Settecento. È naturalmente facile trovargli questa ascendenza, mista ad altre inconciliabili, perché Auden è un trasformista impastatore di disparate esperienze. Praz coglieva nel segno quando, dopo aver aderito all’opinione batesoniana che è il «nostro Keats, il nostro Pope, il nostro
Donne»26, trovava che l’alter ego più azzeccato è Pope. Ritorna a farsi udire, con
Auden, quella vena pseudosettecentesca che è il verse essay, vena riflessiva confermata dai suoi amori maturi e senili, Goethe e la tradizione filosofica germanica,
e Byron. Cosicché il contrassegno dell’arte del secondo Auden è una sia pure altissima occasionalità. È un grande giullare che sa tutto rivestire in poesia purché
gli si dia un significato: per trovargli un corrispettivo italiano, un poeta come un
Monti. O è un re Mida che tutto quello che tocca diventa oro, cioè poesia in versi
di eccelsa finitezza e soprattutto varietà formale27.
5. È comprensibile che le prime monografie critiche, stese quando Auden era
ancora in vita, fossero esegesi e commentari. Danno perciò nell’arido, nel catalogico, nella «cruda parafrasi»28 di poesia dopo poesia. Questo tipo di approccio è
istruttivo: libri come quelli di Spears del 1963, di Fuller del 1970, e di Mendelson
del 1981, si rivelano indispensabili per la quantità delle informazioni, per lo scioglimento di piccoli enigmi e per la delucidazione di riferimenti culti ed eruditi; ma
mostrano insieme quanto arrampicata e tormentosa, fantasiosa e fastidiosa sia la ricerca audeniana di presunti, arcani e sottilissimi concetti. La sfida della poesia di
idee29 è sempre ardua da vincere, e se si riduce in prosa la poesia audeniana posteriore al 1939 si colleziona da ogni singolo esemplare una serie di assiomi contorti, poco verificabili e soprattutto poco originali. O si avverte come una discrepanza tra la loro esiguità o superficialità, e l’abilità del verso, lo spumeggiare delle
parole, delle perifrasi, dei tropi. Davanti alle accanite parafrasi degli esegeti non si
sa se è il critico o il poeta che ha sottoscritto tale raffica di sofismi ripetuti; e si ha
l’impressione e l’evocazione di quel «critico per critici» la cui analisi, rilevava
Auden stesso, «è di tanto più complicata e difficile dell’opera stessa»30. Come disse
Desmond MacCarthy31, in Auden si percepisce «il suggerimento di qualche sbalorditivo significato che si liquefà quando è esaminato». Soprattutto quello tardo,
o secondo, americano, dei poemi lunghi, è stato così oggetto di esaltazioni deliranti
quanto di stroncature micidiali. Incomponibile è il disaccordo su The Age of Anxiety, reputato da John Bayley come un capolavoro, e da Randall Jarrell come
l’opera peggiore scritta da Auden da venti anni a quella parte32. E Thom Gunn spostava il bersaglio su Homage to Clio33. Già a quella data, 1969, Auden risultava un
26
PSL 683.
Questa abilità gli fu riconosciuta da C. JAMES (cit. in CARPENTER 1981, 421).
28
SPEARS 1963, 223.
29
REPLOGLE 1969, nel suo cap. I, analizza appunto la poesia di Auden come «serbatoio di idee» (90).
30
The Dyer’s Hand, 49. Anche MENDELSON 1983, che solitamente spiega e parafrasa tutto, deve in
qualche caso alzare bandiera bianca, e addebitare l’impotenza esplicativa alle confusioni del poeta (cfr. 139140 nota †).
31
CRHE 336.
32
Riferito da SPEARS 1963, 239.
33
SPEARS 1963, 327.
27
36
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
classico lontano su cui aleggiava un dibattito ormai accademico. Perciò stesso i
certificati di morte del poeta si sono succeduti a un ritmo costante, cioè ad ogni
nuova opera che usciva fin dal 1939. Auden è diventato però negli ultimi decenni
il poeta rappresentativo di una coterie, quella degli omosessuali. L’omosessualità
di Auden è un capitolo soppresso, da Auden medesimo che mai la ostenta34, e che
gli studiosi del gender vanno riaprendo, con la solita deformazione di assumerla
come la chiave di volta, unica e rivelatrice, del mondo del poeta. È sicuramente il
poeta di riferimento di questa microcomunità internazionale35. Auden in America
e per l’America induce però a formulare un bilancio più variegato. La terza e la
quarta stagione audeniana inventano un piccolo genere poetico senza veri precedenti, che fu studiato e adottato entusiasticamente dai poeti americani più giovani:
la conversazione in versi, o quello stile poetico a metà strada tra il registro prosastico e poetico, fatto di autoironia e di una trasandatezza altamente formalizzata:
la voce di un Berryman o di un Lowell36. Questo stile «sprezzatura», che a Auden
riesce quasi sempre bene, è però anche prolisso, e soprattutto trabocca di riferimenti privati e incidentali che non possono essere goduti e condivisi, e a volte se
non sempre più spesso esula in digressioni fini a se stesse.
§ 4. Auden. II. Il teatro cabaret. Riguardo al primo Auden, e al suo metodo compositivo e costruttivo, si ricavano ed enucleano due osservazioni da inserire qui in
via preliminare. Auden fa parodia della parodia, in quanto accetta il metodo giustappositivo, congegnato a iati temporali, e soprattutto contestuali, della Waste Land:
compone collages o puzzles che essendo tali svuotano la seriosità e la tragicità dell’analogo metodo eliotiano. Sono più orizzontali di quelli, anche e soprattutto verticali, di Eliot. In senso musicale la segmentazione interna dei primi drammi, certo
in un progressivo decrescendo, risponde non al legato o al cromatico nelle scansioni fra i movimenti, ma al diatonico e allo staccato. Il lettore o deve disperare di
scoprire una chiave che lega gli episodi e le sezioni, o ingegnarsi di trovarla, alla fine
forse dicendosi che non esiste, o che «l’assenza di una chiave è la chiave stessa»37.
34
I lettori disinformati o ingenui provano l’universalità della poesia d’amore ed erotica audeniana grazie anche alla possibilità della lingua inglese di non distinguere il genere degli aggettivi, e di non sciogliere
in una certa misura l’ambiguità o l’ambivalenza maschile-femminile. Le liriche d’amore di Auden erano infatti nate e pensate da esperienze omosessuali, e come rivela CARPENTER 1981, 76 nota 1, Auden appose il
nome degli ispiratori e dedicatari dei suoi songs d’amore nella copia delle poesie del 1934 donata a Chester
Kallman. N. JENKINS, Historical as Munich: Auden at 100: Who Is He Now?, «TLS», 9.2.2007, 12-15, brillantemente rivela che la lirica Lay your sleeping head, my love [Adagia la tua testa assopita, mio amore]
mimetizza il nome dell’«amore», Michael Yates, un allievo tredicenne di cui Auden ventiseienne si era innamorato, in un tessuto di echi e imprestiti dalla lirica yeatsiana A Prayer for My Son, giocando sull’omofonia tra Yates e Yeats, sul fatto che anche il figlio di Yeats si chiamava Michael, e sull’affetto paterno che
lui stesso nutriva per il fanciullo.
35
In tempi recenti Auden è tornato sugli scudi per il grande pubblico grazie alla recita di una sua simpatica composizione in lode di un amico morto nel film umoristico inglese Quattro matrimoni e un funerale.
Non sapremmo dire se è un indice di universalità la presenza costante e capillare di Auden nell’ambito
odierno della musica pop e «synthpop», discussa nel succitato articolo di N. Jenkins.
36
MENDELSON 1983, 202, individua invece un altro vezzo che si trasferì alla poesia americana per un
paio di decenni, dagli anni Trenta ai Cinquanta: la connessione di fatti emotivi con «aspetti eterogenei del
mondo delle città e degli eserciti», in pratica similitudini del tipo di quella del «talento come un’uniforme».
37
MENDELSON 1983, 10.
§§ 3-12. AUDEN
37
Tale diagnosi vale pari pari per The Orators. L’altra considerazione è l’intercambiabilità dei pezzi separati che spesso confluiscono e si inseriscono in compagini
testuali radicalmente differenti. Auden le componeva prima. Le possibili spiegazioni sono: o regna il caos in queste compagini alternative, oppure tutto il materiale
testuale del fermento degli ultimi anni Venti e primi Trenta discende da una misteriosa ma profonda unità di ispirazione, e vi si parla di un solo e unico tema.
Auden dimostra in fondo che la terra era sempre desolata anche dieci anni dopo,
o solo sei, e che è desolata per la stessa esatta diagnosi di Eliot, l’assenza di vero
amore. L’imagery è bellica, il topos della contrapposizione tra due schieramenti,
ma è anche un’estensione della gara sportiva. Non per nulla i due «lati» che possono vincere e perdere in Paid on Both Sides sono in quel dramma contrassegnati
dai colori, da una specie di maglia o casacca che li distingue in scena, scena nella
quale tra le more del dramma si parla anche del rugby e di cronache e fatti sportivi. Nei drammi è sempre la madre il motore dello scatto motorio e spesso anche
vendicativo e cruento del protagonista, e basta solo nominarla. Agisce allora una
dipendenza psichica dalla madre che vale per Nower, vale per Ransom, vale per
l’uccisore di Grimm in tre drammi audeniani. Sennonché Eliot è rituale, solenne,
liturgico, profetico, mistico; Auden semiserio: gioca, scherza o scherza tragicamente. L’isotopia dominante si è detta appunto spesso dell’allarme, di una preparazione all’attacco, di uno scontro imminente. È l’isotopia militare dello spionaggio, dell’imboscata, a percorrere queste prove in lungo e in largo. Epperò era un
clima filtrato, non vissuto ovviamente da professionista in prima persona: era come
un’epopea fanciullesca, una specie di guardia e ladri, o guerra dei bottoni: un rifacimento o una risonanza del mito Mortmere di cui diremo, o delle epopee contemporanee, dei libri di guerra, delle memorie dei militari; e, mutatis mutandis,
Gondal e Angria delle sorelle Brontë messe insieme. L’amore è soggetto, dice
Auden, a una «maledizione ancestrale» che equivale anche al peso dei morti. È
l’amore esistenzialistico diviso contro se stesso, che ripete il sesso ma senza
unione. Può divenire catarsi solo nella morte, ma senza i sovratoni della poesia religiosa eliotiana, senza cioè alcuna mistica o ultraterrena rigenerazione.
2. In parallelo con la poesia pura, i primi passi di Auden si muovono infatti nell’area dello spettacolo e della parola comunicata, agita e condivisa. La sua ambizione, agli inizi degli anni Trenta, era quella di recuperare la dimensione anzitutto
sociale del dramma, e anche quella rituale, grazie alla quale si poteva intervenire più
efficacemente sullo spettatore e l’uomo comune. È il dramma la prima vocazione,
se non la vocazione tout court di Auden per tutto il decennio 1930-1940 e oltre, a
giudicare dall’evoluzione almeno semidrammatica sua ultima. E all’attività drammatica va data la precedenza nel nostro esame cronologico, anche perché le edizioni poetiche includono, avendole sradicate dal loro contesto drammatico dove
hanno quella precisa funzione che diremo, alcune se non svariate di quelle piccole
arie o canzoni e canzoncine poetiche affidate ai personaggi interni, e che lette come
poesie a sé stanti detengono un’oscurità ancora maggiore. Si trattò di un’attività intensa e febbrile, portata avanti da subito in collaborazione con Isherwood, la quale
certamente condusse a pochi prodotti veramente levigati e finiti, e anche a poche
rappresentazioni sulla scena, ma che sprizza di una vena di effervescente festosità
linguistica, e mette in campo freschissime trovate sceniche. La stringa serrata di
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
38
questi numeri rivelò un drammaturgo di razza che esibisce qui tutta la sua stoffa.
Anzi, come risultò a qualche acuto lettore in tempo reale, Auden in prosa – e in
prosa sono parti dei drammi e quasi tutto The Orators – supera Auden poeta38. Ma
fu tutto sommato una spinta che si bruciò in meno di un decennio. Sparate tutte le
sue cartucce entro i primi anni Trenta, Auden avrebbe diluito la sua vena innovatrice
e dissacrante nei libretti servili per le opere liriche. Talune di quelle soluzioni guidano diritto a Beckett, che le avrebbe forse indipendentemente elaborate, ma venti
anni dopo. Poté essere definito acerbo, e «trascurabile» nella storia del teatro moderno39, solo appunto in una data nella quale non era ancora detonata la deflagrazione beckettiana. Concepito e varato alla fine degli anni Venti, si assestava in un
vuoto o in un vortice drammatico concentrico di tipo conservatore. Auden stesso
riassumeva il dramma del suo tempo in tre tipi, il «romantico finto Tudor», col che
intendeva forse il dramma storico con personaggi in panni regali; il «cosmico-filosofico» e lo sfinito «dramma altomusicale da camera», equivalente insomma alla
drawing room comedy. Il teatro che tentava di edificare lui stesso è un teatro sciarada, in uno zigzag di scarti stilistici che possono svariare dal serio al comico al
grottesco, e nel susseguirsi di forme spurie come il mimo, la pantomima, il balletto,
il numero da musical, e di lì veramente sconfinare nello stralunato e quindi nell’assurdo. Eliot lavorava sui medesimi binari con il solo frammento aristofanesco
Sweeney Agonistes. Tale fermento può essere così letto e collocato entro la dicitura
lata di un teatro in versi: ma nulla vi è di più distante, per il tono burlesco e beffardo,
dal grande autore di teatro «poetico» ancora vivente, Yeats, o dal futuro Eliot; e
nulla delle tentazioni del teatro Noh. La commedia audeniana è radicalmente inglese, e trasporta in scena il grottesco della tradizione vignettistica e caricaturale
vittoriana, calcando però la mano in modo più esplicito e franco sulle perversioni e
la stupidità della borghesia agiata. Dietro, perciò, si può ravvisare e rintracciare –
quando i personaggi parlano o cantano in apparentemente facili strofe eufoniche,
dalle rime maccheroniche o giocose, soprattutto baciate, e su catene logiche strampalate o ludiche – la tradizione operettistica di Gilbert e Sullivan. Auden ne è il diretto discendente e imitatore, e aggrava soltanto una satira politica che agiva anche,
sia pur mimetizzata, in quella fonte40.
3. Ora però, questa tecnica drammatica era anche per combinazione quasi la
stessa, pur avendo una funzione straniante assai maggiore, del teatro epico brechtiano, che nel 1928 era stato assorbito di prima mano dai due giovani inglesi,
Auden e Isherwood, a Berlino. La spezzatura in scene ed episodi irrelati e chiusi
si deve alla lezione brechtiana, quella che prescrive che «ogni scena esiste in se
stessa». Nella misura in cui questi o molti di questi drammi sono abortiti, o non
sono stati pubblicati e sono rimasti incompiuti e manoscritti, Auden poté reincludere parti intere e intere trame collaterali entro altri drammi, in una sorta di rifacimento e reimpasto permanente. La sua drammaturgia è una specie di testo unico
in progress, dal canovaccio di base invariato e con integrazioni decise strada facendo. La «scena del riformatorio» è per esempio rieseguita varie volte, segno che
38
39
40
CRHE 161-162, e 164.
HOGGART 1951, 74.
IV, § 286.
§§ 3-12. AUDEN
39
era sentita, con la sua commedia farsesca e l’esibizione smaccata delle ipocrisie
educative; come lo è il mondo della miniera, degli operai, delle proteste, degli
scioperi e degli sfruttatori minerari, che sono anche adulteri amatori di mogli di
loro impiegati. Persino troppa è la carne al fuoco, perché Auden fa convergere su
una stessa ribalta scenica le aree che gli stanno più a cuore: il suo dramma deve
ambientarsi nel distretto minerario, dove i lavoratori vivono in condizioni di fame;
ma è uno scenario che interagisce con quello della scuola e delle istituzioni, per
bersagliare la borghesia che lo sostiene. Ma i detentori del potere costituito, le figure pubbliche, espongono a loro volta in scena un loro privato laido, viscido e
schifoso: alti ufficiali parlano con la erre moscia e adescano fanciulli dai quali
pretendono turpi prestazioni; direttori scolastici si invaghiscono di fanciulle che
sono però scolari travestiti. Anche la giustizia è corrotta, e per combinazione l’integrità morale è incarnata in un vescovo che viene però arrestato perché creduto
un adescatore di fanciulle. Auden lavora al dramma come a un copione cinematografico, e così concepirà anche alcuni dei suoi poemi lunghi, riusando per esempio la voce fuori campo. Tutti hanno una struttura a quadri, con un’invisibile macchina da presa che si sposta dall’uno all’altro. Una simile costruzione drammatica
può aver risentito del cinema episodico in auge nell’apogeo del muto, o del romanzone vittoriano a puntate, congegnato partendo da poli e strati di intreccio
completamente scollati l’uno dall’altro, che con abilità dickensiana vengono gradualmente avvicinati e suturati. Una seconda saga tematica riguarda il fantapolitico confronto armato tra Ostnia e Westland, alias Russia e Germania, la prima
retta da un imperatore, la seconda da un «Leader» che, Auden vuol sconfessarlo
vanamente, è Hitler, ormai sceso sul piede di guerra. Perciò stesso dietro si può avvertire l’eco del tardo Shaw.
4. Il soffio immaginoso e suggestivissimo di Paid on Both Sides41, uscito nel 1930 sul «Criterion» di Eliot – il flusso liberamente associativo dei cori e dei monologhi, arie come sospese
e solo vagamente e lontanamente legate al dato scenico, e soprattutto intessute sul rapporto tra
il presente e il passato, e sul peso irredimibile e al tempo stesso auspicabilmente redimibile della
maledizione atavica – si sarebbero trasmessi e trasfusi all’Eliot medesimo che aveva, in pectore,
The Rock e soprattutto Four Quartets. Non è peregrina l’ipotesi di questo assorbimento o echeggiamento, tenuto conto della capacità eliotiana di metabolizzare influenze disparate e anche momentanee, e della sua poesia come, per programma, mosaico di echi. Per altro verso le soluzioni
cabarettistiche di questo dramma sono vicine a quelle adottate dallo stesso Eliot nei suoi due
monconi drammatici di Sweeney Agonistes42. Il travaso o il semplice contatto tra questa sciarada e le prime poesie di Auden poté essere meglio constatato perché l’una e le altre figuravano
nella stessa edizione del 1930. Tale edizione costituì dunque il primo, provocatorio banco di
prova per il poeta e drammaturgo esordiente, e indirettamente una verifica delle tendenze, coraggiose o pavide, della critica contemporanea. Al giudizio positivo di Empson43 fece riscontro
il fermo dissenso di Leavis, che giudicava rescisso il rapporto fiduciario tra emittente e utente,
41
Perdite da ambo le parti.
Nell’interludio natalizio di Auden, che è comunque un sogno come diremo, i grugniti di una spia
sono «prodotti da strumenti da jazz», e le battute sono anche in rima da canzonetta. Eliot mimetizzò un’evidente infatuazione se non folgorazione per il lavoro di Auden con atteggiamenti di ambigua se non contraddittoria cautela; ma nonostante la «riluttanza» (si legga tutta la nota * di MENDELSON 1983, 32) pubblicò
Paid on Both Sides sul «Criterion» che dirigeva.
43
CRHE 78-80.
42
40
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
poiché la poesia aveva cessato, con Auden, di comunicare al lettore comune ed era divenuta
esperienza privata44. Paid on Both Sides è invero un primo, proibitivo exploit audeniano, davanti
al quale l’esegeta e l’interprete debbono in più punti dichiararsi vinti e proclamare la resa: è possibile in altre parole squadrare il testo in larga sintesi, ma il dettaglio tantalizza e sfugge. È
un’inesauribile deflagrazione caleidoscopica e anche cacofonica di sequenze drammatiche che
si riversano le une nelle altre con iati violenti quanto al taglio scenico e drammaturgico, e introdotte da didascalie ironiche, perché invariabilmente ridotte e schematiche, spesso anche ingannevoli o perversamente ellittiche, perché intese a potenziare l’imbarazzo del lettore che tenti
di decifrare la diegesi scenica. Il registro svaria nella gamma quasi totale delle possibilità drammatiche: i dialoghi possono essere di brutale, spiccia concretezza e di immediata capacità relazionale e comunicativa, e guidare subito all’azione: essere dunque sprazzi di puro teatro verista;
ma si alternano non solo con il soliloquio, o con l’intervento del coro ripristinato dal teatro classico, e quindi con una parola statica ed evocativa, declamata e solenne, ma anche con il roteare
delle pantomime, dei battibecchi, delle scene burlesche e dei giochi verbali. Nei brani in versi
Auden è già un funambolo, siano essi in metro libero o in rime esatte o semirime o pararime. Qui
la sintassi è dislocata, il filo logico e contestuale zigzagante, la grammatica stessa difettosa, persino erronea, addirittura volutamente primitiva45. Le oscillazioni paurose e smaccate di questo
testo si devono al fatto che Auden, che aveva solo ventuno anni, sapeva da un lato oggettivare e
assolutizzare il suo fermento esistenziale, e dall’altro no: ne viene al dramma un’acerbità evidente unita a supremi momenti di distanziamento. Fonti, suggestioni e rimuginamenti disparati,
raccolti da letture caotiche, sono affastellati e fusi assieme senza distendersi in un significato articolato, benché magari poeticamente compresso. Auden viveva un tempestoso momento di subbuglio che sapeva miracolosamente, e sia pure intermittentemente, oggettivare e raffreddare sulla
pagina. Era impegnato a recidere un complesso di Edipo che aveva coscientizzato da solo e
anche con l’aiuto di terapie psicanalitiche. Correggeva Freud perché vedeva nella madre la trasmissione dell’odio, e quindi l’impedimento ad attingere l’amore, amore tout court e amore eterosessuale; correggeva Freud soprattutto perché non credeva nelle capacità terapeutiche dell’anamnesi, bensì nella cancellazione del passato, e che il superamento dell’odio e la «guarigione» provenissero piuttosto dalla sazietà.
5. Questa geografia privata è transcodificata nell’azione del dramma. La brevissima sciarada propone in scena senza pause, in un clima surreale o si potrebbe dire preassurdo, due fazioni che si danno battaglia non solo a parole, e si inseguono, si spiano e si tendono agguati per
uccidersi, vendicarsi, eliminarsi. Si dice assurdo perché la scena è divisa se non divisionistica,
e anticipa le riduzioni dell’apparato scenico e le stilizzazioni dei personaggi a cui Beckett sarebbe
approdato venti anni dopo come minimo. È un divisionismo vicino ad esempio a quello del
primo dramma ripudiato di Beckett, dove comunque il conflitto è tra uno, il figlio, e tutti, la famiglia e la società46. I membri dei due «partiti ostili» si riconoscono in Auden per il diverso colore dei bracciali («arm-bands»); e due personaggi minori hanno i preveggenti nomi beckettiani
di Bo e Po. Questo antidramma fa entrare in scena il coro, ma Auden punta in realtà allo stridore
della battuta, ché i personaggi sanno passare dal linguaggio pratico e operativo, dall’ordine e dall’intenzione dell’atto, a oasi di riflessione da cui, in un visibilissimo sbalzo, escono ex abrupto
44
CRHE 88-91 e 100-101. Un terzo intervento di Leavis, alla riedizione del 1934 delle poesie, fu più
blando, ma ancora più polemico verso Empson (CRHE 140-143). Anche nel 1936 Leavis si scagliava contro l’immaturità, l’incertezza di propositi, l’«irresponsabilità» di Auden (CRHE 222-225). Tale accusa sarebbe stata ripetuta da E. WILSON (CRHE 232-235), notando però nel 1937 la perdita del marchio personale
e del vigore delle prime poesie nella raccolta Look, Stranger! Wilson avrebbe però più tardi sposato in toto
la causa di Auden (cfr. CRHE 406-411).
45
Cfr. MENDELSON 1983, 42 nota†, sulla parafrasi del v. 1305 del Beowulf nel titolo del dramma.
46
§ 110.3 e nota 126.
§§ 3-12. AUDEN
41
dalla loro bocca frasi poetiche alate, suggestive, ellittiche47. Sennonché, anche nella sfera del
linguaggio operativo, i personaggi parlano a dispaccio o a telegramma, e non solo il lettore ma
gli stessi attori in scena stentano a capire. Dalla cura con cui anche il linguaggio quotidiano è
architettato, e dai tours de force delle parti in versi, si ha la prova di un’operazione in larga misura o prevalentemente formale. Il senso della suspense che gira a vuoto, e di cui non si capisce
l’esatta natura, è appunto un clima metafisico assoluto e inspiegabile. Auden vuole evocare un’atmosfera, ed è lo stesso gusto di polizieschi irreali del tipo del classico di Buchan, The Thirty-Nine
Steps. Le scaramucce verbali dei due gruppi, con il ricorso dei termini tipici dello spionaggio e
della guerriglia, spiegano anche il parallelo ricorso di termini e situazioni analoghe nella prima
poesia di Auden, il cui contrassegno protratto è il ricorso semiserio alla metafora dell’inquadramento militare, tratta dai racconti ancora freschi di guerra e dall’esperienza di un sistema scolastico britannico strutturato su quello spirito. La sciarada romanza e quindi rende più comprensibili gli aneddoti più secchi delle poesie. La parabola interna è l’impossibile superamento
della legge della vendetta atavica, e insieme l’impossibilità dell’avvento di una giurisdizione
dell’amore, anche se dall’emergenza alla lunga insostenibile, e dal senso della rivalità, scaturisce l’invocazione della pace (un membro delle due fazioni decide infatti di partire per le colonie)48. Il clou è l’agguato teso al caporione di una fazione da parte della fazione avversa: essendosi dato convegno con una donna, questi sfugge ma è alla fine raggiunto e ucciso. Una spia è
catturata e subito giustiziata dal protagonista Nower, che compiuto l’atto prova improvviso il bisogno di sottrarsi al determinismo della vendetta. Il processo contro la spia è un episodio faceto
e surreale, essendo il giudice Babbo Natale ed essendo soprattutto l’imputato miracolosamente
tornato in vita benché ferito, tanto da richiedere l’entrata in scena di un farsesco dottore. Auden
nel testo pubblicato soppresse una didascalia che avvertiva che questo interludio natalizio era da
intendersi come un sogno di Nower che si addormenta, e sogno che poteva e doveva essere interpretato come l’accettazione da parte sua della legge dell’amore che vince sull’odio e la vendetta49. Cosa è dunque l’interludio? È un sogno dal valore pubblico e privato, o per meglio dire
un incubo in cui viene recitato l’esorcismo della guerra. Paid on Both Sides è allora e perciò
anche l’esorcismo della guerra tout court e della Grande guerra. Non per nulla la fazione di destra ha come nome tedesco Lintzgarth, e tra i commilitoni figurano un Kurt e uno Zeppel, a cui
basterà aggiungere un -in per evocare il terrore dei bombardamenti aerei. Dall’incubo della
guerra si poteva uscire facendone tabula rasa, e ripartendo da zero con una totale cancellazione
o rimozione del passato. Ma prima, o in contemporanea, Auden rivolge a se stesso, mediante l’ermafroditico Uomo-Donna, il rimprovero di un amore malato, come si addebiterà anche in The
Orators, malato perché il suo oggetto è ambiguo e anche anfibio, indeciso come gender, e quindi
sterile e inconcludente. Dopo cambi di scena di meteorica subitaneità, la guerricciola, sedata
47
L’aria di esordio della madre di John Nower è ulteriormente un calco di The Leaden Echo and the
Golden Echo di Hopkins.
48
MENDELSON 1983, 47, impone inconsapevolmente al lavoro di Auden lo schema eliotiano degli assai
più tardi Four Quartets quando individua il tema come lo «entrapment of time» [«la trappola del tempo»],
e le «costrizioni psicologiche trasmesse, come dire geneticamente, dal passato» (cfr. in Eliot lo «enchainment
of past and future» [«concatenamento del passato con il futuro»] e il «release from the inner / And outer
compulsion» [«liberazione dalla costrizione / Interiore ed esterna»] nel primo quartetto). I due poeti concordano nella diagnosi, anche se danno un significato per ora diverso alla terapia, che la maledizione si vince
con l’amore.
49
MENDELSON 1983, 49-53. La tirata dell’Uomo-Donna è un astruso rimprovero contro una sessualità
sterile e sbagliata che Auden avrebbe rivolto a se stesso riconoscendosi in Nower; più chiaro, durante questo
sogno, è il valore simbolico, e cioè terapeutico, dell’estrazione di un enorme dente dal corpo della spia, che
subito dopo fraternizza con Nower piantando con lui un albero; dopodiché Nower, apparentemente guarito,
sale a cavallo per andare a chiedere la mano della figlia del nemico. Dunque sul piano privato Auden discuteva e auspicava la ricomposizione della sua personalità, che doveva partire dalla recisione, o, psicanaliticamente, dalla rimozione, del passato.
42
I. GLI SCRITTORI CONTRO I TOTALITARISMI
dalle nozze dei figli dei rivali (una parodia di Romeo and Juliet svolta in clima da cabaret), è riaperta dall’omicidio dello sposo. L’epilogo è un fallimento sia sul piano individuale e personale,
dell’uomo Auden riflesso in Nower (il cui nome addita o allude confusamente a un che di
nuovo50), sia sul piano storico. In altre parole la maledizione dell’odio imperversava ancora nel
1928-1930, in patria e fuori.
6. In The Enemies of a Bishop, or Die When I Say When51 (scritto da Auden e Isherwood nel
1929, ma mai pubblicato e quindi neanche rappresentato, e rivisto senza completarlo l’anno seguente; ma quasi tutti gli interludi poetici dello «spettro» furono poi inclusi nelle poesie del
193052), le varie pedine drammatiche, le cui mosse trasudano un erotismo represso debordante e
malsano53, vengono fatte convergere in una trama concentrica o in una rete di relazioni reciproche che si tessono in larga parte nell’interno di un hotel. Il direttore di una miniera, in lotta con il
suo doppio e di chiara fonte stevensoniana54 (perché crede di distruggere lo spettro ma uccide se
stesso), è pazzo d’amore per la moglie del suo vice, mentre il fratello, un bersaglio satirico di
stampo dickensiano nella sua losca untuosità55, dirige un riformatorio e si è invaghito di una fanciulla che si rivela per un suo allievo, fuggito con lo stratagemma di un travestimento femminile;
all’hotel due incettatori di schiavi per il mercato americano tentano di rapire questo stesso ragazzo, mentre un colonnello cerca di indurre un altro a frustarlo. Un detective di ruolo femminile
sbroglia la situazione, ma arrestando l’unico innocente. Tale eroe morale è un vescovo di nome
Law, che incarna Homer Lane, uno psichiatra che Auden considerava un profeta e guaritore, e che
era effettivamente il direttore di un riformatorio e un pedagogo di idee avanzate, come la necessità di «liberare» i malati favorendo l’espressione dei loro istinti56. Il conflitto allegorico interno
è espresso dai nomi, Law, il vescovo, e Wright, il detective, che significano «legge» e «diritto».
Non più di un pannello drammatico, benché fosse salutato come pionieristico per l’abbattimento
della barriera tra palcoscenico e platea e per far salire in scena membri del pubblico, è The Dance
of Death57, commissionato da R. Doone per il Group Theatre58 e rappresentato nel 1934 e nel
1935. È l’allegoria del decesso della borghesia recitato nelle forme del cabaret e della pantomima.
7. The Chase59 (1934), del solo Auden, fu rielaborato come The Dog Beneath
the Skin60 da Auden e Isherwood, e divenne in quella forma il primo dei due più noti
50
MENDELSON 1983, 49, collega il nome del protagonista a «now», intendendo che Nower vuole vivere
ora e non più nel passato, è l’uomo del qui e ora e pronto ad operare e a trasformare; ma la suggestione onomastica non cambia. Se si privilegia questa pista la pronuncia del nome, che potrebbe essere tanto ['nouə]
che ['nauə], è la seconda.
51
I nemici del vescovo, o muori quando lo dirò io.
52
Questo spettro sarebbe diventato Nick Shadow in The Rake’s Progress stravinskijano.
53
Lo stesso denunciato in The Orators.
54
Anche se l’idea è stata detta ricavata più direttamente da un film tedesco del 1926 (MENDELSON, introd. al vol. III delle opere, XVIII).
55
I ricorsi verbali permettono di identificare questo direttore del riformatorio come la voce che parla agli
studenti radunati nella prima parte di The Orators: entrambi arringano gli allievi contro i «rotters» [«mascalzoni»] e gli «slackers» [«fannulloni»].
56
Lane era allievo di John Layard, la cui idea era che i desideri nell’uomo fossero naturali e da assecondare, e che peccato significava solo disobbedienza alla «natura interiore», e la malattia aveva un’origine
psicosomatica.
57
La danza della morte.
58
Non certo una «piccola, semidilettantesca formazione teatrale londinese» (M. D’AMICO, Dieci secoli
di teatro inglese 970-1980, Milano 19872, 369), bensì un’iniziativa di notevole importanza, nata per portare
in scena e far conoscere il fermento drammatico inglese degli anni Trenta.
59
L’inseguimento.
60
Il cane sotto la pelle, che echeggia variandolo un verso dell’eliotiana Whispers of Immortality. Si attribuiscono la parti in prosa a Isherwood, in versi a Auden. Il dramma ebbe vari finali, di cui non possiamo
rendere conto, come frutto di un vivace scambio di idee tra i due coautori, come si può leggere in MENDELSON 1983, 277-280. Ci riferiamo qui al testo riportato nel volume dei drammi a cura dello stesso Mendelson.

Documenti analoghi

Wystan Hugh Auden - Unitre Val di Cornia

Wystan Hugh Auden - Unitre Val di Cornia Wystan Hugh Auden Gli anni inglesi Wystan Hugh Auden nasce il 21 febbraio del 1907, a York, in una famiglia appartenente alla middle-class inglese. Trascorre la sua infanzia a Harbonre, Birmingham ...

Dettagli

l`ipotesi di Malin

l`ipotesi di Malin La prima riguarda la questione dello scrivere in prosa in modo sentenziale in un’opera in versi, come avviene nella terza parte di The Sea and the Mirror. Come ne iniziai lo studio, il mio pensiero...

Dettagli