E. LAPADULA, Oggetti accessori dell`abbigliamento di eta

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E. LAPADULA, Oggetti accessori dell`abbigliamento di eta
OGGETTI ACCESSORI
DELL’ABBIGLIAMENTO DI ETÀ
BASSOMEDIEVALE IN TERRA D’OTRANTO
di
ERMINIA LAPADULA
INTRODUZIONE
L’attenzione per gli oggetti accessori dell’abbigliamento
di età bassomedievale è aumentata in modo considerevole
negli ultimi anni, tuttavia il divario di studi tra la situazione
italiana e quella d’oltralpe persiste, sia per quantità dei ritrovamenti sia per studio ed analisi sistematica. Infatti, se
le letterature inglese (BIDDLE 1990, EGAN, PRITCHARD 1991),
francese (D ÉMIANS D’A RCHIMBAUD 1980) e tedesca
(FINGERLIN 1971) si avvalgono di repertori e di studi di ampio respiro, altrettanto non si riscontra in quella italiana in
cui lo studio degli oggetti in esame si limita, la maggior
parte delle volte, alla semplice indicazione della presenza
di tali manufatti tra i reperti di scavo ovvero all’inserimento nei cataloghi che corredano le edizioni degli scavi. In
Italia un approccio secondo i metodi dell’archeologia della
produzione al momento risulta ancora assente per gli oggetti accessori dell’abbigliamento di età bassomedievale
anche se attualmente sono in corso ricerche, in diversi ambiti universitari, incentrate sugli aspetti archeometallurgici, produttivi e diffusionali.
Occorre sottolineare che maggiore attenzione è stata
rivolta alla medesima classe di materiali di età altomedievale in ragione di un interesse che da sempre ha privilegiato lo studio delle armi e degli oggetti dell’oreficeria longobarda o di influenza longobarda.
La produzione degli oggetti accessori dell’abbigliamento, insieme a quella dei manufatti di ornamento e di uso personale, presenta molteplici problematiche legate ad aspetti
culturali, economici, politici, sociali. Purtroppo la scarsa attenzione e i pochi studi rivolti ai ritrovamenti di questi manufatti rendono difficoltosa la comprensione degli articolati
processi produttivi, commerciali e sociali ad essi pertinenti.
I manufatti in metallo, noti sotto il profilo tipologico e
cronologico meno noti sotto quello tecnologico, si rivelano
essere ottimi indicatori economici e culturali e costituiscono un’importante fonte ai fini della comprensione dell’ambito economico e sociale, del commercio e del sistema artigianale di età bassomedievale.
I MANUFATTI
Gli insediamenti rurali di Quattro Macine (Giuggianello,
Le) ed Apigliano (Martano, Le) (per il posizionamento dei
siti cfr. BRUNO, Fig. 1 nello stesso volume) hanno restituito
numerosi oggetti accessori dell’abbigliamento, di ornamento
e di uso personale (ARTHUR et al. 1996, pp. 210-211; CEDRO
1999, pp. 40-44).
Il contesto di rinvenimento, il metodo stratigrafico di
scavo e la documentazione grafica, con il corretto posizionamento dei “reperti speciali” nel caso di associazione ad
una sepoltura, associati allo studio antropologico dei resti
scheletrici, consentono di disporre di una mole consistente
di dati, utili all’analisi di questi oggetti secondo un approccio che è proprio dell’archeologia della produzione basata
sull’analisi di un manufatto nella interezza del suo ciclo
produttivo: dalla produzione alla commercializzazione, al
consumo (MANNONI, GIANNICHEDDA 1996).
Gli oggetti accessori dell’abbigliamento, intesi come elementi necessari all’utilizzo degli abiti in età bassomedievale,
sono attestati, nei due casali salentini in esame, principalmente dalle cinture cui si aggiungono le fibbie delle scarpe e
i bottoni, documentati da un numero inferiore di ritrovamenti. La cintura, complemento essenziale dell’abbigliamento
femminile e maschile utilizzata per sorreggere o stringere la
veste, constava di una fascia in stoffa o cuoio morbido desinente ai due lembi in una fibbia con placca e in un puntale in
metallo. Lo studio morfologico delle cinture, rinvenute esclusivamente in alcune tombe dei cimiteri, e delle fibbie, restituite anche dagli strati di vita dei villaggi di Apigliano e di
Quattro Macine, associato ai dati delle analisi antropologiche, permette innanzitutto di riconoscere una differenziazione tra le cinture utilizzate dagli individui di sesso femminile
e quelle usate dagli individui di sesso maschile. La diversità
si riscontra sia nella morfologia, più complessa e ricca nelle
cinture femminili, sia nelle dimensioni, sia nel metallo o nella lega utilizzati.
La cintura femminile è composta da una striscia di tessuto, come attestato in un caso dalle analisi, o forse anche di
cuoio, di modesta altezza, limitata a ca. 1,5 cm, e di lunghezza pari ca. a 110-120 cm, completata dalle parti metalliche,
realizzate generalmente in lega di rame, che consistono nella
fibbia con placca di aggancio ad una estremità e nel puntale
all’estremità opposta. Applicazioni decorative, in numero
variabile ma generalmente alto (al momento il numero maggiore di elementi, pari a 46, è stato restituito da una sepoltura
della t. XXXVI di Apigliano), sono collocate ad intervalli
regolari lungo la fascia. Le applicazioni sono di tipo diverso:
floreali (rosetta a quattro, sei e otto petali; doppio fior di liso)
oppure geometriche (circolari o rettangolari). Su di una stessa cintura potevano essere collocate applicazioni di uno stesso tipo morfologico oppure riferibili a due o tre tipi diversi
disposti alternativamente (Fig. 1,1- 2; 2,1).
Nelle cinture femminili le fibbie presentano una tipologia abbastanza comune, ad anello ovale con traversa di base
rettilinea e traversa superiore ornata da una protuberanza
centrale ovvero da due alette laterali. L’ardiglione, innestato sulla traversa di base, può essere in lega di rame oppure
in ferro. La fibbia si aggancia alla placca costituita da una
sottile lamina in lega di rame ripiegata su se stessa. Il fissaggio al tessuto o al cuoio era garantito da rivetti il cui
numero varia da un minimo di due ad un massimo di quattro. Il puntale, costituito anch’esso da una lamina ripiegata
su se stessa e saldata ad una struttura interna di pari lunghezza, aveva la funzione sia decorativa sia funzionale, per
appesantire la cintura e facilitarne la caduta lungo l’abito.
Anche in questo caso il fissaggio al tessuto o al cuoio avveniva con i rivetti, uno o due, posti all’estremità superiore.
La superficie superiore della placca e del puntale presenta di frequente una decorazione incisa, prevalentemente a
bulino, di tipo geometrico (tratti paralleli, motivo a losanghe
spesso con campitura interna) o floreale (racemi, volute foliate). Una placca, rinvenuta in una tomba di Quattro Macine
(t. XXXIX), presenta una decorazione di maggiore prestigio
costituita da un motivo vegetale (foglie cuoriformi) ottenuto
con l’applicazione di un filo ritorto (Fig. 2,1). Si tratta di una
falsa filigrana in quanto il filo risulta solamente applicato
sulla placca, fissato con i rivetti, e non saldato. Gli elementi
in metallo delle cinture femminili ritrovate ad Apigliano e
Quattro Macine presentano di frequente in superficie la doratura o l’argentatura, stesa al fine di impreziosire il manufatto. Probabilmente le cinture, soggette a logoramento ed
usura, venivano sottoposte sia al restauro delle parti metalliche sia alla sostituzione del tessuto, di certo maggiormente
esposto al degrado con un uso prolungato nel tempo.
La cintura maschile, più semplice, è in cuoio, con un’altezza generalmente di pochi centimetri, ed è definita ad una
sola estremità dalla fibbia in lega di rame o in ferro di dimensioni maggiori rispetto a quelle delle fibbie femminili.
Queste fibbie presentano in prevalenza l’anello di forma
quadrangolare, a volte completato da alette laterali, o circolare con ardiglione mobile (Fig. 2,2-3). A volte quelle in
ferro, di forma rettangolare o subrettangolare, presentano
due ardiglioni fissi (CEDRO 1999).
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Fig. 1 – Elementi di cintura femminile.1. Quattro Macine, tomba XXIV; 2. Apigliano, tomba XXXVI. (Disegni di S. Cann e G. Cavallo).
Occorre sottolineare che accanto a queste, che sono cinture di uso civile, erano utilizzate, in particolare dalle maestranze artigiane e forse dai contadini, le cinture da lavoro
che si caratterizzano per essere di maggiori dimensioni sia
nella struttura portante in cuoio sia nella fibbia, generalmente in ferro. Questo tipo di cintura era spesso completata
da anelli di sospensione ai quali venivano appesi gli strumenti e gli arnesi del lavoro.
Una fonte preziosa per la comprensione della struttura delle
cinture e del relativo uso è costituita dai numerosi confronti
iconografici restituiti dagli affreschi, dalle sculture, dagli elementi architettonici e dalle miniature. Un documento ricco di
spunti è l’affresco raffigurante Santa Lucia nella cripta della
Buona Nuova a Massafra (Ta), datato al XIII-XIV secolo, in
cui è visibile una cintura, utilizzata per stringere la veste, del
tutto simile a quelle descritte (D’ANGELA 1980).
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Fig. 2 – 1. Quattro Macine, tomba XXXIX: elementi di cintura femminile; 2. Apigliano: fibbia in lega di rame; 3. Quattro Macine: fibbia
in ferro. (Disegni di S. Cann).
LA PRODUZIONE, IL COMMERCIO, L’USO
L’analisi del ciclo produttivo che qualifica questi oggetti pone numerosi interrogativi, in primo luogo per la fase
iniziale della produzione del manufatto: l’approvvigionamento della materia prima, la trasformazione della materia
prima e la realizzazione del prodotto finito. Naturalmente
le analisi composizionali, finalizzate all’individuazione del
metallo e delle leghe che caratterizzano le parti metalliche
e all’identificazione delle fibre vegetali utilizzate per la fascia della cintura, costituiscono l’approccio primario, indispensabile per lo studio della produzione degli accessori
dell’abbigliamento. Si tratta di aspetti propriamente tecnici
che solamente le indagini mirate di tipo archeometrico potranno definire. Tuttavia alcune riflessioni, suscettibili di
verifiche e completamenti, possono essere proposte in via
preliminare. Un semplice esame autoptico permette infatti
di riconoscere l’uso del ferro e delle leghe di rame per la
realizzazione di questi oggetti, per il cui approvvigionamento l’ipotesi più convincente sembra essere legata, per la lega
di rame, prevalentemente alla rifusione di oggetti antichi
(GIOSTRA 2000, p. 11) e, per il ferro, all’estrazione del metallo dal minerale. Infatti, nel Medioevo se l’acquisto del
ferro e dei semilavorati in ferro era abbastanza comune e
relativamente semplice, l’approvvigionamento e la lavorazione del rame e degli altri metalli da combinare in lega era
difficoltoso sia per la scarsità della materia prima sia per gli
elevati costi. Il Salento, e la Puglia in generale, sono privi
di giacimenti metalliferi (GIARDINO 1998, PORSIA 1989,
p. 247) e le aree più vicine di approvvigionamento erano la
Calabria (PINTO 2002) e i Balcani, anche se pare verosimile
ipotizzare un contatto più consistente e continuo nel tempo
con la zona balcanica i cui depositi rivestono particolare
rilevanza storica (GIARDINO 1998, p. 118). L’elevato costo
del metallo era dovuto a queste difficoltà pratiche cui occorre aggiungere gli esosi tributi richiesti dal sistema fiscale statale, strettamente connessi con la difficoltà di ottenere
la concessione sovrana per estrarre minerali dal sottosuolo,
anche in terre di proprietà privata (PORSIA 1989, pp. 248254).
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Altre osservazioni possono proporsi per la fase successiva del ciclo, la trasformazione del metallo in manufatto,
che implica una serie di conoscenze tecniche, anche di alto
livello, le quali consentono di riconoscere una differenziazione tra l’attività siderurgica, praticata verosimilmente in
contesti sia urbani sia rurali, e la lavorazione del rame e
delle leghe che, richiedendo maggiore capacità tecnica e
professionalità, era praticata probabilmente solo in ambito
urbano (EGAN 2001, p. 82). Naturalmente spetta alla ricerca
archeologia il compito di fornire dati oggettivi per confermare o smentire quest’ipotesi.
Per il territorio in esame potrebbero essere i centri di
Otranto, Gallipoli, Nardò, Ugento, Brindisi, Taranto e Lecce le sedi delle manifatture e delle officine dedite alla produzione di oggetti accessori dell’abbigliamento insieme
probabilmente a quelli di ornamento personale. La motivazione del prevalere delle città sui centri rurali minori potrebbe trovare spiegazione nel ruolo rivestito dalla città nel
bassomedioevo: centro del potere politico ed economico,
luogo privilegiato di scambi e di consumi nonché di relazioni sociali. Tuttavia non può escludersi l’ipotesi della presenza di maestranze itineranti (CUTERI 2002, p. 292) che si
spostavano in un ristretto ambito territoriale con al seguito
la strumentazione di cui avevano bisogno, in primo luogo il
mantice, e naturalmente gli oggetti da rifondere ovvero il
semilavorato. Probabilmente questa ipotesi vacilla nel caso
in cui i manufatti presentano in superficie la doratura o l’argentatura, per la cui realizzazione e applicazione occorrevano competenze specifiche, proprie di orafi e lavoratori di
metalli preziosi attivi verosimilmente all’interno di officine stabili.
La natura stessa della cintura, composta da parti in metallo e parti in materiale organico, comporta alcune riflessioni sulle connesse produzioni tessile e del cuoio. Le analisi su un campione di tessuto, preservato all’interno di una
placca di cintura di Quattro Macine (t. XXIV, SK 33), hanno identificato l’uso di fibre di lino di cui le analisi paleobotaniche documentano la coltivazione nell’area salentina
in età medievale. L’elevato numero di manufatti, tra quelli
rinvenuti ad Apigliano e Quattro Macine, che conservano
tracce di tessuto suggeriscono di programmare per il prossimo futuro le analisi composizionali delle fibre utilizzate,
al fine di riconoscere la presenza di piante di coltura autoctona oppure alloctona e di fornire dati per la ricostruzione del paesaggio agrario medievale, e del cuoio preservato,
utile per la comprensione dei processi di conciatura.
Alla distribuzione e alla circolazione del prodotto finito si connettono problematiche di carattere sociale ed economico riguardanti il sistema di scambio, le modalità di
vendita, il controllo delle autorità politiche, l’identificazione delle figure professionali preposte al commercio e alla
vendita.
L’ipotesi più accreditata propende per la commercializzazione di questi manufatti a livello regionale o subregionale attraverso una rete di vendita di tipo diretto effettuata
dal mercante che, in occasione di fiere e di mercati, esponeva sul banco il prodotto finito inteso come cintura completa
di tutte le sue parti, struttura in tessuto o cuoio ed elementi
in metallo. Questo tipo di commercio diretto, documentato
già in alcuni manoscritti tardo medievali (MILANESE 2001,
p. 77), perdura nel tempo come attestano alcune fonti iconografiche inglesi del XIX secolo (EGAN, PRITCHARD 1991,
p. 19).
La diffusione degli elementi accessori dell’abbigliamento risulta essere abbastanza capillare nelle evidenze insediative bassomedievali. Nel territorio della Terra d’Otranto
si registrano numerosi ritrovamenti, in ambito sia urbano
sia rurale, di elementi riferibili a cinture di tipo femminile,
rinvenuti prevalentemente in contesti cimiteriali: a parte i
due villaggi abbandonati di Apigliano (CEDRO 1999) e Quattro Macine (ARTHUR et al. 1996), troviamo manufatti simili
a San Pancrazio Salentino (DELL’AGLIO 1982), San Pietro
Mandurino (D’ANGELA 1978), Specchia Preti (SALVATORE
1977), Roca Vecchia (CEDRO 1999, p. 44), Caprarica di Lecce
(materiale inedito), Oria (MARUGGI 2000), Otranto (HICKS,
HICKS 1992), Torre di Mare-Metaponto (SALVATORE 2002); a
questi si aggiungono alcuni esemplari conservati nel Museo Civico di Gallipoli, provenienti verosimilmente dal territorio circostante, ed altri provenienti da numerosi ritrovamenti occasionali nei territori di Cutrofiano e Galatone
(materiale inedito).
Oggetti simili, per alcuni caratteri morfologici, si ritrovano in altre aree anche distanti geograficamente e spesso
diverse culturalmente. In Italia meridionale e centrale gli
scavi di Fiorentino (BUSTO 1998), Segesta (MOLINARI 1997),
Rascino (HYLTON 1994), Casalbordino (TULIPANI 2001),
Rocca San Silvestro (FRANCOVICH 1991) e nell’area settentrionale quelli di Savorgnano (PIUZZI 1998) hanno restituito
alcune parti della cintura, in prevalenza fibbie e applicazioni. I confronti con oggetti simili rinvenuti in scavi esteri
sono numerosi e puntuali in particolare con i contesti di
Londra (EGAN, PRITCHARD 1991), Winchester (BIDDLE 1990)
e York (OTTAWAY, ROGERS 2002) in Inghilterra, e Rougiers
(DÉMIANS D’ARCHIMBAUD 1980) in Francia, anche se non
mancano riscontri con i materiali di Corinto (DAVIDSON 1952)
in Grecia e Wimpfen, in Germania (FINGERLIN 1971).
La standardizzazione dei modelli, riscontrata tra i numerosi manufatti censiti nel territorio salentino e gli oggetti di
altre aree italiane ed europee (Francia, Inghilterra), è conseguenza della funzionalità di questi accessori ma è anche il
riflesso di un gusto comune che abbraccia territori geograficamente distanti. Anche l’uso diffuso della decorazione a
bulino, caratterizzata spesso da modelli ricorrenti, oltre a testimoniare la diffusione di un livello tecnico specializzato tra
le maestranze preposte alla realizzazione di tali manufatti risulta espressione di un comune gusto decorativo.
Frequenti in alcuni insediamenti bassomedievali della
Terra d’Otranto sono anche gli elementi di cinture maschili, in lega di rame e ferro, riferibili a tipologie diverse: nei
casali di Apigliano (CEDRO 1999, p. 41) e Quattro Macine,
nei cimiteri di Specchia Preti (SALVATORE 1977), di San Pietro Mandurino (D’ANGELA 1978) e Torre di Mare-Metaponto (Salvatore 2002), nelle tombe rinvenute nella chiesa di
San Pietro Barisano a Matera (Bruno 2001), nel centro urbano di Otranto (HICKS, HICKS 1992), nel cimitero individuato di recente a Caprarica di Lecce (materiale inedito).
Come per le cinture femminili bassomedievali anche
per quelle maschili sono documentati ritrovamenti di fibbie
in tutto il territorio della penisola, in contesti sia urbani sia
rurali di diversa tipologia: a Fiorentino (BUSTO 1998) in
Puglia, a Santa Severina (MORRONE 1998) in Calabria, a
Brucato (PIPONNIER 1984) e Segesta (MOLINARI 1997) in Sicilia, a Rocca San Silvestro e Campiglia Marittima (BELLI 2000) in Toscana, a Gorzano (SOGLIANI 1995) e Argenta
(LIBRENTI 1999) in Emilia Romagna, a Monte Zignago (GAMBARO 1990) e Castel Delfino (MILANESE 1982) in Liguria, a
Udine (BUORA 1993). Anche al di fuori del territorio italiano sono attestati numerosi manufatti con i quali quelli
salentini trovano confronti sia puntuali sia generici: Londra
(EGAN, PRITCHARD 1991), Winchester (BIDDLE 1980) e York
(OTTAWAY, ROGERS 2002) in Inghilterra, Rougiers (DÉMIANS
D’ARCHIMBAUD 1980) in Francia, Vohingen (ARNOLD, V. DER
O STEN -W OLDENBURG , W AHL 1993) in Germania, Dol
(ZEKAN 1996) in Croazia, Carevec (NIKOLOVA 1974) in Bulgaria, Corinto (DAVIDSON 1952) in Grecia.
I contesti stratigrafici di Quattro Macine e di Apigliano
consentono di inquadrare cronologicamente le cinture in
esame tra la metà del XIII e il XIV secolo con attardamenti,
per alcune fibbie di cinture maschili, al XV secolo. Anche i
confronti con i reperti degli scavi di Londra e di Rougiers,
stratigraficamente affidabili, confermano le datazioni proposte. Naturalmente all’interno di questo range cronologico i singoli manufatti trovano una collocazione puntuale
che in questa sede non viene specificata.
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Gli aspetti relativi all’uso di questi oggetti sollevano
domande sullo status sociale degli acquirenti e degli utilizzatori del prodotto. Sicuramente tra gli abitanti dei casali di Apigliano e di Quattro Macine, incentrati su un’economia agricola di carattere modesto, solo un ristretto numero di individui poteva permettersi l’acquisto di oggetti
di questo tipo a causa del costo che, nonostante non fosse
probabilmente molto elevato, tuttavia non era di certo accessibile a tutti. Infatti sul totale delle tombe finora scavate nei cimiteri di Apigliano e di Quattro Macine, solamente il 30% circa di ciascuna area sepolcrale ha restituito
oggetti riferibili all’abbigliamento, spesso in associazione con gli oggetti di ornamento personale. Certamente gli
accessori dell’abito erano indispensabili all’utilizzo dello
stesso ma forse si ovviava ricorrendo a semplici strisce
annodate di tessuto.
La presenza di determinati oggetti accessori dell’abbigliamento potrebbe quindi essere collegata al livello economico del centro demico. I manufatti ritrovati ad Apigliano
e Quattro Macine sono probabilmente pertinenti a individui appartenenti ad uno status sociale superiore a quello
prevalente all’interno della comunità che popola il villaggio, dedita ad attività agricole come suggeriscono le tracce
di stress fisici riscontrate dall’esame antropologico effettuato sui resti scheletrici.
CONCLUSIONI
I dati presentati sono il risultato preliminare di uno studio in progress, inerente gli oggetti accessori del vestiario
del Salento bassomedievale, in questa fase solamente avviato e caratterizzato da numerose problematiche da approfondire. La tipologizzazione formale dei reperti oggetto di
studio, unitamente all’analisi diacronica dei tipi riferita ai
dati stratigrafici e contestuali, consente di tracciare le linee
di discussione sulle quali dovrà proseguire la ricerca.
L’obiettivo prefisso è quello di riuscire a tracciare l’intero
ciclo di produzione degli oggetti accessori dell’abbigliamento attraverso cui comprendere il carattere qualitativo e quantitativo delle produzioni e gli elementi socio-economici relativi alla dislocazione dei centri produttori, all’organizzazione delle botteghe intese come atelier metallurgici e
metallotecnici, all’attività delle maestranze itineranti, all’individuazione della rete di scambi commerciali e del tipo di
circolazione dei manufatti, alla caratterizzazione dello stato sociale ed economico degli acquirenti, alla comprensione dell’utilizzo sociale degli oggetti. All’interno delle prospettive di ricerca future particolare interesse suscita l’ipotesi di un contatto commerciale, sia a livello di materia prima sia a livello di modello tipologico del manufatto, con la
sponda opposta dell’Adriatico nell’ambito di un flusso di
scambi ben documentato per i prodotti ceramici di età bassomedievale (TAGLIENTE 2001, pp. 474-478; TAGLIENTE 2002,
p. 554).
RINGRAZIAMENTI
Il Prof. Paul Arthur, docente di Archeologia Medievale presso l’Università di Lecce, da circa un decennio coordina un progetto archeologico-topografico nel territorio salentino indirizzato
alla ricostruzione del paesaggio medievale attraverso le attività di
scavo, le indagini topografiche mirate e lo studio delle diverse
classi di materiali, avvalendosi per la gestione dei dati di un GIS
del territorio che è attualmente in corso di elaborazione da parte
della Dott.ssa Marisa Tinelli. In questo progetto rientra lo studio
degli oggetti accessori dell’abbigliamento di età bassomedievale
attualmente in corso e condotto da chi scrive nell’ambito di un
assegno di ricerca, seguito dal Prof. Paul Arthur che si ringrazia
per la costante guida.
Al Prof. Enrico Giannichedda si rivolge un sincero ringraziamento per i numerosi confronti e gli stimolanti suggerimenti di
studio. Un grazie alla Dott.ssa Brunella Bruno, responsabile del
Laboratorio di Archeologia Medievale, e alla Dott.ssa Paola Ta-
gliente per la proficua discussione seguita alla lettura del testo.
Per aver favorito la visione del materiale di Oria (Br) e di Torre di
Mare-Metaponto (Mt) si ringraziano le Soprintendenze Archeologiche della Puglia e della Basilicata rispettivamente nelle persone della Dott.ssa Maruggi e del Dott. De Siena. Si ringraziano
la Dott.ssa Sally Cann e Sig.na Giuditta Cavallo per la realizzazione dei disegni dei manufatti. Il compianto Attilio Maspero
(Museo Civico Archeologico “Paolo Giovio” di Como) ha condotto le analisi sul tessuto conservato all’interno della cintura della
tomba XXIV di Quattro Macine.
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