Arundo donax - Società Italiana di Agronomia

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Arundo donax - Società Italiana di Agronomia
Società Italiana di Agronomia
a cura di Marcello MASTRORILLI, C.R.A. – S.C.A.
con la collaborazione di Grazia CAMPANILE
ATTI
XXXIX Convegno
della società italiana di agronomia
Roma
Biblioteca Nazionale Viale Castro Pretorio
20 - 22 Settembre 2010
Codice ISBN
9788 8904 38714
I lavori in questi Atti vengono citati come segue:
Autori, 2010. Titolo. Atti XXXIX Convegno SIA (M.Mastrorilli Ed.), Roma (Italia), 20 - 22 Settembre
2010, pag. ??-??
PATROCINIO
SPONSOR
PREMESSA
La scelta di organizzare il XXXIX convegno SIA per la prima volta a Roma è frutto
dell’avvio di un nuovo dialogo con i decisori politici nazionali e regionali sulle tematiche
della ricerca agronomica a supporto dello sviluppo e della attuazione delle politiche
agricole nazionali, nel contesto della PAC.
In più occasioni i soci SIA hanno messo in evidenza le asimmetrie tra domanda e offerta
di ricerca in ambito agronomico, in modo particolare quando si tratta della ricerca
pubblica sulle complesse questioni agro-ambientali.
L’offerta di ricerca in ambito agronomico è determinata da criteri di valutazione e tempi
di attuazione non sempre sincroni con le esigenze della domanda, quasi sempre orientata
ad affrontare le questioni in maniera trasversale ai settori scientifici e con una tempistica
dettata da scadenze incompatibili con le rigorose verifiche scientifiche. Questo dilemma è
centrale per il dibattito che si intende sviluppare in questo convegno, che è stato articolato
in tre sessioni:
1. Agronomia e sistemi colturali
2. Agronomia e ambiente
3. Agronomia e sviluppo rurale.
Le tre sessioni saranno introdotte da altrettante presentazioni ad invito, basate su
esperienze maturate dagli autori in ambito nazionale ed internazionale nel campo della
modellistica per la gestione dell’irrigazione, della gestione e valutazione dell’attuazione
delle politiche agricole europee in ambito nazionale e delle modalità di interazione tra
decisori politici, agricoltori e ricercatori nella gestione adattativa in un contesto di
cambiamento climatico.
Questo volume contiene un riassunto delle tre presentazioni introduttive e dei 125
contributi totali, di cui 26 sono stati selezionati per la presentazione orale nelle tre
sessioni.
A seguito dei contatti intrapresi da alcuni mesi con la Direzione Generale dello Sviluppo
Rurale del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il Consiglio
Direttivo della SIA ha ritenuto strategico aprire un nuovo spazio di dialogo tra decisori
politici e ricercatori delle Università e degli Enti di ricerca, che permetta di mettere in rete
le attività di ricerca scientifica agraria del nostro paese per renderle più facilmente fruibili.
È apparso subito chiaro che dal punto di vista del decisore politico le tematiche di
interesse abbiano sempre carattere interdisciplinare, che le attività delle società
scientifiche siano poco o per niente conosciute a livello istituzionale e che la creazione di
nuovi spazi di interazione e scambio possa portare a benefici per tutti.
La Rete Rurale Nazionale (www.reterurale.it), una iniziativa del MiPAAF in attuazione
del progetto di Rete Rurale Europea e l’Associazione Italiana delle Società Scientifiche
Agrarie (AISSA – www.aissa.it), che mette in rete le società scientifiche agrarie, sono
apparsi da subito interlocutori appropriati per costruire questa nuova fase di dialogo.
L’iniziativa si è concretizzata con il contributo diretto della Rete Rurale Nazionale al
convegno e con l’organizzazione della tavola rotonda AISSA dal titolo “Innovazione
scientifico-tecnologica in agricoltura e politiche nazionali alla luce dei futuri scenari di
riforma del bilancio europeo”. Questo “side event”, creato dalla SIA e gestito da AISSA,
prevede contributi di decisori politici del MiPAAF e del MIUR, di ricercatori universitari
e degli enti di ricerca e del Presidente della Conferenza dei Presidi delle Facoltà di
VII
Agraria. Obiettivo della tavola rotonda è quello di arrivare a siglare un’intesa tra le parti
coinvolte per favorire una maggiore integrazione dei risultati della ricerca scientifica
nell’attuazione delle politiche agricole, per orientare la ricerca verso i temi più rilevanti
per lo sviluppo dell’agricoltura nazionale e per individuare nuove modalità di diffusione
della conoscenza scientifica che ne aumentino l’impatto sulle scelte strategiche di politica
agricola.
In questo senso, emerge sempre più l’esigenza da un lato di produrre risultati scientifici di
qualità e livello internazionale, certificati da un rigoroso processo di peer reviewing,
dall’altro di contestualizzare le attività di ricerca in maniera da tenere conto delle
specificità delle molteplici facce della nostra agricoltura e di evidenziarne il valore
aggiunto per i diversi attori dei sistemi agrari nazionali. Anche per questi motivi la SIA ha
deciso di intensificare i momenti di riflessione interni, riprendendo la tradizionale cadenza
annuale dei convegni nazionali, abbandonata qualche anno fa. In questa ottica, i contributi
oggetto del convegno SIA offrono soprattutto un panorama del “work in progress” in
ambito agronomico (ma non solo) legato principalmente a ricerche in corso o appena
concluse, i cui risultati più rilevanti saranno oggetto di revisione per la pubblicazione
sull’Italian Journal of Agronomy.
Esprimiamo apprezzamento per tutti i partecipanti che hanno voluto contribuire a questa
iniziativa, dalla quale ci attendiamo un aperto dibattito sul futuro della ricerca scientifica
agronomica nel nostro paese.
Il Comitato Scientifico ed organizzatore
VIII
SOMMARIO
COMUNICAZIONI ORALI
SESSIONE I - AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI
KEY NOTE
AQUACROP. IL NUOVO MODELLO FAO PER LA SIMULAZIONE DELLA RISPOSTA
COLTURALE ALL’ACQUA.
Steduto P.
5
MICORRIZA, UN VALORE AGGIUNTO PER LA PRODUZIONE DI PIANTINE DA
SEME DI CARCIOFO
Campanelli A., Ruta C., Tagarelli A., Morone-Fortunato I.
7
EFFETTI DELLA PACCIAMATURA CON RESIDUI DI PIANTE AROMATICHE SU
LATTUGA (LACTUCA SATIVA L.)
De Falco E., Roscigno G., Salvati S., Zaccardelli M.
9
PROFILI METABOLOMICI DI VARIETÀ ANTICHE E MODERNE DI FRUMENTO
TENERO (TRITICUM AESTIVUM L.)
Dinelli G., Di Silvestro R., Marotti I., Bosi S., Bregola V., Catizone P., Ghiselli L., Whittaker
A., Benedettelli S., Carretero A.S.
11
STRATEGIE DI GESTIONE PER L’ADATTAMENTO AL PASCOLO DI MANZE
MARCHIGIANE
D’Ottavio P., Trombetta F. M., Trobbiani P., Santilocchi R.
13
L’EFFICIENZA D’USO DELLA RADIAZIONE SOLARE NEL SORGO DA BIOMASSA
Garofalo P., Vonella A. V., Ruggieri S., Rinaldi M.
15
VALUTAZIONE DELLA VOCAZIONALITÀ ALLA COLTIVAZIONE DI COLZA IN
PUGLIA MEDIANTE ANALISI GIS-MULTICRITERIALE
Grassano N., Tedone L., Verdini L., De Mastro G.
17
MODELLI COLTURALI INNOVATIVI PER IL CARCIOFO DA INDUSTRIA
Mauro R.P., Lombardo S., Longo A.M.G., Pandino G., Litrico A., Russo A., Mauromicale G.
19
PRODUTTIVITÀ DI CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.) E MISCANTO
(MISCANTHUS X GIGANTEUS GREEF ET DEUTER), COLTURE POLIENNALI
DEDICATE AD USO ENERGETICO: PARTE I – ANALISI DI CRESCITA
Nassi N., Roncucci N., Triana F., Bonari E.
21
PRODUTTIVITÀ DI CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.) E MISCANTO (MISCANTHUS
X GIGANTEUS GREEF ET DEUTER), COLTURE POLIENNALI DEDICATE AD USO
ENERGETICO: PARTE II – MACRONUTRIENTI E QUALITÀ DELLA BIOMASSA
Nassi N., Roncucci N., Triana F., Bonari E.
23
POTENZIALITÀ FORAGGERA DI UNA SELEZIONE DI CARTHAMUS TINCTORIUS L.
VAR. INERMIS SOTTOPOSTA A DIVERSI LIVELLI DI CONCIMAZIONE AZOTATA IN
COPERTURA
Primi R., Danieli P.P., Ronchi B., Ruggeri R., Rossini F., Del Puglia S., Cereti C.F.
25
IX
MINICSS: SOFTWARE PER L’OTTIMIZZAZIONE DELLE STRATEGIE
IRRIGAZIONE E DI CONCIMAZIONE AZOTATA DELLE COLTURE
Rocca A., Danuso F.
DI
27
ARTEMISIA ANNUA L.: AGROTECNICHE PER GLI AMBIENTI A CLIMA CALDOARIDO
Scarcella M., Grassi F., Mastrorilli M.
29
RESE QUANTI-QUALITATIVE DEL FRUMENTO DURO (TRITICUM DURUM DESF.) A
FERTILIZZANTI AZOTATI CONVENZIONALI ED INNOVATIVI
Stagnari F., Speca S., Pisante M.
31
SESSIONE II - AGRONOMIA E AMBIENTE
KEY NOTE
VALUTAZIONE
DELL’EFFICACIA
AMBIENTALE
DELLE
CONDIZIONALITÀ: PRIMI RISULTATI DEL PROGETTO EFFICOND
Bazzoffi P., Zaccarini Bonelli C.
NORME
DI
35
VALUTAZIONE DELLA VOCAZIONE TERRITORIALE ALLA COLTIVAZIONE DI
PIANTE OFFICINALI
Barbaro M., Rocca A., Danuso F.
37
FLUSSI DI ELEMENTI NUTRITIVI IN AZIENDE DA LATTE DEL FONDOVALLE
ALPINO
Bassanino M., Curtaz A., Bassignana M., Grignani C., Sacco D.
39
LA GESTIONE DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA NELL’AGRICOLTURA DI
PRECISIONE. UN ESEMPIO APPLICATIVO NEL MAIS
Casa R., Cavalieri A., Lo Cascio B.
41
CONFRONTO TRA LA QUALITÀ DEL SUOLO IN SRF DI PIOPPO E IN SUOLI NON
COLTIVATI RISPETTO A FRUMENTO INTENSIVO
Di Bene C., Pellegrino E., Tozzini C., Bonari E.
43
EFFETTO DELL’INCENDIO SIMULATO SULLA INTERRUZIONE
DORMIENZA DEL SEME DI LEGUMINOSE ANNUALI
Gresta F., Barrile V., Cristaudo A., Tuttobene R., Litrico A., Abbate V.
45
DELLA
ECOFISIOLOGIA DELLO STRESS SALINO E PRODUZIONI AGRARIE IN AMBIENTE
MEDITERRANEO
Maggio A., De Pascale S., Fagnano M., Barbieri G.
47
INTEGRAZIONE DI INFORMAZIONI METEOCLIMATICHE E TELERILEVATE PER
L’ANALISI DELLA QUALITÀ DEL FRUMENTO DURO IN VAL D’ORCIA
Mancini M., Orlando F., Dalla Marta A., Orlandini S.
49
L’AGRONOMIA VERSO LA GREEN ECONOMY: OTTIMIZZAZIONE DEI PROCESSI DI
FITORISANAMENTO
Marchiol L. e Fellet G.
51
INDICATORI AGRO-AMBIENTALI IN ITALIA: UNA SINTESI DIACRONICA
Salvati L., Venezian Scarascia M. E., Zitti M., Bajocco S., Perini L.
53
X
BILANCIO ENERGETICO DI SISTEMI FORAGGERI NELLA PIANURA IRRIGUA DEL
NORD ITALIA
Tomasoni C., Borrelli L., Brambilla M.
55
SESSIONE III - AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE
KEY NOTE
NEW INTEGRATIVE MODALITIES FOR CONNECTING POLICY MAKERS, FARMERS
AND SCIENTISTS FOR ADAPTIVE FARMING MANAGEMENT IN A CLIMATE
CHANGING WORLD
Colvin J., Seddaiu G., Roggero P.P.
59
LE EMISSIONI DEI GAS SERRA NELLA FASE AGRICOLA DELLA FILIERA DEI
PRODOTTI AGRO-ALIMENTARI: IL CASO DEL VINO NEL DISTRETTO RURALE
DELLA MAREMMA
Bosco S., Galli M., Di Bene C., Remorini D., Massai R., Bonari E.
61
EVOLUZIONE DEL CLIMA E INCERTEZZA DELLE SCELTE SUI SISTEMI
COLTURALI IN UN COMPRENSORIO IRRIGUO DEL NORD SARDEGNA
Cortignani R., Dono G., Doro Luca, Ledda L., Mazzapicchio G., Roggero P.P.
63
I PIANI PASTORALI AZIENDALI A SOSTEGNO DELL’ALPICOLTURA IN PIEMONTE
Lombardi G., Lonati M., Ferrero L., Corgnati M., Gorlier A., Cavallero A.
65
APPROCCIO PARTECIPATIVO PER LO SVILUPPO INTEGRATO E LA GESTIONE
DELLE ZONE MARGINALI IN NORD AFRICA: PROGETTO DIMOSTRATIVO DI
LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE IN MAROCCO E TUNISIA
Mulas M., Bellavite D., Lubino M.,, Belkheiri O., Enne G.
67
POSTER
SESSIONE I - AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI
DIFFERENZE NELLA RESA E NEL CONTENUTO DI GLICOSIDI DELLO STEVIOLO
TRA DIVERSE ACCESSIONI DI STEVIA REBAUDIANA BERT.
Angelini L.G., Tavarini S.
73
QUALITÀ DEI PRODOTTI OTTENUTI DA SPREMITURA MECCANICA DI SEMI DI
JATROPHA CURCAS L. NON TOSSICA
Baldini M., Bulfoni E., Danuso F., Rocca A.
75
GESTIONE DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI
OBIETTIVI TECNOLOGICI DI DIFFERENTI CATEGORIE QUALITATIVE DI
FRUMENTO TENERO
Blandino M., Mancini M.C., Sovrani V., Vaccino P., Caramanico R., Reyneri A.
77
APPORTI DI RESIDUI COLTURALI AL TERRENO NEI SISTEMI FORAGGERI NELLA
PIANURA IRRIGUA DEL NORD ITALIA
Borrelli L., Tomasoni C.
79
EFFETTI DI REFLUI ZOOTECNICI SU SOSTANZA ORGANICA, PH, DENSITÀ
APPARENTE E INFILTRAZIONE DELL’ACQUA NEL SUOLO
Borrelli L., Tomasoni C.
81
XI
LA MICROPROPAGAZIONE DI PHRAGMITES AUSTRALIS (CAV.) TRIN.EX STEUDEL L.
Cavallaro V., Barbera A. C., Pantò S., Tringali S.
83
IMPIEGO DEL POTENZIALE IDRICO DEL FUSTO E DELLA CONDUTTANZA
STOMATICA COME INDICATORI FISIOLOGICI PER L’OTTIMIZZAZIONE DELLA
GESTIONE IRRIGUA IN UVA DA TAVOLA
Ciccarese A., Stellacci A.M, Tarricone L., Rubino P.
85
LA PRODUTTIVITÀ DEL CANNETO (ARUNDO DONAX L.) IN RELAZIONE ALLA
TECNICA DI IMPIANTO
Cosentino S.L., Copani V., Scalici G., Scandurra S.
87
EFFETTI DELLA PACCIAMATURA SULLA PRODUZIONE QUANTITATIVA E
QUALITATIVA DELLA SCAROLA A CICLO INVERNALE
Cozzolino E., Leone V., Piro F.
89
IMPIEGO DI SANSA OLEARIA COMPOSTATA COME AMMENDANTE. EFFETTI SU
COLTURA DI FRUMENTO DURO
Cucci G., Cascarano M.A., Lacolla G.
91
UN TRIENNIO DI PROVE DI VALUTAZIONE DI CULTIVAR DI GIRASOLE ALTO
OLEICO NELLE MARCHE
Del Gatto A., Toscano G., Foppapedretti E., Petrini A., Angelini P., Mangoni L., Pieri S.
93
GESTIONE DELLE INFESTANTI DEL COLZA (BRASSICA NAPUS VAR. OLEIFERA)
IN AMBIENTE MEDITERRANEO: RISULTARI PRELIMINARI.
Deligios P.A., Farci R., Ledda L.
95
PRODUZIONE E CARATTERISTICHE QUALITATIVE DI VARIETÀ DI FAVINO (VICIA
FABA L. VAR. MINOR) IN AMBIENTE MEDITERRANEO
Di Paolo E., Stagnari F.
97
RISPOSTA PRODUTTIVA DI FAVINO (VICIA FABA VAR MINOR L.) SOTTOPOSTO A
REGIMI IRRIGUI E FERTILIZZAZIONE AZOTATA
Di Paolo El. , Mammarella A. , Garofalo Pasquale , Rinaldi Michele
99
DORMIENZA ESTIVA IN POPOLAZIONI SICILIANE DI DACTYLIS GLOMERATA L.
Fontana S.G., Copani V., Lombardo A., Cosentino A. D., Scandurra S.
101
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE MEDIANTE FAFLP DI GERMOPLASMA
SICILIANO DI DACTYLIS GLOMERATA L.
Fontana S.G., Lombardo A., Licciardello G., Copani V.
103
CONSEGUENZE DELL’UTILIZZO DI OLI ESSENZIALI NELLA COLTIVAZIONE DI
ORIGANO
Frabboni L., Cristella F., De Simone G, Tomaiuolo A., Russo V.
105
LEGUMINOSE DA PASCOLO DI SECONDA GENERAZIONE: UNA OPPORTUNITÀ
PER I SISTEMI FORAGGERO-ZOOTECNICI MEDITERRANEI?
Franca A., Porqueddu C., Re G. A., Sulas L.
107
ASPETTI PRODUTTIVI DEL GIRASOLE DA BIOMASSA IN PROVINCIA DI FOGGIA
Gatta G., Soldo P., lo Storto M. C., Tarantino E.
109
XII
ESPERIENZE DI PROPAGAZIONE DELLA CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.)
PER TALEA DI FUSTO IN PIENO CAMPO
Gherbin P., Giampaoli A., Bimbatti M., De Franchi A. S., Rivelli A. R.
111
ESPERIENZE DI PROPAGAZIONE DELLA CANNA COMUNE (ARUNDO DONAX L.)
PER TALEA DI FUSTO IN AMBIENTE PROTETTO
Gherbin P., Giampaoli A., Bimbatti M., De Franchi A. S., Rivelli A. R.
113
TECNICHE DI RISPARMIO IDRICO NELLA COLTIVAZIONE DEL POMODORO DA
INDUSTRIA
Giuliani M. M., Nardella E., De Caro A.
115
COLZA E BRASSICACEAE MINORI NEGLI AMBIENTI MERIDIONALI: POTENZIALITÀ
PRODUTTIVE ED EFFETTI NEMATOCIDI
Grassi F., Scarcella M., Campi P., Palumbo A.D., Argentieri M.P.
117
VALUTAZIONE DI VARIETÀ AUSTRALIANE
AUTORISEMINANTI
Gresta F., Tuttobene R., Sortino O., Abbate V.
119
DI
LEGUMINOSE
ANNUALI
EFFETTI DEI CONCIMI ORGANO-MINERALI SULLE CARATTERISTICHE DELLA
PRODUZIONE DELLA PATATA IN CICLO ESTIVO-AUTUNNALE
Ierna A., Melilli M.G., Scandurra S.
121
PRIMI RISULTATI SULLA RISPOSTA PRODUTTIVA DELLA PATATA PRECOCE
ALLA COLTIVAZIONE IN REGIME BIOLOGICO
Ierna A., Parisi B., Scandurra S.
123
EFFETTI DELLA FRIGO-CONSERVAZIONE SUL
ASCORBICO DEI TUBERI DI PATATA PRIMATICCIA
Ierna A., Melilli M.G., Scandurra S.
125
CONTENUTO
IN
ACIDO
FERTILIZZANTI ORGANICI IN SPECIE ORTICOLE: EFFETTI SULLA PRODUZIONE E
SULLA SOSTANZA ORGANICA DEL SUOLO
Leogrande R., Lopedota O., Montemurro F., Scazzarriello R., Mastrangelo M.
127
CARATTERISTICHE QUALITATIVE DI CULTIVAR DA TAPPETO ERBOSO DI
LOLIUM PERENNE NEL PERIODO ESTIVO DELL’ANNO DI SEMINA
Macolino S., Barolo E., Rimi F.
129
EFFETTI DELLA PACCIAMATURA SU POMODORO IRRIGATO CON ACQUE
SALMASTRE IN AMBIENTE PROTETTO
Marchese M., Tuttobene R., Restuccia A., Litrico A, Mauromicale G., Restuccia G.
131
NUOVI CLONI DI VIOLETTO DI SICILIA PER IL MIGLIORAMENTO DELLA
CINARICOLTURA MERIDIONALE
Mauro R. P., Lombardo S., Longo A. M.G., Pandino G., Lo Monaco A., Russo A., Mauromicale G.
133
VALUTAZIONE DELLE CARATTERISTICHE REOLOGICHE DI IMPASTI DI GRANO
DURO ADDIZIONATI CON INULINA DI DIVERSA ORIGINE
Melilli M. G., Doust M. Alì, Raciti C. N., Raccuia S. A., Lombardo G. M.
135
ADOZIONE DI TECNICHE AGRONOMICHE PREPARATORIE,LAVORAZIONE
SUPERFICIALE E IRRIGAZIONE, PER FAVORIRE I PROCESSI NATURALI DI
XIII
RICOLONIZZAZIONE DELLA SPECIE RARA MACARTHURIA KEIGHERYI
Messina G., Barbera A. C., Deanna R., Mancuso S., Dixon K.
137
INFLUENZA DI DIFFERENTI INPUT ENERGETICI SULLA PRODUZIONE DI SORGO
DA BIOMASSA IN CAMPANIA
Mori M., Ottaiano L., Fagnano M., Di Mola I.
1339
COMPORTAMENTO AGRONOMICO DI ECOTIPI DI MELANZANA E SCAROLA SU
TERRENO TRATTATO DA TRE ANNI CON COMPOST DA FORSU
Morra L., Pizzolongo G., Zaccardelli M., Mascolo M.
141
DINAMICA DEL C E DELL’N TOTALE DEL SUOLO IN DUE SISTEMI COLTURALI
ORTICOLI FERTILIZZATI DA TRE ANNI CON COMPOST
Morra L., Pizzolongo G., Zaccardelli M., Mascolo M.
143
EFFETTI DELL’AMMENDAMENTO CON COMPOST DA SANSA E DA FORSU SULLO
SVILUPPO E LA PRODUZIONE DI CAVOLFIORE E PATATA IN SUCCESSIONE
Morra L., Pentangelo A., Raimo Francesco, Gaetano Pizzolongo, Maurizio Bilotto
145
GESTIONE DELLA FERTILIZZAZIONE E PRODUTTIVITÀ DEL GUADO (ISATIS
TINCTORIA L.) NELLA COLLINA MARCHIGIANA
Orsini R., Seddaiu G., Perugini M., Iezzi G., Bianchelli M., Serrani L., Santilocchi R.
147
MODELLIZZAZIONE DELLA GERMINAZIONE DEI SEMI DI SORGO ZUCCHERINO
(CV. KELLER) IN CONDIZIONI DI STRESS IDRICO ATTRAVERSO LA HYDROTIME
ANALYSIS
Patanè C., Saita A.
149
EFFICIENZA TRASPIRATIVA IN POPOLAZIONI DI POMODORO DA SERBO
REPERITE NEL MERIDIONE D’ITALIA
Patanè C., La Rosa S., Minardo M., Scandurra S., Sortino O.
151
EFFETTO RESIDUO DELL’AMMENDAMENTO DEL TERRENO CON COMPOST DA
SANSA E DA FORSU SUL COMPORTAMENTO FISIOLOGICO, PRODUTTIVO E
QUALITATIVO DELLA PATATA COMUNE
Pentangelo A., Raimo F., Pizzolongo G., Bilotto M., Morra L.
153
IRRIGAZIONE IN DEFICIT SU AMARANTHUS SP.
Pulvento C., Riccardi M., Lavini A., d’Andria R.
155
VALUTAZIONE BIOAGRONOMICA E RESA IN SEME IN CAMELINA SATIVA (L.)
CRANTZ. E BRASSICA SPP.
Raccuia S.A., Scandurra S., G. Melilli M.
157
VALUTAZIONE BIOAGRONOMICA DI POPOLAZIONI DI LENTICCHIA COLTIVATE
NELLA COLLINA INTERNA SICILIANA
Raccuia S.A., Melilli M.G., Scandurra S.
159
DIABROTICA DEL MAIS: RUOLO DELLA TECNICA COLTURALE PER IL
CONTENIMENTO DEI DANNI
Reyneri A., Blandino M., Amato F., Testa G.
161
RISPOSTA QUANTITATIVA DELL’OLIVO ALLA DISPONIBILITÀ IDRICA
Riccardi M., De Lorenzi F., Menenti M.
163
XIV
RISPOSTA VEGETO-PRODUTTIVA DI CHENOPODIUM QUINOA
SOTTOPOSTA A REGIME IRRIGUO DEFICITARIO
Riccardi M., Pulvento C., Lavini A., Calandrelli D., Romano G., Balsamo A.
WILLD.
165
PRODUZIONE DI GIALLO CARTAMO IN UNA SELEZIONE DI CARTHAMUS
TINCTORIUS L. VAR. INERMIS NEL CENTRO ITALIA
Ruggeri R., Rossini F., Del Puglia S., Cereti C.F.
167
VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ FITOESTRATTIVA DI CARTHAMUS TINCTORIUS
L. ALLEVATO IN VASO
Ruta C., Brunetti G., Cassano D., De Mastro G., Morone-Fortunato I.
169
POTENZIALITÀ PRODUTTIVA DI GENOTIPI DI SORGO DA BIOMASSA IN
AMBIENTE CALDO ARIDO MEDITERRANEO
Saita A.A., Scalici G., Cosentino S. L., Guarnaccia P.
171
VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ GERMINATIVA DEI SEMI DI GALATELLA
LINOSYRIS (L.) RCHB. F. SUBSP. LINOSYRIS
Scarici E., Rossini F.
173
EFFETTI DELLA RIDUZIONE DEGLI INPUT COLTURALI NELLA COLTURA DI
CAMELINA SATIVA IN AMBIENTE MEDITERRANEO
Sortino O., Dipasquale M., Cosentino S.L., Boncoraglio R.
175
RISPOSTA ALLA RIDUZIONE DEGLI INPUT COLTURALI IN RICINUS COMMUNIS IN
COLTURA POLIENNALE PER LA PRODUZIONE DI OLIO IN SICILIA
Sortino O., Cosentino S.L., Dipasquale M., Doz M., Di Lella E.
177
EFFETTI DELLA POTATURA SULLE PRODUZIONI DI RICINUS COMMUNIS
ALLEVATO IN COLTURA POLIENNALE NELLA SICILIA SUD- ORIENTALE
Sortino O., Dipasquale M., Daparo L., Criscione M.A.
179
VARIAZIONE DELLA CARATTERISTICHE QUALITATIVE DELLA CAMELINA SATIVA
IN FUNZIONE DELL’EPOCA DI RACCOLTA
Tedone L., Bruno C., L. Verdini, N. Grassano, De Mastro G.
181
STATO NUTRIZIONALE DEL FRUMENTO IN RISPOSTA ALLA CONCIMAZIONE
ORGANICA E ALLA CONSOCIAZIONE TEMPORANEA
Tosti G., Graziani F., Pace R., Guiducci M.
183
INFLUENZA DELL’EPOCA DI TRAPIANTO SULL’AMBIENTAMENTO DI PIANTINE
MICROPROPAGATE DI ARUNDO DONAX (L.) IN APPRESTAMENTI DIVERSI DI
PROTEZIONE
Tringali S., Cavallaro V., Patanè C., La Rosa S., Scandurra S.
185
EFFETTI DELLA CONCIMAZIONE FOSFO-AZOTATA SULLA PRODUTTIVITÀ DEL
CECE NELL’ITALIA MERIDIONALE
Troccoli C., Leoni B.
187
SESSIONE II - AGRONOMIA E AMBIENTE
EFFETTO DELLA DENSITÀ DI SEMINA SULLA FITOSTABILIZZAZIONE DI METALLI
PESANTI IN RADICI FITTONANTI DI COLZA
Bandiera M., Mosca G., Vamerali T.
193
XV
DINAMICHE DI MINERALIZZAZIONE DEL C E DELL’N DOPO RIPETUTE
APPLICAZIONI DI LIQUAME: RISULTATI PRELIMINARI
Cavalli D., Marino P., Occhi S., Bechini L.
195
CONCIMAZIONE DEL SORGO DA BIOMASSA CON COMPOSTA DA FRAZIONE
ORGANICA DI RIFIUTI SOLIDI URBANI
Cozzolino E., Leone V., Piro F.
197
RESA DEL TABACCO KENTUCKY CONCIMATO CON COMPOSTA DI RIFIUTI URBANI
Cozzolino E., Leone V., Piro F.
199
SEQUESTRO POTENZIALE DI CARBONIO IN SISTEMI COLTURALI CEREALICOLI
DELLA COLLINA MARCHIGIANA
De Sanctis G. , Seddaiu G., Iezzi G., Toderi M., Orsini R., Perugini M., Roggero P.P.
201
RISPOSTA PRODUTTIVA ED ECOFISIOLOGICA ALL’AMBIENTE DI COLTIVAZIONE
DELLA MALVA SYLVESTRIS L.
Delfine S., Pinelli P., Marcellino G.
203
IL SEGNALE CLIMATICO SULLE PRODUZIONI: INTERRELAZIONI TRA STRATEGIE
IRRIGUE E RISPOSTE DELLE CULTIVARS
De Lorenzi F., Bonfante A., Tomozeiu R., Patanè C., Villani G., Basile A., Tomei F., Menenti M.
205
PRODUZIONE DELL’ARUNDO DONAX IN AMBIENTE COLLINARE MERIDIONALE
Fagnano M., Impagliazzo A., Mori M., Fiorentino N.
207
EFFETTO DELLA SALINITÀ SU MATRICARIA CHAMOMILLA L.
Frabboni L., Libutti A., Tomaiuolo A., Disciglio G., Cristella F., Tarantino E.
209
PRODUTTIVITÀ A LIVELLO FOGLIARE
DIFFERENTI REGIMI IRRIGUI E CARBONICI
Garofalo P., Rinaldi M.
DEL
GIRASOLE
SOTTOPOSTO
A
211
VALUTAZIONE DELL’EFFETTO DEL DEFICIT IDRICO SULLA COMPOSIZIONE DELLE
PROTEINE DI RISERVA DEL FRUMENTO DURO MEDIANTE UN APPROCCIO
PROTEOMICO
Giuliani M. M., Pompa M., Giuzio L., De Santis M., Mentana A., Palermo C., Centonze D.,
Flagella Z.
213
INFLUENZA DELLA TEMPERATURA E DEL CONTENUTO IDRICO DEL TERRENO
SUL TASSO DI EMISSIONE DI CO2
Guarnaccia P., Testa G., Scalici G.i, Cosentino S. L.
215
L’APPROCCIO “FARMING SYSTEM” E STATISTICO PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE
AREE AGRICOLE AD ALTO VALORE NATURALISTICO (HNVF): IL CASO DI STUDIO
DELLA TOSCANA
Lazzerini G., Vazzana C.
217
GESTIONE IRRIGUA DELLE ACQUE SALMASTRE E VALUTAZIONE DEL RISCHIO
DI SALINITÀ
Libutti A., Monteleone M.
219
DESALINIZZAZIONE DI UN SUOLO
DINAMICA LUNGO IL PROFILO
XVI
MEDIANTE
LISCIVIAZIONE:
ANALISI
Libutti A., Monteleone M.
221
EFFETTI DELL’IRRIGAZIONE CON ACQUE REFLUE URBANE DEPURATE E
CLORATE SU COLTURA DI LATTUGA E SUL SUOLO
Lonigro A., Rubino P.
223
IMPATTO DI COLTURE AGRI-ENERGETICHE SULLA BIODIVERSITÀ EDAFICA
Menta C., Baldino P., F. D. Conti, A. Leoni
225
INFLUENZA
DELLA
FRIGOCONSERVAZIONE
SUL
CONTENUTO
DI
ANTIOSSIDANTI NEL CAPOLINO DI CARCIOFO (CYNARA CARDUNCULUS L SUBSP.
SCOLYMUS (L) HEGI)
Melilli M. G., Raccuia S. A.
227
PRODUTTIVITÀ DELL’ACQUA E KY (YIELD RESPONSE FACTOR) NEL POMODORO
DA INDUSTRIA COLTIVATO IN AMBIENTE CALDO-ARIDO
Patanè C., La Rosa S., Tringali S.
229
SCREENING DI GENOTIPI DI SORGO DA BIOMASSA [SORGHUM BICOLOR (L.)
MOENCH] PER REQUISITI TERMICI IN FASE DI GERMINAZIONE
Patanè C., Saita A.
231
VARIABILITÀ FUNZIONALE DI ISOLATI FUNGINI MICORRIZICI ARBUSCOLARI
ESOTICI E NATIVI INOCULATI IN CAMPO SU MEDICAGO SATIVA
Pellegrino E., Bonar E., Giovannetti M.
233
AGRICOLTURA E LAND DEGRADATION: LUCI ED OMBRE
Perini L., Venezian Scarascia M. E., Salvati L.
235
EFFETTO DEI TRATTAMENTI A BASE DI AUXINE DELLE TALEE AI FINI DELLA
PROPAGAZIONE CLONALE DI JATROPHA CURCAS L.: RISULTATI PRELIMINARI
Raccuia S., A., Scandurra S., Melilli M., G.
237
CURVE DI RISPOSTA ALLA LUCE IN RELAZIONE ALLA SALINITÀ DELLE ACQUE
DI IRRIGAZIONE, ALL’ETÀ ED ALLA TEMPERATURA DELLA FOGLIA IN UNA
COLTURA DI MELONE NELL’OASI DI MINQIN N-O DELLA CINA
Riggi E., Avola G.
239
EFFETTI DELL’IRRIGAZIONE CON DIFFERENTI CONCENTRAZIONI SALINE
SULL’ASSIMILAZIONE NETTA DEL MELONE COLTIVATO IN AREA PREDESERTICA DEL NORD –OVEST DELLA CINA
Riggi E., Li Zong, Avola G., Tedeschi A.
241
SUSCETTIBILITÀ ALLA ‘MACCHIA PRIMAVERILE DEL CYNODON’ DI CULTIVAR
DI CYNODON DACTYLON DA TAPPETO ERBOSO
Rimi F., Macolino S., Ziliotto U.
243
VALUTAZIONE DEL RECUPERO DI RESIDUI DI PIANTE COLTIVATE PER LA
ESTRAZIONE DI OLI ESSENZIALI
Roscigno G., Salvati S., Perrone D., De Falco E.
245
COMPARAZIONE DEI POLISACCARIDI STRUTTURALI IN TRE COLTURE ERBACEELIGNOCELLULOSICHE POLIENNALI
Scordia D., Testa G.,, Cosentino S., L., Virgillito S.
247
XVII
EFFETTO DEI TRATTAMENTI DI CONDIZIONAMENTO SULLA PRESENZA DI SALI
SULLA FASCIA DEL SIGARO
Sifola M. I., Di Giacomo M., Minissi S.
249
QUALITÀ SALUTISTICA DEL FRUMENTO DURO VALUTATA MEDIANTE
DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITA’ ANTIOSSIDANTE
Tozzi D., Pompa M., Di Benedetto N., Prencipe M., Lo Storto M., Giuliani M. M., Nardella E.,
De Santis M., Giuzio L., Flagella Z.
251
GESTIONE DELLE STOPPIE E DEI RESIDUI COLTURALI SULLA FERTILITÀ DEL
SUOLO IN UNA MONOSUCESSIONE DI FRUMENTO
Ventrella D., Fiore A., Mastrangelo M., Vonella A. V., Francesco F., Donato F.
253
SESSIONE III - AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE
ANALISI DEI CARATTERI DEL PAESAGGIO CLASSIFICAZIONE TERRITORIALE
Cammerino A.R.B., Piacquadio L., Monteleone M.
257
IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI AREE AGRICOLE AD ELEVATO
VALORE NATURALISTICO IN TERRITORIO PRE-APPENNINICO
Cammerino A.R.B., Piacquadio L., Monteleone M.
259
VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DELLA DIRETTIVA NITRATI IN UNA AZIENDA
ZOOTECNICA DELLA PIANURA FRIULANA
Ceccon P., Muzzolini V.
261
AGRONOMIA TERRITORIALE, FUNZIONI AGRO-AMBIENTALI E POLITICHE DI
SVILUPPO: ALCUNE EVIDENZE IN RECENTI ESPERIENZE DI RICERCA
Galli M., Debolini M., Marraccini E., Bonari E.
263
EROSIONE DEL SUOLO E INQUINAMENTO DA NITRATI: VALUTAZIONE
INTEGRATA E PARTECIPATIVA DELLE MISURE AGRO-AMBIENTALI
Perugini M., Toderi M., Seddaiu G., Orsini R., De Sanctis G., Roggero P.P.
265
UN NUOVO PARADIGMA PER LE “BUONE PRATICHE” DI LOTTA ALLA
DESERTIFICAZIONE IN ITALIA
Seddaiu G., Solinas S., Pisanu P., Roggero P.P.
267
DEGRADO DEL TERRITORIO E MULTIFUNZIONALITÀ DELL’AGRICOLTURA: UN
FUTURO PER GLI ECOSISTEMI AGRO-FORESTALI
Venezian Scarascia M. E., Sabbi A., Luigi P., Salvati L.
269
XVIII
COMUNICAZIONI ORALI
SESSIONE I – AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Key note
AquaCrop. Il Nuovo Modello FAO per la Simulazione della
Risposta Colturale all’Acqua
Pasquale Steduto
Land and Water Division, Food and Agricultural Organization of the United Nations (FAO), Roma, IT,
[email protected]
Introduzione
L’Organizzazione per l’Agricoltura e l’Alimentazione delle Nazioni Unite (FAO) ha condotto una
valutazione sui modelli colturali esistenti poiché interessata a sviluppare uno strumento pratico della
risposta colturale all’acqua. Molti dei modelli esistenti si presentano particolarmente complessi, sofisticati,
ed esigenti dal punto di vista delle variabili e parametri di input. Modelli con queste prerogative mal si
prestano per utenti finali a cui la FAO solitamente si rivolge, quali personale dei servizi di assistenza
tecnica, associazioni di agricoltori o di gestori di reti irrigue, ingegneri e tecnici dell’irrigazione, consulenti
e gestori aziendali, economisti del settore agricolo e agronomi. La FAO ha quindi sviluppato un modello
di risposta colturale all’acqua, chiamato AquaCrop, nel tentativo di ottenere un prodotto di facile utilizzo,
che ben si prestasse agli utenti di interesse dell’Organizzazione, e che fosse ben ottimizzato nel conciliare
le esigenze di accuratezza, semplicitá e robustezza. In questo articolo viene riportato il framework
concettuale di AquaCrop con le sue componenti essenziali.
Metodologia
Lo sviluppo del modello AquaCrop ha percorso diverse fasi: la sua progettazione concettuale,
l’implementazione in un prodotto software, le varie verifiche di funzionamento, le calibrazioni e
validazioni in diversi ambienti e per diverse colture, i miglioramenti degli algoritmi iniziali, e lo
sviluppo di un’interfaccia utente semplice ed intuitiva. Il modello è costituito da quattro moduli: il
clima, il suolo, la coltura e la gestione aziendale. Il clima ha cinque variabili di input: temperatura
atmosferica massima e minima, la pioggia, la domanda evaporativa dell’atmosfera (ETo), e la
concentrazione media annuale dell’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera. Il suolo viene configurato
dall’utente indicando fino ad un massimo di cinque orizzonti di profonditá variabile, ognuno con la
propria tessitura. Le caratteristiche idrauliche per ogni orizzonte sono rappresentate dai limiti superiore
e inferiori di ritenzione idrica, da un coefficiente di drenaggio e dalla conducibilitá idrica in condizioni
di saturazione. La coltura è rappresentata attraverso la sua fenologia, l’accrescimento del manto
vegetale (espresso dalla percentuale di copertura vegetale del suolo), l’approfondimento radicale,
l’accumulo di biomassa, l’indice di raccolta (o harvest index) e la produzione finale. Nel profilo di suolo
esplorato dalle radici, il modello calcola il bilancio idrico (e dei sali). AquaCrop separa l’evaporazione
del suolo dalla traspirazione e simula l’accumulo di biomassa nel tempo in funzione dell’acqua
traspirata, utilizzando il parametro della ‘produttivitá idrica’ (WP). Eventuali stress idrici durante il ciclo
colturale vanno ad influenzare quattro espressioni fisiologiche fondamentali della pianta: il tasso di
espansione del manto vegetale, la conduttanza stomatica, l’accelerazione della senescenza e la
variazione dell’indice di raccolta. La gestione aziendale è espressa attraverso il controllo della
pacciamatura, possibili rotazioni e tagli delle foraggiere, del livello di fertilitá e dell’irrigazione. Il
diagramma schematico dei moduli di AquaCrop è riportato in Fig. 1 (vedere Steduto et al., 2009 e Raes
et al., 2009).
Il modello AquaCrop è stato calibrato e validato per mais, orzo, grano, cotone, patata, riso, soia,
barbabietola da zucchero, canna da zucchero, girasole, pomodoro (sia da mensa che da industria),
bambara, quinoa e tef. Ulteriori calibrazioni per altre colture (es., miglio, sorgo, etc.) sono in corso di
completamento. I dati sperimentali per le calibrazioni e validazioni provengono da istituzioni
accademiche, di ricerca e dagli istituti del Consultative Group on International Agricultural Research
(CGIAR), con un ampio spettro di ambienti pedo-climatici in varie regioni del mondo.
5
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Figura 1. Diagramma schematico del modello AquaCrop con le componenti principali del continuo suolo-piantaatmosfera. Le linee continue rappresentano il legame diretto tra variabile e processo; le linee tratteggiate rappresentano
funzioni di feedback [Simboli: I=irrigazione, Tn=temperatura minima, Tx=temperatura massima, ETo= evapotraspirazione
di riferimento; E=evaporazione dal suolo, Tr= traspirazione del manto vegetale, gs=conduttanza stomatica, WP= parametro
di produttivitá idrica, HI=indice di raccolta, (1), (2), (3) e (4), funzioni di risposta allo stress idrico].
Risultati
Durante gli ultimi
due
anni,
AquaCrop
ha
avuto
una
performance piú
che soddisfacente
raggiungendo
scarti tra simulato
e misurato della
produzione finale
di varie colture
erbacee
mediamente
contenuto tra il 5 e
il 15%. Risultati
giá
pubblicati
riguardano il mais
(Hsiao et al.,
2009) il cotone
(Farahani et al.,
2009), il girasole e
in confronto con
altri
modelli
(Todorovic et al., 2009) e molte altre colture.
Conclusioni
Le caratteristiche principali che distinguono AquaCrop dagli altri modelli colturali sono rappresentate
dall’enfasi della risposta colturale all’acqua, dal numero relativamente ridotto di parametri e variabili di
input, dall’uso del parametro di ‘produttivitá idrica’ (WP) normalizzato per ETo e per la CO2
conferendo cosí al modello una grande versatilitá nell’essere estrapolato in diversi ambienti, stagioni e
climi. Il modello mantiene un equilibrio ottimale tra accuratezza, semplicitá e robustezza, e puó essere
utilizzato come strumento di pianificazione o di gestione. Un’applicazione importante di AquaCrop è
rappresentata dall’analisi comparata tra produttivitá ottenibile e attuale che permette di identificare le
cause dell’eventuale differenza tra le due produttivitá. Inoltre, il modello si presta molto bene per studi
prospettici quali l’impatto del cambio climatico sulla produttivitá colturale.
Bibliografia
Farahani H.J. et al. 2009. Parameterization and evaluation of AquaCrop for full and deficit irrigated cotton. Agron. J. 101,
469–476.
Hsiao, T.C. et al. 2009. AquaCrop—Model parameterization and testing for maize. Agron. J. 101:448–459.
Raes, D. et al. 2009. AquaCrop—The FAO crop model for predicting yield response to water: II. Main algorithms and soft
ware description. Agron. J., 101: 438–447.
Steduto P. et al. 2009. AquaCrop—The FAO Crop Model to Simulate Yield Response to Water: I. Concepts and
Underlying Principles. Agron. J., 101: 426–437.
6
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Micorriza, un Valore Aggiunto per la Produzione di Piantine
da Seme di Carciofo
Angela Campanelli, Claudia Ruta, Anna Tagarelli, Irene Morone-Fortunato
Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria, Univ. Bari, IT, [email protected]
Introduzione
In diverse specie la micorrizazione, effettuata in fase di semina in vivaio, può influire positivamente
sull'accrescimento dei semenzali. L'effetto della micorrizazione determina in vivaio un incremento dei ritmi di
accrescimento delle piantine, migliora gli stress da trapianto, la tolleranza a stress biotici o abiotici, e ottimizza
le produzioni. L'elevata qualità rappresenta un fondamentale aspetto per la produzione vivaistica e costituisce
un presupposto imprescindibile ai fini della certificazione varietale, dell'ottenimento di elevate produzioni
ecocompatibili. L’esperimento ha riguardato la micorrizazione di 3 ibridi di carciofo: Opal F1, Madrigal F1,
Concerto F1.
Metodologia
Acheni di tre ibridi di carciofo (Concerto F1, Opal F1, Madrigal F1), commercializzati da Nunhems,
sono stati utilizzati per la produzione di semenzali in vivo. Per ciascun ibrido, 50 acheni pregerminati
sono stati collocati in vasetti di plastica (v = 200 cm3), trapiantati dopo 30 giorni in vasi di maggior
capacità (v = 3 dm3) e allevati in serra (T: 5-20° C, UR: 30-60%). Il substrato colturale è costituito da
una miscela commerciale di torba (carbonio organico 46%, azoto organico 1-2%, sostanza organica
80%) addizionata con perlite (2:1 v/v) inoculato o meno con micorriza arbuscolare (Glomus viscosum).
Dopo 90 giorni di crescita in serra, a simbiosi instaurata, le piante sono state sottoposte a rilievi dei
parametri morfometrici, simbiontici e fisiologici. I parametri di crescita rilevati sono il numero e la
lunghezza delle foglie, l’area fogliare (LAI), il peso fresco e secco di foglie e radici e la densità radicale.
Per i parametri simbiontici si è determinata l’infezione micorrizica e la dipendenza micorrizica.
L’influenza della micorriza sulla fisiologia della pianta è stata valutata tramite la conduttanza stomatica
(leaf porometer), lo stato idrico fogliare (contenuto idrico fogliare), i valori di SPAD (Spad502,
Minolta) e il contenuto finale in clorofilla (Spettrofotometro).
Risultati
Tutte le piante micorrizate hanno mostrato un incremento di crescita, per ciascuno dei parametri
morfologici osservati (Tab. 1), se confrontate con le piante controllo. La stima della frequenza della
micorriza nell’apparato radicale dei tre ibridi evidenzia che l’ibrido Madrigal presenta una maggiore
percentuale di infezione (82%) e una maggiore dipendenza micorrizica (31%) se confrontato con Opal
(69%, 23%) e con Concerto (58%, 15%). I risultati, concordemente a quanto riportato in letteratura
(Auge e Duan, 1991), evidenziano che le piante micorrizate presentano una maggiore conduttanza
stomatica che, favorendo una più rapida utilizzazione dell’acqua dal substrato colturale, determina un
contenuto idrico più elevato rispetto alle piante non micorrizate. L’inoculazione micorrizica migliora
anche il contenuto in clorofilla delle foglie e questo dato è correlato positivamente con i valori di SPAD
che sono più elevati rispetto al controllo non inoculato (Tab. 2).
Tabella 1. Confronto dei parametri morfologici in ibridi di carciofo micorrizati e non a 90 giorni dall’inoculazione con
Glomus viscosum
Ibridi
Opal
Trattamento
Controllo
Foglie Lunghezza
Foglie
(n)
(cm)
P
fresco
foglie
(g)
P
secco
foglie
(g)
P fresco
radice
P secco
radice
Densità
radicale
LAI
(g)
(g)
(cm/cm3)
(cm2)
7.5 b 44.7 b
44.8 b
6.7 b
33.3 b
8.6 a
1.6 b
582.9 b
7
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
AM
fungus
Madriga
l
controllo
AM
fungus
Concerto controllo
AM
fungus
8.3 a 49.6 a
51.5 a
8.3 a
48.3 a
11.5 b
2.2 a
706.2 b
6.3 b 42.3 b
39.9 b
4.0 b
24.2 b
5.5 b
1.6 b
396.1 b
7.1 a 47.9 b
58.4 a
6.5 a
30.6 a
7.3 a
1.8 a
521.9 a
5.6 b 38.7 b
36.8 b
3.6 b
18.7 b
4.3 b
1.3 b
366.1 b
6.2 a 40.0 a
43.6 a
4.1 a
22.8 a
5.2 a
1.5 a
402.1 a
Il confronto statistico (test NSK) è stato effettuato considerando i trattamenti per ciascun ibrido.
Tabella 2. Confronto dei parametri fisiologici in ibridi di carciofo micorrizati e non a 90 giorni dall’inoculazione con
Glomus viscosum
Ibridi
Opal
Madrigal
Concerto
Trattamento
SPAD
Clorofilla totale
RWC
g kg-1
%
Conduttanza
stomatica
mol m-2 s-1
controllo
45.6 b
2.4 b
82.2 b
396.0 b
AM fungus
50.5 a
2.6 a
87.7 a
426.5 a
controllo
48.4 b
2.4 b
80.3 b
396.0 b
AM fungus
51.6 a
2.8 a
86.2 a
424.5 a
controllo
40.2 a
2.3 a
79.6 b
382.4 a
AM fungus
41.1 a
2.4 a
85.1 a
406.0 b
Il confronto statistico (test NSK) è stato effettuato considerando i trattamenti per ciascun ibrido.
Conclusioni
I risultati evidenziano un’influenza dell’inoculazione micorrizica sulla fisiologia delle piante ospiti
che condiziona positivamente l’accrescimento, il vigore e la qualità delle piantine di ibridi di
carciofo.
Bibliografia
Auge R.M., Duan X., 1991. Mycorrhizal Fungi and nonhydraulic root signals of soil drying. Plant Physiol. 97, 821824.
8
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti della Pacciamatura con Residui di Piante Aromatiche
su Lattuga (Lactuca sativa L.)
Enrica De Falco1, Graziana Roscigno1, Samantha Salvati1, Massimo Zaccardelli2
1
Dip. Scienze Farmaceutiche, Università degli Studi di Salerno, IT, [email protected]
2
CRA – ORT, Sede di Battipaglia. (SA), IT, [email protected]
Introduzione
I metaboliti secondari stanno assumendo grande importanza anche in settori nuovi di interesse come
quello alimentare ed agroindustriale. Lo studio degli oli essenziali per impieghi nel settore agricolo sta
interessando numerosi ricercatori che hanno messo in evidenza l’elevata attività allelopatica di questi
metaboliti (Arminante et al., 2006; De Martino et al., 2010) e le potenzialità d’uso nel controllo di
parassiti delle piante (Zaccardelli et al., 2007) o di alcuni processi microbiologici che avvengono nel
suolo (Kiran e Patra, 2003). Tuttavia i risultati non sono del tutto chiari ed esaustivi e non sono stati
approfonditi gli effetti sul comportamento delle piante coltivate. Una ricerca condotta adottando
differenti pacciamature organiche ha evidenziato una minore produzione di biomassa ma una resa in
olio essenziale più elevata su rosmarino coltivato con residui trinciati della pianta stessa (De Falco et al.
2006). Obbiettivo della presente ricerca è stato quello di valutare gli effetti dell’aggiunta di materiale
pacciamante derivante da piante aromatiche ed aventi un differente contenuto in olio essenziale su
piantine di lattuga.
Metodologia
La prova è stata condotta nella primavera del 2010 presso il CRA–ORT di Battipaglia, mettendo a
confronto i residui del confezionamento per la GDO di due piante aromatiche (salvia e rosmarino)
prelevati in un’azienda della Piana del Sele (SA) che coltiva secondo le normative dell’agricoltura
biologica. Porzione del materiale reperito di entrambe le specie è stato sottoposto a distillazione
utilizzando un estrattore semi-industriale, modello “Spring”, della capacità di 12 litri (Alibrigi) per
l’allontanamento dell’olio essenziale. Sia il materiale sottoposto ad estrazione dell’olio sia quello tal
quale sono stati essiccati in stufa e macinati ed utilizzati come materiale pacciamante in vasi (ø 17) dove
erano state trapiantate piantine di lattuga Canasta su un substrato di crescita rappresentato da terreno
agrario sabbioso limoso con sabbia di fiume. Pertanto sono stati posti a confronto 4 trattamenti
rappresentati da materiale pacciamante di salvia e rosmarino tal quale e senza olio essenziale oltre al
controllo non pacciamato con 6 ripetizioni per ogni trattamento con una pianta per ciascun vaso. La
prova è stata condotta in ambiente controllato (14h/10h rapporto illuminazione/buio e 25°C/18°C
temperature giorno/notte). L’irrigazione è stata effettuata mediante impianto localizzato mantenendo le
piantine in condizioni ottimali di umidità. La prova è durata 7 settimane durante le quali è stato
monitorato l’accrescimento mediante il rilievo del numero di foglie e dell’altezza di vegetazione; al
termine sono stati determinati per ciascuna pianta la biomassa epigea ed ipogea, la sostanza secca, l’area
fogliare, la lunghezza e la larghezza delle foglie, la lunghezza e diametro del fittone. Infine campioni del
materiale vegetale da cui era stato estratto l’olio sono stati sottoposti a nuova distillazione mediante
apparecchio di Clevenger (Farmacopea Europea) per verificare la presenza di eventuali residui e per
tutti i campioni di olio essenziale è stata effettuata la caratterizzazione fitochimica mediante GC e GCMS.
Risultati
Il contenuto in olio essenziale determinato con estrattore semi-industriale sui residui di salvia e
rosmarino è stato di 0.22% e 0.33% su peso fresco rispettivamente per salvia e rosmarino; tuttavia
l’estrazione successiva con apparecchio di Clevenger ha evidenziato che vi era una quantità di olio
residuo pari a 0.12% e 0.08% rispettivamente per ciascuna specie. I rilievi effettuati durante la crescita
delle piante (tabella 1) hanno messo in evidenza differenze nel numero di foglie a partire dalla terza
settimana; i valori maggiori sono stati rilevati per il controllo e la tesi pacciamata con salvia senza olio
9
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
per la quale, al termine dei rilievi, sono stati misurati i valori più elevati.
Tabella 1. Rilievi sul numero di foglie per pianta durante la fase di accrescimento della lattuga
pacciamatura
rosmarino senza olio
rosmarino con olio
salvia senza olio
salvia con olio
controllo
Dev.st.
foglie per pianta (n.)
12-mag
19-mag
21-apr
26-apr
5-mag
4.7
4.7
4.3
4.7
4.7
3.3
3.7
4.2
3.3
4.3
6.2
6.3
5.8
6.2
6.8
7.0
6.8
6.0
9.0
8.5
0.1
0.5
0.4
1.2
26-mag
3-giu
9-giu
8.7
7.0
7.2
11.3
12.0
8.8
7.5
7.7
13.2
12.0
10.7
8.5
8.7
14.2
12.0
12.0
9.5
10.0
16.3
12.0
2.3
2.6
2.4
2.7
Tabella 2. Rilievi alla raccolta
pacciamatura
rosmarino senza olio
rosmarino con olio
salvia senza olio
salvia con olio
controllo
LSD p < 0.01
parte aerea
foglie
area fogliare
peso secco larghezza lunghezza per pianta
media
2
2
cm
cm
mg pianta-1
cm
cm
radici
peso secco
mg pianta-1
200
281
277
1120
636
3.4
3.6
3.3
6.1
5.6
7.1
6.4
5.2
10.3
12.1
109.2
104.6
86.2
602.1
395.7
9.7
11.3
9.1
36.6
31.4
41.0
89.5
121.7
191.1
154.2
73
0.4
0.7
28.6
2.2
39.7
I rilievi effettuati alla raccolta (tabella 2) hanno evidenziato valori di biomassa e di area fogliare più
elevati per la tesi pacciamata con salvia con olio anche rispetto al controllo. Valori molto più bassi sono
stati registrati per le altre tre tesi. I trattamenti hanno determinato modifiche anche nelle dimensioni
delle foglie come risulta dai dati di larghezza e lunghezza.
Conclusioni
I risultati hanno confermato l’elevata attività biologica degli oli essenziali che hanno interferito in modo
significativo con il processo di accrescimento della pianta testata modificando anche le caratteristiche
morfologiche. Non è stata però registrata una risposta univoca agli oli essenziali che hanno evidenziato
differenze in relazione alla specie ed è pertanto è necessario approfondire gli studi così da poter
valorizzare appieno le potenzialità di queste sostanze naturali.
Bibliografia
Arminante F. et al. 2006. Allelopatic activity of essential oils from mediterranean labiatae. Acta Horticulturae, 723, 347352
De Falco E., et al. 2006. Effects of different vegetal mulching on Rosmarinus officinalis L. First results. Acta Horticulturae,
723, 447-452.
De Martino L., et al. 2010. Chemical composition and antigerminative activity of the essential oil from five Salvia species.
Molecules, 15, 735-746.
Zaccardelli M., et al. 2007. Identification of bio-active compounds in essential oils of medicinal plants toxic for
phytopathogenic fungi and bacteria. J. Plant Pathology, 89, 3, Suppl., 66.
Kiran U., Patra D.D., 2003. Influence of natural essential oil and their by-products as nitrification retarders in regulating
nitrogen utilization for Japanese mint in sandy loam soils of subtropical central India. Agr., Ecos.& Envir., 94, 237-245.
10
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Profili Metabolomici di Varietà Antiche e Moderne di
Frumento Tenero (Triticum aestivum L.)
Giovanni Dinelli1, Raffaella Di Silvestro1, Ilaria Marotti1, Sara Bosi1, Valeria Bregola1,
Pietro Catizone1, Lisetta Ghiselli2, Anne Whittaker2, Stefano Benedettelli2, AntonioSegura Carretero3
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali, Università di Bologna, viale Fanin, 44, 40127 Bologna; Tel.
+390512096672, Fax +390512096241, e-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell’Ambiente Agroforestale, Università di Firenze, P.le
delle Cascine 20, 50144 Firenze; Tel. +39.055.3288246, Fax +39.055.332472
3
Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Granada, c/Fuentenueva s/n, 18003 Granada, Spagna
Introduzione
Il frumento tenero, oltre ad essere una delle principali specie erbacee coltivata a livello mondiale,
rappresenta una componente fondamentale della dieta umana. Diversi studi hanno evidenziato come il
consumo di farina integrale di frumento tenero riduca l’incidenza di patologie croniche quali il diabete, i
disturbi cardio-vascolari ed il cancro (Jacobs et al., 1998): tali benefici per la salute dell’uomo sono
riconducibili al contenuto unico in composti funzionali della farina integrale di frumento e dei suoi
derivati. La completa caratterizzazione, tramite approccio metabolomico, dei composti benefici per salute
umana, presenti nella granella, offre numerosi spunti applicativi sia per il settore del miglioramento
genetico che per il segmento di mercato dei prodotti a base di frumento tenero, in linea con il crescente
interesse dei consumatori di prodotti alimentari in grado di apportare vantaggi salutistici. Tra i composti
funzionali del frumento la ricerca negli ultimi decenni ha posto particolare attenzione alla classe chimica
dei polifenoli, per la loro spiccata azione anti-ossidante e anti-degenerativa. In letteratura sono disponibili
diversi lavori in relazione al contenuto dei composti fenolici in differenti varietà o nelle diverse parti della
cariosside (Adom et al., 2005; Mattila et al., 2005). Tuttavia, scarse sono le informazioni disponibili in
merito alla varietà di frumento tenero di antica costituzione (ovvero con habitus non-nano): tali genotipi
potrebbero rappresentare un’importante fonte di variabilità da utilizzare sia per programmi mirati di
breeding che per lo sviluppo di specifici nutraceutici e di alimenti funzionali. Lo scopo della presente
ricerca è stato quello di caratterizzare dal punto di vista quali-quantitativo 16 varietà antiche e 6 moderne
di frumento tenero per il contenuto in composti fenolici bioattivi tramite approccio metabolomico.
Metodologia
Lo studio è stato condotto su 16 varietà antiche (“Andriolo”, “Autonomia A”, “Autonomia B”,
“Benco”, “Bianco Nostrale”, “Canove”, “Carosello”, “Frassineto”, “Gentil Bianco”, “Gentil Rosso”,
“Gentil Rosso mutico”, “Inalettabile”, “Marzuolo d’Aqui”, “Marzuolo Val Punteria”, “Sieve”,
“Verna”), e su 6 varietà moderne (“Bilancia”, “Bolero”, “Eureka”, “Mieti”, “Nobel”, “Palesio”) di
frumento tenero (T.
Tabella 1. Valori medi del contenuto in polifenoli e flavonoidi totali (espressi in
aestivum L.). Le 22
µmol di GAE e CE, rispettivamente, per 100 grammi di granella) e percentuale di
varietà sono state
composti legati delle varietà moderne e antiche analizzate.
allevate
nell’annata
agraria
2008/2009
Flavonoidi
Polifenoli
presso
l’azienda
Varietà
Totali
% legati
Totali
% legati
agricola sperimentale
Media varietà
di Cadriano (Università
1189 ± 165
69
183 ± 21
62
moderne
di
Bologna).
Media varietà
L’estrazione
dei
1236 ± 214
73
187 ± 24
61
antiche
polifenoli
e
dei
flavonoidi, in forma
libera e legata, e la loro determinazione quantitativa è stata effettuata in accordo a Dinelli et al. (2009).
11
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
L’analisi metabolomica degli estratti ottenuti è stata effettuata in HPLC/ESI-TOF-MS (Dinelli et al.,
2009).
Risultati
Le analisi rela-tive al contenuto totale in poli-fenoli e flavo-noidi non hanno evidenziato dif-ferenze significative tra varietà moderne e an-tiche (Tabella 1). Anche la per-centuale di polifenoli e flavonoidi, in forma
legata, è risultata simile nei genotipi moderni e in quelli di antica costituzione. Tra le varietà antiche, Verna,
Gentil Rosso, Marzuolo d’Aqui, e Carosello si sono distinte per un contenuto in polifenoli e falvonoidi totali
significativamente superiore (dal 15 al 25% in più rispetto ai valori medi osservati per i 22 genotipi oggetto di
indagine). Limitatamente ai polifenoli totali, le due varietà moderne Nobel e Eureka sono risultate
caratterizzate da un contenuto medio di circa il 15% superiore rispetto al valore medio dell’intero set
sperimentale. Le analisi in HPLC-TOF-MS hanno portato all’identificazione di oltre 60 composti fenolici, tra
i quali cumarine, acidi fenolici, antocianine, flavoni, isoflavoni, protoantocianidine, stilbeni e lignani.
L’interpretazione degli spettri di massa forniti dalle analisi in TOF-MS ha permesso di evidenziare notevoli
differenze tra i profili fitochimici delle 22 varietà studiate. Sulla base della similarità dei profili fitochimici i
genotipi di antica costituzione sono stati suddivisi in due gruppi. Il gruppo formato da Bianco Nostrale,
Frassineto, Gentil Rosso, Gentil Rosso mutico, Marzuolo d’Aqui e Verna (gruppo 2) ha evidenziato, sia nella
frazione libera che in quella legata, un numero medio di composti fenolici e di isomeri totali
significativamente maggiore rispetto alle altre varietà oggetto di studio (Tabella 2).Tra le varietà moderne, i
profili metabolomici più ricchi sono stati osservati per Nobel e Palesio.
Tabella 2. Valori medi di composti totali, isomeri e composti unici identificati negli estratti fenolici liberi e legati delle
varietà moderne e antiche analizzate.
Varietà
Composti
totali a
3.5 (b)b
Frazione libera
Isomeri
Composti
unici
0.2 (a)
Composti
totali a
13.3 (b)
Frazione legata
Isomeri
Varietà moderne
0.8 (b)
4.5 (b)
Varietà antiche
5.8 (ab)
2.1 (ab)
0.2 (a)
12. 3 (b)
4.0 (b)
(gruppo 1)
Varietà antiche
11.0 (a)
5.1 (a)
0.6 (a)
18.6 (a)
7.0 (a)
(gruppo 2)
a
Isomeri inclusi
b
Medie seguite dalla stessa lettera non sono significativamente differenti per P < 0.05.
Composti
unici
0.3 (a)
0.2 (a)
0.5 (a)
Conclusioni
Nonostante non siano state osservate differenze significative per quanto riguarda il contenuto totale in
polifenoli e flavonoidi tra varietà moderne e antiche, il profilo fitochimico qualitativo è risultato notevolmente
differente tra le accessioni oggetto di indagine. Il contenuto peculiare in composti fenolici bioattivi di alcune
varietà di antica costituzione (Bianco Nostrale, Frassineto, Gentil Rosso, Gentil Rosso mutico, Marzuolo
d’Aqui e Verna) suggerisce un loro utilizzo in programmi di miglioramento genetico finalizzati
all’ottenimento di varietà con caratteri qualitativi di pregio ed un più elevato contenuto in composti benefici
per la salute. Tra le varietà moderne, Nobel appare il genotipo caratterizzato da un contenuto qualiquantitativo in polifenoli bioattivi superiore rispetto alle altre varietà di recente costituzione.
Bibliografia
Adom K.K. et al. 2005. Phytochemicals and Antioxidant Activity of Milled Fractions of Different Wheat Varieties. J.
Agric. Food Chem., 53:2297-2306.
Dinelli G. et al. 2009. Determination of Phenolic Compounds in Modern and Old Varieties of Durum Wheat Using Liquid
Chromatography Coupled with Time-of-Flight Mass Spectrometry. J. Chromatogr. A, 1216: 7229–7240.
Jacobs D.R. et al. 1998. Whole grain intake may reduce risk of coronary heart disease death in postmenopausal women: the
Iowa women’s health study. Am. J. Clin. Nutr., 68:248-257.
Mattila P. et al. 2005. Contents of Phenolic Acids, Alkyl- and Alkenylresorcinols and Avenanthramides in Commercial
Grain Products. J. Agric. Food Chem., 53:8290-8295.
12
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Strategie di Gestione per l’Adattamento al Pascolo di Manze
Marchigiane
Paride D’Ottavio1, Maria Federica Trombetta2, Paolo Trobbiani1, Rodolfo Santilocchi1
1
2
Dip. SAPROV, Università Politecnica delle Marche, Ancona, IT, [email protected]
Dip. SAIFET, Università Politecnica delle Marche, Ancona, IT, [email protected]
Introduzione
Il progetto di costituzione di un “Centro di adattamento al pascolamento per giovani manze di razza
marchigiana” finanziato nel 2009 dalla Regione Marche si pone l’obiettivo di selezionare soggetti ad
alta genealogia adatti al pascolamento, migliorare le conoscenze per la gestione dei pascoli e mettere a
punto una razione ad integrazione dell’erba. Questa attività, che si concretizza nella vendita all’asta
delle manze adattate, permette di ottenere animali con caratteristiche di rusticità da destinare ad
allevamenti che attuano la linea vacca-vitello basata principalmente sull’utilizzo del pascolo nelle zone
montane e pedemontane dell’Appennino Marchigiano (D’Ottavio et al., 2008).
Nel presente lavoro vengono presentati i risultati preliminari delle attività condotte nel primo anno di
progetto e relativi alla verifica dell’adattamento al pascolo delle manze, delle performance degli animali
e degli effetti prodotti sul pascolo dall’attuale gestione agro-zootecnica.
Metodologia
L’attività sperimentale è stata condotta nell’azienda agraria del comune di Fabriano (AN), su terreni
argillosi a morfologia e pendenza variabili posti ad una altitudine media di circa 400 m s.l.m.. L’area di
studio presenta una temperatura media annuale di 12,6°C e una precipitazione media annua di 945 mm.
L’allevamento ha previsto l’ingresso in azienda di 15 animali di circa 380 kg a fine primavera 2009. I
soggetti, provenienti da diverse aziende, sono stati scelti per genealogia degli ascendenti e in base a
valutazione morfologica. Dopo la quarantena, le manze sono state poste in box multipli con accesso al
pascolo. La razione giornaliera, somministrata di norma al mattino, ha fornito ad ogni capo circa 3,2 kg
di fieno di primo taglio di prati polifiti e 3,4 kg di sfarinato composto da orzo (40%), mais (40%) e
favino (20%). Le superfici pascolate, seminate con Medicago sativa (40%), Festuca arundinacea
(25%), Lolium multiflorum (15%) e Lotus corniculatus (6%), sono state gestite a prato-pascolo. Dopo la
fienagione (fine giugno), la superficie di 12 ha è stata suddivisa in 4 settori utilizzati tra la metà di luglio
e l’ultima decade di ottobre. Durante l’allevamento è stato monitorato il comportamento delle manze
nelle ore diurne (Gary et al., 1970) al principio ed alla conclusione del periodo di pascolamento,
calcolati gli incrementi ponderali ogni 40 gg e determinata la produzione di sostanza secca del pascolo
compresa la sua ripartizione in famiglie e in necromassa prima dell’entrata e dopo l’uscita degli animali
da ogni settore di pascolamento.
Risultati
Le manze hanno trascorso al pascolo dal 25 (fine luglio) al 44% (fine settembre) del tempo monitorato
(Fig. 1). Questa utilizzazione appare fortemente condizionata sia dall’andamento termometrico
stagionale (temperatura media di 25,6 e 16,5°C nella terza decade di luglio e settembre rispettivamente)
e giornaliero sia dalla modalità di somministrazione delle integrazioni alimentari. A fine luglio, le
manze hanno preferito utilizzare il pascolo durante le ore più fresche della giornata (9:30-12:00 e 20:0021:30) durante le quali hanno trascorso la maggior parte del loro tempo in movimento o ferme in piedi
per alimentarsi. A fine settembre, le manze hanno prevalentemente utilizzato il pascolo durante le ore
centrali (11:00-15:00) riducendo il movimento e dedicando un tempo maggiore alla ruminazione sia da
ferme in piedi che sdraiate. In ogni caso, il tempo trascorso al pascolo è stato apparentemente
condizionato anche dalle integrazioni somministrate a inizio giornata. Oltre alla farina normalmente
prevista, la fornitura e la disponibilità ad libitum di fieno nello spazio indoor (in particolare se di
qualità) ha portato le manze a limitare il pascolamento in entrambi i periodi monitorati.
13
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
10
0
1,0
0,9
0,8
21
83
0
100
20
84
0
0
71
100
32
50
Indoor
Al pascolo
0,7
-1
Alimentazione
In movimento
Sdraiata
Ferma in piedi
kg die
100
90
80
70
60
% 50
40
30
20
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
Indoor
Al pascolo
Fine luglio
Fine settembre
Figura 1. Tempo impiegato in ciascuna attività
(n° entro colonna: % tempo per ruminazione;
al pascolo, per differenza: tempo per
alimentazione).
0,0
17 giu - 29 lug
29 lug - 02 set
02 set - 08 ott
Figura 2. Incrementi ponderali delle manze durante
il periodo di allevamento.
Gli incrementi ponderali registrati durante il periodo di allevamento sono risultati variabili da 0,84 a
0,12 kg capo-1 die-1 (Fig. 2). Questi risultati, in prima analisi, appaiono condizionati dalle caratteristiche
dei settori di pascolamento e dei pascoli utilizzati. Il pascolamento di superfici vicine alla stalla, poco
pendenti e caratterizzate dalla elevata presenza e utilizzazione di buone piante foraggere (Tab. 1)
permettono di registrare i più elevati incrementi ponderali relativi al periodo di osservazione. Al
contrario, l’utilizzo di settori molto ampi, pendenti e distanti dalla stalla è apparso decisivo per i
decrementi ponderali registrati durante la parte conclusiva del pascolamento, nonostante il favorevole
andamento produttivo e la elevata utilizzazione delle abbondanti leguminose (Tab. 1).
Tabella 1. Produzione di SS e % delle specie delle famiglie (Gram: graminacee; Leg: leguminose; Altre: altre fam.) e della
necromassa (Necr) nei settori di pascolamento in entrata (E) e in uscita (U).
Settor
e
1
2
3+4
Periodo di
pascolamento
9-lug
E
28-lug
U
28-lug
E
17-set
U
17-set
E
2-nov
U
Prod. di SS
(t ha-1)
0.99
0.39
2.12 A
0.48 B
0.72 B
1.99 A
Contributo % fam. e
necromassa
Altr
Gram
Leg
e
Necr
22
28
39
11
29
11
47
14
35
55 a
5
5
12
9b
66
14
26 B
38 A
1
35 b
40 A
4B
0
55 a
N°
Giorni di
animal pascolam
i ha-1
.
12.3
19
10.0
51
1.6
41
Nelle colonne, medie con lettere maiuscole e minuscole diverse differiscono significativamente con un
livello di probabilità rispettivamente di 0,01 e 0,05 (t test).
Conclusioni
I risultati ottenuti forniscono prime indicazioni per attuare una gestione efficiente dell’allevamento al
pascolo delle manze. In particolare, si segnala la necessità di adeguamento della integrazione. Oltre al
quantitativo di sfarinato, questa potrebbe sicuramente comportare una riduzione di fieno e l’adozione di
una strategia nei tempi di somministrazione delle integrazioni sia per una gestione più efficiente dei
pascoli sia per l’accrescimento equilibrato di animali destinati alla riproduzione in condizioni di
allevamento estensivo.
Bibliografia
D’Ottavio et al. 2008. L’allevamento e l’alimentazione. Pp. 61-85. In: Regione Marche (a cura di). Progetto Marcbal: La
marchigiana: una razza da esportare. Ed. Regione Marche, Ancona.
Gary et al. 1970. Behaviour of Charolais Cattle on Pasture. J. of Animal Science, 30: 203-206.
14
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
L’Efficienza d’Uso della Radiazione Solare nel Sorgo da
Biomassa
Pasquale Garofalo, Alessandro Vittorio Vonella, Sergio Ruggieri, Michele Rinaldi
CRA-SCA, Unità di ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari, IT , [email protected]
Introduzione
L’efficienza con cui la pianta converte la radiazione solare in sostanza secca (s.s.) è indicata con il
termine anglosassone di “Radiation Use Efficiency” o RUE, espressa in grammi di s.s. per MJ di
radiazione fotosinteticamente attiva intercettata dalla coltura o IPAR. Diversi autori (tra gli altri, Sinclair
and Muchow, 1999) hanno evidenziato come questo valore sia abbastanza stabile, per ciascuna coltura,
in un ampio range di condizioni. Per questo motivo numerosi modelli di simulazione della crescita
colturale (CERES, EPIC, etc.) utilizzano questo parametro per stimare l’incremento di sostanza secca
potenziale giornaliera. In determinate condizioni, però, la capacità della coltura di convertire la
radiazione solare in sostanza secca non risulta sempre costante. In particolare, per il sorgo da biomassa
(Sorghum bicolor L. Moench), coltura che sempre più sta suscitando interesse per l’utilizzazione a
scopi energetici, in letteratura si trovano valori che vanno da 2.1 (Stockle e Kiniry, 1990) a 4.8 g MJ-1
(Perniola et al., 1995).
Scopo della ricerca è determinare la RUE del sorgo da biomassa in condizioni di diverso rifornimento
irriguo nell'Italia meridionale.
Metodologia
L’esperimento è stato condotto nel 2008 e Tabella 1. Principali componenti del bilancio idrico nelle diverse
2009, presso l’azienda sperimentale Podere tesi irrigue a confronto su sorgo da biomassa.
124 a Foggia. Il sorgo da biomassa (ibrido
Anno
Regimi
Volume
Consumo
BIOMASS 133) è stato seminato nella
irrigui
irriguo
idrico
prima decade di maggio e raccolto a fine
stagionale
agosto, prima della fioritura. Sono stati
mm
mm
imposti 4 regimi irrigui, che prevedevano il
2008
I_125
550
791
ripristino del 125 (I_125), 100 (I_100), 75
I_100
460
633
(I_75)
e
50%
(I_50)
della
I_75
370
611
evapotraspirazione stimata come prodotto
tra ET0 (stimata con la formula di PenmanI_50
280
566
Monteith) e Kc (misurati precedentemente
Media
415
650
con lisimetri a pesata).
2009
I_125
365
891
Nel corso del ciclo colturale sono state
I_100
305
768
effettuate misure distruttive (5 rilievi) di
I_75
245
702
biomassa epigea (distinta in culmi, foglie
I_50
185
594
verdi e secche), di indice di area fogliare
Media
275
739
(LAI) e coefficiente di estinzione della luce
Media
biennio
345
695
all’interno della canopy (entrambi
quest’ultimo con misuratore di area fogliare
LI-COR 2000) e di radiazione solare globale con piranometro a termopila (305–2800 nm). La RUE è stata
ottenuta come pendenza della retta di regressione tra sostanza secca epigea (ADM) e IPAR cumulati.
Risultati
I due anni di prova si sono differenziati da un punto di vista climatico principalmente per la maggiore
piovosità del 2009 nel periodo che ha preceduto la semina del sorgo (418 vs. 168 mm dal 1 gennaio alla
semina, nel 2009 e nel 2008, rispettivamente). Ciò ha permesso alla coltura di beneficiare di una
maggiore riserva idrica del suolo nel secondo anno di prova (Tab. 1), che ha avuto come principale
conseguenza un ciclo leggermente più lungo nel secondo anno rispetto al primo (+12 d).
15
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
-2
ADM (g m )
La RUE è risultata uguale in media nei due anni, confermando una sostanziale stabilità di questo
parametro (Tab. 2).
Di contro però, il diverso apporto irriguo ha comportato delle differenze della RUE che, in entrambi gli
anni, è risultata diversa, distinguendo le due tesi meno irrigate (I_50 e I_75) da quelle più irrigate (I_100
e I_125; Tab. 2).
Questa diversa risposta della Tabella 2. Valori di RUE stagionale, di LAI e di peso secco delle foglie verdi
coltura di sorgo da biomassa è (valori medi dei 5 rilievi) del sorgo da biomassa, distinti per anno e per
spiegata
da
un
diverso trattamento irriguo. Per ciascun anno, medie seguita da lettere diverse
accrescimento della canopy, in indicano valori statisticamente differenti (LSD test, P > 0.01).
particolare lo sviluppo delle foglie
Regimi
RUE
LAI
Peso secco
e,
quindi,
la
superficie
irrigui
foglie verdi
Anno
fotosintetizzante
(LAI).
Di
g MJ-1
m2 m-2
g m-2
conseguenza,
la
maggiore
2008
I_125
3.07 a
5.98 a
423 a
disponibilità idrica del sorgo delle
I_100
2.92 a
5.86 a
401
a
due tesi meglio irrigate (I_100 e
I_75
2.59
b
5.39
ab
342
b
I_125) ha consentito una maggiore
I_50
2.27 b
4.85 b
320 b
intercettazione della radiazione
Media
2.75
5.52
371
solare e, pertanto, sia la sintesi che
2009
I_125
3.81
a
6.24
a
l’accumulo di sostanza secca sono
437 a
avvenuti in maniera più efficiente
I_100
3.29 a
5.52 a
365 b
(Tab. 2).
I_75
2.67 b
4.59 b
268 c
Mediando i valori dei due anni
I_50
1.79 b
3.79 b
211 c
dell’ADM e dell’IPAR delle tesi
Media
2.89
5.01
320
irrigue che possiamo definire
Media biennio
2.86
5.26
345
“ottimali” (I_100 e I_125) e
“stressate” (I_75 e I_50), è stato
possibile ottenere due valori medi della RUE per l’ambiente meridionale italiano, pari a 3.28 g MJ-1, per
condizioni idriche ottimali e
2.35 g MJ-1 per quelle stressate
4000
(Fig. 1).
y = 3,279 x
2
Conclusioni
R = 0,937
3000
Da questa ricerca è stato calcolato
Ottimale
un valore di RUE per il sorgo da
-1
biomassa pari a 2.86 g MJ che
conferma i valori riportati in
2000
letteratura. I trattamenti irrigui
“ottimali” (I_100 e I_125) hanno
consentito uno sviluppo della
y = 2,352 x
1000
canopy maggiore e più duraturo
2
R = 0,964
rispetto a quello delle tesi a minore
Stressata
apporto irriguo (I_50 e I_75).
Bibliografia
0
0
250
500
750
1000
Perniola M. et al. 1996. Radiation Use
-2
IPAR cum (MJ m )
Efficiency of sweet sorghum and kenaf
th
under field condition. Ads. Book 9 .
Eur. Bioenergy Conf., Cophenagen. P
Figura 1. Rette di regressione tra ADM e IPAR, la cui pendenza
156.
rappresenta la RUE, per regimi irrigui ottimale (I_100 e I_125, linea
Sinclair T.R. and Muchow R.C. 1999.
scura,
rombi) e stressato (I_100 e I_125, linea chiara, quadrati), medie
Radiation Use Efficiency. Advances in
dei due anni.
Agronomy, 65: 215-265.
Stockle C. and Kiniry J.R. 1990.
Variability in crop radiation-use
efficiency associated with vapour pressure deficit. Field Crop Research., 25, 171-181.
16
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione della Vocazionalità alla Coltivazione di Colza in
Puglia Mediante Analisi GIS-Multicriteriale
Nicola Grassano, Luigi Tedone, Leonardo Verdini, Giuseppe De Mastro
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, IT, [email protected]
Introduzione
Nell’ambito delle possibili colture a destinazione energetica il colza (Brassica napus L. var. oleifera
D.C.), più recentemente sta vivendo momenti di rinnovato interesse su tutto il territorio nazionale.
L’individuazione delle aree potenzialmente più idonee all’introduzione di questa coltura richiede
valutazioni relative al clima, alle caratteristiche del suolo, alle componenti ambientali al fine di
comprendere eventuali limitazioni biofisiche alla sua diffusione.
L’integrazione di queste informazioni con tecniche di analisi spaziale attraverso sistemi informatici
come il GIS (Geographical Information Systems) (Tomlin, 1990) rappresenta uno strumento molto
efficace per valutare la vocazionalità agronomica di colture di interesse agrario (Sabbatini et al., 2004).
Con questo lavoro si intende voler contribuire alla valutazione della vocazionalità del colza in Puglia
presentandola sotto forma di mappe tematiche nell’intento di fornire un utile strumento agli addetti al
settore ed in particolare ai decisori politici come ausilio alle politiche agroenergetiche.
Materiali e metodi
Lo studio ha previsto la progettazione di un vero e proprio Sistema Informativo Territoriale (SIT) che
ha consentito di analizzare con un approccio multicriteriale (Malczewski J., 2000) aspetti pedoclimatici,
agronomici e socioeconomici per una più puntuale definizione delle potenziali aree vocate
all’introduzione della coltura del colza a scopi energetici.
Il conseguimento di questi obiettivi è stato possibile grazie al ricorso alla tecnologia GIS, che
comprende software dedicati all’analisi territoriale. I dati climatici sono stati acquisiti da 188 stazioni
meteorologiche distribuite sull’intero territorio regionale (Associazione regionale Consorzi di Difesa
della Puglia - Assocodipuglia).
Per l’acquisizione delle informazioni relative alle caratteristiche fisico-chimiche del suolo (profondità,
contenuto di scheletro, tessitura, contenuto di sostanza organica, contenuto in carbonati totali, pH, ECe
e drenaggio) si è fatto riferimento ai dati disponibili dallo studio sulla caratterizzazione agroecologica
della Regione Puglia (Progetto ACLA 2). I dati delle pendenze e dell’uso del suolo sono stati ottenuti
dal SIT della Regione Puglia (www.cartografico.puglia.it). Aspetti specifici delle esigenze ambientali
del colza sono stati determinati su base bibliografica (Allen et al., 1998; De Mastro e Bona, 1998).
Le informazioni cartografiche sono state raccolte ed elaborate al fine di ottenere un dataset omogeneo e
georeferenziato, mediante il sistema di proiezione UTM (Universal Transverse Mercator) WGS84
(World Geodetic System 84), fuso 33.
Per la valutazione della potenzialità produttiva del colza si è fatto ricorso alla Classificazione
Agronomica del Territorio II (Giardini et al., 1997),basata sull’attribuzione di punteggi di limitazione ai
fattori ambientali riducenti l’espressione produttiva ed espressa secondo 10 classi agronomiche.
L’analisi agronomica è stata integrata da una di tipo socioeconomico utilizzando alcuni dati del V
Censimento generale dell’Agricoltura dell’anno 2000 (dimensione aziendale, densità della SAU,
superfici a riposo, meccanizzazione, ordinamenti colturali, superfici irrigate).
Per ciascun livello informativo acquisito, sia ambientale che socioeconomico, sono state generate
mappe tematiche la cui unità territoriale di riferimento coincide con un pixel (dimensioni 100 x 100 m).
Gli strati informativi così ottenuti sono stati combinati attraverso l’analisi multicriteriale in cui si è
proceduto all’assegnazione dei pesi mediante confronti a coppie tra i criteri e alla somma pesata
mediante lo strumento di overlay “Raster Calculator”, di cui i GIS sono dotati.
La trasposizione dell’informazione territoriale in un sistema di mappe ha consentito l’attribuzione di un
indice della vocazionalità del territorio espresso in classi (ottimo, buono, sufficiente e insufficiente).
17
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
I risultati ottenuti attraverso la sovrapposizione delle mappe generate sulla base delle variabili biofisiche
del territorio regionale indicano che nell’ambito dei seminativi (fig. 1), il 38% (189983 ha), 43,4%
(216642 ha), 11,9% (59487 ha) e 6,7% (33210 ha) risulta essere rispettivamente molto adatto (S1),
moderatamente adatto (S2), poco adatto (S3) e non adatto (N) per la coltivazione del colza.
Figura 1. Classificazione agronomica del colza
Figura 2. Vocazionalità del colza in Puglia
I risultati dell’analisi multicriteriale (fig. 2) mostrano una più accentuata vocazionalità alla coltivazione
del colza ad uso energetico nelle provincie di Foggia e Bari. Infatti, nel foggiano il 54.5% della
superficie a seminativi è dotato di una vocazionalità compresa tra ottimo e buono, mentre nel barese
scende al 28.8%.
Nelle restanti provincie pugliesi la quota di superficie a seminativi dotate di una vocazionalità ottima
nei confronti del colza si contrae fortemente per una serie di fattori limitanti compresi tra quelli
pedologici (scarsa profondità del suolo, ricchezza in scheletro, ecc..), climatici (deficit idrico) e
socioeconomici (dimensioni aziendali).
La situazione in queste aree è caratterizzata dal prevalere di una vocazionalità appena sufficiente,
mentre superfici a seminativi dotati di una buona vocazionalità si attestano su valori compresi tra il 10
26% dei seminativi passando dalle provincie di Lecce, Taranto e Brindisi.
Conclusioni
L’attività di ricerca svolta ha confermato la validità dei sistemi di gestione delle informazioni
geografiche basati sui GIS e di analisi multicriteriale quale strumento di supporto alle decisioni relative
a scelte colturali e programmi di valorizzazione delle potenzialità produttive del sistema agricolo
regionale. Nel complesso il territorio agricolo regionale può vantare superfici consistenti per una sua
eventuale introduzione in avvicendamento con frumento duro consentendo di dare seguito alle più
recenti misure di sostegno della PAC.
La provincia di Foggia e Bari appaiono quelle dotate di una ottima vocazionalità, mentre alcuni fattori
limitanti riferiti al caratteristiche pedoclimatiche e alle tipologia delle strutture aziendali contribuiscono
a definire un minore livello di vocazionalità delle provincie di Brindisi, Taranto e Lecce.
Bibliografia
Caliandro A. et al. 2005. Caratterizzazione agroecologica della Regione Puglia in funzione della potenzialità produttiva.
Progetto ACLA 2. Opuscolo Divulgativo 179
Giardini L. et al. 1997. La classificazione agronomica del territorio: proposta metodologica del sistema CAT2. Genio
Rurale 5, 53-64.
Malczewski J, 2000. GIS and multicriteria decision analysis. John Wiley and Sons, New York.
Sabbatini T. et al. 2004. Analisi territoriale delle colture da energia in Toscana. Quaderno ARSIA 6/2004.
Tomlin C.D. 1990. Geographic Information Systems and Cartographic Modeling, Prentice Hall.
18
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Modelli Colturali Innovativi per il Carciofo da Industria
Rosario P. Mauro, Sara Lombardo, Angela M.G. Longo, Gaetano Pandino, Angelo
Litrico, Antonino Russo, Giovanni Mauromicale
Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) – Università degli Studi di
Catania – via Valdisavoia, 5 – 95123 Catania; tel. 09523415; fax 095234449; e-mail: [email protected]
Introduzione
Il carciofo [Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) Fiori] è una coltura erbacea da pieno campo ad
ampia diffusione nel Bacino del Mediterraneo, il cui prodotto, rappresentato dai capolini, è destinato
principalmente al consumo fresco. Nelle regioni meridionali dell’Italia, la cinaricoltura si basa sulla
coltivazione di tipi rifiorenti, le cui produzioni precoci sono destinate al mercato fresco, mentre solo le
code di produzione sono assorbite dall’industria conserviera (Mauromicale, 1988). Tale assetto appare
inadeguato nell’ottica di (i) soddisfare le esigenze dell’industria alimentare (alto profilo quantiqualitativo del prodotto, stabilità produttiva) e (ii) promuovere un’innovazione della tecnica colturale,
con particolare riferimento alla meccanizzazione di alcune tecniche colturali. Tali aspetti sono
fondamentali per il futuro della coltura, atteso che proprio dall’industria deve attendersi il più forte
impulso al raggiungimento di nuovi mercati, specialmente esteri. La recente diffusione di ibridi a
propagazione gamica, produttivi e contemporanei, sembra offrire un importante contributo in tal senso.
A causa della mancanza di specifici modelli colturali, però, allo stato attuale il potenziale produttivo di
tali cultivar non sembra pienamente utilizzato. Scopo del presente lavoro è stato valutare gli effetti
dell’investimento unitario e della disposizione delle piante sulle caratteristiche produttive del carciofo
da industria.
Metodologia
La ricerca è stata realizzata nel biennio 2006-2008 nella piana di Gela (37°11’ N 14° 11’ E). In uno
schema a split-plot, sono stati posti allo studio gli effetti del sesto di impianto (file semplici contro file
binate) e dell’investimento unitario (1,0-1,2-1,4 e 1,8 piante m-2) sulle caratteristiche produttive di tre
genotipi di carciofo (Violetto di Sicilia, a propagazione vegetativa; Harmony F1 e Madrigal F1 a
propagazione per “seme”). L’impianto è stato effettuato il 10 agosto 2006 a partire da ovoli (Violetto di
Sicilia) o plantule di 40 giorni di età (Harmony F1 e Madrigal F1). La concimazione è stata effettuata
con 200, 150 e 120 kg ha-1 rispettivamente di N, P2O5 e K2O. Al secondo anno, la carciofaia è stata
riattivata a mezzo irrigazione il 7 agosto 2007. Sui dati raccolti in campo sono state calcolate le seguenti
variabili: intervallo impianto (o riattivazione) - prima raccolta (DFH), produzione areica (Y), numero di
raccolte (NH), produzione areica per raccolta (YH) e durata del periodo produttivo (LPP). I dati
acquisiti sono stati sottoposti ad analisi della varianza e le medie di ciascun carattere separate tramite
test LSD di Fisher.
Risultati
Indipendentemente dal genotipo, l’impianto a file binate, rispetto a quello tradizionale, ha
significativamente diminuito Y (-14%) ed NH (da 11 a 9), ma aumentato YH (+7%) (Tab. 1).
All’aumentare dell’investimento unitario da 1,0 a 1,8 piante m-2 è stato registrato un significativo
incremento di Y (+46%) e YH (+99%), ed una diminuzione di NH (da 11 a 9) (Tab. 1). Tra i genotipi
studiati Violetto di Sicilia ha mostrato maggiore durata del periodo produttivo (LPP=118 giorni) e
spiccata precocità (DFH = 132 giorni). Per contro, l’ibrido Madrigal F1 è risultato più tardivo
(DFH=231 giorni), produttivo (Y=181.200 capolini ha-1) e contemporaneo nella emissione dei capolini
(YH = 23.600 capolini ha-1 raccolta-1), seguito da Harmony F1 (Tab. 1). Tra i genotipi confrontati,
Harmony F1 ha mostrato la migliore risposta produttiva agli alti investimenti unitari, atteso che,
passando da 1,0 ad 1,8 piante m-2, ha fatto registrare un maggiore incremento di Y (del 56%) e di YH
(del 36%) (Fig. 1A-B).
19
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1. Effetto dei fattori principali sulle variabili agronomiche considerate. Lettere diverse nell’ambito di ciascun
fattore indicano significatività al test LSD (P < 0,05).
Genotipo
Harmony F1
Madrigal F1
Violetto di Sicilia
Sesto di impianto
File semplici
File binate
Investimento unitario
(piante m-2)
1,0
1,2
1,4
1,8
DFH
(giorni)
Y
(000 capolini ha-1)
NH
YH
(000 capolini ha-1
raccolta-1)
LPP
(giorni)
193 b
231 a
132 c
158,5 b
181,2 a
109,3 c
9b
8c
13 a
18,4 b
23,6 a
9,0 c
43 b
18 c
118 a
182 b
188 a
152,2 a
147,1 b
11 a
9b
16,4 b
17,5 a
61 a
59 a
180 c
184 bc
186 ab
191 a
118,7 d
145,2 c
161,3 b
173,4 a
12 a
11 b
9c
9c
11,2 d
14,9 c
19,4 b
22,3 a
64 a
61 ab
58 bc
56 c
Investimento unitario (pianta m-2 )
300
1.0
1.2
1.4
-2
B
1.8
LSD interazione 8.7
200
-1
000
capolini
ha -1
000
capolini ha-1
250
000
capolini ha raccolta
000 capolini ha -1 raccolta-1
-1
A
150
100
50
Investimento unitario (pianta m )
40
1.0
1.2
1.4
1.8
35
30
LSD interazione 2.1
25
20
15
10
5
0
0
1 Sicilia
Violetto di
2
Harmony
F1
3 F1
Madrigal
Violetto 1di Sicilia
2
Harmony
F1
3 F1
Madrigal
Figura 1. Produzione areica totale (A) e per singola raccolta (B) in rapporto all’interazione ‘genotipo x investimento unitario’.
Conclusioni
L’adozione della disposizione a file binate, sebbene abbia lievemente diminuito le rese, si è rivelata
utile nel ridurre il numero di raccolte in tutti i genotipi studiati. Inoltre, l’aumento dell’investimento
unitario fino a 1,8 piante m-2, ha sortito effetti positivi sulla produzione areica e sulla contemporaneità di
produzione della carciofaia. L’adozione di cultivar diversificate sotto il profilo bio-agronomico, ha
permesso di realizzare un ampio e stabile calendario produttivo (da novembre a maggio), maggiormente
rispondente alle esigenze dell’industria di trasformazione. Sotto tale aspetto, Harmony F1, più
produttivo rispetto a Violetto di Sicilia, ma caratterizzato da minore rigoglio vegetativo rispetto a
Madrigal F1, ha rivelato la migliore risposta produttiva all’aumento dell’investimento unitario. Tali
risultati permettono di asserire che l’adozione di protocolli colturali basati sulla diversificazione
varietale, su un elevato investimento unitario (1,8 piante m-2) ed il sesto di impianto a file binate, può
costituire un valido strumento per la qualificazione della filiera del carciofo da industria, e per una
migliore predisposizione della coltura alla meccanizzazione delle operazioni colturali.
Ricerca finanziata dall’Assessorato Regionale alle Risorse Agricole e Alimentari nell’ambito del
progetto MOTICI
Bibliografia
Mauromicale G., 1988. Il carciofo: alcune proposte innovative per una coltura tradizionale. Giornale di Agricoltura, 97: 42 - 47.
20
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Produttività Di Canna Comune (Arundo donax L.) e
Miscanto (Miscanthus x giganteus Greef et Deuter), Colture
Poliennali Dedicate Ad Uso Energetico:
Parte I – Analisi Di Crescita
Nicoletta Nassi, Neri Roncucci, Federico Triana, Enrico Bonari
Land Lab, Scuola Superiore S. Anna, IT, [email protected], [email protected], [email protected]
[email protected]
Introduzione
Le elevate capacità produttive che contraddistinguono la canna comune (Arundo donax L.) e il miscanto
(Miscanthus x giganteus Greef et Deuter) rendono queste specie tra le più promettenti colture dedicate
ad uso energetico in ambiente mediterraneo (Lewandowski et al., 2003; Angelini et al., 2009).
Molteplici sono i lavori che analizzano la produzione di queste colture in relazione alla diversa tecnica
colturale (Angelini et al. 2009; Christian et al. 2008; Cosentino et al. 2007). Di contro, poco è noto
sulle loro dinamiche di accumulo della biomassa durante la stagione di crescita. A tal proposito, con lo
scopo di accrescere le conoscenze su questa problematica è stata condotta, su colture di canna comune e
miscanto in piena produzione, un’analisi di crescita con il fine di comprendere le eventuali limitazioni
di carattere ambientale e/o di tecnica colturale che possono influire sul loro sviluppo.
Metodologia
La sperimentazione si è svolta presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “E. Avanzi”
in località San Piero a Grado (PI). Si è operato su terreno franco, sufficientemente rappresentativo dell’area
litoranea della pianura pisana, caratterizzato da una buona dotazione in macroelementi e da una falda freatica
piuttosto superficiale. La sperimentazione in oggetto ha avuto inizio nel 2002 con lo scopo di confrontare la
canna comune e il miscanto. Pertanto, seguendo uno schema sperimentale a blocco randomizzato sono state
realizzate tre parcelle per ciascuna specie con una superficie pari a 50 m2 cadauna. La preparazione del
terreno ha previsto un’aratura a media profondità e due passaggi con erpice a dischi appena prima del
trapianto. Gli impianti sono stati realizzati, per entrambe le specie, utilizzando porzioni di rizoma
caratterizzati dalla presenza di almeno due gemme e aventi un peso di circa 500 g ciascuno (sesto d’impianto
0.5 x 1.0 m). A seguito del trapianto è stato effettuato un unico intervento irriguo al fine di favorire
l’attecchimento dei rizomi. La concimazione ha previsto ogni anno la somministrazione di 100 kg ha-1 di N,
P2O5 e K2O. Durante la stagione 2009 (settimo anno di impianto), le due colture sono state confrontate
mediante lo studio dell’analisi di crescita che ha previsto la realizzazione di una serie di prelievi della
biomassa effettuati ad intervalli di circa tre settimane l’uno dall’altro. Su ciascun campione è stato quindi
misurato il peso della sostanza fresca e secca dei culmi e delle foglie, l’altezza delle piante, il loro diametro
basale, il numero di culmi per unità di superficie. L’andamento dell’accumulo di biomassa delle due colture è
stato quindi modellizzato attraverso l’impiego di una curva sigmoidale. L’individuazione delle curve è stata
possibile con l’impiego del software R versione 2.10.1 del 2009 della Free Software Foundation’s GNU
General Public License. Sulla base di questi risultati sono poi stati calcolati alcuni tra i principali indici di
crescita come AGR, CGR e LAI.
Risultati
L’attività sperimentale ha confermato le elevate rese in sostanza secca di canna comune e miscanto,
rispettivamente pari a circa 30 t ha-1 e 40 t ha-1 al termine della stagione di crescita; in tal senso si è
assistito ad una più elevata resa del miscanto, contrariamente a quanto osservato da Angelini et al.
(2009) nel medesimo ambiente di coltivazione. Tale risposta produttiva può essere messa in relazione
con la costante presenza di acqua nel sottosuolo, la quale potrebbe aver permesso al miscanto (specie
C4) di sfruttare appieno le potenzialità del proprio metabolismo, in particolar modo nel periodo di
21
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
crescita con elevata radiazione disponibile e alte temperature (fine giugno) (fig. 1).
Figura 1. Andamento della produzione di sostanza secca per unità di superficie e del CGR (destra) e
della produzione di sostanza secca per culmo e dell’AGR (sinistra) in canna comune e miscanto durante
la stagione di crescita 2009. I simboli □ e ○ indicano i valori misurati; *, **, *** indicano
rispettivamente differenze statisticamente significative per P ≤ 0.05, 0.01, 0.001.
45
40
35
***
3000
2500
2000
30
25
20
1500
1000
500
0
15
10
5
0
90
120
150
180 210 240
Giorni Giuliani
270
300
S.S. Miscanto
AGR Miscanto
60
55
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
600
*
400
300
200
100
90
330
500
AGR (mg d -1)
4500
4000
3500
S.S. Canna comune
AGR Canna comune
Resa in sostanza secca (g culmo-1)
-2
S.S. Miscanto
CGR Miscanto
CGR (g m-2 d -1)
Resa in sostanza secca (g m )
S.S. Canna comune
CGR Canna comune
120
150
180
210
240
270
300
0
330
Giorni Giuliani
Tabella 1. Andamento delle principali caratteristiche biometriche in canna comune e miscanto durante la stagione di
crescita 2009. Lettere diverse indicano valori significativamente diversi per P ≤ 0.05 (test LSD).
Diametro
Altezza
N° culmi
m-2
Canna c.
Miscanto
Canna c.
Miscanto
Canna c.
Miscanto
12/V
11.6 a
8.1 b
92 a
56 b
50 b
98 a
26/V
11 a
10 b
131
122
40 b
95 a
23/VI
11.8 a
9b
217
231
64
76
17/VII
11 a
9.7 b
236 b
273 a
78 b
92 a
06/VIII
11.5 a
9.1 b
276
279
61 b
99 a
28/VIII
11.3 a
10 b
276
292
64 b
96 a
28/IX
11.3 a
9.5 b
292 b
338 a
67
79
19/X
12.2 a
9.8 b
313 b
386 a
76
75
18/XI
10.5 a
9.5 b
286 b
334 a
80
90
Conclusioni
Questo studio ha confermato l’elevata potenzialità del miscanto e
della canna comune per la realizzazione di sistemi colturali a
destinazione energetica in ambiente mediterraneo. Ulteriori indagini
rimangono comunque necessari per valutare le performance
produttive ed ecologiche in aree marginali, in particolare in quelle in
cui la disponibilità idrica può rappresentare un fattore limitante.
Leaf Area Index
Inoltre lo studio delle caratteristiche biometriche ha messo in evidenza come le due specie siano state
caratterizzate da differenti strategie di accumulo della biomassa: il miscanto ha infatti raggiunto
produzioni più elevate in virtù di un maggior numero di culmi per
unità di superficie, di una maggiore altezza e, conseguentemente, di
Canna comune
Miscanto
una maggiore copertura del suolo (> LAI) (fig. 2). Contrariamente,
6
la canna comune ha fatto registrare diametri basali dei culmi
5
4
superiori ed un maggiore accumulo della biomassa per culmo.
3
2
1
0
80
130
180
230
280
330
Giorni Giuliani
Figura 2. Andamento del LAI in
canna comune e miscanto nella
stagione di crescita 2009.
Bibliografia
Angelini L.G. et al. 2009. Comparison of Arundo donax L. and Miscanthus x giganteus in a long-term field experiment in
Central Italy: Analysis of productive characteristics and energy balance. Biom. & Bioen, 33:635-643.
Lewandowski I. et al. 2003. The development and current status of perennial rhizomatous grasses as energy crops in the
US and Europe. Biom. & Bioen, 25:335–361.
Christian D.G. et al. 2008. Growth, yield and mineral content of Miscanthus x giganteus grown as a biofuel 14 successive
harvests. Ind. Crops Prod., 28:320-327.
Cosentino S.L. et al. 2007. Effects of soil water content and nitrogen supply on the productivity of Miscanthus x giganteus
Greef et Deu. In a Mediterranean environment. Ind. Crops Prod., 25:75-88.
22
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Produttività Di Canna Comune (Arundo donax L.) e
Miscanto (Miscanthus x giganteus Greef et Deuter), Colture
Poliennali Dedicate Ad Uso Energetico:
Parte II – Macronutrienti e Qualità Della Biomassa
Nicoletta Nassi, Neri Roncucci, Federico Triana, Enrico Bonari
Land Lab, Scuola Superiore S. Anna, IT, [email protected], [email protected], [email protected],
[email protected]
Introduzione
È ormai comprovata, in ambiente mediterraneo, l’attitudine di specie quali la canna comune (Arundo
donax L.) e il miscanto (Miscanthus x giganteus Greef et Deuter) per la produzione di energia
(Lewandowski et al. 2003; Angelini et al. 2009), prevalentemente attraverso processi di combustione
ma anche attraverso trasformazioni biologiche come nel caso della produzione di bioetanolo di seconda
generazione. Tuttavia, scarse sono le conoscenze in merito alle esigenze nutrizionali di queste specie, in
particolar modo alle dinamiche di concentrazione e di asportazione degli elementi nutritivi durante la
stagione di crescita e alla composizione della biomassa stessa. A tal proposito, abbiamo indagato, oltre
agli aspetti nutritivi, il contenuto di emicellulosa, cellulosa e lignina, così da ampliare le conoscenze in
merito sia alla gestione colturale che agli aspetti qualitativi della biomassa di queste colture.
-1
Asportazioni azoto (Kg ha )
Miscanto
[ ] Canna
[ ]4Misc
160 Canna comune
Metodologia
140
3,5
Durante la stagione di crescita 2009 (settimo
120
3
anno di impianto) sulle due colture sono
100
2,5
stati condotti rilievi cadenzati sulla parte
80
2
aerea delle piante, volti a valutare
*
60
1,5
l’andamento del contenuto dei principali
40
1
macronutrienti: l’azoto è stato determinato
**
*
20
0,5
con il metodo Kjieldal, il fosforo con
*
*
0
0
metodo Olsen ed il potassio attraverso
100
150
200
250
300
digestione del materiale vegetale e lettura
Giorni Giuliani
con assorbimento atomico. Le asportazioni
Figura
1.
Dinamica
delle asportazioni e delle
in macronutrienti della porzione aerea delle
concentrazioni di azoto nella biomassa aerea di canna
specie sono state calcolate come prodotto
comune e miscanto nella stagione di crescita 2009. *, **,
della concentrazione dell’elemento per la
*** indicano rispettivamente differenze statisticamente
resa in sostanza secca. Inoltre, per gli stessi
significative per P ≤ 0.05, 0.01, 0.001
momenti della stagione di crescita, è stato
determinato anche l’andamento del contenuto in cellulosa emicellulosa e lignina, secondo il metodo
proposto da Van Soest et al., 1991. Al fine di valutare le differenze tra specie è stata eseguita l’analisi
della varianza (ANOVA). Quando i dati non presentavano una distribuzione normale sono stati
opportunamente trasformati attraverso la funzione arcoseno e la significatività statistica delle differenze
tra le medie è stata analizzata con il test della differenza minima significativa (LSD) per P ≤ 0,05.
N (%)
Risultati
Questo studio ha messo in evidenza come le concentrazioni di azoto, fosforo e potassio abbiano, nella
porzione epigeica di canna comune e miscanto, andamenti simili, diminuendo da maggio a novembre.
In tali specie, è risultata simile anche la dinamica delle asportazioni totali della parte aerea delle colture,
che ha mostrato i valori più elevati attorno a fine luglio - inizio agosto (130, 40 e 350 kg ha-1 per N, P e
K per canna comune e miscanto). Con il proseguire della stagione di crescita si è assistito, invece, ad
una progressiva diminuzione delle asportazioni, probabilmente imputabile all’istaurarsi di fenomeni di
traslocazione dei nutrienti dalla porzione epigeica verso l’apparato rizomatoso delle piante (fig. 1-2).
23
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
40
*
*
400
8
350
7
300
6
250
5
0,2
10
0,1
0
150
200
250
Giorni Giuliani
Miscanto
9
[ ] Misc
[ ] Canna
200
4
150
3
**
100
**
**
2
**
**
50
**
0
0
100
Canna comune
**
1
0
100
300
K (%)
0,3
***
20
450
0,5
0,4
**
30
[ ] Misc
-1
*
**
[ ] Canna
Asportazioni potassio (Kg ha )
-1
Miscanto
P (%)
Asportazioni fosforo (Kg ha )
Canna comune
50
150
200
250
300
Giorni Giuliani
Figura 2. Dinamica delle asportazioni e delle concentrazioni di fosforo (sinistra) e potassio (destra) della porzione epigeica
di canna comune e miscanto nella stagione di crescita 2009. *, **, *** indicano rispettivamente differenze statisticamente
significative per P ≤ 0.05, 0.01, 0.001
L’analisi del contenuto di emicellulosa, cellulosa e lignina della biomassa ha mostrato come le due
specie contengano, siano mediamente caratterizzate dal 25% di emicellulosa ed il 38% di cellulosa,
componenti cosiddette “nobili” in quanto direttamente utilizzabili per la produzione di bioetanolo e un
8% di lignina (tab. 1).
Tabella 1. Ripartizione (%) delle frazioni di cellulosa, emicellulosa e lignina in canna comune e miscanto nella stagione di
crescita 2009. Lettere diverse indicano valori significativamente diversi per P ≤ 0.05 (test LSD).
Cellulosa
Emicellulosa
Lignina
Canna c.
Miscanto
Canna c.
Miscanto
Canna c.
Miscanto
17/VII
42.0
37.8
25.3
27.0
7.5
7.7
06/VIII
40.4
40.5
26.4
23.0
7.4
9.7
28/VIII
40.6
39.7
23.4
24.0
9.1
8.9
28/IX
37.0
32.6
24.6
26.8
7.7
6.6
19/X
35.6
34.9
26.5
27.5
6.4
7.6
18/XI
37.8
40.6
23.0
23.1
8.6
9.9
Conclusioni
I risultati ottenuti in questo studio preliminare hanno permesso di constatare come, in entrambe le
specie, le asportazioni aeree dei principali macronutrienti siano relativamente contenute; inoltre la
dinamica di queste ha mostrato l’importanza dell’apparato rizomatoso nell’operare un efficace turnover
dei nutrienti. Infine l’elevato contenuto in emicellulosa e cellulosa ha messo in evidenza un’ottima
attitudine di entrambe le specie alla trasformazione in bioetanolo di seconda generazione, con valori
non significativamente diversi tra le colture e tendenzialmente costanti durante la stagione di crescita.
Alla luce dei risultati ottenuti, in ambiente mediterraneo, sembra quindi ipotizzabile far coincidere un
elevato livello produttivo ed un buon contenuto in emicellulosa e cellulosa con limitate asportazioni di
macronutrienti realizzando la raccolta di entrambe le colture tra inizio ottobre e fine novembre in
funzione dell’andamento climatico.
Bibliografia
Angelini L.G. et al. 2009. Comparison of Arundo donax L. and Miscanthus x giganteus in a long-term field experiment in
Central Italy: Analysis of productive characteristics and energy balance. Biom. & Bioen., 33:635-643.
Lewandowski I. et al. 2003. The development and current status of perennial rhizomatous grasses as energy crops in the
US and Europe. Biom. & Bioen., 25:335–361.
Van Soest P. J. et al. 1991. Methods for dietary fiber, neutral detergent fiber, and nonstarch polysaccharides in relation to
animal nutrition. J. Dairy Sci., 74: 3583-3597.
24
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Potenzialità Foraggera di una Selezione di Carthamus
tinctorius L. var. inermis Sottoposta a Diversi Livelli di
Concimazione Azotata in Copertura
Riccardo Primi1, Pier Paolo Danieli1, Bruno Ronchi1 , Roberto Ruggeri2, Francesco
Rossini2, Salvatore Del Puglia2, Carlo F. Cereti2
1
2
Dip. di Produzioni Animali, Univ. degli Studi della Tuscia, IT,
Dip. Di Produzione Vegetali, Univ. degli Studi della Tuscia, IT, [email protected]
Introduzione
Le utilizzazioni del cartamo (Carthamus tinctorius L.) sono molteplici: il suo achenio può essere
utilizzato per l’estrazione dell’olio o come becchime per gli uccelli; le corolle sono utilizzate per
l’estrazione di coloranti alimentari e industriali o per la produzione di principi attivi da utilizzare in
medicina (Smith, 1996). La pianta intera, falciata alla comparsa dei bottoni fiorali, si può utilizzare per
il foraggiamento verde degli animali o per la produzione di insilati (Landau et al., 2004). Le ottime
produzioni ottenibili con quest’ultima utilizzazione, unite alla sua adattabilità ai climi aridi, rendono il
cartamo un’interessante alternativa alle classiche colture da foraggio negli avvicendamenti colturali in
regime idrico naturale dell’areale Mediterraneo (Weinberg et al., 2002; Bar-Tal et al., 2008; Ghamarnia
e Sepehri, 2010). Questo studio mira a valutare la quantità e la qualità della produzione foraggera di una
selezione inerme di cartamo sottoposta a quattro livelli di concimazione azotata in copertura.
Metodologia
La sperimentazione è stata condotta a Viterbo (42° 26’ N, 12° 04’ E, altitudine 310 m s.l.m.), dove una
selezione di cartamo inerme è stata coltivata su un suolo argilloso, in parcelle sottoposte a differenti
livelli di concimazione azotata: N0 = 0 kg ha-1 (fertilità residua del terreno), N1 = 35 kg ha-1, N2 = 70 kg
ha-1, N3 = 105 kg ha-1. Per ognuna della prove parcellari effettuate in triplice replica, sono stati rilevati i
dati biometrici e produttivi. Alla comparsa dei bottoni fiorali, le piante sono state falciate per valutarne
la produzione di biomassa tal quale e di sostanza secca ai fini dell’utilizzazione foraggera. È stato
eseguito il campionamento (6 kg) sul materiale fresco e sul materiale pre-appassito in campo (umidità
residua compresa tra il 35% e il 45%) da utilizzare per prove d’insilamento. Dopo la misurazione del
pH, il materiale da insilare è stato trinciato (2-3 cm) e confezionato, in doppio, utilizzando buste
sottovuoto (2 kg). Sono state allestite due serie di insilamento: una con materiale tal quale e l’altra con
inoculo di Lactobacillus buchneri. Completato il processo di insilamento (45 giorni), i campioni sono
stati essiccati, macinati (1 mm) e sottoposti ad analisi. Tanto sul materiale verde, quanto sull’insilato
(con e senza inoculo), è stato determinato il contenuto in proteine grezze (PG), l’estratto etereo (EE), la
fibra grezza (FG) e le ceneri (Cen) secondo le metodiche ufficiali AOAC (AOAC, 2006). Tutti i dati
sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA); le medie sono state sottoposte al test di Fisher
(LSD) usando il software Statistica 7 (StatSoft Inc., USA). La differenza fra i gruppi è stata
dichiarata statisticamente significativa per p<0,05.
Risultati
Al momento del taglio le piante avevano un contenuto medio in sostanza secca del 16% circa. I valori
più elevati di pH (P <0,001) sono stati riscontrati per il trattamento N2 (6,0 ± 0,1) mentre quelli più bassi
(P <0,001) sono stati registrati per i campioni corrispondenti il livello di fertilizzazione N0 (5,8 ± 0.1).
La produzione di biomassa ha mostrato una chiara relazione con la concimazione azotata (da N0 = 1,80
± 0,30 t ha-1s.s. a N3 = 2,71 ± 0,20 t ha-1s.s., P <0,001) (Tab. 1). Sotto il profilo chimico, il contenuto in
EE (1,36 ± 0,23% s.s.), FG (41,70 ± 3,65% s.s.) e Cen (12,74 ± 0,74% s.s.) non sono risultati
significativamente influenzati dalla fertilizzazione azotata che, invece, ha influenzato in modo
significativo il contenuto di PG della pianta intera (Fig. 1), con i valori più elevati (6,13 ± 0,68% s.s, P
<0,001) osservati per il livello di fertilizzazione N3. Per quanto riguarda l'accumulo di PG nella
25
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
biomassa epigea, nel complesso è stata riscontrata una relazione dose-effetto (da N0 = 80,2 ± 10,4 kg has.s. a N3 = 165,3 ± 10,2 kg ha-1 s.s.), sebbene per i livelli intermedi di fertilizzazione (35 e 70 kg ha-1),
non sia stato possibile evidenziare differenze significative.
1
Tabella 1. Valori di produzione e composizione chimica centesimale per i diversi livelli di fertilizzazione azotata. Dati
espressi come media±DS. A,B P<0,001; a,b P<0,05.
Livello azoto
N0
N1
t ha-1 t.q.
t ha-1 s.s.
Bc
9,83±2,04
EE (% s.s.)
FG (% s.s.)
Cen (% s.s.)
Bc
1,32±0,15
43,78±4,74
13,20±0,55
ab
1,38±0,30
42,07±3,49
12,69±0,43
bc
1,80±0,30
b
13,90±3,34
2,31±0,47
b
N2
14,59±3,24
2,07±0,52
1,32±0,22
39,81±3,04
12,68±1,12
N3
18,12±2,40Aa
2,71±0,20Aa
1,42±0,29
41,16±2,70
12,41±0,32
b
b
Aa
Bc
Livello di fertilizzazione
Figura 1. Variazione del contenuto in PG del cartamo alla raccolta in funzione
del livello di concimazione azotata. a,b,c P<0,05; A,B P<0,001.
Conclusioni
I risultati preliminari acquisiti, indicano che la selezione inerme di cartamo utilizzata presenta un buon
valore nutrizionale, incrementabile mediante fertilizzazione azotata, che può essere ulteriormente
valorizzato con l’insilamento, tecnica di conservazione che ben si adatta a specie con un buon contenuto
in carboidrati solubili. Ulteriori studi sono in corso per valutare appieno le potenzialità di questa specie
per utilizzarla come foraggera nell’areale Mediterraneo.
Bibliografia
AOAC, 2006. Official Methods of Analysis, Association of Official Analytical Chemists. 18th Ed. Gaithersburg, USA:
AOAC Press.
Bar-Tal A. et al. 2008. Fodder Quality of Safflower across an Irrigation Gradient and with Varied Nitrogen Rates. Agron.
J., 100: 1499-1505.
Ghamarnia H., Sepehri S. 2010. Different irrigation regimes affect water use, yield and other yield components of
safflower (Carthamus tinctorius L.) crop in a semi-arid region of Iran. Journal of Food, Agriculture and Environment 8 (2):
590-593.
Landau, S. et al. 2004. The value of safflower (Carthamus tinctorius) hay and silage grown under Mediterranean
conditions as forage for dairy cattle. Livest. Prod. Sci., 88:263–271.
Smith J.R. 1996. Safflower. AOCS Press, Champaign, IL, USA.
Weinberg Z.G. et al. 2002. A note on ensiling safflower forage. Grass and Forage Science, 57:184-187.
26
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
MiniCSS: Software per l’Ottimizzazione delle Strategie di
Irrigazione e di Concimazione Azotata delle Colture
Alvaro Rocca, Francesco Danuso
Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Udine, IT, [email protected]
Introduzione
È noto che le risorse idriche sono limitate e che i costi degli input agricoli (economici, ambientali
ed energetici) sono in costante aumento. Prendere decisioni sugli interventi di irrigazione e di
concimazione diventa sempre più difficile; infatti, il decisore deve esaminare contemporaneamente
lo stato fenologico e nutrizionale della coltura, l’andamento meteorologico della stagione irrigua
passata e futura, nonché tenere controllato del bilancio economico ed energetico dell’azienda.
L’agricoltore è quindi fortemente incentivato a ottimizzare l'uso dell'acqua e dei fertilizzanti
quando le risorse naturali non garantiscono la copertura dei fabbisogni della coltura. D’altra parte i
tecnici del settore sono chiamati ad assistere gli agricoltori anche con la responsabilità della tutela
dell’ambiente.
Numerosi autori, già dagli anni 70 hanno proposto modelli di simulazione colturali per ottimizzare
l’irrigazione (Bergez et al., 2002) e la fertilizzazione azotata (Makowski et al., 1999). Si tratta, in
genere, di modelli complessi che, per il loro impiego, richiedono conoscenze specifiche e un lungo
periodo di apprendistato.
Con questo lavoro viene presentato MiniCSS, un’applicazione che ha come obiettivo l’ottimizzazione
delle strategie irrigue e nutrizionali mediante simulazione, riducendo le richieste di input da parte
dell’utente al minimo. MiniCSS ha come motore di calcolo CSSmini. Questo è un modello di
simulazione colturale di tipo generico, con passo di simulazione giornaliero che deriva da CSS
(Cropping System Simulator – Danuso et al., 1999) e che è stato mantenuto volutamente semplice al
fine di facilitarne l’applicazione pratica a scopi strategici e didattici. MiniCss permette di ottenere – in
relazione alla variabilità climatica e per ogni combinazione coltura-terreno - curve di probabilità di
superamento per rese produttive, fabbisogni idrici, impatto sulla falda e bilancio economico colturale.
Metodologia
Il modello CSSmini è sviluppato in linguaggio SEMoLa (Simple, Easy to use, MOdelling LAnguage
– Danuso, 2003) ed è formato da diversi moduli: i) CSSmini, modulo principale che oltre al calcolo
delle variabili comuni a tutti i moduli, contiene i parametri di gestione che prevedono l’attivazione
degli eventi di semina, irrigazione e fertilizzazione automatica. ii) CSSmini_soil, descrive le
caratteristiche fisiche del terreno come: umidità di capacità di campo, di punto di avvizzimento, la
capacità idrica massima e la profondità utile. Inoltre il modulo simula l’aumento della profondità del
terreno in funzione dell’approfondimento radicale. iii) CSSmini_water, effettua (con approccio
mono-strato a cascata) la simulazione del contenuto idrico del suolo affrontando i processi di
evapotraspirazione effettiva, ruscellamento, infiltrazione, percolazione e drenaggio in falda.
L’irrigazione viene simulata come apporto idrico alla riserva utile del terreno per riportarne l’umidità
alla capacità idrica di campo. iv) CSSmini_crop, simula lo sviluppo fenologico basato sulle somme
termiche, l’accumulo di biomassa e la resa delle colture. La simulazione della crescita delle colture è
basata sull’intercettazione della radiazione e sull’efficienza di conversione. Il modello considera
inoltre i fattori di riduzione del tasso massimo di crescita - che agiscano direttamente sull’accumulo in presenza di condizioni avverse (stress idrico, termico e carenza di azoto). v) CSSmini_som, simula
la dinamica della sostanza organica del suolo con una implementazione del modello RothC
(Coleman et al. 2008). vi) il modulo CSSmini_nitrogen, simula la dinamica dell’azoto del terreno
considerando le frazioni di azoto come nitrato (NO3) e ammonio (NH4+). L'ammonio viene ripartito
nella frazione adsorbita sui colloidi e in quella in soluzione che subisce il processo di nitrificazione
con produzione di NO3. Il nitrato viene assorbito dalle piante e può essere dilavato in falda. La
concentrazione di NH4+ nel suolo può aumentare per effetto della mineralizzazione della sostanza
27
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
organica o della concimazione azotata.
MiniCss (vedi figura) è un’applicazione per Windows che presenta un’interfaccia grafica di facile
impiego. Il motore di calcolo (CSSmini.exe) può essere aggiornato e girare anche impiegando
l’ambiente SEMola. MiniCss effettua simulazioni
annuali o multi-annuali, tramite la predisposizione dei
file di “scenario” che contengono tutte le informazioni
necessarie alle procedure di calcolo. Tali informazioni
sono ottenute da file standard di parametri di colture e
suoli, da file di dati meteorologici e dalle scelte
effettuate a video dall’utente. È possibile aggiungere
nuovi parametri per colture e terreni.
Con la simulazione, MiniCSS genera un file di risultati
che contiene le principali variabili simulate (resa,
umidità del terreno, azoto nel terreno, bilancio
economico, ecc.), riportate come valori giornalieri, medie annuali o come probabilità cumulata, sia
in formato grafico che testuale. Inoltre con MiniCSS è possibile confrontare i risultati di
simulazione con quelli sperimentali, consentendo così la calibrazione manuale dei parametri.
Un’ulteriore possibilità è quella di effettuare esperimenti di simulazione con combinazioni
fattoriali di dosi diverse di acqua e azoto in modo da ottimizzare il sistema per i risultati produttivi,
economici, ambientali o loro combinazioni pesate.
Risultati
Con MiniCSS è possibile impostare irrigazione e fertilizzazione azotata in modo automatico, al
fine di garantire il massimo tasso di crescita della coltura e ottenere produzioni più costanti,
indipendentemente dall’andamento meteorologico e dal tipo di terreno. Con questo approccio è
possibile ottenere indicazioni sulle principali variabili irrigue.
Durata della stazione irrigua: il modello fornisce, in termini probabilistici, la frequenza con cui si
verificano, entro una determinata data, l'inizio e fine della stagione irrigua.
Volumi irrigui e fabbisogno nutrizionale: per ogni scenario colturale si ottengono serie simulate di
interventi irrigui e di concimazione che permettono di stabilire le richieste idriche e nutrizionali
durante l’intero ciclo biologico. Con serie di dati climatici pluriennali è possibile anche creare le
curve dei fabbisogni irrigui e nutrizionali, per le singole colture, a diversi livelli di probabilità.
Un'altra modalità di utilizzo di MiniCss è quella di impostare manualmente l’irrigazione e la
concimazione in modo da verificare il comportamento delle colture con scenari colturali reali e
ipotetici o, anche, con i soli apporti naturali.
Conclusioni
MiniCSS sembra possa rappresentare uno strumento utile sia per l’ottimizzazione delle strategie
irrigue e nutrizionali delle colture che per la didattica agronomica. L’applicazione è disponibile
gratuitamente presso gli autori.
Bibliografia
Bergez J. E. et al. 2002 Improving irrigation schedules by using a biophysical and a decisional model. European
Journal of Agronomy 16 123–135.
Coleman, K. e Jenkinson, D.S., 2008. RothC-26.3 A model for the turnover of carbon in soil – Model description
and windows users guide. Rothamsted Research Harpenden, Herts AL5 2JQ.
Danuso F. et al. 1999. CSS: a modular software for cropping system simulation. Proc. Int. Symposium "Modelling
cropping systems", ESA, Lleida, 21-23 June, 1999, Catalonia, Spain, 287-288.
Danuso F., 2003. SEMoLa: uno strumento per la modellazione degli agro ecosistemi. Convegno SIA, Napoli.
Makowski D. et al. 2001. Statistical methods for predicting responses to applied nitrogen and for calculating optimal
nitrogen rates. Agronomy Journal 93, 531–539.
Ringraziamenti
Il lavoro è stato realizzato grazie al supporto finanziario della Regione Friuli Venezia Giulia, progetto “Filiere
agroenergetiche“ LR n. 26, 10/11/2005.
28
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Artemisia annua L.: Agrotecniche per gli Ambienti a Clima
Caldo-Arido
Marcello Scarcella, Francesco Grassi, Marcello Mastrorilli
CRA-CAR, Lecce, [email protected]
Introduzione
Nella ricerca di possibili “filiere” produttive alle aziende agricole si offrono nuove prospettive colturali
con le piante officinali. I derivati delle officinali sono favoriti da una crescente richiesta di farmaci
“naturali”, dalla necessità di ridurre i costi dei farmaci “di sintesi” e dalle aumentate conoscenze
scientifiche che riguardano gli estratti dalle piante. L’introduzione di una coltura ‘alternativa’ negli
ordinamenti colturali tradizionali, necessita la messa a punto di agrotecniche che siano specifiche per
l’ambiente e per il principio attivo da ricavare. Emblematico è, negli ambienti a clima semi-arido, il
caso dell’Artemisia annua L. da cui si origina una filiera produttiva basata sull'estrazione di
artemisinina, P.A. utilizzato per la produzione di un farmaco antimalarico. L’obiettivo della ricerca è di
individuare le agrotecniche più appropriate per l'ambiente meridionale.
Metodologia
Le prove sono state realizzate in agro di Monteroni (Le), in due annate. Dopo la semina in contenitori
di polistirolo (inizio aprile) le piantine giunte a circa 20 cm (Maggio) sono state poi trapiantate in
campo nella prima decade del mese di maggio. Il dispositivo sperimentale, realizzato in 2 annate (2005
e 2006), prevedeva il confronto tra 2 genotipi migliorati (Pericle e Krono), 4 volumi irrigui (adacquate
di 30 mm al trapianto e ad intervalli corrispondenti a 40, 60 e 120 mm di evapotraspirazione calcolata),
6 densità di impianto (da 2,8 a 11,1 piante*m-2) e 4 dosi di azoto (da 0 a 120 kg*ha-1). Per ogni variabile
agronomica è stato adottato uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con 3 ripetizioni.
Risultati
Il decorso meteorologico durante le due annate di prova si è rivelato simile e non ha influenzato le
variabili agronomiche in prova. Anche i genotipi hanno fornito produzioni equivalenti per quanto
riguarda la biomassa (sia fresca che secca). I dati riportati rappresentano la media delle due annate e dei
due genotipi (fig. 1). Le produzioni finali (fino ad un massimo di 70 e 31 t*ha-1 rispettivamente per la
biomassa fresca e secca) sono state influenzate dalla densità di impianto (fino a 7,5 piante m-2) e dagli
apporti di acqua irrigua (è risultato significativo l’effetto dell’irrigazione, ma non dei differenti volumi
irrigui). La produzione in biomassa di artemisia non ha risposto significativamente alla concimazione
azotata, probabilmente a causa del precedente colturale (tabacco). Durante il ciclo vegetativo sono stati
effettuati prelievi settimanali per individuare il massimo livello di concentrazione dell’artemisinina
nelle piante al fine di determinare il periodo ottimale per la raccolta (la concentraz. di P.A. aumenta
dall'induzione antogena sino alla fioritura incipiente). Il ‘picco’ di P.A. tende a diminuire dall’inizio
alla fine della fioritura ed è stato registrato tra la metà di agosto e la seconda decade di settembre. Le
concentrazioni medie sono variate tra 0,8 e 0,9 % e sono considerate soddisfacenti per l’industria
farmaceutica. Anche se non significativamente significative, le concentrazioni di artemisinina variano
con l’annata, mentre alte densità ed elevate somministrazioni azotate tendono a sfavorire la formazione
di principio attivo nei tessuti vegetali.
Conclusioni
Essendo l’artemisia una pianta molto vigorosa ed essenzialmente libera da malattie, la produttività è
elevata anche con modesti input agronomici, Questo lascia pensare ad una facile introduzione nei
sistemi colturali degli ambienti a clima caldo-arido. Questa caratteristica di rusticità diventa
particolarmente allettante in agricoltura biologica per la quale potrebbe fornire piante officinali salubri
ottenute con pratiche agronomiche meno inquinanti.
29
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Figura 1. Effetti di tre variabili agronomiche sulla produzione in sostanza secca (S.S.) epigea di Artemisia annua L.
Tabella 1. Concentrazioni di artemisinina in funzione di due variabili agronomiche
2005
-2
2006
-1
n° piante m
Kg ha di N
11.1
5.5
2.8
5.5
5.5
5.5
60
60
60
0
60
120
"Artemisinina"
(c% p/p)
0.76
0.79
0.76
0.84
0.75
0.76
-2
n° piante m
Kg ha-1 di N
7.3
4.5
3.3
4.5
4.5
4.5
60
60
60
0
30
60
"Artemisinina"
(c% p/p)
0.89
0.98
0.94
0.94
0.96
0.96
Bibliografia
Klayman, D.L. 1985. Qinghaosu (Artemisinin): an antimalarial drug from China. Science 228:1049-1055.
Simon, J.E., D. Charles, et al. l990. Artemisia annua L.: A promising aromatic and medicinal. p.522-526. Advances in New
Crops. Timber Press, Portland, Oregon.
30
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Rese quanti-qualitative del Frumento duro (Triticum
durum Desf.) a fertilizzanti azotati convenzionali ed
innovativi
Fabio Stagnari, Stefano Speca, Michele Pisante
Centro di Ricerca e Formazione in Agronomia e Produzioni vegetali, Dip.di Scienze degli Alimenti, Univ. Teramo, IT;
[email protected]
Introduzione
Per la filiera del frumento duro (Triticum durum Desf.) destinato alla trasformazione in semola e paste
alimentari di qualità, la gestione della fertilizzazione azotata rappresenta una delle pratiche agronomiche
determinanti per ottenere una maggiore resa in granella e di adeguata qualità tecnologica.
La disponibilità azotata determina un incremento del contenuto proteico (Bonciarelli e Ciriciofolo,
2001; Lloveras et al., 2001) ed in particolare condizioni di elevata disponibilità, si osserva un aumento
della frazione gliadinica e del contenuto in glutenine, di conseguenza un positivo aumento del rapporto
gliadine/glutenine (Johansson et al., 2001).
Il presente lavoro riporta risultati conseguiti in ricerche condotte in una località tipica della collina non
irrigua interna dell’Italia centrale con l’obiettivo prioritario di valutare la risposta produttiva e
qualitativa del frumento duro in funzione di un differente programma di fertilizzazione azotata:
convenzionale e innovativo, con formulati a lento rilascio.
Metodologia
La ricerca è stata condotta nel 2008/2009 a Mosciano S. Angelo presso i campi sperimentali del Centro
di Ricerca e Formazione in Agronomia e Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Teramo. Il
terreno che ha ospitato le prove è di tipo franco-argilloso con le seguenti caratteristiche: argilla 41%,
limo 25%, sabbia 34%, pH (acqua) 7,8, azoto totale 0,11%, sostanza organica 1%, P 76 ppm, K2O 567
ppm, densità apparente 1,31 kg dm-3. Il clima è stato caratterizzato da temperature minime invernali
spesso inferiori a 0°C e da temperature massime di circa 33-35°C. Le piogge (680 mm) si sono
concentrate in autunno e primavera. Secondo un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 4
repliche, su parcelle di dimensioni 2,25 x 6,6 m sono state poste a confronto le tesi fertilizzanti riportate
in tabella 1. La tesi fertilizzante non a pronto effetto era costituita da Fosfactyl D-Coder (Timac Agro
Italia S.p.A.), caratterizzato da una mobilità e solubilità crescenti per la presenza di una membrana
MPPA e da Sulfammo (Timac Agro Italia S.p.A.), caratterizzato da una doppia membrana MeTA +
MPPA che minimizza le perdite per dilavamento e volatilizzazione. Il letto di semina è stato preparato
seguendo le più diffuse tecniche agronomiche praticate nella zona delle prove. Il frumento duro (varietà
Grecale) è stato seminato il 7 dicembre 2008. La distribuzione dei fertilizzanti è stata effettuata secondo
le indicazioni (formulati, dosi ed epoche) riportate in tabella 1.
Tabella 1. Tesi sperimentali a confronto
Tesi a confronto
Testimone non fertilizzato
18-46 + Urea
18-46 + Nitrato ammonico
Fosfactyl D-coder + Sulfammo
Dose azoto
(Kg ha-1)
--36 + 92
36+ 92
6 + 46
Azoto nel form.
comm. (%)
--18 + 46
18 + 26
3 + 23
Epoca di
Applicazione
--Pre-semina/accest.
Pre-semina/accest.
Pre-semina/accest.
Le infestanti sono state controllate in post-emergenza con Hussar max (iodosulfuron-metile +
mesosulfuron-metile). Durante il ciclo colturale sono state rilevate il n° di piante per metro quadrato, la
31
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
lunghezza delle spighe e l’altezza delle piante. La raccolta è stata eseguita il 1° luglio 2009. Tutte le
componenti la resa produttiva sono state rilevate, misurate e determinate prima della raccolta mentre,
dalla produzione areica, sono stati prelevati campioni di granella per le analisi di laboratori quali:
umidità, contenuto proteico, contenuto in glutine e peso ettolitrico.
Tutti i dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA). Nella separazione delle
medie, è stato considerato un livello di significatività pari a P<0,05.
Risultati
I parametri quanti-qualitativi ottenuti alla raccolta sono riportati in tabella 2. La tesi fertilizzante
non a pronto effetto ha fatto registrare alla raccolta un più elevato n° di piante per m-2 (304), una
maggior lunghezza delle spighe e soprattutto una più elevata produzione areica (4,9 t ha-1). Nel
caso dei parametri qualitativi, la tesi fertilizzante non a pronto effetto ha fatto registrare valori
significativamente più elevati rispetto al testimone non trattato e non differenti dalle altre tesi
azotate convenzionali.
Tabella 2. Parametri produttivi e qualitativi del frumento duro fertilizzato con fertilizzanti azotati convenzionali e non a
pronto effetto.
2
Lungh.
spighe
(cm)
Testimone non fertilizzato
18-46 + Urea
18-46 + Nitrato ammonico
Fosfactyl D-coder + Sulfammo
205
279
299
304
7,0
7,2
7,2
7,6
MDS (p<0,05)
Sign.
19,4
**
0,17
**
Tesi allo studio
-
Piantem
Granella al
Peso
Prot.
Glut.
12% di
ett.
(% s.s.) (% s.s.)
umidità
(Kg hl-1)
-1
(t ha )
2,5
13,9
11,0
78,7
4,5
14,5
11,6
76,4
4,3
14,9
11,7
77,9
4,9
14,5
11,5
77,7
0,10
**
0,44
**
0,32
**
n.s.
In particolare la fertilizzazione a lento rilascio ha determinato valori del contenuto in proteine del
14,5% (13,9% per il testimone non fertilizzato) e del contenuto in glutine dell’11,5% (11,0% per il
testimone non fertilizzato).
Tali valori sono stati confermati anche dai dati di SPAD (dati non riportati) misurati durante le
ultime fasi del ciclo colturale. Il contenuto di clorofilla nella foglia a bandiera (e quindi la
disponibilità azotata) è risultata sempre superiore nelle parcelle trattate con i fertilizzanti a lento
rilascio. Per tutti i trattamenti fertilizzanti si è evidenziato un trend decrescente nell’ultima fase del
ciclo della coltura.
Conclusioni
I fertilizzanti azotati a lento rilascio, modulando nel tempo la disponibilità azotata verso la coltura,
si rilevano interessanti per l’ottenimento di rese elevate nei cereali a ciclo autunno-vernino come il
frumento duro. Anche l’effetto sui principali parametri qualitativi della granella risulta positivo.
Bibliografia
Bonciarelli U., Ciriciofolo E. 2001. Studio delle modifiche indotte da fattori agronomici sulla qualità del frumento duro.
XXXIV Conv. SIA, Pisa, 2001. Pisa: Felici Ed. 149-150.
Johansson E. et al. 2001. Effects of wheat cultivar and nitrogen application on storage protein composition and
breadmaking quality. Cereal Chem., 78:19-25.
Lloveras J.et al. 2001. Bread-making wheat and soil nitrate as affected by nitrogen fertilization in irrigated mediterranean
conditions. Agron. J., 6:1183-1190.
Wieser H., Seilmeier W. 1998. The influence of nitrogen fertilization on quantities and proportions of different protein
types in wheat flour. J. Sci. Food Agric.,76:49-55.
32
SESSIONE II – AGRONOMIA E AMBIENTE
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Key note
Valutazione dell’Efficacia Ambientale delle Norme di
Condizionalità:
Primi Risultati del Progetto EFFICOND
Paolo Bazzoffi1 e C. Zaccarini Bonelli2
1
CRA. Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia Firenze, IT, 2Rete Rurale/Ismea, Roma
[email protected]
Introduzione
Il progetto EFFICOND (EFFicacia della CONDizionalità) nasce dall’esigenza specifica della Rete
Rurale Nazionale (RRN) di “monitorare e valutare” le azioni a tutela dell’ambiente demandate dalla
PAC alla politica agricola nazionale. Esso si propone di fornire all’Unità Nazionale di Animazione e
Coordinamento (UNAC) della RRN presso il MiPAAF (operante in sinergia con l’Agenzia le
Erogazioni in Agricoltura - AGEA) strumenti idonei alla valutazione di mid-term dell'efficacia
ambientale delle azioni agronomiche contenute nelle Norme di Condizionalità, miranti al
conseguimento delle Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali (BCAA) – quale obbligo
Comunitario derivante dal Regolamento CE n. 1782/03 (Annesso IV) da assolvere nel 2010.
Figura 1. Localizzazione delle U.O. del progetto EFFICOND
Il progetto promuove sinergie fra competenze diverse, in quanto coinvolge 4 dipartimenti e 10 strutture
fra Centri e Unità di Ricerca CRA, dislocati sull’intero Territorio Nazionale, in aree rappresentative
delle diverse realtà ambientali e produttive del Paese. Ciò determina una rilevante ricaduta scientifica,
sia in termini di acquisizione di nuove conoscenze sia per la comparabilità degli effetti delle Norme in
ambienti diversi. Nella figura 1 viene mostrata la localizzazione delle U.O. del CRA che partecipano al
progetto EFFICOND.
35
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
L’obbiettivo primario di valutare l' efficacia ambientale delle Norme è focalizzato all’ottenimento di
risposte quantitative e alla definizione di impegni di condizionalità sempre più mirati; cercando di
proporre una semplificazione, ove possibile, delle pratiche agronomiche richieste per l’ottenimento
degli obbiettivi ambientali; oppure proponendo una implementazione delle Norme con ulteriori impegni
per l'ottenimento di una maggiore efficacia.
I risultati fin qui raggiunti dal progetto EFFICOND vengono presentati sotto forma di risposta a precisi
quesiti posti dall'allegato IV del REG. CE n. 1782/03 e successive modificazioni
Obiettivo 1: proteggere il suolo dall'erosione mediante misure idonee
Quesito 1.1.: In che misura la realizzazione dei solchi acquai apporta un contributo positivo alla
protezione del suolo dall'erosione? Riferimento: Norma 1.1
Quesito 1.2.: In che misura il mantenimento dei terrazzamenti e dei ciglionamenti apporta un contributo
positivo alla protezione del suolo dall'erosione? Riferimento: Norma 4.4
Quesito 1.3.: In che misura il divieto di effettuare livellamenti del terreno non autorizzati apporta un
contributo positivo contro la perdita di suolo? Riferimento: Norma 4.4
Quesito 1.4.: In che misura la copertura minima del suolo prevista per i terreni ritirati dalla produzione
apporta un contributo positivo alla protezione del suolo dall'erosione? Riferimento: Norma 4.2
Obiettivo 2: mantenere i livelli di sostanza organica del suolo mediante opportune pratiche
Quesito 2.1.: In che misura la gestione delle stoppie e dei residui colturali apporta un contributo positivo
al mantenimento dei livelli di sostanza organica del suolo? Riferimento: Norma 2.1
Quesito 2.2.: In che misura l'avvicendamento delle colture apporta un contributo positivo al
mantenimento dei livelli di sostanza organica del suolo? Riferimento: Norma 2.2
Obiettivo 3: mantenere la struttura del suolo mediante misure adeguate
Quesito 3.1.: In che misura la manutenzione della rete idraulica aziendale, rivolta alla gestione e
conservazione delle scoline e dei canali collettori evita il deterioramento della struttura del suolo?
Riferimento: Norma 3.1
Quesito 3.2.: In che misura le lavorazioni del terreno in condizioni di umidità appropriate (stato di
“tempera”) evita il deterioramento della struttura del suolo? Riferimento: Norma 3.1
Obiettivo 4: assicurare un livello minimo di mantenimento ed evitare il deterioramento degli habitat
Quesito 4.1.: In che misura il divieto di ridurre la superficie a pascolo permanente evita il
deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.1
Quesito 4.2.: In che misura il divieto di conversione della superficie a pascolo ad altri usi evita il
deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.1
Quesito 4.3.: In che misura il rispetto della densità di bestiame non superiore a 4 UBA/ha e non
inferiore a 0,2 UBA/ha evita il deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.1
Obiettivo 4: assicurare un livello minimo di mantenimento ed evitare il deterioramento degli habitat
Quesito 4.4.: In che misura la prevenzione della propagazione di vegetazione indesiderata sulle
superfici agricole ritirate dalla produzione assicura un livello minimo di mantenimento ed evita il
deterioramento degli habitat? Riferimento: Norma 4.2
Quesito 4.5.: In che misura la manutenzione delle piante d'olivo in buone condizioni vegetative assicura
un livello minimo di mantenimento dei terreni, evita il deterioramento degli habitat e l'abbandono
(compreso la diminuzione del rischio di propagazione delle infestanti e il rischio di incendi)?
Riferimento: Norma 4.3
Quesito 4.6.: In che misura la manutenzione dei vigneti in buone condizioni vegetative (tramite la
potatura invernale annuale e l’eliminazione dei rovi e di altra vegetazione pluriennale infestante almeno
una volta ogni tre anni) assicura un livello minimo di mantenimento dei terreni, evita il deterioramento
degli habitat e l'abbandono? Riferimento: Norma 4.3
Quesito 4.7.: In che misura il mantenimento degli elementi caratteristici del paesaggio (terrazzi)
assicura un livello minimo di mantenimento dei terreni ed evita il deterioramento degli habitat?
Riferimento: Norma 4.4
36
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione della Vocazione Territoriale
alla Coltivazione di Piante Officinali
Marco Barbaro, Alvaro Rocca, Francesco Danuso
Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali, Uniersità di Udine, IT, [email protected]
Introduzione
La valutazione dell’idoneità ambientale alla coltivazione di una pianta può essere basata sul concetto di
“habitat”. I modelli di habitat (habitat suitability models, HSM) sfruttano conoscenze territoriali al fine
di definire, per ciascuna unità di valutazione, l’idoneità alla crescita di una pianta in un determinato
ambiente. I modelli di habitat possono essere impiegati per prevedere i luoghi in cui una specie può
essere ritrovata allo stato spontaneo oppure per stabilire i luoghi più adatti alla sua coltivazione.
L'habitat è il luogo in cui le caratteristiche ambientali permettono la vita e lo sviluppo di una
determinata specie. L’identificazione dell’habitat è importante anche quando si vuole addomesticare o
mettere in coltura un specie spontanea. In tal caso però, oltre alle condizioni ambientali è necessario
prendere in considerazione anche le esigenze agronomiche, produttive e la collocazione logistica delle
colture. I modelli di habitat per le piante possono essere realizzati impiegando informazioni a priori (già
disponibili sul comportamento della specie) oppure a posteriori, ottenute da rilievi o prove sperimentali
sul territorio allo studio. Di seguito viene illustrata una metodologia basata sull’utilizzo delle
informazioni a priori.
Metodologia
La metodologia per la valutazione della vocazione colturale per piante officinali è basata sull’impiego
di funzioni di valore fuzzy (Nisar et al., 2000, Sicat et al., 2005) e su tre criteri:
1) Adattamento ambientale e sostenibilità delle produzioni (d’interesse per il decisore pubblico);
2) Aspetti agronomico-logistico-produttivi (d’interesse per il coltivatore);
3) Qualità del prodotto (d’interesse per il
trasformatore).
Per ogni criterio vengono calcolati dei macro
indicatori di idoneità, derivati da indicatori di base
ottenuti dalle caratteristiche del territorio. L’indice
di valutazione della vocazione colturale Iv è
calcolato come media pesata dei macro indicatori,
moltiplicata per un indicatore di idoneità del suolo
(Iuso):
Iv=Iuso (Pn Ivn + Pr Ivr + Pq Ivq )
Figura 1. Funzione di valore per il calcolo
dove:
dell'indicatore Ialta (effetto dell’
Ivn
indicatore di vocazione naturale;
altitudine).
Ivr
indicatore di vocazione agronomicoproduttiva;
Ivq
indicatore di vocazione qualitativa.
L’indice Iv e tutti gli indicatori, eccetto Iuso, assumono valori continui da zero a uno; uno indica il
valore ottimale e zero il peggiore. Pn, Pr e Pv sono i pesi relativi ai tre criteri, con somma pari a 1.
L’indicatore di uso del suolo Iuso si ricava dalle carte di uso del suolo.
Gli indicatori Ivn, Ivr e Ivq si ottengono, ciascuno, come media degli indicatori di base Ialta (effetto
dell’altitudine sull’adattamento della pianta), Ialtr (effetto dell’altitudine sulla resa), Ialtq (effetto
dell’altitudine sulla qualità), Islope (influenza della pendenza), Ihs (influenza dell’insolazione) e Idieq
(raggiungibilità dei siti, legata a distanza e dislivello rispetto alle strade):
Ivn=(Ialta+Ihs)/2 Ivr=(Ivn+Ialtr+Islope+Idieq)/4
Ivq=(Ivn+Ialtq)/2
37
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Gli indicatori di base si ricavano da caratte-ristiche del territorio, attra-verso l’impiego di “funzioni di
valore” che restituiscono
' - Calcolo indicatore altitudine
- produzione(Ialta)
valori da zero a uno. Lo scopo
import Alt.txt as(ArcGis) gen(Alt) type(float)
di queste funzioni è quello di
normalizzare
le
caratte' - parametri funzione di valore perlavanda
ristiche del territorio rilevate e
scalar Aopt1=300 ' Altitudine ottimale minima
di attribuire un significato ai
scalar Aopt2=800 ' Altitudine ottimale massima
' deviazione standard 1
scalar SD1=200
loro valori numerici, in
' deviazione standard 2
scalar SD2=300
relazione all’ obiettivo della
valutazione. Se ne riporta un
' – generazione griglia Ialta, esportazione e mappa
esempio in figura 1 per
generate Ialta=mbell(Alt,Aopt1,Aopt2,SD1,SD2)
export Ialta as(ArcGis) saving(Ialta.txt)
l’indicatore Ialta.
map Ialta vect(Strade_e_ferrovie_2000.shp,16512,1)
La procedura di valutazione
per la produzione di mappe di
vocazione (esportabili ad altri
Figura 2. Esempio di script SemGrid per il calcolo dell'indicatore Ialta
ambienti GIS) è stata
implementata come script di
comandi (figura 2) in
SemGrid (Danuso e Sandra,
2006) e può essere facilmente
adattata ad altre specie
officinali.
Risultati e conclusioni
Sulla base delle informazioni
territoriali disponibili è stata
messa a punto una procedura
per lo studio della vocazione
colturale del territorio per le
piante
officinali.
Tale
procedura ha lo scopo di
generare mappe di vocazione
che tengano conto di aspetti di
adattamento ambientale della Figura 3. Carta della vocazione per la coltivazione della lavanda (area montana
specie, produttività, qualità del
della regione Friuli Venezia Giulia).
prodotto e accessibilità dei siti
per la coltivazione.
Come esempio, si riporta una applicazione della procedura proposta alla valutazione della vocazione
per la coltivazione della lavanda nel territorio montano del Friuli Venezia Giulia (figura 2). Per l’uso del
suolo è stata impiegata la carta Moland (JRC, 2002), considerando ammissibili solo le celle con
categorie a seminativo, prati e pascoli, incolto e vegetazione rada. A tali celle è stato assegnato il valore
uno mentre le rimanenti categorie di uso del suolo hanno ricevuto il valore zero.
Le mappe di vocazione possono essere calcolate secondo punti di vista diversi, come quelli del
coltivatore, del trasformatore o del decisore territoriale, cambiando i valori da adottare per i pesi Pn, Pr
e Pq. Tale strumento può costituire la base per interventi sul territorio a sostegno di produzioni di
nicchia. La procedura di valutazione svilup-pata è facilmente applicabili ad altre situazioni modificando
il relativo script e impiegando SemGrid, entrambi disponibili gratuitamente attraverso la rete.
Bibliografia
Danuso F. and Sandra M., 2006. SemGrid: land application of epidemiological and crop models. IX ESA Congress.
Bibliotheca Fragmenta Agronomica. Vol. 11, Part II, 631-632.
Nisar Ahamed T. R. et al. 2000. GIS-based fuzzy membership model for crop-land suitability. Agric. Syst., 63: 75-95.
Sicat Rodrigo S. et al.. 2005. Fuzzy modeling of farmers knowledge for land suitability classif. Agric. Syst., 83: 49-75.
JRC Joint Research Centre-Institute for Environment and Sustainability, 2002. Final report of "Moland project in Friuli
Venezia Giulia region”.
38
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Flussi di Elementi Nutritivi in Aziende da Latte del
Fondovalle Alpino
Monica Bassanino1, Annalisa Curtaz1, Mauro Bassignana2, Carlo Grignani1, Dario Sacco1
1
Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Univ. Torino, IT
2
Institut Agricole Régional, Aosta, IT
Introduzione
È oggi ancora diffuso sulle Alpi italiane un sistema zootecnico tradizionale che permette da un lato di
gestire aree marginali, e dall’altro di valorizzare la produzione di latte sotto forma di formaggi DOP di
alta qualità. In Val d’Aosta sono allevati circa 39.000 capi bovini; gli animali sono stabulati
dall’autunno alla primavera in fondovalle, mentre nel periodo estivo monticano in alpeggio. Il latte
prodotto (circa 48.000 t all’anno) viene perlopiù trasformato in formaggi Fontina e Toma. Questa filiera
agro-alimentare costituisce più del 77% dell’economia agricola regionale.
Molti Autori hanno studiato i pascoli alpini, ambienti molto sensibili al degrado (erosione del suolo,
perdita di fertilità, sovrapascolamento o, viceversa, abbandono ed invasione di arbusti). Meno comune è
lo studio delle problematiche agro-ambientali delle aree di fondovalle: qui il carico zootecnico può
essere molto rilevante, e i reflui zootecnici aziendali sono spesso gestiti male, su piccole porzioni di
terreno. Con l’obiettivo di studiare la sostenibilità ambientale della zootecnia di fondovalle, in un
campione di aziende valdostane è stato calcolato un bilancio a scala aziendale per N e P, sono stati
analizzati i principali problemi agro-ambientali emersi e sono stati suggeriti alcuni possibili interventi, a
scala sia aziendale che sovra-aziendale.
Metodologia
Nel comune di Fontainemore, dove l’economia è ancora prettamente agricola, sono state selezionate 25
aziende, rappresentative del 90% dei capi e dell’80% della SAU comunali. Gli allevatori sono stati
intervistati relativamente alla gestione aziendale; altri dati sono stati raccolti tramite osservazioni dirette,
campionamenti di prodotti, fatture di acquisto e di vendita, consultazione di database ufficiali. Poiché lo
studio fa riferimento alla gestione dell’azienda di fondovalle, il periodo estivo non è stato considerato.
Tutti i dati sono stati quindi trasformati in flussi di N e P, espressi in kg per ettaro di fondovalle per
anno.
Le aziende sono state classificate tramite cluster analysis, sulla base di 5 fattori: superficie di
fondovalle, capi allevati, durata dell’alpeggio, produzione di foraggio nel fondovalle, produzione di
latte/formaggio. Sono stati quindi calcolati i bilanci apparenti a scala aziendale per N e P, sulla base
della formulazione di Simon & Le Corre (1992): come dati di input sono stati considerati tutti i flussi in
ingresso all’azienda (foraggi, mangimi, animali vivi, materiali di lettiera, apporti biologici), mentre i
dati di output sono i flussi di prodotti ceduti (latte, formaggi, carne, reflui zootecnici). Per ciascuna
azienda è stato così possibile calcolare il surplus di bilancio, nonché alcuni indicatori di efficienza.
Risultati
La cluster analysis ha classificato le aziende in tre gruppi (tabella 1). Secondo questa classificazione, i
dati aziendali sono stati elaborati per calcolare i surplus di N e P2O5 (tabella 2).
Il gruppo A identifica le aziende con molti capi, ma senza terra di fondovalle, nelle quali il carico
zootecnico è fortemente sbilanciato. Poiché l’auto-approvigionamento di foraggi è minimo, nel periodo
trascorso in fondovalle devono essere acquistati grandi quantitativi di alimenti zootecnici. Gli allevatori
spostano perciò le mandrie in alpeggio molto presto, dove rimangono per più di 4 mesi. I pochi terreni
di fondovalle ricevono grandi apporti di reflui zootecnici, nonostante più dell’80% dei reflui venga
ceduto. La produzione di latte è buona, ma l’indice di conversione dell’alimento è mediocre.
39
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1. Principali caratteristiche dei tre gruppi di aziende.
SAU
aziende
n.
fondo
valle
mandria
alpeggio
ha
monticazione
ha
gg
di cui
vacche
capi
n. UBA/ha
produzione di
latte
fieno
utilizzato
letame
kg/
kg/kg aziendale ceduto distribuito
no. UBA alimento /totale %
% kg N/ha
A
2
2.1
94.7
128
72
22.4
36 2.151
2.0
3.9
82
B
8
12.6
31.0
76
38
2.6
26 2.011
2.7
40.8
37
215
69
C
15
3.3
11.5
80
15
4.5
8 1.207
2.8
67.8
19
128
Tabella 2. Voci di bilancio per N e P2O5 (kg/ha) nei tre gruppi di aziende.
Il gruppo B identifica aziende di
medie dimensioni, con buona
disponibilità di superfici foraggere
N
P2O5
in fondovalle: il carico zootecnico
A
B
C
A
B
C
è molto basso. Poiché c’è una
input
buona disponibilità di foraggi
fieno
596
47
68
203
16
25
aziendali, gli allevatori ricorrono
mangime
601
56
60
338
37
36
meno all’acquisto extra-aziendale,
altro
110
51
54
25
3
4
e la mandria alpeggia per circa 2
output
mesi e mezzo. La produzione di
latte è simile al gruppo A, ma con
letame
870
64
68
399
29
31
una maggiore efficienza di
latte/formaggio
246
28
24
99
11
9
conversione dell’alimento. I terreni
animali vivi/carne
56
10
11
47
8
9
di fondovalle ricevono poco refluo,
SURPLUS
135
52
79
21
8
16
senza che i fabbisogni nutritivi
delle colture siano soddisfatti.
venduto/acquistato
24% 36% 24%
26% 35% 29%
Ciononostante, un terzo del refluo
venduto/totale input
22% 24% 18%
25% 33% 27%
zootecnico viene ceduto.
Il gruppo C identifica aziende di
piccole dimensioni, sia per il numero di capi allevati che per la disponibilità di terreni. Il carico
zootecnico è medio. C’è una certa disponibilità di foraggi, e gli acquisti non sono rilevanti. L’efficienza
di conversione dell’alimento è simile al gruppo B, ma con animali poco selezionati la produzione di
latte è bassa. Solo un quinto del refluo zootecnico viene ceduto.
Relativamente al bilancio a scala aziendale, sia per N che per P si evidenziano i più alti valori di surplus
nel gruppo A, ma anche il gruppo C, vista la scarsità di terreni, segnala surplus non indifferenti. La
tipologia di azienda a maggior sostenibilità risulta il gruppo B, nel quale i surplus sono minori e gli
indicatori di performance hanno i valori più alti. Una maggior attenzione alla qualità e quantità
foraggera potrebbe però far migliorare i risultati aziendali.
Conclusioni
Costi di produzione del latte sempre maggiori portano gli allevatori ad ottimizzare la dimensione della
mandria in funzione della capacità foraggera d’alpeggio. Spesso però viene trascurata la gestione delle
superfici di fondovalle, in cui la pressione zootecnica è eccessiva. A scala aziendale, la produzione
foraggera potrebbe essere incrementata, limitando il ricorso agli acquisti di foraggio. A scala sovraaziendale, potrebbe venire realizzato un centro di compostaggio, dal quale redistribuire il letame su
richiesta alle aziende conferenti, delocalizzandone il surplus verso aziende non zootecniche.
Bibliografia
Simon, J.C., Le Corre, L. 1992. Le bilan apparent de l'azote à l'échelle de l'exploitation agricole: méthodologie, exemples
de résultats. Fourrages, 129:79-94.
40
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
La Gestione della Concimazione Azotata nell’Agricoltura di
Precisione. un Esempio Applicativo nel Mais
Raffaele Casa, Andrea Cavalieri, Benedetto Lo Cascio
Dip. Produzione Vegetale, Univ. della Tuscia, IT, [email protected]
Introduzione
Per la gestione della concimazione azotata di colture cerealicole, in un contesto di agricoltura di
precisione, sono stati proposti approcci molto diversificati. Si va dall’utilizzo di strumenti detti “on-thego” che regolano istantaneamente la dose di concime da apportare tenendo conto della variabilità
spaziale dello stato della coltura (Tremblay et al. 2009), a metodi che prevedono la redazione di “mappe
di prescrizione” delle dosi di N. Questi ultimi si basano sull’utilizzo di funzioni di risposta della resa
all’azoto o su diversi metodi di monitoraggio della coltura tra cui il telerilevamento satellitare (Blondlot
et al. 2005). Esistono due principali strategie per la definizione delle mappe di prescrizione. La prima
consiste nel prevedere una variabilità continua di applicazione dell’azoto e porta a definire delle mappe
che riflettono pienamente la variabilità spaziale osservata nei fattori della produzione. Una seconda
strategia consiste nell’individuare, nell’ambito di un appezzamento, zone relativamente omogenee,
all’interno delle quali le dosi da somministrare sono costanti. Mentre il primo approccio è teoricamente
più corretto, l’applicazione di tale strategia necessita di sistemi di applicazione a rateo variabile o VRA
(Variable Rate Application) attualmente abbastanza costosi. La seconda strategia è quindi, in via di
principio, più compatibile con l’utilizzo di attrezzature normalmente presenti nelle aziende agrarie.
In questo lavoro viene esaminato un caso di utilizzo delle informazioni sulla variabilità spaziale delle
proprietà del suolo e della resa della coltura, per definire la dose di concimazione azotata del mais da
distribuire nel secondo intervento in copertura, mediante identificazione di zone di gestione omogenea.
Si è cercato di valutare aspetti agronomici, economici ed ambientali in un confronto con la strategia di
concimazione uniforme normalmente adottata dall’azienda.
Metodologia
La prova si è svolta nell’azienda agricola Maccarese S.p.A. (Fiumicino, Roma), in un appezzamento
pianeggiante di circa 37 ettari, composto da “prese” di circa 10 ettari ciascuna di forma regolare,
suddivise da scoline, coltivato a mais da granella nei 2 anni della prova.
Ad aprile 2007 è stato effettuato un campionamento del suolo secondo uno schema sistematico a griglia
di 40 x 40 m per complessivi 97 punti georeferenziati con GPS. Ciascun campione è stata sottoposto
all’analisi granulometrica e del contenuto di sostanza organica. I dati analitici sono stati elaborati con
tecniche geostatistiche per ottenere le mappe del contenuto di argilla, limo, sabbia e sostanza organica
mediante kriging ordinario.
Si è poi utilizzata una procedura di classificazione multivariata (Fridgen et al. 2004), per la definizione
di zone di gestione omogenea in base ai dati delle proprietà del suolo e della produttività della coltura
stimata in base ai dati della resa del 2007, ottenuti mediante mietrebbiatrice dotata di GPS e sistema di
mappatura. Per ciascuna zona è stato calcolato un bilancio semplificato dell’azoto (Grignani et al.,
2003) per definire la dose di concime da apportare nelle diverse zone, limitatamente al secondo
intervento in copertura. Per confrontare i risultati della concimazione uniforme con quella a dosi
variabili nello spazio, si è deciso di applicare nel 2008 le dosi prescritte dal bilancio dell’azoto per le
zone di gestione omogenea solo in metà di ciascuna presa, mentre nell’altra è stata applicata una dose
uniforme di 200 kg ha-1 di urea, come da pratica aziendale corrente. L’assegnazione di ciascuna
strisciata (corrispondente a metà presa) alla concimazione variabile o uniforme è stata effettuata
mediante randomizzazione. In tale maniera la prova è assimilabile ad uno schema sperimentale a
blocchi randomizzati con quattro repliche.
Per valutare la convenienza economica all’adozione della concimazione azotata a dosi variabili è stato
calcolato il margine lordo come: ML(€ ha-1)=Y*Pg-N*PN, dove Y è la resa (t ha-1), Pg è il prezzo della
granella (€ t-1), N è la dose di azoto utilizzata (t ha-1) e PN è il prezzo dell’unità di azoto (€ t-1). Y è stato
41
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
ricavato dalla mappatura della resa, mentre per gli altri termini i valori utilizzati sono stati Pg = 167 € t-1
e PN=389 € t-1 (valori medi degli anni 2005-2008).
Un campionamento sistematico del suolo (su griglia regolare) è stato infine svolto a fine ciclo colturale
del mais (settembre 2008) fino ad una profondità di 80 cm in 92 punti. I campioni sono stati sottoposti
ad analisi del contenuto d’azoto in forma nitrica.
Risultati
I risultati del confronto sono stati analizzati dal punto di vista delle conseguenze agronomiche,
economiche ed ambientali dell’adozione della concimazione a dosi variabili. Dal punto di vista
produttivo, l’analisi della varianza dei dati della resa di ciascuna area, raccolti con mietitrebbia dotata di
GPS e sistema di mappatura, non ha mostrato differenze significative tra le strisciate in cui è stata
effettuata la concimazione a dosi variabili (tra 150 e 200 kg ha-1 di urea) e quelle di controllo in cui è
stata effettuata la concimazione uniforme con 200 kg ha-1 di urea.
L’analisi dei risultati del calcolo del margine lordo per i due trattamenti non ha rivelato differenze
significative in termini statistici. Tuttavia se la concimazione a dosi variabili fosse stata adottata su tutta
la superficie prevista dalla mappa di prescrizione, estendendola anche alle strisciate gestite in maniera
uniforme, essa avrebbe portato ad un risparmio complessivo per la zona del campo in cui è stata
effettuata la prova (9 ha) , di circa 8 € ha-1.
I risultati delle analisi dell’azoto nitrico nel suolo (strato 0-80 cm) a fine ciclo, evidenziano una certa
variabilità spaziale con valori compresi tra 58 e 65 kg N-NO3- ha-1. E’ noto che l’azoto in forma nitrica
che rimane nel suolo a fine ciclo è un indicatore dell’efficienza ambientale della gestione agronomica,
ed andrebbe minimizzato tendendo teoricamente a zero, essendo facilmente lisciviabile in assenza della
coltura. Confrontando le quantità di N-NO3- presenti nelle strisciate sottoposte a concimazione variabile
con quelle di controllo a concimazione uniforme, si può osservare una tendenza ad avere valori
leggermente inferiori nelle aree in cui è stata effettuata la concimazione a dosi variabili. L’analisi
statistica non ha tuttavia permesso di rilevare differenze statisticamente significative tra i due
trattamenti. Infatti la distribuzione spaziale di N-NO3- sembra dipendere soprattutto dalla tessitura.
Conclusioni
Sulla base dei risultati conseguiti in questa esperienza sul mais da granella, si può rilevare che
l’applicazione della concimazione a dosi variabili, definite mediante una mappa di prescrizione in base
al calcolo del bilancio semplificato dell’azoto, non ha portato a differenze statisticamente significative
tra le medie delle diverse strisciate, in termini produttivi, di margine lordo e di azoto nitrico contenuto
nel suolo a fine ciclo colturale. L’applicazione differenziata avrebbe comunque portato ad un risparmio
di 186 kg di urea sui 9 ha del campo. E’ da precisare che gli apporti di N tra le diverse zone differivano
solo di ±23 kg N ha-1 e che quindi maggiori differenze sono da attendersi diversificando tutta la
concimazione e non solo il secondo intervento in copertura. Il presente lavoro evidenzia l’interesse
nell’utilizzo delle informazioni spazializzate sulla coltura e sul suolo per migliorare l’efficienza nella
gestione agronomica e ambientale della concimazione azotata.
Bibliografia
Blondlot, A. et al. 2005. Providing operational nitrogen recommendations to farmers using satellite imagery. In: Stafford,
J.V., (Ed.), Precision Agriculture '05. Wageningen University Publishers, 345-351.
Fridgen et al. 2004. Management Zone Analyst (MZA): Software for Subfield Management Zone Delineation. Agron. J.
96:100-108.
Grignani et al. 2003. Il bilancio degli elementi nutritivi per la redazione del piano di concimazione. Riv. Agron. 37:155172.
Tremblay et al. 2009. A comparison of crop data measured by two commercial sensors for variable-rate nitrogen
application. Precision Agriculture, 10,145-161.
42
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Confronto Tra la Qualità del Suolo in SRF di Pioppo e
in Suoli non Coltivati Rispetto a Frumento Intensivo
Claudia Di Bene1, Elisa Pellegrino1,2, Cristiano Tozzini1, Enrico Bonari1
1
Land Lab, Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, IT. [email protected] ; [email protected]; [email protected];
[email protected]
2
Dip. di Biologia delle Piante Agrarie, Univ. Pisa, IT.
Introduzione
Oggi l’agricoltura è sempre più spesso chiamata a svolgere un ruolo multifunzionale nella gestione del
territorio rurale, anche attraverso una revisione accurata dei sistemi colturali tradizionali, sia come
processo sia come prodotto. A tal riguardo, negli ultimi anni le colture a destinazione energetica, e in
particolare la Short Rotation Forestry (SRF) di pioppo stanno riscuotendo grande interesse. Un forte
cambiamento si è infatti osservato nel concetto di utilizzo di energia, e, in questo momento, alta è la
richiesta di energia pulita, rinnovabile, che possa ridurre le emissioni di gas serra e in particolar modo di
CO2. Tutto ciò ha una valenza non solo ambientale, ma anche politica, sociale ed economica. Nella
valutazione di tali sistemi colturali, alternativi ai convenzionali, aspetti di tipo economico e gestionale
sono stati affrontati in diverse ricerche nazionali e internazionali (Bonari e Piccioni, 2006). Uno degli
aspetti meno studiati è senz’altro rappresentato dalla valutazione della qualità del suolo (Rooney et al.,
2009) successiva alla gestione di lungo periodo a SRF rispetto a suoli non coltivati o coltivati
convenzionalmente con colture annuali di pieno campo. Tale gestione può influenzare la qualità e la
salute del suolo modificando diversi parametri fisici, chimici, biochimici e biologici, i cui cambiamenti
possono essere considerati indicatori. La SRF è, infatti, associata a un minimo disturbo meccanico del
terreno, e ciò è probabile che promuova una delle componenti fondamentali della biomassa microbica,
rappresentata dai funghi micorrizici arbuscolari (MA). In risposta la coltura potrebbe beneficiarne in
termini di una maggiore produzione di biomassa e una maggiore resistenza, viste le molteplici funzioni
legate alla crescita, assorbimento di nutrienti, resistenza a stress biotici e abiotici (Smith e Read, 2008).
La SRF richiede meno input chimici, ed in particolare N, e non richiede l’applicazione di erbicidi
rispetto a sistemi colturali convenzionali. Inoltre tale gestione potrebbe aumentare in modo significativo
il sequestro del C da parte del suolo, migliorandone così la qualità. Questo studio aveva perciò
l’obiettivo di valutare il reale contributo in campo di SRF di pioppo a diverso turno di ceduazione sulla
qualità del suolo rispetto a una rotazione biennale mais-frumento, tipica degli ambienti mediterranei.
Metodologia
Descrizione del sito. La ricerca è stata condotta presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agroambientali “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa, su terreno classificato come limoso, le cui
caratteristiche chimiche medie erano: sostanza organica, 1.8%; N totale, 1.3‰; P assimilabile, 8.8 mg
kg-1. Dispositivo sperimentale. La sperimentazione, avviata nel 1996, ha confrontato 5 trattamenti,
replicati tre volte in parcelle di 500 m2: SRF di pioppo (Poplar deltoides Bartr., clone Lux; densità di
impianto 10000 piante ha-1) con turno di ceduazione annuale (T1), biennale (T2), triennale (T3), suolo
incolto (Inc.), con vegetazione spontanea caratterizzata principalmente da Lolium perenne, e rotazione
biennale mais-frumento (MF), arato a 35 cm di profondità. Il disegno sperimentale era completamente
randomizzato. Campionamenti. Dopo dieci anni dall’inizio della sperimentazione, durante il ciclo
colturale del frumento, un campione di suolo per parcella è stato preso in modo random alla profondità
di 10 cm per la valutazione dei parametri chimici, biochimici e biologici. Inoltre, in ciascuna parcella è
stato campionato l’apparato radicale della specie infestante più rappresentativa (L. perenne) e della
coltura principale (P. deltoides e T. durum). Analisi chimiche e biochimiche. I campioni di suolo sono
stati analizzati per i seguenti parametri: pH, sostanza organica (SOC), N totale (N), P assimilabile (P);
respirazione del suolo (RS) e biomassa microbica (BM) (Alef e Nannipieri, 1995). Al fine di valutare
sinteticamente i trattamenti presi in esame, i valori dei parametri usati per confrontare la qualità del
suolo sono stati espressi come variazione percentuale rispetto al valore medio del parametro in MF.
43
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Analisi biologiche legate ai funghi MA. Le radici sono state colorate usando il metodo “clearing and
staining”, con acido lattico al posto del fenolo, e la percentuale di colonizzazione micorrizica è stata
misurata usando il metodo ‘grid line intersect’ (Giovannetti e Mosse, 1980). Il potenziale di inoculo
micorrizico del suolo è stato valutato usando il metodo del potenziale di inoculo micorrizico (MIP) su
lattuga (Pellegrino et al., 2008). La variazione di tali parametri rispetto al valore medio del parametro in
MF è stata calcolata come sopra. Analisi statistica. I dati sono stati comparati usando l’ANOVA a una
via in SPSS 17.0. Il Tukey B test è stato usato per comparare le medie. Inoltre, un’analisi multivariata
(‘Redundancy analysis’, RDA) è stata fatta in Canoco per Windows v. 4.5 per studiare l’influenza della
gestione sui parametri di qualità del suolo. Il test di permutazione di Monte Carlo è stato eseguito per
determinare la significatività statistica della gestione sui parametri di qualità del suolo studiati.
Risultati
Parametri chimici, biochimici e biologici. Alla profondità di 10 cm, pH, P, N, SOC, RS e BM sono
stati influenzati in modo statisticamente significativo dalla gestione. Il pH è risultato più alto in Inc.
rispetto a T3, mentre il P ha prodotto due diversi gruppi a maggiore e minore concentrazione: T3 e gli
altri trattamenti. I valori registrati di N e SOC sono stati entrambi maggiori in T3 rispetto a MF. Per
quanto riguarda RS e BM, MF e T3 hanno evidenziato i minori e i maggiori valori, rispettivamente.
Nello specifico, l’incremento percentuale di RS nei diversi trattamenti rispetto al valore in MF è
risultato variare tra il 110% e il 169% (Inc. e T3), mentre quello di BM tra 4% il 63% (Inc. e T3). In
dettaglio, il valore di RS in Inc. è risultato superiore in modo statisticamente significativo rispetto a
quello registrato in MF, ed inoltre entrambi i trattamenti sono risultati significativamente inferiori a
quelli riportati in SRF, sia per RS (T3>T1), sia per BM (T3>T2>T1). La colonizzazione osservata in P.
deltoides (SRF) è stata ≥15%, quella in L. perenne (Inc.) e T. durum (MF) sempre inferiore al 9%. La
variazione percentuale della colonizzazione radicale di L. perenne, specie comune in tutti i trattamenti,
rispetto ai valori osservati in MF è stata tra -37% e 102% in Inc. e T2, mentre il numero di entry points
registrato per il suolo T2 è stato di circa 25 volte maggiore rispetto a quello riportato per il suolo MF.
L’analisi RDA, condotta per studiare l’influenza della gestione colturale sui parametri di qualità, ha
mostrato che la gestione spiegava il 62% (I e II asse) dell’intera varianza e che il suo effetto sui
parametri del suolo usati come indicatori era significativo (P=0.002). Il test di permutazione ha
evidenziato una differenza statisticamente significativa tra i trattamenti (P≤0.004) (SRF>Inc.>MF).
Inoltre, si è osservato che la diversità rilevata tra T1, T2 e T3, è stata determinata dal fatto che T1 e T2
incrementano i parametri legati al potenziale di inoculo micorrizico, mentre T3 quelli chimicobiochimici.
Conclusioni
Il lavoro mette in luce l’alta potenzialità di SRF di pioppo nel migliorare la qualità del suolo rispetto a
sistemi non coltivati o coltivati convenzionalmente. Inoltre, la ricerca evidenzia come il diverso turno di
ceduazione del pioppo riesca a promuovere in modo differenziale sia i parametri chimico-biochimici,
sia i parametri biologici, e in particolare il potenziale di inoculo micorrizico.
Bibliografia
Alef K. e Nannipieri P. 1995. Methods in Applied Soil Microbiology and Biochemistry. Accademic Press, London, UK.
Bonari E. e Piccioni E. 2006. SRF di pioppo nella pianura litoranea toscana. Principali risultati di alcune esperienze a lungo
periodo. Sherwood, 128: 31-36.
Giovannetti M. e Mosse B. 1980. An evaluation of techniques for measuring vesicular-arbuscular mycorrhizal infection in
roots. New Phytol., 84: 489-500.
Pellegrino E. et al. 2008. Field functional diversity of arbuscular mycorrhizal fungi in a crop rotation of Trifolium
alexandrinum and Zea mays. Ital. J. Agron., 3: 233-234.
Rooney DC. et al. 2009. Mycorrhizas and biomass crops: opportunities for future sustainable development. Trends Plant
Sci, 14: 542-549.
Smith SE. e Read DJ. 2008. Mycorrhizal Symbiosis. Academic Press, Cambridge, UK.
44
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetto dell’Incendio simulato sulla Interruzione della
Dormienza del Seme di Leguminose Annuali
Fabio Gresta, Vincenzo Barrile, Antonia Cristaudo, Rosalena Tuttobene, Angelo Litrico,
Valerio Abbate
Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Univ. Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Il fuoco ha una grande influenza sulla dinamica delle comunità vegetali di tutto il mondo e in particolare
negli ecosistemi di tipo Mediterraneo (Trabaud 1983; Mazzoleni e Pizzolongo 1990). Attualmente gli
incendi costituiscono un’autentica calamità, in quanto colpiscono non solo ambienti naturali, ma spesso
anche aree coltivate. Mentre le conseguenze del fuoco sono chiaramente visibili sulla vegetazione,
meno conosciuti sono gli effetti sulla banca semi, che costituisce la nuova flora potenziale atta a
colonizzare le aree percorse da incendio. A questo riguardo, molti studi hanno confermato la perdita
della dormienza dei semi di leguminose dopo l’impatto del fuoco sulla vegetazione (Mbalo et al., 1997).
Scopo del presente lavoro è stato di valutare l’effetto dell’incendio simulato sulla interruzione della
dormienza di semi duri di leguminose annuali nel suolo.
Materiali e Metodi
Nell’agosto del 2007, in parcelle sperimentali di 4 m2 (2 × 2m), sono stati posti in un terreno
tendenzialmente argilloso semi maturi di Medicago ciliaris, Medicago rugosa e Scorpiurus muricatus
ssp. subvillosus in bustine di rete metallica chiuse. I semi sono stati posti a profondità di 0, 2 e 5 cm
circa, al fine di simulare la naturale stratificazione dei semi nel suolo nei pascoli e nei seminativi per
effetto delle lavorazioni. In due distinte parcelle è stato appiccato il fuoco controllato bruciando 2
diverse quantità di paglia di frumento in modo da riprodurre condizioni di alta e bassa intensità di fuoco.
Per ogni specie e per ogni trattamento (intensità di fuoco e profondità di interramento) sono state poste
nel suolo quattro buste, ognuna delle quali contente 25 semi. Le temperature sono state registrate a
mezzo di sonde interrate alle diverse profondità collegate con un data logger. Subito dopo il
trattamento, le buste metalliche sono state prelevate dal terreno, i semi bruciati sono stati contati ed
eliminati e quelli integri sono stati posti in germinatoi a temperatura costante di 20°C per un periodo di
15 giorni. Per ciascuna specie, alla stessa temperatura, è stata valutata la germinabilità di un campione
di seme non trattato costituito da 4 repliche di 25 semi.
Risultati
L’incendio simulato ha determinato un innalzamento delle temperature nel suolo variabile in relazione
alle diverse intensità di fuoco e alle diverse profondità di interramento dei semi: alla bassa e all’alta
intensità sono stati registrati rispettivamente picchi di: 95.3 e 91.3 °C in superficie, 60.0 e 31.6 °C a -2
cm nel suolo e 36.6 e 30.4 °C a -5 cm (Fig. 1). La bassa germinabilità dei semi non trattati (controllo)
delle tre specie analizzate ha mostrato la presenza di un’elevata dormienza tegumentale, particolarmente
rilevante in Scorpiurus (tab. 1). L’effetto del fuoco è risultato significativo sulla interruzione della
dormienza dei semi. sia in M. rugosa che in M. ciliaris Le condizioni di fuoco ad alta intensità hanno
danneggiato i semi posti sulla superficie del suolo, e incrementato la germinabilità di quelli stratificati a
-2 e -5 cm mentre le condizioni di fuoco a bassa intensità hanno determinato una interruzione della
dormienza dei semi posti ai tre livelli di stratificazione. I semi di Scorpiurus hanno mostrato scarsa
percentuale di germinazione a tutti i trattamenti; valori più elevati di germinabilità sono stati registrati
solo con semi posti in profondità ed esposti ad alta intensità di fuoco.
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
100
90
Alta
intensità
5 cm
2 cm
0 cm
Bassa
intensità
5 cm
2 cm
0 cm
Temperatura (°C)
80
70
60
50
40
30
20
0
20
40
60
80
100
120
140
0
20
40
60
80
100
120
140
Tempo (minuti primi)
Figura 1. Andamento della temperatura durante la prova di incendio simulato
Tabella 1. Percentuale di germinabilità dei semi non sottoposti al trattamento del fuoco
Test.
Test. scarif.
M. rugosa
%
25
100
M. ciliaris
%
38
100
S. muricatus
%
0
100
Tabella 2. Percentuale di germinabilità dei semi sottoposti al trattamento del fuoco
Trattamento
Alta intensità
Bassa intensità
Profondità
0 cm
2 cm
5 cm
0 cm
2 cm
5 cm
M. rugosa
%
0c
34 ab
37 ab
45 a
27 b
33 ab
M. ciliaris
%
0b
50 a
51 a
44 a
44 a
45 a
S. muricatus
%
0b
2 ab
5a
1b
1b
1b
Conclusioni
I semi distribuiti sulla superficie del suolo sono stati interamente danneggiati dalle alte temperature
determinate dal passaggio del fuoco ad alta intensità e, pertanto, il loro contributo alla affermazione
della nuova copertura vegetale è pari a zero (germinabilità 0%). Una bassa intensità di fuoco, quale
quella che si sviluppa con la bruciatura delle stoppie, ha determinato l’interruzione della dormienza dei
semi duri delle specie trattate, mentre una alta intensità di fuoco, determinata dall’incendio di una
maggiore quantità di biomassa combustibile, ha determinato la mortalità dei semi posti in superficie, e
una maggiore germinabilità negli strati più profondi, concordemente a quanto osservato da Auld e
O'Connell (1991). La fessurazione del tegumento dei semi interrati nel suolo, indotta dal calore emanato
dal fuoco, ha consentito l’imbibizione del seme e l’avvio del processo di germinazione.
Bibliografia
Auld T.D., O'Connell M.A. 1991. Predicting patterns of post-fire germination in 35 eastern Australian Fabaceae. Austr J
Ecol, 16:53-70.
Mazzoleni S. Pizzolongo P. 1990. Postfire regeneration patterns of Mediterranean shrubs in the Campania region, southern
Italy. Pp. 43–51. In: J. G. Goldamer & J. Jenkins (eds), Fire in Ecosystem Dynamics. SPB Academic Publishing, The
Hague, the Netherlands.
Mbalo B.A., Witkowski E.T.F. 1997. Tolerance to soil temperatures experienced during and after the passage of fire in
seeds of Acacia karroo, A. nilotica and Chromolaena odorata: a laboratory study. S Afr J Bot, 63:421-425.
Trabaud L. 1983. Evolution apr`es incendie de la structure de quelques phytocenoses mediterraneennes du BasLanguedoc
(Sud France). Ann. Sci. Forest 40: 177–195.
46
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Ecofisiologia dello Stress Salino e Produzioni Agrarie in
Ambiente Mediterraneo
Albino Maggio, Stefania De Pascale, Massimo Fagnano, Giancarlo Barbieri
Dipartimento di Ingegneria Agraria e Agronomia del Territorio
Università di Napoli Federico II, Via Università, 100 – 80055- Portici, Napoli, [email protected]
Introduzione
La salinità dei suoli e delle acque d'irrigazione è causa di significative riduzioni delle produzioni
agrarie. A livello mondiale, oltre 80 milioni di ettari di terreni arabili sono affetti da problemi di salinità
e questa superficie è destinata ad aumentare. In Europa, 26 Paesi sono affetti da problemi di
salinizzazione con maggiore frequenza nelle aree Mediterranee. Nell’ultimo ventennio, grazie anche al
contributo sostanziale di tecnologie avanzate nell'ambito della biologia molecolare, sono stati fatti passi
importanti verso la comprensione dei meccanismi fisiologici alla base dell’adattamento agli stress
ambientali, incluso quello salino (Maggio et al. 2006). Resta tuttavia da capire come i meccanismi di
adattamento siano coordinati ed integrati tra loro e qual è la “priorità fisiologica” delle colture in
risposta a fattori di stress che spesso coesistono e si sovrappongono in natura. Un aspetto spesso
trascurato è la contestualizzazione dei problemi di salinità nelle varie realtà produttive. Quando la
salinità si associa a problemi da sodicità, in genere si assiste ad un deterioramento della struttura del
suolo con conseguenti problemi di scarsa infiltrazione ed asfissia radicale che si sommano o possono
surclassare la tossicità da Na+ e Cl-. D’altra parte in alcuni areali, quali quelli di produzione del
pomodoro di Pachino, la salinità dell'acqua di irrigazione è fattore determinante per la tipicità dei
prodotti, che in risposta allo stress risultano particolarmente arricchiti sotto l'aspetto organolettico e
nutrizionale. Un altro specifico contesto colturale e' il fuori suolo. In colture fuori suolo ed ambiente
controllato e' possibile modulare i parametri ambientali e le condizioni nutrizionali in modo da
modificare sostanzialmente la risposta fisiologica a condizioni di stress salino. Questi ed altri esempi di
seguito illustrati dimostrano la necessità di definire gli effetti della salinità negli specifici contesti
colturali e di reinterpretare, in questi, le informazioni provenienti da studi di laboratorio e su sistemi
modello.
Salinizzazione di breve e lungo periodo
Un aspetto di rilievo è il livello di salinizzazione dei suoli. Il dipartimento di Ingegneria Agraria ed
Agronomia del Territorio dell'Università' di Napoli Federico II sta conducendo da oltre un ventennio
esperimenti sugli effetti di lungo termine dell’uso di acqua salina sulle colture e le proprietà chimicofisiche dei suoli (De Pascale et al. 2003a, De Pascale et al. 2003b). L’irrigazione con acqua salina prolungata
nel tempo può comportare un forte deterioramento delle proprietà chimico-fische del suolo con un
incremento del pH e una riduzione della P2O5 assimilabile, del tasso d'infiltrazione e dell’indice di
stabilità della struttura, i cui effetti sulle colture si sommano a quelli di tossicità da Na+ e Cl-. Tuttavia in
questi stessi suoli spesso coesistono modifiche permanenti e temporanee legate all'irrigazione estiva o
alla salinità residua su colture invernali non irrigate (De Pascale et al. 2005). In questo caso il livello di
stress salino cui le piante sono esposte in assenza di irrigazione dipenderà dalla frequenza e dal volume
delle precipitazioni e loro capacità di dilavare la salinità residua. Un altro elemento tipico degli ambienti
mediterranei, che aggiunge ulteriori cause di variabilità, è la sovrapposizione di stress salino e idrico.
L'analisi fisiologica dei costi-benefici dell’irrigazione con acqua salina vs. deficit idrico, a livelli
comparabili di potenziale idrico del suolo, può fornire elementi utili per definire i limiti agronomici di
intervento con acqua salina ed evidenziare risposte morfologiche/metaboliche di adattamento simili o
divergenti rispetto alle due tipologie di stress (Maggio et al. 2005).
Morfologie funzionali all’adattamento
Un esempio di adattamento all’ambiente salino non molto studiato dal punto di vista funzionale è la
modifica del rapporto foglie-radici. Ad oggi, non è chiaro quale morfologia/architettura radicale possa
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
essere vantaggiosa in presenza di stress salino e se un apparato radicale particolarmente sviluppato
possa apportare gli stessi vantaggi in presenza di carenza idrica o stress salino (Maggio et al. 2007).
Tuttavia, anche in questo caso la funzione di una specifica morfologia/architettura radicale va riferita a
specifiche tipologie di coltivazione che, negli ambienti mediterranei, possono spaziare da quella piu' o
meno intensiva di pieno campo alle colture protette con diversi livelli di tecnologia. In pieno campo, la
riduzione dello sviluppo dell'apparato radicale in risposta a stress salino può essere considerata una
risposta di adattamento distintiva rispetto allo stress idrico, non sufficientemente considerata nei
programmi di miglioramento genetico (Maggio et al. 2006, Maggio et al. 2007). In fuori suolo invece è
possibile controllare lo sviluppo degli apparati radicali e ritardare l’accumulo di ioni tossici nella parte
aerea consentendo un parziale superamento di fenomeni transitori di salinizzazione (Maggio et al. 2007).
Aspetti qualitativi
Se da un lato la salinizzazione delle acque di irrigazione ha degli effetti negativi sulle rese, può al
contrario avere delle conseguenze positive sul profilo nutrizionale di alcuni prodotti. E’ possibile, ad
esempio, aumentare la concentrazione di carotenoidi e l’attività antiossidante in pomodoro con una
riduzione accettabile della resa irrigando con acqua moderatamente salina [fino a 0.25% NaCl (p/v)].
Alterazioni del livello di acido ascorbico, glucosinolati ed altri metaboliti con funzione antiossidante
possono essere ottenuti attraverso l'imposizione di uno stress salino modulato, con un conseguente
miglioramento della shelf-life ed aumento del valore nutrizionale dei prodotti (De Pascale et al 2001).
Salinità e inquinamento ambientale
La coesistanza di piu' stress ambientali, biotici ed abiotici, puo' aggiungere un ulteriore livello di
complessita' allo studio della fisiologia dell'adattamento. Cosi' la risposta a fenomeni di salinizzazione
puo' avere effetti indiretti anche su altri fenomeni legati al deterioramento ambientale quali
l'inquinamento da ozono (Maggio et al. 2009). In ambiente mediterraneo le colture sono in genere
caratterizzate da una maggiore esposizione agli stress ambientali che comportano una riduzione della
conduttanza stomatica media e un accumulo di molecole antiossidanti. Seppur in termini relativi, queste
risposte fisiologiche contribuiscono a limitare i danni da ozono, come osservato in pomodoro ed erba
medica, e devono essere considerate nello sviluppo di modelli di previsione dei danni da ozono ed altri
inquinanti atmosferici.
Conclusioni
Gli strumenti di ricerca oggi disponibili consentono di dare risposte più puntuali a quesiti fondamentali
della fisiologia delle colture agrarie e di individuare tecnologie colturali più efficienti e nuovi spunti di
ricerca.
Bibliografia
De Pascale S. et al 2001. Irrigation with saline water improves carotenoids content and antioxidant activity of tomato.
Journal of Hort. Science & Biothec., 76 (4):447-453.
De Pascale S. et al. 2003a. Growth, Water Relations, and Ion Content of Field Grown Celery Under Saline Irrigation
(Apium graveolens L. var. dulce [Mill.] pers.). J. Amer. Soc. Hort. Sci., 128(1): 136-143.
De Pascale S. et al. 2003b. Physiological response of pepper (Capsicum annuum L.) to salinity and drought. J. Amer. Soc.
Hort. Sci. 128(1): 48-54.
De Pascale S. et al. 2005. Soil salinization affects growth, yield and mineral composition of cauliflower and broccoli.
European Journal of Agronomy, 23 (3): 254-264.
Maggio A. et al. 2005. Physiological response of field-grown cabbage to salinity and drought stress. European Journal of
Agronomy, 23 (1): 57-67.
Maggio A. et al. 2006. Osmogenetics: Aristotle to Arabidopsis. Plant Cell 18:1542-1557.
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Maggio A. et al. 2009. Responses to ozone pollution of alfalfa exposed to increasing salinity levels. Environ. Pollution,
157:1445-1452.
48
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Integrazione di Informazioni Meteoclimatiche e Telerilevate
per l’Analisi della Qualità del Frumento Duro in Val d’Orcia
Marco Mancini, Francesca Orlando, Anna Dalla Marta, Simone Orlandini
Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell'Ambiente Agroforestale, Univ. Firenze, IT,
[email protected]
Introduzione
Attualmente il frumento duro (Triticum turgidum L. var. durum) è una delle principali colture di qualità
della Val d’Orcia (SI) con una produzione annua stimata di circa 350000 quintali ed una produttività
media di circa 35 q/ha. Nonostante la particolare vocazionalità del territorio e la gestione colturale
adottata abbiano permesso di ottenere un prodotto con un elevato standard qualitativo, esiste una
variabilità interannuale essenzialmente riconducibile al peculiare andamento delle variabili
meteorologiche, in particolare temperatura, radiazione solare e precipitazioni, i cui trend durante le
diverse fasi fenologiche influenzano largamente il tenore e la composizione proteica della granella. Per
questo, da alcuni anni, il DIPSA in collaborazione con il Consorzio Agrario di Siena (CAPSI) e con il
contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, sta portando avanti un progetto volto all’analisi
delle relazioni esistenti tra la qualità del grano duro coltivato in Val d’Orcia e informazioni meteoclimatiche e telerilevate, anche al fine di ottenere valutazioni di carattere previsionale. Tale studio si
basa non solo sull’impiego di dati meteorologici convenzionali ma anche sull’utilizzo di informazioni
climatiche a larga scala, indici climatici e indici telerilevati da satellite (Dalla Marta et al., 2010;
Orlandini et al., 2010). L’integrazione di tutte queste informazioni e la disponibilità di serie storiche di
dati quanti-qualitativi delle produzioni della zona hanno permesso di ottenere alcuni importanti risultati
preliminari.
Metodologia
La qualità delle produzioni è stata descritta attraverso diversi indicatori, quali il peso specifico (kg/hl) e
la percentuale di proteine nella granella (% s.s.), la resa (t/ha) e la quantità di proteine totali (percentuale
di proteine x resa). I dati utilizzati, che rappresentano la media di diverse aziende della zona, sono stati
raccolti per il periodo 1999-2009. Parallelamente, nel 2008 e 2009 sono stati eseguiti campionamenti
puntuali in 12 aziende per un totale di 19 campioni di grano duro appartenenti a 8 diverse varietà nel
2008 e 17 campioni di 6 varietà differenti nel 2009.
I dati meteorologici derivano da 5 stazioni limitrofe all’area di indagine. I dati sono stati elaborati al fine
di calcolare le temperature attive cumulate (STA) e le precipitazioni cumulate (SP) nei singoli mesi e in
più mesi consecutivi nella stagione di crescita del frumento tra novembre e giugno. Sono quindi state
analizzate tutte le possibili correlazioni per mezzo di regressioni lineari.
Le informazioni climatiche a larga scala, in particolare l’indice NAO, l’altezza del geopotenziale a 500
hPa (GPH) e la temperatura superficiale del mare (SST) del periodo 1999-2009 sono dati di “reanalisi”
derivanti dal progetto “NCEP/NCAR Reanalysis Project”, disponibili dal 1948 ad oggi
(http://www.cdc.noaa.gov/). Per GPH e SST sono state analizzate le mappe di correlazione dei singoli
mesi al fine di stabilire il mese con le migliori relazioni.
L’indice di vegetazione telerilevato NDVI (Normalized Difference Vegetation Index) è stato elaborato
dai dati satellitari derivati dalle immagini AVHRR NDVI (www.free.vgt.vito.be) per il periodo di
riferimento da novembre 1998 a giugno 2009. Il valore di NDVI preso in considerazione per ciascuna
decade è stato quello rispondente alla media dei valori dei singoli pixel ricadenti nell’area di studio.
Le possibili relazioni fra le informazioni meteo-climatiche e tele rilevate e le caratteristiche qualitative
del grano duro sono state analizzate attraverso l’applicazione di modelli regressivi e multiregressivi.
Risultati
A titolo di esempio si riportano alcuni dei risultati del progetto riferiti al contenuto proteico della
granella. Le regressioni fra proteine e cumuli termici mostrano la migliore significatività nel periodo
49
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
febbraio-giugno (r=0.609), anche se già il periodo marzo-aprile risulta avere una correlazione
significativa (r=0.583). Il contenuto delle proteine totali per ettaro è correlato negativamente con la STA
nel periodo marzo-maggio (r=-0.587) e con la SP durante i mesi invernali (r=-0.80). Dall’analisi delle
mappe di correlazione elaborate per il dominio europeo, atlantico e nord africano, si evidenzia come il
GPH del periodo marzo-aprile mostri la migliore relazione con l’area a Sud-Ovest di Gibilterra che
risulta correlata negativamente con il contenuto proteico (r=-0.80). L’SST di giugno è correlato
negativamente con l’area a sud-ovest delle Canarie, mentre non sembra essere influente la temperatura
del Mediterraneo (Fig. 1). L’indice NAO risulta essere correlato significativamente in diversi periodi
ma soprattutto durante i mesi invernali. In particolare, la miglior correlazione è stata ottenuta per il
periodo novembre-febbraio (r=0.85). La percentuale di proteine risulta, infine, molto correlata al dato di
NDVI dei mesi di maggio e giugno (Fig.2).
Figura 1. Correlazione fra contenuto proteico
e SST di giugno.
Figura 2. Relazione tra il contenuto proteico e NDVI
tra la terza decade di maggio e la terza decade di giugno
Conclusioni
I risultati hanno dimostrato che STA e SP rappresentano due variabili cruciali per determinare le
caratteristiche qualitative della produzione, e sono anche quelle che meglio descrivono la risposta
vegeto-produttiva della coltura. In sostituzione dei tradizionali indici agro-climatici è possibile utilizzare
indicatori climatici a larga scala e indici telerilevati per avere informazioni di carattere previsionale. La
possibilità di poter usufruire di informazioni meteorologiche e di dati telerilevati gratuitamente su
Internet può ridurre i costi del monitoraggio sull’area di indagine, consentendo una applicazione a
supporto degli agricoltori.
Ringraziamenti
Si ringrazia la Fondazione Monte dei Paschi di Siena e il Consorzio Agrario di Siena (CAPSI) per il supporto e la
collaborazione allo svolgimento delle attività di ricerca.
Bibliografia
Dalla Marta A. et al. 2010. The influence of climate on durum wheat quality in Tuscany, Central Italy. Int J Biometeorol,
DOI 10.1007/s00484-010-0310-8.
Orlandini S. et al. 2010. Impact of Climate Change on Durum Wheat Quality. In: Advances in Environmental Modeling
and Measurements (a cura di Mihailović D.T e Lalić B.). Environmental Research Advances Series, Nova Science
Publishers, Inc., New York.
50
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
L’Agronomia verso la Green Economy:
Ottimizzazione dei Processi di Fitorisanamento
Luca Marchiol e Guido Fellet
Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Udine, IT, [email protected]; [email protected]
Introduzione
Stime recenti dell’Agenzia Ambientale Europea indicano che in Europa vi siano almeno 250.000 siti
contaminati che necessitano bonifica. Questo numero è destinato a crescere tenendo conto che in realtà
sono stati censiti circa 3 milioni di siti potenzialmente contaminati. Nel periodo 2001-2006 il numero di
siti da bonificare è aumentato del 150% e si prevede che esso aumenterà ancora del 50% (EEA, 2007).
Le fonti puntuali di inquinamento sono le attività industriali, nonché le operazioni di trattamento e
smaltimento dei rifiuti. Da queste sorgenti vengono immessi nell’ambiente in prevalenza metalli pesanti
ed oli minerali che risultano più di frequente nei siti esaminati.
Tuttavia questo problema, che pone seri rischi per la sicurezza della salute pubblica e in senso più
ampio della catena alimentare, sta promuovendo la nascita di un florido mercato delle tecnologie di
bonifica. In Europa il budget annuale destinato ad attività di investigazione e caratterizzazione dei siti
inquinati, e alle successive bonifiche, è stimato attorno a 5 miliardi di € (EEA, 2007).
In Italia più di 1.000.000 di ettari sono compresi nel perimetro dei siti inquinati di interesse nazionale
(SIN); questa superficie rappresenta circa il 3% del territorio nazionale (ISPRA, 2008). I siti
contaminati minori sono oltre 13.000 per i quali si stima un valore complessivo di oneri di bonifica di
circa 35 miliardi di €.
Alla luce della evidente crisi ambientale si ritiene che le economie mondiali possano trovare nuovo
slancio e risorse per il superamento delle recenti crisi finanziarie attraverso la convergenza verso una
economia basata sul principio di sostenibilità. La Green Economy Initiative è stata promossa dalle
Nazioni Unite allo scopo di sostenere la definizione di nuove politiche in favore di investimenti nelle
tecnologie pulite, energie rinnovabili, mobilità, gestione dei rifiuti, edilizia e agricoltura sostenibile. In
tal senso la scienza deve assumere un ruolo trainante, produrre nuove idee e definire nuove tecnologie
in grado di sostenere la Green Economy.
Le tradizionali tecniche di bonifica dei suoli inquinati sono basate su un approccio fisico-chimico.
Queste tecniche sono costose, hanno effetti collaterali negativi sulla qualità del suolo e elevati consumi
energetici. Anche in questo settore nello scenario della Green Economy è possibile promuovere
tecnologie meno impattanti e onerose. Secondo l'UNEP (2003) le fitotecnologie sono "tecnologie di
bonifica che impiegano piante per il contenimento, la degradazione o l’estrazione di contaminanti da
matrici inquinate, il ripristino di ecosistemi degradati, il controllo dei processi ambientali e il
monitoraggio per la valutazione della qualità dell’ambiente”. Le fitotecnologie sono tecniche di bonifica
in situ efficaci su matrici contaminate da metalli pesanti, metalloidi e radioisotopi. Anche matrici
contaminate da composti organici (BTEX, idrocarburi clorurati, pesticidi ed esplosivi) possono essere
trattate con successo (ITRC 2009).
Ottimizzazione dei processi di fitorisanamento: il ruolo dell’agronomia
Oltre alle interazioni tra la produzione vegetale agraria e l’ambiente, l’agronomia è in grado di acquisire
nuovo spazio nella produzione di servizi ambientali, rispondendo in questo modo a nuove future
necessità ed esigenze della società e del sistema economico (Lichtfouse et al., 2010).
Nella progettazione e nella gestione operativa dei processi di fitorisanamento, il ruolo dell’agronomia è
fondamentale tenendo conto che questi si sviluppano attraverso interazioni suolo/pianta/contaminante.
In relazione a ciò non vi è dubbio che il contributo dell’agronomia al miglioramento dell’efficienza
delle tecniche di fitorisanamento deve risultare in una significativa ottimizzazione del processo allo
scopo di raggiungere gli obiettivi della bonifica del sito contaminato. In tabella 1 sono riassunte le
competenze richieste nella valutazione preventiva, progettazione, gestione amministrativa e tecnica di
un intervento di fitorisanamento.
51
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1. (modificata da ITRC, 2009).
Fase
V&S(†)
Progetto
Implementazione
Gestione
●
●
●
Agronomia
●
●
●
●
Risk assessment
●
Legislazione ambientale
Ingegneria ambientale
●
●
●
●
●
Analisi economica
(†)
Valutazione e Selezione tecnica di bonifica; (‡) Operatività e Monitoraggio.
Competenze
O&M(‡)
●
●
Conclusione
●
●
Una delle attuali limitazioni al consolidamento e diffusione delle fitotecnologie risiede nello scarso
numero di esperienze condotte in condizioni reali. La tabella 2 riporta l’inventario delle prove
sperimentali di fitoestrazione in situ eseguite in Europa nelle quali sono state osservate le prestazioni di
specie di interesse agrario, da biomassa e iperaccumulatrici (SUMATECS, 2009). Nel prossimo futuro
queste esperienze dovranno essere incrementate per ampliare la base di conoscenza applicativa delle
potenzialità offerte dal fitorisanamento. A seguire, il lavoro presenta gli sviluppi attesi della ricerca e le
prospettive applicative.
Tabella 2.
Elemento
Specie
Cd, Cr, Cu, Ni, Pb, Zn
S. viminalis
Stato Località/Regione
Cd, Cu, Zn
Q. robur, P. alba, A. pseudoplatanus
Cd, Cu, Zn
S. viminalis, N. tabacum, H. annuus, B. juncea,
CH
Z. mays, B. pendula, S. viminalis, A. incana, F. excelsior
Dornach, Caslano
Le Locle
Cd, Pb
Z. mays
CZ
Pribram
Cd, Zn
T. caerulescens
F
La Bouzule
As, Cu, Cd, Co, Pb, Zn
H. annuus, S. bicolor, Salix spp., Populus spp.
I
Torviscosa
Cd, Zn
B. napus
NL
Budel
Cd, Cr, Cu, Ni, Pb, Zn
S. viminalis
S
Uppsala, Enkóping
Pb, Zn, Cu, Cd
B. carinata, B. juncea
Pb, Sb, Tl, Zn
O. europea, P. alba, Mediterranean shrubs
SP
Aznalcollar
Cd, Zn
T. caerulescens, A. halleri
As, Cd, Cu, Ni
Betula spp.
Cu
Alnus spp, C. monogyna, S. caprea
Cd, Cu, Ni, Zn
Salix spp. T. caerulescens
Nottingham
Cd, Cu, Zn
Salix spp.
Warrington
B
Menen, Deinze
Bedfordshire
Liverpool
UK
Merseyside
Bibliografia
EEA 2007. Progress in management of contaminated sites. Report CSI 015. EEA.
ITRC 2009. Phytotechnology Technical and Regulatory Guidance and Decision Trees. Washington, D.C.
ISPRA 2008. Annuario dei dati ambientali 2008. Roma.
Lichtfouse E. et al. 2010. Emerging agroscience. Agron. Sustain. Dev., 30: 1-10.
SUMATECS 2009. Final Research Report. www.snowman-era.net
UNEP 2003. Phytotechnologies: A Technical Approach in Environmental Management. IETC Freshwater Management
Series 7. ISBN No: 92-807-2253-0.
52
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Indicatori Agro-ambientali in Italia: una Sintesi Diacronica
Luca Salvati1, Maria Elisa Venezian Scarascia2, Marco Zitti3, Sofia Bajocco3, Luigi
Perini3
1
Dipartimento di Studi GeoEconomici, Linguistici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale, Università di Roma ‘La
Sapienza’, Roma, IT, [email protected]
2
Comitato Italiano per l’irrigazione e la Bonifica Idraulica (ITAL-ICID), Roma, IT, [email protected]
3
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - Unità di ricerca per la Climatologia e la Meteorologia
applicate all’Agricoltura (CRA-CMA), Roma, IT, [email protected]
Introduzione
L’agricoltura rappresenta un’attività economica particolarmente rilevante nella gestione delle risorse
naturali in quanto praticata su larga parte del territorio nazionale. Sin dal 1992, la Politica agricola
comunitaria (Pac), che norma il settore, si è rinnovata per accogliere le crescenti istanze ambientali. Il
processo di riforma ha gradualmente orientato i sussidi erogati agli agricoltori in modo tale da
supportare modalità di produzione e attività agricole più compatibili con i principi di tutela delle risorse
naturali. Oltre alla normativa di settore, diverse sono le norme comunitarie e nazionali di tutela delle
risorse naturali che esplicitamente vincolano l’attività agricola. I fenomeni in questione assumono
crescente interesse a livello nazionale e internazionale: si veda,al riguardo, la comunicazione della
Commissione europea sul tema degli indicatori agro-ambientali dal titolo “Development of agrienvironmental indicators for monitoring the integration of environmental concerns into the Common
agricultural policy” [Com (2006) 508].
Pertanto, la valutazione delle performances del comparto agricolo esula progressivamente dagli aspetti
economici per concentrarsi, sempre più efficacemente, sulle tematiche sociali e, soprattutto, ambientali
(Hubacek e Van den Bergh, 2006). Di sempre maggiore interesse appaiono i contributi scientifici che
tentano una sintesi dei diversi aspetti dell’agricoltura, anche attraverso approcci integrati, statisticomodellistici e/o economico-ambientali (e.g. Huby et al., 2007; Morse, 2008). Ciò va nella direzione di
riconciliare una visione sistemica con un approccio produttivistico e di filiera, entrambi propri sia delle
discipline geografiche ed ambientali che delle scienze agronomiche (Nir, 1990).
L’obiettivo di questo lavoro è pertanto quello di proporre un sistema informativo dei principali
indicatori agro-ambientali disponibili su serie storica e a scala geografica regionale in Italia (Zalidis et
al., 2002; 2004). Tale sistema è finalizzato ad un’analisi di sintesi diacronica, anche tramite idonee
metodologie statistiche, delle più significative tendenze attualmente in atto nel nostro paese. Tale analisi
si pone in un’ottica di supporto alle policy regionali, nazionali e comunitarie (Trouvè et al., 2007),
modellizzando nel tempo il concetto ed i principali determinanti delle performances agro-ambientale
delle regioni italiane.
Metodologia
Sono stati raccolti numerosi indicatori agro-ambientali su un arco temporale standard di dieci anni a
partire da numerose fonti di statistica ufficiale, principalmente le indagini ISTAT ed il censimento
generale dell’Agricoltura. Le variabili, disponibili in serie storica dal 1998 al 2007 soprattutto a partire
dall’indagine ISTAT sulla ‘Struttura e Produzione delle Aziende Agricole Italiane’, hanno consentito la
creazione di un sistema di indicatori tematici in accordo con gli standard agro-ambientali dell’OECD,
della FAO e della letteratura scientifica di settore (Dumanski and Pieri, 2000).
I principali targets dell’analisi includono argomenti quali la sostenibilità nell’irrigazione, le lavorazioni
dei terreni, le pratiche di copertura, la variazione dell’uso del suolo agricolo, la stima degli effluenti
zootecnici, le relazioni coltura-suolo ed altre variabili minori (Yli-Viikari et al., 2007). L’applicazione
statistica ha consentito un’analisi disaggregata per gli anni 1998, 2000, 2003, 2005 e 2007 (Istat, 2010)
a partire da una matrice dati contenente, per ogni anno, tutti gli indicatori disponibili a livello regionale
(Salvati et al, 2007).
53
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Il contenuto informativo di tale matrice di dati è stato esplorato tramite analisi statistica multivariata,
con particolare riferimento all’analisi fattoriale dinamica (Salvati e Zitti, 2008) che consente lo studio
diacronico delle traiettorie di specifici domini spaziali (in questo caso, le regioni italiane) sulla base di
un determinato numero di fattori esplicativi (in questo caso, la variazione delle grandezze agroambientali utilizzate come riferimento di base).
Risultati e discussione
I risultati evidenziano le diverse performances agro-ambientali delle regioni italiane, basate su
traiettorie differenziate e talvolta peculiari, in cui appare poco visibile il gradiente nord-sud. Le analisi
sviluppate, basate sul paradigma di sintesi e parsimonia statistica, valorizzano le informazioni più
significative, legate principalmente ad un core di variabili chiave, quali l’irrigazione, le pratiche di
lavorazione del terreno, le pratiche di copertura, l’abbandono dei terreni, che incidono più
significativamente sulle dinamiche agro-ambientali delle regioni italiane. Il lavoro viene completato da
una discussione sulla disponibilità di informazioni quantitative e sulle lacune conoscitive a livello
geografico sulla dimensione di ricerca agro-ambientale (Tanrivermis, 2003) e sul supporto che tale
ricerca può fornire a livello di policy integrate a scala comunitaria e nazionale (Williams et al., 2008).
Bibliografia
Dumanski J. e Pieri C. 2000. Land quality indicators: research plan. Agriculture, Ecosystems and Environment, 81: 93-102.
Hubacek K. e Van den Bergh J.C.J.M. 2006. Changing concepts of ‚land’ in economic theory: from single to multidisciplinary approaches, Ecological Economics, 56: 5–27.
Huby M. et al. 2007. Reconciling socio-economic and environmental data in a GIS context: an example from rural
England, Applied Geography, 27: 1-13.
Istat 2010. Agricoltura e ambiente. Istituto Nazionale di Statistica, Collana Informazioni, n. 2, Roma.
Morse S. 2008. On the use of headline indices to link environmental quality and income at the level of the nation state,
Applied Geography, 28: 77-95.
Nir D. 1990. Region as a socio-environmental system. An introduction to a systemic regional geography, Dordrecht:
Kluwer.
Salvati L. e Zitti M. 2008. Sustainability and weighting of ecological and economic indicators: exploring the importance of
various components of a synthetic index, Ecological Economics, 8: 1093-1099.
Salvati L. et al. 2007. Comparing indicators of intensive agriculture from different statistical sources, Biota, 8: 51-60.
Tanrivermis H. 2003. Agricultural land use change and sustainable use of land resources in the Mediterranean region of
Turkey, Journal of Arid Environment, 54: 553-564.
Trouvè A. et al. 2007. Charting and theorising the territorialisation of agricultural policy, Journal of Rural Studies, 23: 443452.
Williams C.L. et al. 2008. Agro-ecoregionalization of Iowa using multivariate geographical clustering, Agriculture,
Ecosystems & Environment, 123: 161-174.
Yli-Viikari A. et al. 2007. Evaluating agri-environmental indicators (AEIs) – Use and limitations of international indicators
at national level, Ecological Indicators, 7: 150-163.
Zalidis G. et al. 2002. Impacts of agricultural practices on soil and water quality in the Mediterranean region and proposed
assessment methodology, Agriculture, Ecosystems & Environment, 88: 137-146.
Zalidis G. et al. 2004. Selecting agri-environmental indicators to facilitate monitoring and assessment of EU agrienvironmental measures effectiveness, Journal of Environmental Management, 70: 315-321.
54
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Bilancio Energetico di Sistemi Foraggeri nella Pianura
Irrigua del Nord Italia
Cesare Tomasoni1, Lamberto Borrelli1, Massimo Brambilla2
1
CRA-FLC Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Lodi, IT, [email protected]
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la sicurezza alimentare. Università degli studi di Milano, Facoltà di
Medicina Veterinaria, via Celoria 10, Milano, IT
2
Introduzione
Il notevole sviluppo tecnologico avvenuto nella seconda metà del secolo scorso nei vari settori
(chimico, meccanico, genetico, ecc.) e le azioni intraprese dalla Politica Agricola Comune dell’U.E,
hanno determinato un’elevata intensificazione dell’agricoltura in modo speciale in quelle regioni con
condizioni pedo-climatiche favorevoli. La massimizzazione della produzione agricola perseguita dai
Paesi occidentali ha portato al massiccio uso di materie prime potenzialmente inquinanti che ha causato
la crescente preoccupazione dell’opinione pubblica sui possibili effetti negativi dell’agricoltura nei
confronti dell’ambiente e della salute umana; perciò la Politica Agricola Comune tende a promuovere
sistemi agricoli sostenibili che richiedono un basso impiego di energia non rinnovabile (Parente 1996).
L’analisi energetica come indicatore della sostenibilità dei sistemi agricoli viene adottata quando si
vuole perseguire una riduzione dell’impiego di energia da fonti non rinnovabili (Bonari et al., 1992;
Giardini, et al., 1983; Pimentel, 1993). In questo lavoro vengono presentati i risultati ottenuti in 22 anni
di sperimentazione (1985-2006).
Metodologia
La prova è condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m slm) sin dal 1985 in un ambiente
rappresentativo della Pianura Padana pedemontana alluvionale, con suolo franco-sabbioso fine a
reazione sub-acida con dotazione media di N, buona di P e scarsa di K.
Il clima è tipico della Regione Padana, sub continentale, sub umida con precipitazione media annuale di
800 mm e temperatura media di 12,2 °C (Borrelli e Tomasoni, 2005).
L’esperimento si articola in 5 ordinamenti colturali di tipo cerealicolo-foraggero di seguito dettagliati.
R1= annuale: loglio italico + mais trinciato; R3= triennale: loglio italico + mais trinciato – orzo trinciato
+ mais trinciato – mais da granella; R6= sessennale: loglio italico + mais trinciato (3 anni) – prato
avvicendato (3 anni); PP= prato permanente; MM= monosuccessione di mais da granella.
Ogni ordinamento, rispetto alle agrotecniche più comuni, concimazioni, lavorazioni e diserbi, è
soggetto a due livelli di input indicati come A e B. L’input A fa riferimento ad interventi agronomici
ritenuti ordinari, mentre B, definito sub-ottimale, vede una riduzione del 30% rispetto all’input A dei
diversi interventi considerati. Per quanto riguarda la concimazione chimica dell’input A, in media e per
ogni anno i cinque ordinamenti hanno ricevuto complessivamente: (R1) 400-200-220; (R3) 340-170180; (R6) 260-165-170; (PP) 125-150-120 e (MM) 250-100-100 kg ha-1, rispettivamente, di N-P2O5K2O. Rispetto alla concimazione organica, i quantitativi di letame bovino ben maturo distribuiti per
l’input A sono stati: 40, 27, 27, 27, 0 t ha-1, rispettivamente, per R1, R3, R6, PP e MM. Nella
monosuccessione di mais da granella (MM) i residui colturali vengono trinciati ed interrati al momento
dell’aratura mentre nella rotazione triennale (R3) vengono asportati. Il disegno sperimentale su base
annua è uno strip-split-plot con tre repliche e parcelle da 60 m2 (Onofrii et al. 1993). I risultati sono stati
sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) utilizzando il sistema SAS.
La prova è in irriguo con somministrazione di 1000 m3 ha-1 di acqua per turno (14 giorni) senza
distinzione tra A e B. Tutti gli interventi colturali sono eseguiti con le normali macchine operatrici in
dotazione ad un’azienda agraria. I diversi sistemi vengono comparati in funzione del bilancio energetico
computando l’energia prodotta dalle colture e quella direttamente occorrente per la coltivazione (mezzi
tecnici, macchine, carburanti, lubrificanti, ecc). Il metodo utilizzato tiene conto solo dell’energia
derivante da fonti non rinnovabili effettuando la conversione energetica in base ai contenuti energetici
55
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
specifici secondo quanto riportato da Pimentel, 1980, Pellizzi, 1992 e Jarach, 1985 (calcoli e dati non
riportati per brevità).
Risultati
Nella tabella 1 vengono riportati i
valori medi di energia prodotta e
consumata dalle rotazioni in
Energia prodotta
Energia consumata
esame durante i 22 anni di
Rotazioni / Input
A
B
A
B
osservazione. La rotazione che ne
R1
162733
146834
65520
53992
produce di più è R1 con 162.733
R3
136300
118316
58436
48947
MJ ha-1 (19% più di R3, 42% più
R6
114696
103054
50113
42396
di R6, 88% più di MM e 260%
MM
86308
71908
42567
36011
più PP), tale performance è da
PP
62170
52200
36027
31623
attribuire alla forte presenza della
coltura del mais che ha un elevato contenuto energetico rispetto alle altre colture. La rotazione R1 risulta
essere anche la più energivora con 65.520 MJ ha-1 consumati mentre il caso contrario lo troviamo in PP.
Nella tabella 2 viene riportata l’energia netta (output-input) e l’efficienza energetica (output/input) per le
cinque rotazioni prese in esame. La rotazione R1 nell’input A produce la maggiore energia netta, circa il
triplo di PP, mentre la maggiore efficienza energetica si ha sempre in R1 ma nell’input B.
Tabella 1. Energia prodotta e consumata (MJ ha-1 anno-1) nelle rotazioni
Tabella 2. Energia Netta (MJ ha-1 anno-1) ed Efficienza energetica nelle rotazioni esaminate
Energia Netta a
Rotazione/ Input
R1
R3
R6
MM
PP
a
A
97213
77864
64583
43741
26143
Efficienza Energetica a
B
aA
bA
cA
dA
eA
A
92842
69369
60658
35897
20577
aA
bB
bA
cB
dB
1.48
1.33
1.29
1.03
0.73
B
aB
bB
bB
cA
dA
1.72
1.42
1.43
1.00
0.65
aA
bA
bA
cA
dA
Medie seguite dalla stessa lettera non sono differenti per LSD test
a P<0.05 (lettere minuscole valide tra Rotazioni e maiuscole tra Input)
Conclusioni
I sistemi colturali hanno una fondamentale influenza sul consumo di energia non rinnovabile e di
conseguenza sul bilancio energetico. La rotazione più efficiente in termini di produzione in energia
netta è data dalla mono-successione caratteriz- zata da una breve durata, dalla presenza del mais e della
doppia coltura oltre che da un basso input agrotecnico.
Bibliografia
Bonari, E. et al. 1992. Valutazioni energetiche di sistemi produttivi a diverso livello di intensificazione colturale. Inf. Agr., 1, 11-25.
Borrelli, L., Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’ azienda dell’Istituto Sperimentale per le
Colture Foraggere di Lodi, Annali dell’I.S.C.F. vol. IX,
Parente, G. 1996. Grassland and land use systems. In: Parente, G., Frame, J., Orsi, S. (Eds.), Grassland and Land Use
Systems. Proc. 16th Meet. EGF. ERSA, Gorizia, Italy, pp 23-3
Giardini, L. et. al. 1983. Studio del bilancio energetico in quattro rotazioni colturali eseguite per un decennio con diversi
livelli di concimazione e di irrigazione. Nota I: energia della sostanza secca prodotta e del prodotto agrario utile. Riv.
Agron., 17(2):261-278.
Jarach, M., 1985. Sui valori di equivalenza per l’analisi energetica in agricoltura. Riv. Ing. Agr. 2:102-114.
Onofrii, M. et al. 1993. Confronto tra ordinamenti cerealicolo-foraggeri, sottoposti a due livelli di input agrotecnico, nella
pianura irrigua lombarda. I. Produzioni quanti-qualitative [Comparison among cereal-forage cropping systems, at two input
levels, in the irrigated plain of Lombardy. I. Quanti-qualitative yields]. Riv. Agron. 27, 160-172.
Pellizzi, G., 1992. Use of Energy and Labour in Italian Agiculture. J. Agric. Engng. Res. 52: 111-119.
Pimentel, D., 1980. Handbook of energy utilization in agriculture. CRC Press, Boca Raton, FL..
56
SESSIONE III - AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Key note
New Integrative Modalities for Connecting Policy Makers,
Farmers and Scientists for Adaptive Farming Management in
a Climate Changing World
John Colvin1, Giovanna Seddaiu2,3, Pier Paolo Roggero2,3
1
2
Communication and Systems Department, The Open University, Milton Keynes, UK, [email protected]
Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli Studi di Sassari, IT, [email protected]
3
Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli studi di Sassari, IT, [email protected]
Introduzione
Over the past 20 years the context for agriculture has changed rapidly, sometimes radically. For example, a
recent World Bank report highlighted significant changes in the following six areas (World Bank, 2006): (i)
markets, not production, increasingly drive agricultural development; (ii) the production, trade, and
consumption environment for agriculture and agricultural products is growing more dynamic and evolving in
unpredictable ways; (iii) knowledge, information, and technology are increasingly generated, diffused, and
applied through the private sector; (iv) exponential growth in information and communications technology
has transformed the ability to take advantage of knowledge developed in other places or for other purposes;
(v) the knowledge structure of the agricultural sector in many countries is changing markedly; and (vi)
agricultural development increasingly takes place in a globalized setting. To these we can also add two other
significant areas of change: (vii) in many parts of the world we have already reached the limits of ecosystem
capacity, with ecological degradation becoming an increasingly limiting factor for agricultural development
(CAWMA, 2007); and (viii) anthropogenic climate change is already impacting on agricultural practices, and
these impacts are likely to have increasingly significant social and economic consequences in the absence of a
well-orchestrated global response (Stern, 2009).
EU policy has attempted to respond to these changes. The current trajectory of EU agricultural and rural
policy reform is towards pathways of rural development that are not just more efficient and effective in social
and economic terms, but are also capable of adapting to significant environmental challenges in terms of
ecosystem and climate change. In the EU’s agricultural policy 2007 – 2013 there was an emphasis on
‘decoupling’ in order to encourage environmentally sustainable practices among farmers, while in the EU
rural development policy framework for 2013 – 2020, specifically through the CAP Health Check, more
money
is
coming
on-stream
to
support
adaptation
to
climate
change
(http://ec.europa.eu/agriculture/healthcheck/index_en.htm). However in many parts of Europe, uptake of
funding for decoupling has been low (15% in Italy) and there is evidence that the predominant ‘command
and control’ approach to policy implementation both at EU, national and regional levels has been limited in
its effectiveness (Holling and Meffe, 1996). It would appear that despite some progressive development in
policy thinking, the traditional model of policy implementation, based on a linear and hierarchical model of
knowledge transfer (so-called ‘mode 1’: Gibbons et al, 1994), has been slow to adapt to the changes
highlighted above. Thus adaptation to climate and other environmental changes, requires adaptation not only
in policy making but also in modalities of policy implementation, as a means of catalyzing and supporting
adaptive innovations in agricultural practices.
The word ‘adaptation’ has always been important in scientific fields associated with evolution, ecology and
environmental change (Smith et al., 2000). We adopt the metaphor suggested by Collins and Ison (2009) of
‘adaptation as a good pair of shoes’, to illustrate the need for social processes of co-evolution between human
practices and the dynamics of environmental change. This metaphor has profound implications for thinking
about connectivity between, for example, policy makers, farmers and scientists. Within this metaphor it
makes little sense to understand the shoes in isolation from the feet – or more importantly – it is the dynamic
relationship between the two that is important. Adaptation as co-evolution calls for ‘mode 2’ knowledge
production, based on an iterative model of knowledge co-production and entrepreneurship (RELU 2010). A
59
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
good example of this is the approach taken by the South African government in the development of its Long
Term Mitigation Scenarios (LTMS) report (DEAT, 2007), followed by the translation of this report into the
Government’s Vision, Strategic Direction and Framework for Climate Policy (DEAT, 2008). The innovative
process of convening the LTMS in dialogue with science, policy and civil society was experienced by all
participants as an “exceptionally important learning activity”, which then made a significant difference when
government subsequently came to develop its Vision, Strategic Direction and Framework for Climate Policy,
which was approved by Cabinet in record time (9 months after publication of the LTMS) (Lukey, personal
communication).
In the 1980s, the “national agricultural research system” (NARS) concept focused development efforts on
strengthening research supply by providing infrastructure, capacity, management, and policy support at the
national level. In the 1990s, the “agricultural knowledge and information system” (AKIS) concept recognized
that research was not the only means of generating or gaining access to knowledge. The AKIS concept still
focused on research supply but gave much more attention to links between research, education, and extension
and to identifying farmers’ demand for new technologies. In the 2000s, attention has focused on the demand
for research and technology and on the development of innovation systems, because strengthened research
systems may increase the supply of new knowledge and technology, but they may not necessarily improve
the capacity for innovation throughout the agricultural sector.
By innovation, we mean new ways of doing things. This includes not only science and technology, but –
crucially – the related array of new ideas, institutions, practices, behaviors and social relations that shape
scientific and technological patterns, purposes, applications and outcomes (STEPS Centre, 2010). An
innovation system can be defined as a network of organizations, enterprises, and individuals focused on
bringing new products, new processes, and new forms of organization into economic use, together with the
institutions and policies that affect their behavior and performance. The innovation systems concept embraces
not only the science suppliers but the totality and interaction of actors involved in innovation. It extends
beyond the creation of knowledge to encompass the factors affecting demand for and use of knowledge in
novel and useful ways (Hall et al, 2004).
This has significant implications for the way that policy makers, policy implementers, farmers and scientists
as well as other stakeholders work together. Drawing on case studies from South Africa, France, the
Netherlands, and the UK and from a recent project on the climate change adaptation of Italian agriculture
(www.agroscenari.it), we provide a range of examples of how new and more ‘integrative’ modalities are
being developed as a means of connecting these different actors in new relationships of knowledge coproduction and innovation. We conclude with some reflections on how such approaches might best be
upscaled.
References
Holling CS, Meffe GK. 1996. Command and control and the pathology of natural resource management. Conservation Biology
10: 328–337.
Collins K, Ison R 2009. Living with Environmental Change: Adaptation as social learning. Env Pol Gov 19, 351-357.
CAWMA, 2007. Water for Food, Water for Life: A Comprehensive Assessment of Water Management in Agriculture. London:
Earthscan and Colombo: Int. Water Mgt Inst.
DEAT, 2007. Long Term Mitigation Scenarios: Technical Summary, Scenario Building Team, Dept. Environment Affairs and
Tourism, Pretoria.
DEAT, 2008. Government’s Vision, Strategic Direction and Framework for Climate Policy, Dept. Environment Affairs and
Tourism, Pretoria.
Gibbons M et al., 1994. The New Production of Knowledge: The Dynamics of Science and Research in Contemporary Societies,
London: Sage.
Hall A, et al. (eds), 2004. Innovations in Innovation: reflections on partnership and learning. ICRISAT, Patancheru, India and
NCAP New Delhi, India.
RELU, 2010. Telling stories: Accounting for knowledge exchange, RELU Program Briefing Series 10, March 2010.
Smith B et al. 2000. An Anatomy of Adaptation to Climate Change and Variability, Climatic Change, 45: 223-251.
STEPS Centre, 2010. Innovation, Sustainability, Development: A New Manifesto. Brighton: STEPS Centre.
Stern N. 2009. Blueprint for a Safer Planet: How to Manage Climate Change and Create a New Era of Progress and Prosperity,
London: The Bodley Head.
World Bank, 2006. Enhancing Agricultural Innovation: How to go beyond the Strengthening of Research Systems. Economic
Sector Work report. Washington DC: The World Bank.
60
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Le Emissioni dei Gas Serra nella Fase Agricola della Filiera
dei Prodotti Agro-Alimentari: il caso del Vino nel Distretto
Rurale della Maremma
Simona Bosco1, Mariassunta Galli1, Claudia Di Bene1, Damiano Remorini2, Rossano
Massai2, Enrico Bonari1
1
2
Land Lab Scuola Superiore Sant’Anna, IT, [email protected]
Dip. di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi”, Univ. Pisa, IT
Introduzione
Con la crescente attenzione alla problematica della lotta ai cambiamenti climatici si è sviluppato
l’interesse verso strumenti e metodologie per la stima delle emissioni dei gas ad effetto serra. Con la
prospettiva di controllare e mitigare le emissioni si sono, infatti, diffuse numerose metodologie per la
loro contabilità, detta in generale carbon accounting, anche al fine di supportare le scelte politiche verso
lo sviluppo di economie a bassa intensità di carbonio. Inoltre si stanno affermando, anche grazie ad
alcune etichette specifiche (carbon label), procedure di valutazione delle performance ambientali di un
determinato prodotto attraverso la valutazione delle emissioni di gas serra generate lungo la filiera di
produzione (Cholette e Venkat, 2009). La valutazione delle emissioni di gas serra ha iniziato ad
interessare anche il settore agroalimentare e questo ha portato ad analizzare differenti prodotti attraverso
l’analisi del ciclo di vita o Life Cycle Assessment (LCA) (Roy, 2009).
Una delle principali difficoltà nel condurre l’analisi di filiera di prodotti agroalimentari risiede nella
raccolta dei dati della fase agricola, che non presenta processi standardizzati come quelli industriali sui
quali è stata costruita la metodologia LCA (Mourad et al., 2007; Notarnicola et al., 2003). Infatti, la fase
agricola è soggetta alla variabilità di fattori quali il clima, il suolo e le condizioni ambientali.
Un progetto finanziato dall’Istituto per il Commercio Estero e realizzato in collaborazione con
l’Amministrazione Provinciale di Grosseto ha permesso di valutare la performance ambientale di
alcune filiere vitivinicole locali con particolare attenzione alla stima dei gas ad effetto serra anche in
previsione di un possibile utilizzo in termini di certificazione.
L’obiettivo di questo lavoro è valutare il ruolo della fase agricola (rispetto all’intera filiera)
nell’acquisizione dei dati (Life Cycle Inventory) e nell’analisi LCA per la stima delle emissioni di gas
ad effetto serra
Metodologia
Sono state selezionate 13 aziende vitivinicole appartenenti a 3 aree DOC della Provincia di Grosseto, di
cui 2 a ciclo chiuso, ovvero con il processo di vinificazione e imbottigliamento interno all’azienda, e le
altre appartenenti a 2 cantine cooperative dove conferiscono la produzione primaria L’analisi LCA è
stata riferita a un vino specifico per ogni azienda, utilizzando come unità funzionale comune una
bottiglia da 0.75 l incluso il packaging. Per la raccolta dei dati dell’intera filiera e quindi anche della
fase agricola sono stati elaborati questionari specifici che sono stati poi sottoposti alle aziende..
Ciascuna azienda è stata seguita durante la compilazione e i dati inseriti sono stati successivamente
verificati. Nell’analisi del ciclo di vita o LCA i confini del sistema considerato hanno incluso le fasi
dall’impianto del vigneto alla distribuzione e uso della bottiglia di vino. La filiera è stata suddivisa in 8
fasi, di cui 3 “più propriamente agricole”: le fasi di impianto, di allevamento e di coltivazione. Nello
specifico della fase agricola le informazioni richieste sono relative ai consumi energetici per le
operazioni colturali e ai materiali utilizzati sia all’impianto (pali, fili, ancore, etc.) che nei processi
annuali produttivi (fertilizzanti, fitofarmaci, etc.)
.Il software utilizzato per l’analisi LCA è il GaBi4, sviluppato dalla PE International e il metodo di
analisi della carbon footprint è stato il CML 2001, GWP a 100 anni che restituisce l’impatto in termini
di kg di CO2eq per unità funzionale di prodotto scelta.
61
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
La fase agricola è responsabile in media di circa il 23% delle emissioni complessive di gas ad effetto
serra per bottiglia da 0.75 l analizzata, mentre è la fase di packaging ad avere il valore più elevato
(45%). I risultati hanno mostrato che, pur analizzando aziende della stessa area geografica, la fase
agricola presenta un’elevata variabilità nei flussi sia di energia sia di materiali. Questo è determinato
principalmente da differenti livelli di meccanizzazione, come ad esempio per la fase di impianto o di
raccolta e in generale nella gestione agricola (Tabella 1).
Tabella 1. Cause della variabilità dei risultati della carbon footprint nella fase agricola di produzione del vino.
Fase
Intervallo valori
Impianto
1-9%
Allevamento
0-2%
Coltivazione
10-20%
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Principali cause
Realizzazione di scasso
Materiali utilizzati
Realizzazione e utilizzo di impianto di
irrigazione
Poco influente
Distribuzione e uso di fertilizzanti azotati
Distribuzione di fitofarmaci
Tipo di raccolta (vendemmiatrice/manuale)
Per le quattro tipologie di vino oggetto di indagine sono state valutate le emissioni di gas serra della fase
agricola in termini di kg CO2eq per kg di uva utilizzata per la produzione di una bottiglia, come
riportato in Tabella 2.
Tabella 2. Emissioni di gas serra della fase agricola per unità funzionale e per kg di uva utilizzata per unità funzionale.
Vino 1
Vino 2
Vino 3
Vino 4
kg CO2eq fase
agricola/UF
0.196
0.223
0.328
0.118
kg uva/UF
kg CO2eq/kg uva
1.009
1.084
1.331
1.236
0.194
0.206
0.247
0.096
Conclusioni
La grande variabilità riscontrata a livello aziendale per i 4 vini esaminati ha messo in luce l’importanza
di analizzare in dettaglio la fase agricola negli studi LCA di prodotti agroalimentari, a fronte di un
diffuso utilizzo di dati di letteratura, anziché di dati direttamente rilevati. Ciò è particolarmente
importante tenuto conto del fatto che la fase agricola può giocare un ruolo di notevole rilievo attraverso
interventi sia di riduzione delle emissioni che di assorbimento di CO2.
Bibliografia
Cholette S., Venkat K. 2009. The energy and carbon intensity of wine distribution: A study of logistical options for
delivering wine to consumers. J. Clean Prod, 17:1401–1413.
Mourad A. L., et. al. 2007. A simple methodology for elaborating the life cycle Inventory of agricultural product. Int. J.
LCA, 12:408-413.
Notarnicola B., et. al. 2003. LCA of wine production. In B. Mattsonn, U. Sonesson, Environmentally-friendly food
processing, Cap. 17, 306-326, Woodhead-Publishing and CRC Press, Cambridge-England, Boca Raton-USA.
Roy P., et. al. 2009. A review of life cycle assessment (LCA) on some food products. J. Food Eng, 90:1-10.
62
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Evoluzione del Clima e Incertezza delle Scelte sui Sistemi
Colturali in un Comprensorio Irriguo del Nord Sardegna
Raffaele Cortignani1, Gabriele Dono1, Luca Doro2, Luigi Ledda2,3, Graziano
Mazzapicchio1, Pier Paolo Roggero2,3
1
DEAR, Università degli Studi della Tuscia, [email protected], [email protected], [email protected]
2
Dip. Scienze Agronomiche e Genetica vegetale agraria, Università degli studi di Sassari, [email protected]
3
Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli studi di Sassari, [email protected]
Introduzione
L’analisi quantitativa dell’impatto dei cambiamenti climatici (CC) sui sistemi colturali implica
l’impiego di modelli di simulazione adeguatamente calibrati. Il modello EPIC (Environmental Policy
Integrated Climate) (Williams, 1995) è stato ampiamente validato per simulare le risposte delle colture
e dei relativi fabbisogni idrici ai CC (Adejuwon, 2005, Tourè et al., 1994). In questo lavoro, i risultati
delle simulazioni effettuate con EPIC sono stati utilizzati come input per il modello di analisi
economica per valutare l’impatto del CC sulle scelte dei sistemi coltutali in un comprensorio irriguo
della Sardegna del nord.
Metodologia
L’area di studio è situata nel bacino del Cuga nel nord ovest della Sardegna. Buona parte delle aziende
agricole ricevono l’acqua dal Consorzio di bonifica della Nurra. L’ordinamento produttivo
predominante è cerealicolo-zootecnico, dove il silomais rappresenta circa il 10% del totale delle colture
irrigue praticate. L’analisi economica ha riguardato il possibile impatto, sulle scelte nei sistemi colturali,
della incertezza delle precipitazioni autunno-invernali e delle temperature massime primaverili-estive
rilevate nell’area nel periodo 1961-2003. Le precipitazioni autunno-invernali hanno effetti sulla
disponibilità di acqua irrigua in bacino; le temperature massime estive influenzano i fabbisogni irrigui
delle colture. Perciò, all’inizio dell’annata agraria vi è incertezza sulla disponibilità d’acqua in bacino;
all’inizio della stagione irrigua vi è incertezza sui fabbisogni irrigui delle colture. Sono stati valutati gli
effetti dell’incertezza delle due componenti climatiche sugli ordinamenti colturali, sull’utilizzo dei vari
fattori produttivi e sul reddito delle aziende agricole. Per considerare l’incertezza in momenti diversi è
stato impiegato un modello di Programmazione Stocastica Discreta (PSD) a tre stadi, che riesce a
cogliere la sequenzialità delle scelte in momenti con un diverso grado di conoscenza sugli eventi
climatici d’interesse.
I fabbisogni idrici, le rese e l’efficienza d’uso dell’acqua del mais sono stati quantificati su base annua
con il modello di simulazione EPIC opportunamente calibrato, utilizzando come input i dati sulle
caratteristiche di una tipologia di suolo diffusa nell’area (Madrau et al., 1981). Le informazioni sulla
gestione agronomica del mais e sulle rese sono state acquisite tramite interviste agli agricoltori. Le
simulazioni sulla coltura del silomais sono state impostate prevedendo, attraverso l’irrigazione, la
costante assenza di condizioni di stress idrico. I dati meteorologici si riferiscono alle temperature max e
min e precipitazioni giornaliere dei ventenni 1961-1980 e 1984-2003 di Alghero aeroporto1. La
concentrazione di CO2 indica valori crescenti dal 1961 (317.64 ppm) al 2003 (375.78 ppm).
Risultati
Le temperature medie mensili nel periodo irriguo relative al ventennio 1984-2003 sono risultate
significativamente superiori rispetto al ventennio precedente (tab. 1). La produzione di trinciato di mais
simulata dal modello è risultata superiore di circa il 6.5% nel secondo ventennio, principalmente per
effetto dell’incremento di concentrazione di CO2, visto che a CO2 costante le produzioni medie dei due
ventenni risultavano non significativamente diverse.
1
La serie storica di dati meteo è stata messa a disposizione dal CRA-CMA.
63
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
L’incremento di temperatura ha determinato un aumento dei consumi irrigui del 16% e una conseguente
riduzione dell’efficienza d’uso dell’acqua dell’8% (tab. 2). I valori di evapotraspirazione per il mese di
agosto sono aumentati del 18% passando dal primo al secondo periodo considerato. Tutte le differenze
riportate nelle tabelle sono altamente significative (P<0.001).
Tabella 1. Variazioni delle temperature medie delle massime mensili nei due ventenni considerati.
Ventennio
1961-1980
1984-2003
Δ
maggio
21.0
22.6
+1.6
giugno
24.9
26.7
+1.8
luglio
28.0
29.8
+1.8
agosto
28.2
30.5
+23
settembre
25.7
26.8
+0.9
Tabella 2. Variazioni delle rese, dei consumi irrigui, dell’efficienza d’uso dell’acqua (WUE) e
dell’evapotraspirazione colturale nel mese di agosto nei due ventenni considerati.
Ventennio
Resa
(t/ha s.s.)
1961-1980
1984-2003
Δ
17.1
18.2
+1.1
Irrigazione
(mm)
659.2
761.6
+102.4
WUE (kg
s.s./mm
H2O)
35.2
32.4
-2.9
ET agosto
(mm)
183.2
217.2
+34.9
I risultati del modello di PSD mostrano che l’incertezza sui fabbisogni irrigui e sulle rese del silomais
determina una riduzione delle relative superfici. A fronte di ciò, per soddisfare i fabbisogni nutritivi
degli animali, si tende a ricorrere ad una maggiore produzione di fieno di avena e ad un maggior
acquisto di farina di orzo e di mangimi. Complessivamente l’incertezza determinata dai CC comporta
una riduzione seppur contenuta dei margini lordi degli agricoltori.
Conclusioni
L’analisi integrata ha permesso di valutare quantitativamente le relazioni tra variabilità climatica,
fabbisogni irrigui delle colture e implicazioni sull’incertezza delle scelte nel contesto di un
comprensorio irriguo mediterraneo servito da un bacino artificiale. Nello specifico, l’evoluzione
climatica registrata nel Nord Sardegna nell’ultimo quarantennio ha determinato un significativo
aumento dei fabbisogni irrigui e una condizione di maggiore incertezza che si è tradotta in una certa
riduzione dei margini lordi per gli agricoltori.
Bibliografia
Adejuwon J. 2005. Assessing the suitability of the EPIC crop model for use in the study of impacts of climate variability
and climate change in West Africa. Singapore Journal of Tropical Geography, 26: 44-60.
Dono G., Mazzapicchio G. 2010. Uncertain water supply in an irrigated Mediterranean area: An analysis of the possible
economic impact of climate change on the farm sector, Agricultural Systems, Vol. 103, Issue 6.
National Oceanic and Atmospheric Administration, 2010. Mauna Loa CO2 annual mean data. Earth System Research
Laboratory (ESRL) http://www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends/
Madrau S. et al. 1981. Rilievo integrale dell’area di Tottubella (Sardegna nord-occidentale). Atti dell’Istituto di
Mineralogia e geologia, vol. 2. Università di Sassari.
Touré A. et al. 1994. Comparison of Five Wheat Simulation Models in Southern Alberta. Canadian Journal of Plant
Science. 75: 61-68.
Williams J.R. 1995. The EPIC model. In: Singh, V.P. (Ed.), Computer Models of Watershed Hydrology. Water Resources
Publications, Littleton, CO, pp. 909–1000.
64
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
I Piani Pastorali Aziendali a Sostegno dell’Alpicoltura in
Piemonte
Giampiero Lombardi1, Michele Lonati1, Luigi Ferrero2, Marco Corgnati2, Alessandra
Gorlier1, Andrea Cavallero1
1
Dip. di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del territorio, Univ. Torino, IT, [email protected]
2
Direzione Regionale Agricoltura, Regione Piemonte, IT, [email protected]
Introduzione
Le superfici prato-pascolive permanenti presenti sul territorio regionale piemontese ammontano oggi a
circa 370.000 ha (Regione Piemonte - CSI, 2007), il 75% dei quali situato in aree montane (ISTAT,
2007). Questi ultimi sono utilizzati per la maggior parte da aziende con bovini che, oltre a sfruttare le
risorse dei fondovalle, monticano circa 70.000 capi adulti negli oltre 1000 alpeggi attualmente attivi in
Piemonte (IPLA, 2008). Gli alpeggi e le attività pastorali a essi connesse rappresentano pertanto
un’importante risorsa del territorio regionale, la cui utilizzazione ha ancora oggi ricadute economiche
localmente consistenti. In questo contesto, la crescente domanda di fruizione di ambienti naturali da
parte del grande pubblico, alla quale è collegata la richiesta di prodotti tipici del territorio, ha spinto la
Regione Piemonte ad acquisire, a partire dagli anni ’90, le informazioni necessarie per una
pianificazione integrata dell’utilizzo degli spazi montani. Il Piano Forestale Regionale (L.R. 4/2008)
con al suo interno i Piani Forestali Territoriali e Aziendali, la Banca Dati sugli Alpeggi e i Tipi Pastorali
delle Alpi piemontesi (Cavallero et Al., 2007) sono una base conoscitiva costituita da dati spazialmente
riferibili sulla quale fondare la successiva pianificazione forestale e pastorale.
Nell’ambito degli strumenti previsti dal Regolamento CE 1698/2005 e successive modifiche, il PSR
(Programma di Sviluppo Rurale) 2007-2013 prevede, relativamente all’asse II – misura 214 (pagamenti
agro-ambientali), una serie di azioni specifiche volte alla conservazione della biodiversità, alla tutela del
suolo, del paesaggio e delle risorse idriche dei sistemi pascoli estensivi (misura 214.6).
Le azioni di base previste dalla misura 214.6/1 (compensate con un premio di 40 € anno-1 ha-1 di
superficie gestita) mirano a contrastare la tendenza alla concentrazione della produzione zootecnica
nelle aree di pianura, e a valorizzare la funzione della zootecnia per la conservazione delle zone rurali
marginali, promuovendo lo sviluppo in pianura, collina e montagna di sistemi pascolivi basati
sull’estensivizzazione della produzione agricola che può avere effetti positivi sull’ambiente e sul
paesaggio. Oltre a tali azioni, il PSR 2007-2013, introduce, attraverso la misura 214.6/2, il Piano
Pastorale Aziendale (PPA) come strumento per la conservazione delle risorse pastorali d’alpeggio e,
indirettamente, degli ambienti della montagna piemontese, la loro valorizzazione produttiva,
ambientale, paesaggistica e fruitiva, prevedendo un premio aggiuntivo, rispetto alla misura 1, di 60 €
anno-1 ha-1 di superficie gestita per un massimo di cinque anni.
In questo lavoro è presentato per la prima volta il Piano Pastorale Aziendale così come organizzato per
inserirsi nel contesto normativo nel quale le aziende pastorali operano e sono sintetizzate le ricadute
derivanti dalle prime applicazioni nelle Alpi piemontesi.
Il Piano Pastorale Aziendale
Il PPA è lo strumento professionale che definisce i criteri per la corretta gestione pastorale delle
superfici montane a prevalente utilizzazione pascoliva, dove con gestione pastorale s’intende la
predisposizione e la messa in atto di azioni volte a ottenere annualmente, con erbivori pascolanti, una
produzione economicamente soddisfacente e, a medio e lungo termine, la conservazione e il
miglioramento delle risorse pastorali utilizzate.
La redazione di un PPA implica l’acquisizione di una serie di elementi conoscitivi di base, comuni a
tutti gli obiettivi gestionali ipotizzabili, successivamente utilizzati nella fase di pianificazione, basata
sugli obiettivi specifici posti dalla domanda di gestione da parte dell’azienda pastorale richiedente.
Gli elementi conoscitivi di base comprendono: (i) definizione del territorio oggetto del piano, costituita
dall’elenco delle particelle catastali (con i relativi dati catastali) per le quali l’azienda possiede titolo
65
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
d’uso e dalla carta con indicazione dei confini di alpeggio/tramuti; (ii) descrizione delle caratteristiche
fisiche e climatiche e delle condizioni di accessibilità del territorio, finalizzata a evidenziare gli elementi
che possono condizionare le scelte gestionali, corredata di idonea cartografia; (iii) analisi di dettaglio
delle risorse vegetazionali, basata sul rilievo fitopastorale da eseguire su una griglia a maglia 150 x 150
m, finalizzata a classificare i rilievi in gruppi ecologici, tipi e facies pastorali secondo quanto proposto
ne “I tipi pastorali delle Alpi piemontesi” (Cavallero et al., 2007); l’analisi è corredata della cartografia
della vegetazione pastorale attuale, comprensiva della rappresentazione delle superfici non utilizzabili,
con indicazione dei punti di rilievo; (iv) analisi della gestione attuale e pregressa dell’alpeggio, con
riferimento a strutture, infrastrutture e viabilità (con elementi funzionali alla gestione) e
all’organizzazione produttiva (orientamenti produttivi, animali utilizzatori, tecniche di pascolamento e
gestione delle restituzioni, tecniche di mungitura, pratiche agronomiche e pastorali di gestione e di
miglioramento); (v) valutazione delle potenzialità pastorali ovvero dei carichi potenziali, ammissibili e
consigliati per ciascuna superficie minima a vegetazione omogenea; (vi) confronto tra lo stato attuale e
potenziale dell’alpeggio, evidenziando le corrette scelte gestionali, gli errori tecnici gestionali e i vincoli
esistenti al cambiamento.
La pianificazione, predisposta in funzione delle effettive possibilità di applicazione da parte dell’azienda
richiedente, si compone di: (i) proposte di gestione dell’alpeggio (definizione degli obiettivi gestionali
generali rispetto alla situazione attuale e degli obiettivi specifici per le differenti aree pascolive:
conservazione, miglioramento, recupero, evoluzione naturale); (ii) localizzazione delle strutture e
infrastrutture con indicazione delle esigenze di adeguamento; (iii) organizzazione della gestione
(definizione di sezioni di pascolo, periodi di utilizzazione ottimali, carichi ammissibili per sezioni di
pascolo, tecniche di pascolamento, dislocazione dei punti di abbeverata, riposo diurno e notturno,
integrazione salina e mungitura); (iv) indicazione della priorità degli interventi; (v) piano economico
con la valutazione del costo delle proposte, in funzione di obiettivi, risorse già eventualmente
disponibili, esigenze e possibilità del gestore.
La valutazione del PPA è realizzata mediante un’istruttoria durante la quale le Provincie o le Comunità
Montane delegate verificano la congruità e l’applicabilità delle proposte gestionali e che termina con
l’autorizzazione all’avvio della fase operativa. Successivamente all’applicazione l’Agenzia Regionale
per le Erogazioni in Agricoltura (ARPEA) corrisponde i premi previsti con verifiche a campione
dell’effettiva e corretta attuazione del piano.
Ricadute dei PPA
L’attuazione dei primi PPA ha avuto immediate ricadute positive sul sistema pastorale, quali
l’allungamento a cinque anni delle concessioni per gli alpeggi al fine di consentire alle aziende
richiedenti di beneficiare interamente dei contributi, aumentando la propensione a investimenti di medio
termine. L’incentivazione della pratica del pascolamento turnato dovrebbe apportare benefici alla
vegetazione, pur essendo necessario un monitoraggio degli effetti dei cambiamenti gestionali, in
particolare negli alpeggi dove questa tecnica è di nuova introduzione. L’introduzione del piano, con la
quantificazione delle superfici pascolabili e della composizione vegetazionale offre la possibilità di
valorizzare le produzioni animali tramite i catasti pastorali (Cavallero et al., 2008). Infine l’offerta di
corsi professionalizzanti, attuati contestualmente all’attivazione della misura 214.6/2, aumenta la
qualificazione degli agronomi e dei forestali incaricati della redazione, che inserendo i dati conoscitivi
nelle banche dati regionali contribuiranno a migliorare la conoscenza del territorio pastorale regionale.
Bibliografia
Cavallero A. et al. 2007. I tipi pastorali delle Alpi piemontesi. Alberto Perdisa Editore, Bologna, 467 pp.
Cavallero A. et al. 2008. Catasto Pastorale degli alpeggi della Val Pellice. Regione Piemonte, Torino, 312 pp.
IPLA S.p.A. 2008. Banca dati degli alpeggi. Regione Piemonte, Torino, CD rom
ISTAT 2007. [http://agri.istat.it].
Regione Piemonte - CSI 2007. Anagrafe Agricola Unica: [http://www.sistemapiemonte.it/agricoltura/banche_dati].
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Approccio Partecipativo per lo Sviluppo Integrato e la
Gestione delle Zone Marginali in Nord Africa:
Progetto Dimostrativo di Lotta alla Desertificazione in
Marocco e Tunisia
Maurizio Mulas1,2, Davide Bellavite2, Marcello Lubino2, Oumelkheir Belkheiri2,
Giuseppe Enne2
1
Dipartimento di Economia e Sistemi Agrari e Forestali, Università di Sassari, IT, [email protected]
2
Nucleo Ricerca sulla Desertificazione (NRD), Università di Sassari, IT, [email protected]
Introduzione
Nelle zone aride e semiaride, l’agricoltura e la pastorizia rappresentano fondamentali risorse per la
sussistenza delle popolazioni locali. Nonostante la loro importanza strategica, in queste aree, le
produzioni risultano sovente limitate e irregolari, manifestando un grosso limite allo sviluppo delle
attività agropastorali. Gli ecosistemi dei territori interessati si presentano spesso fragili, a causa
dell’azione combinata di fattori climatici e delle attività umane. L'aratura e la rimozione indiscriminata
della vegetazione, insieme all’irregolarità e all’insufficienza delle piogge sono spesso responsabili di
fenomeni di degrado dei suoli, distruzione su grande scala della copertura vegetale e desertificazione.
La crescente domanda di foraggio per gli allevamenti, di gran lunga superiore alla produttività dei
pascoli (Le Houerou, 1990; 2000), ha provocato un aumento della pressione sul pascolo e la messa in
coltura ad orzo di terre tradizionalmente adibite esclusivamente a pascolo, causando una accelerazione
dei fenomeni di degrado del suolo (Abu Zenat et al. 2004). Inoltre, si è evidenziato un impoverimento
qualitativo dei pascoli, dove le specie di alto valore foraggero sono spesso sostituite da piante meno
produttive, meno appetibili e meno nutrienti di quelle originali (Juneidi and Abu-Zanat, 1993). In
questo contesto, l’impianto di arbusti foraggeri garantisce la copertura vegetale del suolo, offrendo
protezione contro l’erosione e rappresenta una potenziale risorsa di foraggio e legna da ardere (Mulas e
Mulas, 2004). Le specie Opuntia ficus indica, particolarmente tollerante all’erosione idrica ed eolica
(Nefzaoui et al. 2000), e Atriplex nummularia, perfettamente adatta ai climi mediterranei aridi o
semiaridi (Hyder ed Akil, 1987), sono le più impiegate nelle regioni del Nord Africa e Medio Oriente.
In questo lavoro si riportano i risultati di un intervento di sviluppo integrato, basato sull’impianto di
Opuntia ficus indica e Atriplex sp.pl., nell’ambito del progetto europeo SMAP II “Demonstration
Project on Strategies to Combat Desertification in Arid Lands with Direct Involvement of Local
Agropastoral Communities in North Africa ” coordinato da NRD-UNISS e realizzato in aree aride e
semiaride degradate di Marocco e Tunisia.
Metodologia
L’iniziativa, a carattere dimostrativo, aveva come principale obiettivo la mitigazione di fenomeni di
degrado del suolo e di desertificazione in pascoli degradati del Marocco e della Tunisia e di incremento
della loro produttività. L’intervento è stato condotto impiegando una metodologia basata su tre livelli:
(i) interventi diretti su pascoli degradati ed aumento della loro produttività attraverso l’utilizzo di specie
foraggere arbustive perenni (Opuntia sp. pl. e Atriplex sp. pl.). In Marocco sono stati impiantati 2000 ha
di Atriplex sp. pl. e 62 ha di Opuntia sp. pl., mentre in Tunisia 2000 ha di Opuntia spp, 457 ha di Acacia
e 44 ha di Atriplex; (ii) attività di formazione e implementazione di studi specifici sulle aree di progetto,
atti a rafforzare le capacità di tutti gli stakeholder coinvolti nelle attività di progetto; (iii) viaggi di
scambio tra i due Paesi, attività dimostrative, di sensibilizzazione e disseminazione dei risultati del
progetto a livello locale, nazionale e internazionale, attraverso il coinvolgimento di istituzioni quali
l’Unione Maghreb Araba (UMA) e l’Osservatorio del Sahara e del Sahel (OSS). In questo modo si è
67
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
inteso promuovere e rafforzare uno scambio di know-how e competenze sulle tematiche affrontate
dall’iniziativa sia a livello Sud/Sud che Nord/Sud.
Risultati
L’impianto delle foraggere arbustive nei contesti considerati ha permesso di conseguire risultati concreti
e misurabili a livello locale già nell’arco di durata del progetto:
- miglioramento dello stato del suolo e della quantità e qualità delle specie spontanee erbacee: aumento
della percentuale di carbonio organico nel suolo da 0.45% a 0.70%, decremento della conducibilità
elettrica, incremento della quantità di azoto e del pH sotto chioma, conseguente riduzione dei
fenomeni di erosione eolica per l’azione frangivento di Atriplex spp. e Opuntia spp.;
- aumento della produzione foraggera (da 216 a 718 UF/ha in Marocco);
- produzione di frutti di fico d’India per il consumo diretto e/o commercializzazione;
- miglioramento della professionalità dei tecnici delle istituzioni locali, degli allevatori e delle donne,
attraverso l’organizzazione di 120 sessioni di formazione che hanno coinvolto nei 5 anni di progetto un
totale di 992 allevatori nei due paesi, di cui 400 donne e hanno portato alla formazione di 6 cooperative
femminili per alfabetizzare e coinvolgere le donne rurali in attività generatrici di reddito.
Altri benefici effetti sono previsti nel medio e lungo termine, come il miglioramento della produzione
animale, l’ulteriore miglioramento della fertilità del suolo, il coinvolgimento di un più ampio numero di
allevatori e l’aumento delle superfici impiantate.
Le azioni di disseminazione a livello nazionale ed internazionale sono state attuate attraverso
l’organizzazione di workshop che hanno dato una grande visibilità all’intervento. L’azione dimostrativa
è divenuta così un modello di sviluppo già adottato dai governi marocchino e tunisino.
Conclusioni
Il conseguimento dei risultati è stato attribuito in larga misura all’approccio partecipativo scelto, che ha
coinvolto le popolazioni locali sin dalla fase di progettazione della proposta. Il continuo confronto con
gli stakeholder ha permesso di modulare le azioni di formazione tecnica che hanno rappresentato un
punto di forza per il follow-up post progetto, che ha permesso di valorizzare appieno la non trascurabile
dotazione di strutture e mezzi messa a disposizione dal progetto. Il capitale relazionale associato al
modello organizzativo cooperativo in Marocco e associazionistico in Tunisia, promosso attraverso le
azioni di progetto, ha permesso di dare alle nuove organizzazioni un ruolo di rappresentanti delle
comunità locali e di interlocutori con i governi locali, nella prospettiva di regolare l’utilizzazione dei
pascoli e la gestione sostenibile degli impianti realizzati.
Bibliografia
Abu-Zanat M W. et al. 2004. Increasing range production from fodder shrubs in low rainfall areas. Journal of Arid
Environments, 59:205-216
Hyder, J.Z. and Akil, B. 1987. Establishment of exotic Atriplex species under irrigated and non-irrigated conditions in
central Saudi Arabia. Pakistan Journal of Agricultural Research, 8:184–190.
Juneidi J.M., Abu-Zanat M. 1993. Jordan agricultural sector review: low rainfall zone, Agricultural Policy Analysis
Project, Phase II (APAP II), USAID, Amman, Jordan.
Le Houerou, H.N., 1990. Agroforestry and sylvopastoralism to combat land degradation in the Mediterranean basin: old
approaches to new problems. Agricultural Ecosystems and Environment, 33:99–109.
Le Houerou, H.N. 2000. Restoration and Rehabilitation of Arid and Semiarid Mediterranean Ecosystems in North Africa
and West Asia: A Review. Arid Land Research and Management, 14:3-14.
Mulas M., Mulas G. 2004. Utilizzo strategico di piante dei generi Atriplex e Opuntia nella lotta alla desertificazione.
Scientific review , http://desa.uniss.it/mulas/desertIT.pdf
Nefzaoui A., Ben Salem H. 2000. Opuntia: a strategic fodder and efficient tool to combat desertification in the WANA
Region. CACTUSNET Newsletter: 2-24.
68
POSTER
SESSIONE I – AGRONOMIA E SISTEMI COLTURALI
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Differenze nella Resa e nel Contenuto di Glicosidi dello
Steviolo tra Diverse Accessioni di Stevia Rebaudiana Bert
Luciana G. Angelini, Silvia Tavarini
Dipartimento di Agronomia e Gestione dell'Agroecosistema, Univ. Pisa, IT, [email protected]
Introduzione
Stevia rebaudiana Bert. è una Composita poliennale, originaria delle regioni al confine tra Paraguay e
Brasile, e rappresenta una valida fonte di diterpeni glicosilati (stevioside, steviolbioside, rebaudioside A,
B, C, D, E, F, e dulcoside A) (Geuns, 2003) utilizzabili come dolcificanti ipocalorici. Tra i diterpeni
glicosilati, lo stevioside è il più abbondante, seguito dal rebaudioside A, dalle migliori caratteristiche
organolettiche. La quantità e la proporzione tra i diversi glicosidi non è stabile, ma dipende dall’età,
dallo stadio di sviluppo e dalle caratteristiche genetiche della pianta. Stevia rebaudiana e gli steviolglicosidi sono stati oggetto di vari studi sulla base dei quali si è giunti all’immissione nel mercato in
diversi Paesi del mondo, di estratti a diverso titolo di stevioside e rebaudioside A come dolcificanti
intensivi, ipocalorici ed acariogeni per alimenti e bevande. Al fine di valutare il livello di resa e il
contenuto di steviol-glicosidi e il loro rapporto, diversi genotipi di Stevia sono stati confrontati e
analizzati in diversi momenti del ciclo.
Metodologia
Sono stati posti a confronto diversi genotipi (NU, RG, CO, MI) di origine brasiliana e paraguayana. Il
materiale vegetale (NU e RG) è stato riprodotto agamicamente mediante porzioni di talea di fusto
prelevate dalle piante madri nell’autunno dell’anno precedente. Le piantine ottenute da seme (CO) sono
state seminate nella primavera/estate precedente in contenitori alveolati e mantenute in condizioni
ottimali in serra fino al trapianto. Le piante MI, micropropagate sono state trasferite ex vitro
nell’autunno precedente su un substrato selezionato così da permettere un adeguato sviluppo. Tutte le
piante sono state poste nelle stesse condizioni e mantenute in serra fino al momento del trapianto
avvenuto nella primavera del 2009. Nove piante di ciascun genotipo sono state poste all’interno di
contenitori della superficie di 1 m2 e profondi 1 m replicati quattro volte, contenenti terreno di medio
impasto e di buona fertilità. Prima dell'impianto è stato distribuito sia concime organico (1200 kg/ha),
che minerale (150-50-80 kg/ha di N-P-K). Le piante sono state mantenute in condizioni ottimali di
disponibilità idrica e campionate in diversi momenti del ciclo. Le principali caratteristiche biometriche e
produttive sono state determinate su 5 piante presenti nella parte centrale di ciascun contenitore. La
quantificazione dei principali steviol-glicosidi è stata effettuata mediante HPLC, in accordo con i
metodi riportati da Kolb et al. (2001) e da Hearn e Subedi (2009), con opportune modifiche. Lo
stevioside e il rebaudioside A sono stati quantificati mediante standard esterni, mentre il rebaudioside C
tramite la curva di calibrazione dello stevioside, corretto per il proprio peso molecolare.
Risultati
I genotipi NU e CO si sono dimostrati più produttivi in termini di sostanza secca totale. I genotipi CO e
MI sono caratterizzati da un portamento meno ramificato, in particolare il genotipo CO si è distinto per
un fusto principale molto sviluppato in spessore e con ramificazioni che si dipartono dalla parte medioalta del fusto. Le piante MI ottenute mediante micropropagazione hanno presentano la minore
produzione in foglie (Tabella 1). I risultati ottenuti dalla determinazione quanti-qualitativa degli steviolglicosidi presenti nelle foglie dei genotipi in prova, mettono in evidenza un significativo effetto delle
caratteristiche genetiche sia sul contenuto di rebaudioside A che di stevioside, che del loro rapporto può
essere considerato una buona misura qualitativa della dolcezza (Tabella 2). Il rebaudioside C è presente
in quantitativi maggiori nel genotipo NU mentre in MI non è stato possibile determinarlo in quanto
presente in tracce. Anche l’epoca di raccolta gioca un ruolo importante nella definizione dei quantitativi
dei glicosidi presenti nelle foglie. Dai campionamenti effettuati durante la stagione di crescita da luglio
ad ottobre possiamo notare come i genotipi NU e CO siano in grado di mantenere valori più elevati nel
73
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
tempo sia di stevioside e rebaudioside A rispetto agli altri genotipi (Figura 1). Contrariamente in RG si
assiste ad un brusco decremento nel tempo dei due glicosidi.
Tabella 1. Caratteristiche biometriche e produttive (valori medi ± deviazione standard) in diversi genotipi di Stevia
rebaudiana, ottenuti mediante propagazione agamica (talea e micropropagazione) e per seme nei rilievi effettuati il 2
settembre.
Genotipo/
tipo di propagazione
NU talea
RG talea
MI micropropagato
CO seme
altezza
cm
75.00 ± 2.83 a
60.67 ± 4.04 a
67.67 ± 5.69 a
70.33 ± 7.02 a
68.42 ± 5.99
ramificazioni
n./pianta
19.50 ± 3.60 a
16.00 ± 9.54 b
9.33 ± 2.52 c
8.50 ± 0.71 c
13.33 ± 5.31
N.S.
*
PS totale
PS foglie
Indice di
g/pianta
g/pianta
raccolta
208.39 ± 24.38 a 103.69 ± 22.09 a
0.50 b
122.07 ± 27.18 b 73.21 ± 20.21 b
0.60 a
118.03 ± 23.48 b 62.67 ± 12.07 c
0.53 b
166.89 ± 22.89 a 83.83 ± 22.50 b
0.50 b
153.85 ± 42.57
80.85 ± 17.51
0.53 ± 0.05
Media
Significatività (DMS P≤0.05)
**
**
*
Tabella 2. Contenuto medio (± deviazione standard) di stevioside e rebaudioside A (espresso come percentuale sulla
sostanza secca fogliare) nelle foglie dei diversi genotipi di Stevia rebaudiana, nei rilievi effettuati il 2 settembre.
Genotipo/
tipo di propagazione
NU talea
RG talea
MI micropropagato.
CO seme
Media
Significatività (DMS P≤0.05)
Stevioside
%
6.98 ± 0.25 a
5.37 ± 0.15 b
5.35 ± 0.04 b
6.75 ± 0.58 a
6.11 ± 0.87
*
Rebaudioside A
%
4.88 ± 0.25 a
2.30 ± 0.04 b
2.85 ± 0.31 b
4.29 ± 0.79 a
3.58 ± 1.21
**
Rebaudioside
A/stevioside
0.70±0.02 a
0.43±0.01 b
0.53±0.02 b
0.64±0.03 a
0.58± 0.12
*
Rebaudioside C
%
1.34±0.13
1.07±0.06
n.d.
0.77±0.08
1.06± 0.29
-
Figura 1. Contenuto medio (± deviazione standard) di stevioside e rebaudioside A (espressi come percentuale sulla
sostanza secca fogliare) nelle foglie dei diversi genotipi di Stevia rebaudiana raccolte in tre diversi momenti della stagione
di crescita.
Conclusioni
Questa indagine condotta su diversi genotipi allevati in analoghe condizioni di crescita ha permesso di
valutare differenze nel contenuto di glicosidi dello steviolo e del loro rapporto. Le variazioni
significative nel contenuto di stevioside e rebaudioside A osservate durante la stagione di crescita ci
consentono di definire per ogni genotipo l’epoca ottimale di raccolta in relazione al contenuto di
rebuadioside A e stevioside.
Bibliografia
Hearn L.K., Subedi P.P. 2009. Determining levels of steviol glycosides in the leaves of Stevia rebaudiana by near infrared
reflectance spectroscopy. J. Food Comp. Anal., 22:165-168.
Kolb N. et al. 2001. Analysis of sweet diterpene glycosides from Stevia rebaudiana: improved HPLC method. J. Agric.
Food Chem., 49:4538-4541.
Geuns J.M.C. 2003. Stevioside. Phytochem., 64:913-921.
74
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Qualità dei Prodotti Ottenuti da Spremitura Meccanica di
Semi di Jatropha curcas L. non Tossica
Mario Baldini, Elena Bulfoni, Francesco Danuso, Alvaro Rocca
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Univ. Udine, IT, [email protected]
Introduzione
La Jatropha è attualmente considerata da molti governi, enti pubblici e imprenditori di Paesi tropicali
come la più promettente tra le nuove colture destinate alla produzione di biocombustibili (King et al.,
2009). Ciò nonostante, la potenzialità della coltura rimane solo parzialmente sfruttata; infatti,
l’utilizzazione più appropriata del panello di jatropha ottenuto dall’estrazione dell’olio, risulta di
cruciale importanza per la sostenibilità di sistemi di produzione di biocombustibili basati su questa
coltura. L’alto valore nutrizionale di questo panello è ben noto (Martınez-Herrera et al., 2006), ma il suo
utilizzo come mangime è limitato a causa della presenza di composti tossici, tra i quali i phorbol esteri
(PE), che sono no degradabili con alte temperature e danno effetti tossicologici sugli animali anche a
bassissime concentrazioni. Proprio per i motivi sopra accennati, piante prive di phorbol esteri, già
presenti in alcune aree del Messico (Makkar et al., 1998), potrebbero assumere notevole importanza se
adeguatamente sfruttate. I semi di Jatropha curcas non tossica sono stati analizzati in questo studio
quali possibili materie prime per l’ottenimento di olio vegetale ad utilizzo energetico e panello a
destinazione zootecnica, e confrontati con girasole e colza, focalizzando l’analisi sulla qualità dei
prodotti ottenuti utilizzando una macchina spremitrice a freddo per produzioni a livello aziendale.
Metodologia
La sperimentazione è stata svolta utilizzando semi di Jatropha curcas, proveniente da piante coltivate a
Cuautla, nello stato di Morelos, Messico e semi di girasole e colza (tipo standard) provenienti da
coltivazioni Italiane. Le prove sono state condotte presso l’azienda sperimentale dell’Università di
Udine utilizzando una macchina spremitrice “MPS 60 MT” (Mailca). Una volta stabilizzati i parametri
di processamento (flusso dei semi e temperature), è iniziata l’attività di spremitura dei semi che si è
protratta per 30 minuti per ogni specie, durante i quali sono stati fatti i prelievi di campioni di olio e
panelli di spremitura. Oltre ai principali parametri del processo di spremitura, sono stati determinati la
composizione in acidi grassi degli oli, la composizione chimica dei panelli e il contenuto in phorbol
esteri mediante HPLC. É stata inoltre valutata la qualità degli oli vegetali come carburanti secondo la
normative DIN V 51605, che riporta le specifiche tecniche degli oli vegetali e dei grassi ad uso
energetico e ad oggi seguite da tutti i costruttori europei di motori endotermici (trattrici e cogeneratori).
Risultati
Riguardo ai principali parametri di processamento, con girasole e jatropha si sono ottenute le più alte
performance di estrazione (77.6 e 76.4, rispettivamente), ma, nella seconda, la più bassa capacità di
produzione oraria di olio (6.2 kg/ora). Ciò è dovuto alle grandi dimensioni del seme di jatropha in
confronto agli elementi della testa di spremitura, interferendo negativamente sul flusso di seme in
entrata (21.2 kg/ora). Le caratteristiche nutrizionali del panello estruso di jatropha sono risultate molto
simili a quelle del girasole, ma con minor contenuto in olio (11.5 %), che ne aumenta la conservabilità,
diminuendo i rischi di ossidazione, ed un maggior contenuto di fibra grezza (39.1 %), caratterizzata da
un’elevata frazione di lignina (30.3 %) tipica della struttura del guscio (Tab.1). Tutti i panelli estrusi
delle specie analizzate sono caratterizzati da elevati livelli di importanti elementi minerali, tra i quali
calcio, magnesio fosforo e potassio, tra i quali l’ultimo, particolarmente richiesto nell’alimentazione dei
bovini da carne, è risultato molto elevato nell’estruso di jatropha (15,000 mg/kg). Riguardo alle
caratteristiche fisico-chimiche degli oli grezzi e destinati all’utilizzazione energetica, due sono stati i
parametri che si discostavano dai limiti standard della normativa DIN V 51605: l’acidità dell’olio di
jatropha (10.2 mg KOH/g contro i 2 mg KOH/g previsti come limite massimo), il cui valore potrebbe
75
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
essere abbassato semplicemente migliorando le condizioni di essiccamento e stoccaggio dei semi, ed il
contenuto di fosforo negli oli di colza e jatropha (29.5 e 64.1 mg/Kg, rispettivamente, contro i 12
mg/Kg previsti come limite massimo) (Tab.2). Le temperature elevate raggiunte dall’olio durante la
fase di spremitura (59.6 e 49.8 °C, per jatropha e colza rispettivamente) potrebbero aver determinato
un’elevata co-estrazione dei fosfolipidi delle membrane, determinando un loro passaggio nell’olio.
Tabella 1. Composizione chimica dei panelli estrusi.
Specie
S.S.
(%)
Fibra
grezza
(%)
Proteina
grezza
(%)
Estratto
etereo
(%)
Ceneri
(%)
Estrattivi
inazotati
(%)
NDF
(%)
ADF
(%)
ADL
(%)
Colza
92.2
13.1
29.1
20.1
6.0
23.9
29.6
21.0
10.1
Girasole
91.5
33.0
25.6
16.2
5.5
11.2
45.6
37.6
14.8
Jatropha
91.2
39.1
24.4
11.5
6.4
9.8
56.2
48.4
30.3
Tabella 2. Principali caratteristiche degli oli grezzi.
Specie
Contenuto
in acqua
(%)
Indice di
acidità
(mgKOH/g)
Contaminazione
totale
(mg/kg)
Densità
(15°C)
(kg/m3)
Fosforo
(mg/kg)
Ceneri
(% m/m)
Rapeseed
0.05
3.8
0.05
920.0
29.5
0.003
Sunflower
0.07
1.5
0.01
915.1
7.8
0.011
Jatropha
0.09
10.2
0.01
920.5
64.1
0.013
DIN V 51512
<0.075
<2
<24
> 850
< 12
<0.01
Conclusioni
Il contenuto di olio nei semi (35,4%) di Jatropha a bassi antinutrizionali ha dimostrato livelli
paragonabili a quelle di altre colture oleaginose, mentre per quanto riguarda le caratteristiche
qualitative, l’indice di acidità ed il contenuto di fosforo rendono difficile un utilizzo diretto dell’olio
grezzo tal quale come biocombustibile a livello di azienda. Al contrario, non si intravedono difficoltà
per una destinazione successiva di tale olio grezzo per la sua trasformazione in biodiesel. Il panello
estruso di Jatropha non tossica è risultato del tutto analogo a quello del girasole da un punto di vista
delle caratteristiche chimico-fisiche e nutrizionali. Ciò nonostante, sarebbe auspicabile un
miglioramento del valore nutrizionale e della digeribilità mediante un aumento del contenuto proteico e
un abbassamento del contenuto di fibra, per renderlo competitivo con il panello di soia, adottando la
decorticazione dei semi, almeno parziale. L’adozione di quest’ultima, però, impone un’adeguata
valorizzazione dei gusci ottenuti, che al momento vengono principalmente utilizzati per combustione,
ma che per consentire una maggior sostenibilità economica dell’intero sistema jatropha-biocarburanti
dovrebbero essere maggiormente valorizzati ad esempio come substrati per la produzione di bioetanolo,
acido lattico e altri bioprodotti o compost (Martin et al., 2010).
Bibliografia
King et al. 2009. Potential of Jatropha curcas as a source of renewable oil and animal feed. Journal of Experimental
Botany, 60: 2897–2905.
Martınez-Herrera et al. 2006. Chemical composition, toxic/antimetabolic constituents, and effects of different treatments on
their levels, in four provenances of Jatropha curcas L. from Mexico. Food Chemistry, 96:80–89.
Makkar et al. 1998. Comparative evaluation of non-toxic and toxic varieties of Jatropha curcas for chemical composition,
digestibility, protein degradability and toxic factors. Food Chemistry, 62: 207–215.
Martin et al. 2010. Fractional characterisation of jatropha, neem, moringa, trisperma, castor and candlenut seeds as potential
feedstocks for biodiesel production n Cuba. Biomass and Bioenergy, 34:533-538.
76
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Gestione della Concimazione Azotata per il Raggiungimento
degli Obiettivi Tecnologici di Differenti Categorie
Qualitative di Frumento Tenero
Massimo Blandino1, Mattia Ciro Mancini1, Valentina Sovrani1, Patrizia Vaccino2, Rosita
Caramanico2, Amedeo Reyneri1
1
2
Dip. di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Univ. Torino, IT, [email protected]
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - CRA-SCV, sez. S. Angelo Lodigiano, IT
Introduzione
Il mercato richiede lotti omogenei di frumento rispondenti agli standard qualitativi di ciascuna categoria
merceologica. Per una determinata varietà, la qualità dipende in primo luogo dal contenuto proteico che,
tuttavia, è fortemente influenzato dall’annata e dall’ambiente di coltivazione. Pertanto, difficilmente le
produzioni rispondono alle caratteristiche tecnologiche richieste da molini e industrie di trasformazione.
La scelta varietale, la dose e le modalità di concimazione azotata sono tra le pratiche colturali quelle che
maggiormente influenzano la qualità delle produzioni (Saint Pierre et al., 2008). L’obiettivo di questo
studio è stato quello di individuare la migliore gestione della fertilizzazione azotata al fine di
raggiungere la qualità richiesta per le diverse categorie merceologiche.
Metodologia
Sei campi sperimentali sono stati allestiti in tre località in Piemonte nelle campagne agrarie 2007-2008 e
2008-2009. Sei cultivar di frumento, due per ciascuna categoria qualitativa, secondo l’Indice Sintetico
di Qualità - ISQ (Foca et al., 2007) sono state messe a confronto. Per ogni cultivar sono stati confrontati
i trattamenti di concimazione azotata riportati in Tab. 1 e specifici per ogni categoria qualitativa,
secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni. La granella raccolta è stata
analizzata per il peso ettolitrico, il contenuto proteico, l’hardness e i parametri alveografici (W e P/L) e
la stabilità dell’impasto con il farinografo di Brabender.
Tabella 1. Strategie di concimazione azotata per ciascuna categoria qualitative di frumento tenero (kg N ha-1)
Tipo di concime
Momento di applicazione *
frumento biscottiero
B1
B2
B3
B4
B5
frumento panificabile
P1
P2
P3
P4
P5
frumento di forza
F1
F2
F3
F4
F5
Nitrato ammonico
GS 23
GS 31
GS 45
Non a pronto effetto
GS 23
Concime fogliare
GS 62
50
50
50
-
50
80
120
-
-
130
-
50
50
50
-
80
80
120
-
40
40
40
130
-
50
50
50
50
80
80
100
80
40
60
-
-
5
*GS: stadio di crescita secondo la scala BBCH.
77
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
In tutti i casi il testimone non concimato (B1, P1, F1) ha prodotto significativamente di meno rispetto
alle tesi concimate, che tra loro non si sono significativamente differenziate (Tab. 2). L’hardness è
risultato correlato con la dose di N e significativamente influenzato dalla concimazione in botticella
(GS45). Per i grani biscottieri, dal momento che il contenuto proteico e W sono risultati sempre
superiori ai valori desiderati per questa categoria merceologica, la miglior strategia risulta quella con
una più bassa dose di N (B2) o con un unica applicazione di un concime non a pronto effetto. Per i
frumenti panificabili la distribuzione di azoto in botticella (P3, P4, P5) ha determinato un significativo
aumento del contenuto proteico e dei valori di W e stabilità. Per i frumenti di forza si conferma l’effetto
positivo esercitato dalla concimazione in botticella (F3, F4), con un aumento significativo del contenuto
proteico rispetto alla tesi F2. L’applicazione di un concime fogliare in fioritura (GS62) in sostituzione
della concimazione minerale in botticella ha ancora aumentato in modo significativo il contenuto
proteico rispetto a F2, mentre non si sono osservate differenze per W e stabilità.
Tabella 2. Effetto delle modalità di concimazione azotata su produzione, peso ettolitrico, hardness, contenuto proteico e
parametrici alveografici e farinografici per ciascuna categoria qualitativa.
Trattamento
Produzione
(t ha-1)
Peso
ettolitrico
(kg hl-1)
Hardness
Proteina
W
P/L
Stabilità
-4
(%)
(J 10 )
(mm)
biscottieroa
< 10.0
< 110
< 0.5
<4
B1
3.9 b
72.0 a
15.3 b
12.2 c
131 bc
0.40 a
2.6 b
B2
5.6 a
71.4 a
14.8 b
12.4 bc
120 c
0.45 a
2.9 b
B3
5.8 a
71.4 a
17.5 ab
12.7 b
137 b
0.43 a
2.9 b
B4
5.9 a
71.4 a
20.2 a
13.2 a
145 a
0.34 a
5.7 a
B5
5.8 a
71.2 a
17.0 ab
12.0 c
128 bc
0.43 a
3.7 ab
panificabilea
> 11.0
> 200
< 0.7
>6
P1
4.0 b
74.8 a
43.8 b
12.7 b
145 c
0.69 a
1.6 c
P2
6.0 a
74.2 a
43.6 b
12.8 b
159 b
0.74 a
2.7 bc
P3
6.3 a
74.5 a
48.7 a
13.5 a
190 a
0.73 a
6.5 a
P4
6.3 a
74.5 a
49.3 a
13.9 a
194 a
0.63 a
5.2 ab
P5
6.1 a
74.5 a
48.8 a
13.5 a
193 a
0.75 a
3.4 b
di forzaa
> 14.5
> 340
< 0.7
> 16
F1
3.1 b
76.3 a
48.1 b
12.9 d
334 bc
0.87 ab
11.0 c
F2
5.2 a
75.7 a
51.3 b
13.3 c
311 c
1.06 a
14.0 b
F3
5.3 a
76.1 a
55.2 a
14.1 b
350 b
0.88 ab
18.9 a
F4
5.4 a
76.5 a
55.1 a
15.1 a
373 a
0.73 ab
18.7 a
F5
5.3 a
76.3 a
55.1 a
14.2 b
314 c
0.68 b
14.5 b
a
valori di riferimento secondo la tabella ISQ. I dati riportano i valori medi di 2 anni, 3 località e 2 cultivar per ciascuna
categoria qualitativa. Valori per ciascuna categoria qualitativa nella stessa colonna, seguite dalla stessa lettera non sono
significativamente differenti (P<0.05, test SNK).
Conclusioni
Questa ricerca conferma come la dose e le modalità di concimazione azotata esercitino un effetto più
consistente sulla qualità del frumento che sulla produzione. La migliore concimazione azotata dipende
fortemente dall’obiettivo della produzione. Per i frumenti biscottieri l’obiettivo qualitativo risulta essere
raggiunto con bassi apporti azotati, non superiori a 100 Kg N ha-1, o con l’impiego di concimi non a
pronto effetto. La concimazione allo stadio di botticella risulta essere fondamentale nel determinare la
qualità dei frumenti panificabili e soprattutto dei frumenti di forza.
Bibliografia
Foca G. et al. 2007. Reproducibility of the Italian ISQ method for quality classification of bread wheat: an evaluation by
expert assessors. J. Sci. Food Agric., 87:839-846.
Saint Pierre C. et al. 2008. White Wheat Grain Quality Changes with Genotype, Nitrogen Fertilization, and Water Stress.
Agron J., 100:414-420.
78
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Apporti di Residui Colturali al Terreno nei Sistemi Foraggeri
nella Pianura Irrigua del Nord Italia
Lamberto Borrelli e Cesare Tomasoni
CRA-FLC Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Lodi, IT, [email protected]
Introduzione
Negli ultimi decenni si è verificato un radicale cambiamento dell’agricoltura italiana che ha portato ad
un’elevata intensificazione dell’attività agricola. L’aumento della produttività delle singole colture ha
portato alla semplificazione dei sistemi colturali e, di conseguenza, ad un’elevata specializzazione.
Questa tendenza sta suscitando un crescente interesse fra gli studiosi del settore (Accademia Nazionale
Agricoltura, 1991), in quanto potrebbe avere effetti nel medio e lungo periodo provocando trend
evolutivi negativi sulla produttività e fertilità del terreno, in particolare sul contenuto di sostanza
organica (Spallacci et al. 1988, Varvel e Peterson 1990) e sulla sostenibilità delle tecniche agronomiche
(Doran et al. 1996). In questa prospettiva va rivalutato il ruolo degli avvicendamenti colturali
(Bonciarelli, 1978; Giardini, 1992) e considerata la loro importanza, non esclusivamente da un punto di
vista economico ma anche da quello agronomico (Cavazza, 1974), in sintonia con i lenti sistemi
attraverso i quali la natura regola la produzione dei campi (Haussmann, 1992).
Metodologia
La prova è condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m slm) sin dal 1985 in un ambiente
rappresentativo della Pianura Padana pedemontana alluvionale, con suolo franco-sabbioso fine a
reazione sub-acida con dotazione media di N, buona di P e scarsa di K.
Il clima è tipico della Regione Padana, sub continentale, sub umida con precipitazione media annuale di
800 mm e temperatura media di 12,2 °C (Borrelli e Tomasoni, 2005).
L’esperimento si articola in 5 ordinamenti colturali di tipo cerealicolo-foraggero: R1= annuale: loglio
italico + mais trinciato; R3= triennale: loglio italico + mais trinciato – orzo trinciato + mais trinciato –
mais da granella; R6= sessennale: loglio italico + mais trinciato (3 anni) – prato avvicendato (3 anni);
PP= monocoltura: prato permanente; MM= monosuccessione: mais da granella.
Ogni ordinamento è soggetto a due livelli di input, indicati come A e B, rispetto alle agrotecniche più
comuni: concimazioni, lavorazioni e diserbi. L’input A fa riferimento ad interventi agronomici ritenuti
ordinari, mentre il B, low, vede una riduzione del 30% rispetto all’input A degli interventi agrotecnici.
Per quanto riguarda la concimazione chimica dell’input A, in media e per ogni anno i cinque
ordinamenti hanno ricevuto complessivamente: (R1) 400-200-220; (R3) 340-170-180; (R6) 260-165170; (PP) 125-150-120 e (MM) 250-100-100 kg ha-1, rispettivamente, di N-P2O5-K2O. Rispetto alla
concimazione organica, i quantitativi di letame bovino ben maturo distribuiti per l’input A sono stati:
40, 27, 27, 27, 0 t ha-1, rispettivamente, per R1, R3, R6, PP e MM. Nella monosuccessione di mais da
granella (MM) i residui colturali vengono sfibrati ed interrati al momento dell’aratura mentre nella
rotazione triennale (R3) vengono asportati. Il disegno sperimentale su base annua è uno strip-split-plot
con tre repliche e parcelle da 60 m2 (Onofrii et al. 1993). I risultati sono stati sottoposti ad analisi della
varianza (ANOVA) utilizzando il sistema SAS.
La prova è in irriguo con somministrazione di 1000 m3 ha-1 di acqua per turno (14 giorni) senza
distinzione tra A e B. Tutti gli interventi colturali sono eseguiti con le normali macchine operatrici in
dotazione ad un’azienda agraria. I diversi sistemi vengono comparati in funzione del C org restituito al
terreno tramite i residui colturali (radici, colletti, stoppie) misurati nello strato 0-30 cm. Alla raccolta
delle colture si è prelevato un cubo di terreno di 30 cm di lato, dal quale dopo ripetuti lavaggi si sono
estratti i materiali vegetali residuali delle colture sottoposti a essicazione in stufa a 90° fino al
raggiungimento del peso costante.
79
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
Nella tabella 1 sono riportate le
quantità di residui che le colture
lasciano nel terreno alla fine del
Coltura
Rotazione
Input A*
Input B*
ciclo produttivo e rappresentati
Loglio italico
R1
1.55 def
1.70 cd dall’insieme delle stoppie colletti e
R3-R6
1.46 def
1.65 cd radici, queste ultime prelevate nello
strato di terreno di 30 cm. ovvero
Mais trinciato
R1
2.95 b
3.98 a
quello interessato dalle lavorazioni
R6
2.67 bc
4.50 a
R3
2.12 cd
2.71 bc meccaniche. Le colture condotte con
un minor input agrotecnico (input
(dopo orzo)
R3
1.86 de
3.64 ab B) lasciano un maggior quantitativo
Orzo trinc.
R3
1.16 ef
1.37 d
di residui di circa il 24% rispetto a
Prato
PP-R6
0.91 f
2.39 cd quelle condotte con le agrotecniche
Mais gran.
MM-R3
6.21 a
3.98 a
ordinarie (input A). Fa eccezione del
media
2.32 B
2.88 A
mais da granella, a motivo della sua
maggiore
efficienza
nella
*A lettere uguali corrispondono medie uguali a P=0.05 per Lsd test
produzione della biomassa e capace
di massimizzare lo sfruttamento delle risorse ambientali, nel quale le restituzioni sono molto più alte
nell’input A, in dipendenza delle stoppie più alte lasciate dopo la
raccolta. La più alta quantità dei residui nell’input B è
riconducibile ad un elevato sviluppo dell’apparato radicale
sollecitato dal minore apporto di nutrienti ad esplorare un
maggior volume di terreno. Le colture che lasciano una minore
quantità di residui sono quelle autunno-vernine, costituite da
piante C3, ed il prato condotto con input A (Tab. 1).
Nella Fig. 1 sono evidenziati i quantitativi di residui,
considerando il contributo delle varie colture, lasciati nel terreno
ogni anno nei diversi sistemi cerealicoli foraggeri. MM
nell’input A e R1 nell’input B sono i sistemi colturali che fanno
registrare la più elevata restituzione di residui al terreno mentre
PP nell’input A quello che ne fa registrare la più bassa in assoluto.
Tabella 1. Residui vegetali (t ha-1 di ss) apportati al terreno dalle colture
nello strato 0-30 cm
Conclusioni
La riduzione degli input agrotecnici e soprattutto delle fertilizzazioni inducono, alla fine del ciclo
colturale, un maggiore sviluppo della biomassa radicale e di conseguenza una maggiore restituzione di
materiale organico al terreno. Il mais risulta essere la coltura che apporta la più elevata quantità di
residui vegetali in modo particolare se concimato nel modo ottimale.
Bibliografia
Accademia Nazionale di Agricoltura, 1991. Agricoltura ed ambiente. Edagricole, Bologna, pp.800.
Bonciarelli, F., 1978. Agronomia, Edagricole, Bologna.
Borrelli, L., Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’ azienda dell’Istituto Sperimentale per le
Colture Foraggere di Lodi, Annali dell’I.S.C.F. vol. IX
Cavazza, L., 1974. Il problema dell’avvicendamento delle colture nella moderna agricoltura. Riv. Agron., 8, 5-22.
Doran, J. W. et al. 1996. Soil health and sustainability. Adv. In Agron., 56, 1-54.
Giardini, L., 1992. Agronomia generale, ambientale e aziendale. Patron Editore, Bologna.
Haussmann, G., 1992. L’uomo simbionte. Vallecchi Editore, Firenze.
Onofrii, M. et al. 1993. Confronto tra ordinamenti cerealicoli-foraggeri sottoposti a due livelli di input agrotecnico, nella
pianura irrigua lombarda. I. Produzioni quanti-qualitativi. Riv. di Agron., 3, 160-172.
Spallacci, P. et al. 1988. Effetti di sistemi foraggero-zootecnici su alcuni aspetti della fertilità del terreno. Agricoltura
Ricerca, 87, 71-90.
Varvel, G.E. and Peterson, A., 1990. Nitrogen fertilizer recovery by corn in monoculture and rotation systems. Agron. J.,
82, 935-938.
80
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti di Reflui Zootecnici su Sostanza Organica, pH,
Densità Apparente e Infiltrazione dell’Acqua nel Suolo
Lamberto Borrelli e Cesare Tomasoni
CRA-FLC Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Lodi, IT, [email protected]
Introduzione
I reflui zootecnici da sempre ritenuti elementi molto importanti per il mantenimento ed il potenziamento
della fertilità, oggi vengono guardati in molti casi come potenziali inquinanti dell’ambiente in senso
lato. Negli ultimi decenni si è assistito all’evoluzione dei sistemi foraggeri che hanno consentito di
disporre di una grande quantità di unità foraggere. Gli stessi sistemi zootecnici sono andati incontro a
profondi cambiamenti che hanno portato alla concentrazione dei capi allevati nelle sempre meno
numerose aziende zootecniche in attività. In questa tipologia di azienda devono essere gestite grandi
produzioni di reflui, in contrapposizione alle sempre più numerose aziende prive di allevamento, nelle
quali possono sorgere problemi per il mantenimento del tenore della sostanza organica o della fertilità
agronomica a livello del terreno (Onofrii et al., 1993).
Il liquame o liquiletame è il refluo prevalente; rispetto al letame causa maggiori problemi sia gestionali
che ambientali per il basso contenuto di sostanza secca per unità di volume, circa 7%. Tale refluo è
fonte non trascurabile di macroelementi e le forme di azoto presenti sono più disponibili che nel
letame; l’effetto però non si prolunga nel tempo, ma si esaurisce sostanzialmente nell’anno di
applicazione.
In questo lavoro si vuole indagare sui cambiamenti avvenuti nel terreno dopo 15 anni di prova a livello
di sostanza organica (SO) densità apparente (D), pH e infiltrazione dell’acqua (I).
Metodologia
La prova è condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m slm) sin dal 1995 in un ambiente
rappresentativo della Pianura Padana pedemontana alluvionale, con suolo franco-sabbioso fine a
reazione sub-acida con dotazione media di N, buona di P e scarsa di K.
Il clima è tipico della Regione Padana sub umida con precipitazione media annuale di 800 mm e
temperatura media di 12,2 °C (Borrelli e Tomasoni, 2005).
L’esperimento si articola nell’impiego di due tipologie di reflui zootecnici, letame e liquiletame bovino,
somministrati ad un tipico ordinamento colturale foraggero intensivo della zona: loiessa-mais da
trinciato in monosuccessione. I reflui zootecnici che vengono impiegati sono quelli prodotti
dall’allevamento bovino da latte supportato dall’ordinamento (6 UBA ha-1) e precisamente 66 t ha-1
anno-1 per il letame e 100 m3 ha-1 anno-1 se liquiletame, distribuiti per il 50% in autunno e il 50% in
primavera, rispettivamente alla semina della loiessa e del mais. Queste colture ricevono in copertura una
concimazione azotata di 75 e 150 kg di N ha-1. Ogni anno l’ordinamento riceve in kg ha-1
complessivamente, 660-317-462 nel caso del trattamento con letame e 475-180-300 nel caso
dell’impiego del liquame di N-P2O5-K2O. Gli apporti dei nutrienti sono stati determinati in
funzione della composizione media di 0.66 N %, 0.48 % P2O5 e 0.70 % K2O per il letame e di
0.255 % N, 0.18 % P2O5 e 0.30% K2O per il liquame (Ceotto et al. 2006). La prova è in irriguo
con somministrazione di 1000 m3 ha-1 di acqua per turno (14 giorni) per le colture estive (mais),
tutti gli interventi colturali sono eseguiti con le normali macchine operatrici in dotazione ad
un’azienda agraria.
Nell’estate del 2009, per ogni parcella, sono stati prelevati con una trivella manuale, dei campioni
di terra nello strato 0-30 cm per la determinazione del contenuto in sostanza organica e del pH in
H2O. E’ stato inoltre prelevato un campione indisturbato per la determinazione della densità
apparente e dell’infiltrazione dell’acqua. I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza
(ANOVA) e delle correlazioni utilizzando il sistema SAS.
81
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
I risultati della ricerca sono riportati nella tabella 1. Il tasso di SO del terreno è di gran lunga superiore
nelle tesi trattate con letame rispetto a quelle con liquame di ben 35%. La variazione di pH, dopo 15
anni di prova, risulta significativa (P=0.05) per le due tipologie di reflui zootecnici in esame con una
differenza superiore a 0.2 punti a favore dei terreni letamati. La densità apparente del terreno
indisturbato, che è stata rilevata su campioni prelevati alla profondità di 0-30 cm, è più alta del 7% nei
terreni che hanno ricevuto il liquame rispetto a quelli letamati (Tab. 1).
Tabella 1. Sostanza organica (SO), pH, densità apparente (D) in funzione dell’uso di letame o liquame dopo 15 anni
dall’inizio della prova
Trattamento
SO gr kg-1
pH
D t m-3
Letame
Liquame
significatività
24.7
18.3
P=0.001
6.12
5.73
P=0.05
1.50
1.60
P=0.05
Tra i parametri presi in esame risulta l’alta
correlazione inversa tra densità (D) ed il contenuto
di SO del terreno. Di quest’ultima sono noti gli
Densità
effetti positivi sulla struttura e la porosità del suolo.
Anche il pH viene positivamente influenzato dalla
Sost. organica
SO. L’infiltrazione dell’acqua, nei campioni di
terreno secco e indisturbato, risulta chiaramente
diversa per i due trattamenti (Fig. 1), sia per la capacità che il tempo di saturazione, secondo
un’equazione di tipo logaritmica. I terreni trattati con letame assorbono molto di più, circa 0.30 ml di
acqua per ogni cm3 di terreno secco e raggiunge la saturazione in meno di 40 minuti (R2= 0.78). Nel
caso contrario, quelli trattati con liquame hanno una capacità idrica ridotta, circa 0.23 ml di acqua per
ogni cm3 di suolo raggiungendo la saturazione in circa un’ora (R2= 0.62).
Tabella 2. Correlazioni tra i parametri esaminati
Sost. org.
-0.9784
***
-
pH
-07233
ns
0.8387
*
Conclusioni
L’indagine dimostra che il terreno, in una
monosuccessione loiessa-mais trinciato, trattato per lungo
periodo con liquame bovino rispetto a quello che riceve il
letame, fa registrare una più bassa dotazione di SO. In tale
suolo si osserva la tendenza all’abbassamento del pH e la
modifica dello stato fisico con la riduzione della porosità
strutturale conseguente al naturale compattamento del
terreno. Tale fenomeno comporta la riduzione della
capacità idrica ed interferisce sul deflusso superficiale e
tempo di corrivazione dell’acqua meteorica causa di
ristagni ed erosione del suolo.
Bibliografia
Borrelli, L., Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’ azienda dell’Istituto Sperimentale per le
Colture Foraggere di Lodi, Annali dell’I.S.C.F. vol. IX
Ceotto, E. et al. 2006. Effect of integrated forage rotation and manure management systems on soil carbon storage. In:
DIAS report n. 123, 12th Ramiran International Conference, Ed. Søren O. Petersen, vol. II, 29-32
Onofri, M. et al. 1993. Confronto tra ordinamenti cerealicolo-foraggeri, sottoposti a due livelli di input agrotecnico, nella
pianura irrigua lombarda. I. Produzioni quanti-qualitative. Riv. Agron., 27:160-172.
82
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
La Micropropagazione di Phragmites australis (Cav.) Trin.ex
Steudel L.
Valeria Cavallaro1, Antonio Carlo Barbera2, Samuele Pantò2, Simona Tringali1
1
CNR, Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFOM), UOS di Catania, Str.le V.Lancia, Zona
Industriale, Blocco Palma I, 95121 Catania. Email: [email protected]
2
DACPA, Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania. Tel. 095-234465. Fax. 095-234449.
Introduzione
Phragmites australis (Cav.) Trin. Ex Steudel L. è una macrofita acquatica diffusa nel bacino del
Mediterraneo, largamente usata nei sistemi di fitodepurazione per il suo adattamento a condizioni
climatiche anche difficili e ad acque di elevata salinità, per il suo ampio apparato radicale, per la sua
capacità di rifornire di ossigeno i batteri attivi nel processo di depurazione.
L’auspicato aumento del ricorso a sistemi naturali di depurazione delle acque reflue di origine
domestica o industriale al fine del recupero di una preziosa risorsa qual è l’acqua, comporta però un
elevato impiego di plantule di questa specie (Barbera et al., 2007). La rapida propagazione della
Phragmites risulta tuttavia difficile e onerosa perché può essere effettuata quasi esclusivamente per
rizomi e non risulta accettabile ed ecologicamente sostenibile il ricorso alla “predazione” delle piante
spontanee anche se abbondanti. La coltura in vitro potrebbe rappresentare pertanto una via alternativa ai
metodi tradizionali di moltiplicazione per la propagazione su larga scala della specie in esame.
Precedenti tentativi di moltiplicazione della Phragmites tramite micropropagazione sono stati effettuati
da ricercatori cinesi (Guo et al., 2004).
In questo lavoro si riferiscono i risultati di una prova volta a mettere a punto un protocollo di
moltiplicazione in vitro di un ecotipo locale di Phragmites australis.
Materiali e metodi
Il materiale vegetale è stato prelevato presso l’impianto sperimentale di fitodepurazione sito a San
Michele di Ganzaria (37°16’N; 14°25’; 350 m slm - Catania) nella prima decade di giugno del 2008.
Porzioni di culmo (1cm di lunghezza) con nodo e primordio di gemma ascellare sono stati scelti per
iniziare la coltura in vitro e sterilizzati mediante un lavaggio preliminare sotto acqua corrente, un primo
passaggio in cloruro di mercurio (HgCl2, 5 g L-1) x 5 min ed una successiva immersione in NaClO
(2,5% di Cl attivo) x 20 min. Dopo disinfezione, gli espianti sono stati lavati per tre volte in H2O sterile
sotto cappa a flusso laminare e quindi trasferiti sul substrato S4 (Tab.1) in camera di crescita a 25±1°C e
fotoperiodo di 12 ore di luce (3000 lux). Per ogni tesi sperimentale, replicata tre volte, sono stati
impiegati 6 espianti. Una volta sviluppatesi la gemma dormiente del nodo, quest’ultima veniva
accuratamente escissa e collocata nel substrato di moltiplicazione.
Sono stati studiati quattro substrati (S1, S2, S3, S4) per la proliferazione del germoglio (tab.1).
Tabella 1. Composizione dei substrati (g L-1)
Componenti (quantità)
S1
S2
S3
S4
Macro e Microelementi
Vitamine
Ormoni
Ormoni
Saccarosio
Agente gelificante
MS
Morel
BA (0.003)
AG3 (0.0005)
(30)
Agar (7)
MS
Morel
IBA (0.0001)
mT (0.0005)
(30)
Agar (7)
MS
Morel
BA (0.003)
NAA (0.001)
(30)
Agar (7)
MS
Morel
BA (0.03)
NAA (0.001)
(30)
Gelrite (2)
83
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
MS= substrato di Murashige e Skoog (1962), Morel= Morel e Wetmore (1951), BA= 6 benzilamminopurina, AG3= acido
gibberellico, IBA=acido indolbutirrico, mT =meta Topolina, NAA=Αcido Naftalenacetico
Le piante venivano fatte radicare prolungando la permanenza sul substrato di moltiplicazione.
Successivamente le piante venivano trapiantate in contenitori alveolati in plastica riempiti con terriccio
commerciale, poste in ombraio alla fine di marzo, irrigate giornalmente la prima settimana per ridurre lo
stress evapotraspirativo e fino al pieno soddisfacimento del fabbisogno idrico successivamente.
Per ogni tesi sperimentale, replicata tre volte, sono stati impiegati 6 espianti. A 30 giorni dal
trasferimento in vitro delle gemme, è stato rilevato il numero di espianti che avevano differenziato
germogli normali. A 45 giorni dall’inizio della fase di moltiplicazione, il numero di germogli normali
(almeno 1 cm di lunghezza) sviluppatesi dal germoglio principale. A un mese circa dal trasferimento
nei contenitori alveolati, è stato rilevato il numero di piante attecchite e pronte al trapianto.
Risultati
La percentuale di germogli sviluppati ottenuti dalle gemme ascellari del nodo è stata mediamente del
40%. A partire dal secondo ciclo di moltiplicazione, fra tutti i substrati allo studio, il più elevato indice
di proliferazione è stato rilevato nel substrato S4 che utilizzava come gelificante gelrite (4.8+0.31 contro
i 2.5+0.54 germogli dei substrati agarizzati).
E’ da rilevare come, a trenta giorni dal trapianto, tutti i substrati si presentassero fortemente imbruniti,
ad eccezione del substrato S2 dove la componente ormonale era rappresentata dalla metatopolina (mT)
e dall’acido indolbutirrico (IBA).
A 50 giorni dal trapianto tutte le piante mostravano radici ben sviluppate idonee sia al trapianto per
l’ambientamento che, previa rimozione dell’apparato radicale, per successivi cicli di moltiplicazione.
Nella fase di ambientamento dell’ultima decade di marzo, la percentuale di piantine attecchite è stata
pari al 95%.
Conclusioni
Dai risultati ottenuti è emerso quanto segue:
• il substrato costituito da macro e microelementi di MS e da vitamine di Morel, addizionato di acido
indolacetico-NAA (1 mg L-1), BA (3 mg L-1) e gelificato con gelrite ha consentito non solo
l’accrescimento delle gemme poste alla base del nodo ma anche una buona proliferazione dei
germogli.
• la Phragmites ha evidenziato una ottima capacità rizogena consentendo di ottenere radici anche
prolungando la permanenza delle plantule nel substrato utilizzato per la moltiplicazione ed ha
mostrato anche elevati indici di attecchimento nel trapianto primaverile.
Sulla base di queste considerazioni, la moltiplicazione in vitro può rappresentare una valida alternativa
alla propagazione per rizoma assicurando la propagazione su larga scala della macrofita e il
mantenimento delle caratteristiche genotipiche prescelte .
Bibliografia
Barbera A.C. et al. 2007. Phragmites australis (Cav.) Trin.ex Steudel biomass in constructed wetlands for
municipal wastewater treatments. Proceedings of the International Conference on Multifunctions of Wetland
Systems,100-101.
Guo Y.M. et al. 2004. Adventitious shoot bud formation and plant regeneration from in vitro – cultured stem segments
of reed (Phragmites Communis Trin.). In Vitro Cell. Dev. Biol.-Plant, 40: 412–415.
Murashigue T., Skoog F., 1962. A revised medium for rapid growth and bioassays with tobacco tissue
cultures. Physiol. Plant., 15: 473-497.
84
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Impiego del Potenziale Idrico del Fusto e della Conduttanza
Stomatica come Indicatori Fisiologici per l’Ottimizzazione
della Gestione Irrigua in Uva da Tavola
Adelaide Ciccarese1, A.M. Stellacci1, L. Tarricone2, P. Rubino1
1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Bari, [email protected]
2
CRA-Unità di ricerca per l’uva da tavola e la vitivinicoltura in ambiente mediterraneo Turi (BA)
Introduzione
L’ottimizzazione della programmazione irrigua può essere conseguita mediante l’impiego di indicatori
fisiologici basati sulla valutazione dello stato idrico della pianta. In particolare, il potenziale idrico
fogliare e la conduttanza stomatica risultano particolarmente adatti per il supporto alla gestione
dell’irrigazione a livello aziendale (Pellegrino et al., 2005). La gestione irrigua dell’uva da tavola ha
importanti riflessi sui principali parametri qualitativi, influendo in maniera significativa sia sulla cinetica
di maturazione dei frutti che sulla conservabilità in post-raccolta. Negli ultimi anni molte ricerche si
sono incentrate sullo studio della variazione della risposta qualitativa di questa coltura in funzione dei
livelli dei principali indicatori fisiologici dello stato idrico della pianta, ma non sono ancora stati definiti
i criteri per la programmazione irrigua a livello aziendale. L’obiettivo di questo lavoro è quello di
valutare l’effetto di diversi regimi irrigui sulla cinetica di maturazione delle bacche, le relazioni esistenti
tra le misure di potenziale idrico del fusto e di conduttanza stomatica e la risposta produttiva della
coltura, nonché l’efficacia di questi parametri fisiologici nell’indicare l’adeguatezza dei volumi irrigui
somministrati durante il ciclo colturale.
Metodologia
Un’attività di ricerca è stata intrapresa nel 2009 presso l’azienda sperimentale del CRA-UTV
(Rutigliano - BA), su un vigneto ad uva da tavola, cv Italia, innestato su Vitis berlandieri x Vitis Riparia
SO 4, con densità d’impianto di 1.600 viti ha -1. L’area è caratterizzata da clima tipicamente
mediterraneo con precipitazioni totali annue pari a 500 mm, concentrate prevalentemente durante il
semestre autunno-vernino, ed elevata domanda evapotraspirativa ambientale. Il suolo risulta argillosolimoso, ricco di scheletro. Il contenuto idrico alla CIC e al PA è pari a 30 e 16 g 100 g-1 rispettivamente.
Il vigneto, con forma di allevamento a tendone a doppio impalco, è stato condotto in semiforzatura
tardiva, coperto con rete antigrandine e film plastico a partire dalla fase di invaiatura.
Sono stati confrontati tre volumi stagionali d’irrigazione ottenuti somministrando volumi di
adacquamento pari al 120, 80 e 40% dell’acqua persa per evapotraspirazione, al netto delle piogge utili
(120%Etc, 80%Etc, 40%Etc), all’esaurimento della riserva idrica facilmente utilizzabile nello strato di
terreno interessato dall’apparato radicale. L’evapotraspirazione della coltura (ETc) è stata ottenuta
stimando l’evapotraspirazione di riferimento mediante l’equazione di Penman-Monteith (FAO) ed
utilizzando i coefficienti colturali definiti per l’uva da tavola negli ambienti mediterranei (Allen et al.,
1998). I trattamenti sono stati disposti in campo secondo uno schema sperimentale a blocco
randomizzato con tre ripetizioni. Il metodo irriguo adottato è stato quello a micro portata di erogazione
con gocciolatori auto compensanti con una portata di 12, 8 and 4 l h-1 rispettivamente per le tesi
120%Etc, 80%Etc, 40%Etc. Durante il ciclo colturale, sono state monitorate con cadenza settimanale le
cinetiche di accrescimento e maturazione delle bacche. A tal fine, sono stati determinati il peso fresco, i
solidi solubili totali, l’acidità titolabile e il pH del succo. Al fine di valutare lo stato idrico della pianta,
sono stati misurati il potenziale idrico del fusto e la conduttanza stomatica a mezzogiorno (Ψmds, gs ). In
particolare, Ψmds è stato misurato, con camera di Scholander, dopo aver inibito la traspirazione per
un’ora mediante copertura delle lamine fogliari con polietilene nero rivestito con fogli di alluminio
(Begg a Turner,1970). La gs è stata misurata con porometro digitale (Decagon Devices, Inc.), sulla
quinta foglia a partire dall’apice vegetativo individuata sul germoglio intermedio dei capi a frutto. Alla
raccolta, sono stati valutati i principali parametri carpometrici, produttivi, l’accrescimento della canopy
85
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
(area fogliare) e l’efficienza d’uso dell’acqua irrigua. Tutti i dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi
della varianza; le medie sono state confrontate mediante test SNK, P=0.05. Sono state valutate le
correlazioni tra i due indicatori dello stato idrico della pianta e tra gli stessi e la risposta della coltura
valutata in termini di accrescimento della canopy e produzione commerciabile.
Risultati
Il regime pluviometrico nell’anno di sperimentazione si è differenziato rispetto all’andamento medio,
con precipitazioni totali pari a 718 mm e picchi nei mesi di Giugno (70 mm) e Ottobre (120 mm);
l’andamento termico ha invece rispecchiato quello medio pluriennale. I volumi stagionali d’irrigazione
sono stati pari a 280, 190 e 96 mm per le tesi 120%ETc, 80%ETc, 40%ETc, rispettivamente.
L’effetto dello stress idrico si è reso evidente già a partire dalla fase di allegagione, come mostrato dai
valori di potenziale idrico del fusto (Ψmds) e conduttanza stomatica (gs) misurati a mezzogiorno (Tab.1).
In tutte le fasi fenologiche considerate, i valori dei due indicatori si sono statisticamente differenziati
nelle tesi confrontate; i valori più negativi di Ψmds e più bassi di gs sono stati osservati per la tesi
40%ETc (rispettivamente -1,26 MPa e 128,6 mmol/m2s come media dell’intero periodo considerato).
La disponibilità idrica ha influenzato significativamente le dinamiche di accrescimento e maturazione
delle bacche, determinando alla raccolta, nel trattamento 40%ETc, il minor peso medio e il più elevato
contenuto in solidi solubili totali (rispettivamente 7.37 g e 19.90 °Brix. in confronto a valori medi di
8.79 g e 18.60° Brix osservati per gli altri trattamenti). Sia la produzione commerciabile che
l’accrescimento della canopy (area fogliare) sono stati significativamente influenzati dai regimi irrigui
confrontati. Rispetto al trattamento 120%ETc. è stata osservata una riduzione della produzione del 12%
e del 32% rispettivamente per 80%ETc e 40%ETc (31.52 vs 27.68 e 21.28 t ha-1), dovuta sia ad una
diminuzione del peso che del numero delle bacche, considerato che il numero di grappoli per pianta era
stato reso costante (26 per pianta). I due indicatori sono risultati correlati tra loro durante il periodo
considerato e la correlazione osservata si è intensificata con l’avanzare del ciclo colturale, mostrando i
valori più elevati all’invaiatura (r= 0.96) e alla raccolta (r= 0.98). Entrambi i parametri hanno mostrato
un’elevata correlazione con l’accrescimento della canopy e la produzione commerciabile durante tutte
le fasi fenologiche, facendo registrare i valori più elevati in corrispondenza della fase di invaiatura per la
conduttanza stomatica (r= 0.98 e 0.96 rispettivamente per l’area fogliare e per la produzione), e della
fase di maturazione per il potenziale del fusto (r= 0.957 e 0.965 rispettivamente).
Trattamenti
Regimi irrigui
Allegagione
Ψmds
gs
Pea-size
Ψmds
gs
Invaiatura
Ψmds
gs
Maturazione
Ψmds
gs
Raccolta
Ψmds
gs
120%Etc
-0.94a 270.3a -0.76a 345.6a -0.71 a 365.5a -0.93 a 327.3a -0.86 a 319.8a
80%Etc
-1.12b 218.8b -1.05b 217.8b -0.98 b 252.0b -1.14 b 270.4b -1.13 b 139.0b
40%Etc
-1.31c 212.5c -1.21c 113.6c -1.09 c 141.7c -1.35 c
11.0c
-1.30 c
64.0c
Tabella 1.
Potenziale
idrico (MPa)
e conduttanza
stomatica
(mmol/m2s)
durante il
ciclo
colturale.
Conclusioni
Entrambi i parametri sono risultati molto sensibili alle variazioni dello stato idrico dell’uva da tavola in
tutti gli stadi fenologici considerati, mostrandosi indicatori idonei per valutare l’adeguatezza dei volumi
irrigui somministrati.
Bibliografia
Allen R.G. et al. 1998. Crop evapotranspiration. Guidelines for computing crop requirements. FAO Irrigation and Drainage
paper 56. Roma.
Begg J.E.. Turner N.C. 1970. Water potential gradients in field tobacco. Plant Physiol., 43:343-346.
Pellegrino A. et al. 2005.Towards a simple indicator of water stress in grapevine (Vitis vinifera L.) based on the differential
sensitivities of vegetative growth components. Aus. J. Grape and Wine Res., 11:306-315.
86
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
La Produttività del Canneto (Arundo donax L.) in Relazione
alla Tecnica di Impianto
Salvatore Luciano Cosentino, Venera Copani, Giovanni Scalici, Sebastiano Scandurra
Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA), Università di Catania, IT,
[email protected]
Introduzione
La propagazione agamica della canna comune (Arundo donax L.) può essere effettuata, come è noto,
mediante l’utilizzo di tratti di rizoma; recentemente è stata proposto, per motivi tecnici ed economici,
l’impiego di talee di culmo. E’ necessario, tuttavia, conoscere l’influenza della tipologia dell’organo di
propagazione impiegato e delle sue caratteristiche (dimensione, posizione, età) sulla capacità radicante,
sui tempi e modalità di radicazione, sulla produzione di biomassa. In questa nota si riportano i risultati
di una prova sperimentale della durata di tre anni realizzata allo scopo di verificare l’evoluzione nel
tempo della produttività del canneto in relazione alla tecnica di impianto adottata.
Metodologia
La prova è stata realizzata nel triennio 2007-2010 presso l’azienda didattico-sperimentale della Facoltà
di Agraria, nella Piana di Catania (10 m s.l.m.) su suolo profondo di origine alluvionale (Typic e/o
vertic Xerofluvents, classificazione USDA). Sono stati posti a confronto due organi di propagazione
agamica, rizomi e talee di culmo, e per ciascuno di questi quattro trattamenti. Nel caso del rizoma sono
state utilizzate porzioni con tre gemme pronte (R3), con una gemma pronta (R1), tratto di 10 cm con
gemme latenti (T10), tratto di 5 cm con gemme latenti (T5). Nel caso del culmo sono stati impiegati
culmi interi (Ci), tratti basali (Cb), mediani (Cm) e apicali (Ca). La distanza tra le file era per tutti di 100
cm e quella sulla fila di 50 cm per i tratti di rizoma (densità di impianto programmata = 2 rizomi m-2).
Le talee di culmo sono state trapiantate il 17 aprile ed i rizomi il 27 aprile 2007. E’ stato utilizzato il
clone “Fondachello” (Cosentino et al, 2006). Il disegno sperimentale era a blocchi randomizzati con tre
ripetizioni e le parcelle elementari di 24 m2. Dopo il trapianto è stata effettuata un’irrigazione, altre due
irrigazioni sono state effettuate dopo l’emergenza dei primi germogli, per un totale di 240 mm di acqua
somministrata. Nei due anni successivi non sono stati effettuati interventi colturali ad eccezione della
scerbatura nel corso della primavera. Alla
raccolta, effettuata sempre alla fine
Tabella 1. Epoca di emergenza e culmi emessi in
dell’inverno (5 marzo 2008, 16 marzo 2009,
corrispondenza di due date nel primo anno di prove in
11 febbraio 2010) è stata rilevata la biomassa
relazione alle tesi allo studio. Lettere diverse indicano
differenze significative per P<0.05.
prodotta, le caratteristiche biometriche di
Emergenza
Culmi
Culmi
Tesi
questa (altezza e diametro dei culmi) e
(d*)
(n m-2)
(n m-2)
l’umidità. I dati sono stati sottoposti all’analisi
11/05/07
12/11/07
della varianza (ANOVA), utilizzando il test
Tratto di rizoma
SNK per la separazione delle medie.
Risultati
La fase di insediamento (intervallo trapianto
emergenza dei nuovi culmi) è risultata più
breve nell’impianto mediante rizomi (17
giorni) che in quello con talee di culmo (37
giorni), con differenze di scarso rilievo tra le
tesi allo studio per ciascuna delle tipologie di
organo di propagazione utilizzato (Tab. 1). I
tratti di rizoma con tre gemme pronte e il tratto
di rizoma di 10 cm di lunghezza, nel periodo
immediatamente successivo all’insediamento
R3
R1
T10
T5
Media
14 b
17 ab
17 ab
20 a
17.1
3.8 a
2.5 b
3.3 a
1.8 c
2.8
Tratto di culmo
Ci
35 a
1.3 a
Cb
38 a
1.3 a
Cm
37 a
1.6 a
Ca
37 a
1.1 a
Media
36.8
1.3
* giorni dal trapianto
6.6 a
5.6 a
6.3 a
3.9 b
5.6
3.9 b
3.9 b
5.2 a
4.3 ab
4.3
87
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
(maggio), hanno mostrato un tasso di emissione di nuove canne superiore rispetto a quello delle
porzioni di rizoma più ridotte (3.5 culmi m-2 in media contro 2.1 delle tesi R1 e T5). Alla fine della
prima stagione di crescita (novembre 2007) il numero medio dei culmi emessi nell’impianto da rizomi
era in media di 5.6 culmi m-2 con differenze tra le tesi poco evidenti. Nello stesso arco di tempo
l’emissione di nuove canne da talee di culmo è stata alquanto più ridotta: 1.3 culmi m-2 in media a
maggio e 4.3 culmi m-2 a novembre, con differenze tra le tesi di scarsa entità. Nel triennio la produttività
del canneto è cresciuta in misura esponenziale, soprattutto tra il secondo e il terzo anno (Fig. 1). La
biomassa secca è passata, nel triennio, da 2.6 a 31.3 t ha-1 nel caso dell’impianto da rizomi e da 0.4 a
27.8 t ha-1 nel caso dell’impianto da talee di culmo (Fig. 1). L’impiego di rizomi con tre gemme pronte
ha fatto accertare, sempre nel triennio, una significativa superiorità produttiva (21.5 t ha-1 di s.s. in
media, con una massimo assoluto di 43.7 t ha-1 s.s. nel terzo anno) rispetto alle altre tipologie di tratti di
rizoma. Nell’ambito delle talee di culmo non sono state osservate differenze significative tra i
trattamenti (11.5 t ha-1 s.s. in media). Con riferimento ai massimi valori produttivi raggiunti nel terzo
anno, le tesi relative al culmo non si sono discostate sostanzialmente dai trattamenti T10 e T5 relativi al
rizoma, eccezion fatta per la tesi R3 che ha richiesto, tuttavia, l’impiego di porzioni di rizoma di elevate
dimensioni.
Figura 1. Produzione di biomassa secca nel triennio in relazione ai trattamenti allo studio. Per ciascun tipo di
organo di propagazione, lettere diverse indicano significatività tra i trattamenti per p<0.05 per le medie del
triennio.
Conclusioni
La tecnica di impianto ha influito sulla produttività del canneto. L’utilizzo dei tratti di culmo risulta
abbastanza soddisfacente con tutte le tipologie di talea utilizzate; dopo i primi due anni la produttività
rilevata è paragonabile a quella osservata utilizzando tratti di rizoma di ridotte dimensioni.
Bibliografia
Cosentino S. et al. 2006. First results on evaluation of Arundo donax L. clones collected in Southern Italy. Industrial Crops
and Products, 23: 212-222.
88
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti della pacciamatura sulla produzione quantitativa e
qualitativa della scarola a ciclo invernale
Eugenio Cozzolino1, Leone V.1, Piro F.2
1
CRA-CAT, Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati, [email protected]
2
CRA-ORT, Centro di Ricerca per l’Orticoltura, Pontecagnano
Introduzione
La pacciamatura è un mezzo importante per un'agricoltura a basso impatto, consentendo di ridurre le
lavorazioni e l'impiego di diserbanti di sintesi. Tuttavia, se fatta con film plastici non biodegradabili
comporta inconvenienti di smaltimento dei materiali a fine impiego. I teli in Mater-bi®, a base di amido
complessato con poliesteri, certificati biodegradabili e compostabili, eliminano tali inconvenienti,
perché si possono incorporare nel terreno a fine coltura. Sono proposti generalmente con uno spessore
di 15 micrometri e mantengono la capacità pacciamante da 50 giorni a 6 mesi, in dipendenza del clima,
della stagione e dell'andamento meteorologico: nella stagione fredda la capacità pacciamante dura più a
lungo che in quella calda.
Il maggior costo del materiale rispetto a teli comuni in LDPE è in gran parte compensato da risparmio
delle spese di rimozione e smaltimento (Cozzolino et al., 2009).
In collaborazione con la Novamont Spa l’Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco del CRA
sta conducendo saggi di materiali pacciamanti a base di Mater-Bi® su diverse colture. In questa nota si
riportano i risultati di un saggio sulla scarola in coltura autunno-vernina in pien’aria.
Metodologia
Il saggio è stato condotto nell'autunno-inverno 2009-2010 nell'azienda sperimentale del CRA-CAT con
la cultivar Cuartana (Enza Zaden), su un suolo sabbioso-franco di origine vulcanica, precedentemente
coltivato a melanzana in ciclo primaverile-estivo.
Due tipi di telo nero, un Mater-Bi® e un LDPE spessi rispettivamente 15 e 45 micrometri, sono stati
confrontati con un testimone non pacciamato. Il trapianto è stato eseguito il 15 novembre 2009 in
parcelle fila contenenti bine di piante distanziate 1 x 0.4 x 0.3 m. pari ad un investimento di 6.6
piante/m2, in due repliche.
La coltura non è stata concimata, contando sul residuo della concimazione applicata in primavera,
prima della precedente coltura di melanzana, con composta da frazione organica di rifiuti solidi urbani
alla dose annua di 40 t ha-1, pari a 30 t ha-1 come sostanza secca. La raccolta è stata eseguita il 15 marzo.
Il peso fresco dei cespi è stato determinato su un’area di 2 metri quadri per parcella, il peso secco del
cespo e delle radici, misure lineari e misure di colore secondo scala cieLab (colorimetro Minolta) su sei
piante per parcella, rilevando dieci letture per cespo divise tra centro e periferia nel caso dei parametri di
colore. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R
Development Core Team, 2010), utilizzando anche funzioni delle estensioni rms (Harrell, 2010) e
ggplot2 (Wickham, 2009).
Risultati
Le condizioni sanitarie della coltura e la maturazione di raccolta non sono state influenzate in modo
sensibile dalla pacciamatura e il telo in Mater-Bi® ha mantenuto un livello di integrità accettabile fino
alla raccolta.
La pacciamatura ha mostrato un effetto positivo sulla produzione di biomassa e sul peso del cespo con
telo in Mater-Bi®, ma non con telo in LDPE, che però ha controllato meglio lo sviluppo dello scapo
(figura 1). L'incremento del peso fresco dei cespi con il telo degradabile è stato del 14% ripetto al telo
LDPE e del 7% rispetto al testimone non pacciamato, corrispondente rispettivamente a 4.2 e 2.1 t ha-1 di
prodotto fresco.
Entrambi i tipi di telo hanno mostrato una sensibile influenza sui parametri di colore della scala cieLab,
favorendo la produzione di cespi con un colore più chiaro e luminoso.
89
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Figura 1. Effetti della pacciamatura con teli LDPE e Mater-Bi® su sviluppo del cespo, altezza dello scapo, biomassa e
colore della scarola Cuartana in ciclo autunno-vernino. Medie parcellari (simboli) e medie dei trattamenti stimate con
intervallo di confidenza al 95% (barre).
Conclusioni
La pacciamatura con telo biodegradabile Mater-Bi® ha incrementato lo sviluppo radicale e il peso del
cespo della scarola Cuartana rispetto al non pacciamato e alla pacciamatura con telo di polietilene. Con
entrambi i tipi di telo la pacciamatura ha ridotto l’allungamento dello scapo e ha favorito un colore più
chiaro e luminoso del cespo. Tuttavia l’assenza di effetti apprezzabili sulla precocità ed il modesto
incremento di resa non compensano il costo di acquisto e le spese per la stesura, come già rilevato in
saggi simili (www.sito.regione.campania.it).
Riconoscimenti
Attività promossa e finanziata dal Centro Orticolo Campano.
Bibliografia
Cozzolino E., et al. 2010. Con i film in Mater-Bi® risultati comparabili al polietilene nella pacciamatura del melone.
Colture Protette n.7-8,76-80.
http://www.sito.regione.campania.it/agricoltura/erbacee/pdf/relazione_risultati_scarola_2007.pdf
Harrell F. jr, 2010. rms: Regression Modeling Strategies. R package version 3.0-0. http://CRAN.Rproject.org/package=rms
R Development Core Team, 2010. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical
Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project.org.
Wickham H., 2009. ggplot2: elegant graphics for data analysis. Springer New York.
90
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Impiego di Sansa Olearia Compostata come Ammendante.
Effetti su Coltura di Frumento duro
Giovanna Cucci, Maria. A. Cascarano, Giovanni Lacolla
Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università di Bari, IT, E-mail: [email protected]
Introduzione
Il compostaggio della sansa olearia è una valida opzione che consentirebbe di superare alcuni problemi
legati allo spargimento sul terreno dei reflui tal quali e di utilizzare la sostanza organica in essi
contenuta (Casa et at., 2001). Obiettivo della ricerca è stato quello di valutare gli effetti dello
spargimento di dosi crescenti di sansa olearia compostata e della concimazione minerale sulla quantità e
qualità della produzione di frumento duro.
Metodologia
La prova sperimentale è stata eseguita presso il Campus della Facoltà di Agraria di Bari su coltura di
frumento (cv Claudio), allevata nell’ambito di un avvicendamento triennale (girasole, frumento,
frumento) in contenitori da 240 dm3, riempiti con terreno di medio impasto argilloso dislocati all’aperto,
muniti di valvola sul fondo per la raccolta delle acque di percolazione. Sono stati messi a confronto 2
tipi di sansa olearia compostata, uno prodotto dalla Coop. Agricola Nuovo Cilento di S. Mauro Cilento
(CC), l’altro prodotto presso l’Azienda Agostinelli di Rutigliano (CR). Con schema sperimentale a
parcelle suddivise e 3 ripetizioni, sono stati messi a confronto i due tipi di compost (parcelloni) e nelle
parcelle (singoli contenitori) il controllo non trattato (0), la concimazione minerale (Min) (120, 100 e
100 kg ha-1, rispettivamente di N, P2O5 e K2O), l’ammendamento con compost alle dosi di 15-30-45-60
Mg ha-1 di sostanza secca (15, 30, 45, e 60 rispettivamente) e l’integrazione di 30 con ½ della dose di N
minerale impiegata per la tesi Min. Alla raccolta, effettuata a maturazione piena della granella, sono
stati rilevati i principali parametri produttivi e tecnologici. I risultati ottenuti sono stati analizzati
mediante la procedura GLM, SAS e per evidenziare le differenze tra le medie si è utilizzato il test SNK.
In questa nota sono riportati i risultati relativi alla coltura di frumento del primo anno.
Risultati
L’ammendamento con dosi crescenti di sansa olearia compostata ha avuto effetti positivi significativi
sia sulla quantità che sulla qualità della produzione di frumento duro. Modeste sono state le variazioni
di produzioni dovute al tipo di compost. Con l’interramento del compost CC, la maggiore produzione di
granella (+309 % rispetto al controllo), senza discostarsi dalla concimazione minerale si è registrata con
l’apporto della più alta dose (60 Mg ha-1), invece con l’apporto del compost CR la più alta produzione
di granella (+344% rispetto al controllo), si è avuta quando sono stati distribuiti 30 Mg ha-1 + ½ di
concimazione minerale (Fig. 1). Analogo andamento si è avuto sia per il peso dei 1000 semi che per
quello ettolitrico (tab. 1). Simili risultati sono stati riscontrati da studi precedenti (Cucci et al., 2005;
Cucci et al., 2007). In ogni caso invece, in media il maggior contenuto in sostanze proteiche (13.2 %), e
la minore percentuale di semi bianconati (7%) si sono registrate con lo spargimento delle più alte dosi
di compost (60 Mg ha-1) (Tab. 1).
Tabella 1. Effetto dello spargimento di dosi crescenti di due tipi di sanse olearie compostate su alcuni parametri produttivi e
tecnologici della granella di frumento duro cultivar Claudio.
Trattamenti
0
15
30
Peso 1000 semi
(g)
CC
CR
44.8 D
42.9D
49.8 C
45.2C
53.2B
47.6C
Peso Hl
kg
CC
78.8C
79.8B
80.3B
Proteine
% s.s.
CR
78.2C
79.3B
80.0B
CC
10.2E
11.2D
11.7C
CR
9.9E
10.3D
10.7C
Bianconatura
% semi
CC
CR
42.7A
39.0A
20.0B
33.7B
16.7C
21.7C
91
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
45
55.9A
49.9B
80.7B
80.3B
12.7B
11.3B
9.0D
60
54.8A
54.5A
82.0A
82.7A
14.3A
12.0A
3.0D
30+1/2 N
54.1AB
50.5AB
82.3A
82.7A
12.3B
10.9B
14.7C
Conc. Min.
49.7BC
50.0BC
83.0A
82.3A
11.9B
11.6B
15.7C
Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti tra loro per P≤ 0.01 secondo il test SNK.
15.0D
11.0D
21.7C
18.3C
Prod. granella (g vaso-1 )
400
350
A
300
AB
A
AB
B
250
D
200
AB
B
C
C
C
D
150
E
100
E
50
Cilento (CC)
0
15
30
Rutigliano (CR)
45
60
30 + ½ N
Conc. M in.
Figura 1. Effetto dello spargimento di dosi crescenti di due tipi di sanse olearie compostate sulla produzione in granella
della coltura di frumento. Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti tra loro per P≤ 0.01 secondo
il test SNK.
Conclusioni
L’apporto della più alta dose di sansa olearia compostata ha influito positivamente sulla produzione
della granella e sul peso ettolitrico quanto la tesi minerale. La percentuale di semi bianconati più bassa,
il peso dei 1000 semi e il contenuto proteico più alti si sono avuti nella tesi ammendata con la massima
dose di compost migliorandone la risposta quali-quantitativa della coltura. Molto probabilmente
ammendando con la più alta dose di compost c’è stata una maggiore sincronizzazione tra il rilascio di
nutrienti e la domanda da parte della coltura.
Bibliografia
Casa et al., 2001. Atti XXXIV SIA, Pisa, 17-21 sett., 67-68
Cucci G. et al., 2005. Relazione fra interramento di sanse umide, produzione e qualità tecnologica del frumento duro.
Proceedings of the XXXVI SIA, 20-22 Settember, Foggia, Italy, 384-385.
Cucci et al., 2007. Effetto dell’uso agronomico della sansa sulla qualità della granella nella coltivazione del grano duro. 7°
Convegno AISTEC. 3-5 ottobre, Campobasso, 50.
92
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Un Triennio di Prove di Valutazione di Cultivar di Girasole
Alto Oleico nelle Marche
Andrea Del Gatto1, Giuseppe Toscano2, Ester Foppapedretti2, Antonella Petrini3,
Piergiorgio Angelini1, Lorella Mangoni1, Sandro Pieri1
1
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura Centro di Ricerca Colture Industriali, Osimo (AN)
Dipartimento di Scienze Alimentari, Agro-Ingegneristiche, Fisiche, Economiche-Agrarie e del Territorio, Ancona
3
Centro di Ricerche per il Miglioramento Vegetale Nazareno Strampelli, Abbadia di Fiastra (MC)
2
Introduzione
Fra le destinazioni non alimentari del girasole (Del Gatto e Laureti, 2006) quella energetica (Toscano e
Panvini, 2008) rappresenta una concreta opportunità per il settore agricolo (Del Gatto et al., 2010) verso la
quale è crescente l’interesse degli operatori. Con l’introduzione di novità normative per il settore, sono state
promosse ricerche per razionalizzare la produzione agricola per l’energia. La Regione Marche, ha finanziato,
in attuazione della Legge Regionale 37/99, il Progetto Regionale “Girasole Alto Oleico”, che si prefigge di
individuare varietà, idonee per l’areale marchigiano, con caratteristiche qualitative sufficienti al sistema di
trasformazione ed utilizzazione energetica o altre applicazioni industriali (Del Gatto et al., 2008).
Metodologia
Nel triennio 2007-2009 sono state allestite tre prove di valutazione varietale in località marchigiane a
vocazione elianticola in provincia di Ancona, nel Maceratese e nel Fermano, su terreni dalle omogenee
caratteristiche fisico-chimiche. In uno schema sperimentale a blocchi randomizzati, con quattro ripetizioni, in
parcelle di 42 m2 di superficie, sono state confrontate 8 cultivar alto oleico nel primo biennio, 9 nel 2009, con
due testimoni convenzionali. Alla semina, effettuata nella prima decade di aprile, meccanicamente, a fila
continua, è seguito il diradamento manuale per ottenere l’investimento di 5.5 piante/m2. Oltre ai principali
parametri morfo-fenologici e produttivi, sono stati determinati il contenuto in olio teorico (metodo NMR), il
contenuto in acidi grassi (gas-cromatografia dei composti metil-esterificati). Inoltre, sono state effettuate
prove di estrazione dell’olio per mezzo di una pressa meccanica a temperatura e pressione costanti. Infine,
sono stati determinati potere calorifico superiore ed inferiore, la composizione elementare e il livello di cloro
e di zolfo dei prodotti. Per l’olio, anche viscosità, numero di iodio e fosforo, mentre per il panello solido
contenuto di umidità e di ceneri e temperatura di fusibilità.
Risultati
L’andamento climatico del 2007, particolarmente siccitoso nelle località del Fermano e del Maceratese, non ha
permesso alle varietà alto oleico di estrinsecare le proprie potenzialità produttive. Pertanto (Tab. 1) solo
PR64H41 e NK Bonita, per entrambi caratteri produttivi, hanno fornito prestazioni assimilabili a quelle di uno
dei testimoni convenzionali (Ardana PR). Successivamente ben 6 accessioni nel 2008 e 7 nel 2009, per la resa in
acheni, 5 e 3, rispettivamente, per quella in olio, hanno raggiunto o superato, in assoluto, i risultati del miglior
testimone convenzionale (Linsol). In ogni caso si sono distinti NK Camen, PR64H41, Ultrasol e Mas 97 OL, nel
2008, ancora i primi due e Heroic RM nel 2009. Nella media triennale PR64H41 è l’ibrido che meglio si è
comportato tra gli alto oleico collocando le proprie rese tra quelle dei due testimoni, con uno scarto del 4 e 6%
rispettivamente per acheni ed olio nei confronti di Linsol, addirittura meglio si è comportato NK Camen, con
uno scarto dell’1,7 e del 3,9% rispetto a quest’ultimo, seppure limitatamente all’ultimo biennio di prove.
Riguardo la valutazione delle prestazioni energetiche, è stata evidenziata un’elevata produttività in estrazione
della PR64H41, con standard produttivi anche superiori alle varietà convenzionali. Il più basso numero di iodio
degli ibridi alto oleico, evidenziato anche dai diversi valori della viscosità, garantisce un prodotto energetico più
stabile e con prestazioni migliori alla combustione. Circa i rimanenti parametri energetici dell’olio vegetale e del
panello solido non emergono significative differenze tra le diverse varietà analizzate.
Conclusioni
Le prestazioni delle migliori varietà alto oleico soddisfano le esigenze delle filiere energetiche in
93
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
quanto, raggiunta una certa equivalenza per la resa in acheni con le convenzionali, aumentano la
produttività della fase di estrazione migliorando le prestazioni qualitative dell’olio vegetale per tale
utilizzo. Ciò si traduce in interessanti benefici sia in termini economici che di sostenibilità della filiera. I
risultati della PR64H41, mostratasi la migliore delle varietà alto oleico studiate nel triennio, non hanno
condizionato la qualità complessiva dei materiali energetici che, specificatamente per l’olio vegetale, ha
tutte le potenzialità per rispettare le recenti specifiche normative di prodotto.
Tabella 1: Produzione in acheni (al 9% di umidità), resa e contenuto in olio degli ibridi in valutazione nel triennio 2007-2009
2007
2008
2009
Acheni
Olio s.s.
Acheni
Olio s.s.
Acheni
Olio s.s.
Ibrido
(q/ha)
(%)
(q/ha)
(q/ha)
(%)
(q/ha)
(q/ha)
(%)
(q/ha)
LINSOL
29.6 a
43.3 a
11.7 a
33.0 a
47.9 a
14.5 a
36.6 a 48.6 a 16.2 a
ARDANA PR 27.9 ab 40.9 bc 10.5 b
30.0 ac 45.8 ad 12.7 ac
ARENA PR
35.1 ad 45.7 df 14.7 bd
HEROIC RM 24.3 cd 39.9 ce
8.8 ce 28.8 bc 44.0 de 11.6 c
36.6 a 45.1 f
15.1 ac
MAS 97OL
25.0 cd 40.8 bc
9.4 cd 32.2 ab 46.6 ac 13.7 ab 34.3 ad 46.4 cd 14.5 ce
LG 54.50
23.5 cd 38.7 e
8.3 e
29.6 ac 42.3 e
11.5 c
35.2 ad 45.2 ef 14.5 ce
PR64H41
25.3 cd 41.7 b
9.6 bc 33.0 a
46.8 ab 14.1 a
37.0 a 46.9 bc 15.8 ab
OLEKO
20.5 e
38.5 e
7.2 f
31.7 ac 44.2 ce 12.8 ac 35.7 ab 45.5 df 14.8 bd
NK BONITA 25.9 bc 40.5 bd
9.6 bc 28.5 c
45.5 bd 11.9 bc
NUTRASOL 23.9 cd 41.0 bc
8.9 ce
NX 34250
23.2 d 39.1 de
8.4 de
ULTRASOL
32.7 a
48.1 a
14.3 a
32.8 bd 45.6 df 13.6 de
NK CAMEN
33.1 a
46.6 ac 14.1 a
35.3 ac 47.5 ab 15.4 ac
LG 56.72
32.7 cd 46.2 ce 13.8 de
OLLIMI
32.3 d 45.2 ef 13.3 e
Media
24.9
40.5
9.2
31.3
45.8
13.1
34.8
46.2
14.7
Tabella 2: Resa di estrazione, viscosità e numero di iodio degli ibridi in valutazione nel triennio 2007-2009
2007
Ibrido
Resa di
estrazione
2008
Viscosità
Numero di
iodio
Resa di
estrazione
2009
Viscosità
Numero di
iodio
Resa di
estrazione
Viscosità
Numero di
iodio
(%)
(cSt)
(g I2/100g)
(%)
(cSt)
(g I2/100g)
(%)
(cSt)
(g I2/100g)
LINSOL
30.63
36.80
108.15
33.52
35.74
118.29
37.52
34.20
115.80
ARDANA PR
28.25
34.11
119.70
32.18
35.10
125.10
35.60
32.17
125.23
HEROIC RM
25.62
40.16
87.41
29.74
43.22
83.97
34.43
39.12
90.07
MAS 97OL
26.84
41.70
79.25
31.18
40.90
81.70
35.31
38.85
90.33
LG 54.50
24.21
40.84
83.79
27.76
40.31
84.17
32.53
39.23
89.30
PR64H41
30.25
40.94
83.46
35.47
41.85
83.32
38.90
39.08
90.07
OLEKO
24.58
40.98
84.92
29.76
41.46
83.73
33.30
38.91
90.90
NK BONITA
28.13
41.37
82.65
31.41
40.96
83.53
ARENA PR
NUTRASOL
27.13
41.30
82.24
NX 34250
27.60
41.61
81.64
ULTRASOL
34.11
40.96
84.93
33.88
39.26
88.93
NK CAMEN
32.97
41.26
81.92
35.94
38.80
91.30
LG 56.72
36.77
39.34
88.87
OLLIMI
33.51
38.31
93.87
35.24
37.93
95.88
Media
27.32
39.98
89.32
31.81
40.18
91.07
Bibliografia
Del Gatto A. e Laureti D. 2006. Girasole alto oleico: impieghi e prospettive. Dal seme, 1: 88-90
Del Gatto A. et al. 2008. Il girasole alto oleico: nuove opportunità per una coltura multifunzionale. Dal seme, 4: 55-62
Del Gatto A. et al. 2010. Le varietà ideali per usi energetici. L’Informatore Agrario, 12: 57-59
Toscano G. e Panvini A. 2008. Cogenerazione a olio vegetale, un’opportunità da sviluppare. L’Informatore Agrario, 3: 46-48
94
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Gestione delle Infestanti del Colza (Brassica napus var.
oleifera) in Ambiente Mediterraneo: Risultati Preliminari
Paola A. Deligios, Roberta Farci, Luigi Ledda
Dipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università di Sassari, [email protected]
Introduzione
La coltura del colza è caratterizzata da un lento accrescimento nelle prime fasi di sviluppo, fasi in cui la
rapida crescita delle infestanti risulta potenzialmente limitante. Una efficace competizione della coltura
verso le infestanti si verifica solo dopo che la copertura vegetale ricopre completamente le interfile.
Inoltre, le infestanti dotate di ramificazioni e di apparato radicale vigoroso esercitano una severa
competizione per gli elementi nutritivi disponibili (Bishnoi et al., 2007). In Brassica sp.pl., Bishnoi et
al. (2007) hanno riportato perdite comprese tra il 30 e il 50%, a seconda dell’accrescimento e della
persistenza delle infestanti nel campo. Le difficoltà nella gestione delle infestanti del colza, oltre che
derivare dalla possibile inadeguata preparazione del letto di semina e da un eventuale insufficiente
grado di umidità del suolo, risiede nelle ridotte dimensioni dei semi e nel loro breve tempo di
germinazione, che rendono la coltura molto sensibile alle avversità ambientali nelle sue fasi iniziali
(Paudel et al., 2008). In mancanza di validi prodotti ad ampio spettro dicotiledonicida applicabili nella
post-emergenza della coltura, il diserbo del colza si basa prevalentemente sull’impiego del metazachlor,
che può essere applicato anche nei primi stadi di sviluppo. Rimane quasi insoluto il problema del
controllo delle crucifere quali Sinapis, Rapistrum, Raphanus, e Brassica, specie tardive generalmente
presenti in autunno e durante gli inverni miti. Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’effetto di
diversi trattamenti di controllo delle infestanti, basati sull’impiego di metazachlor, sulla resa e sue
componenti in colza var. Kabel.
Metodologia
La prova è stata condotta nel corso dell’annata agraria 2009-2010 presso il campo sperimentale ‘Mauro
Deidda’ della Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari sito a Ottava (40° 45’ 46.92’’ N; di 8° 29’
42.42’’ E), a 65 m s.l.m. Il sito è caratterizzato da terreni mediamente profondi originati da calcare
miocenico a tessitura sabbio-limo-argillosa, tendenzialmente argillosi ma caratterizzati da un elevato
contenuto di calcare (CaCO3 totale > 40%), discretamente dotati di elementi nutritivi e con capacità di
ritenzione idrica del 30% in peso.
La ricerca, condotta a scala a parcellare sulla varietà precoce Kabel, di origine spagnola, ha previsto il
confronto di 6 trattamenti: 4 dosaggi del p.a. metazachlor in pre-emergenza (2.0, 1.5, 1.0 e 0.5 L ha-1),
un diserbo in post-emergenza (1.0 L ha-1), quando la coltura si trovava nella fase di 3 foglie vere (codice
BBCH 13), un controllo non trattato. La prova, disposta in parcelle della superficie di 24 m2, è stata
condotta secondo un disegno sperimentale a blocchi completi randomizzati con 4 repliche. A fine
ottobre 2009 si è proceduto alla preparazione del letto di semina tramite l’aratura seguita da una doppia
erpicatura. Nel complesso sono state apportate 128 unità di N, distribuite alla semina (36 N) e alla
ripresa vegetativa (92 N). Mediamente sono stati utilizzati l’equivalente di 8 kg di seme ha-1. La semina
è stata effettuata con una seminatrice parcellare, disponendo il seme con interfila di 16 cm ad una
profondità di circa 2 cm. A qualche settimana dall’emergenza sono state individuate a caso, nell’ambito
di ciascuna parcella, 10 piante sulle quali sono state monitorate le principali fasi fenologiche:
emergenza, fioritura e maturazione fisiologica. All’interno delle parcelle sono state individuate quattro
aree di saggio (0.25 m2 ciascuna) sulle quali sono stati condotti due rilievi (il primo a quattro settimane
dall’esecuzione del trattamento a base di metazachlor in post-emergenza, il secondo quando il colza si
trovava nella fase di pre-fioritura) durante i quali sono state determinate il numero delle specie infestanti
presenti, la densità delle infestanti, la loro fase fenologica ed il loro grado di copertura secondo una
scala empirica (0 = nessuna infestante, 100 totale copertura da parte di infestanti). Le infestanti sono
state identificate per specie ed in corrispondenza della piena fioritura è stata misurata l’altezza media
delle piante per ogni area di saggio. In prossimità della raccolta sono stati eseguiti due rilievi: il primo
95
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
prevedeva il prelievo di 10 piante per parcella per determinare le principali componenti della resa
(numero di silique pianta-1, numero di semi siliqua-1, e peso di 1000 semi); il secondo rilievo, condotto
su due aree di saggio da 0.5 m2 per parcella, ha consentito la determinazione del numero di piante per
unità di superficie ed il prelievo delle stesse ai fini del calcolo dell’Harvest Index.
Risultati
Nessuna differenza tra i trattamenti è stata osservata in relazione al numero di piante per m2 che ha
variato tra 115 (metazachlor-post) e 78 (controllo). Il trattamento metazachlor-2.0 ha mostrato un
numero di silique per pianta più elevato rispetto agli altri trattamenti, i valori medi hanno variato da 75
(controllo) a 240 (metazachlor-2.0). Nel caso del numero medio di semi per siliqua, il trattamento
metazachlor-1.5 ha mostrato valori più elevati rispetto agli altri trattamenti (23). Il peso medio di 1000
semi ha variato da 3.65 (metazachlor-1.5) a 2.73 g (metazachlor-0.5). Per quanto riguarda la produzione
raccolta, il trattamento metazachlor-1.5 è stato mediamente più produttivo degli altri trattamenti a
confronto. I valori hanno variato in media da 4.2 (metazachlor-1.5) a 0.7 t ha-1 (controllo). L’Harvest
Index ha variato tra 25.5 (metazachlor-2.0) e 21.0% (controllo e metazachlor-post), mentre nessuna
differenza statisticamente significativa è stata osservata tra i trattamenti a confronto. In tabella 1 sono
riportate le medie relative alla principali componenti della resa e alla produzione raccolta.
Tabella 1. Componenti della resa e produzione in colza var. Kabel in relazione ai diversi trattamenti di diserbo
Trattamento
Piante m-2
n silique
pianta-1
n semi
siliqua-1
Peso 1000 semi
(g)
Strame
(t ha-1)
Resa
(t ha-1)
Harvest
Index
Controllo
0.0 L ha-1
78 a
75 c
16 b
2.95 b
3.4 c
0.7 c
21.0 a
Metazachlor-0.5
0.5 L ha-1
85 a
133 abc
21 ab
2.73 b
8.1 bc
2.0 bc
21.7 a
Metazachlor-1.0
-1
95 a
225 ab
22 ab
3.33 ab
12.8 ab
3.4 ab
25.0 a
-1
91 a
228 ab
23 a
3.65 a
17.1 a
4.2 a
24.3 a
-1
Metazachlor-1.5
1.0 L ha
1.5 L ha
Metazachlor-2.0
2.0 L ha
86 a
240 a
22 ab
3.18 ab
13.4 ab
3.4 ab
25.5 a
Metazachlor-post
1.0 L ha-1
115 a
119 bc
17 b
3.00 ab
8.8 bc
1.8 bc
21.0 a
Le medie caratterizzate da lettere diverse differiscono per p<0.05
Conclusioni
Nella prova condotta nell’annata 2009-2010, le componenti della resa osservate hanno mostrato che
nell’ambiente pedoclimatico mediterraneo il colza potrebbe fornire produzioni competitive in funzione
della gestione del controllo delle infestanti. Infatti, le principali componenti della resa (numero silique
pianta-1, numero semi siliqua-1, peso 1000 semi) sono risultate in accordo con quanto riportato in
letteratura per ambienti a clima mediterraneo (Bouaid et al., 2005). I risultati hanno evidenziato una più
efficace risposta della coltura al diserbo con metazachlor alla dose di 1.5 L ha-1. La produzione raccolta
è stata fortemente penalizzata dal mancato controllo delle infestanti e dalla conseguente severa
competizione esercitata da queste durante le fasi di accrescimento e sviluppo della coltura.
Bibliografia
Bishnoi, U.R. et al. 2007. Agronomic and economic performance of winter canola in Southeaster US. World J. Agric.
Science, 3:263-268.
Bouaid, A.et al. 2005. Pilot plant studies of biodiesel production using Brassica carinata as raw material. Catal. Today,
106:193-196.
Paudel, L. et al. 2008. Influence of timing of herbicide application on winter canola performance. World J. Agric. Science,
4:908-913.
96
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Produzione e caratteristiche qualitative di varietà di favino
(Vicia faba L. var. minor) in ambiente mediterraneo
Elvio Di Paolo1, Fabio Stagnari2
1
COTIR, Centro per la Sperimentazione e Divulgazione delle Tecniche Irrigue, S.S. 16 Nord, 240 – 66054 Vasto, IT,
[email protected]
2
Dip. di Scienze degli Alimenti, Univ. Teramo, IT, [email protected]
Introduzione
Nelle aree collinari non irrigue dell’Italia centro-meridionale, spesso si assiste ad una estrema
semplificazione dei sistemi agricoli con ricorso alla monocoltura di frumento o a rotazioni strette
frumento-orzo. Tale impostazione colturale può determinare problemi collegati alla fertilità fisica,
chimica e biologica del suolo; la sostenibilità dei suddetti sistemi agricoli si può ottenere introducendo
nelle rotazioni leguminose quali il favino (Vicia faba L. var. minor).
Il favino apporta numerosi benefici: i) aumento del tasso di sostanza organica e azoto; ii) disponibilità di
P, K e S; iii) riduzione della lisciviazione dei nitrati; iv) miglioramento della struttura e stabilità degli
aggregati del suolo (Chalk, 1998) riduzione della competizione delle infestanti (Chalk, 1998). Inoltre il
seme di favino può rappresentare un costituente delle razioni alimentari animali per il suo elevato
contenuto proteico (20-28% del peso secco). Tuttavia i semi contengono sostanze (tannini, inibitori
proteici, glucosidi) che possono interferire con la digestione e l’assimilazione dei nutrienti soprattutto
nei monogastrici (Crépona et al., 2010).
L’adattamento del favino negli aerali mediterranei è reso difficoltoso dalle condizioni ambientali che
spesso riducono l’accumulo di biomassa e quindi la potenziale produttività della specie (Tomson and
Siddique, 1997). Informazioni sulla variabilità genotipica in termini di risposta alle basse temperature,
sulla lunghezza del ciclo e sulla resistenza alla siccità sono ampiamente riportate (Thomson and
Siddique, 1997). Una scelta varietale appropriata è cruciale per migliorare l’adattabilità del favino negli
ambienti a clima mediterraneo (Monotti et al., 2007). Tuttavia, poche sono le informazioni disponibili
relative alla composizione del seme e al contenuto in fattori antinutrizionali, caratteristiche queste
influenzate sia dal genotipo che da fattori ambientali (De Vincenzi et al., 2006).
Con il presente studio sono state valutate le caratteristiche produttive e qualitative di cultivar di favino
coltivate in una zona non irrigua dell’Italia centrale.
Metodologia
La sperimentazione è stata condotta nel 2005/2006 a Vasto (Chieti, Italia) (42° 10” lat. N; 14° 38” long.
E, 30 m a.s.l) presso il CO.T.IR. (Centro per la Sperimentazione e Divulgazione delle Tecniche Irrigue)
su un terreno franco-limoso-argilloso con le seguenti caratteristiche: argilla 40.7 %, limo 52.9 %, sabbia
6.4 %, pH (acqua) 8.2, azoto totale 0.14 %, sostanza organica 1.6 %, P 32 ppm, K2O, 451 ppm, bulk
density 1.25 kg dm-3. Il clima, "attenuate thermo-Mediterranean” (Unesco-FAO), è caratterizzato da
temperature minime invernali che spesso vanno sotto i 0°C e da temperature massime di circa 34-36°C.
Le piogge (650 mm) si concentrano in autunno e primavera. La sperimentazione è stata condotta con le
varietà di favino di seguito indicate (Chiaro di Torre Lama, Irena, Lady, Merkur, Prothabat 69, Scuro di
Torre Lama, Sicania) seminate ad una densità di 40 semi germinabili m-2 nella prima decade di
novembre. Alla raccolta sono state determinate produzione, umidità e peso medio dei semi.
Il contenuto in polifenoli totali e non tannici è stato determinato secondo una reazione colorimetrica con
il reagente di Folin-Ciocalteau (Maccaar et al.,1995); i polifenoli tannici sono stati determinati per
differenza. Gli inibitori tripsici sono stati determinati secondo il metodo descritto da Clifford et al.
(1980). I glucosidi vicina e convicina sono stati estratti in soluzione di uridina acquosa e quantificati in
HPLC (Griffiths e Ramsay, 1992). I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della varianza; le
differenze tra i trattamenti sono state saggiate con il test t.
97
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
I valori produttivi e qualitativi sono riportati in tabella 1. La produzione è variata da 4.3 t ha-1 della
varietà Scuro di Torre Lama a 3.3 t ha-1 di Lady e Merkur. Sicania e Prothabat 69 hanno fatto registrare
il peso di mille semi significativamente più elevato (0.65 e 0.55 g) mentre Scuro di Torre Lama il più
basso (0.39 g). Le differenze tra le varietà in termini di inibitori tripsinici, polifenoli totali e tannici non
sono risultate significative (media generale tra le varietà di 2.14, 9.66 e 3.73 mg g-1). Relativamente al
tenore in vicina e convicina Lady è risultata di gran lunga la varietà con il contenuto più basso (1.76 e
0.11 mg g-1rispettivamente di vicina e convicina), mentre Irena ha fatto registrare i valori
significativamente più elevati (15.25 e 0.30 mg g-1).
Tabella 1. Caratteristiche produttive e qualitative di varietà di favino in prova nel 2005/2006 a Vasto.
Prod.
(t ha-1)
Peso
medio
semi
(g)
Inibitori
della
tripsina (mg
g-1)
Polifenoli
totali
(mg g-1)
Polifenoli tannici
(mg g-1)
Vicina (mg
g-1)
Convicina
(mg g-1)
Chiaro Torre L.
3.9
0.42
2.19
10.37
3.78
13.21
0.25
Irena
3.6
0.48
2.36
9.86
3.23
15.26
0.30
Lady
3.3
0.41
1.66
9.94
4.93
1.76
0.11
Merkur
3.3
0.49
1.80
9.50
4.04
11.17
0.23
Prothabat 69
4.1
0.55
2.36
9.47
4.19
11.63
0.18
Scuro Torre L.
4.3
0.39
2.45
9.32
3.39
13.45
0.24
Sicania
4.1
0.65
2.13
9.16
2.56
11.34
0.25
Media
3.8
0.49
2.14
9.66
3.73
11.12
0.22
0.77
0.029
-
-
-
0.38
0.02
Varietà
LSD
Conclusioni
La sperimentazione ha evidenziato una ottima performance produttiva delle varietà testate. Il tenore in
polifenoli tannici è risultato essere medio alto e in termini assoluti più elevato nelle varietà Lady,
Prothabat 69 e Merkur. Non è stata evidenziata alcuna correlazione tra contenuto in polifenoli tannici e
resa in granella, mentre è stata evidenziata una correlazione inversa tra questi e il tenore in convicina. Al
riguardo si nota che Lady è la varietà con il più alto tenore in polifenoli tannici e il più basso per quanto
riguarda convicina e vicina.
Bibliografia
Chalk P.M. 1998. Dynamics of biologically fixed N in legume-cereal rotation: a review. Aus. J. of Agronomic Research,
49: 303-316.
Clifford S. et al. 1980. The determination of Trypsin Inhibitor Level in Foodstuff. J. Sci. Food Agric., 31:341-350.
Crépona et al. 2010. Nutritional value of faba bean (Vicia faba L.) seeds for feed and food. Field Crop Res. 115:329-339.
De Vincenzi et al. 2006. Effect of variety and agronomical conditions on the level of polyphenols and antinutritional factors
of Vicia faba minor. Veterinary Research Communications 30: 371-374.
Griffiths D. W. e Ramsay G. 1996. The Distribution of Pyrimidinone Glucosides in Developing Seedlings of Vicia faba
and Vicia narbonensis. J. Sci. Food Agric., (72) 4:469 - 475
Maccar H.P.S. et al. 1995. Formation of complexes between polyvinyl pyrrolidone and polyethylene glycol with tannins
and their implications in gas production and true digestibility in vitro techniques. Brit. J. Nutr., 73:897-913.
Monotti M. et al. 2007. Pisello proteico e favino: valutazioni di varietà in semina autunnale e confronto tra le specie.
Agroindustria 1/2 (6): 47-54.
Thomson B.D. and Siddique K.H.M. 1997. Grain legumes species in low rainfall Mediterranean-type environments. II.
Canopy development, radiation interception, and dry-matter production. Field Crop. Res. 54: 189-199.
98
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risposta Produttiva di Favino (Vicia faba var minor L.)
Sottoposto a Regimi Irrigui e Fertilizzazione Azotata
Elvio Di Paolo 1, Armando Mammarella 1, Pasquale Garofalo 2, Michele Rinaldi 2
1
COTIR - Centro per la Sperimentazione e Divulgazione delle Tecniche Irrigue, Vasto, IT, [email protected]
2
CRA-SCA, Unità di ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari, IT
Introduzione
Il favino (Vicia faba var minor L.) è una specie leguminosa coltivata per sovescio, visti gli effetti
benefici sulle colture successive (Kopke e Nemecek, 2010) e per la produzione di seme, utilizzato
nell’alimentazione animale. Per quest’ultima, risulta importante assicurare livelli produttivi tali da
rendere economicamente conveniente la sua coltivazione. L’ottimizzazione e la stabilizzazione delle
produzioni negli ambienti Mediterranei passa anche attraverso la riduzione dello stress idrico (cui il
favino è sensibile) e, conseguentemente, lo sviluppo ottimale dei noduli radicali azoto-fissatori (Khan et
al., 2010). Questi ultimi possono essere favoriti anche da apporti di N nelle fasi iniziali.
Obiettivo di questa ricerca è la valutazione della produttività di favino da seme, sottoposto a differenti
regimi irrigui e apporto di fertilizzante azotato in un ambiente pianeggiante abruzzese.
Metodologia
L’esperimento è stato condotto a Vasto (CH) nel biennio 2005-06 e 2006-07, presso l’azienda
sperimentale del COTIR, con suolo Aquic Haploxerert (sabbio-limo-argilloso) e clima “Mediterraneo
attenuato”. Il favino è stato seminato a metà novembre e raccolto nella prima decade di luglio. Sono
stati imposti 4 regimi irrigui, che prevedevano il ripristino del 100 (I100) e del 50% (I50) dell’ETc, una
tesi con un intervento irriguo di 40 mm alla fase di fioritura-formazione bacelli (Is) e una tesi non
irrigata (I0). L’ETc è stata calcolata come prodotto tra ET0 (stimata con la formula di Penman-Monteith)
e Kc (Allen et al., 1998): quando l’ETc cumulata, al netto delle piogge raggiungeva 40 mm, si
interveniva con 40 e 20 mm, rispettivamente per le tesi I100 e I50.
Un trattamento di fertilizzazione azotata (N1) con 75 kg ha-1 di N, distribuiti 1/3 alla semina e 2/3 allo
stadio di 4-6 foglie è stato confrontato con una tesi non fertilizzata (N0). Il disegno sperimentale è stato
uno split-plot con 3 repliche e parcelle elementari di 27 m2.
Alla raccolta è stata determinata la produzione di biomassa, di granella, il peso unitario del seme,
l’umidità del suolo fino a 1.0 m e determinato il consumo idrico stagionale con un modello di bilancio
idrico semplificato. L’efficienza d’uso dell’acqua nella produzione di seme (WUEs) è stata ottenuta
rapportando la produzione in seme all’ETc.
Risultati
I due anni di prova si sono differenziati da un punto di vista climatico per la maggiore piovosità del
2005-06 durante il ciclo di crescita del favino (560 mm) rispetto al secondo anno (270 mm) e da
temperature più basse nel primo anno rispetto al secondo. Pertanto, le interazioni con l’anno sono
risultate significative per diversi parametri produttivi.
La produzione in biomassa epigea è stata maggiore nell’anno più piovoso; inoltre l’interazione
significativa “IxN” ha evidenziato l’effetto positivo dell’N solo nelle tesi Is e I50, negativo per la più
irrigata I100 (Fig. 1). La produzione di seme è stata molto elevata nel primo anno (4.2 t ha-1), ma con una
diversa risposta dei regimi irrigui: la tesi I100, a causa di un notevole allettamento delle piante dopo la
formazione dei baccelli, è risultata la meno produttiva. Nel secondo anno, più secco, l’apporto irriguo
ha incrementato significativamente la resa in seme rispetto alla tesi non irrigata (Tab. 1). L’effetto
dell’azoto sulla produzione di granella non è risultato mai significativo, tuttavia nel primo anno le tesi
N1 hanno prodotto meno delle N0, l’opposto si è verificato nel secondo anno, ad eccezione del
trattamento irriguo I100. L’efficienza d’uso dell’acqua per la produzione di seme è stata in entrambi gli
anni più alta nella tesi Is (Tab. 1).
99
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1. Principali risultati produttivi del favino.
Anno
2005/06
I0
Is
I50
I100
N0
N1
Media
2006/07
I0
Is
I50
I100
N0
N1
Media
Biomassa epigea
(t ha-1)
Resa in seme
(t ha-1)
Harvest
Index
Peso medio
seme (g)
WUEs
(g kg-1)
16.1
16.8
17.9
18.4
4.1
4.6
4.2
3.8
0.25
0.30
0.24
0.20
0.44
0.49
0.48
0.48
9.4
10.0
9.0
7.9
17.8
16.8
17.3
4.5
3.9
4.2
0.25
0.24
0.25
0.47
0.47
0.47
9.7
8.4
9.1
7.0
9.9
11.5
10.7
2.4
3.1
3.2
3.0
0.34
0.32
0.28
0.28
0.38
0.37
0.38
0.38
7.6
8.6
8.0
6.5
9.1
10.5
9.8
2.7
3.1
2.9
0.31
0.30
0.31
0.37
0.38
0.38
7.2
8.1
7.7
-1
(t ha )
Conclusioni
Da questa ricerca emerge
24
come
la
maggiore
disponibilità idrica migliori la
21
produttività del favino, ma un
18
suo
eccesso
porta
ad
15
aumentare il rischio di
12
allettamento delle piante, per
il prolungarsi della fase
9
vegetativa rispetto a quella
6
riproduttiva.
Una
sola
3
irrigazione
nella
fase
0
fenologica
più
critica
N0
N1
N0
N1
N0
N1
N0
N1
(fioritura-riempimento
baccelli) sembra essere la
I0
I0
I100
I100
I50
I50
Is
Is
migliore strategia per ottenere
rese in seme più elevate e una
Figura 1. Interazione “Irrigazione x Azoto” della produzione di
migliore
WUE.
biomassa di favino, nei quattro regimi irrigui e sottoposta ai due
L’applicazione di fertilizzante
trattamenti fertilizzanti azotati.
azotato non ha influenzato, in
modo
statisticamente
significativo, la risposta produttiva, neanche in interazione con l’irrigazione.
Bibliografia
Allen R.G. et al. 1998. Crop evapotranspiration. Guidelines for computing crop water requirements. Irrigation and
Drainage Paper No. 56, FAO; Rome, 301 pp.
Kahan H.R. et al. 2010. Faba bean breeding for drought-affected environments: A physiological and agronomic
perspective. Field Crops Res., 115:279-286.
Kopke U., Nemecek T. 2010. Ecological services of faba bean. Field Crops Res., 115:217-233.
100
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Dormienza Estiva in Popolazioni Siciliane di Dactylis
glomerata L.(1)
Sonia G. Fontana1, Venera Copani1, Alessandro Lombardo2, Alessandra D. Cosentino1,
Sebastiano Scandurra1
1
Dip.to di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Università di Catania, [email protected]
²Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia, Catania, [email protected]
Introduzione
L’erba mazzolina (Dactylis glomerata L.) è una graminacea foraggera perenne, dotata di elevata
longevità e produttività, ampiamente diffusa in Europa, nord Africa e ambienti temperati e tropicali
dell’Asia (Tolmachev et al. 1995 cit. da Yan Peng et al., 2008). Il periodo più difficile per la
sopravvivenza della specie nell’area mediterranea è quello estivo, caratterizzato dall’assenza prolungata
delle piogge. Piuttosto che a meccanismi di tolleranza diretta alla siccità, efficaci solo per stress limitati
durante la stagione di crescita, la strategia fondamentale di permanenza delle popolazioni mediterranee
risiede nella dormienza estiva, la sola che consenta di sfuggire alla carenza idrica (stress avoidance)
(Laude, 1953). Sotto l’aspetto produttivo, sarebbe comunque interessante individuare genotipi con una
relativa “plasticità” di dormienza, tale da consentire una qualche reattività produttiva a condizioni
favorevoli di umidità residua o a eventuali apporti idrici a fine stagione. Scopo di questa ricerca è stato
quello di verificare il grado di dormienza estiva di genotipi della suddetta specie proveniente da
ambienti alquanto diversi della Sicilia.
Metodologia
La ricerca è stata condotta nella primavera del 2008 presso l’azienda didattico-sperimentale della facoltà
di Agraria dell’Università di Catania (Piana di Catania, 10 m slm, 37° 25’ Lat. N, 15° 30’ Long. E).
Sono stati studiati 9 genotipi facenti parte di una più ampia collezione conservata dal 2002 presso il
medesimo sito, provenienti da ambienti (Augusta, Ferla, S. Michele di Ganzaria, Bronte, Fornazzo,
Castell’Umberto, Gioiosa Marea, Villapriolo, Riesi) caratterizzati da sensibili differenze per regimi
termici e pluviometrici, altitudine e latitudine (Tab. 1). I suddetti genotipi sono stati confrontati con tre
varietà commerciali messe a disposizione dall’INRA di Montpellier, Francia: “Medly”, genotipo non
dormiente a fioritura precoce, di origine mediterranea, “Kasbah”, genotipo resistente alla siccità e non
dormiente e “Porto” genotipo sensibile alla siccità. Durante il periodo autunno-vernino 2008/2009 è
stata effettuata la semina in fitocelle delle varietà testimoni e il trapianto, sempre in fitocelle, dei culmi
di accestimento prelevati da piante madri dei genotipi siciliani. Nella primavera 2009, i dodici genotipi
sono stati trasferiti in
Tabella 1. Caratteristiche degli ambienti di provenienza dei genotipi di Dactylis
pieno
campo
su
glomerata allo studio e epoca di spigatura di questi
parcelle
della
Altitudine Piovosità
Data di
dimensione di 5.6 m²
Genotipo
Località
m s.l.m.
(mm)
spigatura
secondo un disegno
sperimentale a blocchi
1
Augusta
40
533.4
08/05/09
randomizzati con sei
4
Ferla
500
783.8
03/04/09
ripetizioni. Nel periodo
24
S. Michele di Ganzaria
480
565.9
31/03/09
estivo
a
cadenza
46
Bronte
800
526.0
02/04/09
settimanale sono stati
56
Fornazzo
850
1313.4
06/05/09
rilevati i parametri
63
Castell’Umberto
660
906.3
10/05/09
biologici, biometrici e
65
Gioiosa Marea
100
634.1
05/04/09
produttivi ed è stata
monitorata
l’attività
81
Villapriolo
525
502.4
17/04/09
vegetativa
98
Riesi
369
461.1
06/05/09
(mantenimento,
riduzione, cessazione)
101
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
secondo quanto indicato da Volaire e Norton (2006) e Norton (2008). A questo scopo le parcelle sono
state mantenute in regime di pieno soddisfacimento idrico (restituzione del 100 % dell’ETm). In questa
sede si riferiscono solo alcuni dei risultato ottenuti.
Risultati
L’areale di raccolta del germoplasma di Dactylis glomerata copre tutta la Sicilia orientale e buona parte
di quella centrale (Tab 1). Dal punto di vista geografico la quota altimetrica dei siti di prelievo cresce
dal livello del mare (Augusta, genotipo 1) a 850 m s.l.m. (Fornazzo, genotipo 56). L’area intercetta
soprattutto una notevole variabilità per quanto riguarda la piovosità annuale che va da un minimo di 460
mm (Riesi) ad un massimo di 1.300 mm (Fornazzo). I genotipi risultano caratterizzati da una differente
epoca di spigatura, compresa tra il 31 marzo (genotipo 24) e il 10 maggio (genotipo 63). I genotipi
Ferla, Fornazzo, Castell’Umberto, Gioisa Marea manifestano così come i testimoni Porto e Medly non
dormienti, una normale attività vegetativa durante il periodo estivo. Viceversa, i genotipi Augusta, S.
Michele di Ganzaria, Bronte, Villapriolo e Riesi, così come Kasbah specie dormiente di origine marocchina, dopo lo sfalcio di inizio estate non riprendono l’atti-vità vegetativa nonostante l’irri-gazione (Fig
1). La discriminante fra i due gruppi appare proprio la disponibilità di acqua, dal momento che i tipi non
dormienti provengono da ambienti in cui la piovosità risulta superiore a 600 mm annui e quelli
dormienti, invece, dispongono di una quantità di pioggia pari o inferiore a 500 mm. Dovrà essere
meglio indagata, a questo proposito, anche la durata del periodo secco.
Figura 1. Andamento dell’attività vegetativa nel periodo estivo dei genotipi allo studio
GENOTIPO
4/7/09
10/7/09
16/7/09
22/7/09
28/7/09
3/8/09
Porto
12/8/09
30/8/09
LEGENDA:
Medly
Kasbah
1 - Augusta
Mantenimento
4 - Ferla
24 - S. Michele di
Riduzione
46 - Bronte
56 - Fornazzo
Cessazione
63 - Castell'Umberto
65 - Gioiosa Marea
81 - Villapriolo
98 - Riesi
Conclusioni
Il territorio siciliano preso in esame, per quanto di ridotte dimensioni, si caratterizza per sensibili
differenze climatiche che determinano una risposta biologica alquanto differenziata nella Dactylis
glomerata. Il livello di piovosità di circa 600 mm sembra essere la misura discriminate che ha
consentito l’adattamento di genotipi dotati di dormienza estiva negli ambienti più siccitosi.
Bibliografia
Laude H.M. 1953. The nature of summer dormancy in perennial grasses. Bot. gazette, 114, 284-292.
Norton M.R. et al. 2008. Measurement of summer dormancy in temperate pasture grasses. Australian Journal of
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Volaire F. and Norton M. 2006. Summer Dormancy in Perennial Temperate Grasses. Annals of Botany, 98: 927-933.
(1) Ricerca realizzata con il contributo finanziario dei fondi di Ateneo (PRA)
102
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Caratterizzazione Molecolare mediante fAFLP di
Germoplasma Siciliano di Dactylis glomerata L.
Sonia G. Fontana¹, Alessandro Lombardo², Grazia Licciardello2, Venera Copani1
1
Dip.to Sc. Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Università di Catania, IT. [email protected]
²Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia, Catania, IT, [email protected]
Introduzione
La regione mediterranea, pur essendo interessata al problema dell’erosione genetica è ancora oggi uno
degli ecosistemi con la maggiore diversificazione specifica (Pignatti, 1995). Tuttavia risulta carente la
disponibilità di specie foraggere selezionate per le esigenze dell’allevamento zootecnico. Dactylis
glomerata L. è una specie foraggera prativa di elevato valore pabulare, presente nella flora spontanea
della Sicilia nelle più diverse condizioni edafiche e climatiche, caratterizzata da un rilevante
polimorfismo in relazione alla variabilità ambientale che caratterizza l’Isola. Le tecniche di
caratterizzazione molecolare basate su polimorfismi del DNA, inclusi RAPD, ISSR (Zeng et al. 2006) e
AFLP (Peng et al. 2008) sono state applicate con successo per la stima della variabilità genetica e delle
relazioni intraspecifiche nel germoplasma della suddetta specie.
La caratterizzazione genetica di questo germoplasma rappresenta un utile strumento per la conoscenza
della suddetta variabilità, in parte già esplorata fenotipicamente, in vista della selezione di genotipi con
caratteristiche rispondenti alle esigenze della foraggicoltura degli ambienti caldo-aridi.
Metodologia
Lo studio ha avuto come oggetto 7 accessioni siciliane reperite in località caratterizzate da condizioni
pedoclimatiche alquanto differenti (Fontana et al., SIA 2010): Augusta (1), S. Michele di Ganzaria (24),
Bronte (46), Fornazzo (56), Gioiosa Marea (65), Villapriolo (81), Riesi (98) e tre accessioni messe a
disposizione dall’INRA di Montpellier, Francia: Medly, Kasbah e Porto.
L’estrazione del DNA genomico è stata eseguita con il DNeasy Plant Mini kit (Quiagen), secondo il
protocollo fornito dal produttore, previa distruzione dei tessuti vegetali in mortaio con azoto liquido. La
caratterizzazione genetica è stata eseguita mediante fAFLP (fluorescent Amplified Fragment Length
Polymorphism) come descritto da Vos et al. (1995), secondo il protocollo A-2015A (Beckman &
Coulter Inc., Application Information 2005, http://www.beckman.com/). Per l’amplificazione selettiva
sono state utilizzate tre combinazioni di coppie di primer EcoRI-MseI (Tab. 1) utilizzando primer
EcoRI marcati con il floroforo Cy5. Le amplificazioni preselettive e selettive sono state effettuate su
termociclatore Techne (Flexigene). L’elettroforesi capillare è stata condotta in condizioni standard su
analizzatore genetico Ceq-8000 (Beckman & Coulter). La distanza e la matrice di similarità sono state
calcolate rispettivamente con il metodo di Nei, Li e Dice utilizzando il software Freetree (Pavlieek et
al., 1999) con un’analisi bootstrap di 500 ripetizioni. L’albero filogenetico è stato costruito secondo il
metodo UPGMA (Unweighted pair-group method with average linkages), esportando il file di output
nel software NJplot (Perriere and Gouy, 1996).
Risultati
L’amplificazione selettiva utilizzando tre diverse coppie di primer, ha originato 777 picchi di
fluorescenza polimorfici su un totale di 841 (Tab. 1), con una media percentuale di 92,29±0,89. Il
dendrogramma costruito secondo il metodo UPGMA, generato dalla matrice 0-1 (assenza-presenza di
picchi), ha separato le accessioni di Dactylis glomerata L. in 5 gruppi, indicati come A, B, C, D, E
(Fig.1); tale separazione appare correlata alle differenze nel tasso di piovosità che caratterizza gli
ambienti di provenienza (Fontana et al., SIA 2010).
103
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella1. Numero di picchi totali, picchi polimorfici e percentuale di picchi polimorfici per ciascuna coppia di primer selettivi.
Coppia di primer
*e-ACA m-CTC
*e-AAG m-CTA
*e-AGG m-CTA
Numero di picchi
295
261
275
Picchi polimorfici
274
242
251
% di picchi polimorfici
92,88
92,72
91,27
Figura 1. Dendrogramma UPGMA delle accessioni siciliane e dei genotipi europei basato sulla matrice di similarità
derivata da 841 marcatori AFLP.
Porto
A
Kasbah
98
B
Medly
C
81
65
D
56
46
24
E
1
Conclusioni
I dati ottenuti, seppur preliminari, indicano un elevato grado di polimorfisfmo tra le accessioni. I dati sono in
accordo con una recente valutazione della diversità genetica di Dactylis glomerata L. eseguita su accessioni
provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese (Peng et al., 2008). L’elevata variabilità genetica tra accessioni
è probabilmente specchio della capacità di questa specie di colonizzare ambienti anche molto diversi, da qui
la necessità di ampliare la collezione di germoplasma per studi di breeding e programmi di conservazione.
Bibliografia
Vos P. et al. 1995. AFLP: a new technique for DNA fingerprinting. Nucl. Ac. Res. 23(21):4407-14.
Pavlıcek A. et al. 1999. FreeTree freeware program for construction of phylogenetic trees on the basis of distance data and
bootstrap/jackknife analysis of the tree robustness. Application in the RAPD analysis of genus Frenkelia. Folia Biol.,45:97–99.
Peng Y. et al. 2008. Evaluation of genetic diversity in wild orchadgrass (Dactylis glomerata L.) based on AFLP markers. Hereditas
145:174-181.
Perrière, G. and Gouy, M. (1996) WWW-Query: An on-line retrieval system for biological sequence banks. Biochimie, 78, 364-369.
Zeng B. et al. 2006. Genetic diversity of Dactylis glomerata germplasm resources detected by molecular markers. Dissertation of
the 2nd China-Japan-Korea Grassland Conf., Lanzhou, China
Ricerca realizzata con il contributo finanziario dei fondi di Ateneo (PRA)
104
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Conseguenze dell’Utilizzo di Oli Essenziali
nella Coltivazione di Origano
Laura Frabboni, Francesca Cristella, Giusi de Simone, Annamaria Tomaiuolo, Vittoria
Russo
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
Le sostanze con potenziali effetti allelopatici sono numerose, fino ad oggi sono state individuate più di
300 molecole (Einhelling, 1996). Si tratta di composti del metabolismo secondario delle piante
(Vaughan et al. 1991) che vanno a interferire con lo sviluppo di altre piante. Nishida N. et al. (2005)
hanno studiato gli effetti di numerosi monoterpenoidi prodotti da piante officinali la cui azione è quella
di inibire la moltiplicazione cellulare nei meristemi apicali delle radici.
Negli oli essenziali è possibile ritrovare molte sostanze allelopatiche (Dudai N. et al. 1999). In
bibliografia sono riportati gli effetti allelopatici generati dagli oli essenziali e dei loro componenti
principali: i terpeni puri (Dudai N. et al. 2004). In questo ambito Sebile Azirak et al. (2008) hanno
sviluppato ricerche sugli effetti allelopatici di diverse piante officinali, fra cui anche lavanda e menta.
Anche Dudai N. et al. (1999) hanno condotto ricerche sulle proprietà allelopatiche di oli essenziali
estratti da trentadue piante officinali. Dai risultati è emerso che la germinazione dei semi di molte
infestanti diminuisce in seguito alle applicazioni di oli essenziali a dosi variabili.
In questo contesto non esistono studi specifici sulle conseguenze dell’utilizzo degli oli essenziali in
campo sulla coltivazione dell’origano (Origanum onites L.) né sulla resa né sulla produzione di
metabolici secondari.
Con questi presupposti in agro di Foggia è stata impostata una prova sperimentale per valutare la resa di
prodotto fresco, secco e dell’olio essenziale dell’origano trattato con oli essenziali di menta (Mentha x
piperita L.) e lavanda (Lavandula spica Chaix) caratterizzati da un’elevata concentrazione di terpeni.
Metodologia
In agro di Foggia, presso l’azienda Agraria Ortuso di Manfredonia (FG), è stato allestito un campo
sperimentale in cui sono state messe a confronto tesi trattate con olio essenziale di menta (P1) e di
lavanda (P2) con un testimone non trattato (T).
L’origano è stato trapiantato manualmente nel mese di maggio ’09 in un suolo ‘franco-argilloso’. Da
metà giugno ’09 sono state distribuiti ogni 20 giorni 5 cc olio essenziale di menta in P1 e di lavanda in
P2.
Gli oli essenziali sono stati ottenuti tramite idrodistillazione rispettivamente di foglie di Menta x
piperita L. e di Lavandula spica Chaix con l’apparecchio di Clevenger. L’eccesso di acqua presente
nell’olio essenziale è stato allontanato con il solfato di sodio anidro. L’analisi gascromatografica
qualitativa è stata condotta con una gascromatografo accoppiato con un spettrometro di massa (GCMS).
L’origano è stato raccolto il 6 maggio 2010 e messo a seccare a temperatura ambiente per (28 giorni)
giorni. E’ stata effettuata la distillazione delle foglie essiccate in data 11 giugno per ottenere l’olio
essenziale di origano ed effettuata l’analisi gascromatografica qualitativa per valutare i principali
componenti.
Risultati
Dall’analisi dei risultati (tab. 1) è emerso che la tesi P1 è stata quella che ha fornito maggior quantità di
peso fresco e di peso fresco (rispettivamente: 27.9 e 5.9 kg/parcella).
Per quanto riguarda la resa in olio essenziale invece P2 ha garantito 0.95% mentre P1 0.90%.
Nel testimone non trattato si sono sempre registrati valori inferiori rispetto alle parcelle trattate con olio
essenziale.
Interessante risulta l’analisi dei principali componenti dell’olio essenziale di origano (tab. 2).
105
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
L’estratto ottenuto dalle piante cresciute in P1 è più ricco di: α-pinene, camphene, phellandrane, αterpinene, ocimene, linalolo, carvone e timolo.
Il prodotto distillato da P2 risulta con una maggiore concentrazione di: cimene, α-terpinolo e carvacrolo.
L’olio essenziale ottenuto dal testimone ha un’elevata % di: mircene e γ-terpinene.
Tabella 1. Peso fresco (kg/parcella), peso secco (kg/parcella) e resa in olio essenziale (%)
T
P1
P2
Peso fresco
Peso secco
Resa in olio
18.5 d
3.35 c
0.8 ab
27.9 a
5.9 a
0.9 ab
25.4b
5.15 ab
0.95 a
I valori seguiti dalla stessa lettera non sono significativamente diversi per P ≤ 0,05 secondo
il Tukey test
Tabella 2. Principali componenti (%) dell’olio essenziale di origano cresciuto nelle diverse tesi
Componenti
α-pinene
Camphene
Myrecene
Phellandrane
α-terpinene
Ocimene
γ-terpinene
T
0.10
0.07
0.24
0.05
0.39
0.01
0.79
P1
0.30
0.17
0.14
0.25
0.59
0.04
0.59
P2
0.10
0.02
0.20
0.03
0.24
0.01
0.49
Componenti
Eucalyptol
cymene
Linalool
α-terpineol
Carvone
Thymol
Carvacrol
T
P1
P2
0.09 0.01 0.03
0.85 0.55 0.92
0.46 0.86 0.26
0.36 0.16 0.56
0.12 0.42 0.22
0.42 0.82 0.22
33.78 36.78 39.78
Conclusioni
Dal lavoro è emerso che l’origano trattato con olio essenziale di menta ha fornito maggior quantità di
peso fresco e di peso fresco e un olio essenziale più ricco in: α-pinene, camphene, phellandrane, αterpinene, ocimene, linalolo, carvone e timolo.
La coltura trattata con olio essenziale di lavanda ha garantito una maggior resa di olio essenziale e
quest’ultimo è risultato più ricco in: cimene, α-terpinolo e carvacrolo.
Il testimone si è distinto per un’elevata percentuale di: mircene e γ-terpinene nell’olio essenziale.
Bibliografia
Einhelling F.A. 1996 Interactions involving allelopathy in cropping systems Agron. J., 88: 886-893.
Vaughan D. et al. 1991 Extraction of potential allelochemicals and their effects on root morphology and nutrient content
in: Plant root growth: an ecological perspective. (Ed.). Blackwell Scientific Pubblications, Oxford: 399-421.
Nishida N. et al. 2005 Allelopathic effects of volatile monoterpenoids produced by Salvia leucophylla: inhibition of cell
proliferation. Journal of Chemical Ecology, 31 (5): 1187-1203.
Dudai N. et al. 1999 Essential Oils as Allelochemicals and Their Potential Use as Bioherbicides J.Chem.Ecol., 25:107989.
Dudai N, et al. 2004 Essential oils as allelopathic effects: bioconversion of monoterpenes by germinating wheat seeds
Actahort. (ISCS) 629:505-508.
Sebile Azirak et al. (2008) Allelopathic effect of some essential oils and components on germination of weed species Acta
Agriculturae Scandinavica, Section B - Plant Soil Science, 58: 88-92.
Si ringraziano il dott. Filippo Taronna ed i Sig. Dario e Giuseppe Ortuso per la disponibilità e il prezioso aiuto mostrati
nella conduzione delle prove.
106
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Leguminose da pascolo di seconda generazione: una
opportunità per i sistemi foraggero-zootecnici mediterranei?
A. Franca, C. Porqueddu, G. A. Re, L. Sulas
CNR-ISPAAM, Trav. La Crucca 3, Loc.. Baldinca, 07100 Sassari (Italy). e-mail: [email protected]
Introduzione
Nell’ultima decade, diverse varietà di leguminose da pascolo di seconda generazione (Loi et al., 2005)
selezionate in Australia vengono distribuite nel mercato sementiero europeo, ampliando di fatto la
possibilità di scelta dei nostri agricoltori (Sulas, 2005; Porqueddu & González, 2006). Pertanto, è
importante valutare i benefici derivanti dalla loro introduzione in sistemi foraggero-zootecnici
mediterranei. In questo lavoro condotto in Sardegna si riferisce sull’adattamento e la persistenza di
alcune leguminose di seconda generazione.
Metodologia
Sono state condotte tre prove sperimentali in tre differenti contesti agro-ambientali lungo il gradiente
nord-sud dell’Isola: Chilivani (40° 36’ N, 8° 56’ E), Bolotana (40° 16’ N, 8° 58’ E) e Oristano (39° 57’
N, 8° 36’ E). Sono state valutate 21 leguminose annuali (Tabella 1). Le parcelle, previa aratura,
concimazione con 100 kg ha-1 di P2O5 (superfosfato) e preparazione del letto di semina, sono state
disposte secondo un disegno a blocchi randomizzati con 3 repliche e seminate in autunno con seme non
inoculato e dosi comprese fra 8 e 30 kg ha-1. L’adattamento dei materiali in esame è stato stimato
combinando osservazioni sul ricoprimento percentuale e sul contributo potenziale alla banca del seme.
Risultati
La risposta delle singole specie è stata differente in relazione alle caratteristiche ambientali dei siti.
Alcune varietà australiane hanno mostrato difficoltà di adattamento e produzione foraggera inferiore o
simile rispetto ai trifogli sotterranei (dati non riportati), soprattutto a Chilivani e Bolotana, in siti
caratterizzati da limitazioni edafiche (suoli poco profondi) e climatiche (maggiore numero di giorni di
gelo). A Chilivani, è risultato un sufficiente ricoprimento nell’anno di insediamento solo per la metà
delle accessioni, probabilmente a causa delle più severe temperature invernali (Tabella 1). A Bolotana
sia l’insediamento che la crescita primaverile sono risultati in generale rilevanti (fatta eccezione per T.
michelianum Paradana). L’insediamento ed il ricoprimento di gran parte delle accessioni è stato
soddisfacente ad Oristano, dove numerose accessioni hanno mostrato ricoprimenti superiori al 60%
anche al secondo anno. A Bolotana e, in misura ancora maggiore, a Chilivani, è stata registrata una
sensibile riduzione della produzione di seme dopo l’anno di insediamento (Tabella 2). Pur con
differenze fra siti e fra annate, T. glanduliferum Prima, T. vesiculosum Cefalù, T. spumosum WCT36 e
T. hirtum Hykon hanno mostrato un buon contributo alla banca del seme. Per alcune accessioni, scarsi
valori di ricoprimento e persistenza sono stati osservati sia pure in presenza di soddisfacenti produzioni
di seme nella precedente primavera, suggerendo che, probabilmente, elevate percentuali di seme duro,
carattere ricercato dai selezionatori australiani (Loi et al., 2005) possono aver influito negativamente sul
reinsediamento autunnale delle plantule.
Conclusioni
I risultati indicano che, se l’obiettivo principale fosse l’insediamento di un pascolo permanente, sarebbe
possibile fare affidamento solo su un numero molto ristretto di leguminose di seconda generazione,
accuratamente scelte in relazione alle specifiche caratteristiche pedo-climatiche di ciascun sito; di
contro, più opzioni sarebbero possibili se l’obiettivo fosse l’inserimento di queste nuove leguminose in
rotazione breve con cereali e foraggere. I risultati indicano inoltre che gli ecotipi locali e/o le varietà di
specie tradizionali da pascolo sono ancora più adatte della gran parte delle leguminose di seconda
generazione di recente commercializzazione. Tuttavia, alcune accessioni potrebbero essere inserite in
miscugli oligofiti da pascolo opportunamente costituiti tenendo conto della elevata variabilità pedoclimatica presente in Sardegna e più in generale nel Bacino Mediterraneo.
107
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1. Ricoprimento (%) delle varietà nel corso della prova nei tre siti sperimentali.
sito
Specie
varietà
B. pelecinus
B. pelecinus
M. polymorpha
O. compressus
O. compressus
O. compressus
O. sativus
O. sativus
T. brachycalycinum
T. glanduliferum
T. hirtum
T. incarnatum
T. michelianum
T. michelianum
T. resupinatum
T. resupinatum
T. resupinatum
T. spumosum
T. subterraneum
T. subterraneum
T. vesiculosum
anno
Casbah
Mauro
Anglona
Avila
Pabarile
Santorini
Cadiz
Marguerita
Funtana Bona
Prima
Hykon
Caprera
Bolta
Paradana
Laser
Nitro Plus
Prolific
WCT36
Campeda
York
Cefalu
CHILIVANI
2004
57
43
48
57
48
26
71
67
2005
de
23
35
bc
cd
21
90
43
23
de
cd
a
e
41
57
e
67
66
e
50
cd
e
2006
a
40
23
bcd
a
20
42
19
19
f
d
a
cd
23
26
e
23
90
a
31
abc
BOLOTANA
f
bc
a
a
c
a
a
a
a
19
38
a
31
ab
bc
2008
26
40
17
40
26
23
26
19
38
23
28
2007
61 b
2008
10 a
ORISTANO
2009
0
2003
49 abcde
62 cdefg
abc
2004
30 abc
79 de
c
96
66
96
c
84
68
bc
b
c
77
27
67
b
67
65
b
a
b
60
38
15
b
48
50
b
ab
a
34
ab
59
bcd
48
50
abcde
58
20
bcd
78
67
65
77
73
51
55
71
74
g
77
90
61
68
78
11
63
85
87
de
47
74
abcd
83
94
de
abcdef
a
a
c
abc
bc
b
b
ab
abc
a
7
a
8
a
0
bc
defg
defg
g
fg
abcdef
bcdefg
efg
g
de
cd
de
de
a
cd
de
de
ab
abc
59
b
13
a
13
a
g
e
Tabella 2. Numero di semi m-2 per le varietà in esame nei tre siti. Le varietà sono state raggruppate sulla base della dimensione del seme.
sito
Specie
CHILIVANI
BOLOTANA
ORISTANO
varietà
anno
Peso 1000 semi < 2 g
B. pelecinus
Casbah
B. pelecinus
Mauro
T. glanduliferum
Prima
T. michelianum
Bolta
T. michelianum
Paradana
T. resupinatum
Nitro Plus
T. resupinatum
Prolific
T. vesiculosum
Cefalu
Peso 1000 semi > 2 g
M. polymorpha
Anglona
O. compressus
Avila
O. compressus
Pabarile
O. compressus
Santorini
O. sativus
Cadiz
O. sativus
Marguerita
T. brachycalycinum
Funtana Bona
T. hirtum
Hykon
T. incarnatum
Caprera
T. spumosum
WCT36
T. subterraneum
Campeda
T. subterraneum
York
2004
2005
2007
35743
89726
24004
18879
62482
17209
2512
5972
4149
60615
3262
3262
2008
ab
11761
2009
2003
a
b
a
44132
ab
20280
a
35740
a
a
b
6126
a
59522
b
49463
a
6728
a
32135
25255
17792
b
29280
7347
7965
b
13809
7334
2200
b
7387
a
1843
a
96640
86772
198063
15715
89654
9357
109678
193527
2004
b
b
c
a
b
a
b
c
35851
112103
47108
59713
20804
78136
89733
169830
ab
bc
ab
ab
a
ab
abc
c
b
ab
ab
a
a
a
a
13994
ab
14492
a
20152
14746
abc
13757
a
147868
24714
62869
c
ab
a
a
2162
a
a
c
a
a
3245
a
1877
a
93164
46083
138831
30330
d
c
e
bc
16462
ab
b
ab
Bibliografia
Loi A. et al., 2005. A second generation of annual pasture legumes and their potential for inclusion in Mediterranean- type
farming systems. In: Australian Journal of Experimental Agriculture, 45, 289-299.
Porqueddu C. and González F., 2006. Role and potential of annual pasture legumes in Mediterranean farming systems.
Pastos, vo. XXXVI (2), 125-142 (Ed. SEEP).
Sulas L., 2005. The future role of forage legumes in the Mediterranean climatic areas. In: S.G. Reynolds and J. Frame
(Eds.) Grasslands: Developments Opportunities Perspectives. Rome, FAO, and New Hampshire, Usa, Science Publishers.
Inc. ISBN 1 – 57808-359-1, 29-54.
108
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Aspetti Produttivi del Girasole da Biomassa in Provincia di
Foggia
Giuseppe Gatta1, Pietro Soldo2, Michele C. lo Storto1, Emanuele Tarantino1
1
Dip. di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa vegetale (Di.S.A.C.D.) Univ. Foggia, IT, [email protected]
2
Consorzio per la Bonifica della Capitanata, IT, [email protected]
Introduzione
Il girasole rappresenta una specie rustica, con un'ottima capacità di crescita e una buona tolleranza alla
siccità; inoltre, il contenuto di olio nella granella costituisce un elemento importante nel caso si ipotizzi
un utilizzo di tale coltura, sotto forma di trinciato, nella filiera della digestione anaerobica per la
produzione di metano (Sarti e Canestrale, 2007). Lo scopo della sperimentazione è stato quello di
valutare, in Capitanata, la possibilità di coltivazione di alcuni ibridi di girasole da biomassa, da destinare
a processi di fermentazione anaerobica.
Metodologia
La prova ha avuto luogo nel 2008 presso tre aziende della Capitanata (Trivisano, Leggieri e Lago Salso)
ed è stata svolta su due ibridi di girasole da biomassa (SW
0411 e SW 6503) prodotti dalla KWS. Le aree di
A
coltivazione prescelte sono state individuate in relazione
all’opportunità di valutare il comportamento produttivo
degli ibridi in ambienti differenti: l'azienda Trivisano è
situata in agro di Foggia, mentre Leggieri e Lago Salso
sono localizzate nell'area pedegarganica, rispettivamente
nel comune di Rignano Garganico e di Manfredonia.
La semina, avvenuta il 28, 29 e 30 di aprile
rispettivamente a Foggia, Rignano Garganico e
Manfredonia, è stata realizzata con una seminatrice di
B
precisione, adottando una distanza tra le file di 0.45 m e
-2
una distanza sulla fila di 0.3 m (7.4 semi m ). Alla coltura
di girasole è stato somministrato un volume stagionale
irriguo fisso, corrispondente a 1.200 m3 ha-1, erogato (per
aspersione) in tre soluzioni di 400 m3 ciascuna: al
momento della semina, subito prima ed immediatamente
dopo la comparsa del bottone fiorale. Per quanto riguarda
le lavorazioni meccaniche del suolo è stata eseguita solo
una ripuntatura e una successiva un’erpicatura superficiale
C
del terreno. In tutte le località, la concimazione è consistita
nella somministrazione, in pre-semina, di 46.0 kg/ha di
P2O5 e 80.0 kg/ha di N. La raccolta, avvenuta mediante
trinciatura, al “viraggio” del colore della calatide,
verificatasi il 23 luglio per la varietà SW 0411 e il 07
agosto per la varietà SW 6503. A fine ciclo delle colture,
su aree di saggio di 4 m2 (2m x 2m), sono stati determinati
i dati di produzione fresca dell’intera pianta e quella
relativa alle sue tre frazioni (foglie, fusto e calatide);
inoltre, sulle piante relative a un metro lineare di fila, è Figura 1. Effetto dell’interazione tra gli ibridi
stata calcolata la percentuale di sostanza secca. Nelle testati (KW 6503 e KW 0411) e le località di
diverse località di prova, è stato applicato un disegno coltivazione del girasole (Foggia, Rignano G.
sperimentale a blocchi randomizzati, con tre repliche. I e Manfredonia) sulla produzione fresca totale
dati produttivi sono stati sottoposti ad analisi statistica (fig. 1-A), su quella relativa al fusto (1-B) e
109
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
secondo la metodologia ANOVA (Analisi della Varianza). Successivamente, si è proceduto alla
discriminazione statistica delle medie impiegando il test di Tukey.
Risultati
L’ANOVA riferita alla produzione fresca, ha evidenziato un’interazione “Ibrido x Località“
statisticamente significativa (risultati non riportati), quindi, si è proceduto a discriminare le medie ad
essa corrispondenti, così come evidenziato nella Figura 1-A. Rignano Garganico è la località in cui si
sono conseguite produzioni di trinciato più elevate; ciò riguarda entrambi gli ibridi ma, più in
particolare, l’ibrido KW 6503 che si distingue, anche se in maniera statisticamente non significativa
dall'ibrido KW 0411, evidenziando una produzione 46.1 t ha-1. L'ibrido KW 6503 ha manifestato una
superiorità produttiva anche nelle località di Foggia e Manfredonia facendo registrare, rispetto al suo
diretto confronto, maggiori incrementi produttivi: 11.9 t ha-1 a Foggia rispetto a 10.5 t ha-1 riscontrati a
Manfredonia. La significatività dell’interazione si giustifica in quanto, con riferimento alla località di
Foggia, l’incremento produttivo del KW 6503 rispetto all’altro ibrido è più consistente se confrontato
all’incremento che si manifesta nelle altre due località. In merito alla produzione fresca delle tre frazioni
della coltura (foglie, fusto e calatide), altamente significativa è risultata l'interazione “Ibrido x Località”
riferita al peso fresco del fusto e delle foglie, mentre per la componente di produzione riferibile alla
calatide, tale interazione è risultata non significativa. In quest'ultimo caso gli ibridi di girasole hanno
differenziato il loro comportamento produttivo: 14.6 e 10.7 t ha-1 rispettivamente per l'ibrido KW 6503 e
KW 0411; mentre, rispetto alle località di coltivazione si sono ottenute 14.4, 12.2 e 11.3 t ha-1 riferite
nell’ordine a Rignano, Manfredonia e Foggia (risultati non riportati). Nella figura 1-B e 1-C sono
evidenziati i valori di produzione fresca del fusto e delle foglie con specifico riferimento all'interazione
“Ibrido x Località”: le produzioni maggiori della componente fusto si sono ottenute a Rignano
Garganico con l'ibrido KW 6503 (22.9 t ha-1), non statisticamente diversa da quelle rilevate, nella stessa
località, con l'ibrido KW 0411 (22.6 t ha-1). La produzione fresca delle foglie più elevata si è riscontrata
con l'ibrido KW 6503 a Manfredonia (8.8 t ha-1) e a Rignano (7.7 t ha-1), quest'ultima non differente da
quella rilevata, per l'ibrido KW 0411, a Rignano G. e Manfredonia. La percentuale di sostanza secca del
trinciato è risultata, in media, pari al 27.8 % per l'ibrido KW 6503 e 26.2 % per l’ibrido KW 0411.
Conclusioni
I valori di biomassa fresca totale più elevati si sono avuti, per entrambi gli ibridi di girasole, a Rignano
Garganico, mentre differenze significative di produzione si sono osservate tra l'ibrido KW 6503 e KW
0411 nelle località di Foggia e Manfredonia. Complessivamente i livelli di produzione rilevati possono
considerarsi interessanti per un possibile utilizzo del girasole da biomassa nelle filiere agro-energetiche
della Capitanata.
Bibliografia
Sarti A. e Canestrale R. 2007- Produzione di biogas: test su mais, girasole e sorgo. Agricoltura, 11:87-89.
Il progetto di ricerca è stato finanziato dalla Regione Puglia nell'ambito delle "Attività dimostrative, assistenza tecnica e
divulgazione" e coordinato dal Consorzio per la Bonifica della Capitanata.
110
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Esperienze di Propagazione della Canna Comune (Arundo
donax L.) per Talea di Fusto in Pieno Campo
Piergiorgio Gherbin1, Angelo Giampaoli2, Mario Bimbatti2, Antonio Sergio De Franchi1,
Anna Rita Rivelli1
1
Dip. Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Univ. Basilicata, IT, [email protected]
2
Powercrop S.r.l., via A. Falk 4/16, 20099 Sesto San Giovanni (MI), IT
Introduzione
La canna comune in ambiente mediterraneo non produce seme, pertanto, ad oggi, può essere propagata
solo per via agamica utilizzando piantine micro propagate, porzioni di rizoma, talee di fusto. Tra queste
modalità, le prospettive più interessanti dal punto di vista dell’economicità dell’impianto sono a carico
delle talee di fusto (Copani et al., 2003). Con il lavoro qui riportato si è voluto approfondire le
conoscenze riguardo le potenzialità di propagazione dell’Arundo donax per talea di fusto in pieno
campo.
Metodologia
La prova è stata realizzata nel 2008 in agro di Pieve Cesato (RA) adottando uno schema distributivo a
parcelle suddivise con 3 repliche, nel quale sono stati studiati gli effetti dell’epoca di impianto (da aprile
a settembre con cadenza mensile) e della porzione di fusto utilizzata come materiale di propagazione
(fusti interi, talee di 2 m e di 1 m di lunghezza) sulla produzione di nuove piante in situ. All’atto
dell’interramento sono stati contati i nodi di ogni porzione di fusto. Successivamente si è provveduto a
garantire una buona disponibilità idrica delle parcelle mediante un impianto di irrigazione localizzata
per un periodo di circa due mesi, al termine del quale per ogni epoca d’impianto sono stati rilevati il
numero di germogli emersi per ogni fila e la distanza dalla base del fusto dei singoli germogli; a fine
stagione, inoltre, è stato rilevato il numero di germogli secondari per ogni germoglio primario emerso
(sinteticamente di seguito definito “accestimento”). I dati relativi al numero di nodi, alla lunghezza degli
internodi ed alla distanza dalla base di ogni germoglio emerso lungo il fusto-madre sono stati elaborati
al fine di evidenziare i caratteri morfologici e la capacità di emissione di germogli da parte di porzioni
di fusto della lunghezza di 100 cm, lunghezza idonea per la meccanizzazione della preparazione e
dell’impianto delle talee.
Risultati
a): I dati rilevati sul totale (324) dei culmi utilizzati hanno mostrato che, in media, il culmo era formato
da 31 nodi progressivamente ravvicinati in senso acropeto, passando da una lunghezza dell’internodo di
circa 16 cm nella sua porzione basale ad una lunghezza dimezzata nel tratto apicale (Tab. 1).
Tabella 1. Numero e percentuale di nodi e loro interdistanza per i tratti di culmo considerati.
Tratto di culmo
(cm)
1 – 100
101 – 200
201 – 300
301 – 400
nodi
(n ± dev.std.)
6.05 ± 1.88
5.54 ± 1.70
7.59 ± 2.06
11.89 ± 2.24
nodi
(%)
19.3 C
18.1 C
24.3 B
38.3 A
distanza tra i nodi
(cm ± dev.std.)
15.63 ± 5.65
16.75 ± 4.87
12.13 ± 3.63
7.41 ± 1.45
Somma
31.07 ± 5.89
---
---
A lettere diverse corrispondono valori diversi per P ≤ 0.01 secondo il test di Duncan
b): Sia il numero di nodi interrati che hanno prodotto un germoglio emerso, sia l’entità
dell’accestimento sono stati influenzati solo dall’epoca d’impianto e non dalla lunghezza della
111
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
talea. In particolare, si è registrato un andamento della percentuale di nodi con germoglio,
crescente nel periodo aprile-luglio, epoca, quest’ultima, in cui è stato osservato il valore massimo
di circa il 22%, e successivamente decrescente. Le talee impiantate in settembre non hanno
prodotto alcun germoglio.
L’accestimento ha mostrato valori decrescenti nel corso della stagione, mostrando la massima
potenzialità di propagazione in corrispondenza dell’impianto effettuato in epoca estiva (Tab. 2).
Tabella 2. Influenza dell’epoca di impianto su percentuale di nodi con germoglio, numero di culmi per nodo e numero
complessivo di nuovi culmi per culmo impiantato.
nodi con germoglio
accestimento
(%)
(n culmi / nodo)
28 – 4
4.37 C
10.50 A
28 – 5
10.67 B
6.14 C
20 – 6
11.04 B
8.10 B
18 – 7
22.19 A
6.54 BC
22 – 8
15.09 B
2.29 D
24 – 9
0
0
A lettere diverse corrispondono valori diversi per P ≤ 0.01 secondo il test di Duncan
Epoca d’impianto
nuovi culmi
(n / culmo)
14.26 C
20.35 B
27.78 B
45.09 A
10.74 B
0
c): L’analisi statistica ha evidenziato la significatività dell’interazione tra epoca d’impianto e
tratto di fusto-madre sulla percentuale di nodi con germoglio emerso. Peraltro, dal punto di vista
pratico-applicativo, è da notare come l’andamento dei dati lasci intravvedere, progressivamente nel
tempo, una risposta tendenzialmente meno favorevole del tratto 0-100 cm dalla base e, per contro,
una risposta migliore a carico del tratto apicale (301-400 cm dalla base), mentre i tratti centrali
(101-200 e 201-300), al di là dei dati ottenuti per l’epoca d’impianto più precoce, non sono
risultati diversi tra loro (Tab. 3).
Tabella 3. Influenza dell’epoca di impianto e del tratto di culmo considerato sulla percentuale di nodi con germoglio.
Tratto di culmo (cm dalla base)
0-100
101-200
201-300
28 – 4
23.2 BCD
63.2 A
11.0 DE
28 – 5
34.1 BC
25.5 BC
23.9 BC
20 – 6
16.7 BCD
18.6 BCD
26.6 BC
18 – 7
16.1 BCD
29.2 BC
34.9 BC
22 – 8
14.3 CD
27.9 BC
27.6 BC
24 – 9
0
0
0
A lettere diverse corrispondono valori diversi per P ≤ 0.01 secondo il test di Duncan
Epoca d’impianto
301-400
2.8 E
16.6 CD
38.2 B
19.8 BCD
30.2 BC
0
Conclusioni
La germogliazione delle gemme caulinari ha sortito i risultati migliori con l’impianto di piena estate,
mentre non sono emerse differenze a carico sia della diversa lunghezza, sia della porzione di fusto
(basale, mediana, apicale) utilizzata come talea. La formazione di culmi secondari è risultata
decrescente con l’avanzare dell’epoca di impianto.
Bibliografia
Copani V. et al. 2003. Validità di differenti metodi di propagazione per l’impianto di una coltura di canna comune (Arundo
donax L.). XXXV Conv. SIA, Portici (NA), 163-164.
112
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Esperienze di Propagazione della Canna Comune (Arundo
donax L.) per Talea di Fusto in Ambiente Protetto
Piergiorgio Gherbin1, Angelo Giampaoli2, Mario Bimbatti2, Antonio Sergio De Franchi1,
Anna Rita Rivelli1
1
Dip. Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Univ. Basilicata, IT, [email protected]
2
Powercrop S.r.l., via A. Falk 4/16, 20099 Sesto San Giovanni (MI), IT
Introduzione
La tecnica della moltiplicazione dell’Arundo donax per talea di fusto trova nella recente letteratura scientifica
limitati riscontri bibliografici (Gherbin et al., 2005; Copani et al., 2008; Cosentino et al., 2009). Ciò in
considerazione del fatto che la gran parte delle esperienze di coltivazione hanno previsto l’uso, come
materiale di propagazione, di porzioni di rizoma, e che larga parte della letteratura scientifica vede la canna
esclusivamente come specie infestante. Gli studi di seguito descritti hanno come obiettivo una migliore
conoscenza della risposta vegetativa della specie al fine della sua propagazione per talea.
Metodologia
Le prove sono state condotte nel 2006-07 presso l’azienda Spada (Brisighella, RA) in serra-tunnel
climatizzata, utilizzando come materiale di propagazione talee monogemma provenienti da un ecotipo
locale. Adottando per tutte le prove uno schema distributivo a blocchi randomizzati con 4 repliche, è
stata studiata l’influenza sulla germogliazione e sulla radicazione di: a) 8 diversi prodotti stimolanti la
radicazione (tab.1), b) posizione della gemma sul fusto, c) diversa lunghezza della talea.
a): i trattamenti sono stati realizzati mediante immersione delle talee in soluzione acquosa (Tab.1) per
24 ore e successivo impianto in contenitori con terriccio universale. b): sono state utilizzate talee
identificate in senso acropeto lungo il fusto-madre e messe a dimora come in a). c): sono state utilizzate
talee provenienti dalla sola parte centrale del fusto ma di lunghezza diversa e impiantate sia
orizzontalmente che verticalmente nel substrato di radicazione.
Tabella 1. Tesi a confronto
1
2
3
4
5
6
Nome
commerciale
Naftal
Germon 0,5%
Germon 0,75%
66 F
IBA
Kendal
7
Radifarm
8
9
Cytokin
Testimone
Tesi
Principio attivo
[p.a.]
Formulato
acido α-naftilacetico (NAA)
derivato amidico dell’NAA
derivato amidico dell’NAA
estratti vegetali, derivati glucosidici, vitamine B, NAA, microel.
acido indolbutirrico (IBA)
N organico ed ureico, K solubile, sostanza organica
polisaccaridi, polipeptidi, aminoacidi, vitamine, chelati di Fe e
Zn
citochinine naturali
----
10 ‰
20 ‰
20 ‰
0.3 ‰
2‰
liquido
polvere
polvere
liquido
polvere
liquido
2.5 ‰
liquido
3‰
---
liquido
---
Risultati
a): La germogliazione è risultata più rapida e superiore al 75 % per i trattamenti con gli stimolanti
4,6,7,8 e per il testimone, mentre i trattamenti con NAA ed IBA hanno evidenziato una germogliazione
inferiore e scalare (Fig. 1). Peraltro, all’elevato tasso di germogliazione non ha fatto riscontro
un’adeguata radicazione delle talee, risultata in media di circa l’8% (Fig. 2).
b): La germogliazione è stata pronta e di entità mediamente superiore all’80% ed ha evidenziato un
andamento parabolico con un valore massimo del 97% per le talee provenienti dalla parte centrale del
113
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
fusto e valori minimi per quelle provenienti dalla base e dall’apice; la radicazione ha, invece,
evidenziato un andamento a campana con valori prossimi allo zero per le gemme poste ai due estremi
del fusto ed un valore massimo del 26% in corrispondenza della 15a gemma (Fig. 3).
c): Le talee più lunghe e la posizione orizzontale hanno mostrato un tasso di germogliazione superiore a
quelle corte e alla posizione verticale, con valori medi dell’86% e 67% rispettivamente (Fig. 4).
germogliazione (%)
100
6
8
4
9
7
5
2
3
1
80
60
non germ ogliate
m orte
ingiallite
germ ogliate non radicate
germ ogliate e radicate
%
100
80
60
40
40
20
20
0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
0
giorni dal trapianto
1
2
3
4
5
6
7
8
9
trattam enti stim olanti
Figura 1. Influenza dei trattamenti stimolanti
sull’evoluzione temporale della germogliazione.
Figura 2. Influenza dei trattamenti stimolanti su
germogliazione, radicazione e vitalità delle talea.
non germogliate
germogliate non radicate
germogliate e radicate
100
80
60
germogliazione / radicazione (%)
radicazione / germogliazione (%)
100
germogliazione
radicazione
40
20
0
5
10
15
20
25
30
n. gemma
Figura 3. Influenza della posizione della gemma lungo il
fusto sulla germogliazione e radicazione.
C
lunghe
orizzontali
lunghe
verticali
B
BC
corte
orizzontali
corte
verticali
80
60
40
20
0
0
A
Figura 4. Influenza della lunghezza e posizione di talee
monogemma su germogliazione e radicazione.
Conclusioni
Alcuni prodotti stimolanti la radicazione a base di estratti diversi, il posizionamento in orizzontale delle
talee nel substrato ed il prelievo delle talee dal tratto centrale del fusto hanno mostrato effetti positivi
sulla germogliazione delle gemme, con valori compresi fra l’80 ed il 100%, mentre la radicazione delle
stesse è risultata di gran lunga inferiore e favorita dall’impianto in orizzontale di talee monogemma
lunghe provenienti dalla parte centrale del fusto-madre.
Bibliografia
Copani V. et al. 2008. Propagation of Arundo donax L. by means of rhizome and stem cuttings. Ital. J. Agron., 3 suppl., 511-512.
Cosentino S. et al. 2009. La propagazione della canna comune (Arundo donax L.) mediante talee di culmo. Ital. J. Agron., 4
suppl.,875-879.
Gherbin P. et al. 2005. Esperienze sulla propagazione della canna comune (Arundo donax L.). Atti XXXVI Conv. SIA, 262-2
114
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tecniche di Risparmio Idrico nella Coltivazione del
Pomodoro da Industria
Marcella Michela Giuliani, Eugenio Nardella, Antonio De Caro
Dip. di Scienze Agro-ambientali, Chimica e Difesa vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
La Capitanata è un territorio fortemente vocato alla produzione del pomodoro da industria la cui
coltivazione non può prescindere dall’irrigazione. Spesso tale pratica è però condotta in modo empirico
con conseguenti sprechi idrici per evitare i quali si potrebbe ricorrere a strategie come la corretta
programmazione irrigua e l’utilizzo di tecniche di irrigazione deficitaria sottoforma sia di “deficit
irrigation” (DI) che di “partial root-zone drying” (PRD) (Giuliani et al., 2009; Nardella et al., 2009). La
presente prova, realizzata nell’ambito del progetto OIGA destinato ai giovani imprenditori agricoli e
finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha inteso valutare i principali
aspetti quantitativi del pomodoro da industria irrigato con differenti criteri (empirico e mediante
programmazione irrigua) e diverse strategie di risparmio idrico (DI e PRD).
Metodologia
La prova è stata condotta nell’annata agraria 2009 presso l’azienda agricola “Costanzo Mogavero”, sita
in agro di Foggia, su un terreno prevalentemente argilloso (USDA). L’ibrido Genius (ISI Sementi
S.p.A.) è stato irrigato: a) in maniera “tradizionale” (TRAD: gestione empirica dell’imprenditore); b)
secondo i criteri della programmazione irrigua utilizzando tre regimi “fissi” (100%, 60% e 0%
dell’evapotraspirazione massima colturale - ETc) ed un regime “variabile”. Quest’ultimo prevedeva la
restituzione del 60-80-60% dell’ETc, rispettivamente, dall’attecchimento alla formazione dei primi
palchi fiorali (F1), dalla formazione dei primi palchi fiorali all’invaiatura delle bacche degli stessi (F2) e
dall’invaiatura delle bacche dei primi palchi alla raccolta (F3). I regimi 60% e 60-80-60% sono stati,
inoltre, duplicati per confrontare la strategia DI con quella PRD. Per la programmazione irrigua si è
ricorsi al metodo del bilancio idrico con soglia di intervento irriguo fissata all’esaurimento del 40%
dell’acqua disponibile. Il calcolo dell’ETc è stato effettuato con il criterio “two steps approach”:
evapotraspirazione di riferimento (ET0) x coefficiente colturale (Kc). L’ET0 è stata calcolata secondo il
modello Penman-Monteith utilizzando variabili meteorologiche rilevate mediante una locale stazione
meteorologica (Consorzio di Difesa delle Produzioni Intensive, Foggia). Il trapianto, a file binate, è
stato eseguito il 12 maggio. L’irrigazione è stata effettuata con il metodo a goccia. Per poter adattare il
PRD alle nostre condizioni di trapianto si è ideato un impianto la cui descrizione è riportata in Giuliani
et al. (2009) e Nardella et al. (2009). Le tesi sono state disposte secondo uno schema sperimentale a
blocchi randomizzati con quattro repliche. Alla raccolta (17 agosto) è stata valutata la produzione
commerciabile e sono stati calcolati l’efficienza d’uso dell’acqua (WUE: produzione commerciabile /
acqua ricevuta dalle piante) e il coefficiente di risposta produttiva all’acqua (ky) tramite la seguente
formula (Stewart et al., 1977):
ky = Y/Ym = 1 - ky (1 - ETa/ETm)
dove: Y = produzione attesa con l’applicazione dello stress (kg ha-1); Ym = produzione massima (kg ha1
); ETa = evapotraspirazione reale (m3 ha-1); ETm = evapotraspirazione massima (m3 ha-1).
Risultati
In Tabella 1 sono
ripor-tati i volumi di
acqua erogati durante l’intero ciclo
coltu-rale, divisi per
fasi. Come si può
notare
con
Tabella 1. Volumi di acqua forniti nelle diverse fasi del ciclo del pomodoro.
12/5-20/5
21/5-9/6
10/6-12/7
13/7-17/8
Fase
Durata
fase (gg)
Pioggia
(mm)
Attecch.
F1
F2
F3
9
19
33
36
2.8
14
67.2
0
13.8
71
249
281.7
13.8
97.9
173.6
244.8
13.8
57.3
138.3
153.1
13.8
57.3
102.8
153.1
13
12.5
8
4.8
Totale
97
84
615.5
530.1
362.5
327
38.3
TRAD
Volumi irrigui (mm)
Volumi
60-80-60
60
fertirrig.
100
(DI - PRD) (DI - PRD)
(mm)
115
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
1-(ET ETc-1)
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
0
y = 0,9547x
0,2
0,4
ky < 1
0,6
ky > 1
0,8
ky = 1
1
1-(Y Ym-1 )
1
0,8
0,61-(ET
ETc-1)
0,4
0,2
0
0
y = 0,964x
0,2
0,4
ky < 1
1-(Y Ym-1)
l’irrigazione TRAD il consumo totale di acqua è stato
pari a 615.5 mm, mentre con l’uso della
programmazione irrigua, relativamente alla tesi 100%
ETc, si sono distribuiti 530.1 mm con un risparmio
della risorsa idrica di circa il 16%. Considerando le
diverse fasi, a fronte di una fase F1 in cui il regime
TRAD ha fatto risparmiare 27 mm rispetto al 100%
ETc, in F2 e F3 i volumi somministrati con il metodo
TRAD sono aumentati, soprattutto in F2 quando con
la tesi TRAD sono stati distribuiti 75.4 mm in più in
confronto alla tesi 100% ETc. In Tabella 2 sono
riportati i valori di produzione commerciabile e WUE
ottenuti tra le diverse tesi. Come si può osservare il
valore più alto si è ottenuto con la tesi TRAD che
però ha prodotto solo un 5% in più rispetto alla tesi
100% ETc. Di particolare importanza è anche il trend
registratosi per la WUE in cui si evidenzia il valore
leggermente più elevato per la tesi 100% ETc rispetto
alla tesi TRAD. Relativamente ai ky, si sono ottenuti
valori minori dell’unità (Fig. 1) ad evidenziare quindi
che, nel pomodoro da industria coltivato in
Capitanata, è possibile praticare l’irrigazione
deficitaria, sia sottoforma di DI che di PRD.
0,6
ky > 1
ky = 1
0,8
1
Figura 1. Valori di ky ottenuti con DI (in alto) e PRD
(in basso).
Tabella 2. Effetto del regime irriguo su produzione commerciabile
e WUE.
Regime Idrico (% ETc)
TRAD
100
60-80-60DI
60-80-60PRD
60DI
60PRD
0
Produz. comm. (t ha-1)
88.71 A
84.41 A
57.31 B
57.98 B
56.68 B
51.26 B
25.10 C
WUE (kg m-3)
12.24 B
12.94 B
11.82 B
11.96 B
12.61 B
11.41 B
22.65 A
Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti per P≤0,01,
secondo il test di Tukey.
Conclusioni
Alla luce di quanto detto è possibile trarre alcune considerazioni conclusive:
• la tesi 100% ETc, a fronte di un calo produttivo del solo 5%, ha garantito un risparmio idrico
del 16%, rispetto al regime TRAD: ciò a dimostrare una maggiore efficienza raggiunta con il
criterio di programmazione irrigua in confronto al metodo empirico;
• i valori di coefficiente di risposta produttiva all’acqua (ky) di poco inferiori all’unità denotano
la fattibilità di irrigazioni deficitarie DI e PRD: tuttavia è bene precisare, data l’estrema
vicinanza dei suddetti valori all’unità, che pratiche di stress idrico in pomodoro vanno eseguite
con molta attenzione e preferibilmente solo nelle fasi più tolleranti alla carenza idrica.
Bibliografia
Giuliani M.M. et al. 2009. Tecniche di risparmio idrico nella coltivazione del pomodoro da industria: aspetti fisiologici e
produttivi. Atti XXXVIII Convegno SIA, 121-122.
Nardella E. et al. 2009. Effects of conventional deficit irrigation and partial root-zone drying practices on “yield response
factor” (ky) of processing tomato grown in Southern Italy. Proceedings of the Farming Systems Design International
Symposium, 197-198.
Stewart J.I. et al. 1977. Determination and utilization of water production functions for principal Californian crops. W-67
California Contributing Project Report. Davis, USA, University of California.
116
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Colza e Brassicaceae minori negli ambienti meridionali:
potenzialità produttive ed effetti nematocidi
Francesco Grassi1, Marcello Scarcella1, Pasquale Campi2, A. Domenico Palumbo2, Maria
Pia Argentieri3
1
2
CRA-CAR, Unità di ricerca per l’individuazione e lo studio di colture ad alto reddito in ambiente caldo-arido, Lecce
CRA-SCA, Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi, Bari; e-mail: [email protected]
3
Facoltà di Farmacia, Dipartimento Farmaco-Chimico, Bari; e-mail: [email protected]
Introduzione
I processi di estensivazione e di intensificazione colturale hanno accresciuto l’interesse per il colza e
altre Brassicaceae minori anche nelle regioni a clima caldo-arido. Qui il colza rientra nei sistemi
colturali estensivi, agevolato dalle attuali politiche comunitarie, ma anche in quelli intensivi, in virtù
delle sue potenzialità nematocide. In Puglia è stata realizzata una sperimentazione pluriennale per
studiare la duplice attitudine delle Brassicaceae, quale granella e potere biocida della biomassa
sovesciata. In particolare lo studio è volto ad evidenziare le cultivar che meglio si adattano all’ambiente
sia in termini di produzione in seme che di contenuto in glucosinolati (GLS, metaboliti secondari
solforati di natura aminoacidica responsabili del caratteristico sapore ed odore e dell’attività biocida.
Metodologia
Lo studio è stato condotto in due località (in provincia di Bari e di Lecce) secondo le consuete prassi
agronomiche utilizzate per i confronti varietali e per valutare la risposta della coltura alla concimazione
azotata e alla densità d’impianto.
Risultati
Le prove agronomiche condotte in provincia di Bari hanno evidenziato che, tra 22 cultivar di colza (14
di Brassica napus e 8 di B. carinata Braun), quelle di B. napus var. oleifera Metzg mostrano un’ottima
omogeneità sia in termini di emergenza che di accrescimento. Stabilita la superiorità di B. napus, è stata
valutata la sua risposta produttiva in funzione della quantità di fertilizzante azotato (50, 100, 15O, 200
kg ha-1 di azoto minerale) e della densità di semina (50 e 100 semi m-2), per due ibridi contrastanti per la
taglia (NK Formula: taglia normale; Avenir: semi-dwarf).
Dall’analisi statistica risulta che,
Tabella 1. Risultati produttivi per due varietà
passando da una densità di 50 a
Produzione di seme
Olio
100 semi m-2, non si registrano
ibridi
al 9% di umidità (t/ha)
contenuto (%)
resa (t/ha)
incrementi di resa significativi,
Avenir
1.39
42.8 b
0.77 b
nemmeno in interazione con le
NK Formula
1.53
44.6 a
0.81 a
dosi
di
fertilizzante.
La
produzione in seme non si differenzia statisticamente, mentre significativamente superiore è risultato il
contenuto in olio e la resa con l’ibrido NK Formula (tab. 1).
Circa gli apporti in azoto (tab. 2), le dosi superiori a 150 kg ha-1 non sono convenienti perché
aumentano i rischi di allettamento, determinano una riduzione nel tenore in olio nei semi senza ottenere
incrementi di resa significativi.
Tabella 2. Effetti della concimazione azotata su produzione e resa in olio
Nella prospettiva di ridurre l’impiego
Olio
Azoto
Produzione di seme
di prodotti fitosanitari di sintesi nei
(kg/ha)
al 9% di umidità (t/ha)
contenuto (%)
resa (t/ha)
sistemi colturali intensivi è stato
0
0.63 d
44.89 b
0.26 d
valutato il contenuto in GLS nelle
50
1.13 c
46.05 a
0.47 c
Brassicaceae con attività nematocida.
100
1.66 b
42.63 c
0.65 ab
In agro di Lecce sono state oggetto di
150
2.00 a
38.97 d
0.71 a
confronto 2 cv. di Raphanus sativus L.
200
1.88 ab
35.78 e
0.61 b
var. oleifera (Karakter e Colonel), 1 cv.
117
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
di B. juncea Czern et Coss (Scala), 1 cv. di Sinapis alba L (Emergo), 1 cv. di B. napus (Ercules), 1 cv.
di B. carinata (Karina) e 2 miscugli precostituiti:
- Terra Protect: B. juncea (cv Energy 65%) e Sinapis alba (cv. Concerta 35%);
- BQ Mulch: B. napus (cv. Striker 70%) B. napus (cv. Vulcan 30%).
50
Raphanus sativus
Brassica
Sinapis
Miscugli
3
Raphanus sativus
Brassica
Sinapis
Miscugli
Diserbanti
40
2
t/ha
30
20
1
Figura 1. Biomassa sovesciata (t/ha di sostanza fresca)
Tabella 3. Contenuto in GLS (μmol/g sostanza secca ± SD)
Glucosinolati
S. alba
Epiprogoitrina
1.17 ±0.12
Sinalbina
19.09 ±0.20
GlucoTropaeolina
3.26 ±0.15
Sinigrina
GlucoBrassicina
Deidroerucina
GlucoNasturtina
0.03 ±0.01
GlucoRafenina
GlucoRafanina
-
Controllo
Oxamyl
Fenamifos
BQ Mulch
Terra protect
S. alba
B. napus
B. carinata
B. juncea
cv Colonel
BQ Mulch
Terra protect
S. alba
B. carinata
B. napus
B. juncea
cv Colonel
0
cv Karakter
0
cv Karakter
10
Figura 2. Indice medio di infestazione (Lamberti, 1971)
B. juncea
31.25 ±1.14
-
R. sativus
3.19 ±0.25
1.85 ±0.16
51.53 ±2.14
1.50 ±0.11
In una coltura di tabacco allevata in terreno infestato da Meloidogyne incognita (nematode galligeno),
sono stati messi a confronto gli effetti nematocidi derivanti dalla biomassa fresca di Brassicaceae (in
purezza o diversi nei due miscugli) e da 2 principi attivi (oxamyl e fenamifos), oltre al controllo senza
alcun trattamento nematocide. L’interramento della biomassa è avvenuto quando le Brassicaceae erano
in fioritura incipiente e 30 giorni dopo il sovescio biocida è stato trapiantato il tabacco.
Il maggior quantitativo di sostanza fresca (fig.1) è stato ottenuto dalle due varietà di Raphanus sativus
coltivate in purezza e dal miscuglio composto da Sinapis alba + Brassica juncea (Terra Protect). Le
percentuali di infestanti sul totale della biomassa da interrare erano molto basse. L’indice medio di
infestazione (Lamberti, 1971) su radici di tabacco è stato più elevato per controllo e più basso in terreno
ammendato con B. Juncea e con S. alba (fig. 2). Le analisi chimiche (tab. 3) confermano che il basso
indice di infestazione su tabacco trattato in precedenza con R. sativus è dovuto sia alla maggiore
quantità di biomassa interrata, che ad più alto contenuto di GLS.
Conclusioni
I risultati dimostrano che le Brassicaceae trovano facile impiego negli ambienti meridionali come
coltura oleaginosa (in avvicendamento ai cereali a semina autunnale), ma anche come coltura
intercalare in ordinamenti colturali intensivi, dove hanno dimostrato una valida capacità nematocida.
Bibliografia:
Potter M.J. et. al 1998. Suppressive impact of glucosinolates in Brassica vegetative tissues on root lesion nematode
Pratylenchus neglectus. Journal of Chemical Ecology, 1998, 24, 67-80.
Sarwar, M., et. al. 1998. Biofumigation potential of brassicas. III. In vitro toxicity of isothiocyanates to soil-borne fungal
pathogens. Plant and Soil, 1998, 201, 103-112.
118
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione di Varietà Australiane di Leguminose Annuali
Autoriseminanti
Fabio Gresta, Rosalena Tuttobene, Orazio Sortino, Valerio Abbate
Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Univ. Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Le leguminose autoriseminanti da alcuni anni sono state oggetto di interesse da parte della Sezione di
Scienze Agronomiche del DACPA che ha proceduto nei riposi pascolativi dell’altopiano ibleo ad una
loro ampia collezione e ad una preliminare valutazione di numerose popolazioni appartenenti,
soprattutto, ai generi Medicago e Trifolium (Tuttobene et al. 2008, Gresta et al. 2010). In Australia il
trifoglio sotterraneo e le mediche annuali sono state utilizzate con successo da 50 anni; negli ultimi
quindici anni, anche al fine di evitare i danni provocati alla fertilità del suolo dalla raccolta del seme di
T. sotterraneo mediante macchine ispiratrici e l’onerosità della sgusciatura nelle mediche, sono state
domesticate nuove specie di leguminose annue da pascolo (biserrula e serradella) ed altri trifogli (T.
glanduliferum, T. michelianum, T. spumosum, T. vesiculosum e T. dasyurum). Questi ultimi si
caratterizzano per persistenza nel tempo, tolleranza ad acidità e aridità e facilità di raccolta rispetto al
trifoglio sotterraneo ed alle mediche annuali (Loi et al., 2005).
Scopo del presente lavoro è stato la valutazione morfo-bio-agronomica di cv australiane di 4 specie
foraggere di origine mediterranea per verificarne l’adattabilità a condizioni pedoclimatiche differenti
rispetto a quelle per le quali sono state selezionate.
Metodologia
La prova è stata realizzata nella Piana di Catania (Primosole) (10 m s.l.m.) su un terreno argilloso a
reazione sub-alcalina. In un disegno sperimentale a split plot con tre repliche e parcelle di 6 m2 (3 x 2
m), sono stati posti allo studio: 5 specie leguminose (Medicago polymorfa cv. Anglona, Trifolium
glanduliferum cv. Prima Trifolium hirtum ecotipo, Trifolium resupinatum cv. Prolific, Trifolium
subterraneum cv. Antas) e 2 trattamenti di inoculazione (inoculato e non inoculato) con un inoculo
australiano. Le semine sono state eseguite nel novembre del 2005 con 600 p m-2. Sono stati rilevati i
seguenti caratteri: numero di piante emerse (su 100 cm2), date delle principali fasi fenologiche,
produzione di biomassa all’inizio fioritura (t ha-1) e, su 5 piante per parcella, statura della pianta (cm) in
tre date successive a partire dall’inizio della fioritura, peso delle radici (t ha-1), numero e peso dei noduli
(g x pianta-1). I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza a due vie (specie x trattamento) e in
presenza di significatività è stato adottato il test Tukey HSD. Non avendo l’inoculo manifestato effetti
significativi, in quanto in tutte si è avuta nodulazione, vengono di seguito riportati i dati mediati.
Risultati
L’analisi della varianza ha mostrato la significatività solo del fattore varietà. Tutti i tipi allo studio
hanno raggiunto un grado di copertura soddisfacente compreso tra 72.5% della Medicago e 100% del T.
hirtum e T. sotterranuem (Tab. 1). La fioritura ha avuto inizio il 13 aprile per tutti i tipi, eccezion fatta
per la Medicago che è fiorita a fine marzo e per il T. glanduliferum che è fiorito il 5 aprile. L’altezza più
elevata è stata accertata su M. polymorpha e T. subterraneum che hanno raggiunto entrambi una statura
pari in media a 41.5 cm, superiore rispetto agli altri tipi (Fig. 1). Il T. subterraneum è risultata la specie
più produttiva facendo registrare una resa di 3.55 t ha-1 di sostanza secca (Fig. 2); gli altri tipi hanno
offerto una produzione di biomassa media di poco superiore ad una tonnellata (1.17 t ha-1). In
particolare il T. glanduliferum e il T. hirtum, con 1.59 e 1.12 t ha-1 rispettivamente, hanno fatto
registrare un livello produttivo decisamente inferiore a quello osservato in prove condotte a Perth
(Australia), con gli stessi tipi e pari densità di semina, su terreno a pH 5 ben drenato, un po’ argilloso (T.
hirtum 7.8 t ha-1e T. glanduliferum 5.2 t ha-1 – Loi, dati non pubblicati). Con riferimento alla frazione
ipogea si sono distinti la Medicago e T. subterraneum: la prima ha fatto rilevare la biomassa più elevata
(1.31 t ha-1) nonché superiore a quella epigea ed un lunghezza della radice non differente rispetto al
119
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
secondo (13 cm in media); il T subterraneum si è distinto oltre che per lunghezza della radice per il più
elevato numero di noduli per pianta (3.73) oltre che per il loro peso (9.78 g m-2). T. glanduliferum ha
presentato i più bassi valori di numero di noduli per pianta (1.65) e assieme al T. hirtum, il più basso
peso dei noduli (2.12 g m-2 nella media).
Fig. 2. Resa in biomassa secca (t ha-1)
Fig. 1. Altezza delle piante (cm)
Tab. 1. Principali caratteristiche delle specie allo studio
Copertura
peso rad.
lungh. rad.
peso nod.
N. noduli
%
t/ha
cm
g/m2
pianta
T. glanduliferum
75
0.62 b
8.68 b
2.13 d
1.65 c
T. subterraneum
100
0.58 b
13.36 a
9.78 a
3.76 a
M. polimorpha
72.5
1.31 a
12.65 a
4.56 c
3.00 b
T. hirtum
100
0.39 c
8.75 b
2.11 d
2.60 bc
T. resupinatum
75
0.55 b
9.50 b
7.25 b
3.05 b
Specie
Conclusioni
Il trifoglio sotterraneo è risultata ampiamente la specie più produttiva grazie alla elevata capacità di
insediamento che ha determinato una copertura molto elevata. I risultati ottenuti con gli altri tipi non
consentono di individuare una specie che possa costituire una valida alternativa al sotterraneo per gli
ambienti in cui si è operato, presumibilmente a causa della limitata adattabilità di questi tipi ai terreni
alcalino-argillosi. L’inoculazione non ha avuto effetti significativi sui caratteri studiati probabilmente
perché nei nostri ambienti sono già presenti ceppi rizobici compatibili come dimostrato dalla presenza
di noduli anche nelle parcelle non inoculate.
Bibliografia
Gresta F. et al. 2010. Caratterizzazione bio-agronomica di popolazioni di Medicago spp. Atti dell'VIII Congresso
Nazionale sulla Biodiversità - risorsa per sistemi multifunzionali" Lecce 21-23 aprile 2008, pg. 219-221.
Loi A. et al. 2005. A second generation of annual pasture legumes and their potential for inclusion in Mediterranean-type
farming systems. Australian Journal of Experimental Agriculture, 45: 289-299.
Tuttobene R. et al. 2008. Characterization of native population of Trifolium spp. Options méditerranéennes. Série A:
séminaires méditerranéens, 79: 395-398.
120
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti dei Concimi Organo-Minerali sulle Caratteristiche
della Produzione della Patata in Ciclo Estivo-Autunnale
Anita Ierna, Maria Grazia Melilli, Salvatore Scandurra
CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Nella patata extrastagionale sia in ciclo vernino-primaverile (patata “primaticcia”) che in ciclo estivoautunnale (patata “bisestile”) l’elevato valore commerciale del prodotto induce gli agricoltori ad
eccedere nei quantitativi di concimi minerali apportati, soprattutto di quelli azotati. Le elevate dosi di
azoto somministrate, tuttavia, hanno mostrato un’efficacia molto modesta ai fini produttivi, ma hanno
incrementato in misura significativa il contenuto in nitrati dei tuberi (Ierna et al, 2005; Ierna, 2007). Alla
luce di ciò sarebbe auspicabile l’utilizzazione di dosi e forme di concime compatibili con la capacità
produttiva della coltura e rispettosi nel contempo della salute del consumatore. In tal senso la diffusione
negli ultimi anni sul mercato di un’ampia gamma di concimi organo-minerali (definiti dalla Legge 19
ottobre 1984 n° 748 “Nuove norme per la Disciplina dei fertilizzanti” come prodotti ottenuti per
reazione o miscela di uno o più concimi organici con uno o più concimi minerali semplici oppure
composti) sembrerebbe aprire nuove prospettive.
L’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare gli effetti determinati dalla somministrazione di
differenti modalità di concimazione sulla produzione areica e su alcune caratteristiche di qualità dei
tuberi in ciclo estivo-autunnale.
Metodologia
Le prove sono state realizzate presso il campo sperimentale di Cassibile (Siracusa), in un’area altamente
rappresentativa della pataticoltura extrastagionale in Sicilia. Utilizzando la cultivar “Marabel”,
largamente diffusa in Sicilia, sono stati posti allo studio, a confronto con un testimone non concimato
gli effetti, a parità di unità fertilizzanti (100, 40 e 200 di kg ha-1 di N, P2O5 e K2O corrispondenti alle
asportazioni rilevate in un precedente studio (Mauromicale e Ierna, 1999), di differenti modalità di
concimazione (Tab. 1).
Tab. 1 – Tesi di concimazione allo studio
Tesi
C0 - Nessuna (testimone)
C1 - Minerale
C2 - Minerale + Organo-minerale (Azotop)
C3 - Organo- minerale (Fertil MBS)
Epoca di somministrazione
P2O5 e K2O all’impianto, N in copertura
P2O5 e K2O all’impianto, N in copertura
N, P2O5 e K2O all’impianto
Sono stati impiegati i concimi organo-minerali Azotop (in copertura) e Fertil MBS (all’impianto della
coltura) forniti dalla SCAM srl, i concimi minerali perfosfato minerale e solfato di potassio all’impianto
e nitrato ammonico in copertura.
E’ stato utilizzato un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 3 ripetizioni; la parcella
elementare era di 9 m2 e comprendeva 48 piante. La “semina” è stata effettuata il 7 settembre 2008
utilizzando tuberi interi posti a 0.25 m su solchi distanti 0.75 m. L’investimento unitario corrispondente
è stato, pertanto, di 5.33 piante m-2. L’irrigazione è stata realizzata restituendo il 100% dell’ETc.
Alla raccolta dei tuberi, effettuata a circa 100 giorni dalla “semina”, sono stati rilevati il numero e il
peso dei tuberi distinti nelle classi di calibro: <40 mm, 40-75 mm, >75 mm; i tuberi malformati,
inverditi, spaccati sono stati considerati di scarto. Su un campione rappresentativo di tuberi
commerciabili (diametro 40-75 mm) è stato determinato il contenuto in sostanza secca in stufa
termoventilata a 65 °C fino a peso costante (AOAC, 2008), il contenuto in acido ascorbico (AOAC,
2008) e il contenuto in fenoli totali per via spettrofotometrica con il metodo Folin-Ciocolteau (Slinkard
e Singleton, 1997).
121
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza e le medie confrontate con la minima differenza
significativa (MDS). I valori percentuali sono stati trasformati prima dell’analisi della varianza in valori
angolari mediante la formula di Bliss arcsen√%. Il decorso termopluviometrico durante lo svolgimento
della prova è stato conforme a quello ordinario ed ha consentito una regolare emergenza della coltura.
Risultati
La resa in tuberi commerciabili pari nel testimone non concimato a 22.6 t ha-1, è aumentata
significativamente per effetto delle tesi di concimazione che prevedevano l’utilizzo di minerale +
organo minerale o esclusivamente organo-minerale, con incrementi pari rispettivamente a +27% e
+19%. L’efficacia delle suddette tesi di concimazione si è estrinsecata esclusivamente sul peso unitario
dei tuberi (Tab. 2). Le tesi di concimazione non hanno influito sulla produzione di tuberi di diametro <
40 mm. Rispetto al testimone, le tesi comunque concimate hanno determinato, invece, una significativa
riduzione sia dei tuberi di diametro > 75 mm che di quelli di scarto. In particolare, la più bassa
produzione di tuberi di scarto è stata accertata allorquando è stato utilizzato concime minerale + organo
minerale (Azotop) (Tab. 2). Quest’ultima tesi di concimazione ha comportato, inoltre, il più alto
contenuto sia in sostanza secca dei tuberi che in acido ascorbico, mentre l’utilizzo del solo concime
organo-minerale ha determinato il più alto contenuto in fenoli totali dei tuberi (Tab. 3).
Tabella 2. Caratteristiche della produzione nella cultivar Marabel in rapporto alle tesi di concimazione. Lettere diverse
nell’ambito di ciascuna colonna indicano differenze significative per P<0.05.
Produzione commerciabile (40-75 mm)
Produzione non commerciabile
Resa
N tuberi
Peso
(% su complessiva)
Tesi concimazione
(t ha-1)
(N pianta-1)
(g)
<40 mm
>75 mm
Scarto
C0
22.6 b
4.9 a
85.9 c
0.5 a
5.5 a
20.7 a
C1
26.0 ab
4.7 a
103.9
0.9 a
0b
17.2 ab
28.7 a
4.9 a
109.9
0.6 a
0b
7.3 b
C2
C3
26.8 a
4.1 a
124.5
1.0 a
0b
11.4 ab
Tabella 3. Caratteristiche di qualità dei tuberi nella cultivar Marabel in rapporto alle tesi di concimazione. Lettere diverse
nell’ambito di ciascuna colonna indicano differenze significative per P<0.05.
Sostanza secca
Acido ascorbico
Fenoli totali
Tesi concimazione
(g 100 g-1 p.f.)
(mg 100 g-1 p.f.)
(mg GAE 100 g-1 p.s.)
C0
17.3 b
7.2 c
349 b
C1
17.6 b
9.8 b
304 c
C2
19.8 a
16.8 a
289 d
C3
18.4 ab
10.4 b
396 a
Conclusioni
Questi risultati preliminari, sebbene necessitino di ulteriori ricerche, sembrano mettere in evidenza che è
possibile adottare nuove strategie di concimazione nella colture extrastagionali di patata attraverso
l’utilizzo di concimi organo-minerali senza compromettere le rese e migliorando in taluni casi alcune
caratteristiche nutrizionali dei tuberi. L’utilizzo di Fertil MBS da somministrare esclusivamente
all’impianto, inoltre, consentirebbe di evitare l’intervento in copertura che costituisce pur sempre un
onere per il produttore e che non sempre è possibile effettuare tempestivamente in conseguenza del
decorso meteorico nel periodo autunnale.
Bibliografia
AOAC 2008. Association of Official Analytical Chemists. Official Methods of Analysis. http://www.aoac.org/.
Ierna A. et al. 2005. Meno nitrati nei tuberi con una concimazione più razionale. L’Informatore Agrario, 47:65-66.
Ierna A. 2007. Azoto su patata precoce: la giusta dose riduce i nitrati. L’informatore Agrario, 3:54-57.
Mauromicale G. e Ierna A. 1999. La coltivazione della patata bisestile. L’Informatore Agrario, 46:35-40.
Slinkard, K. e Singleton, V.L. 1997. Total phenol analysis: automation and comparison with manual methods. Am. J. Enol.
Vitic., 28:49-55.
122
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Primi Risultati sulla Risposta Produttiva della Patata Precoce
alla Coltivazione in Regime Biologico
Anita Ierna1, Bruno Parisi2, Salvatore Scandurra1
1
CNR – Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
2
CRA – Centro di Ricerca per le Colture Industriali, Bologna, IT
Introduzione
Il rilevante valore commerciale assunto dalle produzioni extrastagionali di patata fa sì che le relative
coltivazioni vengano generalmente sostenute da intensi input colturali (concimazione minerale,
irrigazione, agrofarmaci di sintesi per la protezione della coltura), con implicazioni di carattere
ambientale e tutela della salute. Sarebbe, pertanto, auspicabile, l’adozione di nuove strategie di
coltivazione, che possano ridurre gli attuali inputs energetici esterni utilizzati. Tra queste il regime
“biologico”, assume, soprattutto in Sicilia, una notevole importanza agronomica perché potrebbe
consentire, tra l’altro, il miglioramento del livello di sostanza organica nel suolo, il cui contenuto è
spesso di molto inferiore al valore ritenuto ottimale. Gli esigui risultati sperimentali sugli effetti del
regime biologico nella coltivazione della patata precoce ci hanno indotto ad avviare un articolato
programma di ricerche con lo scopo di valutare gli effetti di questo regime di coltivazione sulla risposta
produttiva, le caratteristiche di qualità dei tuberi e la loro destinazione d’uso in alcuni genotipi di patata
coltivati in ciclo precoce (vernino-primaverile). In questa nota si riportano i primi risultati relativi agli
effetti sulla risposta produttiva.
Metodologia
La prova è stata realizzata nel 2009 presso l’azienda agraria sperimentale della Sezione di Catania
dell’ISAFOM-CNR in territorio di Siracusa (37°03’ N, 15°18’ E, 15 m s.l.m.), in un’area altamente
rappresentativa della pataticoltura extrastagionale in Sicilia, ponendo allo studio 2 regimi di
coltivazione (“convenzionale” e “biologico”) e 5 genotipi di patata (Arinda, Bionica, Ditta, ISCI 4F88 e
Marabel). Bionica è una cultivar di recente costituzione, indicata dal costitutore (C.Meijer BV) come
adatta alla coltivazione in biologico poiché altamente tollerante alle infezioni di peronospora; ISCI 4F88
è un nuovo genotipo italiano costituito dal CRA-CIN di Bologna nell’ambito di un progetto di
miglioramento genetico finalizzato alla costituzione di genotipi adatti alla pataticoltura biologica
(Ranalli e Parisi, 2007). Arinda e Marabel sono tra le più diffuse cultivars in regime convenzionale nelle
colture precoci dell’Italia meridionale (Mauromicale e Ierna, 1999), mentre Ditta è la più diffusa
varietà in regime biologico in Sicilia. In regime convenzionale, la concimazione è stata realizzata con
concimi minerali, la lotta alle infestanti e la protezione fitosanitaria con gli agrofarmaci autorizzati.
In regime biologico la gestione agronomica è stata effettuata come previsto dai Regolamenti CE n°
2092/91 e n° 834/2007 in merito alla fertilizzazione, lotta alle malerbe e difesa fitosanitaria; in
particolare la concimazione è stata realizzata con letame compostato. Indipendentemente dal regime di
coltivazione sono state apportati 100, 50 e 150 kg ha-1 di azoto, fosforo e potassio corrispondenti, in
linea di massima, alle asportazioni della patata precoce rilevate in precedenti studi (Mauromicale et al.,
2000); l’irrigazione è stata effettuata restituendo il 100% dell’ETc.
E’ stato utilizzato un disegno sperimentale a split-plot con 3 ripetizioni, assegnando alla parcella intera
il regime di coltivazione ed alla sub-parcella il genotipo. La sub-parcella era di 11.2 m2 e comprendeva
72 piante. La “semina” è stata effettuata durante la prima decade di Febbraio, utilizzando tuberi interi
posti a 0.25 m su solchi distanti 0.75 m. Sono state effettuate due raccolte: a circa 90 giorni e a circa
120 giorni dalla “semina”, in corrispondenza delle quali sono stati rilevati il numero (N) e il peso fresco
dei tuberi distinti nelle classi di calibro: <40 mm, 40-75 mm, >75 mm. Sono stati calcolati la
produzione areica commerciabile (PAC) e il peso unitario medio (PU). Su un campione rappresentativo
di tuberi commerciabili (40-75 mm) è stato determinato il contenuto in sostanza secca (S.S.) mediante
determinazione del peso specifico in acqua e successiva conversione lineare in valore %. I dati sono
stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA) e le medie confrontate con la minima differenza
123
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
significativa (MDS). I valori percentuali sono stati trasformati prima dell’analisi della varianza in valori
angolari mediante la formula di Bliss (arcsin√%).
Il decorso termopluviometrico durante lo svolgimento della prova è stato conforme a quello ordinario
ed ha consentito una regolare emergenza della coltura.
Risultati
La produzione areica commerciabile alla prima raccolta (90 giorni), non ha mostrato variazioni
significative per effetto del regime di coltivazione (Tab. 1). La produzione areica alla seconda raccolta
(120 giorni), invece, è risultata nella media dei genotipi significativamente più alta in regime biologico
rispetto al convenzionale (22.5 t ha-1 vs 20.7 t ha-1); i più elevati incrementi sono stati registrati in ISCI
4F88 (+ 14%) e in Ditta (+ 20%). In entrambi i regimi di coltivazione e nelle due raccolte Bionica ha
mostrato sempre il miglior ranking. La maggiore produzione areica in regime biologico è sembrata
dipendere, dal maggior numero di tuberi differenziati per pianta (5.4 vs 4.6 tuberi pianta-1). Il contenuto
in sostanza secca dei tuberi, che rappresenta un importante indice di qualità degli stessi, è risultato
significativamente più alto in regime biologico rispetto al convenzionale nei tuberi della cv Ditta (20.1
vs 17.8 %).
Tabella 1. Produzione areica commerciabile dei tuberi nelle due raccolte, caratteristiche della produzione nella seconda
raccolta e significatività statistica all’analisi della varianza (NS= non significativo; ** e *** indicano rispettivamente
significatività per P<0.01 e P<0.001.
Arinda
Bionica
Ditta
ISCI 4F88
Marabel
Media
Convenzionale
Arinda
Bionica
Ditta
ISCI 4F88
Marabel
Media
Biologico
Reg. coltivazione (R) ®coltivazione
Genotipo (G)
(R) x (G)
MDS inter (P=0.01)
PAC (t ha-1)
I raccolta
II raccolta
N
(N tub pianta-1)
PU
(g)
S.S.
(%)
16.1
17.4
15.8
16.1
14.3
15.9 a
23.8
26.2
18.8
20.0
14.6
20.7 b
5.0
5.2
4.3
3.9
4.6
4.6 b
90.7
94.1
82.3
96.1
59.1
84.4 a
19.0
18.4
17.8
20.8
18.3
18.9 a
17.5
18.5
15.3
14.9
15.4
16.3 a
24.9
26.5
22.6
22.9
15.8
22.5 a
5.3
7.8
5.0
4.7
4.1
5.4 a
88.8
63.6
84.9
91.6
71.7
80.1 a
19.0
18.2
20.1
20.5
18.1
19.2 a
NS
***
NS
-
**
***
**
1.8
***
**
***
0.6
NS
***
***
15.1
NS
**
***
0.9
Conclusioni
Questi risultati preliminari, sebbene necessitino di opportune verifiche, mostrano che è possibile
utilizzare nella coltivazione della patata precoce il regime biologico, senza che questo comporti effetti
negativi sulla precocità, sulla produzione areica a fine ciclo e sul contenuto in sostanza secca dei tuberi.
Tra i genotipi studiati, Ditta ed ISCI 4F88 hanno mostrato la maggiore adattabilità al regime biologico.
Bibliografia
Mauromicale G., Ierna A. 1999. Patata primaticcia. In: Fisionomia e profili di qualità dell’orticoltura meridionale. Palermo:
275-296.
Mauromicale G. et al. 2000. Definizione delle asportazioni di N, P e K nella patata precoce in rapporto a differenti livelli di
concimazione. Atti del workshop “Applicazioni di tecnologie innovative per il miglioramento dell’orticoltura meridionale,
Roma, 18 Luglio: 71-72.
Ranalli P., Parisi B. 2007. Nuove cultivar di patata bio nel futuro della ricerca italiana. L’Informatore Agrario, 42:40-42.
124
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti della Frigo-Conservazione sul Contenuto in Acido
Ascorbico dei Tuberi di Patata Primaticcia
Anita Ierna, Maria Grazia Melilli, Salvatore Scandurra
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
Introduzione
In Italia la coltura extrastagionale di patata assume una rilevante importanza economica sia per le
superfici investite (oltre 20 mila ha, concentrati prevalentemente in Sicilia, Campania e Puglia) (ISTAT,
2009), che per il volume della produzioni (oltre 4 milioni di quintali, in buona parte esportati nei
mercati del Centro e Nord Europa).
Nella patata extrastagionale sia in ciclo vernino-primaverile (patata “primaticcia”) che in ciclo estivoautunnale (patata “bisestile”) i tuberi vengono raccolti prima della loro maturazione completa e
conseguentemente presentano caratteristiche di “freschezza”, buccia estremamente sottile e chiara, che
si distacca facilmente e modesto contenuto in sostanza secca. Recentemente i tuberi di patata
primaticcia hanno destato interesse per l’elevato contenuto in acido ascorbico (Leo et al., 2008; Buono
et al., 2009).
I tuberi di patata extrastagionale vengono di norma indirizzati immediatamente al consumo, tuttavia,
una idonea tecnica di conservazione potrebbe consentire di ampliare il loro calendario di
commercializzazione con evidenti favorevoli risvolti economici.
Numerose ricerche sono state condotte sugli effetti della frigo-conservazione sulle caratteristiche fisicochimiche dei tuberi di patata comune, ma carenti sono le informazioni su quelli provenienti da coltura
extrastagionale.
L’obiettivo della ricerca è stato quello di valutare gli effetti della durata della frigo-conservazione sul
contenuto in acido ascorbico dei tuberi di patata primaticcia.
Metodologia
Sono stati posti allo studio sui tuberi delle cultivars Nicola e Spunta, 5 tempi di frigo-conservazione (0,
3, 6, 12, 24 settimane). Nicola e Spunta sono due tra le cultivars più diffuse nella pataticoltura
extrastagionale in Italia (Mauromicale e Ierna, 1999).
I tuberi, provenienti da una coltura precoce realizzata nel 2008 in territorio di Cassibile (Siracusa), sono
stati raccolti il 7 giugno (120 giorni dalla “semina”). Per ciascuna cultivar è stato tempestivamente
selezionato un campione rappresentativo di tuberi commerciabili (diametro compreso tra 40-75 mm) e
privo di qualunque anomalia. I tuberi sono stati lavati in acqua corrente, e quindi immersi in una
soluzione di ipoclorito di sodio allo 0,5% per 15 minuti. Dopo essere stati asciugati con carta bibula,
sono stati posti all’interno di sacchetti di polietilene forati in cella frigorifera alla temperatura di 4 ±
1°C. Su ciascun campione costituito da 6 tuberi, replicati 3 volte, è stato determinato il peso fresco
medio e il contenuto in acido ascorbico (AOAC, 2008); è stato, altresì, valutato il loro aspetto esteriore
(presenza di germogli, macchie, fisiopatie, etc).
I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza e le medie confrontate con la minima differenza
significativa (MDS). I valori percentuali sono stati trasformati prima dell’analisi della varianza in valori
angolari mediante la formula di Bliss (arcsin√%).
Risultati
Il peso medio del tubero, pari rispettivamente a 76.6 g e 119.2 g in Nicola e Spunta prima dell’inizio
della frigo-conservazione, ha subíto indipendentemente dalla cultivar una riduzione percentuale molto
lieve fino a 12 settimane di frigo-conservazione e modesta (3%) dopo 24 settimane (Tab. 1).
Il contenuto in acido ascorbico dei tuberi si è ridotto significativamente durante la frigo-conservazione,
ma con ritmo diverso in rapporto alla cultivar (Fig. 1).
In Nicola il contenuto in acido ascorbico pari a 21.4 mg 100 g-1 p.f. prima dell’inizio della frigoconservazione ha subìto una riduzione di circa il 46% indifferentemente dopo 3 o 6 settimane;
125
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
successivamente ha continuato a diminuire raggiungendo valori di decremento pari al 65% (12
settimane) e 77% (24 settimane).
In Spunta, invece, il contenuto in acido ascorbico dei tuberi, pari inizialmente a 19.8 mg 100 g-1 p.f., si è
ridotto in media di circa il 43% indifferentemente dopo 3, 6 e 12 settimane di frigo-conservazione, per
poi subire una ulteriore significativa riduzione nelle 12 settimane successive.
Nel rilevamento effettuato dopo 24 settimane di frigo-conservazione l’80% dei tuberi delle due cultivars
presentava germogli apicali lunghi circa 0.5 cm.
Tabella 1. Riduzione percentuale del peso medio del tubero in rapporto alla durata della frigo-conservazione e alla cultivar.
Lettere diverse indicano differenze significative per P<0.05.
Cultivar
Nicola
Spunta
Media
Durata (settimane)
3
0.4
0.3
0.35 c
6
0.7
0.6
0.65 b
12
0.8
0.9
0.85 b
24
3.1
2.9
3.00 a
Media
1.2 a
1.2 a
Figura 1. Contenuto in acido ascorbico dei tuberi delle cultivar Nicola e Spunta durante la frigo-conservazione.
Lettere diverse nell’ambito di ciascuna cultivar indicano differenze significative per P<0.05.
Conclusioni
Il contenuto in acido ascorbico dei tuberi si è ridotto drasticamente durante la frigo-conservazione,
tuttavia è rimasto ancora a livelli accettabili (circa 12 mg 100 g -1 p.f.) dopo 6 settimane in Nicola e 12
settimane in Spunta. Fino a quest’ultima data i tuberi di entrambe le cultivars hanno anche mostrato una
riduzione in peso insignificante e un ottimo aspetto esteriore.
La frigo-conservazione si è dimostrata, quindi, una tecnica efficace per la conservazione dei tuberi di
patata primaticcia, che, se applicata anche ai tuberi di patata bisestile, potrebbe consentire di ampliare
sostanzialmente il calendario di commercializzazione della patata “fresca”.
Bibliografia
AOAC 2008. Association of Official Analytical Chemists. Official Methods of Analysis. http://www.aoac.org/.
Buono V. et al. 2009. Tuber quality and nutritional components of “early” potato subjected to chemical haulm desiccation.
J. Food Compos. Anal., 22:556-562.
ISTAT 2009. Istituto Nazionale di Statistica. http://www.agri.istat.it.
Leo L. et al. 2008 . Antioxidant compounds and antioxidant activity in “Early potatoes”. J. Agric. Food Chem., 56:41544163.
Mauromicale G. Ierna A. 1999. Patata primaticcia. In: Fisionomia e profili di qualità dell’orticoltura meridionale. Palermo:
275-296.
126
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Fertilizzanti Organici in Specie Orticole: Effetti sulla
Produzione e sulla Sostanza Organica del Suolo
Rita Leogrande1, Ornella Lopedota1, Francesco Montemurro1, Rosalba Scazzarriello1,
Marcello Mastrangelo2
1
CRA-Unità di Ricerca per lo Studio dei Sistemi Colturali, Metaponto (MT), IT, [email protected]
CRA-Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali in Ambienti Caldo Aridi, Bari, IT, [email protected]
2
Introduzione
Negli ambienti meridionali, spesso caratterizzati dalla presenza di terreni argillosi, non vi sono
sufficienti dati sperimentali su possibilità e limiti della fertilizzazione organica con compost, ottenuti
dalla trasformazione aerobica dei rifiuti solidi urbani, o con digestati anaerobici da scarti agroindustriali. La fertilità del terreno è strettamente legata alla dotazione in sostanza organica, che influenza
le proprietà bio-chimico-fisiche. L’impiego di compost e di digestati anaerobici proveniente dalle
biomasse di scarto potrebbe essere una valida pratica per migliorare la dotazione di sostanza organica
nel suolo e apportare macro e micro nutrienti alle piante. L’obiettivo della ricerca effettuata a
Metaponto (MT) è stato quello di studiare gli effetti di differenti fertilizzanti organici sul contenuto
della sostanza organica nel terreno e sulla produzione della melanzana, del melone e della lattuga.
L’effetto del contributo della fertilizzazione organica è stato inoltre valutato attraverso l’adozione di due
volumi irrigui in melanzane e melone.
Metodologia
In un triennio (2006-2008) è stato adottato uno schema sperimentale a strip-plot, ripetuto tre volte, per studiare
gli effetti di due trattamenti irrigui (su melanzana e melone), ripristinando il 100 (I1) e 50% (I2)
dell’evapotraspirazione, e di quattro trattamenti fertilizzanti (su melanzana, melone e lattuga in successione alle
precedenti). In particolare, si è valutato l’effetto della concimazione tradizionale (MIN); di un concime organico
commerciale autorizzato in agricoltura biologica (OM); e di due fertilizzanti organici sperimentali: digestato
anaerobico, proveniente da residui vitivinicoli (DA) e compost da residui solidi urbani, proveniente da raccolta
differenziata (COMP). I fertilizzanti organici sono stati apportati in un’unica soluzione 20 giorni prima del
trapianto. Per ogni trattamento è stato somministrato l’equivalente di 200, 150 e 140 kg N ha-1 rispettivamente
per melanzana, melone e lattuga. All’inizio e alla fine dei tre anni di prova sono stati prelevati campioni di
terreno (strato 0 - 40 cm), per determinare il contenuto di sostanza organica. Gli interventi irrigui sono stati
eseguiti ogni qualvolta la sommatoria dell'evapotraspirazione massima della coltura, calcolata a partire dai dati
giornalieri misurati alla vasca evaporimetrica, per il coefficiente di vasca (0,8) e per i coefficienti colturali delle
due specie, al netto degli eventuali apporti idrici naturali utili, risultava pari al 50% della riserva idrica utile
calcolata per lo strato di terreno 0 - 40 cm in funzione delle sue caratteristiche idrologiche (capacità idrica di
campo e punto di appassimento) e della densità apparente. Le raccolte sono state effettuate in un’unica soluzione
per il melone (nella seconda decade di agosto) e per la lattuga (nella prima decade di aprile) e nel periodo
compreso tra la seconda decade di luglio e la fine di settembre (media del triennio: 15 raccolte) per la melanzana.
Alla raccolta per le tre specie sono stati determinati i principali parametri produttivi.
Risultati
Dal triennio di ricerca è emerso che l’utilizzo di fertilizzanti organici sperimentali nel melone non ha
determinato riduzione della produzione commerciabile e dei diversi parametri produttivi rispetto agli
altri trattamenti con fertilizzanti convenzionali (tab. 1). Inoltre, si è osservato un maggior aumento della
sostanza organica nel terreno rispetto al valore iniziale nel trattamento DA e COMP, del 34% e 30%
rispettivamente, contro il 27% del OM e 16% del trattamento MIN (tab. 2). Nella melanzana l’impiego
del compost e del digestato anaerobico ha causato una riduzione della produzione commerciabile di
circa il 17%, rispetto al trattamento OM, e del 28%, rispetto al MIN dovuta ad un minor numero di
bacche, mentre il peso medio non ha presentato nessuna differenza significativa (tab. 1). Nel terreno i
valori della sostanza organica determinati alla fine del triennio hanno mostrato un incremento, rispetto
127
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
ai valori iniziali, per DA e COMP del 31% e 23% rispettivamente, contro l’8% della MIN e 16% della
OM (tab. 2). I volumi stagionali irrigui medi, apportati nel trattamento I1 sono stati 7000 e 3000 m3 ha-1,
rispettivamente, per la melanzana ed il melone. Dal triennio di prova è emerso che dimezzando il
volume stagionale irriguo (I2) la produzione commerciabile si è ridotta del 20% e del 28%,
rispettivamente per la melanzana e per il melone (tab. 1). Dai dati produttivi della lattuga si evince che
l’applicazione dei fertilizzanti organici sperimentali ha determinato una riduzione media di produzione
del 16% e del 32% rispetto al trattamento OM e MIN (tab. 3). Inoltre, il contenuto di sostanza organica
nel suolo non ha mostrato differenze significative tra i diversi trattamenti fertilizzanti (tab. 2).
Tabella 1. Effetti dei trattamenti fertilizzanti e irrigui sui parametri produttivi di melanzana e melone
Melanzana
Irr.
Fertilizz.
Melone
Peso
Peso
Produzione
Produzione
Trattamenti
medio
medio
Bacche
Peponidi
commerciabile
commerciabile
bacche
peponidi
-1
-2
t ha
nm
g
t ha-1
n m-2
kg
MIN
47.5a
20.8a
228.5
25.8
1.4
1.9
OM
40.9b
18.2b
224.6
26.0
1.4
1.8
DA
35.4c
15.6c
227.1
25.5
1.5
1.7
COMP
32.6d
14.5d
224.8
23.4
1.3
1.8
I1
43.8a
18.7a
234.1a
29.3a
1.6a
1.9
I2
34.9b
16.0b
218.4b
21.0b
1.2b
1.8
I valori seguiti da lettere diverse, in ciascuna colonna, sono significativamente differenti per P<0.05 (SNK)
Tabella. 2. Contenuto iniziale (T0) e finale (Tf) della sostanza organica (%) nel suolo
Tf
MIN
OM
DA
COMP
Melanzana
1.90
2.05b
2.20b
2.48a
2.33a
Melone
1.82
2.12b
2.32b
2.45a
2.37a
Lattuga
2.07
2.13a
2.34a
2.13a
2.11a
I valori seguiti da lettere diverse, in ciascuna riga, sono significativamente differenti per P<0.05 (SNK)
T0
Tabella 3. Effetti dei trattamenti fertilizzanti e irrigui sui parametri produttivi della lattuga
Produzione
Peso medio
Peso cespo
Cuore
commerciabile
cespo
pulito
t ha-1
g
g
g
MIN
47.2a
791.1a
710.3a
240.6a
OM
38.3b
627.2b
524.2b
194.6b
DA
33.7c
548.8c
470.0c
160.1c
COMP
30.6c
494.7d
417.3c
144.3c
Melone
46.0a
748.3a
656.5a
230.9a
Melanzana
28.9b
482.6b
404.5b
138.9b
I valori seguiti da lettere diverse, in ciascuna colonna, sono significativamente differenti per P<0.05 (SNK)
Fertilizz.
Trattamenti
Conclusioni
Da questa ricerca è emerso che l’utilizzo di biomasse di scarto come fertilizzanti porta a differenti
risultati in funzione della tipologia della specie e del periodo dell’anno in cui il ciclo colturale si svolge.
Infatti, i migliori risultati si sono ottenuti nel melone che svolge il suo ciclo colturale in estate, quando i
processi di mineralizzazione sono più spinti. Mentre per la lattuga caratterizzata da ciclo colturale
autunno-vernino i fertilizzanti organici sperimentali rispetto al concime minerale hanno mostrato le più
basse produzioni, probabilmente a causa della lenta mineralizzazione.
128
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Caratteristiche Qualitative di Cultivar da Tappeto Erboso di
Lolium perenne nel Periodo Estivo dell’Anno di Semina
Stefano Macolino, Erica Barolo, Filippo Rimi
Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, [email protected]
Introduzione
Lolium perenne L. è una delle specie maggiormente impiegate per la formazione di tappeti erbosi nelle
zone caratterizzate da clima temperato (Hulke et al., 2007, Volterrani et al., 1997). Il successo di questa
specie si deve principalmente alla rapidità di insediamento, alla capacità di sopportare i tagli bassi e
soprattutto all’ottima resistenza al calpestamento (Christians, 2004). Grazie a queste caratteristiche L.
perenne è impiegata con successo per la formazione di tappeti erbosi ornamentali, ricreazionali e
soprattutto sportivi (Stier et al., 2008). Questa specie è però considerata particolarmente sensibile agli
estremi termici e alla siccità (Beard, 1973). Gli sforzi dei selezionatori negli ultimi anni sono stati
indirizzati alla produzione di varietà in grado di fornire ottime prestazioni in condizioni climatiche
anche difficili (Casler e Duncan, 2003). Appunto tali cultivar possono essere adoperate con successo per
la realizzazione di tappeti erbosi nella pianura padano-veneta, ove le elevate temperature e i prolungati
periodi di siccità dei mesi estivi, rappresentano il principale limite all’impiego di questa specie.
Conoscere dunque il comportamento di queste nuove cultivar durante i mesi estivi risulta fondamentale,
e in modo particolare quello relativo ai mesi estivi immediatamente successivi una semina primaverile.
Al fine di agevolare gli addetti del settore nella scelta delle cultivar più idonee per l’ambiente della
pianura veneta, sono state confrontate, sulla base dei principali parametri qualitativi rilevati alla fine del
periodo d’insediamento, nove cultivar di L. perenne a semina primaverile.
Metodologia
Una prova parcellare di campo è stata condotta presso l’Azienda Agraria Sperimentale dell’Università
di Padova (Legnaro, PD) su terreno pianeggiante posto a 8 m s.l.m. di tipo franco-limoso, mediamente
dotato in calcare attivo, azoto totale e potassio scambiabile, ad elevato contenuto in fosforo assimilabile
e con pH sub-alcalino. Sono state poste a confronto le seguenti nove cultivar di L. perenne:
‘Crescendo’, ‘JPR 200’, ‘JPR 225’, ‘JPR 250’, ‘Kokomo’, ‘New Arrival’, ‘Pavilion’, ‘Stravinsky’ e
‘Yorktown III’. Lo schema sperimentale adottato è stato il blocco randomizzato a tre ripetizioni con
parcelle di m 3.0 m2 (1,2 x 2,5 m). La semina (25 g m-2) è stata effettuata il 10 aprile 2009 su terreno
adeguatamente preparato. Prima della semina è stata effettuata la concimazione di base con la quale
sono state apportate 50 unità di N, 150 di P2O5 e 150 di K2O. La concimazione di mantenimento è
corrisposta a 125, 75 e 125 kg ha-1 di N, P2O5 e K2O rispettivamente, attraverso concime composto (159-15) con il 5% dell’ azoto a cessione controllata. La dose totale è stata ripartita equamente in due
interventi (inizio maggio, inizio settembre). Il regime irriguo prevedeva la distribuzione per aspersione di
3-5 mm di acqua al giorno, nel periodo compreso tra la semina e l’emergenza e, successivamente nei soli
mesi estivi (giugno – settembre), la somministrazione settimanale di 35 mm. Il taglio veniva eseguito
settimanalmente con tosaerba a lame rotanti ad un’altezza di 45 mm.
Prima di ogni taglio veniva misurata l’altezza dell’erba mediante erbometro a piatto circolare, eseguendo
quattro misure per parcella. Ad insediamento ultimato sono stati stimati con cadenza bisettimanale, dal 24
giugno al 30 settembre, i seguenti parametri qualitativi: densità, colore, tessitura fogliare e aspetto estetico
generale (AEG). Per ciascun parametro è stato dato un punteggio da 1 (molto scarso) a 9 (ottimo). In
questa sede si riportano i valori medi dei rilievi effettuati nel corso della stagione estiva. L’accrescimento
verticale medio giornaliero (AMG) ed i valori medi di ciascun parametro sono stati sottoposti all’analisi
della varianza e, ove necessario, le medie sono state differenziate con il test di Tukey.
Risultati
L’analisi della varianza ha evidenziato differenze significative per tutti i parameri allo studio.
Relativamente al parametro densità, si sono differenziate unicamente le cultivar JPR 225 e Yorktown III
129
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
(Tabella 1). Il punteggio medio di Yorktown III è stato pari a 7.20 contro solo 4.73 di JPR 225. La
cultivar Yorktown III, inoltre, presenta una tessitura fogliare grossolana. Questa cultivar infatti, con un
punteggio di 5.20 si è nettamente distinta da tutte le altre, ad eccezione di Stravinsky. Le restanti sette
cultivar presentano, invece, una tessitura fine, con punteggi che variano da 6.27 a 7.07. Relativamente al
colore le cultivar hanno evidenziato un punteggio medio elevato e pari a 6.76. Tale risultato si deve
principalmente alle cultivar JPR 200,
Crescendo, JPR 225 e New Arrival. Tabella 1. Parametri qualitativi e accrescimento
Yorktown III è risultata la cultivar più verticale di cultivar di L. perenne (giu.-set. 2009).
chiara, con un punteggio medio pari a
AEG
AMG
densità tessitura colore
circa la metà di quello ottenuto da JPR Cultivar
punteggio (1-9)
(mm)
200 (4.25 vs 8.00). Il punteggio medio
del parametro AEG (5.17) dimostra una Crescendo 5,87 ab 7,07 a 7,25 abc 4,73 bc 1,02 c
generale condizione di sofferenza. Tra JPR200
5,33 ab 6,53 ab 8,00 a 4,63 bc 1,09 bc
le nove cultivar emergono comunque JPR225
4,73 b 6,73 a 7,42 ab 3,77 c 1,06 bc
Kokomo, JPR 250 e soprattutto
JPR250
5,73 ab 6,27 ab 6,83 bc 5,53 ab 1,26 abc
Yorktown III. Il punteggio più basso è
6,90 ab 6,30 ab 6,58 bc 6,27 ab 1,47 ab
stato ottenuto da JPR 225 (3.77), pur Kokomo
non risultando significativamente New arrival 5,73 ab 6,80 a 7,33 ab 5,30 abc 1,07 bc
diverso da quello di cinque delle
6,00 ab 6,60 ab 6,75 bc 4,67 bc 1,02 c
restanti cultivar. Il valore medio di Pavilion
Stravinsky
6,10
ab 5,87 bc 6,42 c 4,80 bc 1,17 bc
AMG delle nove cultivar evidenzia un
ritmo di crescita piuttosto contenuto. Si Yorktown III 7,20 a 5,20 c 4,25 d 6,80 a 1,63 a
distingue, una volta ancora, Yorktown media
5,96
6,37
6,76
5,17
1,20
III che presenta un ritmo di crescita di
molto superiore alla media, seppur non AEG = aspetto estetico generale; AMG = accrescimento
significativamente diverso da quello di verticale medio giornaliero. Nella stessa colonna lettere
diverse indicano differenze significative in base al test di
JPR 250 e Kokomo.
Tukey (P<0.05).
Conclusioni
Tra le cultivar a confronto Yorktown III è risultata quella più adatta alle condizioni climatiche locali, si
è distinta infatti per l’elevata velocità di crescita, associata ad una buona densità e ad un aspetto estetico
generale pari o superiore a quello delle restanti cultivar. Tale cultivar si caratterizza però per la tessitura
fogliare grossolana e il colore molto chiaro. Un comportamento simile a quello di Yorktown III è stato
manifestato da Kokomo, che però, a differenza del precedente, presenta una tessitura fogliare e un
colore che si discostano di poco dalla media generale.
Ringraziamenti
Si ringrazia la ditta Padana Sementi Elette s.r.l. per il contributo fornito al progetto di ricerca.
Bibliografia
Beard J.B. 1973. Turfgrass Science and Culture. Prentice-Hall, Inc. Upper Saddle River, New Jersey, USA.
Casler M.D. e Duncan R.R. 2003. Turfgrass Biology, Genetics, and Breeding. John Wiley & Son, Inc. New Jersey-USA.
Christians N. 2004. Cool-season grasses. p. 33–58. In Fundamentals of turfgrass management. 2nd ed. John Wiley & Sons,
Hoboken, NJ.
Hulke B.S. et al. 2007. Winterhardiness and Turf Quality of Accessions of Perennial Ryegrass (Lolium perenne L.) from
Public Collections. Crop Sci., 47:1596-1602.
Stier J.C. 2008. Timing the Establishment of Kentucky Bluegrass : Perennial Ryegrass Mixtures for Football Fields.
HortScience, 43:240-244.
Volterrani M. et al. 1997. Varietal comparison of cool season turfgrasses. Note I: Emergence time, growth rate, density,
leaf blade width and nitrogen content. Riv. Agron., 31:118-126.
130
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti della Pacciamatura su Pomodoro Irrigato con Acque
Salmastre in Ambiente Protetto
Mario Marchese, Rosalena Tuttobene, Alessia Restuccia, Angelo Litrico, Giovanni
Mauromicale, Giuseppe Restuccia
Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Univ. Catania, IT, [email protected]
Introduzione
La pacciamatura è una delle tecniche agronomiche proposte per ridurre gli effetti dello stress salino in
ambiente protetto. Essa, oltre a contenere lo sviluppo delle malerbe, a mantenere il terreno più soffice e
aerato e a ridurre la formazione di spaccature e croste superficiali, limita notevolmente le perdite di
acqua per evaporazione e migliora la qualità “merceologica” della prodotto (Cuartero e FernandezMunoz, 1999; Cuartero et al,.2006; Marchese et al., 2009). Alla luce di quanto ora rilevato, nel 2008
sono state avviate ricerche rivolte a valutare l'effetto della pacciamatura sul contenuto idrico e sulla
salinità del suolo, nonché sul comportamento produttivo del pomodoro allevato in ambiente protetto e
irrigato con acque salmastre. In questa comunicazione vengono presentati i risultati relativi al secondo
anno di prove.
Metodologia
Le ricerche sono state condotte in agro di Pachino (Sr). nell’annata 2009-2010 in serra non
condizionata, che da oltre un decennio ha ospitato colture di pomodoro irrigate con acque salmastre.
Sull’ibrido F1 Genio, resistente al TYCV e alle spaccature, sono stati studiati gli effetti della
pacciamatura con film di polietilene trasparente e di due livelli di salinità.
Il film utilizzato per la pacciamatura è stato applicato sette settimane prima del trapianto (22/09/2009) e
mantenuto fino alla conclusione del ciclo colturale. Prima della pacciamatura il terreno è stato
accuratamente lavorato, concimato e irrigato fino alla capacità di campo. I due livelli di conducibilità
elettrica dell’acqua d’irrigazione sono stati pari a 3000 dSm-1 (acqua attinta dal pozzo dell’azienda) e
10000 dSm-1 (acqua del pozzo alla quale sono stati aggiunti micronutrienti e NaCl). È stato adottato uno
schema sperimentale a split plot, tre volte ripetuto, assegnando alla parcella intera i livelli di salinità e
alle subparcelle le tesi con e senza pacciamatura. L’irrigazione, eseguita mediante manichetta forata, è
stata effettuata ogni qual volta l’evaporazione da evaporimetro di classe A ha raggiunto 30 mm; i livelli
di conducibilità elettrica dell’acqua d’irrigazione sono stati differenziati una settimana dopo il trapianto
e mantenuti per l’intera durata della prova.
Gli altri interventi di tecnica colturale sono stati conformi a quelli ordinariamente adottati nella zona.
Per ciascuna raccolta è stata rilevata la produzione di frutti commerciabili. In corrispondenza della
raccolta delle bacche del 1°, 3° e 6° grappolo, sono stati determinati, su campioni di terreno prelevati
sulla fila e dallo strato compreso fra 0 e -20 cm, l’umidità (% su peso secco) e la conducibilità elettrica
dell’estratto saturo (dSm-1). I dati ottenuti sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). Per
il confronto tra le medie è stata utilizzata la DMS.
Risultati
È stata accertata la significatività dell’interazione per l’umidità del suolo e per la conducibilità elettrica
dell’estratto saturo e degli effetti principali per la produzione media di bacche per grappolo alle tre
raccolte nonché per quella cumulata a fine ciclo.
La pacciamatura ha, in genere, determinato un aumento dell’umidità del suolo e una riduzione della
conducibilità elettrica dell’estratto saturo (Fig. 1).
Nella tesi irrigata con acqua più ricca di sali (10000 dSm-1) il decremento della conducibilità elettrica ha
oscillato fra il 9% e il 36%. Nella media dei livelli di salinità la pacciamatura ha determinato un
incremento della produzione media per grappolo nelle tra raccolte (Fig. 2).
Gli effetti dalla pacciamatura sono risultati apprezzabili anche sulla produzione di bacche che, a fine
ciclo e nella media dei due livelli di salinità, ha rivelato un incremento del 26%. Sulla produzione, per
131
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
contro, effetti negativi ha determinato l’aumento della conducibilità elettrica dell’acqua; a fine ciclo il
decremento è risultato, in media, pari al 27% (Tab. 1).
14000
c
c
a
b
a
c
b
b
b
3 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to
3 0 0 0 d S m -1 N o n P a c c ia m a to
1 0 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to
1 0 0 0 0 d S m -1 N o n P a c c ia m a to
d
c
b
d
6000
a
25
b
d
c
a
c
(%)
-1
8000
b
a
a
30
a
10000
dSm
35
3 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to
3 0 0 0 d S m -1 N o n p a c c ia m a to
1 0 0 0 0 d S m -1 P a c c ia m a to
1 0 0 0 0 d S m - 1 N o n P a c c ia m a to
a
12000
20
15
4000
10
2000
5
0
0
R a c c o lta d e l
1 8 F e b b ra io 2 0 1 0
R a c c o lta d e l
1 5 G e n n a io 2 0 1 0
600
a
a
a
3000 dSm-1
10000 dSm-1
Pacciamato
Non pacciamato
a
b
500
R a c c o lta d e l
1 9 M a rz o 2 0 1 0
a
b
a
b
400
R a c c o lta d e l
R a c c o lta d e l
R a c c o lta d e l
1 5 G e n n a io 2 0 1 0 1 8 F e b b ra io 2 0 1 0 1 9 M a rz o 2 0 1 0
Figura 1. Conducibilità elettrica dell’estratto saturo (a
sinistra) e umidità del terreno(a destra) alle tre raccolte
(lettere differenti indicano significatività per P≤0.05 per
ciascuna raccolta).
b
b
g 300
b
Figura 2. Produzione media di bacche per grappolo
alle tre raccolte (lettere differenti indicano
significatività per P≤0.05 per ciascuna raccolta).
200
100
0
Raccolta del
15 Gennaio 2010
Raccolta del
18 Febbraio 2010
Raccolta del
19 Marzo 2010
Trattamenti
3000 dS m-1
10000 dS m-1
pacciamato
non pacciamato
g pianta-1
3261.65 a
2329.58 b
3113.37 a
2477.86 a
Tabella 1. Produzione cumulata di bacche commerciabili
Conclusioni
I risultati ottenuti consentono di affermare che la pacciamatura attenua le oscillazioni del contenuto
idrico del suolo e riduce l’aumento della conducibilità elettrica dell’estratto saturo dello stesso, con
riflessi positivi sulla produzione. Il ricorso a questa tecnica appare, dunque, auspicabile, soprattutto
nelle colture protette irrigate con acque salmastre.
Bibliografia
Cuartero J., Fernandez-Munoz R. 1999. Tomato and salinity .Scientia Horticulturae, 78: 83-125.
Cuartero J. et al. 2006. Increasing salt tolerance in the tomato Journal of Experimental Botany, 57(5): 1045-1058.
Marchese M. et al. 2009. Effetti dell’irrigazione con acqua salmastra e della pacciamatura del terreno sul comportamento
produttivo del pomodoro coltivato in ambiente protetto. Atti del XXXVIII Convegno Nazionale della S.I.A. Firenze 21-23
settembre 2009, 189-190.
132
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Nuovi Cloni di Violetto di Sicilia per il Miglioramento della
Cinaricoltura Meridionale
Rosario P. Mauro, Sara Lombardo, Angela M.G. Longo, Gaetano Pandino, Antonino Lo
Monaco, Antonino Russo, Giovanni Mauromicale
Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) – Università degli Studi di
Catania – via Valdisavoia, 5 – 95123 Catania; [email protected]
Introduzione
Il carciofo [Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) Fiori] rappresenta un’importante risorsa
economica per l’agricoltura dei Paesi mediterranei. Ciò deriva dalla capacità di tale coltura di fornire
redditi stabili ed elevati, in virtù del lungo periodo produttivo e della pluralità di destinazioni del
prodotto (consumo fresco ed industria alimentare). Sotto il profilo varietale, la cinaricoltura nazionale si
basa su pochi tipi che, se da un lato incontrano il favore dei mercati interni, dall’altro mal si prestano ad
una migliore articolazione del calendario produttivo e ad un incremento delle rese (Mauromicale e
Ierna, 2000). In Sicilia, le popolazioni autoctone di Violetto di Sicilia presentano elevata variabilità
genetica e fenotipica (Mauromicale et al., 2004). Tale caratteristica può essere proficuamente sfruttata
nella selezione di cloni dalle migliorate caratteristiche bio-agronomiche e dalla più forte identità
varietale, nell’ottica di contrastare il fenomeno del crescente inquinamento delle popolazioni autoctone
da corpi riproduttori appartenenti a tipi varietali simili, quali Violetto di Provenza (Mauromicale et al.,
2004). Nella presente nota si riportano le caratteristiche salienti di 5 nuovi cloni di carciofo selezionati
presso il Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali-Università
degli Studi di Catania, nell’ambito di popolazioni locali di Violetto di Sicilia.
Metodologia
La ricerca è stata realizzata nel biennio 2008-2009/2009-2010 in agro di Catania (37°27’ N, 15°04’ E).
Cinque cloni di Violetto di Sicilia provenienti da un programma di selezione realizzato nei più
importanti areali cinaricoli della Sicilia orientale sono stati confrontati sotto il profilo bio-agronomico
con una popolazione testimone (VSbulk) (Tab. 1). L’impianto delle carciofaie è stato effettuato il 17
agosto 2008 a mezzo ovoli pre-germogliati; al secondo anno le stesse sono state riattivate a mezzo
irrigazione il 10 agosto 2009. In entrambi gli anni la concimazione è stata effettuata con 200, 150 e 120
kg ha-1 rispettivamente di N, P2O5 e K2O. In entrambi gli anni sono state registrate le seguenti variabili:
tempo medio di raccolta del capolino principale (TR), produzione precoce (PR) intesa come numero di
capolini pianta-1 raccolti al 31 dicembre, produzione complessiva pianta-1 (Y) ed il peso fresco del
capolino principale (PfP) di primo (Pf1) e di secondo ordine (Pf2). I dati acquisiti sono stati sottoposti ad
analisi della varianza e le medie di ciascun carattere separate tramite test LSD di Fisher (P < 0.05). Di
seguito si riferisce dei dati acquisiti al secondo anno di prova.
Risultati
I genotipi studiati hanno mostrato differenze in seno alle variabili misurate (Tab. 1). Il tempo medio di
raccolta del capolino principale, in media pari a 116 giorni, ha evidenziato una differenza pari a 12
giorni fra i cloni S1 (125 giorni) e C3 (107 giorni); quest’ultimo è risultato l’unico clone statisticamente
differenziato rispetto alla popolazione testimone (Tab. 1). Per contro, rispetto a quest’ultima, tutti i cloni
selezionati hanno evidenziato una maggiore precocità commerciale. Infatti, il numero di capolini
raccolti al 31 dicembre, variabile statisticamente indifferenziata fra i cloni allo studio, è risultata
particolarmente elevata nei cloni B3, C1 e C3 (3,8 capolini pianta-1) (Tab. 1). Differenze evidenti sono
emerse in seno alle accessioni anche per la produzione complessiva a fine ciclo (Tab. 1). Tale variabile,
in media pari a 9,7 capolini pianta-1, ha mostrato valori particolarmente elevati nel clone B3 (11,4
capolini pianta-1) ed intermedia nei cloni C3 e C1 (9,9 e 9,7 capolini pianta-1, rispettivamente) (Tab. 1). A
tale riguardo, il clone S1 è apparso l’unico genotipo non significativamente differenziato rispetto al
testimone. In riferimento al peso fresco del capolino principale il range di variabilità è apparso piuttosto
133
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
ridotto, e compreso entro 161,3 g (S1) e 177,1 (C2), unici valori statisticamente differenziati (Tab. 1).
Analoghi risultati hanno evidenziato il peso fresco del capolino di primo e di secondo ordine. Il primo
parametro, in media pari a 139,9 g, nei cloni selezionati non ha fatto rilevare differenze apprezzabili
rispetto al testimone, risultando comunque significativamente più elevato in C3 rispetto ai cloni C2 e S1
(Tab.1). Per contro, il peso fresco del capolino di secondo ordine, in media pari a 122,7 g, in tutti i cloni
selezionati è risultato significativamente superiore al testimone, particolarmente in C3 (Tab. 1).
Tabella 1. Caratterizzazione agronomica e biometrica dei genotipi studiati. Lettere diverse nell’ambito di ciascuna colonna
indicano significatività al test LSD di Fisher (P < 0,05).
Genotipo
TR
(giorni)
B3
C1
C2
C3
S1
VSbulk
116 b
109 bc
118 b
107 c
125 a
119 ab
PR
(capolini pianta-1
al 31/12)
3.8 a
3.8 a
3.7 a
3.8 a
3.5 a
2.9 b
Y
(capolini
pianta-1)
11.4 a
9.7 bc
9.2 c
9.9 b
9.1 cd
8.6 d
PfP
(g)
Pf1
(g)
Pf2
(g)
171.2 ab
169.4 ab
177.1 a
173.9 ab
161.3 b
164.8 ab
146.1 ab
141.5 ab
132.6 b
150.3 a
132.1 b
136.7 ab
122.3 ab
122.1 ab
122.9 ab
134.9 a
123.5 ab
110.5 b
Conclusioni
I risultati preliminari della valutazione agronomica di cinque cloni di Violetto di Sicilia hanno
dimostrato, nel complesso, la validità del programma di selezione clonale intrapreso. I cloni selezionati,
infatti, hanno manifestato per alcuni caratteri una certa superiorità rispetto alla popolazione testimone.
Tale superiorità, però, è apparsa maggiormente evidente in rapporto alla caratteristiche bioagronomiche (tempo medio di raccolta del primo capolino, precocità commerciale e produzione
complessiva). Tra i cloni selezionati, meritano segnalazione B3, caratterizzato da elevata capacità
produttiva e precocità commerciale, e C3, dotato di spiccata precocità e buone caratteristiche ponderali
dei capolini. Tenuto conto della elevata produttività e delle differenze di precocità dei materiali
selezionati, è lecito asserire che la loro oculata introduzione in coltura in ambienti in grado di esaltarne
le peculiarità biologiche, potrebbe rappresentare un valido strumento al fine di elevare la produttività
delle carciofaie siciliane, rendendone al tempo stesso, il calendario produttivo più rispondente alle
esigenze del mercato.
Bibliografia
Mauromicale G., Ierna A., 2000. Panorama varietale e miglioramento genetico del carciofo. L’Informatore Agrario, 56: 39
– 45.
Mauromicale G. et al. 2004. Panorama varietale del carciofo in Sicilia. L’Informatore Agrario, 52: 15-18.
Ricerca finanziata dal MiPAAF nell’ambito del progetto CAR-VARVI.
134
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione delle Caratteristiche Reologiche
di Impasti di Grano Duro Addizionati con
Inulina di Diversa Origine
Maria Grazia Melilli1, M. Alì Doust2, Caterina Nadia Raciti3, Salvatore Antonino
Raccuia1, Grazia Maria Lombardo3
1
CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT,
[email protected]
2
Ayandesazan Beheshte pars Industrial Trading Public Stock Co, Salmanshar, Mazandaran- IRAN,
3
Dip. di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle produzioni Animali, Univ. Catania, IT
Introduzione
I primi piatti a base di pasta di grano duro sono molto diffusi tra gli italiani e tra le famiglie europee ed
oltre ad essere considerati tra i prodotti alimentari a basso indice glicemico, conferiscono senso di
sazietà ed esplicano effetti benefici su coloro che sono affetti da patologie quali obesità, diabete,
metabolismo lipidico alterato (Russo et al., 2008). Anche se un numero significativo di studi illustrano
il vantaggio di consumare prodotti alternativi ricchi di fibra, pochi lavori documentano le modificazioni
che subiscono i prodotti alimentari per effetto dell’aggiunta di fibre alternative (Manna et al., 2009); tra
queste ultime l’inulina, polisaccaride lineare a base di fruttosio con grado di polimerizzazione variabile,
esplica effetti benefici sulla salute dell’uomo.
Attualmente l’inulina utilizzata e commercializzata viene estratta esclusivamente dalle radici di cicoria
ed è caratterizzata da un grado di polimerizzazione di circa 20 unità di fruttosio. Notevoli quantitativi di
inulina sono estraibili dalle radici della specie Cynara cardunculus L., caratterizzata da un elevato grado
di polimerizzazione (fino a 100 unità di fruttosio) (Raccuia e Melilli, 2010).
Scopo del seguente lavoro è stato quello di valutare le caratteristiche reologiche di impasti di grano duro
addizionati con inulina di diversa origine, ai fini della valutazione della suscettibilità alla
trasformazione.
Metodologia
Per raggiungere gli obiettivi dell’attività di ricerca, è stata utilizzata la semola di una varietà di frumento
duro “Mongibello” costituita presso il DACPA-Sez. Scienze Agronomiche, due tipologie di inulina,
una “commerciale” (IC) fornita dall’azienda ORAFTI® (Belgio) ed una (IN) estratta dalle radici della
linea “S3” di Cynara cardunculus L., appartenente alla collezione in vivo della UOS di Catania
dell’ISAFOM-CNR Le radici di Cynara cardunculus sono state raccolte nel mese di maggio 2005,
immediatamente lavate e utilizzate per l’estrazione, purificazione e caratterizzazione dell’inulina. Dopo
l’omogenizzazione delle radici con acqua bidistillata in rapporto di 1:10, l’estrazione è avvenuta in
bagnomaria bollente per circa 1 ora. Gli estratti filtrati e centrifugati venivano posti per una notte a
bassa temperatura per la precipitazione del polisaccaride, che veniva raccolto tramite centrifugazione e
ridisciolto a caldo mediante acqua bidistillata. Il ciclo di purificazione è stato effettuato per 6 volte. Gli
impasti sono stati prodotti utilizzando tre concentrazioni differenti pari a 0 (testimone) 5 e 10% sul peso
delle farine. Sul testimone e sugli impasti addizionati di inulina (IC o IN) sono stati determinati: glutine
secco con il metodo AACC 38-12, utilizzando il Glutomatic system (Perten Instruments America),
indici alveografici (W, P/L) mediante l’Alveografo di Chopin (metodo ICC Standard n. 121), e l’analisi
al promilografo per la determinazione della quantità d’acqua necessaria per l’impasto, in relazione alle
caratteristiche fisiche del campione. Tutti i dati sono stati sono stati sottoposti all’analisi della varianza
(ANOVA). In presenza di “F” significativo è stato applicato il metodo di separazione delle medie di
Student - Newman – Keuls (Snedecor e Cochran, 1989).
135
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
In tabella 1 sono riportate le caratteristiche reologiche degli impasti in relazione alla tipologia di inulina
e alla loro concentrazione.
L’indice W che rivela l’attitudine alla trasformazione ha mostrato differenze significative sia per la
tipologia di inulina usata (93 vs 107 J10-4 rispettivamente per IC e IN) sia per le concentrazioni (103 vs
77 J10-4 rispettivamente al 5 e 10%). Il valore più elevato è stato riscontrato negli impasti addizionati
con il 5% di IN (123 J10-4) anche rispetto al testimone che ha mostrato un indice pari a 119 J10-4
Il rapporto P/L (tenacità/estensibilità dell’impasto) ha mostrato in corrispondenza del testimone valore
pari a 2.3. Addizionando IC al 5 e al 10% il rapporto P/L è risultato pari a 2.0 mentre differenze
significative sono state riscontrate negli impasti addizionati IN rispettivamente al 5 (0.9) e 10 % (05).
Il glutine umido pari in media 277 g 100 g-1 s.s. non è stato statisticamente influenzato dal tipo di
inulina utilizzata e dalla sua concentrazione. Il glutine secco invece, pari a 158 g 100 g-1 s.s. nel
testimone, è rimasto pressoché invariato per effetto dell’aggiunta di inulina in entrambe le
concentrazioni, anche se le esigue variazioni registrate sono apparse significative all’analisi statistica.
La quantità di acqua assorbita misurata con il promilografo, ha messo in evidenza differenze
significative in rapporto all’inulina usata con valori più elevati rilevati in corrispondenza di quella
ricavata dalle radici di Cynara cardunculus. Ciò è da attribuire con ogni probabilità alla maggiore
polimerizzazione dell’IN (54.7 ml e 51.4 rispettivamente per IC e IN).
Tab. 1 – Caratteristiche reologiche degli impasti, quantità in glutine secco (g 100 g-1 s.s.) e quantità di acqua assorbita (ml) in relazione alla tipologia di inulina e alla loro
concentrazione. Lettere differenti all’interno della stessa colonna indicano differenze significative a P<0.05
W (J10-4)
Concentrazione (%)
Glutine secco
P/L
Acqua assorbita
(g 100 g-1 s.s.)
(ml)
IC
IN
Medie
IC
IN
Medie
IC
IN
Medie
IC
IN
0
119a
119b
119
2.3a
2.3a
2.3
15.8a
15.8a
15.8
54.5a
54.5a
54.5
5
83b
123a
103
2.0a
0.9b
1.5
16.1a
15.3b
15.7
51.8b
56.0a
53.9
10
77b
78c
77
2.0a
0.5c
1.2
15.8a
14.9c
15.3
48.0c
53.5b
50.8
Medie
93
107
100
2.1
1.2
1.7
15.9
15.3
15.6
51.4
54.7
53.1
DMS inu(P<005)
4.98
0.12
0.34
1.01
DMS conc(P<005)
5.89
0.15
ns
1.23
Medie
Conclusioni
I risultati ottenuti hanno messo in luce un generale miglioramento degli indici alveografici per effetto
dell’aggiunta di inulina IN al 5%. Interessante appare anche l’assenza di modificazioni del glutine secco
per effetto della presenza del polimero, che rende possibile la trasformazione.
Bibliografia
Manno D et al. 2009 The influence of inulin addition on the morphological and structural properties of durum wheat pasta.
International Journal of Food Science and Technology, 44: 2218–2224.
Raccuia SA e Melilli M.G 2010 Seasonal dynamics of biomass, inulin, and water-soluble sugars in roots of Cynara
cardunculus L. Field Crops Research, 116: 147 – 153.
Russo F et al. 2008 Inulin-enriched pasta affects lipid profile and Lp(a) concentrations in Italian young healthy male
volunteers. Eur J Nutr., 47:453–459.
Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press (New York), 503.
136
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Adozione di Tecniche Agronomiche Preparatorie,
Lavorazione Superficiale e Irrigazione, per favorire i
processi naturali di ricolonizzazione della Specie Rara
Macarthuria keigheryi
Giuseppe Messina¹, Antonio C. Barbera1, Deanna Rokich2-3, Stefano Mancuso4
e Kingsley Dixon2-3
1
Università di Catania – Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali –
DACPA Via Valdisavoia, 5 - 95123 Catania Italy. [email protected]
2
Science Directorate, Botanic Garden and Parks Authority, Kings Park and Botanic Garden, Fraser Avenue,
West Perth, Perth, WA 6005, Australia,
3
School of Plant Biology, The University of Western Australia, Stirling Highway. Crawley. WA 6009,
Australia.
4
Università di Firenze, Dipartimento di Ortofloricoltura, Viale delle Idee 30, 50019 Sesto, Italy
Introduzione
Una delle popolazioni australiane più numerose delle specie a rischio di estinzione, Macarthuria
keigheryi, è presente all’interno dell’area urbana di Perth: “Conservation Area Perth International
Airport” (PIA) soggetta ad ulteriore antropizzazione. La M. keigheryi appartiene alla famiglia delle
Molluginaceae e presenta un habitus semi arbustivo alto fino a 40 cm. E’ una specie nativa
dell’Australia Occidentale e, quindi, ben adattata alle condizioni pedo-climatiche della regione.
Nonostante ciò, è necessario ricostruire gli habitat e l’intero ecosistema con le varie fitocenosi,
legate da rapporti dinamici successionali, che verranno assecondati e/o accelerati, con opportuni
interventi agronomici e seguendo i principi della restoration ecology. Allo scopo di favorire la
reintroduzione e la possibile espansione della specie, dal 2006 al 2009, sono stati avviati 2
esperimenti dove è stata posta allo studio la sopravvivenza di M. keigheryi in relazione a due
tecniche agronomiche preparatorie (irrigazione e lavorazione). Tali tecniche, come ben noto,
impiegate in agricoltura sono migliorative delle condizioni iniziali, fondamentali per l’adattamento
iniziale della coltura e il suo sviluppo (Bonciarelli 1983).
Metodologia
Talee di Macarthuria keigheryi provenienti dal PIA sono state propagate (dicembre 2005) presso
le strutture vivaistiche del Kings Park & Botanic Gardens. Nel luglio del 2006 le piante che
mostravano maggior vigore sono state impiegate per la sperimentazione, trapiantandole in un’area
del PIA. L’area impiegata è stata recintata per evitare l’azione trofica dei conigli.
Il primo studio è stato realizzato in un’area non vegetata. Adottando uno schema sperimentale a
parcelle suddivise è stata valutata la sopravvivenza di M. keigheryi in relazione alle due tecniche
agronomiche (lavorazione ed irrigazione). Un parcellone di 120 m2 (40x3 m) è stato lavorato alla
profondità di 30 cm; quello non lavorato misurava 63 m2 (21x3 m). Ciascun parcellone è stato
suddiviso nei due trattamenti irrigato e non irrigato. Le talee sono state trapiantate a 1 m una
dall’altra in file distanti 2 m.
Il secondo studio è stato realizzato in un’area già naturalmente vegetata, dove le talee sono state
trapiantate tra arbusti metà delle quali all’ombra di una copertura arborea (circa 50% di
ombreggiamento). Per entrambi gli studi l’acqua è stata distribuita per le 6 settimane successive al
trapianto in ragione di 1 litro per settimana per pianta. Dopo tale periodo di attecchimento delle
plantule l’irrigazione per la tesi “non irrigata” è stata interrotta. Le tesi “irrigate” hanno continuato
a ricevere l’acqua in ragione di 2 litri per settimana per pianta. I rilievi sono stati cadenzati
mensilmente dal trapianto per i 3 anni della sperimentazione fino al luglio 2009. Sono state
137
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
rilevate le condizioni generali di crescita utilizzando come parametro i danni sulla pianta causati
da diversi agenti e la percentuale di sopravvivenza. La sopravvivenza delle piante (viva o morta)
veniva annotata così come la percentuale dell’area totale della pianta danneggiata utilizzando una
scala da 1 a 5 (1= 0÷4%; 2= 5÷19%; 3= 20÷59%; 4= 60÷79%; 5= 80÷99%).
Risultati
Primo studio. Nei primi 4 mesi la percentuale di sopravvivenza delle piante di M. keigheryi è stata
pari al 100% per tutti i trattamenti allo studio. Invece a sette mesi dal trapianto (febbraio 2007),
nella media dei trattamenti irrigui, la sopravvivenza è stata pari allo 0% nel parcellone non
lavorato contro il 56% circa in quello lavorato. Le piante sopravvissute si sono accresciute durante
tutto il periodo dei rilievi.
Secondo studio. La moria delle piante e i danni osservati in campo sono stati dovuti alla carenza
idrica verificatesi nei mesi più secchi dell’anno (da marzo a maggio). Nell’area naturalmente
vegetata, a 7 mesi dal trapianto, solo il 30% delle piante irrigate presenti, sotto la copertura di
alberi, è sopravvissuta. Tali piante hanno continuato ad accrescersi sino alla fine dei rilievi (luglio
2009) rappresentando il 12% delle piante irrigate.
Conclusioni
La reintroduzione di M. keigheryi è favorita dall’adozione di alcune pratiche agronomiche
preparatorie, migliorative delle condizioni di abitabilità delle talee. Infatti, sia la lavorazione che
l’irrigazione nelle fasi di trapianto favoriscono l’attecchimento delle piante facilitando lo sviluppo
dell’apparato radicale e l’approvvigionamento idrico delle stesse. Per il primo studio, in area non
vegetata, il risultato è da attribuirsi principalmente all’effetto della lavorazione sullo stato idrico
del suolo favorito tra l’altro dall’ottima distribuzione delle precipitazioni occorse durante i primi 4
mesi dal trapianto. L’irrigazione invece ha sortito un modesto effetto sulla condizione delle piante
e nessuno sulla percentuale di sopravvivenza delle stesse. La mancanza di risposta da parte delle
piante all’irrigazione e che essa non sia stata fornita in maniera adeguata al soddisfacimento della
domanda evaporativa che, durante la prova, è stata superiore all’apporto somministrato. Le piante
sopravvissute nell’area vegetata (secondo studio) si sono avvantaggiate del trattamento irriguo,
grazie alla parziale ombreggiatura fornita dagli alberi (Banksia menziesii; Eucalyptus marginata)
che hanno ridotto la domanda evapotraspirativa e dal più profondo sistema radicale degli stessi che
non è entrato in diretta competizione per la risorsa idrica.
Bibliografia
Bonciarelli F. 1983 Agronomia – eds Edagricole Bologna pagg 115-116; 145-150
Giuseppe Messina et al. 2007. Conservation biology of Nationally Threatened Conospermum undulatum and
Macarthuria keigheryi on Westralia Airports Corporation Bushland, Report 3 to Westralia Airports Corporation.
138
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Influenza di differenti input energetici sulla produzione di
sorgo da biomassa in Campania
Mauro Mori, Lucia Ottaiano, Massimo Fagnano, Ida Di Mola
Dip. Ingegneria Agraria e Agronomia – Univ. di Napoli “Federico II”; [email protected]
Lavoro svolto nell'ambito del progetto "Energie da biomasse agricole e forestali: miglioramento ed integrazione delle filiere
bioenergetiche – (BIOENERGIE)" - finanziato dal MiPAAF (D.M. 337/7303/2006 del 21/12/2006).
Introduzione
Una delle fonti di energia rinnovabile utilizzabili in Italia, è la biomassa. La ricerca in questo campo è
spinta anche dalla necessità di trovare un'alternativa alle attuali produzioni agricole, in crescente crisi di
mercato. Le biomasse vengono presentate come una delle fonti rinnovabili più promettenti sia in termini
di contributo energetico sia di ricadute socio-economiche sul territorio (Riva et al., 2000) .
L’utilizzo di tale fonte mostra, però, un forte grado di disomogeneità fra i vari Paesi. I Paesi in Via di
Sviluppo, nel complesso, ricavano mediamente il 38% della propria energia dalle biomasse, nei Paesi
Industrializzati, invece, le biomasse contribuiscono appena per il 3% agli usi energetici primari. In
particolare, l’Italia, con il 2.5% del proprio fabbisogno coperto dalle biomasse, è al di sotto della media
europea. L’obiettivo del presente lavoro è quello di confrontare gli effetti di tecniche di fertilizzazione a
differente input energetico sulla produzione di sorgo da biomassa (Sorghum bicolor.)
Metodologia
La ricerca è stata svolta presso l'azienda agraria “Torre Lama”, situata nella Piana del Sele, nel comune
di Bellizzi, in provincia di Salerno. La prova ha avuto inizio nel 2007 su un campo sperimentale di circa
1 ha. A inizi di giugno, per tutti e tre gli anni di ricerca, è stata eseguita la semina ad una profondità di
20-30 mm utilizzando una seminatrice a righe. Le tecniche utilizzate sono state 4: A) alto input (I100 =
100% di acqua e 100% di azoto); B) alto input acqua e basso azoto (I50 = 100% acqua e 50% azoto);
C) basso input acqua e alto azoto (NI100 = 0% acqua e 100% azoto); D) basso input (NI50 = 0% acqua
e 50% azoto). La raccolta, è stata realizzata su 15 metri quadrati per parcella con 3 ripetizioni. Nel 2007
è stata effettuata solo la raccolta autunnale, invece nel 2008 e 2009 sono state effettuate due raccolte:
autunnale ed invernale.
Risultati
Per quanto concerne la produzione di biomassa secca (Fig. 1) nel 2007 sono state riscontrate differenze
significative in funzione delle due dosi di azoto messe a confronto solo nelle tesi irrigate. Nel 2008 e nel
2009, invece, non sono state riscontrate differenze significative per i differenti livelli di concimazione.
Nelle tesi irrigate sono stati raggiunti in entrambi gli anni valori di circa 30 t ha-1. Per le tesi non irrigate
nel 2008 le produzioni si sono attestati intorno a valori simili a quelli dell’anno precedente (circa 20 t
ha-1), mentre nel 2009 superano di poco le 10 t ha-1. Probabilmente per un andamento stagionale più
sfavorevole ed una minore emergenza del seme.
-1
Biomassa secca (t ha )
40
a
a
30
a
a
Irrigato
b
Asciutto
20
bc
c
b
c
b
10
N 50
N 100
Dose di azoto (kg ha-1)
N 50
N 100
Dose di azoto (kg ha -1)
N 50
N 100
Dose di azoto (kg ha -1)
Figura 1 Produzione di biomassa secca nei tre anni di sperimentazione
139
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
%
%
2007
2008
2009
Nella figura 2 è
100
riportata la ripartizione
percentuale
della
80
biomassa raccolta nei
60
tre
anni
di
sperimentazione. Nelle
40
tre raccolte autunnali
l’incidenza dei culmi
20
sul peso totale della
0
biomassa è di circa il
Rac. Aut.
Rac. Aut. Rac. Inv
Rac. Aut. Rac. Inv
90%.
Nelle
due
raccolte
invernali
Figura 2 Ripartizione della biomassa nelle diverse epoche di
(2008 e 2009) l’influenza del
2007
100
culmo sul peso totale della biomassa
corrisponde a circa il 97%.
80
Per quanto riguarda la percentuale di
60
umidità della biomassa raccolta (Fig. 3),
nel 2007 i valori sono circa il 65% sia per
40
le tesi irrigate sia le tesi non irrigate. Nel
20
2008 e 2009 è possibile evidenziare una
0
percentuale di umidità maggiore nella
Raccolta autunnale
raccolta autunnale, intorno al 60 – 70%,
rispetto a quella ottenuta nella raccolta
% foglie
% culmi
I
NI
2009
2008
100
80
I
60
%
NI
40
20
0
Raccolta Autunnale
Raccolta Invernale
Raccolta Autunnale
Raccolta Invernale
Figura 3 Percentuale di umidità della biomassa nei due periodi di raccolta.
invernale, che risulta intorno al 40% nel 2008 e circa il 50% nel 2009.
Conclusioni
Risulta evidente l’utilità dell’irrigazione in quanto, se regolare e sufficiente, può permettere al sorgo di
ottenere risultati produttivi importanti, non solo in termini quantitativi ma anche di stabilità delle
produzioni Non risulta evidente l’effetto degli apporti azotati. Per questo motivo si può ipotizzare di
ridurre tale input, mantenendosi sulla dose minore (N 50%), con successivi vantaggi di ordine
economico, oltre che ambientale. La raccolta invernale ha fatto registrare livelli di umidità molto più
bassi e una riduzione della fogliosità. Risulterebbe, quindi, più conveniente raccogliere a fine inverno,
in quanto si riduce l’energia necessaria per il trasporto e l’essiccazione della biomassa e soprattutto si
riduce l’asportazione di elementi minerali dal sistema, in quanto il distacco invernale delle foglie, che
ne accumulano la maggiore quantità, li restituirebbe al suolo.
Bibliografia
Riva G. et al. 2000. Tecnologie per l’utilizzo delle biomasse e loro livello di maturità. Atti della Giornata di Studio
dell’Accademia dei Georgofili “Valorizzazione energetica delle biomasse agro-forestali”. Firenze, 25 novembre 1999.
213-215.
140
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Comportamento Agronomico di Ecotipi di Melanzana e
Scarola su Terreno Trattato da Tre Anni con Compost da
Forsu
Luigi Morra, Maurizio Bilotto, Gaetano Pizzolongo
CRA-Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, [email protected]
Introduzione
Il confronto fra diverse strategie di fertilizzazione, condotto attraverso la ripetizione dei trattamenti
sulle stesse parcelle per più anni, rappresenta un approccio elettivo al fine di dimostrare come
l’ammendamento organico possa produrre miglioramenti stabili della fertilità del terreno al punto
da aumentarne la capacità produttiva consentendo la riduzione degli impieghi di alcuni input
agrochimici. La ricerca è finanziata dalla regione Campania- SeSIRCA attraverso il Progetto
“Centro Orticolo Campano”.
Metodologia
Quattro strategie di fertilizzazione sono state poste a confronto: Controllo non fertilizzato (CNT);
Concimazione minerale completa definita in base alle Linee guida regionali per le colture praticate
(MIN); Fertilizzazione con compost da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (f.o.r.s.u.) alla
dose annua di 30 t ha-1 come sostanza secca pari a circa 40 t ha-1 di tal quale (C30); Fertilizzazione
con compost da f.o.r.s.u. alla dose annua di 15 t ha-1 di sostanza secca (=20 t ha-1 t.q.) +
concimazione minerale azotata ad una dose pari a 1/2 di quella distribuita per la tesi MIN
(C15+N1/2). Per il terzo anno consecutivo è stata effettuata una successione melanzana-scarola. Nel
caso della melanzana sono state confrontate tre varietà: l’ibrido Mirabelle e i due ecotipi Lunga
Napoletana e Cima Viola. Nel caso della scarola, l’ibrido Cuartana è stato confrontato con gli
ecotipi Centofoglie e Riccia Schiana. Pertanto, i trattamenti sono stati disposti secondo un disegno
a parcelle suddivise con quattro repliche: sulle parcelle principali, ampie 50 m2, erano applicate le
modalità di fertilizzazione, sulle sub-parcelle, ampie 16,5 m2, erano poste le varietà. La melanzana
è stata trapiantata il 1/6/2009 su striscie pacciamate in PE nero e secondo un investimento di 2
piante m-2. Sono stati somministrati 140 kg ha-1 di N distribuito il 40% in pre-trapianto e la restante
parte con sette fertirrigazioni. La scarola è stata piantata il 3/11/2009 su pacciamatura
biodegradabile in Mater-bi e secondo un investimento di 6,6 piante m-2. La concimazione azotata è
stata di 100 kg ha-1 distribuiti in pre-trapianto come Entec 26.
Risultati
I migliori risultati produttivi della melanzana sono stati ottenuti con la fertilizzazione C30 che è
stata significativamente superiore alla concimazione minerale e al controllo non concimato (Tab.
1). L’ammendamento integrato da azoto (C15+N1/2) ha prodotto risultati che sono comparabili sia
con C30 che con MIN. I risultati produttivi medi conseguiti con le diverse varietà hanno messo in
evidenza la netta superiorità dell’ibrido Mirabelle rispetto ai due ecotipi. Tra i due ecotipi non ci
sono differenze significative anche se Cima Viola è apparsa più vigorosa e leggermente più
produttiva di Lunga Napoletana; Cima Viola ha presentato una più alta produzione di scarto.
L’effetto dell’interazione tra fertilizzazione e varietà sulla produzione commerciabile è mostrato in
Figura 1. Appare evidente che la cultivar ibrida (Mirabelle) ha valorizzato la migliorata fertilità del
terreno trattato con C30 e C15+N1/2 in modo più efficiente degli ecotipi la cui capacità produttiva è
apparsa meno sensibile alla fertilità del suolo. In Tabella 2 sono mostrati i risultati produttivi
ottenuti con la scarola. Le strategie di fertilizzazione C30 e C15+N1/2 hanno consentito produzioni
del tutto equivalenti alla concimazione minerale nonostante il ciclo colturale invernale. I due
ecotipi di scarola hanno mostrato capacità produttive analoghe alla cv ibrida. L’ecotipo
Centofoglie è entrato in produzione due settimane dopo Cuartana e Riccia Schiana.
141
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1: Caratteristiche produttive di melanzana in relazione a tipo di fertilizzazione, varietà e loro interazione.
Figura
1.
Effetto
dell’interazione
Fertilizzazione x Varietà
sulla
produzione
commerciabile
di
melanzana
Tabella 2. Caratteristiche produttive di scarola in relazione a fertilizzazione, varietà e loro interazione
142
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Dinamica del C e dell’N Totale del Suolo in due Sistemi
Colturali Orticoli Fertilizzati da tre Anni con Compost
Luigi Morra1 , Gaetano Pizzolongo1 , Massimo Zaccardelli 2, Massimo Mascolo1
1
CRA-Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, [email protected]
2
CRA- Centro di Ricerca in Orticoltura, Pontecagnano (SA), IT, [email protected]
Introduzione
Le ricadute dell’ammendamento con compost quando ripetuto nel tempo, in sistemi colturali orticoli di
pieno campo, sono strettamente dipendenti dalla tessitura del terreno, dal clima, dalle quantità
impiegate, dall’intensità delle lavorazioni del terreno, dalle concimazioni, dalle specie coltivate in
successione. Lo studio dei cambiamenti indotti da questi fattori sulla dinamica del carbonio e dell’azoto
nel suolo ha l’obiettivo di comprendere l’efficacia degli ammendamenti sia riguardo al sequestro di
carbonio sia riguardo alla fertilità del suolo. Questo studio è finanziato dalla Regione Campania
nell’ambito del progetto “Centro Orticolo Campano”.
Metodologia
Le stesse strategie di fertilizzazione sono state applicate su un terreno limoso-sabbioso presso il CRACAT di Scafati e su un terreno franco-argilloso del CRA-ORT di Battipaglia: Controllo non
fertilizzato (CNT); Concimazione minerale completa definita in base alle Linee guida regionali per
le colture praticate (MIN); Fertilizzazione con compost da frazione organica dei rifiuti solidi
urbani (f.o.r.s.u.) alla dose annua di 30 t ha-1 come sostanza secca pari a circa 40 t ha-1 di tal quale
(C30); Fertilizzazione con compost da f.o.r.s.u. alla dose annua di 15 t ha-1 di sostanza secca (=20 t
ha-1 t.q.) + concimazione minerale azotata ad una dose pari a 1/2 di quella distribuita per la tesi
MIN (C15+N1/2). Le colture di melanzana e scarola sono state praticate sia a Scafati per il triennio
2007- 2009 che a Battipaglia per il biennio 2007-2008; in quest’ultima località nel terzo anno
sono stati coltivati pomodoro e finocchio. A Scafati le lavorazioni principali sono state la rippatura
seguita da una fresatura in preparazione del letto di trapianto e poche sarchiature che hanno
integrato la presenza di pacciamatura lungo le file. A Battipaglia, l’aratura a 30 cm e alcune
fresature interfilare sono state necessarie per ogni coltura. Alla fine di ogni successione annuale
(tra marzo e aprile) il terreno è stato campionato nel profilo 0-30 cm al fine di determinare C
organico totale e N totale. I dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza e le medie separate
con il test di Tukey HSD.
Risultati
Le variazioni nette del contenuto di N totale nel suolo dopo un triennio, hanno evidenziato che il suolo
di Scafati è soggetto ad un ritmo di mineralizzazione più alto di quello di Battipaglia con incrementi più
ridotti nel caso degli ammendamenti e perdite più sensibili nel caso dei trattamenti MIN e CNT (Fig. 1).
Tuttavia, il contenuto in N totale alla fine del terzo anno è sostanzialmente simile nei due terreni. Ciò è
dovuto in parte alla più elevata densità apparente del suolo (1,42 vs 1,26 kg dm-3 a Battipaglia e Scafati,
rispettivamente), in parte ai differenti livelli di partenza della sostanza organica (1,5 % a Battipaglia, 2%
a Scafati). Gli stock dei due suoli (v. ad esempio le tesi CNT), per quanto simili, non sono ugualmente
disponibili alle attività biologiche da cui dipende il rilascio di azoto nitrico per le colture. E’, comunque,
significativo l’incremento di N totale determinato in entrambe le località dalle due dosi di
ammendamento. Riguardo alla dinamica del C innescata dall’apporto di compost, la Tab. 1 conferma,
in parte, quanto osservato in precedenti esperienze. Al crescere della quantità di C organico immesso
nel suolo con il compost e i residui colturali, crescono sia le quote stoccate nel suolo che quelle perse
per mineralizzazione. Tuttavia, l’efficienza della conversione è più alta a Battipaglia ove si supera il
50% contro il 37% in media di Scafati. Ciò è da collegare alla maggiore presenza di argille (22%
vs 4% a Battipaglia e Scafati, rispettivamente) che svolgono un ruolo importante nella creazione
di microaggregati (<250 micron) in cui la protezione della sostanza organica dall’azione dei
143
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
micorganismi è più alta. Coerente a
queste osservazioni appare la
considerazione sulle variazioni di C
organico nella tesi CNT. Queste sono
state molto ridotte a Battipaglia (0.05 t
ha-1) e nettamente più alte e negative a
Scafati (- 4.0 t ha-1) ove una quota del
pool di C nel suolo non è,
verosimilmente,
protetta
in
microaggregati. Questo quadro è
comunque destinato ad evolvere nel
tempo mano a mano che si riduce la
frazione di C organico più facilmente
aggredibile.
Nella tesi MIN
nonostante che la dinamica del C sia
simile a quella in CNT, l’apporto di
concimi minerali dall’esterno riesce,
per il momento ad attenuare la perdità
di fertilità del terreno.
Figura 1. Contenuto di N totale e sua variazione
nel periodo
Mag 2007- Apr 2010, in due località e alla
profondità di 0-30 cm
Tabella 1. Efficienza di conversione del C
immesso con il compost in C organico
del suolo (SOC) nel profilo 0-30 cm, in
due località e nel periodo 2007-2010
Conclusioni
I dati raccolti indicano che dopo un triennio anche in un sistema colturale orticolo appare possibile
determinare incrementi di C organico del suolo già con dosi di compost di 15 t ha-1 di s.s. senza
diminuire la produttività colturale (v. Morra, Bilotto e Pizzolongo, in questo Convegno).
144
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti dell’Ammendamento con Compost da Sansa e da
Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani sullo Sviluppo e
la Produzione di Cavolfiore e Patata in Successione
Luigi Morra, Alfonso Pentangelo, Francesco Raimo, Gaetano Pizzolongo, Maurizio
Bilotto
CRA-Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, [email protected]
Introduzione
Il corretto impiego agronomico degli ammendanti compostati richiede la conoscenza delle dosi
d’impiego più appropriate e della eventuale necessità di integrarle con concimi minerali azotati.
Ciò dipende dalle caratteristiche dei compost (C/N, N tot, sostanza organica), dalle variazioni
stagionali della temperatura e dell’umidità del terreno. Da queste condizioni discende la possibilità
di contemperare l’efficacia della fertilizzazione organica in un sistema orticolo con il
miglioramento/conservazione del tenore di C organico del suolo. Questo contributo è stato reso
possibile dal finanziamento della Regione Campania-SeSIRCA del Progetto “Compostaggio dei
reflui oleari e valorizzazione agronomica e merceologica del compost ottenuto”.
Metodologia
Nell’azienda sperimentale del CRA-CAT a Scafati (SA), su terreno a tessitura limoso-sabbiosa
sono stati applicati 14 trattamenti di fertilizzazione replicati tre volte e derivanti dalla
combinazione fattoriale di tre ammendanti impiegati in due dosi (10 e 20 t ha-1 di sostanza secca),
integrati o no da azoto di sintesi in dose pari a metà di quella distribuita con la concimazione
minerale piena; un controllo non fertilizzato e un altro a concimazione minerale hanno completato
il set di trattamenti. Gli ammendanti impiegati sono stati: Compost da frazione organica dei rifiuti
solidi urbani (FORSU); Compost da sansa ottenuto da compostaggio in cumulo statico di sansa
olearia vergine, letame e paglia dopo 4 mesi di maturazione; Ammendante ottenuto per
miscelazione e insacchettamento di sanse umide, paglia e cascami di cotone (met. Matrefo) dopo
12 mesi di maturazione. Tutti questi materiali sono stati distribuiti e interrati il 23 luglio 2009.
Due colture ortive sono state praticate in successione sulle stesse parcelle: cavolfiore (cv Megha) a
ciclo breve allevato dal 30 luglio al 9 ottobre 2009; patata novella (cv Adora) allevata dal 1 marzo
al 3 giugno 2010.
Risultati
L’ammendante Matrefo ha mostrato un effetto di concimazione più pronto rispetto al compost da
FORSU ed a quello da sansa in ordine decrescente (Tab. 1).
Infatti, in presenza
dell’ammendamento con Matrefo alla dose 10 e 20 integrata da azoto di sintesi e alla dose 20 non
integrata, il cavolfiore in ciclo precoce si è particolarmente avvantaggiato della migliore
disponibilità di azoto accumulando più sostanza secca nell’intera pianta e nel corimbo, riducendo
di sette giorni il tempo medio di raccolta, con una produzione più alta e corimbi più pesanti. Il
compost da FORSU. ha avuto un comportamento intermedio mentre quello da sansa ha
chiaramente mostrato, quando impiegato alle dosi 10 e 20 non integrate da azoto, di essere
caratterizzato da un tasso di mineralizzazione dell’azoto molto basso e di peggiorare
l’accrescimento e la produzione di cavolfiore rispetto al controllo non fertilizzato. L’addizione di
55 unità ha-1 di azoto minerale non è stata sufficiente a portare i parametri misurati al livello delle
altre tesi.
La patata coltivata in successione al cavolfiore, ha permesso di studiare l’effetto residuo degli
ammendamenti con i diversi materiali in un periodo stagionale caratterizzato da temperature del
terreno sub-ottimali per le attività microbiologiche e coincidente con la fase del ciclo colturale
della patata in cui è concentrato il maggior fabbisogno azotato. La Tabella 2 mostra che
145
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
l’integrazione con azoto minerale (80 kg ha-1) ha avuto un effetto decisivo nel migliorare
accrescimento vegetativo, accumulo di sostanza secca e produzione di patata novella rispetto alle
tesi senza integrazione per ogni tipologia di ammendante e a qualunque dose di applicazione. Il
compost di sansa e, in minor misura, quello di FORSU in assenza di integrazione azotata hanno
determinato accrescimenti più ridotti e performance produttive al livello del controllo non
concimato.
Tabella 1. Parametri relativi alla produzione e all’accrescimento di cavolfiore in relazione al tipo di fertilizzazione.
Tabella 2: Effetto residuo sulla crescita e la produzione di patata novella, delle diverse combinazioni ammendante x dose
x integrazione di azoto minerale.
146
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Gestione della fertilizzazione e produttività del guado (Isatis
tinctoria L.) nella collina marchigiana
R. Orsini1, G. Seddaiu2, M. Perugini1, G. Iezzi1, M. Bianchelli1, L Serrani1, R.
Santilocchi1
1
2
Dip. Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle Marche, IT, [email protected]
Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli Studi di Sassari, IT, [email protected]
Introduzione
La Isatis tinctoria L., altrimenti conosciuta con il termine di guado, è una pianta della famiglia delle
brassicaceae (o cruciferae) a ciclo biennale. Il guado è una pianta di origine asiatica, in Italia è diffusa
particolarmente al Nord in Val d'Aosta, Piemonte Liguria e Veneto, in alcune regioni del centro come
Toscana, Umbria Lazio e Marche e del sud come Abruzzo. È presente anche in Sicilia e Sardegna (in
questa seconda isola particolarmente nella sottospecie canescens).Il guado fa parte delle cosiddette
piante da blu. Il colorante si estrae dalle foglie di questa pianta raccolte durante il primo anno di vita.
Dopo macerazione e fermentazione in acqua si ottiene una soluzione giallo verde che agitata e ossidata
produce un precipitato (indigotina). Il colorante, molto solido, è utilizzabile nella tintura della lana, seta,
cotone, lino e juta, ma anche in cosmetica e colori pittorici. Fu coltivato in Italia almeno dal XIII secolo
fino alla seconda metà del XVIII quando la concorrenza dell'indaco asiatico e americano ne ridusse
drasticamente la produzione. Un rinnovato e crescente interesse verso i prodotti naturali ha
incoraggiato, nel contesto agricolo europeo, la reintroduzione delle colture che producono indaco (Sales
E. et al, 2006). Il lavoro di seguito descritto rientra in un Progetto di Ricerca che si pone, come obiettivo
generale, la riqualificazione e differenziazione dell'attività agricola marchigiana con lo scopo di fornire
ai produttori primari nuove fonti di reddito. Nello specifico il lavoro, del quale sono forniti solamente i
risultati preliminari, si pone l’obiettivo di identificare un protocollo di tecnica agronomica a basso
impatto ambientale per introdurre e diffondere nel territorio marchigiano la coltivazione di guado. Il
lavoro descritto è parte di un progetto di ricerca finanziato con Fondi della Regione Marche nell’ambito
del Piano di Azione Bieticolo – Saccarifero (PABS) 2009-2010 ed è svolto in collaborazione con i
Ricercatori della Sez. di Microbiologia Alimentare, Industriale ed Ambientale del Dipartimento
SAIFET dell’Università Politecnica delle Marche.
Metodologia
La sperimentazione è stata avviata nel 2009 in un’azienda ubicata in località Montefiore dell’Aso (AP).
Il campo sperimentale ha dimensioni pari a 3 ha, esposizione a S-SE, pendenza media del 4%, terreno
di medio impasto e altitudine di 50 m s.l.m..
La preparazione del letto di semina del guado è stata molto accurata ed ha previsto una scarificatura a
30 cm e diversi affinamenti per favorire un intimo contatto tra il seme (di minute dimensioni) ed il
terreno. La semina è avvenuta in novembre attraverso una seminatrice pneumatica ed è stata seguita da
rullatura. La distanza tra le file è stata di 50 cm. Il controllo della flora infestante è avvenuto
chimicamente in pre-emergenza e meccanicamente in post-emergenza.
Sono state confrontate due differenti tecniche di concimazione ed un trattamento di controllo ad input
zero. Per le differenti tecniche di concimazioni è stato previsto:
- trattamento con fertilizzazione minerale (M): 70 unità ha-1 di N somministrate in aprile e 46 unità ha-1
di N dopo ogni sfalcio per un totale di 162 unità ha-1 di N;
- trattamento con fertilizzazione organica (O): 36 unità ha-1 di N somministrate in aprile e 18 unità ha-1
di N dopo ogni sfalcio per un totale di 72 unità ha-1 di N.
- trattamento di controllo ad input zero (C) per il quale non è stato previsto alcun apporto di
fertilizzante. Il disegno sperimentale adottato è a blocchi completi randomizzati con 3 repliche.
Le variabili misurate riguardano:
- la quantificazione delle componenti della biomassa epigea attraverso lo sfalcio programmato di piante
campione;
147
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
- la determinazione diretta, attraverso misure planimetriche, della superficie fogliare;
- rilievi di fittezza colturale e copertura del suolo.
A partire dalle variabili descritte, sono state calcolate le produzioni attese per il primo dei tre sfalci
previsti al fine di fornire indicazioni oltre che di tipo agronomico sull’effetto dei trattamenti a confronto,
anche sull’efficienza delle fasi di raccolta meccanica e le rese estrattive in indaco.
Risultati e discussione
I risultati preliminari hanno mostrato significative differenze tra i trattamenti per quali è stata prevista
fertilizzazione (M ed O) ed il trattamento di controllo ad input zero (C) in termini sia di peso, numero ed
espansione delle lamine fogliari che di fittezza colturale (Tabella 1).
Le differenze in termini di produzioni di biomassa sono state associate alla maggiore disponibilità in
nutrienti delle piante dei trattamenti M ed O rispetto a quelle del trattamento C. In merito alla fittezza, le
significative differenze riscontrate, sono state associate al minor sviluppo epigeo del trattamento C che
non ha garantito un’efficace azione soffocante nei confronti della flora infestante. Questo
comportamento non è stato osservato in M ed O dove, in seguito all’apporto di fertilizzante avvenuto in
data 1 aprile, la coltura ha risposto in maniera repentina colonizzando l’interfila e svolgendo di fatto
un’azione di contenimento dello sviluppo della flora spontanea fino al momento dello sfalcio avvenuto
il 15 giugno 2010.
Tabella 1 Numero di lamine espanse, superficie fogliare (m2), peso secco delle lamine (g) fittezza (piante m-2) e produzione
epigea (t ha-1) del guado nei diversi trattamenti a confronto. M = fertilizzazione minerale, O = fertilizzazione organica; C =
trattamento di controllo ad input zero.
n. lamine
espanse
Superficie
fogliare (m2)
P. secco
lamine (g)
Fittezza
(piante m-2)
M
130 a
0.3 a
27 a
10.5 a
2.8 a
O
110 ab
0.2 a
22 a
8.9 ab
1.9 ab
C
51 b
0.1 b
10 b
7.1 b
0.7 b
Trattamento
Produzione epigea
(t ha-1 di s.s.)
ANOVA: nell’ambito di ogni variabile, valori seguiti da lettere diverse, sono risultati significativamente differenti per P <
0.05
Conclusioni
I risultati preliminari descritti nel presente lavoro mettono in evidenza come il guado, anche se
fertilizzato con modesti apporti di tipo minerale o organico, risponda in maniera soddisfacente in
termini di produzione di biomassa. Il trattamento di controllo ad input zero non ha manifestato
performance produttive soddisfacenti per il modesto insediamento e per le ridotte produzioni di
biomassa fogliare legate principalmente oltre che al mancato apporto di nutrienti anche al limitato
potere soffocante nei confronti della flora infestante.
Le successive fasi del lavoro prevedono la prosecuzione della campagna di rilevamento dei dati
biometrici, il confronto tra produzioni attese ed osservate ed il rendimento in termini estrattivi dei
differenti trattamenti oggetto dello studio.
Bibliografia
Sales E. et al. 2006. Sowing date, translanting, plant density and nitrogen fertilization affect indigo production from Isatis
species in a Mediterranean region of Spain. Industrial Crops and Products, 23: 29-39.
148
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Modellizzazione della Germinazione dei Semi di Sorgo
Zuccherino (cv. Keller) in Condizioni di Stress Idrico
Attraverso la Hydrotime analysis
Cristina Patanè1, Alessandro Saita2
1
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
2
DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, [email protected]
Introduzione
In ambienti a clima caldo-arido quali la Sicilia, il contenuto idrico del terreno alla semina risulta spesso
insufficiente per sostenere la germinazione del seme, che pertanto si riduce o viene ritardata,
determinando uno scarso insediamento della coltura. Quando il potenziale idrico (ψ) del mezzo di
imbibizione si riduce, la germinazione del seme può essere infatti rallentata o inibita. L’Hydrotime
model permette di descrivere la risposta germinativa del seme alla riduzione di ψ (Gummerson, 1986).
In questa ricerca, è stato analizzato il comportamento germinativo dei semi di una cultivar di sorgo
zuccherino in condizioni di ridotta disponibilità idrica, attraverso l’Hydrotime model.
Metodologia
La ricerca è stata condotta sulla cv. Keller di sorgo zuccherino. I test di germinabilità sono stati
effettuati a 25°C (temperatura ottimale) e 15°C (temperatura subottimale), su campioni di 200 semi (4
repliche di 50 semi ciascuna) posti in scatole Petri. Sono stati studiati 6 livelli di potenziale idrico della
soluzione di imbibizione (ψ): 0, -0,2, -0,4, -0,6, -0,8 e -1,0 MPa. Le soluzioni osmotiche sono state
preparate con concentrazioni diverse di polietilenglicole (PEG) in acqua distillata (Michel e Kaufmann,
1973). Le scatole Petri sono state chiuse ermeticamente con Parafilm per prevenire le perdite per
evaporazione. La germinazione è stata registrata giornalmente sui semi con una radichetta di almeno 2
mm di lunghezza. A fine prova è stata calcolata la germinabilità finale (%). Per la stima del potenziale
idrico di base (ψb) per la germinazione di frazioni diverse (g) di ciascun lotto di semi (10, 50 e 90%), è
stata adottata una regressione lineare del reciproco del tempo teorico di germinazione (1/tg o GRg) vs. ψ
(Gummerson, 1986). L’Hydrotime viene definito come segue:
θH = [ψ – ψb(g)] tg
(1)
dove θH = Hydrotime (MPa h) richiesto per la germinazione della frazione g di semi; ψ = potenziale
idrico della soluzione di germinazione; ψb(g) = potenziale idrico teorico di base in corrispondenza del
quale la germinabilità si riduce a g; tg = tempo teorico di germinazione della frazione g di semi.
Per la stima di ψb(g) di tutte le percentuali di semi germinati (valori osservati) a ciascun tg, l’equazione
(1) è stata così modificata:
(2)
ψb(g) = ψ – (θH/tg)
dove ψ = potenziale idrico della soluzione di germinazione; θH = Hydrotime medio delle frazioni di
seme g (10, 50 e 90%) calcolato dall’inverso del coefficiente b delle regressioni lineari di GRg vs. ψ
(Kebreab e Murdoch, 1999). Allo scopo di linearizzare l’andamento della germinabilità cumulata, è
stata adottata una regressione lineare dei valori percentuali di germinabilità (su scala di probabilità) vs.
ψ – (θH/tg) che equivale a ψb(g). L’inverso del coefficiente b della regressione lineare corrisponde alla
deviazione standard σψb della popolazione di semi (Kebreab e Murdoch, 1999). Il punto sulla retta di
regressione corrispondente a probit= 0 (50% di germinabilità) fornisce il valore di ψb(50) (ψb per il 50%
di germinabilità). θH, ψb(50) e σψb così stimati, rappresentano i parametri dell’Hydrotime, che variano con
la temperatura. L’equazione della regressione lineare diviene pertanto la seguente:
(3)
probit (g) = [ψ – (θH/tg) – ψb(50)]/σψb
Questa equazione modellizza la germinazione in risposta a differenti potenziali idrici del mezzo di
imbibizione (Bradford, 1990).
149
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Conclusioni
L’Hydrotime è un modello che può essere largamente
impiegato nella previsione della risposta germinativa
dei semi a qualsiasi potenziale idrico, sulla base di tre
parametri della popolazione di semi: θH, ψb(50) e σψb.
L’analisi, quando estesa a un ampio numero di
genotipi, risulta utile anche nella selezione di linee e/o
cultivar in grado di germinare in condizioni di spinto
deficit idrico del terreno, quali si verificano spesso
nelle zone semi-aride del Sud Italia. Tale approccio
appare valido nella previsione della germinazione dei
semi della cv. Keller di sorgo zuccherino in
condizioni di stress idrico. Si rendono tuttavia
necessari esperimenti in pieno campo, con semine in
epoca anticipata (Marzo-Aprile) e ottimale (Maggio),
per verificare la validità del modello, accertata in
laboratorio, nella previsione della germinabilità dei
semi in condizioni di limitata disponibilità idrica.
Bibliografia
100
25°C
Germinabilità cumulata (%)
80
60
ψ (MPa)
0
- 0.2
- 0.4
- 0.6
- 0.8
-1.0
40
20
100
0
15°C
80
60
40
20
0
0
50
100
150
200
250
300
Tempo (ore)
Figura 1. Andamento della germinabilità
in relazione al potenziale idrico (ψ).
Germinabilità cumulata (%, scala di probabilità)
Risultati
La germinazione dei semi ha mostrato un progressivo
ritardo al diminuire del potenziale idrico della
soluzione di imbibizione, ad entrambe le temperature
di germinazione (Fig. 1). La germinabilità finale si è
inoltre ridotta al crescere del livello di stress idrico
sino a valori di 60 e 30% circa, rispettivamente a 25°
e 15°C.
Attraverso l’analisi probit della regressione lineare dei
valori di germinabilità cumulata vs. potenziale idrico di
base, sono stati calcolati i parametri della equazione (3)
(Fig. 2). E’ stata effettuata una analisi separata per le due
temperature poiché il potenziale idrico di base varia con
la temperatura. L’Hydrotime analysis ha infatti
evidenziato come θH non si mantiene costante alle due
temperature (Tab. 1). L’analisi rivela inoltre come a
15°C i semi della cv. Keller di sorgo zuccherino
richiedono un θH maggiore rispetto al valore
corrispondente alla temperatura ottimale, sebbene il
potenziale di base ψb(50) (-1,29 MPa) a 15°C non si
discosti molto da quello stimato a 25°C (-1,38 MPa). La
deviazione standard di ψb decresce con la temperatura
(da 0,29 a 0,21), dimostrando una maggiore uniformità
di distribuzione del potenziale di base all’interno del lotto
di semi, a temperatura subottimale di germinazione.
99.99
99.9
99
90
70
50
30
10
ψ (MPa)
0
- 0.2
- 0.4
- 0.6
- 0.8
-1.0
25°C
99.99
99.9
99
90
70
50
30
10
15°C
1
-2.2 -2.0 -1.8 -1.6 -1.4 -1.2 -1.0 -0.8 -0.6
Potenziale idrico di base ψb(g) (MPa)
Figura 2. Analisi probit dell’andamento del
germinabilità in relazione al potenziale
idrico di base.
Tab. 1. Parametri dell’Hydrotime model per la
previsione dell’andamento della germinabilità
a potenziali idrici diversi in sorgo zuccherino
cv. Keller.
Temperatura θH
σψb
ψb(50)
Bradford K.J. 1990. A water relations analysis of the seed
r2
(°C)
(MPa h) (MPa) (MPa)
germination rates. Plant Physiol., 94:840-849.
25
43.6
-1.38
0.29
0.90
Gummerson R.J. 1986. The effect of constant temperatures and
15
114.5
-1.29
0.21
0.86
osmotic potential on the germination of sugar beet. J. Exp. Bot.,
37:729-741.
Kebreab E., Murdoch A.J. 1999. Modelling the effects or water
stress and temperature on germination rate of Orobanche aegyptiaca seeds. J. Exp. Bot., 50:655-664.
Michel B.E., Kaufmann M.R. 1973. The osmotic potential of polyethylene glycol 6000. Plant Physiol., 51:914-916.
150
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Efficienza Traspirativa in Popolazioni di Pomodoro da Serbo
Reperite nel Meridione d’Italia
Cristina Patanè1, Salvatore La Rosa1, Michele Minardo2, Sebastiano Scandurra2, Orazio
Sortino2
1
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
2
DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, [email protected]
67 DAT
-1
Resa totale (q ha s.f.)
160
140
120
100
80
60
40
140
120
100
80
60
40
74 DAT
V1
V2
V3
V4
V5
V6
V7
V8
V9
V10
V11
V12
V13
V14
V15
V23
V24
V25
V26
V27
V28
V33
V34
V35
V37
V38
V41
-2 -1
E (mg H2O m s )
Introduzione
Il pomodoro da serbo è una coltura tipica delle regioni mediterranee, verso la quale di recente si sta
rivolgendo un certo interesse, sia per salvaguardare un patrimonio genetico altrimenti destinato a
estinzione, sia per le sue proprietà agronomiche, essendo tradizionalmente effettuata senza apporti
irrigui. Quest’ultimo aspetto riveste una importanza di non poco rilievo, soprattutto nei paesi a clima
caldo-arido come la Sicilia. Nell’ambito di una più ampia attività di ricerca rivolta alla caratterizzazione
e valorizzazione di ecotipi di pomodoro da serbo, è stato condotto uno studio delle relazioni acquapianta e un primo screening tra gli ecotipi su basi fisiologiche, al fine di individuare i meccanismi
adattativi che regolano il mantenimento dell’attività fisiologica della pianta in condizioni di spinto
deficit idrico del terreno, che potrebbero essere proficuamente utilizzati in programmi di miglioramento
genetico per la resistenza allo stress idrico nel pomodoro da industria e da mensa.
Ecotipo
Fig. 1. Traspirazione fogliare a 67 e 74 DAT.
Le barre verticali indicano l’es. La linea
orizzontale indica la media.
1000
800
600
400
200
0
70
80
90
100
110
120
130
140
-2 -1
E (mg H2O m s )
Fig. 2. Relazione tra traspirazione fogliare (E) a 67
DAT e produzione finale.
Metodologia
La ricerca è stata condotta su 27 ecotipi di pomodoro da serbo reperiti nel Meridione d’Italia,
appartenenti alla collezione in atto presso la sede di Catania del CNR-ISAFOM, Gli ecotipi sono stati
trapiantati il 19 Aprile 2007 presso l’Azienda Sperimentale della Facoltà di Agraria dell’Università
degli Studi di Catania. E’ stato adottato un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con tre repliche
e un investimento unitario di 3,3 piante m-2. Prima del trapianto sono stati distribuiti 150, 100 e 100 kg
ha-1 rispettivamente di N (nitrato ammonico), P (perfosfato minerale) e K (potassio solfato). Le piante
sono state irrigate solo al trapianto, distribuendo un volume di acqua di 400 m3ha-1 circa. Il 25 Giugno
ed il 2 Luglio, cioè a 67 e 74 giorni dal trapianto (DAT), quando le piante si trovavano in fase di
ingrossamento delle bacche dei primi palchi fruttiferi, tra le ore 12 e le ore 13, per ciascuna parcella è
stata misurata la traspirazione fogliare (E) mediante porometro ‘steady state’ Li-Cor 1600. Tra il 10 ed
il 23 Luglio, è stata eseguita una prima raccolta di bacche a maturazione completa, prelevate tra il I e II
palco. La raccolta finale è stata eseguita i primi di Agosto. Per ciascuna raccolta è stata determinata la
produzione totale.
151
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
Tab. 1. Produzione totale, traspirazione fogliare a
La E media a 67 DAT è
67 DAT ed efficienza d’uso dell’acqua
traspirata nei diversi ecotipi di pomodoro
risultata pari a 117.9±12.2 mg
da serbo esaminati.
H2O m-2s-1, valore prossimo a
quello accertato nel pomodoro
Efficienza di uso
H2O
Resa
da
industria
irrigato
traspirata dell’acqua traspirata
Ecotipo
(g s.f. m-2) (mg
-2 -1
m
s
)
(g s.f. mg-1 H2O)
restituendo il 50% della ETc
V1. Locale di Arnesano
4,525.6
116.2
38.9
(Patanè et al., 2009). I livelli V2. Locale di Altamura
4,259.7
127.3
33.5
traspirativi più alti (> 137 mg V3. Kachi di Sciacca
3,401.5
110.8
30.7
-2 -1
H2O m s ) sono stati V4. Pizzutello di Sciacca
2,580.4
101.1
25.5
3,464.5
registrati nelle locali di Pollara V5. Pomodorino di Licata
116.9
29.6
6,104.0
114.3
53.4
(V41) e di Custonaci 2 (V12), V6. Pizzutello di Licata
Buttigghieddu d’appenniri
5,196.7
117.9
44.1
che hanno mantenuto livelli V7.
V8. Pizzutello di Montallegro
3,927.7
115.3
34.1
traspirativi sopra la media, V9. Mezzocachi di Montallegro 7,057.0
126.7
55.7
anche a 74 DAT. Al II rilievo, V10. Pizzottello di Montallegro 6,930.9
114.6
60.5
V11. Locale do Custonaci 1
3,824.2
128.4
29.8
la
2,095.7
137.5
15.2
E si è lievemente ridotta a V12. Locale do Custonaci 2
Giallo di Basicò
1,493.4
123.8
12.1
causa dell’innalzamento della V13.
V14. Rosso di Basicò
1,854.4
112.6
16.5
temperatura dell’aria e della V15. Mazzarrà S. Andrea
2,782.7
122.3
22.8
progressiva senescenza delle V23. Locale di Salina 1
2,450.6
79.6
30.8
4,794.0
129.0
37.1
piante, già prossime alla V24. Locale di Salina 2
4,545.9
120.9
37.6
completa maturazione delle V25. Locale di Salina 3
5,083.0
V26. Locale di Salina 4
130.7
38.9
bacche del primo palco V27.
4,615,4
Locale di Salina 5
113.4
40.7
fruttifero (Fig. 1). La V28. Locale di Filicudi
4,456.6
115.9
38.5
produzione di bacche è V33. Locale di Pantelleria
3,088.3
128.8
24.0
2,218.0
101.5
21.9
risultata in media pari a 41,8 t V34. Pomodoro del Vesuvio
-1
5,689.7
120.5
47.2
ha . Si sono distinti per V35. Locale di Salina 6
Pomodoro di Ercolano
2,409.2
107.1
22.5
produttività la ‘Locale di V37.
V38. Principe Borghese
4,625.2
111.6
41.4
Pollara’ (V41) con una resa di V41. Pollara
9,394.6
138.1
68.0
-1
oltre 90 t ha , ed i due tipi
-1
provenienti da Montallegro (V9 e V10), con rese di circa 70 t ha . Tali rese appaiono, peraltro,
comparabili a quelle accertate nel pomodoro da industria coltivato con il pieno soddisfacimento idrico,
in prove condotte in Sicilia, sia in collina che in località costiera (Patanè e Cosentino, 2010).
Dallo studio della relazione tra traspirazione fogliare a 67 DAT e resa finale, descritta da una funzione
polinomiale di I grado, è emerso come al crescere del livello traspirativo la produzione tende ad
aumentare (Fig. 2). Tuttavia, la elevata dispersione dei valori di resa in corrispondenza dei livelli
traspirativi più alti (> 110 mg H2O m-2s-1) indica come a parità di acqua traspirata esiste una diversa
efficienza tra i vari ecotipi e, pertanto, una diversa produzione. A tal proposito, considerando i valori
della traspirazione a 67 DAT e la produzione totale di bacche, è stata calcolata l’efficienza di uso
dell’acqua traspirata. Dai risultati ottenuti è emersa una elevata efficienza nella locale di Salina
originaria della zona di Pollara (V41) e nei due ecotipi provenienti da Montallegro (V9 e V10). Per
contro, di ridotta efficienza è risultata la locale 2 di Custonaci (V12) che, a fronte di alti livelli
traspirativi, ha fornito una resa in bacche alquanto contenuta (20 t ha-1 circa) (Tab. 1).
Conclusioni
La diversa efficienza d’uso dell’acqua accertata tra i genotipi può rappresentare un valido strumento di
discriminazione da utilizzare nei programmi di miglioramento genetico per la resistenza allo stress
idrico nel pomodoro.
Bibliografia
Patanè C., Cosentino S.L. 2010. Effects of soil water deficit on yield and quality of processing tomato under a
Mediterranean climate. Agric. Water Manage., 97:131-138.
Patanè C. et al. 2009. Effetti dell’ambiente di coltivazione caldo-arido sul flusso traspirativi in pomodoro da industria.
XXXVIII Convegno Nazionale della Società Italiana di Agronomia, Firenze, 21-23 Settembre, pp. 255-256.
152
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetto Residuo dell’Ammendamento del Terreno con
Compost da Sansa e da Forsu sul Comportamento Fisiologico,
Produttivo e Qualitativo della Patata Comune
Alfonso Pentangelo, Francesco Raimo, Gaetano Pizzolongo, Maurizio Bilotto, Luigi
Morra
CRA- Unità di ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT, [email protected]
Introduzione
La patata raccolta a completa maturazione fisiologica della pianta, da destinare al consumo fresco anche
dopo conservazione (cosiddetta patata comune), rappresenta una delle orticole da pieno campo più
importanti a livello nazionale (circa 50 mila ettari nel 2009 con oltre 13 milioni di t).
La concimazione della patata, azotata soprattutto, assume un’importanza fondamentale sia per gli aspetti
produttivi che qualitativi dei tuberi. Scopo principale di questo lavoro è quello di verificare gli effetti
residui di alcuni ammendanti organici, utilizzati nell’anno precedente, sulla coltivazione della patata
comune.
Metodologia
La prova, condotta a Scafati (SA) nel 2010, ha previsto il confronto fra 14 trattamenti di fertilizzazione
replicati tre volte e derivanti dalla combinazione fattoriale di tre ammendanti impiegati in due dosi, 10 t
ha-1 (D1) e 20 t ha-1 di sostanza secca (D2), integrati o meno da azoto minerale (N/2 e N0,
rispettivamente) in dose pari alla metà di quanto distribuito nella tesi MIN; un controllo non fertilizzato
(test NC) e un altro a concimazione minerale (MIN) hanno completato il set di trattamenti. Gli
ammendanti impiegati sono stati: compost da Forsu (C1); compost da sansa ottenuto da compostaggio in
cumulo statico di sansa olearia vergine, letame e paglia dopo 4 mesi di maturazione (C2); ammendante
ottenuto per miscelazione e insacchettamento di sanse olearie umide, paglia e cascami di cotone (met.
Matrefo) dopo 12 mesi di maturazione (C3). Tutti questi materiali sono stati distribuiti e interrati il 23
luglio 2009. La concimazione minerale, basata sulle dotazioni del terreno e sulle asportazioni della
coltura, ha previsto il solo apporto di azoto (160 Kg ha-1), distribuito per il 50% in pre-“semina” (come
solfato ammonico) e per la restante parte al momento della rincalzatura (come nitrato ammonico). Il
suolo che ha ospitato la prova, è risultato mediamente fornito di azoto totale (1,3 g/Kg), con elevata
dotazione di fosforo (230 mg/Kg di P2O5) e di potassio (430 mg/Kg di K2O), buon contenuto di sostanza
organica (2,5%), C/N pari a 11 e reazione neutra.
E’ stata utilizzata Adora, una delle varietà di patata più coltivata in Campania. I tuberi-seme (frazionati),
sono stati piantati l’1 marzo, ad una densità di 6,25 parti di tubero/m2 su parcelle della dimensione di 16
m2.
Alla raccolta, effettuata il 24 giugno (a 115 gg-“semina”), è stata determinata la produzione (totale e
commerciale) e valutati i principali aspetti qualitativi dei tuberi.
Risultati
Come evidenziato in Tabella 1, l’apporto di appena 80 Kg ha-1 di N in tutte le tesi ammendate ha
permesso alle piante di raggiungere l’80% circa di copertura del terreno già a 60 gg-“semina”, mentre a
90 giorni tutte le tesi ammendate senza integrazione di azoto non avevano ancora raggiunto la completa
chiusura delle file; solo le piante delle tesi ammendate con C3 hanno mostrato a 90 giorni valori di
copertura simili nelle parcelle integrate e non da azoto. Il maggior rilascio di azoto nel terreno trattato
con C3 è coerente con il più alto rigoglio vegetativo e la maggiore suscettibilità agli attacchi parassitari.
La produzione totale di tuberi ha evidenziato i valori significativamente più elevati (intorno a 41 t ha-1)
in tutte le parcelle ammendate e integrate da azoto e nel test MIN mentre i valori più bassi sono stati
forniti dal test NC e dalle tesi ammendate con C1 e C2 senza apporto di azoto (Fig. 1). Solo le parcelle
ammendate con C3 (indipendentemente dalle due dosi) senza integrazione di azoto hanno fornito valori
produttivi (36 t ha-1 in media) statisticamente non differenti dalle rispettive parcelle addizionate con
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
azoto minerale. La frazione commerciale di tuberi (φ 45-75 mm) è risultata mediamente molto alta
(>80%) e simile tra tutte le tesi. Il peso medio dei tuberi non è risultato molto differente fra le tesi a
confronto, mentre il numero di tuberi per pianta è apparso positivamente influenzato solo
dall’integrazione con azoto; i valori in assoluto più elevati (> di 7 tuberi/pianta) sono stati riscontrati
nelle tesi ammendate con C3 ed integrate da azoto minerale. Il contenuto di sostanza secca dei tuberi,
risultato mediamente elevato (19.3%), ha evidenziato un andamento inverso a quello produttivo; i valori
statisticamente più elevati sono stati ottenuti nelle parcelle meno produttive, mentre quelli più bassi, ma
comunque entro limiti qualitativi accettabili (intorno al 18%) nella tesi MIN e nelle due tesi ammendate
con C3 e integrate con 80 Kg ha-1 di N minerale.
Conclusioni
L’effetto residuo dell‘ammendamento del terreno con compost da Forsu e da Sansa alla dose di 10 t ha-1
di sostanza secca integrate da 80 Kg ha-1 di N, ha permesso di ottenere soddisfacenti risultati produttivi e
qualitativi su patata comune coltivata in successione ad una coltura estiva-autunnale di cavolfiore.
Tuttavia, dopo il primo anno di ammendamento, soltanto l’ammendante Matrefo (C3) ha fatto ottenere
soddisfacenti livelli produttivi ed ottima qualità dei tuberi anche senza alcun apporto di azoto minerale.
Tabella 1. Comportamento delle piante durante il ciclo e principali caratteristiche dei tuberi alla raccolta
Tesi a confronto
Dosi
Compost Azoto
t ha-1
Kg ha-1
Copertura terreno
Rigoglio Stato fito- Tuberi/
Peso
Sost. secca
60 gg90 gg- vegetativo sanitario
pianta
tuberi
tuberi
%
%
(1)
(2)
n°
g
%
Test NC
42 d
75 bc
2.9 abc
4.4 abc
5.2 c
85.0 ns 20.2 a
Test MIN
160
81 ab
100 a
4.1 abcde
3.7 bc
6.8 ab
92.2
17.6 d
Compost da
10
0
47 d
82 b
3.1 fg
4.6 ab
5.1 c
89.9
20.4 a
Forsu (C1)
10
80
76 ab
100 a
4.0 bcde
4.0 abc
6.3
98.5
18.5 bcd
20
0
50 d
83 b
3.5 ef
4.6 ab
5.7 bc
91.6
20.0 ab
20
80
74 abc
100 a
4.7 a
3.9 abc
6.8 ab
95.9
19.2 abc
Compost da
10
0
43 d
70 c
2.8 g
4.8 a
5.2 c
81.0
20.5 a
sansa (C2)
10
80
74 abc
100 a
4.2 abcde
4.2 abc
6.9 ab
95.8
19.4 abc
20
0
46 d
70 c
3.0 fg
4,6 ab
5.1 c
82.2
20.5 a
20
80
77 ab
100 a
4.3 abcd
4.1 abc
6.5 ab
99.2
19.1 abc
Ammendante
10
0
62 bc
92 a
3.7 de
4.6 ab
6.4
90.0
19.4 abc
“Matrefo”
10
80
84 a
100 a
4.4 abc
3.6 c
7.1 a
92.8
18.2 cd
(C3)
20
0
72 bc
97 a
3.7 cde
3.6 c
6.1
94.1
18.5 bcd
20
80
88 a
100 a
4.7 a
3.7 c
7.3 a
93.3
18.3 cd
(1) scala di valori compresa tra 1 (ridotto) e 5 (eccessivo); (2) scala di valori compresa tra 1 (pessimo) e 5 (ottimo)
t ha
-1
Figura 1. Produzione di tuberi distinta nelle tre principali classi di calibro
50
40
30
20
10
0
ab
ab
bcd
cd
abcd
abc
a
d
a
abcd
a
abcd
a
d
> 75 mm
40-75 mm
< 40 mm
D1N0 D1N/2 D2N0 D2N/2
NC
MIN
C1
D1N0 D1N/2 D2N0 D2N/2
C2
D1N0 D1N/2 D2N0 D2N/2
C3
I valori contrassegnati con le stesse lettere non differiscono statisticamente per P≤0,05 (SNK-test)
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Irrigazione in deficit su Amaranthus sp.
Cataldo Pulvento, Maria Riccardi, Antonella Lavini, Riccardo d’Andria
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM), Napoli, IT, [email protected]
Introduzione
L’Amaranto (Amaranthus sp.) è una coltura antica proveniente dal centro-sud America, dove era
coltivata già 5000-7000 anni fa dalle antiche civiltà degli Aztechi e degli Inca (Stallknecht e SchulzSchaeffer, 1993; Kauffmann and Weber 1990). I semi di Amaranto hanno un elevato contenuto di
proteine (14-18%) e un profilo amminoacidico equilibrato. Sono eccellenti fonti di lisina, amminoacido
essenziale limitante nella maggior parte dei cereali convenzionali come riso e mais. Il contenuto di
lisina dei semi di Amaranto è circa il doppio rispetto a quello delle proteine del grano (Wue et al., 2000;
Bressani 1994). Notevole è anche il contenuto di arginina e istidina che li rende interessanti per la
nutrizione infantile (Berghofer and Schoenlechner, 2002). Negli ultimi 20 anni l’Amaranto ha catturato
una attenzione sempre maggiore oltre che per l’elevato valore nutrizionale dei semi anche per la sua
resistenza a stress biotici ed abiotici (Wue et al., 2000; Liu and Stützel, 2004).
La scarsità idrica continua ad essere uno dei più gravi problemi ambientali a livello mondiale nel settore
dell'agricoltura. L’amaranto grazie alla sua adattabilità ad ambienti diversi è considerato una coltura
promettente per terreni marginali e regioni semiaride. L'obiettivo del presente studio è stato quello di
valutare la risposta dell’Amaranto allo stress idrico in un ambiente del sud Italia.
Metodologia
Nel 2009, presso l’azienda sperimentale del CNR-ISAFoM in Vitulazio (CE) (14°50' E, 40°07' N; 25
m.s.l.m), è stata condotta una prova in pieno campo impiegando l’accessione di Amaranto A12. La
prova è stata realizzata in parcelle di 36 m2, ripetute tre volte, con file distanziate 0,5 m ed impiegando
una densità teorica di 200.000 piante per ettaro. Durante la stagione di crescita, in un disegno
sperimentale a blocchi randomizzati, sono stati differenziati tre trattamenti irrigui con restituzione del
25, 50 e 100% dell’acqua necessaria a riportare a capacità idrica di campo lo strato di suolo esplorato
dalle radici (A25, A50, A100). Durante la stagione di crescita, sono state monitorate le principali fasi
fenologiche e alla raccolta sono stati effettuati rilievi sui principali parametri vegetativi oltre che sulla
produzione in granella.
Risultati e conclusioni
L’Amaranto ha mostrato un ciclo vegetativo di 103 giorni più breve rispetto a quello riportato in
letteratura (Mujica et al., 1997) a causa delle elevate temperature registrate durante le prime fasi di
sviluppo vegetativo della pianta.
Nell’ambiente di prova l’Amaranto ha ricevuto 4 irrigazioni differenziate durante il ciclo colturale alle
quali si sono sommati circa 104 mm di piogge utili come illustrato in Tabella 1. Le irrigazioni sono
cominciate ad inizio fioritura e si sono protratte fino al 3 agosto (DOY 215) ma non hanno prodotto
differenze significative nei principali parametri vegeto-produttivi analizzati (Tabella 2). Tale risultato
sembra suggerire una resistenza dell’accessione testata allo stress idrico indotto.
Tabella 1. Volumi irrigui e piogge utili ricevuti da ciascun trattamento durante la stagione di crescita.
DOY1)
Volumi irrigui
194
201
208
A100
A50
3
478
544
620
A25
-1
m ha
239
272
310
120
136
155
155
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
215
704
Piogge utili > 5mm
1040
Total
3386
1)
DOY= giorno giuliano
352
1040
2213
176
1040
1627
Tabella 2. Valori medi dei principali parametri biometrici e produttivi alla raccolta.
Parametro
Altezza pianta
Diametro pianta
Indice di area fogliare
Produzione in granella
Peso secco dei 1000 semi
u.m.
m
mm
t ha-1
g
valore
1.45
16.08
3.10
3.92
0.75
La ricerca è stata eseguita con il finanziamento del progetto UE SWP-MED (Sustainable Water Use Securing Food
Production in Dry Areas of the Mediterranean Region)
Bibliografia
Berghofer. E.. Schoenlechner. R. 2002. Grain amaranth. In: Belton. P.. Taylor. J. (Eds.). Pseudocereals and Less Common
Cereals. Springer. Berlin. Heidelberg. pp. 219–260.
Bressani R. 1994. Composition and nutritional properties of amaranth. In: Amaranth: Biology. Chemistry and Technology
(O. Pardes-Lopez. ed.) CRC Press. Boca Raton. FL.
Kauffman C.S. e Weber L.E. 1990. Grain Amaranth. In: Janick. J. Simon. J.E. (Eds.). Advances in New Crops. Timber
Press. Portland. OR. pp 127-139.
Liu F. e Stützel H. 2004. Biomass partitioning. specific leaf area. and water use efficiency of vegetable amaranth
(Amaranthus spp.) in response to drought stress. Scientia Horticulturae 102: 15–27.
Mujica A. et al. 1997. El cultivo dell’Amaranto (Amaranthus spp.): production, mejoramiento genetico y utilizacion. FAO,
UNA-Puno, CIP, Santiago.
Stallknecht G.F. e Schulz-Schaeffer J.R. 1993. Amaranth rediscovered. In: Janick. J. Simon. J.E. (Eds.). New Crops.
Wiley. New York. pp. 211–218.
Wu H. et al. 2000. Field evaluation of an Amaranthus genetic resource collection in China. Genetic Resources and Crop
Evolution 47: 43–53.
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione Bioagronomica e Resa in Seme in Camelina
Sativa (L.) Crantz. E Brassica Spp.
Salvatore Antonino Raccuia, Salvatore Scandurra, Maria Grazia Melilli
CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Negli ultimi anni si è avuto un forte impulso per lo sviluppo del settore dei biocarburanti da impiegare
in alternativa alla benzina e al diesel, sintetizzati a partire da fonti fossili. In Europa le ricerche sono
state concentrate principalmente sul biodisel che, nelle principali aree agricole continentali, viene
prodotto dall’olio di colza e di girasole.
Da alcuni anni, l’Unità Operativa di Catania dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del
Mediterraneo (ISAFOM) del CNR, ha focalizzato l’attenzione su alcune specie oleaginose alternative,
da utilizzare per la produzione di olio da destinare alla sintesi di biodiesel in ambiente mediterraneo
(Raccuia e Melilli, 2007; Raccuia e Melilli, 2010). In questa nota vengono riportati i risultati preliminari
di ricerche condotte su due specie: Camelina sativa (L.) Crantz. e Brassica spp, al fine di valutare la
potenzialità produttive delle specie per la produzione di seme da cui estrarre olio in ambiente
mediterraneo.
Metodologia
Per raggiungere gli obiettivi connessi con l’attività di ricerca sono stati posti allo studio, una accessione
di C. sativa (‘CS-1’), e due accessioni di Brassica spp, una spontanea (‘BS-1’) reperita in areale etneo e
una varietà commerciale (‘CT180’) di Brassica carinata La prova è stata condotta a Cassibile (SR),
adottando uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre repliche.
Le semine sono state effettuate l’ultima decade di novembre 2009, utilizzando per una densità di semina
pari a 200 semi m-2. La parcella elementare aveva una dimensione di 21 m2. Al terreno sono stati
apportati 80 kg ha-1 di P2O5 e 150 kg ha-1 di K2O, prima della semina. Il controllo delle erbe infestanti è
stato attuato con una scerbatura manuale. In copertura sono stati somministrati 90 kg ha-1 di N. La
raccolta è stata eseguita manualmente, estirpando le piante dal terreno e lasciandole per qualche giorno
in campo riunite in fasci. Successivamente si è provveduto alla trebbiatura manuale. Durante il ciclo
biologico sono state rilevate le date dei principali eventi fenologici: emergenza, levata, inizio fioritura,
maturazione lattea, cerosa, fisiologica e agronomica del seme. L’accessione di Camelina sativa è stata
raccolta il 24 aprile 2010, le due accessioni di Brassica il 18 maggio 2010. Alla raccolta è stato
determinato il numero di piante sull'unità di superficie ed è stata valutata la produzione di seme. Su 20
piante rappresentative di ogni parcella è stata rilevata la statura, l’altezza d’inserzione della prima
ramificazione, il numero di ramificazioni fertili e sterili, il numero di silique e il peso del seme per
pianta. Tutti i dati sono stati sono stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). In presenza di “F”
significativo è stato applicato il metodo di separazione delle medie di Student - Newman – Keuls
(Snedecor e Cochran, 1989).
Risultati
I valori medi relativi alle principali fasi fenologiche oggetto di rilevamento sono riportati in figura 1.
Nella media delle accessioni, l'emergenza è avvenuta 13 giorni dalla semina, oscillando da un minimo
di 6 (‘BS-1’) ad un massimo di 18 giorni dalla semina (‘CS-1’). La levata delle piante, nella media delle
tre accessioni, è avvenuta dopo 76 giorni dalla semina. La ‘BS-1’ ha fatto registrare questa fase
fenologica 22,5 giorni prima rispetto alla varietà commerciale ‘CT180’ e alla ‘CS-1’ La fase di fioritura
è stata registrata a 99 giorni dalla semina, oscillando da un minimo di 86 (‘BS-1’) ad un massimo di 109
giorni (‘CT180’). La fase di maturazione cerosa è stata raggiunta, nella media delle accessioni allo
studio, 141 giorni dalla semina. E’ da notare che nonostante la fase di fioritura sia avvenuta circa 20
giorni prima in ‘BS-1’ rispetto alle altre due accessioni, questa accessione ha impiegato 62 giorni dalla
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
fioritura alla maturazione cerosa,
contro i 36 giorni di ‘CT180’ e i 29
giorni di ‘CS-1’. La fase di
maturazione fisiologica è stata
rilevata a circa 160 giorni dalla
semina per entrambe le accessioni di
Brassica, mentre è avvenuta circa 10
giorni prima in ‘CS-1’. La
maturazione
agronomica
della
granella è stata pari a 160 giorni in
‘CS-1’, 173 giorni in ‘BS-1’ e 181
giorni in ‘CT180’.
Figura 1. Fasi fenologiche delle accessioni
allo studio
Riguardo la caratterizzazione morfologica delle accessioni, la varietà commerciale BC-CT 180 si è
statisticamente differenziata per la statura della pianta (190.4 cm) e per la produzione di seme per pianta
(3.0 g pianta-1). L’accessione spontanea ‘BS-1’ si è distinta per l’altezza di inserzione della prima
ramificazione (90 cm), parametro importante ai fini la raccolta meccanizzata, per il numero di
ramificazioni fertili (13.4 n. pianta-1) e per l’assenza di ramificazioni sterili.
Con riferimento alla resa in seme, pari nella media delle tre accessioni a 1.17 t ha-1, è oscillata da un
minimo di 069 t ha-1 (‘CS-1’) ad un massimo di 160 in ‘CT180’ (Tab. 1)
Tab. 1 Caratterizzazione morfologica e resa in seme delle accessioni allo studio. Lettere differenti all’interno della colonna
indicano differenze significative a P< 0.05
Altezza inserzione I
Ramificazioni
Ramificazioni
Peso
Peso
Resa
Statura
Silique
Accessione
ramificazione
fertili
Sterili
silique seme
seme
cm
n. pianta -1
g pianta-1
t ha-1
‘CS-1’
788 c
460 c
84 b
22 a
404 a 113 a
23 b
069 c
‘BS-1’
1642 b
900 a
134 a
0b
548 a
94 a
23 b
123 b
CT180
1904 a
648 b
88 b
04 b
103 b
48 b
30 a
160 a
Medie
1445
669
10.2
09
3517
85
25
117
Conclusioni
Dai primi risultati è emerso l’elevata potenzialità delle specie studiate a fornire seme per l’estrazione di
olio in ambiente mediterraneo. Con riferimento alla resa in seme degna di nota la resa ottenuta in ‘BS-1’
(123 t ha-1), in quanto le produzioni ottenute sono da considerare molto promettenti considerato che non
è stato condotto nessun lavoro di miglioramento genetico per incrementare la resa in seme. Si rendono
comunque necessari ulteriori ricerche volte a determinare la concentrazione dell’olio nella granella e
l’esatta caratterizzazione della frazione acidica dell’olio estratto.
Bibliografia
Raccuia S.A. e Melilli M.G. 2007. Biomass and grain oil yields in Cynara cardunculus L. genotypes grown in a
Mediterranean environment. Field Crops Res., 101 (2): 187-197.
Raccuia S.A. e Melilli M.G. 2010. Contenuto in olio nel seme di Cynara cardunculus L., Camelina sativa (L.) CRANTZ E
Brassica carinata A. Braun.: Risultati preliminari. Atti VIII Convegno Nazionale sulla Biodiversità, 367-369.
Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press (New York), 503.
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione Bioagronomica di Popolazioni di Lenticchia
Coltivate nella Collina Interna Siciliana
Salvatore Antonino Raccuia, Maria Grazia Melilli, Salvatore Scandurra
CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, [email protected]
Introduzione
La Sicilia dispone di un ampio panorama varietale di lenticchia (Lens culinaris Medik.). Negli ultimi
anni a causa delle basse rese, degli alti costi della manodopera e della ridotta meccanizzazione delle fasi
di raccolta, che ha reso questa coltura poco remunerativa, si è assistito ad una riduzione delle superfici
investite, che risultano attualmente pari a 320 Ha, con una resa di 0.9 t ha-1 (Istat, 2009). Da diversi anni
la U.O.S. di Catania dell’ISAFOM ha intrapreso un lavoro di collezione e valutazione bioagronomica e
nutrizionale di diverse popolazioni di lenticchia reperite in tutta la Sicilia (Guarnaccia et al., 2006;
Melilli e Raccuia, 2003; Melilli e Raccuia, 2005). In questa nota si riportano i risultati relativi ad un
triennio di prove sperimentali, volte allo studio della risposta biologica ed agronomica di alcune
popolazioni, coltivate in aree marginali della collina interna siciliana, al fine di disporre delle
conoscenze necessarie per promuoverne la valorizzazione ed eventuale istituzione di marchi di
Indicazione Geografica Tipica (IGT) o Protetta (IGP).
Metodologia
Nel triennio 2005-2008 in agro di Barrafranca ( EN, 37°22’n, 14°22’ E, 600 m s.l.m.) sono state messe
a confronto 4 popolazioni siciliane di lenticchia e precisamente le accessioni “San Teodoro”
(macrosperma), “Caltagirone”, “Linosa”, “Modica” (microsperma) (Barulina, 1930). Le semine sono
state effettuate nel mese di Gennaio di ogni anno, secondo un piano sperimentale completamente
randomizzato con tre repliche, con parcella elementare di 5mq. Alla semina sono stati somministrati 30
kg/ha di perfosfato minerale (18-20% P2O5). Le infestanti sono state controllate effettuando una
scerbatura manuale nel mese di aprile di ogni anno. Le raccolte sono state effettuate nella prima decade
di giugno di ogni anno. Durante il periodo della prova sono state registrate, le temperature minime e
massime dell’aria e le precipitazioni, mediante apposita stazione meteorologica (Tab. 1). A fine ciclo su
un congruo numero di piante per popolazione e replica agronomica sono stati rilevati: la statura della
pianta, l’altezza di inserzione del primo baccello, il numero di baccelli per pianta, il numero di semi per
pianta, il peso dei semi per pianta, il peso 1000 semi e la resa in granella. Sulla base di parte dei dati
sopra descritti è stata calcolata la resa in legumi e semi per unità di superficie. Tutti i dati sono stati sono
stati sottoposti all’analisi della varianza (ANOVA). In presenza di “F” significativo è stato applicato il
metodo di separazione delle medie di Student-Newman–Keuls (Snedecor e Cochran, 1989).
Tabella 3. Precipitazioni (mm) temperature massime e minime (°C) registrate in campo nel triennio 2006-2008
Anno
2006
2007
2008
Mese Gen Feb Mar Apr Mag Giu Gen Feb Mar Apr Mag Giu Gen Feb Mar Apr Mag Giu
Piogge 110 71 30
19
1
48
0
32 134 31 2.4 19
26
15
58
37
18
38
T max 4.8 7.4 10.7 15.8 21.5 26.2 10.8 9.1 9.9 13 19.6 26.9 11.6 11.1 12.4 17.3 21.4 27.1
T min 1.3 2.5 4.7 8.6 13.6 17.5 5
3.9 4.3 7.7 11
18 5.6 4.5 5.8 9.2 12.4 17.3
Risultati
Dall’analisi della varianza dei caratteri allo studio è emerso che, tranne per il parametro peso mille semi,
il fattore “anno di coltivazione” ha rappresentato la maggiore fonte di variazione (Tab. 2). Nella media
di tutti i fattori allo studio la statura della pianta è stata pari a 325 cm con l’altezza d’inserzione del
primo baccello di 179 cm; nella media del triennio la popolazione ‘S. Teodoro’ con valori di 357 cm e
216 cm si è statisticamente differenziata dalle altre. I caratteri numero di nodi fertili, il numero di
baccelli e il numero di semi per pianta sono risultati nella media del triennio e delle popolazioni
rispettivamente pari a 23.1 – 52.5- e 72.4 n. pianta-1 (Tab. 3).
159
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 2. Analisi della varianza dei caratteri studiati e ripartizione della media dei quadrati dei trattamenti (MS espresso in
valore assoluto e in % del totale
Fonte di variazione
Statura pianta
Popolazione (P)
VA
%
29
4.2
VA
637
%
93.1
VA
18
%
2.6
Altezza primo baccello
Nodi fertili
Baccelli
Semi
Peso semi pianta
39
198
1119
1150
3.6
12.5
9.7
19.4
12.9
21.2
261
1730
4541
7416
11.5
83.7
84.5
78.7
82.9
67.6
12
120
112
379
1.9
3.8
5.9
1.9
4.2
11.2
Peso 1000 semi
Resa in granella
1581
2.8
75.9
18.6
402
10.9
19.3
72.6
99
1.3
4.8
8.8
Carattere
Anno (A)
PXA
Il peso dei semi per pianta è risultato pari, nella media dei fattori allo studio, a 2.6 g, il peso mille semi
pari a 34.7 g e la resa in granella 1.78 t ha-1 Nella media del triennio, la popolazione ‘San Teodoro’ ha
mostrato una produzione di semi per pianta statisticamente più elevata rispetto alle tre microsperme,
con un valore di 3.7 g di seme per pianta e una resa in granella paria a 2.29 t ha-1 (Tab. 3).
Tabella3. Caratteri biometrici e produttivi delle popolazioni siciliane di lenticchia nella media del triennio e nella media delle popolazioni allo studio
Altezza primo
Peso 1000
Statura pianta
Nodi fertili Baccelli Semi Peso semi pianta
Resa
Carattere
baccello
semi
-1
(g)
(t ha-1)
(cm)
n. pianta
Popolazione
‘San Teodoro’
35.7
21.6
20.4
45.8
59.5
3.7
58.8
2.29
‘Caltagirone’
31.3
17.0
16.9
36.6
57.4
1.9
29.7
1.16
‘Linosa’
32.1
16.0
25.1
65.5
87.2
2.1
23.3
1.73
‘Modica’
30.9
16.8
30.1
62.2
85.3
2.5
27.1
1.96
2.7
1.5
2.2
4.6
6.2
0.2
3.0
0.15
DMS P<0.01
Anno
2006
23.5
12.9
6.2
28.7
43.5
1.5
39.6
1.39
2007
41.3
24.1
32.0
76.3
104.2
3.9
38.0
1.95
2008
32.8
16.5
31.2
52.7
69.4
2.2
26.6
2.01
DMS P<0.01
Medie
2.3
32.5
1.3
17.9
1.9
23.1
3.9
52.5
5.4
72.4
0.2
2.6
2.6
34.7
0.5
1.78
Nella media delle popolazioni, il secondo anno di coltivazione sono stati rilevati valori statisticamente
più elevati per i parametri statura della pianta (41.3 cm), altezza d’inserzione primo baccello (24.1 cm),
numero di baccelli (76.3 n. pianta-1) e numero di semi (104.2 n. pianta-1) e peso semi (3.9g pianta-1). Le
rese in granella, con un valore prossimo a 2 t ha-1, non sono risultate statisticamente differenti il secondo
e terzo anno di coltivazione (Tab. 3).
Conclusioni
I risultati, indicano che il materiale presenta una buona adattabilità alle condizioni ambientali della collina
interna siciliana e costituisce inoltre un ottimo prodotto di nicchia ad elevato valore aggiunto, che
opportunamente tracciato ed etichettato, può fornire agli operatori del settore indicazioni utili per istituzione di
marchi IGT o IGP. Inoltre il rilancio della coltura porterebbe notevoli vantaggi di tipo agronomico, in quanto
la capacità azotofissatrice di questa leguminosa, posta in rotazione col frumento duro, la rendono una valida
alternativa colturale, in grado di migliorare la fertilità chimico-fisica dei suoli di alcune aree interne siciliane.
Bibliografia
Guarnaccia P, et al. 2006. Caratterizzazione di popolazioni di lenticchia (Lens culinaris Medik.) collezionate in Sicilia.
Italus Hortus, 13: 108-112
Istat, 2009. Statistiche dell’agricoltura, Roma http://www.istat.it
Melilli MG, Raccuia SA, 2003. Caratterizzazione bioagronomica e qualità della granella in popolazioni siciliane di
lenticchia. Atti del XXXV Convegno SIA. 65-66
Melilli MG, Raccuia SA, 2005. Impiego di parametri chimici e tecnologici per la selezione di nuove linee di lenticchia
(Lens culinaris Medik.). Atti del XXXVI Convegno SIA: 392-393
160
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Diabrotica del Mais: Ruolo della Tecnica Colturale per il
Contenimento dei Danni
Amedeo Reyneri, Massimo Blandino, Francesco Amato, Giulio Testa
Dip. di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Univ. Torino, IT, [email protected]
Introduzione
La diabrotica del mais (Diabrotica virgifera virgifera Le Conte) o verme delle radici (western corn
rootworm) è un coleottero crisomelide di origine del Nord America che si è recentemente insediato in
Europa. Dal 2002 si sono rilevate importanti attacchi, ma con conseguenze limitate ad alcune ridotte
zone, mentre nel 2009 il crescente livello di infestazione ha provocato danni ingenti in ampi areali della
Lombardia e del Piemonte (Boriani, 2009). In casi di forti infestazioni questo insetto causa per opera
delle larve la parziale distruzione dell’apparato radicale e l’allettamento delle piante, per opera degli
adulti la distruzione delle sete e dei tessuti fogliari nonché dell’erosione delle cariossidi apicali.
Tuttavia, considerando areali omogenei si riscontano danni molto diversificati da campo a campo. Ciò
segnala che il sistema produttivo e la tecnica colturale possono esercitare un ruolo importante nel
contenere o meno lo sviluppo delle popolazioni (Boriani et al., 2006). Scopo di questa ricerca è di
indagare il ruolo della tecnica colturale sulla diabrotica del mais per individuare gli strumenti di lotta
preventiva (indiretta) o diretta più efficaci nel contesto dei sistema maidicolo nazionale.
Metodologia
Nella campagna maidicola 2009 sono stati visitati 121 campi di mais, riferibili a 94 aziende situate nelle
principali areali delle province di Alessandria, Novara, Vercelli, Torino e Cuneo. Per ogni campo in più
aree di saggio sono stati valutati i danni all’apparato radicale (danno alle radici utilizzando la Node
Injury Scale - NIS, secondo il modello proposto da Oleson et al. 2005, la percentuale di piante
ginocchiate o allettate) e alla parte epigea (danni causati dagli adulti alle foglie, alle sete fiorali e alle
cariossidi) correlando i risultati con le pratiche agronomiche (avvicendamento, ibrido, lavorazioni del
suolo, fertilizzazione, difesa) dell’anno e del quinquennio precedente. Su 29 campi sono stati effettuati i
rilievi sulle produzioni in rapporto al danno radicale, raccogliendo manualmente le spighe su aree di
saggio di 16 m2 confrontando aree del campo colpite con altrettante aree testimone esenti da danni.
Risultati
Considerando le pratiche di lotta preventiva agronomica, i danni più consistenti alle radici (NIS) e
quindi di allettamento, si sono riscontrate nei casi di omosuccessione, rispetto alla rotazione con altre
colture (+35%), risultando significativamente superiore nelle condizioni in cui il mais è in
monosuccessione da 3 o più anni. Contribuiscono a ridurre significativamente il danno radicale e
l’incidenza di piante ginocchiate e allettate l’aratura autunnale rispetto a quella primaverile, l’adozione
di semine tempestive (entro il 15 aprile) rispetto a semine più tardive e l’impiego di concimazione
organiche rispetto alle concimazioni minerali.
Riguardo ai metodi di lotta diretta, gli interventi con geoinsetticidi alla semina o con le lavorazioni
dell’interfila hanno significativamente ridotto (-34%) i danni alle radici, sebbene spesso i dosaggi siano
stati impostati considerando la sola difesa contro gli elateridi. I trattamenti insetticidi con piretroidi
nell’estate precedente hanno contenuto i danni radicali, anche se nella maggior parte dei casi questi
siano stati impostati per controllare la seconda generazione di piralide (Ostrinia nubilalis Hübner) e
quindi effettuati in epoca non ottimale per controllare gli adulti di diabrotica. Il trattamento adulticida
con piretroidi non ha però consentito una riduzione dell’erosione delle sete e delle foglie, in quanto è
stato in genere effettuato a fioritura completata.
Il danno all’apparato radicale e l’incidenza di allettamento sono stati quindi correlati con la riduzione
della resa produttiva, confrontando all’interno dello stesso appezzamento le produzioni nelle aree di
saggio colpite dall’insetto con quelle che non portavano segni di attacco. Riduzioni di produzione di
granella significative si sono incontrate con valori di attacco della scala NIS superiori a 2.0 e assumono
161
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
un peso più rilevante con valori superiore a 2.5, quando le riduzioni delle rese possono superare il 50%.
Il calo di resa è risultato essere più grave, a parità di danno radicale, negli appezzamenti in asciutta
rispetto a quelli irrigui e negli appezzamenti con interfila non lavorato rispetto a quelli rincalzati, che
hanno favorito l’emissione di radici avventizie e un miglior recupero della pianta danneggiata.
Tabella 1. Effetto di alcuni aspetti di tecnica colturale sul danno radicale (NIS), sulla percentuale di piante ginocchiate o
allettate e sulla perdita produttiva in granella.
Tecnica colturale
NIS
Piante
ginocchiate
(%)
Precessione colturale:
avvicendamento 0.6*
6.6**
omosuccessione 1.2*
10.9**
Epoca di semina:
15 marzo – 14 aprile 1.0
8.8
12.2
15 aprile – 15 maggio 1.2
Concimazione organica:
no 1.2
10.9
si 0.9
8.6
Irrigazione:
no 1.1
10.1
9.7
si 1.0
Geodisinfestante:
no 1.3*
10.9*
6.9*
si 0.5*
Trattamento insetticida nell’anno precedente:
no 1.1*
10.2
7.0
si 0.6*
Piante
allettate
(%)
Perdita
produttiva
(%)
0.2**
3.8**
n.d.
n.d.
1.9*
4.5*
27.5
29.8
4.0
1.5
39.2**
14.5**
3.5
2.3
32.2*
20.5*
3.8**
0.4**
34.6**
12.0**
3.2**
0.1**
n.d.
n.d.
Differenze statisticamente significative * p<0.05, ** p<0.01. nd = non determinato.
I dati riportati si riferiscono alla media di 57 campi aziendali.
Conclusioni
L’indagine ha posto in evidenza l’estrema pericolosità degli attacchi portati alla coltura del mais dalla
diabrotica. Peraltro, la tecnica colturale può significativamente frenare la crescita della popolazione
larvale: a parte l’atteso effetto favorevole dell’avvicendamento su un insetto essenzialmente monofago,
sono stati rilevati vantaggi chiari dall’anticipo del ciclo colturale, dalla riduzione degli stress idrici e
nutrizionali e dall’adozione della difesa, in primo luogo del seme. A questo proposito l’impossibilità di
applicare insetticidi in concia ha probabilmente aumentato l’esposizione della coltura al danno radicale
(Agosti et al., 2009).
Bibliografia
Agosti M. et al. 2009. Efficacia dei concianti su danni radicali da diabrotica. Inf. Agr., 44:16-19.
Boriani M. et al. 2006. Sustainable management of the western corn rootworm, Diabrotica virgifera virgifera LeConte
(Coleoptera: Chrysomelidae), in infested area: experiences in Italy, Hungary and the USA. Bullettin OEPP/EPPO 36:531537.
Boriani M. 2009. Diabrotica: risultati 2008 della presenza in Italia. Inf. Agr., 5, 44-47.
Oleson D.J. et al. 2005. Node-Injury Scale to Evaluate Root Injury by Corn Rootworms (Coleopteran: Chrysomelidae). J.
Econ. Entom., 98(1):1-8.
162
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risposta Quantitativa dell’Olivo
alla Disponibilità Idrica
Maria Riccardi1, Francesca De Lorenzi1, Massimo Menenti2
1
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM), Napoli, IT,
[email protected] and [email protected]
2
Delft University of Technology, Delft, NL, [email protected]
Introduzione
Esiste una notevole quantità di informazioni riguardo alla risposta produttiva di un gran numero di
cultivar di olivo allo stress idrico. La resistenza alla siccità dell’olivo può essere valutata in termini
qualitativi come alta, media o bassa, sulla base dei dati FAO (2006). Allo scopo di individuare le
cultivar più adatte in funzione delle caratteristiche pedo-climatiche è necessario tradurre in termini
quantitativi tali indicazioni qualitative. Scopo del presente lavoro è quello di definire delle soglie
di deficit idrico per differenti cultivar di olivo utilizzando i risultati di sperimentazioni condotte in
pieno campo su oliveti maturi.
Metodologia
La risposta all’irrigazione in deficit di 7 cultivar di olivo (Frantoio, Leccino, Kalamata, Ascolana
tenera, Nocellara del Belice, Itrana, Maiatica) è stata valutata tramite i dati raccolti nell’azienda
sperimentale del CNR-ISAFoM sita in località Piano Cappelle - Benevento (41°06’N, 14°43’E; ad
una altezza di 250 m s.l.m.). L’oliveto in esame era caratterizzato da un sesto di impianto 6 m x 3
m e da una densità di 555 piante per ettaro (d’Andria et al., 2004; d’Andria et al., 2007; Tognetti et
al., 2006). L’impianto è stato realizzato nel 1992 con piante di un anno di età. I dati sperimentali
presi in considerazione per la valutazione della soglia di deficit sono quelli relativi agli anni dal
2003 al 2007. Tale scelta è scaturita dal voler considerare oliveti maturi (circa 12 anni) in fase di
piena produzione. Il suolo del centro sperimentale è di tipo argillo-sabbioso, caratterizzato da un
contenuto volumetrico di acqua del 35.6% a capacità di campo e del 21.2% al punto di
appassimento. Nella prova sperimentale sono stati posti a confronto un trattamento non irrigato e
tesi che restituivano una frazione differente dell’evapotraspirazione potenziale (66 e 100% di ETp,
calcolata da ET di evaporimetro di classe A e da coefficienti colturali). Le irrigazioni differenziate
si sono protratte dall’inizio dell’indurimento del nocciolo fino alla raccolta. La risposta al deficit è
stata valutata analizzando le variazioni di produzione relativa Yr (rapporto percentuale tra la
produzione ottenuta in ciascun trattamento e la produzione della tesi irrigata a pieno
soddisfacimento - 100% di ETp) in funzione del valore di 1-p, il deficit idrico relativo, dove p è la
frazione della riserva idrica utile nello strato di suolo esplorato dalle radici.
Risultati e conclusioni
In Figura 1 sono riportati i valori di soglia del deficit idrico relativo, individuati per ciascuna
cultivar nell’ambiente di prova durante gli anni dal 2003 al 2007. Il valore di soglia è il livello di
deficit idrico relativo (1-p) al di sopra del quale la produzione relativa diminuisce in maniera
apprezzabile. I valori di soglia sono stati ricavati con un procedimento di ottimizzazione,
scegliendo per il set di dati relativo ad ogni cultivar le due rette che minimizzano lo scarto
quadratico medio tra Yr stimato e misurato.
163
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Figura 1. Individuazione della soglia di deficit idrico, (1-p) per le 7 cultivar di olivo, nella prova sperimentale condotta dal
CNR-ISAFoM presso l’azienda sperimentale di Piano Cappelle (BN) durante gli anni 2003-2007.
70
50
Yr Kalamata (%)
90
90
90
Yr Leccino (%)
Yr Frantoio (%)
110
110
110
70
70
50
50
30
30
30
10
0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0
1-p
0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0
1-p
0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0
1-p
110
90
90
90
Yr Itrana (%)
Yr Nocellara (%)
110
Yr Ascolana (%)
110
70
70
50
50
30
30
0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0
1-p
50
30
10
10
10
70
0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0
1-p
0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0
1-p
110
Yr Maiatica (%)
90
Cultivar (1 - p)*
Frantoio
0,34
Leccino
0,31
Kalamata 0,50
Ascolana 0,53
Nocellara 0.51
Itrana
0,49
Maiatica
0,47
70
50
30
10
0,0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0
1-p
Dalla Figura 1 si evince che le cultivar che risultano più resistenti allo stress idrico, nell’ambiente di
prova, in quanto presentano valori più elevati della soglia di deficit sono Ascolana e Nocellara, le meno
resistenti sono Leccino e Frantoio.
Ringraziamenti
Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto “Scenari di adattamento dell’agricoltura
italiana ai cambiamenti climatici – AGROSCENARI”. Si ringraziano il Dott. Riccardo d’Andria, la
Dott.ssa Antonella Lavini e il Dott. Giovanni Morelli oltre che il personale dell’azienda sperimentale
del CNR-ISAFoM di Benevento per la raccolta dei dati e la messa a disposizione degli stessi.
Bibliografia
D’Andria R., Lavini A., Morelli G., Patumi M., Terenziani S., Calandrelli D., Fragnito F. 2004. Effect of water regimes on
five pickling and double aptitude olive cultivars (Olea europaea L.). Journal of horticultural Science & Biotechnology,
79:18-25.
D’Andria R., et al. 2007. Long-term yield and physiological responses of olive tree (Olea europaea L., cv. Frantoio and
Leccino) to deficit irrigation. Submitted to Plant Biosystem.
FAO (2006). FAO Olive Germplasm Database. [online] URL:
Tognetti R. et al. 2006. The effect of deficit irrigation on crop yield and vegetative development of Olea europaea L. (cvs.
Frantoio and Leccino) Europ. J. Agronomy, 25: 356–364.
164
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risposta Vegeto-produttiva di Chenopodium quinoa Willd.
Sottoposta a Regime Irriguo Deficitario
Maria Riccardi, Cataldo Pulvento, Antonella Lavini, Davide Calandrelli, Giovanni
Romano, Angela Balsamo
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM), Napoli, IT, [email protected]
Introduzione
Chenopodium quinoa Willd. è una specie nativa del Sud America, è coltivata nella regione andina da
migliaia di anni (Jacobsen, 1997). I semi di quinoa sono consumati sotto forma di pane, zuppe, biscotti,
bevande, ecc. Essi sono caratterizzati da un alto contenuto di proteine (14,6%) di buona qualità in
quanto ricche di aminoacidi essenziali, una vasta gamma di vitamine (A, B2, E) e minerali (Ca, Fe, Cu,
Mg, Zn) (Repo-Carrasco et al., 2001). La quinoa è considerata una delle colture alimentari più resistenti
alla siccità, alle gelate, alla salinità dei suoli, alle malattie e ai parassiti (Jacobsen e Mujica, 2001;
Mujica et al., 2001). Grazie alle sua elevata qualità nutrizionale, al suo adattamento a condizioni
difficili, è considerata una coltura alternativa di potenziale introduzione in Europa (Jacobsen, 1997).
Lo scopo del presente lavoro è quello di verificare l'adattabilità della quinoa in un ambiente
mediterraneo del Sud Italia e valutare la risposta vegeto-produttiva della specie in condizioni di deficit
idrico. La piena irrigazione per incrementare la resa non è un'opzione plausibile in regioni con limitata
disponibilità idrica, ma una irrigazione in deficit potrebbe essere una soluzione.
Metodologia
La prova in pieno campo è stata realizzata nel 2009 presso il centro sperimentale del CNR-ISAFoM
sitao in Vitulazio (CE) (14°50' E, 40°07' N; 25 m.s.l.m), caratterizzato da un suolo di tessitura argillolimosa, con l’1.31% di materia organica, il 2.51% di CaCO3, lo 0.18 ‰ di N, pH 7.6, con una densità
apparente di 1.28 (t m-3), un contenuto idrico in volume (m m-3) alla capacità di campo del 39.43% (0.03 MPa) e al punto di appassimento del 21.7% (-1.15 MPa). E’ stato testato un genotipo di quinoa,
Q52, fornito dal prof. Sven Erik Jacobsen dell'Università di Copenhagen in parcelle di 36 m2, ripetute
tre volte, con file distanziate 0.5 m fino a raggiungere una densità teorica di 200,000 piante per ettaro.
La semina è stata effettuata il 20 Maggio, in ritardo rispetto all’epoca ottimale per la coltura
nell’ambiente di prova, a causa delle numerose ed abbondanti piogge che si sono verificate nei primi
mesi dell’anno. Durante la stagione di crescita le piante hanno ricevuto una irrigazione in deficit con
restituzione del 25% dell’acqua necessaria a riportare la porzione di suolo esplorata dalle radici a
capacità idrica di campo. L’irrigazione è stata effettuata settimanalmente a partire dalla fase di inizio
fioritura ed il volume irriguo è stato computato attraverso rilievi gravimetrici effettuati 24 ore prima di
ciascun adacquamento, considerando una profondità di 0-0.36 m lungo il profilo di suolo. Il volume
irriguo stagionale è stato di 466 m3 ha-1. Durante la stagione di crescita, sono state monitorate le
principali fasi fenologiche e a scadenza bisettimanale, sono stati effettuati rilievi sui principali parametri
vegetativi. La produzione in granella è stata determinata al momento della raccolta.
Risultati
Nel 2009 sono state registrate numerose e abbondanti piogge da marzo a maggio che hanno ritardato le
operazioni colturali necessarie per la preparazione del letto di semina (Fig.1). Le temperature minime e
massime durante il ciclo colturale sono state superiori alle medie poliennali nella seconda e terza decade
di maggio, nella seconda decade di giugno così che l’umidità del suolo si è mantenuta vicina al punto di
appassimento durante la stagione di crescita. Nell’ultima decade di Giugno 108 mm di pioggia hanno
però consentito lo sviluppo vegetativo delle giovani piantine.
165
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Semina
Fioritura Maturità
2009
'76-'09
'76-'09
Temperature (°C)
6
4
2
24
89
12
47
5
0
0
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Sett
Precipitazioni (mm)
2009
ET0 (mm)
131
36
8
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Sett
Figura 1. Andamento di alcuni parametri climatici nell’anno di prova (2009) rispetto alla media poliennale di anni 36 anni.
Sono riportate le temperature minime e massime, le precipitazioni e l’evapotraspirazione potenziale ET0. Sono
inoltre indicate le principali fasi fenologiche.
Il genotipo testato nell’ambiente di prova ha manifestato un ciclo vegetativo di 96 giorni in accordo con
i risultati ottenuti in una precedente prova con lo stesso genotipo nel medesimo ambiente (Pulvento et
al., 2010). La produzione è stata di 2.5 t ha-1 con un peso dei 1000 semi di 2.14 g. La produzione
registrata è più elevata di quella ottenuta da Casini e Proietti (2002) in una prova in pieno campo
condotta in centro Italia (0.2 – 2.3 t ha-1). L’indice di raccolta ha raggiunto un valore del 44%.
Conclusioni
I risultati ottenuti suggeriscono che il genotipo testato potrebbe essere coltivato con successo
nell’ambiente considerato anche se maggiori sperimentazioni per la ricerca di genotipi migliori
dovrebbero essere effettuate.
Bibliografia
Casini P., Proietti C. 2002. Morphological characterisation and production of Quinoa genotypes (Chenopodium quinoa
Willd.) in the Mediterranean environment. Agricoltura Mediterranea 132: 15-26.
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166
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Produzione di Giallo Cartamo in una Selezione di Carthamus
tinctorius L. var. inermis nel Centro Italia
Roberto Ruggeri, Francesco Rossini, Salvatore Del Puglia, Carlo F. Cereti
Dip. di Produzione Vegetale, Univ. degli Studi della Tuscia - Viterbo, IT, [email protected]
Introduzione
Il cartamo (Carthamus tinctorius L.) è una composita coltivata soprattutto per il suo achenio, usato per
l’estrazione dell’olio e come becchime per gli uccelli. Ma le utilizzazioni di questa pianta sono
molteplici: i fiori vengono utilizzati in medicina e per l’estrazione di coloranti alimentari e industriali,
mentre la pianta intera, alla comparsa dei bottoni fiorali, può essere utilizzata come foraggio. Questa
grande versatilità di utilizzo unita alla sua adattabilità ai climi aridi, rendono il cartamo una coltura
particolarmente interessante per i sistemi colturali in regime idrico naturale dell’areale Mediterraneo.
Le corolle essiccati di questa specie sono utilizzati da centinaia di anni dalla medicina tradizionale
asiatica e i pigmenti gialli e rossi estratti dalle corolle sono tutt’ora impiegati dall’industria
farmaceutica, cosmetica, e per la preparazione di vernici e colori per la pittura (Akihisa et al., 1994;
Kulkarni et al., 1997).
Inoltre, a causa delle restrizioni ai pigmenti sintetici come coloranti alimentari, vi è stato e vi sarà ancora
di più nel futuro un crescente interesse per i pigmenti naturali nella preparazione di cibi e bevande (Gao
et al., 2000; Meselhy et al., 1993; Rudometova et al., 2001).
Diversi studi hanno indagato la struttura e le proprietà dei coloranti presenti nei petali del cartamo
(Meselhy et al., op. cit.; Kanehira et al., 1990), ma solo poche ricerche sono state condotte riguardo
all’influenza delle pratiche agronomiche sulla produzione di coloranti (Kizil et al., 2008).
Questo studio mira a valutare la risposta della pianta a quattro livelli di concimazione azotata in
copertura (N = 0, 35, 70 e 105 kg ha-1) e al taglio per un’eventuale utilizzazione foraggera.
Metodologia
La sperimentazione si è svolta a Viterbo (42° 26’ N, 12° 04’ E, altitudine 310 m s.l.m.) su un andosuolo
con un’elevata componente argillosa.
Sono stati rilevati alcuni dati biometrici e produttivi di una selezione di cartamo inerme in risposta a 4
livelli di concimazione azotata: N0 = 0 kg ha-1 (fertilità residua del terreno), N1 = 35 kg ha-1, N2 = 70 kg
ha-1, N3 = 105 kg ha-1).
Alla comparsa dei bottoni fiorali, sono state falciate le piante sulla metà di ogni parcella per valutarne la
produzione di biomassa tal quale e sostanza secca (in stufa a 80 °C per 48 h) ai fini dell’utilizzazione
foraggera. Al momento del taglio le piante avevano un contenuto medio di sostanza secca del 16%
circa. Le altre piante, al contario, sono state lasciate indisturbate fino alla maturazione fisiologica degli
acheni.
Sono stati campionati i capolini in piena fioritura delle piante non sfalciate e quelli dei ricacci, al fine di
determinare l’eventuale differenza nell’accumulo di coloranti per i due trattamenti (taglio e non taglio).
In laboratorio, per la determinazione della concentrazione di giallo cartamo nelle corolle si è utilizzata
la polvere di petali e il metodo ufficiale della FAO (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food
Additives, 1998).
Tutti i dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) secondo uno schema a parcella
suddivisa o a blocco randomizzato con tre repliche.
Risultati
In figura 1 è illustrata la produzione di giallo cartamo per unità di superficie nelle piante non sfalciate e
nei ricacci di quelle sfalciate. E’ evidente la riduzione della produzione (- 76% circa), dovuta ad una
contrazione sensibile di tutte le componenti della resa, quando le piante vengono falciate per
un’eventuale utilizzazione foraggera.
167
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Per quanto riguarda l’influenza della concimazione azotata in copertura sulla concentrazione di giallo
cartamo nelle corolle, solamente le piante non sfalciate hanno evidenziato significatività statistica per i
diversi livelli di fertilizzazione (figura 2).
La migliore concimazione in copertura sembra essere quella che apporta modeste quantità di azoto (5070 kg ha-1) di azoto, visto che la dose di 105 kg ha-1 determina un incremento quasi nullo della
concentrazione di colorante (0.004%).
Figura 1. Produzione di giallo cartamo nei ricacci di piante
sfalciate prima della fioritura e in piante non sfalciate (le
diverse lettere maiuscole indicano differenze significative
per P≤0.01).
Figura 2. Contenuto medio di giallo cartamo (%) nelle
corolle al variare della concimazione azotata (gli
istogrammi contrassegnati dalle stesse lettere, non sono
significativamente differenti per P≤0.05).
Conclusioni
Dai risultati ottenuti in questo studio si può innanzitutto rilevare che il tentativo di abbinare la
produzione foraggera con quella di coloranti è difficilmente realizzabile nella coltivazione del cartamo.
Infatti, se la pianta viene sfalciata per l’utilizzazione foraggera, tutte le componenti che determinano la
resa in giallo cartamo subiscono una riduzione più o meno marcata.
Comunque, con una modesta concimazione azotata in copertura, il cartamo può fornire una buona resa
in coloranti senza influire sulla produzione di seme.
Bibliografia
Akihisa T, Oinnma H & Tamura T 1994. Erythro-hentriacontane-6,8-dilo and 11 other alkane-6,8-dilos from Carthamus
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Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA), 1998. Food and Nutrition Paper (FNP) 52, Compendium
addendum, 6: 37.
Gao W.Y., 2000. Yellow and red pigment production by cell cultures of Carthamus tinctorius in a bioreactor. Plant Cell,
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Kanehira et al. 1990. Decomposition of carthamin in aqueous solution: influence of temperature, pH, light, buffer systems,
external gas phases, metal ions and certain chemicals. Z. Lebensm. Unters. Forsch, 190: 299-305.
Kizil S. et al. 2008. A comprehensive study on safflower (Carthamus tinctorius L.) in semi-arid conditions. Biotechnol. &
Biotechnol. Eq.: 947-953.
Kulkarni D.N. et al. 1997. Extraction and uses of natural pigments from safflower florets. Fourth International Safflower
Conference. Bari, Italy: 365-367.
Meselhy M.R. et al. 1993. Two new quinochalcone yellow pigments from carthamus tinctorius and Ca2+ antagonistic
activity of tinctormine. Chem. Pharm. Bull., 41: 1796-1802.
Rudometova et al. 2001. Method of isolation and identification of carthamin from safflower. Application’s perspectives in
Russian food products. Fifth International Safflower Conference. Williston, N.D., U.S.A.: 23-27.
168
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione della Capacità Fitoestrattiva di Carthamus
tinctorius L. Allevato in Vaso
Claudia Ruta, Gennaro Brunetti, Daniela Cassano, Giuseppe De Mastro, Irene MoroneFortunato
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università Aldo Moro - Bari, Via Amendola, 165/A
[email protected].
Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-Forestale ed Ambientale, Università Aldo Moro – Bari, Via Amendola, 165/A
Introduzione
La phytoremediation può essere considerata una pratica agricola che impiega le piante per il
contenimento, la degradazione o l'estrazione di xenobiotici da acque o suoli ed ha come unica finalità il
risanamento dei siti inquinati.
Al fine di aggiungere alla valenza ambientale della phytoremediation una valenza più direttamente
produttiva, l’obiettivo di questa ricerca è quello di studiare le potenzialità fitoestrattive di Carthamus
tinctorius L., specie che può essere fonte di materie prime ad utilizzo energetico.
Metodologia
Il terreno utilizzato per questa prova in vaso è stato prelevato da un sito inquinato dell’Alta Murgia,
nella stessa zona è stato prelevato terreno agricolo non inquinato utilizzato come testimone. Entrambi i
suoli sono stati sottoposti a caratterizzazione fisico-chimica secondo i metodi analitici ufficiali
(Ministero delle Politiche Agricole, 1999) e alla determinazione del contenuto in metalli pesanti
mediante spettrofotometro ad emissione ottica di plasma “ICP-OES”. Da quest’ultima è emerso che il
terreno inquinato conteneva piombo in quantità maggiori dei limiti ammissibili per l’Italia (D.L. n. 152
del 2006), ma inferiori dei limiti ammissibili per l’Europa (86/278/EEC del 12 giugno 1986), mentre
Rame, Cromo e Zinco raggiungevano valori superiori ai massimi ammissibili sia in Italia che in Europa.
In particolare il Cromo era presente in concentrazione maggiore di 10 volte il limite ammissibile in
Italia.
Semi di cartamo della varietà “Montola 2000” e dell’ibrido di provenienza americana IB9049 sono
stati seminati in vasi da 2 litri, 3 per ciascuna tesi, e disposti su bancali, secondo uno schema
sperimentale a blocchi randomizzati; ogni vaso conteneva 3 piante.
Le piante sono state allevate dalla primavera all’estate (semina inizio aprile- raccolta metà luglio) per un
periodo di 100 giorni all’aperto sotto copertura. I vasi sono stati irrigati con acqua distillata subito dopo
il trapianto fino a saturazione, successivamente due volte alla settimana nel corso dei primi 30 giorni, e
ogni due giorni fino alla fine del ciclo di allevamento. Alla fine della prova le piante sono state raccolte
integralmente, lavate per eliminare i residui terrosi, e sottoposte ai relativi rilievi morfologici. Le stesse,
inoltre, suddivise nelle diverse frazioni, sono state essiccate in stufa a 60°C per 3 giorni. I campioni così
ottenuti sono stati successivamente analizzati per verificare il contenuto in metalli pesanti mediante uno
spettrometro di emissione ottica a plasma indotto (ICP -OES Thermo Electron Modello ICAP 3000).
Per la valutazione del potenziale di fitoestrazione è stato calcolato il fattore di traslocazione (TF=
(Cbiomassa epigea/Cpianta) x 100) (Ekvall e Greger, 2003).
Risultati
La fase di raccolta è stata realizzata in coincidenza con i primi sintomi di senescenza (disseccamento dei
fusti, delle foglie e dei capolini). Relativamente ai caratteri morfologici presi in esame (tab.1), l’ibrido
IB9049 denota una tendenza al maggiore accrescimento delle piante allevate su terreno inquinato, anche
se statisticamente non significativa. Stesso comportamento si riscontra per la varietà Montola 2000; in
questo caso, inoltre, le tesi allevate sul suolo inquinato da metalli pesanti producono biomassa, sia
epigea che ipogea, in quantitativi significativamente più elevati.
169
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
C. tinctorius var.
Montola 2000
C. tinctorius
IB9049
Tabella 1. Parametri morfologici rilevati su piante di Cartamo allevate in vaso su terreno
inquinato e non, a 100 giorni dalla semina
terreno
h
(cm)
foglie
(n)
bocci p.f. epigeo p.f. radici p.s. epigeo p.s.radici
(n)
(g)
(g)
(g)
(g)
test
23,56
14,02b
0,99
1,01
0,06
0,94
0,05
inq
27,32
16,16a
1,72
2,48
0,17
2,32
0,15
test
22,31b
15,57
1,00
1,13b
0,06b
1,05b
0,06b
inq
28,17a
14,69
1,95
2,03a
0,18a
1,90a
0,10a
Differenze significative (P≤0.05) sono indicate da differenti lettere per l'ibrido o per la varietà di cartamo
Tabella 2. Fattori di
traslocazione calcolati per il
cartamo in vaso
metalli
TF% (Cbiomassa
epigea/Cpianta)
Varietà
Ibrido
Cr
70,12 a 36,51 b
Cu
74,80
64,69
Pb
44,13
51,72
Zn
87,90
80,23
Differenze significative
(P≤0.05) sono indicate da
differenti lettere in ogni riga
per ogni metallo pesante
La lettura con ICP-OES ha misurato le concentrazioni di metalli pesanti nei
tessuti delle piante di cartamo della varietà Montola 2000 e dell’ibrido IB9049.
Quantità significative di Cr, Cu e Zn si riscontrano nei tessuti vegetali della varietà, che dimostra una
maggiore suscettibilità all’assunzione di metalli pesanti. Solo per il Pb non vi sono differenze significative tra
le tesi di cartamo in prova. I valori dal coefficiente di traslocazione, misura della capacità di dislocazione dei
metalli nella biomassa epigea rispetto all’intera pianta (tab. 2), mettono in evidenza l’elevata capacità di
traslocazione del cartamo. Infatti, non solo i metalli più mobili, Zn e Cu, si trovano in percentuali superiori al
60% nella zona epigea, ma anche i meno mobili, Cr e Pb, vengono trasferiti alla parte aerea della pianta in
quantità considerevoli tali da raggiungere anche valori del 70% per il Cr nella varietà.
Figura 1. Confronto tra la varietà e l'ibrido di cartamo sulla capacità di assorbimento dei metalli pesanti in vaso
Differenze significative (P≤0.05) sono indicate da differenti lettere per ogni metallo pesante
Conclusioni
In questa ricerca si è voluta effettuare una valutazione del comportamento fitoestrattivo di una varietà
(Montola 2000) e un ibrido americano (IB9049) di cartamo, mediante una prova in vaso. I risultati
ottenuti mostrano che questa specie può ritenersi valida nei processi di fitoestrazione di metalli pesanti,
in particolare per la buona attitudine ad assorbire zinco e per l’alto fattore di traslocazione.
Bibliografia
Commissione della Comunità Europea , 1986. Council Directive 86/278/EEC of 12 June 1986 on the protection of the
environment, and in particular of the soil, when sewage sludge is used in agriculture. Official Journal L 181 , 04/07/1986. 6- 12.
Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale" Parte IV – Titolo V –Bonifica dei siti
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Ekvall, L. Greger, M., 2003. Effects of environmental biomass-producing factors on Cd uptake in two Swedish ecotypes of
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Kumar, P.B.A.N et al. 1995. Phytoextraction: the use of plants to remove heavy metals from soils. Environ. Sci. Technol.
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Lasat, M.M. 2000. The use of plants for the removal of toxic metals from contaminated soil. American Association for the
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170
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Potenzialità Produttiva di Genotipi di Sorgo da Biomassa in
Ambiente Caldo Arido Mediterraneo
Alessandro Attilio Saita, Giovanni Scalici, Salvatore Luciano Cosentino, Paolo
Guarnaccia
DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania IT [email protected]
Introduzione
Fra le colture in grado di contribuire in ambiente semi arido mediterraneo alla produzione di
biocarburanti e alla riduzione delle emissioni di CO2 il sorgo zuccherino desta interesse per la
produzione di bioetanolo di prima e seconda generazione, in quanto in grado di svilupparsi e crescere
anche in condizioni di deficit idrico del terreno, grazie ad alcune peculiari caratteristiche morfologiche e
fisiologiche (Foti et al., 1996; Cosentino, 1996). Nell’ambito di numerose ricerche è stato dimostrato la
necessità di individuare numerosi genotipi adatti all’ambiente caldo arido mediterraneo (Cosentino et
al., 1997a, 1997b; Patanè et al. 1997). In quest’ottica è stata condotta una ricerca sostenuta dal MiPAF
con il progetto “Filiere agro energetiche nel Sud Italia” (F.A.E.S.I), con l’obbiettivo di caratterizzare
nuovi genotipi di sorgo zuccherino e da fibra di varia provenienza.
Metodologia
La prova è stata condotta nell’anno 2008 in agro di Catania, presso l’azienda della Facoltà di Agraria
dell’Università posta in contrada Primosole, in un terreno di medio impasto, tendenzialmente argilloso e
dotato di buona capacità di ritenzione idrica. Sono stati posti allo studio 25 genotipi di sorgo a differente
destinazione produttiva: da fibra e da zucchero, (tab. 1). Per la prova è stato adottato uno schema
sperimentale a blocchi randomizzati replicati 3 volte. La semina è stata eseguita in data 15/04/2008, a
fila continua (con successivo diradamento) ad una profondità di 20 mm circa, con un’interfila distante
0,50 m e 0,16 m sulla fila, valori che lasciano sufficiente spazio per effettuare eventuali interventi di
sarchiatura. L’investimento unitario è stato di 12 piante m2 sia per le varietà da zucchero che per quelle
da fibra; la dimensione della parcella elementare è stata di 12 m2 (3 m x 4 m). In questa prova sono stati
somministrati, alla semina 60 kg ha-1 di N sotto forma di solfato ammonico (21%) e 100 kg ha-1 P2O5
sotto forma di perfosfato semplice (19%); in copertura sono stati somministrati 40 kg ha-1 di N sotto
forma di nitrato ammonico (34%). Alla raccolta, effettuata su una parcella utile di 3,85 m2, è stata
determinata la biomassa totale epigea fresca e secca ( foglie, fusto e panicolo); quest’ultima, mediante
essiccamento in stufa a 105°C sino al raggiungimento del peso costante. Il tenore in zuccheri è stato
misurato attraverso l’impiego del rifrattometro ottico MR-90ATC.
Tabella 1. Genotipi allo studio
Genotipo
ABZ S
ABZ 23
Makueni Local 06
Makueni Local 05
M81-E
Soave
Rio
H 132
Provenienza
A.Biotec (ITA)
A.Biotec (ITA)
ICRISAT (INDIA)
ICRISAT (INDIA)
Mississippi (USA)
Texas (USA)
Mississippi (USA)
Syngenta (ITA)
Genotipo
Keller
Cowley
Wray
Roce
Theis
Tracy
ABF 14
H 952
Provenienza
Mississippi (USA)
Texas (USA)
Mississippi (USA)
Texas (USA)
Mississippi (USA)
Mississippi (USA)
A.Biotec (ITA)
Syngenta (ITA)
Genotipo
Brandes
90-5-2
MN 1500
IS 21055
ABF 306
ABF 26
CC 270
CC 261
C 101
Provenienza
Mississippi (USA)
Selez. Univ. Piacenza
Minnesota (USA)
ICRISAT (INDIA)
A.Biotec (ITA)
A.Biotec (ITA)
ICRISAT (INDIA)
ICRISAT (INDIA)
ICRISAT (INDIA)
Risultati
L’altezza delle piante è stata significativamente influenzata dal genotipo (tab.2). Tra i genotipi si sono
distinti la cv. Sorgo 90-5-2 e la Makueni Local 05, che hanno fatto registrare i valori più elevati
171
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
dell’altezza pianta (≥ 330 cm). Per contro il valore inferiore (≤ 184 cm) è stato corrisposto dalle cv.
Theis, Roce e Rio. Nella media dei genotipi l’altezza è stata di 273.7 cm. La concentrazione degli
zuccheri nei genotipi di sorgo studiati ha mostrato valori più elevati dell’indice di rifrazione in Roce e
Keller, (rispettivamente 20.6 e Tab. 2 – Altezza, biomassa fresca e secca epigea, zuccheri totali nei genotipi
19.7 °Brix), mentre più allo studio
contenuto è risultato il tenore in
Biomassa
zuccheri in ABF 306 e ABF
Genotipo
Altezza
fresca
secca Indice rifrattometrico
26, (nell’ordine 12.9 e 13.5
(cm)
(t ha-1)
(gradi Brix)
gradi brix). La media di tutti i
Makueni Local 06 315,2
139,38
32,34
18,2
genotipi allo studio si è
Makueni Local 05 329,8
132,12
36,40
19,1
attestata intorno a 16.3 gradi
C 101
318,5
132,00
29,94
15,8
brix. (tab. 2). La produzione di
ABF 14
259,4
126,00
31,52
15,1
biomassa totale epigea fresca
Keller
299,3
123,20
31,93
19,7
nei genotipi allo studio si è
90-5-2
349,7
110,96
35,49
14,7
attestata, in media, intorno a
M81-E
321,3
110,73
26,16
18,0
88.4 t ha-1, mentre la quantità di
ABZ S
290,8
109,60
24,20
16,9
biomassa secca è stata di 24.7 t
ABF 306
292,4
105,60
29,35
12,9
Tracy
292,2
103,87
28,26
15,7
ha-1 (tab. 2). Tra i genotipi si
CC 261
325,5
101,33
34,84
15,2
sono distinti la cv. Makueni
ABF 26
281,2
101,20
30,58
13,5
Local 06, 05 e la C 101, che
IS 21055
307,5
94,53
26,85
15,1
hanno fatto registrare i valori
H 132
284,3
89,68
33,03
13,7
più elevati della biomassa
CC 270
307,7
86,22
36,08
14,2
totale fresca, (139.9 t ha-1,
ABZ 23
268,3
83,50
19,30
15,8
-1
-1
132.1 t ha e 132.0 t ha
MN 1500-2
279,1
83,40
21,98
16,6
rispettivamente). Le produzioni
H 952
260,4
75,61
23,70
17,1
di biomassa totale secca più
Wray
260,2
59,18
15,17
16,8
alte si sono riscontrate nelle cv.
Soave
202,5
53,60
13,80
14,5
Makueni Local 05 e CC 270,
Cowley
233,8
49,40
13,87
16,8
(rispettivamente 36.4 e 36.08 t
Brandes
207,2
46,83
15,12
19,5
-1
ha ).
Roce
186,9
33,53
9,51
20,6
Rio
185,9
30,48
8,62
15,5
Theis
183,6
29,08
8,55
17,5
Conclusioni
media
273,7
88,44
24,66
16,34
I risultati di questa ricerca
hanno confermato la buona
capacità produttiva del sorgo,
da fibra, da granella e zuccherino, come coltura da biomassa per energia nell’ambiente mediterraneo.
L’ampia variabilità riscontrata tra i genotipi allo studio, in rapporto alle caratteristiche biologiche e
fisiologiche, è stata indagata allo scopo di individuare i meccanismi che consentono un migliore
adattamento all’ambiente mediterraneo. L’accumulo della biomassa secca totale della pianta, infatti, si è
differenziato in rapporto ai genotipi.
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China, 14-19 September,352-362.
172
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione della Capacità Germinativa dei Semi di
Galatella linosyris (L.) Rchb. f. subsp. linosyris
Enrico Scarici, Francesco Rossini
Dip. di Produzione Vegetale, Univ. della Tuscia, IT, [email protected]
Introduzione
Galatella linosyris (L.) Rchb. f. subsp. linosyris [Syn.: Aster linosyris
(L.) Bernh.] è una emicriptofita scaposa, della famiglia delle Asteraceae
(Figura 1). Il fusto glabro o poco peloso, generalmente indiviso, può
raggiungere i 30-50 cm; le foglie lanceolato-lineari (0.1-0.15 x 3.5-6
cm) sono per lo più addensate alla base dei fusti: le inferiori erettopatenti, le superiori da erette a riflesse. I capolini formati da soli fiori
tubulosi (fino a 25), di colore giallo, sono riuniti in corimbi contratti
terminali ai fusti; fiori con tubo di 6 mm e 5 lacinie di 3 mm; stimmi
sporgenti di 4 mm. Il frutto è un achenio lungo circa 3 mm, provvisto di
pappo brunastro di peli sinuosi. E’ elemento EurimediterraneoSudsiberiano (Sub-Pontico), con baricentro orientale in Italia. L’habitat
di pertinenza è costituito dai prati aridi di tipo steppico, soprattutto su
argille, anche subsalse, dal livello del mare al piano montano inferiore Figura 1. Galatella linosyris
(Pignatti, 1982). Il suo areale italiano comprende tutte le regioni s.s. in antesi
peninsulari; è assente nelle isole (Conti et al., 2005; 2006).
L’adattamento della pianta a suoli “difficili”, unitamente al valore ornamentale delle sue fioriture,
rende molto interessante il suo impiego in interventi di valorizzazione estetico-paesaggistico di aree
manomesse.
Metodologia
Gli acheni sono stati raccolti nell’ultima decade di novembre – prima decade di dicembre 2009, da un
popolamento rinvenuto nell’Alto Lazio (Bomarzo), su un prato arido di versante calanchivo. Nei due
mesi successivi sono state avviate le prove di germinazione in ambiente controllato. E’ stato eseguito un
trattamento antimicotico prima dell’inizio del test immergendo gli acheni in una soluzione di ipoclorito
di sodio al 2% per 5 minuti. Tale trattamento alla ben nota azione fungicida assomma quella ossidante
nei riguardi di sostanze che inibiscono la germinazione, eventualmente contenute nei tegumenti
seminali (Bacchetta et al., 2006). Gli acheni, 25 per ciascuna delle 4 repliche, sono stati collocati in
capsule Petri (ø 100 mm) su 3 strati di carta da filtro saturata con acqua deioinizzata. Le capsule,
sigillate con parafilm sono state incubate, poi, in camera termostatica. Sono stati saggiati 3 livelli
termici (15, 20 e 25 °C ± 1 °C), al buio e con fotoperiodo di 12/12h (luce bianca emessa da neon
fluorescenti PHILIPS THL 20W/33, PAR di 80 µmol m-2s-1). Il controllo della prova è stato eseguito
quotidianamente fino al 30° giorno: il seme è stato considerato germinato quando i tegumenti seminali
sono apparsi perforati dalla radichetta e quest’ultima aveva raggiunto la lunghezza di almeno 2 mm
(Côme, 1970). Di ciascun test sono stati determinati la percentuale di semi germinati, il ritardo e la
velocità di germinazione e costruita la curva cumulativa di germinazione. E’ stato inoltre determinato il
peso di mille semi. I dati relativi alla germinabilità sono stati sottoposti all’analisi della varianza
(ANOVA).
Risultati
In base ai dati ricavati, la germinazione è risultata influenzata significativamente dalla temperatura: il
valore più elevato (75.50%) è stato raggiunto a 20 °C; alle altre temperature di prova il valore
percentuale dei semi germinati non è risultato significativamente diverso e, comunque, superiore al 50%
(Figura 2). Non sono stati riscontrati effetti significativi dovuti al fotoperiodo e all’interazione di
quest’ultimo con la temperatura. Passando ad analizzare il ritardo di germinazione, i valori più elevati
173
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
sono stati riscontrati a 15 °C e precisamente 6 giorni nella prova condotta con fotoperiodo di 12/12 h e 7
giorni in quella al buio, valori inferiori sono stati rilevati, invece, alle altre temperature mentre il TM50
è stato compreso tra 5 e 10 giorni (Tabella 1). Il peso di 1000 semi (g) è pari a 2.86 ± 0.21.
Figura 2. Germinazione rilevata alle tre temperature di prova (lettere diverse
indicano differenze significative per P< 0.05)
Tabella 1. Valori rilevati alle 3 temperature di prova al buio e con fotoperiodo di 12/12h
Germinazione
(%)
Ritardo di
germinazione
(gg)
TM50
(gg)
15 °C
buio
15 °C
12/12h
20 °C
buio
20 °C
12/12h
25 °C
buio
25 °C
12/12h
51.60
62.50
75.00
76.60
53.30
58.33
7
6
3
3
3
3
10
8
6
5
8
6
Conclusioni
La sperimentazione ha fornito alcune interessanti informazioni sull’ecologia germinativa di Galatella
linosyris s.s., utili per uno studio successivo, che tenga conto anche di una valutazione in campo; il tutto
nella prospettiva di un auspicabile impiego della specie in interventi di valorizzazione e riqualificazione
estetico paesaggistica di aree manomesse.
Bibliografia
Bacchetta et al. 2006. Manuale per la raccolta, studio, conservazione e gestione ex situ del germoplasma Manuali e Linee
Guida 37/2006 APAT, 37: 1-224.
Côme D. 1970. Les obstacles à la germination. Ed. Masson, Paris.
Conti et al. 2005. An Annotated Checklist of Italian Vascular Flora.
Conti et al. 2006. Integrazioni alla checklist della flora vascolare italiana. Natura Vicentina, 10: 5-74.
Pignatti S. 1982. Flora d’Italia, 3: 18-19.
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti della Riduzione degli Input Colturali nella Coltura di
Camelina sativa in Ambiente Mediterraneo
Orazio Sortino, Mauro Dipasquale, Salvatore Luciano Cosentino, Rosario Boncoraglio
Dipartimento di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) –
Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia, 5 - 95123 Catania: [email protected]
Introduzione
Lo sfruttamento indiscriminato delle fonti tradizionali di energia come i combustibili fossili, non può
più rappresentare la risposta al forte incremento del fabbisogno mondiale. Negli ultimi anni gli
obbiettivi della ricerca sono stati rivolti allo studio di specie oleaginose ad elevata produttività con
ridotta richiesta di input agronomici. Oltre all’uso energetico, tali produzioni trovano largo impiego in
una vasta gamma di applicazioni industriali. Tra le varie specie che possono essere coltivate nel Sud
Italia, per la produzione di oli vegetali, la Camelina sativa è una oleaginosa il cui pieno potenziale non
è stato ancora esplorato (Zubr and Matthaus 2002, Sortino O., et al., 2009). Scopo di questo lavoro è
stato quello di studiare gli effetti su Camelina sativa della riduzione degli input agronomici sulle
produzioni nell’ottica di una maggiore sostenibilità economica ed ambientale.
Materiali e metodi
Le prove sono state condotte in un biennio (2007-09), nel territorio di Ispica (RG), sito nella Sicilia
Sud-Orientale), su di un terreno di medio impasto. Ponendo allo studio la varietà “Calena” di Camelina
sativa coltivata in semina autunnale, sono stati confrontati, in uno schema sperimentale a blocchi
randomizzati con tre ripetizioni e parcelle di 200 m2 (m 10 x 20), due differenti livelli di input: basso
(T1) e alto (T2) (Tab.1).
Tabella 1. Caratterizzazione dei due livelli di input applicati
BASSO INPUT (T1)
ALTO INPUT (T2)
Operazioni colturali pre-semina
Erpicatura
Aratura (30 cm) + erpicatura
Controllo erbe infestanti
Sarchiatura con motozappa
sull’interfila (invernale)
Metazaelor (Butisan-s 1250 g ha-1 in
pre-emergenza)
Concimazione in pre-semina (kg ha-1)
N32; P2O5 40; K2O 35.
N 46; P2O5 80; K2O 70.
La semina è stata effettuata il 13-11-2007 ed il 10-11-2008, su file distanti 20 cm con un investimento
unitario di circa 400 semi per m2. I concimi fosfatici e potassici sono stati apportati interamente poco
prima delle semine. L’azoto, invece, è stato distribuito in 2 frazioni, in fase di presemina ed in copertura
all’inizio della levata, utilizzando la metodica proposta dal Cetiom (1998) per il colza, “Reglette
Azote”, calcolandola sulla base del peso delle piante a fine inverno e della resa obiettivo. In relazione ai
valori medi di biomassa delle aree di saggio (3 per replica) ottenute a fine febbraio, è stata determinata
la dose di azoto ponendo una resa obiettivo di 1.8 - 2.2 t ha-1. Nei due anni in media sono stati
somministrati, 32 e 46 Kg ha-1 di N rispettivamente nelle tesi T1 e T2. Durante il ciclo biologico, oltre al
decorso termo-pluviometrico, sono stati oggetto di rilievo i principali dati fenologici (emergenza,
fioritura e maturazione fisiologica), caratteristiche biometriche (statura delle piante), parametri
produttivi (resa in granella, olio e residui colturali) e qualitativi (peso 1000 semi e contenuto in olio con
il metodo Soxhlet). I dati sono stati sottoposti all’analisi della varianza e, in caso di significatività, è
stato adottato il metodo di separazione delle medie di Student-Newman-Keuls (SNK).
175
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati e discussioni
L’andamento termopluviometrico registrato nel periodo di
prova è risultato nella media dell’ambiente, tipico
mediterraneo con piovosità maggiore al II anno e conseguente
allungamento della durata del ciclo biologico; tale parametro è
risultato nella media degli anni e dei trattamenti pari a 195
giorni con un intervallo più breve di 10 giorni nella tesi T1.
La statura delle piante rilevata in prossimità della fase di
maturazione e variata in funzione sia del fattore “anno”
mostrando valori maggiori al II anno dovuti alla maggiore
disponibilità idrica, che in funzione del fattore “input” con
valori maggiori nella tesi T2 (Fig. 1). Il peso 1000 semi è
risultato influenzato dall’incremento degli input con un valore
nella media degli anni più alto di circa il 17% nella tesi T2
rispetto alla tesi T1. L’ applicazione dei bassi input ha
comportato inoltre una riduzione del contenuto in olio del
seme; tale parametro è risultato influenzato anche dal fattore
anno (43,3% al I anno e 41,6% al II) mostrando un
comportamento opposto della resa in granella. Dall’analisi
della varianza delle rese in granella, in olio e dei residui
colturali non sono state evidenziate interazioni tra il fattore
“input” e il fattore “anno di coltivazione” (tab. 2). In entrambi
gli anni, è stata evidenziata una produttività in granella
significativamente maggiore nella tesi T2 (circa il 10%); tale
resa è risultata in media maggiore al II anno. La resa in olio è
risultata influenzata esclusivamente dal livello di input con
produzioni più alte di circa il 14% nella tesi T2. I residui
colturali hanno seguito lo stesso andamento della resa in
Figura 1. Statura, e caratteristiche
granella con una produzione nella media dei trattamenti
del seme negli anni e nei
-1
maggiore al 2° anno (2.0 e 1.8 t ha ) e nella media degli anni
significativamente maggiore con l’aumento degli input (4.83 e 5.15 t ha-1).
Tabella 2. Produzione in seme, olio e residui colturali in rapporto ai fattori sperimentali
Resa in seme (t ha-1)
2007-08 2008-09 media
Resa in olio (t ha-1)
2007-08 2008-09 media
Residui colturali (t ha-1)
2007-08 2008-09 media
T1
1.73
1.90
1.82 b
0.73
0.78
0.75 b
4.63
5.03
4.83 b
T2
1.89
2.10
2.00 a
0.84
0.89
0.87 a
4.90
5.40
5.15 a
media
1.81 b
2.00 a
0.78
0.83
4.77 b
5.22 a
Conclusioni
L’influenza degli input agronomici è risultata evidente in entrambe le annate agrarie, anche se i risultati
relativi alla coltivazione condotta a bassi input si sono rivelati comunque soddisfacenti, come già
riscontrato in altri studi. La presente ricerca ha permesso di ottenere indicazioni utili in merito alla
possibilità di utilizzare questa coltura in un contesto di agricoltura ecosostenibile; tuttavia ulteriori
approfondimenti saranno necessari per individuare l’itinerario tecnico più idoneo.
Bibliografia
Zubr J. and Matthaus B. 2002. Effects of growth conditions on fatty acids and tocopherols in Camelina Sativa oil. Indust.
Crops Prod. 15: 155-162.
Sortino O., et al. 2009. Valutazione di specie oleaginose autunno-vernine in Sicilia. Atti XXXVIII Convegno SIA, Firenze,
21-23 Settembre 267-268.
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risposta alla Riduzione degli Input Colturali in Ricinus
communis in Coltura Poliennale per la Produzione di Olio in
Sicilia
Orazio Sortino 1, Salvatore L. Cosentino1, Mauro Dipasquale1, Marco. Doz1, Elio Di
Lella2.
1
Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali, Università di Catania, Italia – Via
Valdisavoia, 5 – 95123 Catania, Italia; Tel: 095 234411, e-mail: [email protected].
2
Presidente e amministratore delegato Ecoil srl
Introduzione
Il rinnovato interesse nei confronti del ricino (Ricinus communis) è dovuto al crescente bisogno
mondiale di oli vegetali per la trasformazione in biodiesel, in sostituzione ai carburanti derivanti da fonti
fossili. Come è già stato evidenziato in numerose ricerche, questa specie, in ambiente mediterraneo può
essere validamente coltivata come coltura intercalare primaverile-estiva (Sarno et al., 1993; Patanè et
al., 1995; Laureti e Marras, 1995; Laureti, 2002). Obiettivo di questo lavoro è stato quello di studiare,
nel primo biennio di coltivazione, la risposta produttiva di una linea di Ricinus communis, selezionata
dal DACPA da popolazioni spontanee, coltivandola in ciclo poliannuale e facendo riferimento a due
tecniche di conduzione che prevedono un’alta applicazione di input al primo anno (simile a quella
utilizzata per il ricino annuale), e una bassa applicazione di input fin dall’inizio della sperimentazione.
Materiali e metodi
Le prove sono state condotte in un biennio (2007-08), nel territorio di Ispica (RG), sito nella Sicilia
Sud-Orientale. In uno schema sperimentale a blocchi randomizzati con tre ripetizioni sono state poste
allo studio l’applicazione di una tecnica colturale a bassi input (T0), con irrigazione esclusivamente alla
semina e l’applicazione al I anno di una tecnica colturale convenzionale (T1), conforme a quella
utilizzata nella coltura del ricino annuale (irrigazione alla semina e dall’emergenza alla maturazione del
racemo principale; concimazione alla semina con 80 kg ha -1 N, 80 kg ha-1 di P2O5, 60 kg ha-1 di K2O).
La semina è stata effettuata manualmente il 1/6/2007 realizzando un sesto di impianto di m 2x2. I rilievi
effettuati al primo ed al secondo anno dall’impianto hanno riguardato i principali dati meteorologici, la
statura delle piante, la produzione di biomassa, la resa in granella riferita al 10% di umidità, il peso 1000
semi ed il contenuto in olio dei semi (metodo Soxhlet).
Risultati e discussioni
Dall’analisi dei dati meteorologici del biennio emerge come al I anno in primavera si sono avuti circa
200 mm di pioggia utili all’insediamento della coltura, mentre al II anno le precipitazioni sono risultate
concentrate nei mesi invernali; le temperature registrate al II anno sono risultate inoltre più alte di quelle
rilevate al I anno. La statura delle piante è risultata essere influenzata dalla tecnica colturale utilizzata: è
variata infatti tra 114 cm (T0) e 221 cm (T1) al I anno e tra 186 cm (T0) e 273 cm (T1) al II anno (tab. 1).
La produzione di biomassa è aumentata coi maggiori livelli di input, raggiungendo alla fine del II anno
valori di circa 7 e 15 t ha-1 (rispettivamente per T0 e T1).
Tabella 1. Statura delle piante e produzione della biomassa epigea totale nei trattamenti e negli anni allo studio
T0
2007 2008 media
Statura piante (cm)
114 b 186 b 150
Biomassa secca (t ha -1) 2,6 b 7 b
4,8
caratteri
T1
2007 2008 media
221 a 273 a 247
6,3 a 15 a 10,7
177
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
La tesi T1 nei due anni ha fornito una resa in granella significativamente superiore rispetto alla tesi T0 (4
e 3 t ha-1 rispettivamente ); con produzioni superiori al II anno per entrambe le tesi (Fig. 1). Passando dal
I al II anno ad un incremento della resa in seme, è corrisposta una generale riduzione del peso 1000
semi e del contenuto percentuale in olio. Con riferimento al fattore input, la loro riduzione ha
comportato in entrambi gli anni una riduzione del peso 1000 semi (312 vs. 346 g) e del contenuto in
olio (43 vs. 47%).
Figura 1. Caratteristiche produttive rilevate nel biennio di prova
T0
T1
La resa in olio ha seguito lo stesso comportamento della resa in granella incrementando notevolmente
passando dal I al II anno. É stato osservato inoltre, come il ricino coltivato a ciclo poliennale, in quasi
totale assenza di input, sia riuscito a fornire nel biennio delle buone produzioni pari al 75% circa di
quella ottenuta con una tecnica colturale “convenzionale”.
Conclusioni
La possibilità di reintrodurre il ricino negli ordinamenti colturali mediterranei richiede la conoscenza e
la sperimentazione di nuove tecniche colturali che possano minimizzare i costi e l’impatto
sull’ambiente. Le rese di questa nuova selezione di ricino, coltivata in ciclo poliennale, sono
decisamente promettenti. Da questa prima sperimentazione, riferita ai primi due anni di coltivazione in
ciclo poliennale, il ricino sembrerebbe in grado di realizzare delle buone produzioni sia in seme che in
olio, anche con una riduzione degli input agronomici.
Bibliografia
Patanè C. et al. 1995. Caratteristiche biologiche e produttive del ricino in relazione a differenti epoche di semina.
L’Informatore Agrario, 46, Supplemento:9-11;
Sarno R. et al. 1993. Bioagronomical and qualitative evaluation of same castor (Ricinus communis L.) varieties in the
sicilian hilly inland. Atti del “Second European Symposium on industrial Crops and Products” 322-24 novembre, Pisa,
Italy.
Laureti D., Marras G. 1995. Irrigation of castor (Ricinus communis L.) in Italy. Eur. J. Agron., 4: 229-235;
Laureti D. 2002. Fabbisogni idrici del ricino (Ricinus communis L.) mediante l’impiego di coefficienti colturali e di deficit
idrico. Agroindustria, 1: 165-167.
178
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti della Potatura sulle Produzioni di Ricinus communis
allevato in coltura poliennale nella Sicilia Sud- Orientale
Orazio Sortino, Mauro Dipasquale, Loredana Daparo, Maria Adriana Criscione
Dipartimento di Scienze Agronomiche Agrochimiche e delle Produzioni Animali (DACPA) –
Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia, 5 - 95123 Catania: [email protected]
Introduzione
Il Ricinus communis L. è un oleaginosa con considerevole rappresentatività nello scenario economico
mondiale (Silva et al., 2007). Recenti ricerche dimostrano come questa specie possieda un elevato
valore strategico in virtù delle vaste applicazioni industriali sia della biomassa per la produzione di
energia, sia della granella per la produzione di olio da destinare alla produzione di biodiesel, plastiche,
fibre sintetiche, tinture, vernici e cosmetici (Freire et al., 2007). La sua versatilità si deve alla struttura
chimica dell’acido ricinoleico (INTERNATIONAL CASTOR OIL ASSOCIATION – ICOA, 2008). I
risultati di queste ricerche rivestono notevole importanza in considerazione dell’ampia diffusione di tale
specie allo stato spontaneo in molte aree meridionali indice di notevole adattabilità all’ambiente
mediterraneo, caratteristica propedeutica per una sua possibile messa in coltura anche in aree marginali.
In questo lavoro si riportano i risultati di una ricerca volta a studiare gli effetti di due forme di
allevamento: accrescimento naturale (A1) e capitozzatura annuale degli arbusti (A2) di un genotipo
selezionato in Sicilia di ricino come coltura energetica poliennale.
Materiali e metodi
Le prove sono state condotte in agro di Ispica (RG), località ricadente nella Sicilia Sud-Orientale (36°
49’ Lat. N, 14° 57’ Long. E, 280 m s.l.m.). In un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con tre
repliche, sono stati posti allo studio, in una linea di ricino selezionato da genotipi spontanei della Sicilia
Sud-Orientale per la coltivazione poliennale, gli effetti di due sistemi di allevamento: taglio della
biomassa epigea a 50 cm dal colletto in autunno dopo l’ultima raccolta allo scopo di simulare la raccolta
meccanica (A2) e testimone ad accrescimento indefinito (A1). La semina è stata realizzata manualmente
il 15/06/2007 su parcelle elementari di 100 m2 (10 x 10 m) con un investimento di 0,25 piante per m2
(sesto di impianto 2 x 2 m). Prima dell’impianto, il terreno è stato lavorato e concimato con 60 kg ha-1
di N, 100 kg ha-1 di P2O5, e 60 kg ha-1 di K2O. La coltura è stata irrigata esclusivamente nei primi 20
giorni dopo la semina. Oltre ai principali parametri meteorologici (temperature minime, massime e
precipitazioni) registrati per mezzo della stazione elettronica CR-10, sulla parcella utile (escluse le file
di bordo e le piante di ciascuna estremità della fila), su un campione di 10 piante rappresentative sono
stati determinati la lunghezza dei racemi, il numero di racemi per pianta, il numero di capsule per
racemo e la produzione di seme. Sono stati inoltre rilevati il peso mille semi e il contenuto percentuale
in olio; infine è stata calcolata la resa in seme ed in olio.
Risultati e discussioni
Con riferimento agli effetti del sistema di allevamento sulle caratteristiche biometriche delle piante è
stato osservato come la capitozzatura effettuata sia al I che al II anno, abbia determinato
rispettivamente al II e al III anno di coltivazione una significativa riduzione del numero di racemi, un
maggiore allungamento dei racemi ed un aumento del numero di capsule per racemo; nessuna influenza
è stata invece esercitata su tali caratteri biometrici dal fattore anno e dall’interazione di questo con il
sistema di allevamento delle piante (Tab. 1).
Nella media dei trattamenti i semi al III anno, hanno evidenziato rispetto al II un maggiore peso ed un
minor contenuto in olio (Tab. 1, Fig. 1). In merito agli effetti della potatura, questa ha influenzato
positivamente il peso 1000 semi in entrambi gli anni, mentre, esclusivamente al II anno, ha determinato
una riduzione del contenuto in olio dei semi. La resa in seme ed olio nella media dei trattamenti è
179
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
aumentata passando dal I al III anno (Fig. 2). Le
differenze, riscontrate a partire dal II anno hanno
mostrato
come la potatura abbia influenzato
negativamente la resa in seme (4,43 contro 5,78 t ha-1
nella media del biennio) ed in olio (1,6 contro 2,3 t ha1
nella media del biennio) sia al II che al III anno
dalla semina.
Figura 1. Contenuto in olio (%) dei
semi nel triennio
A1 seme
A1 olio
7
A2 seme
A2 olio
resa (t ha -1 )
6
5
4
3
2
1
0
2007
contenuto in olio (%)
44
2008
a
42
40
2009
a
b
38
bc
b
c
36
A1
A2
Figura 2. Andamento nel triennio della resa
in seme ed in olio. Le barre verticali
rappresentano l’errore standard
34
32
2008
2009
media
Conclusioni
Dallo svolgimento di questa prova risulta evidente come la potatura da collegare alla raccolta meccanica
nel triennio abbia provocato una riduzione del 20% della resa in seme e del 25% della resa in olio,
risultati in ogni caso da inserire in un bilancio economico allo scopo di mostrare la convenienza
dell’una o dell’altra pratica agronomica prendendo in considerazione anche il valore della biomassa da
usare per fini energetici.
Bibliografia
Freire R. M. M. et al. 2007. Ricinoquìmica e co-produtos In: Azevedo, D. M. P. de; Beltrao, N. E. de M. O agronegocio da
mamona no Brasil. 2. ed. Brasilia: Embrapa informacao tecnologica, 2007. cap. 19, p. 451-473
Silva T. R. B. et al. 2007. Adubacao nitrogenada em cobertura da mamona em plantio direto. Pesquisa Agropecuaria
Brasileira. V. 42, n. 09, p. 1357-1359.
INTERNATIONAL CASTOR OIL ASSOCIATION – ICOA, 2008. The chemistry of castor oil and its derivaties and their
applications. Disponivel em: http: //www.icoa.org/bull2.htm. Acesso em:20 dez.2008
180
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Variazione della Caratteristiche Qualitative della Camelina
Sativa in Funzione dell’Epoca di Raccolta
Luigi Tedone1, Carmine Bruno2, Leonardo Verdini1, Nicola Grassano1, Giuseppe De
Mastro1
1 Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Bari “A.Moro” [email protected]
2 Centro Didattico Sperimentale “E. Pantanelli”, Università degli Studi di Bari “A. Moro” Policoro (MT)
Introduzione
La camelina (Camelina sativa (L.) Crantz), è una brassicacea annuale originaria dell’Asia, a ciclo
autunno-vernino o primaverile-estivo, introdotta in Europa intorno al XVI secolo, diffusasi per la
buona adattabilità della coltura e per il ciclo estremamente precoce che ne ha permesso l’adattabilità a
diverse condizioni pedo-climatiche.
La più recente attenzione verso alimenti funzionali ed in particolare ricchi in acidi grassi omega-3,
come nel caso dell’olio di camelina, ha risvegliato l’interesse per questa pianta per uso alimentare in
particolar modo zootecnico (Matthaus et al, 2000).
L’interesse nell’alimentazione animale è legato alla possibilità di ottenere, attraverso una dieta ricca in
acidi grassi polinsaturi, un arricchimento in tali composti dei derivati zootecnici come carne e latte
(Peiretti, 2007).
Per di più l’uso zootecnico della camelina potrebbe prevedere un impiego foraggero della coltura in
quanto anche la biomassa verde è dotata di un buon contenuto in grassi ricchi in acidi polinsaturi
(Peiretti et al, 2007) oppure l’utilizzo diretto della granella o dei panelli, ricchi in proteine, dopo la
spremitura dell’olio (Matthaus et al, 2000).
Oggi si dispone di una discreta gamma varietale selezionata per le buone caratteristiche agronomiche e
per aspetti qualitativi (Vollman et al, 2007). Non molte, invece, sono le informazioni sulla adattabilità
della coltura a condizioni di coltivazione tipiche degli ambienti meridionali (Angelini et al., 1997,
Tedone et al., 2010).
A tal fine, si riportano, nella presente nota, i risultati relativi alla valutazione della coltivazione della
camelina in ambiente meridionale, sia per la destinazione da seme, che per la produzione di foraggio.
Metodologia
La prova è stata condotta durante l’annata 2006-2007 in due località:
• a Policoro (MT), presso il Centro Didattico Sperimentale “E.Pantanelli” dell’Università di Bari,
località caratterizzata da clima sub-umido e terreno di origine alluvionale, profondo, limosoargilloso, di buona fertilità;
• in agro di Gravina in Puglia (BA), nel Parco dell’Alta Murgia, area a forte vocazione cerealicolozootecnica, con particolare attenzione all’allevamento ovino.
Le semine sono state eseguite a fine ottobre in entrambe le località, utilizzando un’unica varietà
(Calena) ed uno schema sperimentale a blocchi randomizzati e tre ripetizioni. I trattamenti a confronto
hanno previsto epoche di raccolta della biomassa in tre distinte fasi fenologiche (levata, fioritura ed
allegagione).
La raccolta è stata eseguita su un’area di saggio di 20 m2, determinando la produzione biomassa totale e
per parti di pianta (foglie, steli, silique) e le caratteristiche qualitative del prodotto (contenuto in proteine
e grassi e relativa composizione).
I dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi della varianza e il confronto delle medie dei parametri
considerati è stato effettuato mediante il test di Duncan (P<0,05).
Risultati
La coltura ha evidenziato differenze in termini di produttività tra l’areale di Policoro e quello di
Gravina. La maggior fertilità del terreno e le condizioni più miti hanno permesso alla coltura di
camelina di vegetare molto bene in agro di Policoro, come evidenziato dalla maggior taglia della pianta,
181
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
in media 50.6 cm rispetto a 35.6 cm di Gravina, una maggior produttività in biomassa fresca, in media
22,9 tha-1 rispetto a 15.2 tha-1 dell’areale di Gravina.
Lo sfalcio in fase di levata (tab.1) risulta il meno produttivo, tra 6.8 e 10.2 tha-1 di biomassa fresca,
mentre gli sfalci in fase più ritardata risultano essere quelli più produttivi (tra 19.8 e 29.7 tha-1) con
differenze sempre legate alla località di coltivazione. L’epoca di raccolta sembra condizionare la qualità
della biomassa in termini di composizione e ripartizione delle diverse organi che la compongono (fusti,
foglie e silique).
Tabella 1. Risultati produttivi e caratteristiche qualitative della biomassa
Epoche di
raccolta
Gravina
levata
fioritura
allegagione
Policoro
levata
fioritura
allegagione
Altezza
pianta
(cm)
Produzione
biomassa
fresca
(t ha-1)
Produzione
biomassa
secca (t/ha)
Contenuto Proteine Distribuzione della biomassa
in olio
(%)
(%)
(%)
foglie
fusti
silique
22,5
33,3
51,0
6,8
19,1
19,8
1,4
4,4
5,6
1,6
2,1
3,2
22,8
14,4
8,1
59,5
48,6
35,5
40,5
44,6
43,3
0,0
6,8
21,2
32,0
47,3
72,4
10,2
28,7
29,7
2,4
7,8
10,4
1,9
2,5
4,2
22,2
15,7
9,3
59,5
49,5
39,8
40,5
46,7
45,6
0,0
3,9
14,6
Gravina
Policoro
35,6 A
50,6 B
15,2 A
22,9 B
3,8 A
6,8 B
2,3
2,9
13,9
15,7
47,9
49,6
42,8
44,3
9,4
6,2
Media generale
43,1
19,1
5,3
2,6
15,4
48,7
43,5
7,8
I valori non aventi alcuna lettera in comune sono significativamente diversi per P ≤ 0,01(test Duncan)
Le differenze riscontrate risultano, infine, ancor più evidenti nella caratterizzazione acidica dell’olio
contenuto nelle parti vegetative, rispetto all’olio contenuto nei semi. In particolare i risultati ottenuti
confermano quanto evidenziato da Peiretti et al.(2007) in termini di prevalenza di acido α-linolenico e
palmitico nelle foglie e nei fusti, e di acido oleico e gadolenico nei semi.
Conclusioni
Lo studio effettuato sul potenziale utilizzo della camelina
come coltura foraggera ha fornito risultati di un certo
interesse, anche in considerazione di una possibilità di
valorizzazione “funzionale” della coltura, con possibilità di
ottenere delle produzioni zootecniche con maggior valore
aggiunto.
Bibliografia
Angelini L.G. et al. 1997. Variation in agronomic characteristics and
seed oil composition of new oilseed crops in central Italy. Industrial crops and
Products. 6. 313-323.
Matthaus B., Zubr J. 2000. Variability of specific components in Camelina
sativa oilseed cakes. Industrial Crops and Products 12: 9–18.
Peiretti P.G., Meineri G. 2007. Fatty acids, chemical composition and organic matter digestibility of seeds and vegetative parts of
false flax (Camelina sativa L.) after different lengths of growth. Animal Feed Science and Technology 133.341–350
Tedone et al. 2010. Coltivazione della camelina in ambienti dell’Italia meridionale: primi risultati. Italus Hortus (in press).
Vollmann J. et al. 2007. Agronomic evaluation of camelina genotypes selected for seed quality characteristics. Industrial
Crops and Products 26: 270–277.
Zubr J. 2002. Qualitative variation of Camelina sativa seed from different locations. Industrial Crops and Products 17: 161-169.
Tabella 2. Composizione acidica
delle sostanze grasse contenute nella
biomassa e nella granella
182
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Stato Nutrizionale del Frumento in Risposta alla
Concimazione Organica e alla Consociazione Temporanea
Giacomo Tosti, Federica Graziani, Roberta Pace, Marcello Guiducci
Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Perugia, IT, [email protected]
Introduzione
In aree mediterranee le basse temperature e l’abbondante piovosità del periodo autunno-vernino
producono solitamente delle condizioni di scarsa disponibilità azotata durante larga parte del ciclo del
frumento Nei sistemi convenzionali le esigenze in azoto della coltura possono essere agevolmente
soddisfatte con la concimazione minerale di copertura. Nei sistemi biologici, invece, la scarsa efficienza
dei fertilizzanti organici distribuiti alla semina rende necessario individuare strategie di intervento
innovative per contrastare la carenza di azoto durante le fasi più critiche del ciclo colturale del cereale
(Quaranta et al. 2009). In questa nota vengono riportati i primi risultati di una sperimentazione di
campo su due distinti approcci tecnici alla gestione della nutrizione azotata del frumento biologico: uno
basato sull’impiego della consociazione temporanea con specie leguminose (Tosti and Guiducci, 2010),
l'altro basato sulla distribuzione frazionata di concimi organici diversi
Metodologia
Nell'annata 2009/10 è stata effettuata presso la Stazione Sperimentale di Papiano del Dipartimento
di Scienze Agrarie e Ambientali dell'Università degli Studi di Perugia una prova sperimentale sul
frumento tenero biologico (cv Aubusson) In uno schema sperimentale a blocchi randomizzati (3
ripetizioni) sono state messi a confronto 3 concimi organici (cuoio torrefatto:C, panello proteico di
girasole: P e sangue secco:S) e 3 tipi di consociazione temporanea con leguminose (favino: FV;
pisello proteico: PP e trifoglio squarroso: TS).
I concimi organici sono stati distribuiti nel frumento in purezza alla dose complessiva di 80 kg N
ha-1 in un'unica soluzione alla semina (rispettivamente tesi C, P e S) oppure in due tempi: metà
dose alla semina con gli stessi concimi organici e metà dose all’accestimento utilizzando il sangue
secco (rispettivamente, tesi CS, PS, SS).
Le consociazioni sono state realizzate previa semina delle leguminose nell’interfila del cereale e
successivo interramento delle piante all’inizio della levata Il frumento in purezza è stato seminato
con interfila a 0.25 m (interfila stretta); il frumento consociato è stato seminato con interfila a
0.375 m (interfila larga) per permettere la semina e l’interramento delle leguminose.
Come tesi controllo sono state seminate parcelle di frumento in purezza concimate con nitrato di
ammonio a dosi crescenti (0, 80, 160 kg N ha-1). Per stimare il prevedibile effetto della spaziatura
delle file, i controlli sono stati realizzati sia con interfila stretta (rispettivamente tesi N0S, N80S,
N160S) sia con interfila larga (rispettivamente N0L, N80L, N160L).
Lo stato nutrizionale del frumento è stato determinato mediante determinazioni SPAD (SPAD 502,
Minolta Ltd., Osaka, Japan) effettuate con cadenza quasi settimanale durante il ciclo colturale.
Alla fioritura del frumento sono stati rilevati i valori SPAD su 20 foglie bandiera per parcella.
Delle stesse foglie sono stati determinati in laboratorio la superficie, il peso secco e il contenuto di
azoto per calcolarne lo Specific Leaf Nitrogen Weight (SLNW, g di N m-2).
Risultati
L’andamento dei valori SPAD ha evidenziato una sostanziale uguaglianza tra i differenti concimi
organici impiegati, che si sono comunque attestati su livelli ben al di sotto di quanto osservato nella
concimazione minerale di pari livello (N80S). Rispetto alla distribuzione dell’intera dose alla semina, il
frazionamento della concimazione ha generato un lieve incremento dei valori SPAD soprattutto durante
la seconda fase del ciclo del frumento. Per quanto concerne la consociazione temporanea, FV e PP
hanno mostrato un andamento simile tra loro con un incremento del valore SPAD ben visibile a partire
da circa una settimana dopo l’interramento delle leguminose mostrando, dalla spigatura in poi, valori
183
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
simili ai controlli con le più alte dosi di azoto. In TS l’andamento SPAD è stato del tutto identico al
controllo N0L (Fig. 1). L’influenza dei diversi trattamenti sullo SLNW della foglia bandiera è stata
molto marcata e ben correlata ai valori SPAD registrati alla fioritura (Fig. 2); in particolare, tutti i
concimi organici si sono situati su livelli medio-bassi, solo SS è riuscito a far raggiungere valori
paragonabili (ma sempre inferiori) ad N80S Sia FV che PP hanno consentito al frumento di
immagazzinare molto azoto nelle foglie bandiera (valori simili a N160L) grazie all’alta disponibilità
dell’elemento a seguito della mineralizzazione del materiale interrato che si è sincronizzata in modo
molto preciso con il fabbisogno della coltura durante la fioritura (Fig. 3)
SPAD
Figura 1. Andamento dei valori SPAD durante il ciclo del frumento tenero. Le frecce indicano la fioritura.
50
50
50
40
40
40
30
30
Interfila=0.250m
C
P
S
N0S
20
10
20
10
N80S
30
Interfila=0.250m
CS
PS
SS
N0S
10
N80S
N160S
Interfila=0.375m
FV
PP
TS
N0L
20
N80L
N160L
N160S
0
0
0
4-Mar 25-Mar 15-Apr 6-May 27-May 17-Jun 4-Mar 25-Mar 15-Apr 6-May 27-May 17-Jun 4-Mar 25-Mar 15-Apr 6-May 27-May 17-Jun
Tempo
SLNW (g N m-2)
1.80
0.00
y = 0.045x - 0.3535
2
1.60
0.50
1.00
1.50
1.340
N80S
C
1.40
P
S
CS
1.20
PS
SS
2.00
0.942
1.532
N160S
-2
SLNW (g N m )
N0S
R = 0.859
1.009
0.980
1.147
1.168
1.067
1.241
1.00
N0L
1.195
1.614
N80L
0.80
1.728
N160L
25
30
35
40
45
50
SPAD
Figura 2. SPAD vs Specific Leaf Nitrogen Weight
(SLNW, g N m-2) delle foglie bandiera del
frumento alla fioritura
1.542
FV
1.586
PP
TS
1.065
Figura 3. Specific Leaf Nitrogen Weight (SLNW,
g N m-2) delle foglie bandiera del frumento alla
fioritura Standard Error of the Mean = 0.1026.
Conclusioni
Dai risultati preliminari risulta che l’utilizzo di pisello e favino in consociazione temporanea consente di
migliorare in modo marcato lo stato nutrizionale del frumento facendo raggiungere livelli buoni e
superiori rispetto a quelli ottenibili con i fertilizzanti organici
Bibliografia
Quaranta F. et al. 2009. Rese e qualità di varietà di grano duro in biologico. L’Informatore Agrario, 39:56-59.
Tosti, G., Guiducci, M., Durum wheat–faba bean temporary intercropping: Effects on nitrogen supply and wheat quality.
Eur. J. Agron. (2010), doi:10.1016/j.eja.2010.05.001.
Ricerca finanziata dal progetto NITBIO
184
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Influenza dell’Epoca di Trapianto sull’Ambientamento di
Piantine Micropropagate di Arundo donax (L.) in
Apprestamenti Diversi di Protezione
Simona Tringali1, Valeria Cavallaro1, Cristina Patanè1, Salvatore La Rosa1, Sebastiano
Scandurra2
1
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
2
DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, [email protected]
Introduzione
La canna comune (Arundo donax L.), specie ad alta produttività in biomassa per energia nelle regioni
dell’Europa meridionale (Cosentino et al., 2006), al di fuori del suo areale di origine, non produce seme
e pertanto, la propagazione può avvenire esclusivamente per via agamica per rizoma o per parti di
culmo. Tale metodo di moltiplicazione presenta degli inconvenienti, legati soprattutto al ristretto
numero di piantine ottenibili per pianta, che potrebbero essere superati con la propagazione ‘in vitro’. In
precedenti ricerche è stato messo a punto un protocollo per la propagazione ‘in vitro’ di Arundo donax
L. (Cavallaro et al., 2008). Una delle fasi più delicate di quest’ultima tecnica è il passaggio dal vitro al
vivo (ambientamento) durante il quale le plantule, devono subire un drastico cambiamento delle
condizioni ambientali passando da una condizione di mixotrofia all’autotrofia e provvedere alla
sostituzione delle radici prodotte in vitro non completamente funzionati con le radici definitive. Inoltre,
grazie alla scelta di un’opportuna epoca di trapianto, le particolari condizioni climatiche che
caratterizzano l’ambiente mediterraneo potrebbero consentire l’ambientamento sia in serra fredda che
sotto semplici e poco costose reti ombreggianti in grado di proteggere le piantine dai parassiti, afidi in
particolare. Sulla base di queste considerazioni, nell’ambito del progetto PRIN “Tecniche di
propagazione e coltivazione dell’Arundo donax L., coltura da biomassa lignocellulosica per la
produzione di biocombustibili di seconda generazione”, è stata effettuata una ricerca allo scopo di
valutare gli effetti sull’ambientamento di piantine micropropagate di canna comune, di due differenti
epoche di trapianto e apprestamenti di protezione: serra fredda e ombraio.
Metodologia
La tecnica adottata per l’introduzione in vitro e la proliferazione delle piante di Arundo donax L. è stata
già descritta in precedenti lavori (Cavallaro et al., 2008). Le piante sono state radicate in vitro,
utilizzando il seguente mezzo base: MS (Murashigue e Skoog, 1962), macro e microelementi, 100 mg
L-1 di vitamine Morel, 20 g L-1 di saccarosio, 2 mg L-1 di acido naftalenacetico, 2.5 g L-1 di gelrite come
gelificante (Duchefa), pH compreso tra 5.6-5.8. A 25 giorni dall’inizio della fase di radicazione, le
piantine sono state poste in plateaux su terriccio commerciale. Sono stati posti a confronto due
apprestamenti di protezione: serra fredda e ombraio, quest’ultimo realizzato con reti ombreggianti. Il
trapianto delle piantine in ciascun apprestamento è stato effettuato in due epoche diverse: 9 novembre
2009 (I) e 11 gennaio 2010 (II). Per ogni epoca ed apprestamento sono stati previsti tre plateaux
(repliche), contenenti ciascuno 30 piante. A 40 giorni circa dal trapianto, per ciascuna epoca è stato
registrato il numero di piante morte. Contestualmente, sono stati effettuati singolarmente, su 10 piante
per replica, i seguenti rilievi: peso fresco e secco della parte aerea e delle radici, numero di foglie, area
fogliare (mediante rilevatore Delta T Devices, Cambridge, U.K.) Nel corso della prova, per ciascun
apprestamento è stata registrata la temperatura minima e massima giornaliera dell’aria mediante Data
Logger (Escort, iLog). I dati biometrici sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) a due
vie (epoca x apprestamento) ed è stato applicato il test di Student-Newman-Keuls (SNK) per la
separazione delle medie.
185
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
La temperatura registrata nel corso della prova Tab. 1. Temperatura minima, massima e media
del periodo compreso tra il trapianto e la
ha mostrato valori più alti in serra fredda
data del rilievo, nei due apprestamenti
rispetto all’ombraio, nei suoi valori massimi
allo studio.
(oltre 10°C di differenza) e medi (circa 3°C)
Epoca di trapianto
giornalieri. Per contro, la minima termica non
I (9 Novembre)
II (11 Gennaio)
si è differenziata tra i due apprestamenti di
Temperatura (°C)
serra ombraio
serra ombraio
protezione (Tab. 1). Per quanto concerne
2.8
2.2
1.3
1.0
l’effetto dell’epoca di trapianto, valori Minima
Massima
35.9
24.8
36.3
20.6
significativamente più alti di peso secco della Media
15.6
11.9
13.0
9.5
parte epigea e di area fogliare per pianta sono
stati registrati in corrispondenza della I epoca, nella media dei due apprestamenti (Tab. 2).
Tab. 2. Caratteristiche delle piantine in relazione all’epoca di trapianto e all’apprestamento.
Epoca di
trapianto
I (9 Nov)
II (11 Gen)
s.s. parte
Apprestamento
epigea
di protezione
(g/pianta)
Serra
0.16
Ombraio
0.08
s.s. parte
ipogea
(g/pianta)
0.10
0.08
s.s. epigea/ foglie
ss. ipogea (n/pianta)
Area fogliare
pianta (cm2)
1.61
0.92
4.00
4.00
15.74
11.46
4.00
3.22
4.00
3.61
4.00
3.61
12.03
4.72
13.60
8.38
13.88
8.09
n.s.
n.s.
n.s.
**
**
n.s.
Serra
0.11
0.09
1.22
Ombraio
0.03
0.07
0.58
Media epoche I
0.12
0.09
1.26
II
0.07
0.08
0.9
Media apprestamenti Serra
0.14
0.10
1.42
ombraio
0.06
0.08
0.75
Significatività
Epoca (E)
**
n.s.
**
Apprestamento (A)
**
*
**
ExA
n.s.
n.s.
n.s.
*, ** significativo a p≤ 0,05 e 0,01 rispettivamente; n.s.: non significativo.
Per contro, non sono emerse differenze nel peso secco delle radici. In relazione all’apprestamento di
protezione, l’allevamento delle plantule in serra ha determinato, nella media delle due epoche, un
accumulo di sostanza secca per pianta significativamente superiore rispetto a quanto accertato in
ombraio, e più evidente per la parte epigea (+133%) rispetto alla ipogea (+10%), ed un’area fogliare del
71% più ampia rispetto a quella differenziata sotto reti ombreggianti(Tab. 2). Le piante morte non
hanno mai superato il 5%.
Conclusioni
Dai risultati ottenuti, anche se relativi ad una prima serie di prove, è emerso quanto segue:
- l’Arundo donax mostra un’elevata capacità di ambientamento anche in condizioni di basse
temperature in ambiente Mediterraneo, con elevate percentuali di sopravvivenza anche sotto
apprestamenti di copertura semplici ed economici quali reti ombreggianti;
- grazie all’andamento mite della temperatura, nelle aree a clima caldo-arido l’ambientamento si rende
possibile anche nel periodo invernale (Gennaio), per garantire il trapianto in pieno campo in Marzo e
consentire in tal modo alle radici di usufruire delle riserve idriche accumulatesi nel corso della
stagione piovosa, limitando pertanto gli interventi irrigui.
Bibliografia
Cavallaro V. et al. 2008. Influence of substrate hormonal composition on in vitro multiplication of Arundo donax L. Ital. J.
Agron., 3: 477-478.
Cosentino S.L. et al. 2006. First results on evaluation of Arundo donax L. clones collected in Southern Italy. Ind. Crop
Prod., 23: 212–222.
Murashigue T., Skoog F. 1962. A revised medium for rapid growth and bioassay with tobacco tissue cultures. Physiologia
Plantarum, 15: 473-497.
186
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti della Concimazione Fosfo-Azotata sulla Produttività
del Cece nell’Italia Meridionale
Carlo Troccoli, Beniamino Leoni
Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, Univ. Bari Aldo Moro, IT, [email protected]
Introduzione
La coltivazione del cece ha subito, nell’ultimo cinquantennio, una riduzione della superficie investita da
circa 110.000 ha nel 1950 a poco più di 5000 ha nel 2004 con la produzione concentrata nell’Italia
meridionale (Sicilia e Puglia principalmente).Tale riduzione è stata determinata da politiche alimentari
che hanno favorito il consumo di proteine animali; tuttavia recentemente la dieta mediterranea ha
favorito la produzione delle leguminose per l’alimentazione umana. Tra queste, un rinnovato interesse,
per gli ambienti meridionali, è rivestito dal cece che, al pari di altre leguminose, esplica anche una
azione favorevole sulla fertilità del suolo se impiegato nella pratica del maggese (Rupela e Saxena,
1987). In ambiente a clima Mediterraneo il cece conserva una costanza di produzione
indipendentemente dall’andamento climatico dell’anno di coltivazione (Saxena et al., 1990). Una delle
componenti principali della produzione è rappresentata dal numero di baccelli per pianta che è il
carattere più strettamente correlato con la produzione del seme (Maiti e Wesche-Ebeling, 2001). Per
quanto riguarda la concimazione, dosi eccessive di azoto possono ridurre la produzione; mentre dosi
modeste, somministrate alla semina, possono avere una funzione “starter” (Orsi e Casini, 1985; LópezBellido R.J. e López-Bellido L. 2001). Di contro, dosi elevate di concimi fosfatici influiscono
positivamente sulla produzione, anche se, in alcuni casi, non si sono avuti gli attesi aumenti produttivi
(Abbate et al., 1994). Con la presente ricerca si è voluto studiare l’effetto combinato della concimazione
azotata e fosfatica su alcuni vecchi genotipi, utilizzati solo localmente in piccole aree, ed altre cultivar
diffuse commercialmente, al fine di poter migliorarne le rese produttive.
Metodologia
La prova è stata eseguita in agro di Bari, su una tipica terra rossa, argillosa, profonda 40-50 cm, ben
strutturata, sub-alcalina, ben dotata di azoto, fosforo e potassio. Sono state poste a confronto due
cultivar commerciali (Sultano e Otello) e tre genotipi locali, (Rocca Imperiale, Loc. Grumo, Loc.
Altamura) utilizzati da agricoltori del posto, in ristrette aree di coltivazione, e due concimazioni, azotata
e fosfatica, alle dosi di 0 e 30 kg ha-1 di N, e 0 e 100 kg ha-1 di P2O5. La cv. Sultano è a seme bianco; le
altre sono a seme nero. Lo schema sperimentale è stato lo split-plot con quattro ripetizioni, ponendo nei
parcelloni la concimazione azotata, nelle parcelle la concimazione fosfatica e i genotipi nelle subparcelle delle dimensioni di 15 m2. La semina è stata effettuata il 16-03-2009, dopo la concimazione, in
ritardo per il decorso piovoso dell’andamento stagionale (500 mm di pioggia dal 1/11 al 10/3). La
densità di semina è stata di 30 piante m2, in file distanti 30 cm. Il controllo delle malerbe è stato
effettuato con una scerbatura. La raccolta è stata eseguita il 03-07-2009. I rilievi hanno riguardato, oltre
alla produzione del seme, anche il numero di branche, palchi e baccelli per pianta (espresso come valore
medio su tre piante), il numero di semi per baccello, il peso della biomassa prodotta, nonché il peso dei
cento semi. Tutti i dati raccolti sono stati sottoposti ad elaborazione statistica; il confronto tra le medie è
stato effettuato con il Duncan test.
Risultati
La concimazione azotata sembra che non abbia avuto alcuna influenza positiva sulla produzione di
granella, anzi alla dose di 30 kg ha-1 si ha, in media, un calo produttivo di circa il 5% (da 1.58 a 1.51 t
ha-1), così pure per la concimazione fosfatica si ha una diminuzione di circa l’ 8% (da 1.62 a 1.49 t ha-1)
(Tab.1), probabilmente a causa della semina ritardata. E’ risultata significativa l’interazione dei tipi di
concime. Infatti, in assenza di concimazione azotata la produzione non varia all’aumentare della
concimazione fosfatica; mentre con 30 kg ha-1 di N la produzione diminuisce del 15% passando da 1.64
a 1.40 t ha-1 (Tab.1).
187
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1. Influenza della concimazione fosfo-azotata su genotipi di cece.
Concimazione azotata (kg ha-1 di N)
0
30
Genotipi
Concimazione fosfatica (kg ha-1 di P2O5)
0
100
med.
0
100
med.
0
Sultano
1.72
1.74
1.73
1.86
1.56
1.71
1.79
Otello
1.63
1.63
1.63
1.80
1.59
1.69
1.72
R Imperiale
1.60
1.54
1.57
1.55
1.28
1.41
1.58
L. Grumo
1.51
1.39
1.45
1.46
1.18
1.32
1.49
L. Altamura
1.48
1.56
1.52
1.51
1.38
1.44
1.50
media
1.59
1.57
1.58
1.64
1.40
1.51
1.62
media
100
1.65
1.61
1.41
1.29
1.47
1.49
med.
1.72
1.67
1.50
1.39
1.49
1.55
Dai dati della tabella 2 si può rilevare, per la produzione del seme, una maggiore produttività delle
cultivar commerciali, in media di circa il 14%, rispetto ai genotipi locali (da 1.69 a 1.45 t ha-1). Ciò
sembra dovuto al maggior peso dei semi della cv. Sultano: in media si ha un maggior peso di circa il
42%, mentre il numero dei baccelli è, in media, inferiore del 25% rispetto a quello dei genotipi locali.
Per la biomassa totale la cv. Sultano mostra una produzione più elevata del 18%, rispetto ai genotipi
locali, e del 23% verso la cv. Otello (3.52, 2.90 e 2.73 t ha-1). Il numero di semi per baccello è maggiore
del 15% circa, in Sultano, Rocca Imperiale e Loc. Altamura rispetto agli altri genotipi mentre non si
osservano differenze significative per gli altri caratteri.
Tabella 2. Caratteristiche bio-agronomiche di genotipi di cece (medie delle concimazioni).
Branche/
Palchi/
Baccelli/
Semi/
Biomassa
pianta
pianta
pianta
bacc
Genotipi
(t ha-1)
(n°)
(n°)
(n°)
(n°)
Sultano
3.83
14.3
11.3 B
0.94 a
3.52 A
Otello
3.75
14.3
14.6 A
0.76 c
2.73 C
4.00
14.4
15.8 A
0.86 ab
2.88 B
R. Imperiale
L. Grumo
3.75
14.5
14.6 A
0.77 c
2.89 B
3.75
14.4
15.3 A
0.92 a
2.93 B
L. Altamura
I valori che non hanno alcuna lettera in comune, sono significativamente diversi tra loro
per P ≤ 0,05 (lettere minuscole) e per P ≤ 0,01 (lettere maiuscole) (Duncan test).
Prod.
granella
(t ha-1)
1.72 A
1.66 A
1.49 B
1.39 B
1.48 B
P. 100 semi
(g)
51.0 A
29.8 B
29.4 B
30.1 B
29.8 B
Conclusioni
La concimazione fosfatica e azotata sembra avere un effetto deprimente sulla produzione di granella,
imputabile al ritardo della semina causato dal prolungato periodo piovoso da novembre a febbraio. E’
risultata significativa l’interazione tra i due fertilizzanti. Le cultivar sono risultate più produttive dei
genotipi, anche se questi hanno un numero di baccelli per pianta maggiore rispetto ad una varietà
commerciale, e quindi sono meritevoli di attenzione in un programma di miglioramento genetico.
Bibliografia
Abbate V. et al. 1994. Aspetti della tecnica colturale del cece. Agricoltura Ricerca, 155: 105-120.
Lopez-Bellido R.J., Lopez-Bellido L. 2001. Effects of crop rotation and nitrogen fertilization on soil nitrate and wheat yield
under rainfed Mediterranean conditions. Agronomie, 21: 509–516.
Maiti R.K., Wesche-Ebeling P. 2001. Vegetative and reproductive growth and productivity. In: Maiti, R., Wesche-Ebeling
P. (Ed.), Advances in chickpea Science. Science Publishers, Enfield, NH, USA, pp. 67–104.
Rupela O.P., Saxena M.C. 1987. Nodulation and nitrogen fixation in chickpea. In: Saxena, M.C., Singh, K.B. (Eds.), The
Chickpea. CAB International, Wallingford, Oxon, UK, pp. 191–206.
Orsi S., Casini P. 1985. Il cece: una leguminosa da granella da rilanciare. L’Informatore Agrario 46: 29-41.
Saxena M.C. et al. 1990. Effect of supplementary irrigation during reproductive growth of winter and spring chickpea
(Cicer arietinum) in a Mediterranean environment. J. Agric. Sci. Cabridge, 114: 285-293.
188
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Analisi Spazio-Temporale dell’impatto dei Cambiamenti
Climatici su Coltura Irrigua di Pomodoro in Capitanata
Domenico Ventrella, Luisa Giglio, Monia Charfeddine, Raffaele Lopez,
Donatello Sollitto, Annamaria Castrignanò, Michele Rinaldi
Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi, CRA, Bari, IT, [email protected]
Introduzione
L’agricoltura è uno dei settori più sensibili ai cambiamenti climatici (CC). Nell’area del Mediterraneo,
caratterizzata da limitate risorse idriche, i modelli climatici concordano nel prevedere un aumento delle
temperature ed una riduzione delle precipitazioni tra il 30% e 40%. Tuttavia ad una scala locale si
osserva una maggiore incertezza per le stime future dei dati pluviometrici. Certamente l’aumento delle
temperature, la variazione dei regimi pluviometrici e la maggiore frequenza di eventi climatici estremi,
faranno sentire i loro effetti sulle rese medie delle colture, sulla loro variabilità interannuale e sulla loro
distribuzione geografica.
In questa ottica, l’uso dei modelli di simulazione colturale a scala distribuita (AEGIS/WIN, interfaccia
GIS del DSSAT), rappresenta uno strumento per pianificare le strategie di gestione dell’acqua in
agricoltura a livello di comprensorio sulla base di informazioni (caratteristiche climatiche, pedologiche
e colturali ) che concorrono a definire le attitudini
produttive di un territorio.
L’obiettivo di questo lavoro, realizzato nell’ambito del
Progetto di ricerca CLIMESCO, D.D. MIUR 20/02/2006,
Prot. n. 285, è quello di ottimizzare l’irrigazione su coltura
di pomodoro in Capitanata (provincia di Foggia) per
migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua, in regime di CC.
Metodologia
Il modello CROPGRO, implementato nel DSSAT v 4.0.
(Jones et al., 2003), precedentemente calibrato e validato
su coltura di pomodoro da industria a bacca tonda - ibrido
PS126 (Rinaldi et al., 2007), è stato utilizzato per
effettuare simulazioni spaziali e pluriennali. L’input
climatico è rappresentato da uno scenario passato (19512005) e da uno scenario futuro diviso in tre trentenni
(2011-2040, 2041-2070 e 2071-2100), tutti ottenuti
mediante un processo di downscaling statistico a partire
da una serie storica di dati misurati nell’area oggetto di
Figura 1. Mappa delle sette pedoregioni.
studio e da serie climatiche a larga scala prodotte
mediante il modello GCM (Global Circulation Model)
HadCM3 e riferibili allo scenario A2 dell’IPCC.
I dati pedologici sono stati invece estrapolati dalle aree omogenee elaborate nell’ambito del progetto
CLIMESCO ed ottenute con metodi geostatistici di interpolazione, e successivo clustering, a partire da
numerosi dati di suolo (Castrignanò et al., 2010).
Le tecniche colturali sono quelle normalmente adottate in Capitanata. In questo lavoro, ipotizzando 2
regimi di irrigazione automatica, corrispondenti alle soglie d’intervento del 30% (IRR30) e del 60%
(IRR60) dell’acqua disponibile, è stato calcolato l’incremento produttivo % di resa in bacche, rispetto
alla condizione più sfavorevole (IRR30), negli scenari climatici considerati mediante l’equazione:
Δ (%) =
resa IRR 60 − resa IRR 30
resa IRR 60
189
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Incremento produttivo %
Risultati
Dai risultati ottenuti si evidenzia che il clima futuro previsto con il modello HADCM3 per i prossimi 90
anni,
determinerebbe
una
riduzione, rispetto al passato,
16
della produzione di bacche,
PASSAT O
FUT URO
14
soprattutto nel terzo trentennio.
12
La figura 2 mostra la variazione,
nel passato e nel futuro,
10
dell’incremento
produttivo
8
determinato dalla soglia IRR60
6
rispetto all’IRR30. Nel futuro, la
migliore resa corrispondente al
4
trattamento
irriguo
più
2
favorevole (IRR60), risulterebbe
0
ancora più elevato rispetto al
1
2
4
5
6
7
8
passato. Tale scarto risulterebbe
Aree pedologiche
però leggermente più basso nelle
Figura 2. Incremento produttivo (%) osservato nel passato e nel
aree risultate più produttive (1, 7
terzo trentennio.
Variazione % irrigazione stagionale
e 8).
15
La figura 3 mostra la variazione
1
2
4
5
6
7
8
dell’irrigazione stagionale per
10
ciascuna
area
pedologica
omogenea, nei tre trentenni futuri
5
rispetto al passato, considerando la
0
soglia d’intervento irriguo ritenuta
ottimale (IRR60). Nel primo
-5
trentennio, per tutte le aree, si
riscontra
una
riduzione
-10
dell’irrigazione stagionale media di
circa il 9%. In seguito ad un più
-15
consistente
aumento
della
2011-2040
2041-2070
2071-2100
domanda
evapotraspirativa
Figura 3. Variazione percentuale dell’irrigazione stagionale rispetto
dell’ambiente,
determinata
al passato distinta per area e per periodo futuro
dall’aumento della temperatura
nel periodo coincidente con il ciclo colturale, nel secondo trentennio l’irrigazione stagionale
aumenterebbe mediamente di circa il 3% e più dell’8% dal 2070 al 2100. In questo terzo trentennio, la
coltivazione del pomodoro nelle aree 2 e 8, caratterizzate per altro da una minore riserva idrica del
suolo, farebbe registrare le irrigazioni stagionali più basse. Al contrario le irrigazioni stagionali più
elevate sono risultate quelle relative alle aree 1 e 7.
Conclusioni
Nell’area oggetto di studio, l’irrigazione automatica del pomodoro, prevedendo il ripristino del 60 %
dell’acqua disponibile, è risultata ottimale sia nel passato che nel futuro. L’analisi spaziale mediante il
modello AEGIS/WIN, permetterebbe di prevedere, rappresentare e valutare le attitudini agronomiche e
produttive del territorio agricolo, influenzato da CC, offrendo informazioni utili per la pianificazione e
la scelta di opportune strategie per una gestione tecnica e delle politiche sostenibile.
Bibliografia
Castrignanò A. et al. 2010. Characterization, delineation and visualization of agro-ecozones using multivariate
geographical clustering. Ital. J. of Agron., 2:121-132.
Jones J.W. et al. 2003. The DSSAT cropping system model. Eur. J. of Agronomy, 18: 235-265.
Rinaldi M. et al. 2007. Comparison of nitrogen and irrigation strategies in tomato using CROPGRO model. A case study
from Southern Italy. Agr. Water Manage., 87:91-105.
190
SESSIONE II - AGRONOMIA E AMBIENTE
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetto della Densità di Semina sulla Fitostabilizzazione di
Metalli Pesanti in Radici Fittonanti di Colza
Bandiera M.1, Mosca G.2, Vamerali T.3
1
Dip. di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, [email protected]
2
Dip. di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, [email protected]
3
Dip. Scienze Ambientali, Univ. Parma, IT, [email protected]
Introduzione
L’impiego della fitoestrazione per la bonifica di terreni contaminati da elementi traccia sta ricevendo un
interesse crescente in virtù della sua economicità e del minor impatto ambientale rispetto alle tecniche
chimico-fisiche tradizionali. Tuttavia, diversi studi hanno evidenziato una modesta efficienza di tali
sistemi biologici (Vamerali et al., 2009), causa spesso dei lunghi tempi di decontaminazione, e la
necessità di perfezionare le metodologie allo specifico caso di studio. L’elevata concentrazione di
metalli pesanti riscontrabile nell’apparato radicale, suggerisce la possibilità di immagazzinarli, anche
solo temporaneamente, nelle strutture ipogee (fitostabilizzazione in planta). Tale evenienza è stata,
tuttavia, poco studiata nelle specie erbacee, ma si intravvedono interessanti prospettive nelle piante ad
apparato radicale fittonante. In questo contesto, il presente studio mira a quantificare l’accumulo di
metalli pesanti in radici fittonanti di colza coltivato a investimenti crescenti, in raffronto alla capacità
fitoestrattiva conseguibile con la biomassa epigea.
Metodologia
Quattro cultivar di colza (Brassica napus (L.) var. oleifera Metzg.) sono state coltivate tra fine
settembre 2008 e inizio giugno 2009 in un terreno medio-limoso (Legnaro, Padova), di cui è stata
determinata la concentrazione totale di metalli (As, Cd, Co, Cr, Cu, Mn, Ni, Pb, Zn) e quella
assimilabile (estrazione con DTPA). Le cv. saggiate erano: PR45D01 (Pioneer, ibrido CHH seminano); Excalibur (Dekalb) e Taurus (NPZ Lenbke-Rapool), ibridi CHH di taglia convenzionale, e
Viking (NPZ Lenbke-Rapool), varietà a impollinazione libera. I materiali sono stati seminati a 3 diverse
densità, i.e. 22, 44 e 63 piante m-2 (n=3). In fase di riempimento delle silique (7 maggio) sono stati
determinati i parametri biometrici dei fittoni (lunghezza, diametro mediano e al colletto), la biomassa e
la concentrazione di metalli nella porzione epigea e nel fittone. In quest’ultimo, la distribuzione dei
metalli è stata valutata in tre sezioni concentriche, i.e., rizoderma e parenchima corticale più esterno,
parenchima corticale interno, cilindro vascolare. A maturazione fisiologica, 9 fittoni per parcella sono
stati raccolti, pesati e posti a incubare nel terreno a 0.15 m di profondità in nylon-net-bags (maglia 1.5
mm), al fine di studiarne la dinamica di decomposizione. A 6 e a 11 mesi dall’interramento (dicembre
2009 e aprile 2010), si è proceduto al campionamento dei fittoni; le radici sono state lavate
delicatamente con acqua deionizzata e pesate dopo essiccazione, potendo così stimare la percentuale di
degradazione.
Risultati
Nel sito di sperimentazione il contenuto di metalli è risultato inferiore ai limiti di legge, anche se As (16
mg kg-1), Co (8 mg kg-1) e Zn (80 mg kg-1) presentavano concentrazioni relativamente elevate. Rispetto
alla varietà ad impollinazione libera, i tre ibridi hanno prodotto una biomassa maggiore, sia a livello
epigeo (1,560 vs. 1,200 g m-2, in media, effetto principale) che ipogeo (100 vs. 90 g m-2), specialmente
quando venivano coltivati a densità elevate; l’interazione ‘cultivar × densità’ non è risultata
significativa. All’aumentare della densità di piante è corrisposta una diminuzione del tenore di umidità
dei fittoni, indice di una maggiore lignificazione dei tessuti. Nell’insieme dei 9 metalli considerati, gli
ibridi convenzionali (Excalibur e Taurus) hanno ottenuto i migliori bilanci fitoestrattivi (porzione
epigea), mentre non sono emerse differenze a livello radicale. Taurus ha raggiunto le concentrazioni più
elevate di Cd, Cu, Ni e Zn nella porzione epigea, mentre Taurus ed Excalibur sono state più efficienti
193
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
per il Cd nel fittone. Il rapporto tra concentrazioni in fittone e parte epigea è apparso generalmente
elevato, soprattutto per Co (4.14), Cr (4.01) e Ni (2.59), confermando la difficoltà di traslocazione già
evidenziata da Tiwari et al. (2009) per il Cr e da Guo e Marschner (1995) per il Ni. Il parenchima
corticale esterno e il cilindro centrale hanno presentato concentrazioni simili per Cd, Pb e Zn, mentre
Co, Cr, Cu, Mn e Ni sono stati accumulati maggiormente nel parenchima corticale esterno. L’aumento
di densità di semina ha determinato un incremento della fitoestrazione, in conseguenza del
miglioramento sia della produttività che dell’accumulo di metalli (Fig. 1). Su base varietale, il bilancio
dell’asportazione ha seguito l’ordine Taurus > Excalibur > PR45D01 > Viking. Ancorché le differenze
a livello radicale per i 9 metalli complessivamente non siano risultate significative, gli ibridi si sono
contraddistinti per un migliore accumulo di singoli metalli, come Co, Cr, Cu, Mn, Ni e Pb; l’aumento di
densità delle piante ha avuto un effetto tendenzialmente positivo (Fig. 1). In generale, solo il 10% dei
metalli complessivamente accumulati nella pianta è stato ritenuto nel fittone.
Apparato epigeo
22
44
63
Densità di semina (piante m-2)
Viking
Taurus
Excalibur
Viking
PR45D01
Taurus
Excalibur
Viking
Viking
Taurus
Excalibur
Viking
PR45D01
Taurus
Excalibur
Viking
0
PR45D01
4
0
Taurus
8
40
PR45D01
12
80
PR45D01
Fittone
16
Altri elementi
Taurus
Cu
PR45D01
120
Mn
Excalibur
Zn
Excalibur
mg m-2
160
22
44
63
Densità di semina (piante m-2)
Figura 1. Accumulo di metalli (±e.s.) nella porzione epigea e nel fittone di quattro cultivar di colza coltivate a tre diversi
investimenti. Altri elementi: As+Cd+Co+Cr+Ni+Pb.
Le dimensioni dei fittoni (simili tra le cultivar e inversamente proporzionali alla densità) non hanno
influenzato la dinamica di degradazione. Dopo 6 mesi di incubazione le radici avevano subìto una
diminuzione ponderale pari a ∼70%, incrementata a 76% dopo altri 5 mesi. Si è osservato una velocità
di degradazione leggermente inferiore a densità di semina più elevate, probabilmente a causa della
maggior lignificazione dei tessuti.
Conclusioni
Il colza ha dimostrato un’interessante potenzialità fitoestrattiva (~1 kg di metalli ha-1), e la scelta
varietale nell’ambito dei nuovi ibridi permetterebbe di raggiungere risultati superiori rispetto alle varietà
tradizionali. Anche la scelta della densità di semina influenza sia la fitoestrazione che la
fitostabilizzazione in planta, potendo ottenere un miglioramento con maggiori investimenti. In termini
di bilancio di massa, il fittone sembra comunque essere un sink secondario, che rilascia gran parte dei
metalli entro un anno dalla raccolta della parte epigea. Sulla base del gradiente di concentrazione
riscontrato all’interno della radice e ancora in assenza di dati sui fittoni degradati (analisi in corso) non
si possono escludere differenze tra i trattamenti nella dinamica di rilascio degli inquinanti.
Bibliografia
Guo Y. e Marschner H. 1995. Uptake, distribution, and binding of cadmium and nickel in different plant species. J. Plant
Nutr., 18: 2691-2706.
Tiwari K.K. et al. 2009. Chromium (VI) induced phytotoxicity and oxidative stress in pea (Pisum sativum L.): biochemical
changes and translocation of essential nutrients. J. Environ. Biol., 30: 389-394.
Vamerali T. et al. 2009. Phytoremediation trials on metal- and arsenic-contaminated pyrite wastes (Torviscosa, Italy).
Environ. Pollut., 157: 887-894.
194
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Dinamiche di Mineralizzazione del C e dell’N dopo Ripetute
Applicazioni di Liquame: Risultati Preliminari
Daniele Cavalli, Pietro Marino, Stefano Occhi, Luca Bechini
Dip. di Produzione Vegetale, Facoltà di Agraria, Univ. degli Studi di Milano, IT, [email protected]
Introduzione
L’applicazione ripetuta di reflui zootecnici influenza nel breve periodo la fertilità del suolo e, nel lungo
periodo, attraverso l’effetto fertilizzante residuo, influenza la disponibilità di N per le piante (Sørensen,
2004). L’accumulo di sostanza organica che si osserva dopo ripetute applicazioni di reflui nei suoli
agrari, è stata studiata in diversi esperimenti di campo (es. Schröder et al., 2005). Tuttavia, negli
esperimenti di pieno campo risulta difficile isolare i flussi di azoto nei diversi compartimenti del suolo a
causa della contemporanea presenza di altri processi. Gli esperimenti di laboratorio permettono da un
lato la stima della mineralizzazione netta dell’azoto derivante dai liquami, senza l’effetto di altre fonti di
variabilità, e dall’altro lo studio del destino dell’azoto nei diversi pool del suolo (es. Bechini e Marino,
2009). L’obiettivo dell’esperimento qui descritto è quello di studiare in laboratorio, in condizioni
costanti di temperatura e contenuto idrico, le dinamiche di mineralizzazione del C e dell’N in seguito a
ripetute applicazioni di due diversi liquami zootecnici, su due suoli con diversa tessitura.
Metodologia
L’incubazione (tuttora in corso) prevede otto trattamenti, dati dalla combinazione di due suoli e quattro
tipi di materiale (due reflui zootecnici e due controlli: acqua e solfato d’ammonio). I due suoli hanno
caratteristiche simili ma un diverso contenuto in argilla (4% nel suolo 1 e 31% nel suolo 2). I due reflui
(Tabella 1) sono un liquame di manze e uno di vacche in lattazione. L’esperimento presenta uno
schema sperimentale completamente randomizzato con tre repliche. Nell’esperimento è adottato il
metodo della “nursery” (Thuriès et al. 2000), che prevede misure distruttive nel tempo; il numero totale
di unità sperimentali è 840, dato dalla combinazione di 8 trattamenti × 3 repliche × 35 date di
campionamento. Ogni unità sperimentale è composta da 100 g di suolo secco, preventivamente
preincubato e setacciato a 2 mm. Il set di unità sperimentali è stato diviso in 4 gruppi: il primo gruppo
ha ricevuto il liquame una sola volta, il secondo due volte, il terzo tre, l’ultimo quattro. Le applicazioni
ripetute sono effettuate ogni 84 giorni (corrispondenti a circa un anno in condizioni di campo).
L’incubazione è condotta ad un potenziale idrico del suolo di -50 kPa ed una temperatura di 25°C. Al
termine di ogni intervallo di incubazione, sono effettuate le misure di CO2-C respirata, concentrazione
di ammonio scambiabile e nitrato, concentrazione di C ed N della biomassa microbica del suolo. Per
ogni intervallo, è calcolata la respirazione netta di C proveniente dal liquame, sottraendo la CO2
respirata nel controllo non liquamato dalla CO2 respirata nel suolo liquamato. I valori cumulati sono poi
espressi come percentuale del C applicato con il liquame. Per ogni intervallo è stato calcolato l’azoto
disponibile per le piante (PAN) come differenza tra l’azoto minerale (NH4 + NO3) nel suolo liquamato e
l’azoto minerale nel controllo non liquamato, espresso come percentuale dell’azoto totale applicato con
il refluo. L’analisi della varianza è effettuata con il programma SPSS (versione 16.0.2), separatamente
per ogni data di campionamento; ciò è necessario poiché le varianze non sono omogenee nell’intero
data set (Test di Levene, P<0.05).
Tabella 1: Caratteristiche dei liquami bovini utilizzati nella prova di incubazione.
Liquame
Tipo
#1
#2
Manze
Bovine da latte
SS
(g kg-1)
40
80
C tot.
(g kg-1)
143
354
N tot.
(g kg-1)
13
39
NH4-N
(g kg-1)
3
20
N tot./NH4-N
(g g-1)
0.23
0.51
195
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
Nella prima aggiunta (l’unica per la quale i dati sono già disponibili) i due liquami presentano dinamiche
di mineralizzazione del C molto differenti: il liquame 1 (manze) respira molto meno del liquame 2 (vacche
da latte) in entrambi i suoli (P<0.05); entrambi i liquami presentano una dinamica di mineralizzazione con
tassi elevati nel primo periodo, ed una seconda fase con tassi di respirazione più bassi (Fig. 1a). L’effetto
del suolo sulla respirazione cumulata di C è trascurabile anche se vi sono differenze significative tra i
trattamenti in alcune date. Alla fine del periodo di incubazione (84 giorni), il liquame 1 respira il 15 e il
16% del carbonio applicato sul suolo 1 e 2 rispettivamente; questi valori sono del 44 e del 47% per il
liquame 2. Immediatamente dopo l’applicazione dei liquami al suolo, la recovery di azoto minerale (NH4
+ NO3) nel suolo 2 è stata del 30% e del 39% per i liquami 1 e 2, mentre gli stessi valori sono del 99 e 94%
per il suolo 1 (Fig. 1b). Ciò può essere dovuto in parte a fissazione di ammonio da parte dei minerali
argillosi del suolo e in parte ad immobilizzazione microbica. L’azoto minerale (PAN) è rimasto
abbastanza costante dopo le prime due settimane di incubazione. Alla fine dell’esperimento, solo il
liquame 1 sul suolo 1 presenta valori di PAN superiori all’azoto ammoniacale applicato con il refluo (27%
rispetto al 23%). Ciò indica che negli altri tre trattamenti l’eventuale mineralizzazione della quota organica
e l’eventuale rilascio dai pacchetti argillosi non sono stati adeguati a controbilanciare il sequestro iniziale.
Figura 1: Respirazione netta cumulata (a) e azoto disponibile per le piante PAN (b), per i due liquami nei due suoli.
a)
b)
Liquame #1 Suolo #1
60
Liquame #1 Suolo #2
Liquame #2 Suolo #1
45
Liquame #2 Suolo #2
45
PAN (% N aggiunto)
CO 2-C cumulata (% C applicato)
60
30
30
15
15
0
0
0
0
15
30
45
tempo (giorni)
60
75
90
15
30
45
60
75
90
-15
tempo (giorni)
Conclusioni
I dati preliminari finora ottenuti confermano che i due liquami hanno pattern di decomposizione molto
diversi. Le analisi del C e dell’N nella biomassa microbica e dell’NH4+ fissato nei pacchetti argillosi,
forniranno ulteriori elementi per la comprensione delle dinamiche di mineralizzazione del C e dell’N.
Bibliografia
Bechini L. e Marino P. 2009. Short-Term Nitrogen Fertilizing Value of Liquid Dairy Manures is Mainly Due to
Ammonium. Soil Sci. Soc. .Am. J., 73:2159-2169.
Schröder J.J. et al. 2005. Long-term nitrogen supply from cattle slurry. Soil Use and Management 21:196-204.
Sørensen P. 2004. Immobilisation, remineralisation and residual effects in subsequent crops of dairy cattle slurry nitrogen
compared to mineral fertiliser nitrogen. Plant and Soil, 267:285-296.
Thuriès L. et al. 2000. Evaluation of three incubation designs for mineralization kinetics of organic materials in soil.
Comm. Soil Sci. Plant Anal., 31:289-304.
196
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Concimazione del Sorgo da Biomassa con Composta da
Frazione Organica di Rifiuti Solidi Urbani
Eugenio Cozzolino1, Vincenzo. Leone1, Filippo Piro2
1
CRA-CAT, Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, [email protected]
2
CRA-ORT, Centro di Ricerca per l’Orticoltura
Introduzione
Per efficienza fotosintetica, resa areica di biomassa in rapporto alla durata del ciclo, resa in etanolo dalla
fermentazione degli zuccheri del culmo, il sorgo è tra le specie di elezione per le produzioni
bioenergetiche (Giovanardi et al., 2008).Un'ulteriore caratteristica positiva a tale riguardo è l'adattabilità
ad ambienti di limitate risorse agronomiche. Nell'ambito di un programma per valutare alternative
colturali per l'area a tabacchi scuri della Campania abbiamo saggiato anche il sorgo da biomassa,
valutando l'impiego come fertilizzante di composta da frazione organica dei rifiuti solidi urbani
(FORSU), prodotto economico, salvo per trasporto e distribuzione, e utile per migliorare la struttura del
suolo. In questa nota riportiamo i risultati del primo ciclo di coltura.
Metodologia
Il saggio è stato svolto con la cultivar Biomass 133 a Venticano, su un suolo argilloso-limoso, a
giacitura leggermente declive, povero di sostanza organica (20 g kg-1), azoto (1 g kg-1) e fosforo (P2O5,
24 mg kg-1), ma ben dotato di potassio scambiabile (366 mg kg-1), precedentemente coltivato a tabacco.
La concimazione con composta, eseguita nell'ambito di un piano pluriennale, è stata saggiata a due
livelli e confrontata con due trattamenti di controllo:
1. esclusiva, a 40 t ha-1 (pari a 30 t ha-1 di sostanza secca, con un contento NPK pari a 270-150-360 kg
ha-1), distribuiti in una volta (C30);
2. mista, a 20 t ha-1 (pari a 15 t ha-1 di sostanza secca, con un contenuto NPK pari a 135-75-180 kg ha-1),
distribuiti in una volta e integrati con 50 kg ha-1 di azoto da concime minerale (C15N);
3. controllo fertilizzato con concimi minerali NP 100-80 kg ha-1 (NP);
4. controllo non concimato (niente);
Il composta, con requisiti idonei per l'impiego diretto in agricoltura secondo il DLgs 217/06, proveniva
dall'impianto GESENU di Perugia ed è stato incorporato nel terreno in aprile con i lavori di
preparazione del letto di semina, con i quali sono anche state eseguite le somministrazioni di concimi
minerali per i trattamenti C15N e NP (quota intera per il fosforo, 1/3 per l'azoto). La semina è stata
eseguita a file spaziate 50 cm nella prima decade di maggio. Dopo il diradamento a 20 piante m2 è stata
distribuita la quota residua di azoto. La coltura è stata condotta in asciutto, con una sarchiatura per il
controllo delle infestanti. La raccolta è stata eseguita dopo quindici giorni dalla fioritura, stadio limite
dell'accumulo di sostanza secca (Peyre, 1979), determinando la resa in biomassa fresca su aree di
saggio di 2 m2 e la corrispondente biomassa secca dopo passaggio in stufa a 105 °C per 48 ore. La resa
energetica è stata determinata con calorimetro di Mahler. L'analisi dei dati e la rappresentazione grafica
dei risultati sono state eseguite nell'ambiente R (R Core Team, 2009),utilizzando anche funzioni delle
estensioni ggplot2 (Wickham, 2009), effect (Fox et al., 2009) e multcomp (Hothorn et al., 2009).
Risultati
La più alta resa di biomassa fresca (100 t ha-1) è stata ottenuta con la dose minore di composta integrata
con azoto minerale (C15N), con un incremento di 33 t ha-1 (+50%) rispetto al controllo non concimato,
solo marginalmente superiore alle rese ottenute con solo composta (C30) e solo minerale (NP) (figura
1). In termini di biomassa secca i tre trattamenti concimati hanno fornito rese comparabili (intorno a 27 t
ha-1), con un incremento di 4 t ha-1 rispetto al non concimato (+17%) (figura 2). La concimazione si è
risolta in parte in un maggiore contenuto di acqua della vegetazione, con una perdita media di resa in
secco del 6%, marginalmente maggiore per composta integrato con azoto rispetto a solo composta o
solo minerale. La concimazione non ha fatto rilevare effetti sulla resa energetica (intorno a 16 Mj kg-1),
197
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
ma attraverso l’aumento della biomassa la produzione equivalente di energia della coltura ha mostrato
un incremento di 78 Gj ha-1 (+22%) rispetto al controllo non concimato.
Figura 1. Sviluppo della vegetazione, produzione di biomassa, resa in secco, resa energetica e produzione equivalente di energia del
sorgo in relazione al tipo di fertilizzazione (NP = minerale 100-80 U ha-1, C15N = composta FORSU (15 t ha-1 + N 50 kg ha-1);
C30 = composta FORSU (30 t ha-1). Valori osservati di tre repliche e medie stimate con intervallo di confidenza al 95%.
Figura 2. Contrasti tra i trattamenti di concimazione (significato delle etichette come in figura 1) per sviluppo della
vegetazione, produzione di biomassa, resa in secco, resa energetica e produzione equivalente di energia del sorgo. Stime
con intervallo di confidenza al 95%.
Conclusioni
Le rese di biomassa e di energia equivalente ottenute nell’ambiente considerato competono bene con
quelle rilevate in altre prove con sorgo e con quelle di altre specie energetiche e consentirebbero un
bilancio economico positivo (Candolo, 2006). Il vantaggio della concimazione appare piuttosto
modesto e probabilmente non compensa il costo dell’operazione, almeno per il sorgo in successione a
una coltura concimata.
Bibliografia
Candolo G. 2006. Energia dalle biomasse vegetali: le opportunità per le aziende agricole. Agronomica 4:26-35.
Fox J et al. 2009. effects: Effect Displays for Linear, Generalized Linear, Multinomial-Logit, and Proportional-Odds Logit
Models. R package version 2.0-7. http://CRAN.R-project.org/package=effects
Giovanardi et al. 2008.Il sorgo da fibra:bilancio energetico e aspetti ambientali nella pianura friulana. Atti XIII Convegno
Internazionale Interdisciplinare Aquileia - UD, 18-19 settembre 2008.
Hothorn T et al. 2008. Simultaneous Inference in General Parametric Models. Biometrical Journal 50:346-363.
Peyre B. 1979. Contribution à l'étude du sorgho papetier.Memoire de fin d'étude. Ecole Superiéure Agronomique Pourpan, 114pp.
R Development Core Team 2009. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical
Computing, Vienna, Austria, http://www. R-project.org.
Wickham H. 2009. ggplot2: An implementation of the Grammar of Graphics. R package version 0.8.3. http://CRAN.Rproject.org/package=ggplot2
198
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Resa del Tabacco Kentucky Concimato con Composta
di Rifiuti Urbani
Eugenio Cozzolino1, Vincenzo Leone1, Filippo Piro2
1
CRA-CAT (Unità di Ricerca per le Colture Alternative al Tabacco, Scafati (SA), IT),
[email protected]
2
CRA-ORT (Centro di Ricerca per l'Orticoltura, Pontecagnano (SA), IT
Introduzione
Si riportano gli effetti della fertilizzazione con composta da rifiuti urbani sul livello di produzione e di
qualità del tabacco Kentucky nell'area beneventana, sperimentata nell'ambito di un programma della
Regione Campania (DGR 617 del 27.03.09).
Metodologia
Nel 2009 è stato iniziato un esperimento di fertilizzazione del tabacco Kentucky in due aziende
beneventane (De Gregorio e Vesce), applicando a tre cultivar (Riccio beneventano, SKL dell'Impresa
Bartolucci e Foiano delle Manifatture Sigaro Toscano) cinque livelli di fertilizzanti 1) Min, azoto
minerale; 2) C10, 10 t ha-1 di composta; 3) C20, 20 t ha-1 di composta; 4) C10N, 10 t ha-1 di composta
+ metà della dose di azoto della modalità Min; 5) C20N, 20 t ha-1 di composta + metà della dose di
azoto della modalità Min. La composta, della GESENU di Perugia, aveva il 74% di sostanza secca, il
28% di carbonio organico, il 14% di acidi umicie fulvici, il 2.1% di N totale, il 2% di N organico, lo
0.8% di fosfato, l'1.8% di potassa e un pH pari a 7.9. Pertanto l'azoto fornito è stato (in kg ha-1): Min
135; C10 210; C20 420; C10N 210+70; C20N 420+70. Le unità sperimentali erano parcelle di 30 m2,
costituite da quattro file di piante in quadro a distanze di 1 m. Ciascuna azienda ha ospitato due repliche
dei trattamenti. L'azoto minerale, anche per le integrazioni all'organico, è stato frazionato, 1/3 alla
preparazione del terreno e 2/3 nel primo mese dopo il trapianto. Solo nell'azienda Vesce è stato fornito
un supplemento di fosfato (100 kg ha-1). Il trapianto è stato eseguito il 26 maggio. Per la difesa da
infestanti, parassiti e malattie sono state eseguite applicazioni di pendimetalin (1, pretrapianto),
clorpirifos etile (1), thiamethoxam (1), cymoxanil (2). Per il controllo dei germogli ascellari è stata
eseguita un'applicazione di idrazide maleica. La raccolta è iniziata il 18 agosto e si è conclusa il 6
ottobre. La cura è stata condotta in uno stesso locale per entrambe le aziende. Campioni di foglie
medio-apicali sono stati valutati per la qualità visuale, con punteggio in scala decimale, e campioni di
foglie mediane esaminati per la concentrazione di azoto totale, nicotina e nitrati.
Risultati
Una cimatura più severa nell’azienda Vesce (in media due foglie in meno per pianta) ha stimolato lo
sviluppo della superficie fogliare e l'ispessimento del fusto, in particolare per le cultivar SKL e Riccio,
controbilanciando la sensibilità all'eccesso di azoto, manifestata attraverso effetti di sfilamento.
L’integrazione della composta con azoto minerale non ha incrementato lo sviluppo delle piante, anzi ha
attenuato gli effetti positivi dell’incremento di composta rispetto al livello base. Con l'azoto minerale lo
sviluppo delle piante è risultato intermedio rispetto ai livelli conseguiti con i trattamenti a base di
composta, integrata o no con azoto minerale.
Nonostante la comparabile superficie fogliare per pianta, il minor numero di foglie per pianta
nell’azienda Vesce (tre raccolte rispetto alle quattro dell’altra azienda) ha ridotto il livello di resa in
prodotto curato, particolarmente per la Foiano, che pure è stata prima per sviluppo vegetativo e ha
fornito un livello di resa comparabile alle altre nell’azienda De Gregorio (figura 1). La resa media più
alta in tabacco curato è stata fornita dalla SKL, con 370 kg ha-1 più della Foiano e 126 kg ha-1 più della
Riccio. L’incremento dell’apporto di composta rispetto al livello base ha avuto un modesto effetto
medio sulla produzione: +130 kg ha-1 con C20 rispetto a C10 e +210 kg ha-1 con C20N rispetto a
C10N.
199
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Figura 1. Prodotto curato, indice di qualità visuale e rapporto delle concentrazioni nicotina / (N totale + nitrati) in relazione
al livello e tipo di fertilizzazione, cultivar e località. Valori parcellari (simboli) e stime medie con intervallo di confidenza al
95% (barre verticali).
L'azoto minerale da solo ha dato una resa sensibilmente più alta rispetto alla composta ad entrambi i
livelli (+140/270 kg ha-1) e la quota minerale aggiunta a quest’ultima ha prodotto un incremento di resa
maggiore del raddoppio della dose di composta (+380/460 kg ha-1).
L'indice di qualità visuale della foglia curata è risultato piuttosto basso (intorno a 6/10) e comparabile
tra le cultivar, a causa principalmente di una gestione non del tutto appropriata cura. L’aumento del
livello di composta ha mostrato effetti leggermente positivi sulla qualità sensoriale per la SKL e la
Foiano, mentre i modesti effetti dell'integrazione minerale sono stati positivi per la prima e negativi per
la seconda.
Il tenore di nicotina della foglia curata è risultato piuttosto alto (4.5% in media), in particolare per
l’azienda De Gregorio, dove anche la concentrazione di azoto totale è risultata sensibilmente più alta,
aumentando con l’apporto di azoto minerale, che solo per la cultivar Riccio ha causato un aumento del
livello di nitrati nel tabacco curato, risultato scarsamente influenzato dalla concimazione nelle altre due
cultivar. Per tutte e tre le cultivar il rapporto tra le concentrazioni di nicotina e azoto è aumentato con il
livello di azoto fornito, più per l'aggiunta di azoto minerale, che per l'incremento della dose di
composta.
Conclusioni
In termini di resa in prodotto curato e qualità del prodotto, il tabacco Kentucky sembra beneficiare
moderatamente, nel complesso, della composta da rifiuti urbani come fertilizzante. In relazione alla
congruità degli impieghi di composta, la risposta sarà verificata con la ripetizione dei trattamenti per un
altro anno.
200
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Sequestro Potenziale di Carbonio in Sistemi Colturali
Cerealicoli della Collina Marchigiana
Giacomo De Sanctis 1, Giovanna Seddaiu 2, Giuseppe Iezzi 3, Marco Toderi 3,
Roberto Orsini3, Martina Perugini 3, Pier Paolo Roggero2
1
Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli Studi di Sassari, IT, [email protected]
Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli Studi di Sassari, IT, [email protected]
3
Dip. Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle Marche, IT, [email protected]
2
Introduzione
Una delle sfide più importanti dell’agricoltura di questi anni è lo sviluppo di pratiche colturali in grado
di aumentare il sequestro di carbonio organico nel suolo (Purakayastha et al. 2008). La scelta del
sistema colturale e in particolare l’utilizzo di una bilanciata gestione della fertilizzazione può
influenzare in misura molto rilevante il potenziale di incremento del carbonio organico nei suoli agrari
(Lal, 2002).
Il lavoro aveva l’obiettivo di valutare, attraverso sperimentazioni di campo e modelli di
simulazione, l’impatto sulla sostanza organica del suolo di diverse modalità di fertilizzazione
azotata nell’ambito di un avvicendamento asciutto frumento duro-mais della collina marchigiana.
Metodologia
Il modello di simulazione applicato è DSSAT v. 4.5 (Hoogenboom et al. 2004), che include il modulo
CENTURY (Porter et al. 2009) per la simulazione della sostanza organica del suolo (SOC).
I dati di input del modello derivano dai risultati di una sperimentazione di lunga durata avviata nel 1994
presso l’azienda didattico-sperimentale “Pasquale Rosati” dell’Università Politecnica delle Marche sita
ad Agugliano (AN) a 100 m s.l.m. (700 mm di precipitazioni medie annue) su un versante collinare
(pendenza: 10-15%) e terreno limo-argilloso. La produzione delle colture, le temperature e le
precipitazioni sono state direttamente misurate, la radiazione giornaliera è stata stimata con Radest 3.00
(Donatelli et al. 2003), le caratteristiche chimico-fisiche del suolo sono state determinate su 16 profili
pedologici e le costanti idrologiche del terreno sono state stimate in accordo con Saxton e Rawls (2006).
A seguito della calibrazione colturale e dell’inizializzazione del carbonio, descritti da De Sanctis et al.
(2009), sono stati simulati per 16 anni i diversi trattamenti di fertilizzazione organica e minerale
illustrati in tabella 1 al fine di valutare l’influenza della gestione del sistema colturale sulla dinamica
della SOC.
trattamento
N 120-220 Org
N 120-222 Min
N 140-280 Org
N 140-280 Min
Frumento duro
120
120
140
140
Mais
220
220
280
280
Fertilizzazione
Organica
Minerale
Organica
Minerale
Tabella 1. Dosi di concime azotato (kg ha-1 N) utilizzate per simulazioni effettuate con il modello DSSAT.
Risultati
La riduzione degli input di concime azotato minerale su frumento duro da 140 a 120 kg ha-1 N ha
determinato una riduzione nelle rese del 16%, (4,5 t ha-1 vs. 3,8 t ha-1); mentre la sostituzione di concimi
minerali con fertilizzanti organici, a parità di dose di azoto distribuito, ha determinato un calo di resa nel
frumento di circa il 18% (3,7 t ha-1) e il 24% (2,9 t ha-1) rispettivamente nei trattamenti N 120-220 e N
140-280. Nel caso del mais invece, le differenze di rese colturali sono risultate trascurabili (circa 4,0 t
ha-1) per tutti i trattamenti. Questo risultato è stato attribuito alla bassa potenzialità produttiva della
coltura in regime asciutto, anche con concimazione convenzionale.
201
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
I risultati delle simulazioni indicano chiaramente che la dinamica della sostanza organica nell’orizzonte
superficiale (0-30 cm) di suolo è influenzata in maniera significativa dalla tipologia di fertilizzazione
(organica vs minerale) e dalle dosi di fertilizzante
I risultati mostrano un netto effetto di aumento del contenuto di C organico nel suolo con l’impiego di
fertilizzante organico rispetto a quello minerale, a parità di unità di fertilizzante azotato distribuite. La dose di
fertilizzante organico è risultata proporzionale al “sink” di carbonio organico nel suolo: l’incremento della
dose da 120-220 a 140-280 unità di azoto nell’avvicendamento frumento-mais ha portato ad un aumento del
sink di C, con tassi assoluti di circa +2 - +3 kg ha-1 giorno-1 rispettivamente per 120-220 e 140-280.
Kg/ha
140_280 Org= 3.125x - 83369 R2 = 0.99
140_280 = 0.3503x + 15805 R2 = 0.84
120_220 Org= 2.0208x - 43892 R2 = 0.99
120_220 = 0.3026x + 17550 R2 = 0.80
60000
55000
50000
45000
40000
35000
30000
25000
N140-280 Org
N140-280 min
N120-220 Org
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
20000
N120-220 min
Figura 1. Impatto di diverse strategie di fertilizzazione sull’evoluzione del contenuto di C organico nel suolo espresso in kg
ha-1 (orizzonte 0-30 cm) nell’avvicendamento colturale frumento duro-mais.
Conclusioni
I risultati mettono in evidenza l’importanza strategica dell’impiego dei reflui zootecnici per la gestione
conservativa del SOC e fertilizzazione azotata dei sistemi colturali cerealicoli. Tuttavia, questa
considerazione non può essere disgiunta dal fatto che la riconversione del sistema di fertilizzazione
comporti di fatto la riconversione di tutto il sistema aziendale, l’integrazione della cerealicoltura con le
attività zootecniche e quindi anche una variazione degli avvicendamenti colturali.
Bibliografia
Donatelli M. et al. 2003. RadEst3.00: Software to estimate daily radiation data from commonly available meteorological
variables. Eur. J. Agron. 18:363-367.
De Sanctis et al. 2009. Dinamica del carbonio del suolo in sistemi colturali cerealicoli di collina. XXXVIII Convegno della
SIA - Firenze, pp. 317-318.
Hoogenboom et al. 2004. Decision Support System for Agrotechnology Transfer Version 4.0. Volume 1: Overview.
University of Hawaii, Honolulu, HI.
Lal, R., 2002. Why carbon sequestration in soils. In: Kimble, J., et al. (Ed.), Agricultural Practices and Policies for Carbon
Sequestration in Soil. CRC Press, Boca Raton, FL., pp. 21–30.
Porter et al. 2009. Modeling organic carbon and carbon-mediated soil processes in DSSAT v4.5. Operations Research: An
International Journal.
Saxton K. E., and W.J. Rawls 2006. Soil water characteristic estimates by texture and organic matter for hydrologic
solutions. Soil Sci. Soc. Am. J. 70:1569-1578.
Purakayastha T.J. et al. 2008 Long-term impact of fertilizers on soil organic carbon pools and sequestration rates in maize–
wheat–cowpea cropping system. Geoderma 144: 370–378.
202
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risposta Produttiva ed Ecofisiologica all’Ambiente di
Coltivazione della Malva sylvestris L.
Sebastiano Delfine, Paola Pinelli, Gennaro Marcellino
Dip. di Scienze Animali, Vegetali e dell’Ambiente, Univ. Molise, IT, [email protected]
Introduzione
Le piante officinali sono ricche in principi attivi che hanno diversi utilizzi industriali e domestici. Molte
sono le condizioni che possono alterare o modificare la resa quali-quantitativa di queste specie. È noto,
infatti, che la tecnica colturale può interferire con le rese delle piante officinali attraverso una mirata
gestione: della lavorazione del suolo, delle erbe infestanti e delle necessità idriche e nutritive delle
piante. Per alcune specie è noto che anche l’ambiente di coltivazione può modificare la resa in sostanza
secca prodotta o in essenza. Molto poco è noto circa gli effetti combinati di ambiente e tecnica colturale
sulla qualità e quantità delle rese. Pertanto, a parità di tecnica colturale, ad ogni essenza vegetale può
essere assegnato un determinato ambiente che ne possa garantire una buona resa e valorizzare la qualità
dell’essenza prodotta.
Scopo di questo lavoro è di quantificare gli effetti dell’ambiente di coltivazione sull’accrescimento,
l’ecofisiologia e la resa di una coltura di malva. Il lavoro rientra in un progetto più ampio dal titolo:
“Progetto di ricerca applicata sulle piante officinali”, finanziato dalla Regione Molise e avente come
Ente capofila il Comune di Bagnoli del Trigno (IS).
Metodologia
La coltura di Malva sylvestris L. è stata allevata in siti molisani caratterizzati da differenti condizioni
pedoclimatiche: l’areale costiero (Campomarino (CB), 40 m.s.l.) con suolo argilloso e precipitazioni
annue di 750 mm; l’ areale collinare (Acquaviva Collecroce (CB), 400 m.s.l.) con suolo argilloso e
precipitazioni annue di 800 mm; l’areale pedomontano (Agnone (IS), 830 m.s.l.) con suolo argilloso e
precipitazioni annue di 1000 mm. La specie è stata allevata in parcelle con 5 ripetizioni. La coltura è
stata concimata in presemina con 50 unità per ettaro di azoto, 90 di fosforo e 50 di potassio; e in
copertura con 50 unità per ettaro di azoto. Il controllo delle malerbe è stato effettuato per mezzo di
interventi meccanici (interfila) e scerbature manuali (sulla fila). A fine ciclo colturale sono stati misurati
i seguenti parametri agronomici: resa in cimette e fiori, e accumulo di sostanza secca per pianta intera.
Inoltre, durante il periodo balsamico, sono stati misurati i seguenti parametri eco-fisiologici: fotosintesi,
conduttanza stomatica e del mesofillo fogliare ottenuti con misure contemporanee di scambio gassoso
(Licor 6400, Nebraska, USA) e fluorescenza della clorofilla a (Mini PAM, Waltz, Germania), e attività
della Rubisco.
Risultati
L’incremento dell’altitudine ha avuto effetti negativi sulla coltura di malva rispetto agli ambienti di
pianura. E’ stato evidenziato, infatti, un decremento della resa per ettaro, del peso secco della pianta e
dell’efficienza fotosintetica. Un ulteriore approfondimento di carattere ecofisiologico, ha permesso di
discutere i risultati agronomici anche dal punto di vista del movimento di CO2 nella foglia, della
quantità di CO2 nei diversi comparti del mesofillo fogliare e dell’attività di enzimi quali la Rubisco.
L’ambiente più produttivo è risultato quello di pianura dove le rese sono aumentate di circa il 280%
rispetto al sito di Agnone meno produttivo. I maggiori vantaggi negli ambienti costieri potrebbero
essere ricercati nei parametri pedo-climatici in grado di assicurare alla pianta condizioni di sviluppo
ottimali per garantire un buon metabolismo fotosintetico e una corretta gestione delle risorse idriche
presenti nel suolo. Il buon risultato in termini di resa è supportato da un analogo risultato in termini di
accumulo di sostanza secca per pianta.
Le misure ecofisiologiche e biochimiche chiariscono le motivazioni metaboliche alla base del grande
successo degli ambienti pianeggianti. Dall’analisi dei dati riguardanti la fotosintesi, la conduttanza
203
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
stomatica, la conduttanza del mesofillo e l’attività della Rubisco si evince un grosso coinvolgimento del
metabolismo primario giustificato dal grande incremento percentuale del valore di fotosintesi rispetto al
sito meno produttivo di Agnone. L’incremento di fotosintesi è connesso essenzialmente a due fattori:
alla maggior quantità di CO2 capace di entrare nella foglia e di raggiungere il sito della Rubisco
(aumento sia della conduttanza stomatica che mesofillica) e alla maggior organicazione della CO2 ad
opera dell’attività della Rubisco.
Tabella 1. Resa in cimette e fiori, sostanza secca accumulata nella pianta intera e fotosintesi durante il periodo balsamico di
una coltura di malva allevata secondo quanto riportato nella sezione dei Materiali e Metodi. I valori sono medie ± SE (n =
10) e sono espressi in maniera relativa, come incremento percentuale rispetto al sito meno produttivo di Agnone.
Sito
Campomarino
Acquaviva
Resa in cimette e fiori
media
SE.
281.5
23.9
153.1
11.6
Sostanza secca pianta intera
media
SE
310.6
26.3
176.6
14.9
Fotosintesi
media SE
297.6 26.4
176.6 13.3
Tabella 2. Conduttanza stomatica, conduttanza del mesofillo e attività della Rubisco durante il periodo balsamico di una
coltura di malva allevata secondo quanto riportato nella sezione dei Materiali e Metodi. I valori sono medie ± SE (n = 10) e
sono espressi in maniera relativa, come incremento percentuale rispetto al sito meno produttivo di Agnone.
Sito
Campomarino
Acquaviva
Conduttanza stomatica
media
SE
298.5
24.6
138.0
11.1
Conduttanza mesofillo
media
SE
273.1
26.5
157.5
16.6
Attività Rubisco
media
SE
290.2
24.8
141.3
13.9
Bibliografia
Catizone P. et al. 1986. Coltivazione delle piante medicinali ed aromatiche, Patron Editore, Bologna.
Marzi V. et al. 2008. Piante officinali. Coltivazione, trattamenti di post-raccolta, contenuti in principi attivi, impieghi in vari
settori industriali ed erboristici, Ricchiuto Editore.
204
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Il Segnale Climatico sulle Produzioni: Interrelazioni tra
Strategie Irrigue e Risposte delle cultivars
Francesca De Lorenzi1, Antonello Bonfante1, Rodica Tomozeiu2, Cristina Patanè1, Giulia
Villani2, Angelo Basile1, Fausto Tomei2, Massimo Menenti3
1
Ist. per i Sistemi Agricoli e Forestali nel Mediterraneo, CNR, Ercolano, IT [email protected]
2
ARPA-SIMC, Bologna, IT, 3 Delft University of Technology, Delft, NL
Introduzione
Il cambiamento del clima è inevitabile ed i sistemi agricoli devono affrontare la sfida dell’adattamento.
L’intensità dell’influenza del cambiamento climatico sulla produttività delle colture irrigue dipende
dalla disponibilità futura della risorsa idrica. Il lavoro mostra come le scelte di strategia irrigua
definiscono gli effetti del segnale climatico ed esplora alcune opzioni di adattamento al clima futuro,
esaminando la risposta produttiva al deficit idrico di alcune cvs di pomodoro da industria.
Metodologia
Il lavoro è svolto in 2 aree di studio: Destra Sele (DS) in provincia di Salerno, e Valpadana (VP) in
provincia di Piacenza; in esse sono stati prodotti scenari di cambiamento climatico di temperatura
minima, massima e precipitazioni a scala giornaliera, per il periodo 2021-2050. Dalle proiezioni di
5 modelli climatici globali, scenario A1B (Progetto UE Ensembles), sono state elaborate proiezioni
climatiche a scala stagionale con tecniche di downscaling statistico (Tomozeiu et al. 2007), utilizzando i
dati del grigliato CRA-CMA; le serie giornaliere sono state prodotte da un weather generator. Nel
presente lavoro è stata utilizzata una serie temporale rappresentativa dell’insieme dei 5 modelli
(Ensemble Mean, EM). E’ stato esaminato anche un periodo climatico attuale (1961-90); i dati sono
stati ricavati dal grigliato CRA-CMA. Nei 2 periodi climatici sono state utilizzate le serie temporali di
temperature e precipitazioni in corrispondenza del ciclo colturale del pomodoro da industria (maggio –
agosto), applicate come condizioni al contorno superiore per simulare i regimi idrici di 25 unità di suolo
(in DS) e di una unità parcellare di un’azienda sperimentale in VP, con modelli meccanicistici del
sistema suolo-pianta-atmosfera (SWAP, CRITERIA). La coltura è stata sottoposta a 2 differenti
gestioni irrigue, ipotizzando: 1) che l’acqua irrigua disponibile consenta di soddisfare completamente il
fabbisogno della coltura; 2) che l’acqua sia disponibile in quantità limitata. Nel primo caso l’irrigazione
era somministrata quando il potenziale matriciale del suolo era a circa di -800 cm, con un volume
irriguo tale da riportare il contenuto idrico dello spessore di suolo esplorato dalle radici alla capacità di
campo. Nel secondo caso gli interventi irrigui erano a turno fisso e a volume irriguo stagionale limitato
(150 mm in DS, 190 mm in VP).
Risultati
Le proiezioni stagionali indicano aumenti di
temperatura in DS e in VP. La fig.1 mostra le
distribuzioni di probabilità delle anomalie di
temperatura massima estiva nelle due aree: uno
spostamento verso temperature maggiori di circa
2°C è atteso in entrambe, per il periodo 2021-50
rispetto al periodo 1961-90. Il quadro delle
variazioni previste per le precipitazioni è più
complesso, con differenze intra-annuali; le piogge
primaverili varieranno di +25% in VP e -25% in
DS, in estate le piogge rimangono invariate in DS e
diminuiscono (-20% ) in VP.
Il segnale delle variazioni climatiche incide sul
bilancio idrico delle colture, e perciò sulla loro
FIG 1 Probability Density Function Tmax
estive ENSEMBLE MEAN
1961-1990_P o Valley
1961-1990_Des tra S ele
2021-2050 EM P o Valley
2021-2050 EM Des tra S ele
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
0.0
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
5
variazioni di Tmax (°C)
205
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
produttività, in misura diversa in relazione alle strategie irrigue possibili. Quando la risorsa idrica
non è limitante, l’aumento previsto della temperatura estiva determina in DS un aumento dei
volumi irrigui medi stagionali, mentre in VP essi rimangono invariati (con un incremento dei
valori estremi) probabilmente per l’aumento delle piogge primaverili (fig.2). Il segnale climatico si
riflette in un aumento di deficit idrico relativo del suolo (SWD) quando la risorsa idrica è limitata.
In DS l’SWD raggiunge in alcune unità di suolo il 32% nel 2021-50; in VP la mediana passa dal
40% (1961-90) al 45% (2021-50) (fig.3).
FIG 3 Soil Water Deficit
periodi 2021-50 e 1961-90 risorsa idrica
limitata
FIG 2 volumi irrigui stagionali
periodi 2021-50 e 1961-90 risorsa idrica non
limitante
2021-50
50
1961-90
Soil Water Deficit (%)
volume irriguo (mm
400
300
200
100
0
2021-50
1961-90
40
30
20
10
0
Destra Sele - unità di suolo
Valpadana
Destra Sele - unità di suolo
Valpadana
produzione relativa
Quando la risorsa idrica è limitata, e il segnale climatico non può essere annullato con un aumento di
uso di acqua irrigua, è necessario valutare la possibilità di persistenza delle colture attuali nelle mutate
condizioni climatiche, tenendo conto dell’ampia variabilità intraspecifica delle specie agrarie, quindi
della diversità dei requisiti pedo-climatici delle cvs. A tal fine è stata analizzata la relazione tra
produzione relativa e SWD in 4 cvs di pomodoro,
FIG 4 produzione relativa e soil water deficit
ed individuati i valori di soglia di SWD (fig.4).
Le soglie (45% in Design e Season e 55% in
1.2
Brigade e Sole rosso) sono superiori alle medie di
1.0
SWD simulate sia in DS sia in VP (previsioni
0.8
2021-50). Ma la variabilità delle condizioni
0.6
climatiche nelle serie temporali considerate fa sì
0.4
che l’SWD in alcuni casi possa superare il valore di
0.2
0.0
soglia di 2 cvs.
20
30
40
50
60 70
80
90 100
Conclusioni
Soil Water Deficit (%)
Nello scenario climatico futuro l’irrigazione
cvs Brigade e Sole rosso
limitata potrebbe influire negativamente, in alcuni
cvs Design e Season
SWD DS (max 2021-50) + sd
anni, sulla resa di cvs di pomodoro negli ambienti
SWD VP (max 2021-50) + sd
colturali attuali. Sarà perciò approfondito ed esteso
lo studio dei requisiti varietali per l’analisi delle
opzioni di adattamento. Le interrelazioni tra strategia irrigua e segnale climatico saranno esaminate
considerando più strategie irrigue.
Lavoro svolto nell’ambito del progetto “Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti climatici –
AGROSCENARI”
Bibliografia
Tomozeiu R. et al. 2007. Climate change scenarios for surface temperature in Emilia-Romagna (Italy) obtained using
statistical downscaling models. Theor Appl Clim, 90: 25-47.
206
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Produzione dell’Arundo donax in Ambiente Collinare
Meridionale
Massimo Fagnano, Adriana Impagliazzo, Mauro Mori, Nunzio Fiorentino
Dipartimento di Ingegneria Agraria e Agronomia del Territorio - Università degli Studi di Napoli Federico II - Via
Università, 100; 80055 Portici (Na). Tel 0812539129; fax 0817755129; email: [email protected]
Introduzione
L’interesse verso le fonti energetiche rinnovabili come le colture da biomassa, si rafforza sempre più
rientrando nel quadro generale della riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e dei cambiamenti
climatici. In questo contesto, l’Arundo donax come biomassa ligno-cellulosica risulta particolarmente
interessante perché utilizzabile in processi a diverso livello tecnologico, come combustione diretta,
fermentazione anaerobica per la produzione di metano, produzione di etanolo di seconda generazione,
substrato per lieviti oleaginosi, materia prima per polimeri biodegradabili.
Per far fronte alle esigenze degli impianti industriali, sarebbe necessario occupare decine di migliaia di
ettari, sottraendo suoli utili alle colture tradizionali e determinando incrementi dei prezzi delle colture
alimentari. Per evitare che l’aumento dei prezzi possa limitare l’accesso al cibo delle popolazioni meno
fortunate, le biomasse da energia dovrebbero essere coltivate sui suoli non idonei per le colture
alimentari, come ad esempio suoli inquinati e suoli di aree marginali. Tra questi vanno anche
considerati gli ambienti cerealicoli Appenninici, nei quali le produzioni di frumento sono tanto basse
(20-25 q ha-1) da non compensare i costi di produzione. Inoltre in queste aree la tecnica colturale del
frumento (lavorazioni a fine estate ed assenza di copertura vegetale fino a novembre) determina
condizioni di estrema vulnerabilità all’erosione che può raggiungere valori di 2-300 t ha-1 di suolo,
concentrate soprattutto nei mesi di settembre ed ottobre (Diodato et al., 2009).
L’ Arundo donax è particolarmente interessante in quanto perenne, con un’elevata adattabilità pedoclimatica ed elevati livelli produttivi. Inoltre è una specie con impatto ambientale positivo in quanto
antierosiva, in grado di stabilizzare pendici grazie alla grande resistenza alla trazione delle radici.
Rispetto alle colture annuali necessità di una gestione del suolo limitata ciò potrebbe portare ad un
aumento del carbonio organico e di biodiversità nel suolo (Lewandowski, 2006). Infine, le elevate
asportazioni di metalli pesanti la potrebbero rendere particolarmente idonea anche per la
fitodepurazione di siti inquinati. Prove sperimentali hanno infatti mostrato un recupero di mercurio pari
a 8 kg ha-1 e di cadmio pari a 6.2 kg ha-1 in soli 8 mesi (Papazoglou et al., 2007).
Metodologia
La prova è stata condotta a S.Angelo dei Lombardi (AV), 700 m s.l.m., su suoli argillosi (argilla = 44%,
limo = 22%, sabbia = 34%). L’impianto è stato realizzato nel 2004, con una densità di impianto di 1.0 x
1.0 m. Le parcelle sono state sottoposte a tecniche di coltivazione a bassi input energetici: nessuna
irrigazione, scerbatura manuale nel 1° anno e falciatura della flora infestante negli anni successivi. A
partire dal 2007, sono stati adottati due livelli di concimazione: 50 e 100 kg ha -1 di N. Al fine di favorire
la restituzione al suolo dei principali minerali asportati, le raccolte sono state effettuate a fine inverno,
dopo il distacco della maggior parte delle foglie.
Alla fine del primo (novembre 2004) e del sesto ciclo di crescita (novembre 2009) sono stati effettuati
prelievi di suolo negli strati 0-20, 20-40 e 40-60 cm, per verificare le variazioni di accumulo di C nel
profilo in seguito alla coltivazione. I dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza con disegno a
split-plot: anni x concimazione per i dati produttivi ed anni x profondità per i dati del C nel suolo.
Risultati
Le produzioni di sostanza secca sono state crescenti fino al 5° anno di coltivazione (2009), con valori
intorno a 20 t ha-1 (Fig. 1). Nel sesto anno non sono emerse flessioni per le parcelle concimate con 100
kg ha-1 di N, mentre significative riduzioni di produzione sono state riscontrate in quelle concimate con
la dose ridotta.
207
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Inoltre, è stato riscontrato un maggiore accumulo di C organico nel suolo in tutti e 3 gli strati esaminati
fino alla profondità di 60 cm, naturalmente in maniera più marcata negli strati superficiali (Tab. 1).
N50 misurati
25
N100 misurati
t/ha s.s.
20
N50 simulati
N100 simulati
15
10
y = -0.9179x2 + 8.7764x - 5.28
R2 = 0.9294
5
0
-5
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
anni dall'impianto
Figura 1. Produzione di Arundo donax misurata nei primi 6 anni e stima
della produzione nel 7° ed 8° anno.
Tabella 1. Contenuto % di Carbonio organico nel suolo nel 2004 e nel 2009.
Anni
Differenza 2009-2004
Strato
cm
0-20
0.57
0.95
0.76 a
20-40
0.50
0.86
0.68 b
+0.36
+8.6
40-60
0.46
0.73
0.60 c
+0.27
+6.5
0.68
+0.34
+8.1
0.51 b
2009
media
t ha-1
+9.1
%
+0.38
Media
2004
0.85 a
Conclusioni
L’Arundo donax negli ambienti collinari ha fatto registrare produzioni elevate confermando la sua
notevole adattabilità anche se coltivata senza irrigazione. Con un adeguato apporto di concime azotato
(100 kg ha-1) dopo 6 anni non si evidenzia fase calante nella produzione, non consentendo quindi di
stimare la durata economicamente conveniente dell’impianto. Invece, in assenza di adeguata
concimazione azotata, la durata massima si può stimare in 8 anni.
L’apporto di sostanza organica, sia radicale che fogliare, e l’assenza di lavorazioni del terreno hanno
favorito l’accumulo di C nel suolo. In totale l’accumulo di C, considerando una densità apparente di 1.2
t m-3, può essere stimato in 24 t ha-1 nella somma dei 3 strati (0-20, 20-40 e 40-60 cm), corrispondenti a
circa 5 t ha-1 per anno di C.
Pertanto la coltivazione di specie poliennali da biomassa, come la canna comune, può consentire un
reddito interessante per le aree collinari, con effetti favorevoli sull’accumulo di sostanza organica. Ciò
potrebbe determinare una riduzione dell’erodibilità del suolo ed una sua maggiore protezione da parte
della copertura vegetale continua. Un ulteriore effetto positivo sull’ambiente è anche dato dalla
immobilizzazione di quantitativi importanti di C nel suolo.
Bibliografia
Diodato N. et al. 2009. CliFEM – Climate Forcing and Erosion Response Modelling at Long-Term Sele River Research
Basin (Southern Italy). Natural Hazard and Earth System Science 9: 1693-1702.
Lewandowski I., Schmidt U. 2006. Nitrogen, energy and land use efficiencies of miscanthus, reed canary grass and triticale
as determined by the boundary line approach. Agriculture, Ecosystems & Environment 112:335–46.
Papazoglou E.G. 2007. Arundo donax L. stress tolerance under irrigation with heavy metal aqueous solutions. Desalination,
211: 304-313.
208
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetto della Salinità su Matricaria Chamomilla L.
Laura Frabboni, Angela Libutti, Annamaria Tomaiuolo, Grazia Disciglio,
Francesca Cristella, Emanuele Tarantino
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
La biosintesi di metaboliti secondari all'interno dei tessuti vegetali delle piante officinali non è
controllato solo geneticamente, ma è anche fortemente influenzata dai fattori abiotici (Naghdi Badi et
al., 2004) ed è, quindi, considerata una reazione delle piante agli stress ambientali (Berlin, 1988;
Lambers et al. 1998). Molteplici sono le molecole organiche coinvolte nella risposta delle piante ai
fattori di stress, in grado di svolgere una vera e propria difesa di natura chimica. Gli stress salini, ad
esempio, possono incrementare la produzione di principi attivi (antocianine, flavonoidi, alcaloidi, ecc.)
da parte dei tessuti vegetali di diverse specie (Selmar, 2008).
Nella camomilla (Matricaria chamomilla L.) le variabili ambientali influenzano la resa in oli essenziali
e la loro composizione (Mann et al., 1986). Il comportamento di tale specie in condizioni di stress
salino non è stato oggetto di approfondimento e, in letteratura, solo pochi studi riportano l’effetto della
salinità dell’acqua irrigua sulla caratteristiche morfologiche e sulla composizione degli oli essenziali
della camomilla (Afzali et al., 2006; Baghalian et al., 2008; Razmjoo et al., 2008).
Alla luce di tali considerazioni, un’attività sperimentale è stata condotta in provincia di Foggia su
coltura di Matricaria chamomilla L., con l’obiettivo di valutare l’effetto dell’irrigazione con acqua
salmastra, a differenti livelli di conducibilità elettrica, sull’accrescimento, sulla resa in olio essenziale e
sul contenuto in alcuni principi attivi della specie.
Metodologia
L’attività sperimentale è stata condotta in pieno campo, nell’annata 2009/2010, in agro di Manfredonia (FG), su
terreno di tipo franco (sabbia 38,1 %, limo 39, 9 %, argilla 22,0%), avente un contenuto in sostanza organica pari
al 3,0%, in N del 2,0% e in P2O5 corrispondente a 3,6 ppm. Prima della semina, il terreno è stato sottoposto ad
un’aratura profonda 40 cm e ad una successiva fresatura di affinamento. La semina di Matricaria chamomilla L.
(varietà tetraploide) è stata eseguita a mano, nella modalità a spaglio, il 29/10/2009, impiegando una quantità di
seme pari a 3,0 kg ha-1. I trattamenti sperimentali a confronto sono consistiti in due diversi livelli di conducibilità
elettrica (ECW – dSm-1) dell’acqua irrigua (S1 = 4.0 dSm-1 e S2 = 8.0 dSm-1), in aggiunta ad un testimone (T = 0.8
dSm-1), irrigato con acqua di fonte. E’ stato adottato un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con 2
ripetizioni, in parcelle di 3,75 x 7,25 m. Gli interventi irrigui sono stati eseguiti in primavera (21/04 e 29/04), al
termine del processo di crescita delle piante e hanno apportato, a ciascuna parcella sperimentale, una quantità
totale di acqua pari a 10 l. Alla raccolta, eseguita a mano (18/05) quando le piante erano in piena fioritura, sono
stati determinati: altezza del fusto (cm), lunghezza delle radici (cm), numero di capolini per pianta, peso fresco e
secco dell’intera pianta (g). I capolini sono stati poi sottoposti ad idrodistillazione mediante apparecchio di
Clevenger, per estrarne l’olio essenziale. Tutti i dati emersi dalle prove sono stati sottoposti ad analisi della
varianza (ANOVA), applicando il test di Tukey.
Risultati
Dall’analisi dei risultati relativi alla
resa in prodotto fresco e secco (fig.
1), è possibile osservare come la tesi
P1 abbia raggiunto il più elevato
sviluppo, avendo evidenziato valori
di PF e PS rispettivamente pari a 350
e 155 g pt-1. La tesi P2, di contro, ha
mostrato valori di peso fresco e peso
secco significativamente più bassi:
185 e 68 g pt-1. Prendendo in
400
A
350
300
250
B
T
200
P1
D
A
150
P2
B
100
D
50
0
PF
PS
Fig. 1 Peso fresco (PF) e peso secco (PS) per pianta, nelle tesi a
confronto.
209
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
considerazione i parametri relativi all’accrescimento della coltura riportati in tab. 1, risulta evidente che
le piante allevate in condizioni di più elevata salinità (tesi P2) hanno fatto registrare una maggiore
profondità dell’apparato radicale.
Nessuna differenza significativa è stata riscontrata,
Tabella 1. Lunghezza della radice (LR - cm); lunghezza
relativamente alla lunghezza del fusto, tra le tre tesi a
del fusto (LF - cm); numero di capolini (NC); rapporto
confronto. Interessante notare (tab. 1) che il più elevato
peso secco/peso fresco (PS/PF), nelle tesi a confronto.
numero di capolini per pianta è stato raggiunto nella
Tesi
LR
LF
NC
PS/PF
tesi P2; mentre, il rapporto PS/PF è risultato essere
migliore nel testimone rispetto alle tesi P1 e P2.
T
9.5 BC
77.5 A
47.5 B
0.54 A
All’aumentare
della
concentrazione
salina
P1
11.5 B
76.0 A
56.5 AB 0.44 AB
dell’acqua irrigua, si è ottenuto anche un incremento
della resa in olio (tab. 2) che, in P2, è stata pari al 38
P2
13.5 A
78.5 A
62.5 A
0.36 AB
I valori seguiti dalla stessa lettera non sono %, significativamente superiore a quelle di T e P1. Il
significativamente diversi per P ≤ 0.05, secondo il medesimo trend è stato osservato con riferimento ai
principali componenti dell’estratto di oli essenziali
Tukey test.
analizzato:
α-bisabololo,
β-bisabololo
e
camazulene; anche se differenze significative sono state evidenziate solo per il contenuto in βbisabololo che, nella tesi P2, ha raggiunto la concentrazione maggiore, pari al 18.1 %.
Conclusioni
La tesi irrigata con acqua a più elevata conducibilità elettrica (8 dS m-1) ha fatto registrare buoni risultati
relativamente ai parametri di accrescimento, resa in olio essenziale e contenuto in alcuni principi attivi.
Il rapporto PS/PF, al contrario, non è stato elevato, probabilmente a causa di una notevole perdita in
prodotto durante l’essiccazione.
Bibliografia
Afzali S.F. et al. 2006. Effects of salinity and drought on germination and growth of Matricaria chamomilla. In: Salamon I.
(Ed.), Proceeding of the I International Symposium on Chamomile Research, Development and Production. Presove,
Slovak Repulic, 7–10 July.
Baghalian K. et al. 2008. Effect of saline irrigation water on agronomical and phytochemical characters of chamomile
(Matricaria recutita L.). Scientia Horticulturae, 116, 437–441.
Berlin J., 1988. Formation of secondary metabolites in plant cells and its impact on pharmacy. Biotechnology in
Agriculture and Forestry, Vol. 4, Y.P.S. Bajaj, ed. Springer, Berlin, Germany.
Lambers H. et al. 1998. Plant Physiology Ecology. Springer-Verlag, New York.
Mann C., Staba E.J. 1986. The chemistry, pharmacology and commercial formulations of chamomile. In: Craker L.E.,
Simon J.E. (Eds.), Herbs, Spices and Medicinal Plants: Recent Advances in Botany, Horticulture and Pharmacology. Vol.
1., Food Products Press, pp. 235–280.
Naghdi Badi H. et al. 2004. Effects of spacing and harvesting on herbage yield and quality/quantity of oil in thyme,
Thymus vulgaris L. Ind. Crop. Prod. 19, 231–236.
Razmjoo K. et al. 2008. Effect of Salinity and Drought Stresses on Growth Parameters and Essential Oil Content of
Matricaria
chamomile.
International
Journal
Of Tabella 2. Resa in olio essenziale (%); contenuto in α-bisabololo (%), β-bisabololo (%)
Agriculture & Biology, 10–4, e Camazulene (%).
451-454.
Tesi
ECw
Resa olio
α-bisabololo
β-bisabololo
Camazulene
Selmar D. 2008. Potential of
T
0 dSm-1
0.30 ab
40.9 a
13.2 c
4.1 a
salt and drought stress to
increase
pharmaceutical
significant
secondary
compounds
in
plants.
Agriculture
and
Forestry
Research, 1/2 (58), 139-144.
P1
4 dSm-1
0.32 ab
44.9 a
16.0 ab
5.3 a
-1
P2
8 dSm
0.38 a
47.8 a
18.1 a
5.7 a
I valori seguiti dalla stessa lettera non sono significativamente diversi per P ≤ 0.05,
secondo il Tukey test.
Ringraziamenti
Si ringraziano il dott. Filippo Taronna ed il Sig. Fabrizio Palumbo per la disponibilità ed il prezioso aiuto mostrati nella
conduzione delle prove.
210
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Produttività a Livello Fogliare del Girasole Sottoposto a
Differenti Regimi Irrigui e Carbonici
Pasquale Garofalo, Michele Rinaldi
CRA-SCA, Unità di ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari, IT
[email protected]
Introduzione
L’efficienza di una coltura nel convertire l’acqua in biomassa secca (WUE), viene generalmente
espressa come il rapporto tra la biomassa (per lo più la biomassa secca totale) e l’acqua utilizzata dalla
coltura stessa. Questa metodologia è ampiamente riportata in numerosi lavori (de Wit, 1958; Tanner e
Sinclair, 1983), ma un grosso limite deriva dalla scelta del parametro usato come denominatore nel
calcolo del WUE, che può essere l’evapotraspirazione della coltura (misurata attraverso vari metodi), la
traspirazione, l’acqua consumata dalla coltura normalizzata per il deficit di pressione di vapore o
l’evapotraspirazione di riferimento (Steduto e Albrizio, 2005). Inoltre, questo approccio fornisce
informazioni generiche, senza migliorare la comprensione dei fenomeni fisiologici coinvolti a livello
fogliare e legati essenzialmente all’efficienza d’uso del carbonio (CUE). Obiettivo della ricerca è quello
di valutare l’attività fotosintetica e la WUE a livello fogliare in girasole (Helianthus annus L.) in
condizioni di diverso rifornimento idrico e di carbonio.
Metodologia
Sito sperimentale
La prova è stata condotta a Foggia (lat. 41° 8’ 7’’ N; long. 15° 83’ 5’’ E, alt. 90 m s.l.m) nel 2009. Il
suolo è un vertisuolo di origine alluvionale, Typic Calcixeret (Soil Taxonomy 10th ed., USDA 2006),
limo-argilloso, con una quantità di acqua disponibile pari a 202 mm m-1. Il clima è “accentuato-termoMediterraneo” (classificazione Unesco-FAO), con temperature sotto lo 0 °C in inverno e superiori a 40
°C in estate. Le piogge annuali (550 mm) sono concentrate nei mesi invernali e l’evaporato di classe
“A” supera i 10 mm-1 giorno in estate.
Prova sperimentale
Il girasole è stato seminato l’8 maggio e raccolto il 28 agosto. L’investimento è stato di 7.5 piante per
m2 e la concimazione è stata effettuata in presemina, fornendo 2 q ha-1 di fosfato biammonico.
L’irrigazione a goccia, con gocciolatori da 2 L h-1, ha previsto un’ala gocciolante per ogni interfila; ogni
qualvolta l’evapotraspirazione della coltura, calcolata con lisimetri a pesata, raggiungeva 60 mm,
veniva distribuita l’acqua irrigua.
Le tesi sperimentali sono state diversificate sospendendo l’irrigazione al raggiungimento di tre fasi
fenologiche specifiche; inizio fioritura (IF), fine fioritura (FF) e riempimento acheni (RA). Sono stati
distribuiti in totale 162 mm per IF, 282 mm per FF e 402 mm per RA.
Misurazione scambi gassosi
La misurazione degli scambi gassosi è avvenuta per tutte le tesi 7 giorni dopo la sospensione
dell’irrigazione (3 rilievi) usando un analizzatore di gas agli infrarossi LCpro plus (ADC, Bioscientific,
LTD), provvisto di una camera fogliare specifica per colture a foglia larga (6.25 cm2), lampada
emittente nel PAR a 1500 µmol m-2 s-1 e impostando 5 valori di concentrazione di CO2: valore
ambientale 380 e incrementi successivi pari a 450, 580, 680 e 760 ppm.
Risultati
In Fig. 1a emerge come la concentrazione di CO2 nei tessuti fogliari (ci) aumenti in maniera lineare con
l’incremento di CO2 (cref), senza differenze tra le tesi irrigue. Anche il tasso di fotosintesi netta (A, µmol
m-2 s-1), correlato significativamente con ci (Fig. 1b) non ha mostrato differenze significative tra le
diverse tesi irrigue. I valori di A, mediamente per i tre regimi irrigui, sono oscillati da 14.7 a 41.9 µmol
m-2 s-1 per valori di concentrazione di CO2 da 380 a 760 ppm.
211
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
La conduttanza stomatica (gs), si è diversificata in funzione del regime irriguo e del cref, passando da un
valore minimo di 0.2 mol m-2 s-1 nella tesi IF con cref ambientale, a 1.0 mol m-2 s-1 nella tesi RA con un
valore di cref pari a 769 ppm. Variazioni della conduttanza stomatica hanno influenzato in maniera
significativa (Fig. 1c) la traspirazione fogliare (E ), con valori medi pari a 4.8 mol m-2 s-1 nelle tesi RA ed
FF e 3.8 mol m-2 s-1 in quella meno irrigata (IF).
La WUE (mmol mol-1), calcolata come rapporto tra A ed E, è variata linearmente con la concentrazione
di CO2 nell’ambiente, ma non è apparsa influenzata dal regime irriguo (Fig. 1d); la WUE è triplicata al
raddoppiare della CO2 ambientale, passando da un valore medio per le tre tesi di 3.3 a 9.3 mmol mol-1.
600
6
a
ci = 0.6119cref
450
c
2
5
-2
E (mol m
ci (ppm)
-1
s )
R = 0.9706
300
150
3
2
E= -4.4521gs + 7.2239gs + 1.9466
R2 = 0.8708
2
0
0
0
300
600
900
0.0
0.6
0.9
1.2
-1
gs (mol m s )
10
60
2
A = -0.0003ci + 0.3362ci - 49.708
2
R = 0.9232
8
WUE = 0.0116cref
R2 = 0.9017
WUE
-2
-1
(mmol mol )
45
-1
A (u mol m s )
0.3
-2
cref (ppm)
30
15
0
b
5
3
d
0
0
150
600
0
300
600
Figura
1. Componenti
della300
fotosintesi450
osservate su
girasole sottoposto
a 3 regimi
irrigui IF (rombi),
FF
ci (ppm)
(quadrati) e RA
(triangoli). Per il significato, fare riferimento al testo. cref (ppm)
900
Conclusioni
Questa ricerca ha evidenziato come i parametri legati alla produttività a livello fogliare nel girasole,
quali fotosintesi netta e WUE, sono abbastanza costanti, anche in condizioni di moderato stress idrico.
Nette sono risultate, invece, le variazioni positive legate agli incrementi di CO2. Questo approccio, può
fornire valide indicazioni per l’attività modellistica, specie se orientata alla simulazione di scenari
climatici futuri, per i quali si prevede un incremento della concentrazione dei CO2 nell’atmosfera,
attraverso l’utilizzo di relazioni che tra parametri fisiologici e concentrazione di CO2.
Bibliografia
De Wit C.T. 1958. Transpiration and crop yield. Agricultural Research Reports 64.6, Wageningen, Pudoc, 88 pp
Steduto P., Albrizio R. 2005. Resource use efficiency of field-grown sunflower, sorghum, wheat and chickpea. II. Water
Use Efficiency and comparison with Radiation Use Efficiency. Agric. For. Meteorol., 130: 269-281.
Tanner C. B., Sinclair T. R 1983. Efficient water use in crop production: research or re-search. In: Limitations to Efficient
Water Use in Crop Production (H. M. Taylor, W. R. Jordan and T. R. Sinclair eds) American Society of Agronomy,
Madison, WI.
212
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione dell’effetto del Deficit Idrico sulla
Composizione delle Proteine di Riserva del Frumento Duro
Mediante un Approccio Proteomico
Marcella Michela Giuliani, Marianna Pompa, Luigia Giuzio, Michele De Santis,
Annalisa Mentana, Carmen Palermo, Diego Centonze, Zina Flagella
Dip. di Scienze Agroambientali, Chimica e Difesa vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
La qualità tecnologica del frumento duro dipende essenzialmente dalla quantità e dalla qualità delle
proteine di riserva accumulate durante il processo di maturazione della cariosside. Entrambe le
componenti possono essere influenzate da fattori ambientali e genetici. Negli ambienti mediterranei il
deficit idrico, spesso associato ad un’elevata temperatura, è uno dei più frequenti fattori limitanti la
produzione del frumento duro. Poco nota è l’influenza dello stress idrico sulla sintesi delle gliadine e
delle glutenine. L’analisi proteomica è un efficace strumento per valutare l’espressione genica nelle
diverse condizioni ambientali. Nell’ambito del progetto FAR-AGROGEN del MiUR, il nostro gruppo
di ricerca si è proposto di valutare, mediante un approccio proteomico, l’effetto dello stress idrico sulla
composizione delle proteine del glutine.
Metodologia
La prova sperimentale è stata realizzata in vaso in camera di crescita, nel corso dell’anno 2009, presso il
Centro di Ricerca per la Cerealicoltura (CRA-CER) di Foggia. Per la prova è stato utilizzato un disegno
sperimentale randomizzato con due ripetizioni e due fattori, mettendo a confronto due varietà (Ciccio e
Svevo) e due trattamenti idrici (controllo e stressato). Le tesi fino alla fase di fioritura sono state allevate
in condizioni idriche ottimali intervenendo al 50% dell’acqua disponibile per riportare il terreno alla
capacità idrica di campo (CIC). Dalla fioritura sono stati differenziati i due trattamenti idrici: ad un
controllo allevato in condizioni idriche ottimali, riportando ad ogni intervento irriguo il terreno alla CIC,
è stato affiancato un trattamento “stressato” in cui il terreno è stato riportato al 70% dell’acqua
disponibile. Quaranta giorni dopo l’antesi le cariossidi sono state raccolte, macinate e dallo sfarinato
sono state estratte le proteine di riserva, secondo la metodica riportata da Hurkman e Tanaka (2004). Le
proteine di riserva sono state separate mediante elettroforesi bidimensionale 2D (IEF x SDS PAGE),
come riportato da Ferrante et al. (2008), e sottoposte ad analisi d’immagine mediante il software
ImageMaster 2D Platinum 6.0 (Amersham). Le differenze significative tra gli spot differenzialmente
espressi tra i due trattamenti idrici, nell’ambito di ciascuna varietà, sono state evidenziate mediante
l’applicazione del test t. Alcuni spot specifici e/o differenzialmente espressi tra i trattamenti sono stati
prelevati ed analizzati mediante nano-HPLC-ESI-MS/MS. Gli spettri ottenuti sono stati valutati
mediante il software “Biotools 3.2 (Bruker Daltonics) e l’identificazione delle proteine è stata eseguita
mediante ricerca in banca dati utilizzando il server MASCOT (www.matrixscience.com).
Risultati
I gel sono risultati caratterizzati da un’elevata riproducibilità e da una buona risoluzione degli spot. In
media in ogni gel sono stati identificati 106 spot: 103 nel Ciccio, sia nel controllo che nel trattamento
stressato, e, nello Svevo, 108 e 111 rispettivamente nel controllo e nel trattamento stressato.
Relativamente alla varietà Ciccio, nel trattamento stressato (fig. 1b) si è evidenziata la presenza di 8
spot specifici (11, 12, 13, 99, 153, 190, 222, 225), appartenenti per lo più alla zona a basso peso
molecolare. Di questi 3 sono stati analizzati mediante spettrometria di massa: gli spot 11 e 12 sono
risultati essere frammenti di un precursore della γ-gliadina, mentre lo spot 13 un frammento di una
LMW-GS. Sempre per la varietà Ciccio, l’analisi di immagine ha evidenziato 13 spot maggiormente
espressi nel trattamento stressato rispetto al controllo (fig. 1a e b) di cui 3 appartenenti alla zona ad alto
peso molecolare (63, 70 e 74), 4 alla zona in cui generalmente si separano le ω-gliadine (1, 101, 102 e
213
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
103) e 7 alla zona a
a
b
più basso peso
molecolare (7, 135,
137, 147, 152 e
163). Di questi spot
due
sono
stati
analizzati mediante
spettrometria
di
massa
e
sono
risultati essere una
ω-5-gliadina (spot 1)
ed un frammento di
una glutenina a
Fig.1 Gel di riferimento Ciccio Controllo (a) e Ciccio Stressato (b)
basso
peso
molecolare (spot
b
a
7). Per la varietà
Svevo (fig. 2a e
b), nel trattamento
stressato si è
evidenziata
la
presenza di 15
spot specifici, di
cui
3
spot
appartenenti alla
zona ad alto peso
molecolare (70, 73
Fig.2 Gel di riferimento Svevo Controllo (a) e Svevo Stressato (b)
e 75), tre alla zona
di separazione delle ω-gliadine (101, 103, 104) e 9 alla zona a più basso peso molecolare (3, 5, 111,
114, 116, 130, 176, 196 e 217). Di questi lo spot 5 è stato analizzato mediante nano-HPLC-ESI-MS/MS
ed è risultato essere una α-gliadina. Inoltre, per la varietà Svevo, l’analisi di immagine ha evidenziato 20
spot sovraespressi nel trattamento stressato di cui solo uno appartenente alla zona ad alto peso
molecolare (71), due (94 e 96) alla zona delle ω-gliadine e 17 (2, 4, 6, 168, 172, 174, 180, 182, 183,
190, 192, 195, 202, 213, 214, 223 e 225) alla zona a basso peso molecolare. Per gli spot 4 e 6 si è
proceduto anche all’identificazione mediante spettrometria di massa e sono risultati appartenere
entrambi ad un frammento di α-gliadina appartenente al Triticum turgidum spp. dicoccoides.
Conclusione
Il deficit idrico imposto in fase di granigione sulle varietà di frumento duro oggetto di studio ha
comportato variazioni nella composizione delle proteine di riserva valutate mediante un approccio
proteomico. In particolare esso ha indotto una maggiore espressione di γ- ed ω-gliadine in Ciccio e di αgliadine in Svevo. Ulteriori studi saranno condotti, sia allo scopo di identificare altre proteine, sia per
correlare variazioni nella composizione delle proteine di riserva indotte dal deficit idrico alle prestazioni
tecnologiche della granella.
Bibliografia
Hurkman William. J., Tanaka Charlene. K. 2004. Improved methods for separation of wheat endosperm proteins and
analysis by two-dimensional gel electrophoresis. Journal of Cereal Science 40: 295-299.
Ferrante P., et al. 2006. A protomic approach to verify in vivo expression of a novel γ gliadin containing an extra cysteine
residue. Proteomics (2006) 6: 1908-1914.
Ringraziamenti
Il lavoro è stato svolto nell’ambito del Progetto FAR-AGROGEN del MiUR. Coordinatore prof. Donato Pastore
214
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Influenza della temperatura e del contenuto idrico del terreno
sul tasso di emissione di CO2
Paolo Guarnaccia, Giorgio Testa, Giovanni Scalici, Salvatore Luciano Cosentino
Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali - Sezione Scienze Agronomiche,
Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania, Italia, [email protected]
Introduzione
L'attività agricola partecipa al contenimento del livello della CO2 atmosferica attraverso la fissazione
del carbonio nei composti organici prodotti dalle colture. I prodotti agricoli sono in gran parte destinati
al consumo, e quindi tendono a restituire all'ambiente, in tempi più o meno brevi, le sostanze che hanno
in precedenza accumulato; piccole variazioni del contenuto di sostanza organica del terreno, in virtù
della sua distribuzione quantitativa e dei tempi necessari per la sua mineralizzazione, potrebbero,
invece, riflettersi in cospicue riduzioni od incrementi del livello della CO2 atmosferica.
Il rilascio di CO2 dal terreno verso l'atmosfera avviene attraverso la respirazione della parte ipogea delle
piante, la respirazione dei microrganismi e la decomposizione della sostanza organica. Al fine di
stabilire gli interventi da attuare per il mantenimento di un ottimale contenuto di sostanza organica nel
terreno, è necessario approfondire le conoscenze sui flussi di carbonio all'interno dell'agroecosistema e
dei fattori ambientali e tecnici che li influenzano (Guarnaccia et al., 2003).
Sulla base di tali premesse è stata condotta una ricerca con lo scopo di studiare l'influenza esercitata
dalla temperatura e dalla disponibilità idrica del terreno sulle emissioni di CO2.
Metodologia
Lo studio è stato condotto presso la Facoltà di Agraria di Catania nei mesi di luglio ed agosto 2004. Il
terreno aveva un contenuto di sabbia, limo e argilla pari rispettivamente a 64,8, 23,3 e 11,7%. Il
contenuto di sostanza organica dei primi 20 cm di profondità era pari a 2,8%. Il contenuto di umidità era
mantenuto intorno alla capacità di campo (20% del volume). La densità apparente era di 1,21 g cm-3,
mentre la porosità era pari a 53,6%.
I rilievi sulla respirazione del terreno sono stati eseguiti utilizzando una camera in alluminio con una
lunghezza di 63,5 cm, una larghezza di 52 cm ed un altezza di 20,5 cm, collegata ad un analizzatore
portatile di gas all'infrarosso (LI-6200, LI-COR, Lincoln, Nebraska, USA) predisposto per effettuare
una lettura ogni 3 secondi durante un periodo di tempo fissato pari a 20 secondi. Il rilievo veniva
ripetuto per 5 volte. Il tasso di scambio di CO2 dal terreno ( Rt ) è stato calcolato, in accordo con la
legge ideale dei gas ed assumendo il valore della pressione pari a quello atmosferico, attraverso la
formula Rt = [(ΔCO2 / Δt) (V/RT )] / A, dove Rt (µmoli CO2 m-2 s-1) = tasso di respirazione del terreno;
ΔCO2 / Δt (µmoli moli-1 s-1) = tasso del cambiamento della concentrazione di CO2 durante il
rilevamento; V (49140 cm-3) = volume totale del sistema (volume della camera, dei tubi e
dell'analizzatore di gas); R (cm3 atm. moli-1 K-1) = costante dei gas pari a 82,054; T (°K= 273,15 + °C)
= media della temperatura assoluta dell'aria rilevata all'inizio e alla fine del rilievo all'interno della
camera; A (0,33 m2) = superficie occupata dalla camera (Guarnaccia et al., 1993)
Condizioni ambientali differenziate sono state ottenute per la temperatura, effettuando i rilievi in diverse
ore del giorno e riscaldando artificiosamente il terreno attraverso l'effetto determinato da una lastra di
vetro posta sulla camera aperta; per il contenuto idrico, effettuando dei rilievi successivi su una parcella
irrigata precedentemente sino a raggiungere la capacità idrica massima, sempre durante le ore più calde
della giornata al fine di mantenere costante la temperatura del terreno (in media 26,4°C).
Risultati
Il range di temperature osservato è risultato compreso tra 22°C e 44°C. La respirazione del terreno è
risultata essere influenzata positivamente dalla temperatura e la relazione è stata descritta utilizzando la
seguente funzione polinomiale di secondo grado: y=14,739-0,818x+0,018x2 (Figura 1).
215
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Ad un aumento delle temperature da 22°C a circa 36°C è corrisposto un incremento pressoché costante
del tasso di emissione di CO2 che è
passato da 6 a circa 9 µmoli m-2 s-1. Un
ulteriore incremento della temperatura fino
a circa 44°C, anziché determinare un
decremento del tasso di respirazione ha
provocato un brusco innalzamento dei
valori del tasso di respirazione che ha
raggiunto 14 µmoli m-2s-1.
Il contenuto idrico del terreno è oscillato
tra il 10 e il 40% del volume apparente. La
respirazione del terreno è risultata essere
influenzata positivamente dall'incremento
del contenuto idrico fino ai valori
corrispondenti alla capacità di campo. Il
tasso di emissione di CO2 è, infatti,
aumentato da 3 a 7 µmoli di CO2 m-2 s-1
con il variare del contenuto di umidità dal
10 al 22% (Figura 2).
Successivamente, un ulteriore incremento
del contenuto idrico fino ai valori massimi
registrati, ha determinato un decremento
Figura 1. Respirazione del terreno in relazione a differenti
del tasso di respirazione fino quasi ad
temperature del terreno.
annullarsi intorno a valori pari al 40% di
umidità. Dalla relazione tra il contenuto
idrico del terreno e la respirazione,
descritta dalla funzione polinomiale di secondo grado y=-4,69+1,03x-0,02x2, si evince una stretta
influenza della porosità libera dall'acqua sul flusso di CO2 dal terreno verso l'atmosfera.
Conclusioni
Le relazioni tra temperatura e contenuto idrico del terreno con le emissioni di CO2 descritti nel presente
lavoro possono costituire un valido
punto di partenza per la definizione di
modelli di simulazione che possano
consentire di valutare il ruolo dei fattori
ambientali nel monitoraggio delle
emissioni di CO2 del suolo. Queste
conoscenze insieme a quelle relative agli
effetti degli interventi agronomici di
gestione
del
suolo
possono
rappresentare, inoltre, efficaci indici di
sostenibilità con cui valutare l’impatto
ambientale dei sistemi colturali.
Bigliografia
Figura 2. Respirazione del terreno in relazione a differenti
contenuti idrici del terreno.
216
Guarnaccia P. et al. 1993. Measuring
photosynthesis and respiration of reproductive
organs of field grown maize (Zea mays L.).
Rivista di Agronomia, 27, 4:382-391.
Guarnaccia P. et al. 2003. Emissione di CO2 dal
terreno in condizioni ambientali ed agronomiche
diversificate. Atti XXXV Convegno Società
Italiana di Agronomia, Napoli 16-18/9/03,.9192.
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
L’Approccio “Farming System” e Statistico per
l’Individuazione delle Aree Agricole ad alto Valore
Naturalistico (HNVF): il Caso di Studio della Toscana
Giulio Lazzerini, Concetta Vazzana
Dip. di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell'Ambiente, Univ. Firenze, IT, [email protected]
Introduzione
L’interesse verso le aree agricole ad alto valore naturale nasce all’inizio degli anni ’90 con
l’introduzione del concetto di “High Nature Value Farmland” (HNVF). Nel 2003 Anderson identifica 3
tipologie di HNVF: il Tipo 1 e 2 identifica le aree agricole con una elevata copertura vegetale seminaturale e una bassa intensità di gestione; il Tipo 3 identifica le aree agricole sulle quale sono presenti
specie o gruppi di specie rare. Nel 2008 Paracchini et al. hanno definito una metodologia per
identificare le HNVF che parte dalla selezione di alcune classi d’uso del suolo. Tale metodologia
presenta numerose criticità, infatti non considera: l’intensità di gestione delle aree agricole (approccio
farming system); le informazioni sulle infrastrutture ecologiche (approccio paesaggistico); le
informazioni sulla presenza di specie rare. In Europa sono state fatte esperienze significative sulla
identificazione delle HNVF che approfondiscono l’approccio “farming system” come in Francia
(Pointereau et al. 2007) e nelle Regioni della Vallonia in Belgio e della Repubblica Ceca (Samoy et al.
2007). Interessante è l’esperienza sviluppata in Inghilterra sull’approccio delle specie (specie target
uccelli) (Porter, 2008). Aspetto ancora poco studiato, riguarda poi, la definizione di misure gestionali
per le HNVF. Esistono numerose esperienze a livello internazionale (del Royal Society for the
Protection of Birds – RSPB inglese; dell’Istituto per la fauna Selvatica – INFS italiano), che hanno
necessità di essere validate a livello locale.
In questo lavoro viene presentato il caso studio della Toscana con la definizione di una metodologia di
identificazione delle HNVF utilizzando l’approccio “farming system” e statistico (Samoy et al., 2007),
il quale è stato confrontando con l’approccio della copertura del suolo (Paracchini et. al, 2008) e con
quello delle specie (Porter, 2008). Per gli habitat agricoli più significativi individuati all’interno delle
HNVF, sono definiti criteri e misure di gestione.
Metodologia
La Metodologia “farming system” e statistica utilizzata è quella modificata da Samoy et al. (2007) e
parte dal presupposto di considerare tre aspetti, evidenziati in Fig.1, ai fini della definizione delle HNVF
(IEEP, 2007a). Su questa base sono stati scelti 3 indicatori: 1: “Diversità colturale”, 2: “Pratiche
estensive”, 3: “Elementi del Paesaggio”. Ogni indicatore è composto di più sub-indicatori, ognuno dei
quali ha un valore fra 0 e 1. Ogni indicatore è stato calcolato a livello di comune ed a ciascuno è stato
attribuito un valore compreso fra 1 e 10 punti. La mappa finale delle HNVF è stata prodotta attraverso
la somma dei tre indicatori utilizzati e il punteggio massimo raggiungibile è di 30. Sono state fissate due
soglie per identificazione delle HNVF: -la prima è stata fissata a 12 punti (Pointereau, 2007); - la
seconda è stata fissata a 15 punti (come valore medio fra il punteggio minimo di 1 e 30 massimo). Sulla
base degli indirizzi gestionali relativi all’esperienza del RSPB e dell’INFS, sono state definite le
principali misure di conservazione e di gestione degli habitat agricoli individuati all’interno delle
HNVF.
Risultati
Confrontando l’approccio “farming system” e statistico (1), con quello della copertura del suolo (2) e
e quelle delle specie (3), si evidenzia una difformità nell’identificazione delle aree HNVF in Toscana
217
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Caratteristiche di bassa
intensità di gestione:
- animali/ha
- input/ha
Alta percentuale di
vegetazione seminaturale:
- siepi, boschi
Alta diversità di
copertura del suolo:
- seminativi
- foraggere
Figura 1. Le caratteristiche chiave per l’identificazione della HNVF
(Fig.2). Queste hanno riguardato in particolare la non identificazione, con l’approccio “farming
system” e statistico, di alcune aree HNV nella Toscana meridionale. La cartografia elaborata con
tale approccio e con quello delle specie identificano le stesse aree come potenziali HNVF (Fig.2).
1
2
3
Figura 2. Cartografia delle aree HNVF ottenute con metodologie diverse in Toscana
Per gli habitat agricoli presenti all’interno delle HNVF sono state definite misure di
conservazione/gestione che implicano una validazione a livello locale.
Conclusioni
Il lavoro svolto ha consentito di verificare che a livello europeo non esiste una metodologia univoca per
la definizione delle HNVF, ma esistono invece diverse tipologie di percorsi metodologici, che partono
tutti dalla conoscenza della copertura del suolo. La metodologia “farming system” e statistica applicata
consente di integrare la copertura del suolo con l’intensità di gestione e con la presenza di elementi del
paesaggio e di definire quindi le HNVF. Deve essere approfondita l’analisi di specie target attraverso
cui identificare le HNVF di Tipo 3 così come proposte da Anderson nel 2003.
Bibliografia
Andersen, E et al. 2003. Developing a High Nature Value Indicator. Report for the European Environment Agency,
Copenhagen, accessed through http://eea.eionet.europa.eu/Public/irc/envirowindows/hnv/library
IEEP, 2007a. HNV Indicators for Evaluation, Final report for DG Agriculture, (Contract Notice 2006-G4-04), IEEP,
London.
Paracchini M.P, et al. 2008. High Nature Value Farmland in Europe An estimate of the distribution patterns on the basis of
land cover and biodiversity data - EUR 23480 EN – 2008
Pointereau, P., et al. 2007. Identification of High Nature Value farmland in France through statistical information and farm
practice surveys, Report, EUR 22786 EN. 62 pp.
Porter, K., 2008. Experiences of Developing HNV indicators in England Keith Porter Natural England, UK RSPB:
www.rspb.org.uk/farming
Samoy D., et al. 2007. Validation and Improvement of High Nature Value Farmland Identification National Approach in
the Walloon Region in Belgium and in the Czech Republic - EUR 22871 EN – 2007
218
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Gestione Irrigua delle Acque Salmastre e
Valutazione del Rischio di Salinità
Angela Libutti, Massimo Monteleone
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
Il rischio di salinizzazione secondaria del suolo, strettamente connesso con l’impiego irriguo di acque
salmastre, aumenta con l’intensificarsi dei sistemi colturali; così, ad esempio, il passaggio da
avvicendamenti biennali (in cui le specie irrigue primaverili-estive si coltivano ad anni alterni) a
coltivazioni consecutive di specie che prevedono il sistematico ricorso all’irrigazione, accresce
notevolmente la probabilità che l’accumulo salino nel suolo raggiunga livelli insostenibili ai fini
agricoli. Le risultanze della prova sperimentale eseguita hanno consentito di elaborare un modello
generale e sintetico di lisciviazione (valido per l’ambiente pedo-climatico in cui la prova stessa è stata
condotta). L’impiego del modello e la sua applicazione a dati pluviometrici pluriennali (1921-2003), ha
consentito di procedere ad una valutazione del rischio di salinità con riferimento a diverse strategie di
gestione irrigua aziendale. Definiamo “rischio di salinità” la probabilità (nel nostro caso riferita ad una
periodicità annuale) che nel suolo si realizzi un accumulo salino superiore ad una soglia ritenuta
compatibile per la gran parte delle colture (o per quelle meno sensibili).
Materiali e Metodi
L’attività sperimentale è stata condotta, nel triennio 2007-2010, nell’ambito del contesto produttivo di
un’azienda agricola ad indirizzo cerealicolo-orticolo, situata in agro di Manfredonia (FG). Una
superficie di terreno di 300 m2 è stata ripartita in 3 identiche ed adiacenti parcelle. Al centro di ciascuna
di esse è stata realizzata una vasca (superficie = 50 m2; profondità = 0.7 m), opportunamente allestita
per il recupero delle acque di drenaggio. L’avvicendamento colturale adottato ha visto l’alternarsi di
specie primaverili-estive (pomodoro, zucchino e peperone) a colture autunno-vernine (spinacio, cavolo
broccolo e frumento). A ciascuna parcella è corrisposto un trattamento irriguo differenziato che ha
previsto l’adozione di diversi rapporti di lisciviazione, impiegando allo scopo acqua salmastra e, solo in
un caso, anche una limitata disponibilità di acqua dolce (≤ 200 mm annui). La rilevazione dei volumi
irrigui e di drenaggio, nonché la misura del loro contenuto salino, ha consentito di eseguire un bilancio
idro-salino (Libutti et al., 2008), dalla cui elaborazione è derivato un modello empirico di lisciviazione.
In particolare, tramite analisi della covarianza (Ancova), il valore del rapporto di salinità (SR, %) è
stato espresso in funzione del rapporto di lisciviazione (L, %). SR è la frazione di sali allontanati dalle
acque di drenaggio (SOUT) rispetto alla somma di quelli già presenti nel suolo (S0) ed apportati (SIN) con
l’irrigazione (termini espressi in t ha-1); L è la frazione di acqua lisciviata (D) rispetto alla somma delle
acque di pioggia (R) e di quelle irrigue (I) complessivamente apportate al suolo (termini espressi in m3
ha-1). Per la valutazione del rischio di salinità, sono state messe a confronto diverse strategie di gestione
irrigua: regime idrico che non prevede alcun leaching intenzionale; apporti idrici liscivianti pari a 200 e
400 mm di acqua, realizzati mediante l’impiego di acqua salmastra e di acqua dolce; inserimento
biennale di colture irrigue estive nell’ambito dell’avvicendamento colturale. Si è partiti, inoltre, dal
presupposto che lo scopo di un’adeguata gestione irrigua delle acque salmastre è quello di raggiungere
una condizione di equilibrio tra la quantità di sali apportati con l’irrigazione rispetto a quelli allontanati
con la lisciviazione, mantenendo il contenuto salino del suolo al di sotto di un adeguato valore soglia
(S0). Tale soglia è quantificabile intorno a 17.5 t ha-1 di sali (ECe = 5.0 dS m-1). Considerando che un
apporto irriguo stagionale di circa 500 mm di acqua salmastra (ECw = 5.0 dS m-1) si traduce in un
apporto annuo di sali (SIN) pari a 16.0 t ha-1, lo stesso ammontare di sali deve essere allontanato dal
profilo del suolo attraverso la lisciviazione (SOUT). Se l’acqua salmastra viene impiegata anche ai fini
liscivianti, nei quantitativi di 200 e 400 mm, il carico salino complessivo del suolo diviene allora pari a
22.4 e 28.8 t ha-1, rispettivamente. Per chiudere in “pareggio” il bilancio salino annuale è quindi
necessario conseguire un preciso valore di SR dato dalla seguente espressione: SR = 100*SOUT /
219
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
probabilità di superare il valore di Y
99 98 95 90
400
80 70 60 50 40 30 20
10 5
2 1
A = Lisciviazione con acqua dolce
3
200
2
0
1
-200
Y - deviazione rispetto al bilancio salino (mm)
-400
-600
1 2
400
5 10
20 30 40 50 60 70 80
90 95 98 99
99 98 95 90
80 70 60 50 40 30 20
10 5
2 1
B = Lisciviazione con acqua salmastra
200
(S0+SIN). Ad esso corrisponde un particolare valore,
Leq, definito percentuale di lisciviazione all’equilibrio.
Leq, a sua volta, consente di determinare il valore
annuale di drenaggio che assicura la condizione di
equilibrio salino nel suolo, Deq = Leq * (R+I) / 100. Il
bilancio dei sali può essere assicurato solo se il
drenaggio effettivamente realizzatosi nel corso
dell’anno (Dact) è superiore (od al limite uguale) al
valore del drenaggio di equilibrio (Deq), ossia: Dact ≥
Deq o, in altri termini, ΔD = Dact-Deq ≥ 0. Una carta di
probabilità di ΔD è stata, dunque, calcolata con
riferimento alle diverse strategie di gestione irrigua
precedentemente
descritte,
considerando
le
precipitazioni annuali del periodo 1923-2001 a
Manfredonia, ottenendo così una simulazione del
“rischio di salinità”.
3
Risultati
I risultati dell’Ancova hanno consentito di definire un
1
-200
unico modello lineare che descrive quantitativamente il
processo di leaching: SR = L * 1.375 (P < 0.001; R2 =
-400
0.93). Il valore di SR è pari al 48 % in assenza di
leaching intenzionale, al 56 ed al 62 % quando 200 e
-600
400 mm di acqua salmastra vengono impiegati per
1 2 5 10 20 30 40 50 60 70 80 90 95 98 99
eseguire la lisciviazione. A tali valori di SR
99 98 95 90 80 70 60 50 40 30 20 10 5 2 1
corrispondono valori di Leq pari a 35, 41 e 45 %,
400
C = Avvicendamento colturale biennale
2b
rispettivamente.
2a
200
La Fig. 1 riporta la carta probabilistica del rischio di
1
salinità connesso alle diverse strategie di gestione
0
irrigua ipotizzate. È possibile osservare (Fig. 1 A e B,
linea 1) la condizione di assoluta insostenibilità della
-200
mancata applicazione del leaching (ΔD < 0). Analoga
condizione è osservabile in caso di leaching con 200
-400
mm di acqua salmastra (Fig. 1B, linea 2). Allo stesso
-600
quantitativo di acqua dolce corrisponde, invece, un
1 2 5 10 20 30 40 50 60 70 80 90 95 98 99
rischio di salinità pari al 90 % (Fig. 1A, linea 2).
probabilità di non superare il valore di Y
L’impiego di 400 mm di acqua lisciviante riduce
notevolmente il rischio: al 5 % nel caso di acqua dolce
Figura 1. Rischio di salinità connesso alle
(Fig. 1A, linea 3); al 40 % nel caso di acqua salmastra
diverse strategie di gestione irrigua.
(Fig. 1B, linea 3). Infine, con riferimento al sistema di
avvicendamento biennale, il rischio di salinità è del 70 % in assenza di leaching (Fig. 1C, linea 1); del
40 e 10 % se gli apporti idrici liscivianti vengono realizzati con 200 mm d’acqua salmastra (Fig. 1C,
linea 2a) e dolce (Fig. 1C, linea 2b), rispettivamente
0
2
Conclusioni
Al fine di prevenire un eccessivo accumulo salino nel suolo e garantire il bilancio annuo fra sali
apportati con l’irrigazione ed allontanati con le acque di drenaggio, una strategia fortemente
raccomandata è quella di ridurre la frequenza di coltivazione delle specie irrigue a ciclo primaverileestivo, facendole ritornare sullo stesso terreno una volta ogni due anni.
Bibliografia
Libutti A. et al. 2008. Hydrosalinity balance to monitor soil salinity at field scale due to brackish irrigation water. Option
Méditerranéennes, A, 84, 301-309.
La presente ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Progetto CLIMESCO,
D.D. del 20/02/2006 prot. n. 285).
220
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Desalinizzazione di un Suolo Mediante Lisciviazione: Analisi
Dinamica Lungo il Profilo
Angela Libutti, Massimo Monteleone
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
Per procedere al recupero produttivo di terreni affetti da salinità secondaria (salini ma non sodici) è
imprescindibile procedere alla lisciviazione dei sali contenuti in eccesso. Ciò si ottiene mediante un apporto
eccedentario di acqua rispetto alla capacità di trattenuta idrica del suolo. Di rilevante interesse tecnico, ai fini
progettuali, è definire la quantità complessiva di acqua che dovrà essere impiegata al fine di rimuovere una
data quantità di sali rispetto ad una particolare profondità di riferimento. L’approccio di carattere empirico si
basa su prove “in situ”, ossia eseguite direttamente sul suolo. Tali verifiche sperimentali consentono, nella
generalità dei casi, nel predisporre la cosiddetta “curva di lisciviazione” (Libutti et al., 2009). Essa esprime la
relazione funzionale che sussiste fra la frazione residuale dei sali nel suolo e l’entità relativa della
lisciviazione. Il vantaggio di esprimere tale relazione in termini relativi anziché assoluti è quello di definire un
modello più generale di comportamento: i sali residui presenti nel suolo dopo l’azione lisciviante sono infatti
quantificati in rapporto alla loro concentrazione iniziale, prima della lisciviazione; l’altezza dell’acqua di
drenaggio è invece espressa in rapporto alla profondità di suolo da essa attraversata lungo il profilo.
Diversamente, un più rigoroso approccio scientifico farebbe appello alle conoscenze relative alla
dinamica dei flussi idrici nel suolo ed agli effetti che essi esplicano sul movimento dei soluti.
Il presente lavoro cerca di riconnettere i due suddetti approcci proponendo un semplice modello
dinamico di simulazione mediante il quale è possibile “costruire” la “curva di lisciviazione” del suolo
attraverso la definizione di parametri più aderenti alle caratteristiche idrologiche del suolo stesso.
Materiali e Metodi
La sperimentazione è stata condotta su 12 contenitori cilindrici (Ø=0.4 m, H=1.20 m), assimilabili a dei
“lisimetri a drenaggio” in quanto provvisti inferiormente di uno scarico per il recupero dell’acqua di
percolazione, oltre che di sei aperture laterali, distanziate di 0.20 m lungo la verticale. Servendosi delle
suddette aperture, alle profondità di 0.20, 0.40 e 0.60 m, sono stati inseriti degli estrattori di soluzione
circolante del suolo (operanti alla tensione di -0.3 bar). I contenitori, collocati al di sotto di una tettoia,
erano riempiti con un terreno già precedentemente impiegato per diversi cicli di coltivazione e
salinizzato a seguito dell’apporto di acque irrigue salmastre. Un
Sflux_Max
processo di lisciviazione è stato quindi indotto sul terreno nudo,
ossia privo di copertura vegetale: ciascun lisimetro (mediante un
Sflux_In
gocciolatore della portata di 1 l h-1) ha ricevuto una quantità totale
d’acqua (non salmastra) pari a 300 mm, ripartita in 20 mm al giorno
nell’arco di 15 giorni. Sono stati giornalmente rilevate le
conducibilità elettriche delle acque di drenaggio e della soluzione
Sx
ε
circolante del suolo (pore water) alle tre profondità.
Ai dati sperimentali è stato applicato un semplice modello dinamico
in grado di simulare il processo di lisciviazione. Sono stati
Sflux_Out
considerati quattro strati orizzontali consecutivi di suolo (S20, S40,
S60 ed S80), tutti del medesimo spessore (0.20 m) ed aventi la
K
stessa costituzione. Il modello calcola il flusso di sali che si Figura 1. Diagramma del modello
trasferisce da uno strato al successivo a mezzo del movimento dinamico che interpreta i flussi
verticale dell’acqua; in corrispondenza di ciascuno strato, si esegue idro-salini lungo il profilo del
il bilancio fra i sali in ingresso (provenienti dall’alto) e quelli in suolo. Un solo, generico livello di
uscita (trasferiti verso il basso), secondo una essenziale profondità è considerato (Sx).
strutturazione “a cascata”. Il flusso salino è prevalentemente
influenzato dal parametro K, denominato salt mixing efficiency, il quale, moltiplicato per la
221
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Concentrazione relativa di sali residui (-)
Conducinilità elettrica della "pore water" (dS m-1)
conducibilità elettrica del suolo ad ogni livello di
riferimento, determina la quantità potenziale di sali che si
allontana dallo strato considerato (Fig. 1). Il suo valore è
5
inferiore all’unità; il valore limite unitario (K=1)
0
identificherebbe una condizione teorica di “effetto
lisimetro ad elevata salinità (H)
pistone” esercitato dall’acqua entrante sull’acqua in
30
uscita. Si è assunto, inoltre, che la concentrazione salina
0.20 m
del flusso in uscita da un definito livello di suolo
25
0.40 m
(Sflux_Out) sia anche condizionata dalla concentrazione
0.60 m
20
del flusso salino in entrata nel compatimento medesimo
(Sflux_In): tanto maggiore è il grado di salinità di
15
quest’ultimo (rispetto ad un definito parametro di
saturazione Sflux_Max), tanto minore sarà la capacità del
10
primo di trascinare con sé elevati quantitativi di sali,
5
secondo un coefficiente ε denominato leaching efficiency,
uguale a (Sflux_Max – Sflux_In) / Sflux_Max, anch’esso
0
(come K) sempre inferiore all’unità. Il modello, in ultimo,
0
50 100 150 200 250 300 necessita in input anche dei valori iniziali di conducibilità
Altezza d'acqua drenata (mm)
elettrica del suolo alle 4 profondità di riferimento
(variabili di stato), nonché della conducibilità dell’acqua
Figura 2. Applicazione del modello e confronto
impiegata per la lisciviazione (assunta pari a circa 1 dSmfra dati misurati e curve di simulazione alle tre
1
). In ultimo, si assume che la conducibilità elettrica del
profondità.
1,2
flusso idrico in uscita dallo strato S80 sia corrispondente alla
K = 0.02
conducibilità dell’acqua di drenaggio.
10
lisimetro a bassa salinità (L)
1,0
K = 0.03
0,8
0,6
0,4
0,2
0,0
0,0
0,2
0,4
0,6
0,8
1,0
Altezza relativa d'acqua drenata (-)
Figura 3. Curve di lisciviazione relative alla
tesi H, ponendo a confronto due diversi valori
del parametro K; il tratteggio indica la banda
di confidenza.
Risultati
I 12 lisimetri sono stati ripartiti in tre gruppi da 4,
distinguendoli in base alla conducibilità elettrica media del
suolo lungo il profilo e discriminando fra condizioni di
elevata (H), media (M) e bassa (L) salinità (ECe media pari a
25.0, 14.0 e 4.2 dSm-1, rispettivamente). La Tab. 1, mostra i
valori medi assegnati ai parametri del modello, con
riferimento ai tre gruppi lisimetrici. La Fig. 2 riporta i risultati
dell’applicazione del modello a due tesi, ad alta (H) e bassa
(L) salinità iniziale. Infine, la Fig. 3 riproduce la “curva di
lisciviazione” ottenuta mediante applicazione del modello alla
tesi H, ponendo a confronto due valori di K (0.02 e 0.03).
Conclusioni
I risultati delle simulazioni mostrano una buona capacità del
modello ad adattarsi ai dati
Tabella 1. Valori assegnati ai parametri del modello
sperimentali. Il parametro K è quello
Parametri
H
M
L
in grado d’influenzare maggiormente
Soil_Init
25.0 ± 2.4
14.0 ± 1.1
4.2 ± 0.3
la conformazione della “leaching
Sflux_In
1.0
1.0
1.0
curve”, accentuando la quantità di sali
Sflux_Max
120.0 ± 18.0
60.0 ± 9.0
12.0 ± 1.8
rimossi dal suolo al crescere del suo
K (*1000)
20.0 ± 3.0
25.0 ± 3.8
30.0 ± 4.5
valore e a parità di drenaggio.
Bibliografia
Libutti et al. 2009. Elaborazione di una “Leaching curve” ai fini delle valutazione della capacità lisciviante delle piogge.
Atti XXXVIII Convegno SIA. Firenze, 20-22 settembre 2009, 129-130.
La presente ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Progetto CLIMESCO,
D.D. del 20/02/2006 prot. n. 285).
222
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti dell’irrigazione con Acque Reflue Urbane Depurate
e Clorate su Coltura di Lattuga e sul Suolo
Antonio Lonigro, Pietro Rubino
Università di Bari - Dip. Scienze delle Produzioni Vegetali - Via Amendola 165/A, 70126 Bari - ITALY
Tel.: (+39) 0805443479 - Fax: (+39) 0805442976 e-mail: [email protected]
Introduzione
Le acque reflue urbane, se opportunamente trattate, possono essere utilizzate per l’irrigazione,
rappresentando una valida alternativa alle acque convenzionali, nelle zone aride e semi-aride.
Tuttavia, il riuso irriguo di acque reflue urbane depurate può comportare problemi sia di natura
igienico-sanitaria che agronomica.
Mentre i problemi legati alla contaminazione microbiologica sono stati diffusamente studiati e
considerati come avviati a risoluzione, al contrario quelli legati alla presenza nelle acque reflue di
sostanze chimiche, organiche ed inorganiche più svariate, sono lontani dalla risoluzione. I rischi
legati all’uso delle acque reflue a scopo irriguo sono molteplici ed essenzialmente attribuibili a due
ordini di fattori: il primo riguarda la contaminazione dei suoli agrari con eventuali effetti fitotossici
e/o di contaminazione della catena alimentare, il secondo la contaminazione delle acque del
sottosuolo (Leoni e Fabiani, 1985). Pochissimo si conosce sulle conseguenze dell’uso di reflui
clorati, infatti, è noto che l’effetto del cloro residuo, presente nelle acque dopo il trattamento di
disinfezione, risulta tossico per la maggior parte delle colture già a concentrazioni di 0,2 mgL-1.
L’uso di cloro in acque contenenti sostanze organiche porta alla formazione di trialometani (THM)
e di altri sottoprodotti alogenati (TOX), alcuni dei quali, potenzialmente cancerogeni e mutageni
(Verlicchi e Masotti, 2002). Più alta è la dose e il residuo di cloro utilizzato come disinfettante,
maggiore sarà il numero di sottoprodotti che si formano.
Metodologia
Per approfondire il problema della formazione di sottoprodotti tossici del cloro, il Dipartimento di
Scienze delle Produzioni Vegetali dell’Università di Bari, ha condotto due diverse prove
sperimentali su piantine di lattuga allevate in vasi in PVC ed irrigate con acque a valori crescenti
di cloro residuo, sotto tettoia in vetro, per evitare l’eventuale effetto diluizione delle acque
meteoriche. Nella prima prova sono stati confrontati due diversi tipi di terreno, uno
tendenzialmente sabbioso e l’altro tendenzialmente argilloso. Le tesi a confronto sono state:
un testimone irrigato con acqua di rete e 4 tesi irrigate con acqua contenente 0,2 – 10 e 40 mg L-1
di cloro residuo in soluzione.
La quantità di acqua somministrata per ogni intervento irriguo è stata pari a 1 L/vaso, ed è stata
data quando si esauriva la riserva idrica facilmente utilizzabile dalla pianta.
La seconda prova è stata effettuata sempre su coltura di lattuga, allevata sugli stessi terreni,
utilizzando solo acqua di rete, per evidenziare un’eventuale effetto memoria. Per entrambe le
prove, alla raccolta sono stati prelevati campioni di terreno su cui determinare i composti organici
alogenati estraibili (Extractable Organic Halogen) (EOX).
Risultati
Nella prima prova, le piantine di lattuga (Lactuca sativa L.), dal trapianto fino all’attecchimento
(circa 15 giorni) sono state irrigate 4 volte con acqua di rubinetto, poi sette successivi interventi
irrigui sono state effettuati con acqua clorata. Le piante coltivate su terreno sabbioso, fin dalla
prima irrigazione con acqua clorata, hanno mostrato sintomi di sofferenza, le tesi 10 e 40 hanno
evidenziato gravi danni. Le piante di lattuga allevate sul terreno limoso-argilloso, invece, hanno
mostrato i primi sintomi, solo a partire dalla quarta irrigazione con acqua clorata. L’intensità dei
sintomi è risultata direttamente proporzionale alla concentrazione di cloro libero nell’acqua di
irrigazione.
223
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
I valori di EOX trovati nei due tipi di terreno, riportati nel grafico 1, evidenziano che, nel terreno
limoso-argilloso, a causa del maggior contenuto in sostanza organica, sono quasi doppi rispetto a
quelli del terreno sabbioso con incrementi nelle tesi 0,2 e 10, mentre non si è rilevata una
significativa differenza tra la tesi 10 e 40.
Nella seconda prova, utilizzando lo stesso terreno della prova precedente, le piante coltivate su
terreno irrigato nel ciclo precedente con acqua contenente 10 e 40 mg L-1 di cloro, hanno
evidenziato danni subito dopo la prima irrigazione.
I valori degli EOX trovati sul terreno alla fine della seconda prova sono rimasti sostanzialmente
invariati (Grafico 2).
250
250
Sabbioso
Sabbioso
Argilloso
EOX (μg Cl Kg di terreno secco)
200
-
200
150
-1
150
-
-1
EOX (μg Cl Kg di terreno secco)
Argilloso
100
100
50
50
0
0
0
0
0.2
10
40
0.2
10
40
Tesi
Tesi
Grafico 1. EOX presenti nei due tipi di terreno utilizzati
utilizzati nella seconda prova.
Grafico 2. EOX presenti nei due tipi di terreno
nella prima prova
Conclusioni
I risultati ottenuti, sebbene richiedano ulteriori approfondimenti, appaiono in linea con quanto è
stato riscontrato nelle prove in campo (Lonigro, 2006) a Cerignola (FG) e pertanto hanno
consentito alcune considerazioni utili per la gestione dell’irrigazione con acque reflue urbane
depurate.
Dalla valutazione degli EOX determinati sul suolo, è emerso che nel terreno sabbioso i composti
organo-alogenati subiscono un incremento trascurabile all’aumentare delle dosi di cloro utilizzate
nell’acqua irrigua ed sono comunque notevolmente inferiori rispetto a quelli presenti nel terreno
argilloso, a dimostrazione che il fenomeno è legato alla presenza della sostanza organica contenuta
nel suolo.
La seconda prova, condotta sullo stesso terreno utilizzato nel primo ciclo colturale, irrigando le
piante di lattuga con sola acqua di rubinetto ha evidenziato un certo “effetto memoria” dovuto alla
presenza nel terreno di sottoprodotti del cloro formatisi durante il ciclo precedente; tale effetto che
si protrae nel tempo, è stato confermato dalla presenza di dosi elevate di EOX delle tesi che hanno
ricevuto irrigazioni con acque addizionate con 10 e 40 mg L-1 di Cloro.
Quindi, si può dire che sebbene la risorsa idrica rappresentata dalle acque reflue urbane depurate
sia una valida alternativa all’irrigazione con acque convenzionali, l’uso di cloro come disinfettante
in dosi massicce (eccedenti 0,2 mgL-1), può comportare, a medio e lungo termine, problemi di
tossicità alle piante e di accumulo nel terreno.
Bibliografia
Leoni V. e Fabiani L., 1985. Inquinanti organici nelle acque reflue da impiegarsi a scopo irriguo: aspetti legislativi e
tossicologici relativi a pesticidi, ftalati, policlorodifenili. Commissione per l’irrigazione del ministero
dell’Agricoltura e Foreste. Ricerca svolta nell’ambito dei lavori della IV Sottocommissione per lo studio
dell’utilizzazione delle acque reflue, salmastre e calde.
Lonigro A., 2006. Studio sugli aspetti igienico-sanitari connessi al riutilizzo di acque reflue urbane depurate a scopo
irriguo. Tesi di Dottorato di Ricerca in “Agronomia Mediterranea” XVIII Ciclo, Università di Bari.
Verlicchi P. e Casotti L., 2002. Sistemi “convenzionali” e sistemi “naturali”di disinfezione delle acque reflue.
Ed.Franco Angeli.
224
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Impatto di Colture Agri-energetiche sulla Biodiversità
Edafica
Cristina Menta, Paola Baldino, Federica Delia Conti, Alan Leoni
Dip. Biologia Evolutiva e Funzionale, Sez. Museo di Storia Naturale, Univ. Parma, [email protected]
Introduzione
La percezione del comparto suolo come risorsa naturale non rinnovabile sulla scala temporale umana
viene riconosciuta da qualche decennio a livello internazionale. Inoltre, al suolo vengono riconosciute
funzioni essenziali dal punto di vista ambientale (produzione di biomassa, stoccaggio e trasformazione
di elementi minerali e organici nonché di energia, regolazione del ciclo delle acque sotterranee, scambio
di gas con l’atmosfera) oltre ad essere il supporto per la vita ed una riserva di biodiversità. Risulta
quindi indispensabile proteggerlo e mantenerne la fertilità. Inserito nel progetto Seq-cure, nato per
rispondere alle problematiche energetico-ambientali legate all’approvvigionamento energetico,
finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Life III Ambiente e coordinato dal CRPA di Reggio
Emilia, il presente studio ha avuto lo scopo di valutare l’impatto sulla biodiversità del suolo di apporti di
diversi concimi a colture per biomasse destinate alla conversione bioenergetica.
Metodologia
L’area di studio si trova nel comune di San Pancrazio
(PR) e fa parte dell’Azienda Agricola Sperimentale
Stuard di Parma. I campionamenti sono stati effettuati
a maggio ed a ottobre 2009, periodi ottimali per lo
studio della pedofauna. Sono state prese in
considerazione quattro colture a scopo energetico:
panicum e triticale (campionate in primavera), sorgo e
mais (in autunno). Per ogni coltura sono state
analizzate 3 tesi di concimazione: compost -C-;
liquame suino -L-; chimico, nitrato ammonico -CH-,
rispetto ad un controllo (non concimato -NC-) (Fig.
Figura 1. Schema di campo per le parcelle
1).
In ogni parcella sono state prelevate 3 zolle di terreno, di dimensioni di 10x10x10 cm, dalle quali sono
stati estratti i microartropodi attraverso il selettore Berlese-Tüllgren. Le seletture sono state quindi
osservate allo stereomicroscopio, gli organismi rinvenuti sono stati identificati a livello di ordine (classe
per i miriapodi) e contati. La qualità biologica del suolo è stata espressa attraverso l’applicazione
dell’indice QBS-ar (Parisi et al., 2005; Menta et al., 2008) e il rapporto tra acari e collemboli (Bachelier,
1986). Le differenze nei valori di biodiversità (descritta dagli indici di diversità di Shannon-Wiener -H’e di equiripartizione -evenness, E-) e nelle abbondanze relative degli ordini di microartropodi osservati
nei quattro trattamenti considerati sono state valutate utilizzando il test PERMANOVA (Permutational
Multivariate Analysis of Variance; Anderson, 2001; Anderson, 2005).
Risultati
Il popolamento di microartropodi delle 4 colture esaminate è caratterizzato dalla presenza di diversi
gruppi, tra cui alcuni ben adattati alla vita ipogea (pauropodi, sinfili, dipluri, proturi).
Nelle colture di panicum, sorgo e mais si può notare sostanzialmente un aumento delle forme
biologiche, nonché delle densità degli organismi, nelle tesi trattate con concimi di origine organica,
quali compost e liquami (Tab. 1). In queste stesse parcelle si è riscontrata, inoltre, la presenza di
collemboli maggiormente adattati alla vita nel suolo. E’ possibile attribuire questi risultati alla maggiore
quantità di sostanza organica presente sul suolo. I valori di QBS-ar sono per tutte le colture piuttosto
elevati se confrontati con i risultati ottenuti in ambienti agricoli, soprattutto per le tesi con concimazione
225
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
organica. In genere si riscontra una diminuzione dei valori in corrispondenza delle parcelle trattate con
concime chimico (Fig. 2).
Tabella1. Numero di Forme Biologiche e rispettive Densità (espresse in d/m2)
In particolare nel mais sono stati osservati risultati di
QBS-ar più elevati rispetto a quelli ottenuti in studi
precedenti (Leoni, 2003; Menta et al., in press). Valori
dell’indice di questa entità sono dovuti presumibilmente
a due fattori: da un lato il fatto che il mais fosse stato già
raccolto lasciando al suolo residui organici come fonte
di sostanza organica; dall’altra parte, la pratica agricola
di rotazione con colture che mantengono la copertura
durante l’inverno (come la loiessa) mantiene le
caratteristiche del suolo buone promuovendo un “effetto
eredità”. Infatti solo in questa coltura sono stati osservati
i proturi, organismi primitivi estremamente adattati alla
vita ipogea.
Figura 2. Valori di QBS-ar nelle diverse
colture e nei diversi trattamenti
Conclusioni
La gestione sostenibile degli agroecosistemi considerati e, quindi, la promozione della rotazione tra le
colture e la concimazione organica utilizzando residui vegetali e animali, non ha avuto impatti negativi
rilevanti sul popolamento edafico. In effetti, è stato osservato un significativo numero di gruppi, di cui
alcuni aventi caratteristiche morfologiche di adattamento alla vita ipogea ed una discreta densità.
L’indice di qualità biologica del suolo QBS-ar conferma sostanzialmente questa condizione con valori
piuttosto elevati rispetto a quelli precedentemente osservati nei sistemi agricoli. Questo testimonia che
le pratiche sostenibili possono almeno in parte tutelare il comparto suolo, permettendo di non alterare
importanti equilibri funzionali che in esso hanno sede.
Bibliografia
Anderson M.J. 2001. A new method for non-parametric multivariate analysis of variance. Austral Ecol, 26: 32-46.
Anderson M.J. 2005. PERMANOVA: a FORTRAN computer program for permutational multivariate analysis of
variance. Dep. of Statistics, Univ. Auckland, New Zeland
Bachelier G. 1986. La vie animale dans le sol. ORSTOM, Paris: 171-196.
Leoni A. 2003. Effetti dei fanghi di depurazione sul popolamento edafico. Tesi di Laurea, Univ. Parma
Menta C. et al. 2008. Nematode and microarthropod communities: comparative use of soil quality bioindicators in covered
dump and natural soils. Env. Bioind, 3(1): 35-46.
Menta C. et al. In press. Does compost affect microarthropod soil communities? F. E. B.
Parisi V. et al. 2005. Microarthropod communities as a tool to assess soil quality and biodiversity: a new approach in Italy.
Agr. Ecosyst. & Ecol, 105: 323-333.
226
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Influenza Della Frigoconservazione Sul Contenuto Di
Antiossidanti Nel Capolino Di Carciofo
(Cynara Cardunculus L Subsp. Scolymus (L) Hegi)
Maria Grazia Melilli, Salvatore Antonino Raccuia
CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Il carciofo (Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hegi), è un ortaggio dalle ben note
caratteristiche nutrizionali legate al contenuto proteine, inulina, polifenoli e flavonoidi (Melilli et
al., 2004a,b, Melilli et al., 2007). La parte edule del capolino è costituita dal ricettacolo fiorale e
dalle brattee più interne (cuore), ricco sostanze fenoliche (Raccuia e Melilli, 2007) che influenzano
la qualità nutrizionale, il colore e il sapore dei cibi di origine vegetale durante i processi di
conservazione e trasformazione industriale dei prodotti ortofrutticoli (Aydemir, 2004). Tra i
metodi di conservazione dei prodotti ortofrutticoli freschi, la conservazione con il freddo è da
sempre considerata una tecnica priva di rischi per il cibo, la caratteristica peculiare del freddo è
infatti quella di rallentare l'attività enzimatica e biochimica (respirazione, maturazione, ecc.) e
quindi un rallentamento dei processi degenerativi. In questa nota si riportano i risultati relativi alla
variazione del contenuto in acidi fenolici totali in relazione a differenti temperature di
frigoconservazione dei capolini di carciofo
Metodologia
La prova è stata effettuata utilizzando la cultivar di carciofo “Violetto di Sicilia”. I capolini sono
stati raccolti allo stadio “D” di sviluppo e selezionati, per avere un prodotto di pezzatura uniforme. In
laboratorio sono stati suddivisi in 3 frazioni; la prima è stata sottoposta ad analisi, mentre le altre due,
dopo immersione in acqua al 2% di acido ascorbico a temperatura ambiente per 30 minuti, sono stati
riposti all’interno di sacchetti di polietilene trasparenti forati per essere conservati una frazione in cella
frigorifera a temperatura di 4 ±1°C e l’altra frazione a 8 ±1°C. Per ogni temperatura allo studio, a
cadenza settimanale, su 3 repliche, ognuna costituita da 5 capolini, è stato determinato sul cuore e sulle
brattee esterne, il contenuto di polifenoli totali per via spettrofotometrica, col metodo Folin-Ciocalteu
(Macsimov et al., 2005). La lettura è stata effettuata alla lunghezza d'onda di 730 nm e il contenuto è
espresso in mgGAE kg-1 p.f.. Tutti i dati sono stati sottoposti all'analisi della varianza previa misura
dell’omogeneità della varianza mediante il test di Bartlett. In caso di ‘F’ significativo, le medie sono
state confrontate con il metodo della Differenza Minima Significativa (DMS) o con il test di Student
Nuwman Keuls (SNK). I valori percentuali sono stati preventivamente trasformati in arcsen %
(Snedecor e Cochran, 1989).
Risultati
Nella media delle due temperature e dei giorni di conservazione il contenuto in acidi fenolici totali
è risultato pari a 573 mgGAE kg-1 p.f. nel cuore e 1,020 mgGAE kg-1 p.f. nelle brattee esterne. Alla
raccolta il contenuto in acidi fenolici totali era pari a 851 mgGAE kg-1 p.f. (cuore) e 1307 mgGAE kg-1
p.f. (brattee). L’effetto della temperatura sui capolini conservati è stato marcata a partire dalla
seconda settimana di conservazione. Nel cuore infatti, dopo una settimana di conservazione, sia a
4°C che a 8°C è stato registrato un calo percentuale del 56 (4°C) e 73 % (8°C) rispetto al campione
non conservato. Alla temperatura di 4°C dopo due settimane di conservazione è stato osservato un
picco di 1,153 mgGAE kg-1 p.f., mente a 8°C è proseguito un trend di degradazione per tutto il
periodo della prova (Fig. 1).
Stesso trend è stato registrato per il contenuto in acidi fenolici delle brattee. Alla temperatura di
4°C dopo un primo calo del 9% rispetto al campione non conservato, picchi di 1,191 e 1,621
mgGAE kg-1 p.f sono stati registrati la seconda e la terza settimana di conservazione. Un decremento
pari a circa il 30% rispetto al campione non conservato è stato registrato dopo 4 settimane di
227
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
frigoconservazione. Alla temperatura di 8°C già
dopo una settimana di conservazione il contenuto
in acidi fenolici, pari a 678 mgGAE kg-1 p.f,
risultava dimezzato rispetto al campione non
conservato, per abbassarsi a 457 mgGAE kg-1 p.f
(media dei valori registrati la seconda e terza
settimana di conservazione). L’ultima settimana
il contenuto in acidi fenolici delle brattee era pai
a 737 mgGAE kg-1 p.f. (Fig. 1). La variazione
percentuale rispetto al campione non conservato
in acidi fenolici totali è risultata nella media di
tutti i campionamenti più marcata alla
temperatura di 8°C rispetto a 4°C sia per quanto
riguarda la componente cuore che per le brattee
(Fig. 2).
Conclusioni
Le differenze registrate tra le due temperature di
conservazione hanno fornito risultati utili ai fini
dello studio della componente antiossidante
presente nel capolino di carciofo sottoposto a
frigoconservazione e costituiscono una base
concreta per avviare ulteriori sperimentazioni sui
meccanismi biochimici che si verificano durante
la conservazione alle basse temperature. Inoltre,
le brattee esterne, che costituiscono lo scarto di
lavorazione industriale, e che rappresentano circa
il 70% in peso del capolino intero, presentano un
elevato contenuto di sostanze antiossidanti che
potrebbero essere estratte dopo la lavorazione dei
capolini per l’ottenimento dei cuori.
Figura 1. Andamento del contenuto in acidi fenolici
Bibliografia
Aydemir T. 2004. Partial purification and characterization
of polyphenol oxidase from artichoke (Cynara scolymus
L.) heads. Food Chemistry, 87: 59-67.
Macsimovic Z et al. 2005. Polyphenols content and
antioxidant activity of Mayd stigma extracts. Bioresource
Technology, 95: 873-877.
Figura 2. Variazione percentuale del contenuto in
Melilli MG. et al. 2004a Effect of cold storage on colour
acidi fenolici totali rispetto al campione fresco
changes in globe artichoke (Cynara cardunculus L. var.
durante tutto il periodo di conservazione nella
scolymus (L.) Hegi) head tissues. Acta Hort., 660: 557-561.
media delle due temperature studiate (A) e nella
Melilli MG. et al. 2004b Genetic and environmental
media dei giorni di conservazione (B) Lettere
influence on some carbohydrates content in globe
differenti nell’ambito della stessa componente del
artichoke (Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.)
capolino indicano differenze minime significative
Hegi) heads. Acta Hort., 660: 123-129.
a P< 0,05.
Melilli MG et al. 2007. Screening of genetic variability
for some phenolic constituents of globe artichoke head.
Acta Horticulturae, 730: 85-91
Raccuia SA, Melilli MG 2007. Effect of storage temperature and genotype on quality of globe artichoke (Cynara
cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hegi) Head. Acta Horticulturae 730: 449-454
Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press Publishing: New York.
228
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Produttività dell’Acqua e Ky (Yield Response Factor) nel
Pomodoro da Industria Coltivato in Ambiente Caldo-Arido
Cristina Patanè, Salvatore La Rosa, Simona Tringali
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Nelle zone con scarsa disponibilità di acqua per l’irrigazione, come quelle del Meridione d’Italia, la
massimizzazione della produttività dell’acqua risulta più conveniente della massimizzazione della resa
di una coltura (Pereira et al., 2002). In queste zone, strategie irrigue come la ‘deficit irrigation’, che
consentano un risparmio idrico mantenendo livelli produttivi soddisfacenti, possono contribuire al
miglioramento della efficienza d’uso dell’acqua (Topcu et al., 2007). Gli effetti di tali strategie sono
tuttavia specifici per coltura (Pereira et al., 2002). E’ possibile prevedere la produttività di una coltura in
risposta al suo uso dell’acqua, attraverso il calcolo del Ky (yield response factor) (Doorenbos e Kassam,
1979), fattore che correla la perdita di produttività di una coltura alla relativa riduzione
evapotraspirativa (Lovelli et al., 2007). La presente ricerca ha avuto come obiettivo lo studio della
risposta produttiva all’irrigazione deficitaria in due cultivar di pomodoro da industria in Sicilia.
Metodologia
La ricerca è stata condotta nell’anno 2003 in una località della collina interna siciliana (550 m s.l.m., Lat
37°27’ N, Long 14°14’ E), su due cultivar di pomodoro da industria: Solerosso e Season. Le piantine
sono state trapiantate in pieno campo il 2 Maggio, in un disegno sperimentale a split-plot con tre
repliche, adottando una parcella elementare di 24 m2 ed un investimento unitario di 2,5 piante m-2. Le
due cultivar sono state sottoposte a 4 diversi regimi irrigui (V100, V50, V25 e V0), che prevedevano la
restituzione rispettivamente del 100, 50, 25 e 0% della evapotraspirazione massima (ETm),
quest’ultima calcolata considerando l’evaporato da vasca evaporimetrica di classe ‘A’ e i kc
(coefficienti colturali). L’irrigazione è stata effettuata mediante un sistema a microportata di erogazione
con manichetta forata. E’ stato erogato un volume complessivo di acqua pari a 3696, 2052, 1231 e 408
m3ha-1, nell’ordine in V100, V50, V25 e V0. Per ciascun trattamento irriguo, è stata stimata la
evapotraspirazione (ET) attraverso il bilancio idrico nel periodo compreso tra il trapianto e la raccolta
(Lovelli et al., 2007). Il contenuto idrico del terreno al trapianto ed alla raccolta è stato misurato per via
gravimetrica prelevando campioni di terreno a diverse profondità (da 0 a 0,80 m ogni 0,2 m), poi
essiccati in stufa termoventilata a 105°C sino a peso costante. Alla raccolta, eseguita ad Agosto, è stata
determinata la produzione totale di bacche. Per ciascun regime irriguo e cultivar, è stata calcolata la
produttività dell’acqua o water use efficiency (WUE, kg m-3), come rapporto tra resa effettiva (kg ha-1) e
acqua totale utilizzata (m3 ha-1). E’ stato infine calcolato il valore del Ky (yield response factor)
attraverso la seguente formula (Istanbulluoglu, 2009):
⎡ ⎛ ETa ⎞⎤
⎛ Ya ⎞
1− ⎜
⎟ = Ky ⎢1 − ⎜
⎟⎥
⎝ Ym ⎠
⎣ ⎝ ETm ⎠⎦
dove Ym (kg ha-1) e Ya (kg ha-1) sono rispettivamente la resa massima e la resa effettiva, ETm (m3 ha-1)
e ETa (m3 ha-1) sono rispettivamente la ET massima e la ET effettiva, Ky è il fattore di risposta della
resa, che esprime la riduzione di resa per unità di riduzione di ET (Singh et al., 2010).
Risultati
La produzione totale di bacche si è progressivamente ridotta al diminuire della quantità di acqua
somministrata per ciascun intervento irriguo. La contrazione produttiva è apparsa più marcata nella cv.
Solerosso, la cui resa, rispetto alle condizioni di pieno soddisfacimento idrico (V100), si è ridotta di
quasi il 40% nella tesi V50 e si è più che dimezzata nella tesi V25 (Tab. 1). Per contro, in V50, la cv.
229
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Conclusioni
1-ETa/ETm
La presente ricerca dimostra come, in
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
0.0
ambiente caldo-arido, sia valida
0.0
l’adozione di strategie di irrigazione
deficitaria nel pomodoro da industria.
0.2
Nelle
condizioni
di
limitata
disponibilità idrica, il deficit di resa è
0.4
infatti meno che proporzionale al
relativo
deficit
evapotraspirativo.
Tuttavia, la scelta varietale assume un
0.6
ruolo di primaria importanza nel
conseguimento di produzioni valide in
0.8
regime di deficit irrigation. A tal
Season
ky= 0.309
proposito, il Ky può rappresentare uno
Solerosso ky= 0.728
strumento di valutazione della
1.0
sensibilità della cultivar al deficit
irriguo e, pertanto dell’adattabilità della
Figura 1. Decremento relativo di resa vs. decremento
relativo di ET nelle due cultivar di pomodoro allo
stessa ad un regime di irrigazione
studio.
deficitaria. Esso risulta, inoltre, un
indice utile nella programmazione
irrigua che mira ad un efficiente utilizzo dell’acqua di irrigazione.
1-Ya/Ym
Season, a fronte di un Tab. 1. Effetto del regime irriguo sulla resa, sul consumo idrico e sulla WUE.
risparmio idrico di oltre il
Riduzione WUE
Cultivar
Tesi
Resa Riduzione ET
40% rispetto a V100, ha
-1
3 -1
)
di
resa
(%)
(m
ha
)
di ET (%) (kg m-3)
irrigua
(t
ha
subito una contrazione
Season
V100
69.3
0
3943
0
17.6
produttiva
del 7%,
67.6
6.8
2300
41.7
29.4
V50
dimostrando una ottima
52.6
24.1
1480
62.5
35.5
V25
adattabilità
alla
48.2
30.4
658
83.3
73.3
V0
irrigazione deficitaria. La
stessa, nel testimone non
Solerosso V100
59.0
0
3943
0
15.0
irrigato (V0) ha prodotto
35.7
39.5
2300
41.7
15.5
V50
-1
oltre 48 t ha , cioè il 30%
26.9
54.4
1480
62.5
18.2
V25
meno rispetto a V100.
25.6
56.6
658
83.3
38.9
V0
La produttività dell’acqua
ha subito un progressivo aumento al diminuire della quantità di acqua somministrata, risultando più
elevata nella tesi asciutta (V0). Le variazioni di WUE in rapporto ai regimi di irrigazione deficitaria
sono apparse più evidenti nella cv. Season, la cui WUE già nella tesi V50 si è incrementata di oltre il
60% rispetto a V100.
Il valore di Ky calcolato per Solerosso (0,728), più alto rispetto a quello corrisposto a Season (0,309),
dimostra la maggiore sensibilità della prima cultivar al deficit idrico (Fig.1). In entrambe le cultivar,
tuttavia, il decremento produttivo è risultato meno che proporzionale al decremento della ET applicata
(Ky <1).
Bibliografia
Doorenbos J. e Kassam A.H. 1979. Yiel response to water. FAO Irrigation and Drainage paper n. 33.
Istanbulluoglu A. 2009. Effects of irrigation regimes on yield and water productivity of safflower (Carthamus tinctorius L.)
under Mediterranean climatic conditions. Agric. Water Manage, 96:1792-1798.
Lovelli S. et al. 2007. Yield response factor to water (ky) and water use efficiency of Carthamus tinctorius L. nd Solanum
melongena L. Agric. Water Manage, 92:73-80.
Pereira L.S. et al. 2002. Irrigation management under water scarcity. Agric. Water Manage, 57:175-206.
Singh Y. et al. 2010. Deficit irrigation and nitrogen effects on seed cotton yield, water productivity and yield response
factor in shallow soils of semi-arid environment. Agric. Water Manage, 97:965-970.
Topcu, S. et al. 2007. Yield response and N-fertilization recovery of tomato grown under deficit irrigation. Eur. J. Agron.,
26, 64-70.
230
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Screening di Genotipi di Sorgo Da Biomassa [Sorghum
bicolor (L.) Moench] per Requisiti Termici in Fase di
Germinazione
Cristina Patanè1, Alessandro Saita2
1
CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Sede di Catania, IT, [email protected]
2
DACPA, Sezione Scienze Agronomiche, Università degli Studi di Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Nell’ambito del progetto ‘Filiere agroenergetiche nel Sud Italia’ (FAESI) del MIPAF, è stata effettuata
una ricerca in laboratorio avente come obiettivo lo studio degli effetti di temperature subottimali sul
processo germinativo dei semi di cultivar di sorgo zuccherino, da fibra e da granella, al fine di effettuare
uno screening per la selezione di linee adatte alle semine anticipate nelle aree del Sud Italia, e definire il
limite per l'anticipo della semina attraverso l’individuazione della soglia termica minima per la
germinazione.
Metodologia
I test di germinabilità sono stati condotti sul seme di 13 cultivar di sorgo da biomassa [Sorghum bicolor
(L.) Moench], tra tipi da fibra, da granella e zuccherini. Sono state studiate sette diverse temperature di
germinazione: 8, 10, 15, 20, 25 (testimone), 30 e 35°C. I test sono stati condotti in germinatoio
termostaticamente controllato (±1°C). Campioni di 200 semi (4 repliche di 50 semi ciascuna) sono stati
posti in capsule Petri contenenti un singolo foglio di carta bibula, inumidita con 7 ml di acqua distillata.
Le capsule Petri sono state quindi chiuse ermeticamente con parafilm per prevenire le perdite di acqua
per evaporazione, randomizzate all’interno del germinatoio e mantenute al buio. La germinazione dei
semi è stata registrata giornalmente sui semi la cui radichetta raggiungeva almeno 2 mm di lunghezza,
sino a quando non veniva osservata alcuna ulteriore emissione di radichette. A conclusione del test,
sono stati calcolati la germinabilità finale (%) ed il t50, cioè il tempo reale per il raggiungimento del 50%
di semi germinati (ore). I dati della germinabilità finale, previa trasformazione in valori angolari, sono
stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) a una via, all’interno di ciascuna temperatura di
germinazione. Per la stima della temperatura base (Tb), cioè la soglia minima termica per la
germinazione del seme di ciascuna cultivar, è stata utilizzata una regressione lineare dei valori
dell'inverso del t50 (1/t50 o GR50) vs. temperatura di germinazione. L'intercetta sull'asse delle ascisse
rappresenta la temperatura base, cioè la temperatura in corrispondenza della quale la germinabilità del
lotto di semi si riduce al 50% (Foti et al., 2002). Per ciascuna cultivar è stata infine calcolata la somma
termica (θT) necessaria per il raggiungimento del 50% di semi germinati.
Risultati
E’ stata accertata una variabilità genetica nella risposta germinativa del sorgo, più marcata alle
temperature più basse (8 e 10°C) (Tab. 1). A 25°C (temperatura ottimale di germinazione) la
germinabilità è risultata ≥ 96% (ad esclusione della cultivar da granella ‘CC 270’), riducendosi
progressivamente all’abbassarsi della temperatura. A 15°C tutti i genotipi sono germinati per oltre il
90% (anche in questo caso ad eccezione di ‘CC 270’), e in particolare le cv. ‘Makueni Loca’ (da
granella) ed il testimone ‘Keller’ hanno raggiunto la piena germinazione dei semi (100%). A 10°C,
nove cultivar su 13 hanno fornito valori di germinabilità >70% e, di queste, quattro (‘IS 21055’, da
fibra, ‘Makueni Loca’, da granella, il testimone ‘Keller’ e ABZ 5 a seme scuro, zuccherine) sono
germinate per oltre il 90%. A 8°C la variabilità nella risposta germinativa è apparsa più ampia, a causa
della drastica riduzione della capacità germinativa (a meno del 50%) di alcune cultivar (‘ABF 14’, ‘CC
101’, ‘ABZ 5’ a seme bianco, ‘M81E’, ‘CC 270’) risultate pertanto poco tolleranti allo stress termico da
basse temperature in fase di germinazione e, quindi, meno adatte alle semine molto anticipate. Tra
queste, particolarmente sensibile alle basse temperature è apparsa la cv. ‘CC 101’ da fibra, la cui
231
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
germinabilità, piena o pressoché tale a temperature ≥15°C, si è marcatamente ridotta a 15% a 8°C. La
stessa, per contro, ha mostrato una notevole tolleranza alle temperature sopraottimali, fornendo valori di
germinabilità alquanto elevati (99-100%) a 30 e 35°C. Ugualmente tolleranti alle alte temperature sono
apparse ‘IS 21055’, ‘ABZ 5’ (sia a seme bianco che a seme rosso), ‘M81 E’, ‘ABF 26’, pertanto adatte
alle semine ritardate (coltura in secondo raccolto). E’ da evidenziare, tuttavia, come a 30°C, la
germinabilità media sia risultata lievemente più alta rispetto a quella accertata a 25°C, e il
corrispondente basso valore del coefficiente di variabilità (CV, 5,3%), dimostra come la temperatura
ottimale del sorgo sia più alta rispetto a quanto riportato in letteratura (25°C, ISTA, 1996). La
temperatura base (Tb) per la germinazione è risultata compresa tra 7,37 (‘Keller’) e 11.58°C (‘CC 270’).
Una soglia termica minima ridotta (≤8°C) è corrisposta anche alle cv. ‘Makueni Loca’, ‘M81E’e ‘ABZ
5’ a seme scuro. Le somme termiche necessarie per raggiungere il 50% di semi germinati sono risultate
comprese tra 23,4 (‘ABZ 5 chiaro’) e 31,6 (‘CC 270) °Cd.
Tabella 1. Germinabilità finale, soglia termica minima di germinazione (Tb) e somma termica (θT(50)) in cultivar diverse di
sorgo da biomassa. Lettere diverse per i valori di germinabilità, all’interno di ciascuna colonna, indicano
differenze significative per p≤ 0,05 (test S.N.K.).
Cultivar
IS 21055
ABF 14
ABF 306
CC 101
ABZ 5 (chiaro)
ABZ 5 (scuro)
M81E
Makueni Loca
90-5-2 (chiaro)
90-5-2 (scuro)
ABF 26
CC 270
Keller
Tipo
F
F
F
F
Z
Z
Z
G
Z
Z
F
G
Z
Germinabilità (%)
8°C
10°C
58.3cd
92.0bc
33.3de
58.7ef
cd
61.7
72.0def
ef
15.0
51.7f
cd
45.4
81.8ce
c
70.7
90.3cd
cd
48.3
73.3df
ab
90.0
100a
bc
76.7
86.7cd
cd
60.0
73.3def
cd
56.7
64.0ef
f
10.0
28.4g
a
95.0
98.3ab
Media
53.2
74.7
26.5
20.4
σ
CV(%)
49.8
27.3
F= da fibra; Z= zuccherino; G= da granella
15°C
95.0a
91.7a
98.3a
98.3a
95.0a
98.3a
98.3a
100a
98.3a
91.7a
96.7a
69.9b
100a
20°C
95.2ab
90.0b
100a
100a
92.9ab
100a
98.5ab
100a
100a
93.9ab
96.3ab
70.7c
98.4ab
25°C
100a
96.0a
98.7a
98.3a
100a
98.3a
100a
100a
100a
96.7a
97.3a
63.3b
98.3a
30°C
97.1ab
87.1bc
100a
100a
100a
97.2ab
98.6a
96.8ab
98.3a
95.2ab
98.3a
74.2c
100a
35°C
97.3a
76.0b
92.0a
98.7a
100a
97.3a
100a
94.7a
95.0a
93.3a
98.7a
69.3b
96.7a
94.7
8.0
8.4
95.1
8.0
8.4
95.9
9.9
10.3
96.4
5.1
5.3
93.0
9.5
10.2
Tb
(°C)
8.77
9.90
8.49
9.33
9.55
7.51
8.02
7.49
8.47
8.43
8.72
11.58
7.37
θT(50)
(°Cd±es)
29.8±4.06
25.5±8.66
31.2±3.91
24.8±5.57
23.4±7.86
26.4±2.54
29.2±5.56
27.5±2.66
30.9±3.58
29.7±5.38
30.0±3.88
31.6±6.57
30.9±3.47
Conclusioni
Le differenze genetiche emerse nella risposta germinativa alle basse temperature sono utili nella
costituzione di genotipi di sorgo da biomassa adatti alle semine anticipate in ambiente mediterraneo. In
particolare, criteri di selezione risultano una bassa temperatura base ed una somma termica ridotta
(come osservato nelle cultivar ‘ABZ 5’ a seme scuro e ‘Makueni Loca’), che quando associate, in
condizioni termiche subottimali garantiscono la piena e rapida germinazione. Si rendono tuttavia
necessarie prove di pieno campo per validare i risultati di laboratorio e verificare se, oltre alla
temperatura, altri fattori strettamente connessi alle caratteristiche del terreno, possono interferire con il
normale svolgimento del processo germinativo in condizioni termiche subottimali.
Bibliografia
Foti S. et al. 2002. Effect of osmoconditioning upon seed germination of sorghum (Sorghum bicolor (L.) Moench) under
low temperatures. Seed Sci. Technol., 30: 521-533.
ISTA, 1996. International rules for seed testing. Seed Sci. Technol. supplem. n.24.
232
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Variabilità Funzionale di Isolati Fungini Micorrizici
Arbuscolari Esotici e Nativi Inoculati in Campo su
Medicago sativa
Elisa Pellegrino1,2, Enrico Bonari1, Manuela Giovannetti2
1
Land Lab, Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, IT. [email protected]; [email protected]
2
Dip. di Biologia delle Piante Agrarie, Univ. Pisa, IT. [email protected]
Introduzione
I funghi micorrizici arbuscolari (MA) sono un elemento fondamentale per la fertilità del suolo di
ecosistemi naturali e agricoli. Essi colonizzano la maggior parte delle specie vegetali e incrementano la
crescita delle piante e l’assorbimento dei nutrienti mediante il micelio extraradicale (ERM) che si
sviluppa dalle radici micorrizate nel suolo circostante. Un’elevata variabilità funzionale è stata riportata
tra isolati fungini MA diversi, anche tra quelli appartenenti alla stessa specie (Munkvold et al., 2004),
per cui la ‘performance’ di una singola specie vegetale ospite dipende dall’isolato MA associato e la
performance di un singolo isolato dalla specie ospite associata. Diversi studi, eseguiti in serra, hanno
mostrato i precedenti effetti, ma pochi sono quelli realizzati in campo. Per la maggior parte tali studi
hanno utilizzato inoculi singoli esotici, raramente isolati nativi, o misture di esotici e nativi (Lekberg e
Koide, 2005). Recentemente misture di più isolati sono state testate in serra, ed effetti positivi sono stati
osservati sulla produzione vegetale. Ad oggi, un aspetto ancora da studiare è quindi quello della reale
efficienza di inoculi MA misti in campo, rispetto all’efficienza di isolati singoli altamente efficienti, e
soprattutto l’aspetto riguardante la valutazione di misture sia esotiche sia native. In questo studio è stata
valutata l’efficienza di isolati MA singoli esotici, di un inoculo misto composto dagli isolati esotici, e di
un inoculo nativo composto da una popolazione MA nativa, su Medicago sativa inoculata in campo, per
un periodo di 2 anni. Gli isolati AM esotici erano stati in precedenza testati su medica in serra da Avio
et al. (2006), ed erano risultati altamente efficienti e diversi dal punto di vista funzionale.
Metodologia
Materiale fungino e vegetale. Il materiale saggiato è stato: isolati singoli MA esotici (Glomus
intraradices IMA5 e IMA6, Glomus mosseae AZ225C e IMA1), un mix dei precedenti isolati esotici
(EMix) e un mix di funghi MA indigeni (provenienti dallo stesso sito sperimentale, NMix). La specie
vegetale usata come ospite è stata Medicago sativa cv. Messe. Descrizione del sito e dispositivo
sperimentale. L’esperimento è stato svolto presso il Dipartimento di Agronomia e Gestione
dell’Agroecosistema, Università di Pisa, su parcelle di 15m2. Il suolo era franco-sabbioso. E’ stata
impiegata una dose di inoculo di 0.7 kg/m2. La semina è stata eseguita distribuendo una dose di seme di
5g m-2. Il disegno sperimentale è stato completamente randomizzato, 3 le repliche per trattamento e 4 i
tagli (2 al primo e 2 al secondo anno di crescita). Sono stati saggiati 7 trattamenti (AZ225C, IMA1,
IMA5, IMA6, EMix, NMix e controllo). Misure fungine e vegetali. A ciascun taglio il peso secco e
l’assorbimento di N e P sono stati misurati. Inoltre, la percentuale di colonizzazione radicale micorrizica
è stata osservata mediante il metodo “clearing and staining”, con acido lattico al posto del fenolo e
misurata usando il metodo ‘grid line intersect’. La variazione di colonizzazione, crescita vegetale e
assorbimento di N e P rispetto alle piante di controllo è stata calcolata per ciascun trattamento fungino
MA come ((valore nel trattamento studiato – valore nelle piante di controllo)/valore nelle piante di
controllo) x 100. Analisi statistiche. I dati sono stati comparati usando un’ANOVA ad una via
(trattamento fungino come fattore), che è stata fatta in accordo con il disegno completamente
randomizzato. I dati sono stati comparati usando i contrasti ortogonali.
Risultati
Misure fungine e vegetali. Durante il primo e il secondo anno di crescita, la colonizzazione micorrizica
233
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
delle piante di controllo (C) è risultata diversa in modo statisticamente significativo rispetto alla
colonizzazione dei trattamenti inoculati (M) (C vs M, P<0.001), che presentavano un incremento della
colonizzazione nel primo anno variabile tra il 74% e il 138% (in IMA5 e NMix, rispettivamente) e nel
secondo tra 36% e il 61% (in IMA5 e NMix e EMix, rispettivamente). La produzione di biomassa e gli
assorbimenti in N e P delle piante trattate con funghi MA sono risultati maggiori rispetto alle piante di
controllo ad ogni taglio (C vs M, P≤0.009), ad eccezione per la concentrazione di N al primo taglio del
primo anno (P=0.06). L’incremento di biomassa totale è stato tra il 49% e il 157% (in IMA6 e EMix,
rispettivamente) e tra il 20% e il 153% (in IMA1 e EMix, rispettivamente) al primo e secondo taglio del
primo anno di crescita, e tra il 23% e il 50% (in NMix e IMA6, rispettivamente) e tra il 38% e il 113%
(in IMA1 e EMix, rispettivamente) al primo e secondo taglio del secondo anno. Nello specifico per
NMix si sono registrati incrementi di biomassa del 127%, 78%, 23% e 61%, nei quattro diversi tagli.
Inoltre, nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata tra i diversi trattamenti MA per
quanto riguarda la biomassa, ad eccezione del secondo taglio del primo anno di crescita, durante il quale
una maggiore variabilità funzionale è stata registrata: differenze statisticamente significative tra inoculi
misti e singoli (P=0.001), tra EMix e NMix (P=0.012) e tra IMA1 e AZ225C (P=0.015). In tale taglio,
è stato evidenziato un incremento di biomassa maggiore negli inoculi misti, e tra i misti nell’EMix, ed
inoltre una maggiore capacità di incrementare la biomassa totale da parte di AZ225C. Per ciò che
riguarda la produzione di biomassa fogliare, una maggiore variabilità funzionale tra i diversi trattamenti
è stata osservata: al primo taglio del primo anno, Misti vs Singoli (P=0.012); al secondo taglio del
primo anno Misti vs Singoli (P≤0.001), EMix vs NMix (P=0.006) e IMA1 vs AZ225C (P=0.002), e al
primo taglio del secondo anno IMA5 vs IMA6 (P=0.036). Oltre al ben conosciuto incremento in P
totale (tra un minimo dell’ 80% e un massimo del 285% nel secondo taglio del primo anno e del
secondo anno, rispettivamente in IMA1 e EMix), un interessante incremento del contenuto di N totale
delle piante è stato registrato. Tale incremento variava tra il 179% e il 407% (in IMA1 e EMix,
rispettivamente) e tra il 159% e il 397% (in IMA1 e EMix, rispettivamente) al primo e secondo taglio
del primo anno di crescita, e tra il 47% e il 112% (in NMix e IMA6, rispettivamente) e tra il 76% e il
193% (in IMA1 e AZ225C, rispettivamente) al primo e secondo taglio del secondo anno. Nello
specifico per NMix si sono registrati incrementi di contenuto totale di N del 360%, 268%, 47% e 124%,
nei quattro diversi tagli. Per ciò che riguarda l’N e il P totale, differenze statisticamente significative
sono state osservate, e cioè: al primo taglio del primo anno Misti vs Singoli (P≤0.03); al secondo taglio
del primo anno Misti vs Singoli (P=0.001), EMix vs NMix (P≤0.010), IMA1 vs AZ225C (P=0.006), e
al secondo taglio del secondo anno IMA1 vs AZ225 (P≤0.001). Nessuna differenza statisticamente
significativa invece è stata registrata tra i diversi trattamenti fungini MA nella concentrazione di N e P
della biomassa vegetale.
Conclusioni
Questo lavoro conferma l’elevato effetto della micorrizazione in campo su medica, e mette in luce, oltre
all’aumentato assorbimento in P, un significativo effetto della micorrizzazione anche sull’N. Inoltre,
l’inoculo nativo misto è risultato comparabile sia a isolati esotici singoli altamente efficienti sia alla
mistura di questi.
Bibliografia
Avio L. et al. 2006. Functional diversity of arbuscular mycorrhizal fungal isolates in relation to extraradical mycelial
networks. New Phytol, 172: 347-357.
Lekberg Y. e Koide RT. 2005. Role of niche restrictions and dispersal in the composition of arbuscular mycorrhizal fungal
communities. J. Ecol, 95, 95-105.
Munkvold L. et al. 2004. High functional diversity within species of arbuscular mycorrhizal fungi. New Phytol, 164: 357364.
Smith SE. e Read DJ. 2008. Mycorrhizal Symbiosis. Academic Press, Cambridge, UK.
234
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Agricoltura e Land Degradation: Luci ed Ombre
Luigi Perini1, Maria Elisa Venezian Scarascia2, Luca Salvati3
1
CRA-CMA, Roma, IT, [email protected]
ITAL-ICID, Roma, IT, [email protected]
3
Dipartimento di Studi GeoEconomici, Università ‘La Sapienza’, Roma, IT, [email protected]
2
Introduzione
I processi di land degradation, siccità e desertificazione (LDD&D), o più sinteticamente di
“desertificazione”, sono fenomeni gravi e preoccupanti che comportano una progressiva e talvolta
irreversibile perdita di fertilità dei suoli. A partire dagli anni ’70, il dibattito scientifico ha gradualmente
riconosciuto che i processi di LDD&D hanno cause non solo di origine naturale ma anche precise
responsabilità umane. La United Nations Convention to Combat Drought and Desertification
(UNCCD), infatti, definisce attualmente la desertificazione come “degrado delle terre nelle aree aride,
semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche e le
attività antropiche”. Da ciò consegue anche un’implicazione di carattere socio-economico di riduzione
della redditività delle terre (Ceccarelli et al. 2006). Condizioni acclarate di LDD&D si riscontrano
principalmente nelle zone aride e semi-aride del globo, mentre in altri contesti, come ad esempio anche
in Italia, è più comune rilevare disequilibri a carico degli agro-ecosistemi, ovvero una sorta di
vulnerabilità o di rischio potenziale rispetto al fenomeno (Conacher, 2000). Le possibili conseguenze,
quantificate in termini di erosione, riduzione della capacità di ritenzione idrica, salinizzazione,
decremento del contenuto di sostanza organica, riduzione della fertilità, etc., vanno attentamente
ponderate per i risvolti ambientali e socio-economici che inevitabilmente comportano. Allo stato
attuale, le procedure più comunemente adottate sono in genere riferite a scale territoriali più o meno
ampie (nazionale o regionale) e poggiano su metodologie di valutazione che, attraverso un insieme di
indicatori elementari, prendono in considerazione il ruolo svolto da fattori di natura bio-geo-fisica e
fattori connessi all’antropizzazione e alla gestione/sfruttamento del territorio (Perini el al., 2004).
Metodologia
La metodologia MEDALUS/ESA, utilizzata in questo lavoro per una valutazione a scala nazionale e
contestualizzata all’anno 2000, rappresenta uno standard di riferimento internazionale che definisce la
sensibilità alla desertificazione attraverso un indice sintetico qualitativo (Environmental Sensitive Area
Index - ESAI) ottenuto dalla combinazione di quattro indici di qualità relativi al suolo (Soil Quality
Index - SQI), al clima (Climate Quality Index - CQI), alla vegetazione (Vegetation Quality Index VQI) e gestione del territorio (Management Quality Index (MQI), ognuno dei quali è a sua volta
definito da un insieme di variabili (indicatori elementari) che più significativamente contribuiscono a
stimarne il valore (Kosmas et al., 1999. Al fine di integrare le valutazioni ottenute con l’ESAI e stimare
il contributo dei vari sistemi di degrado, tutte le variabili elementari raccolte sono state implementate in
uno schema DPSIR (Determinanti-Pressioni-Stato-Impatti-Risposte) e sottoposte ad analisi delle
componenti principali (PCA) per determinarne il ruolo e l’importanza (Salvati & Zitti, 2009). In virtù
dell’approccio multidisciplinare richiesto, il database delle informazioni elementari è stato desunto da
varie fonti informative (CRA, SIAN, ISTAT, MATTM, Corine Landcover) in funzione
dell’attendibilità dei dati forniti e della rispondenza, in termini spazio-temporali, agli obiettivi del
lavoro, ovvero alla capacità di coniugare una completa ed omogenea copertura nazionale con un idoneo
dettaglio geografico non inferiore, nel caso specifico, a quello comunale. Tutte le informazioni sono
state quindi georeferenziate ed elaborate in ambiente ArcGis.
Risultati
Il territorio italiano, a parte le poche e circoscritte aree di desertificazione conclamata presenti nel
Mezzogiorno e nelle Isole, evidenzia purtroppo una diffusa vulnerabilità ai processi di LDD&D. Ciò
significa che, se anche i fenomeni di degrado non sono concretamente in atto, il territorio presenta
elementi di compromissione tale da risultare esposto al rischio di desertificazione. La classificazione
235
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
ottenuta tramite l’indice ESAI, infatti, definisce critico o molto critico il livello di vulnerabilità del
territorio nazionale per ben oltre il 30% della sua superficie (Tabella 1).
Tabella 1. Classificazione della superficie (Km2) territoriale italiana in relazione alla vulnerabilità ai processi
di LDD&D, ottenuta tramite indice ESAI (anno di riferimento 2000).
Zona
Nord
Non
soggetta
Potenziale
Fragile
Critica
Molto critica
Non
valutabile
11,802
22,596
32,798
19,746
1,741
31,255
Centro
3,647
19,641
21,792
15,085
4,546
4,523
Sud
3,081
14,828
14,614
18,471
8,584
3,373
Isole
124
2,611
11,622
14,237
15,686
5,618
Italia
18,654
59,676
80,826
67,539
30,557
44,770
6.2
19.8
26.8
22.4
10.1
14.8
Italia %
Molto evidente appare anche la distribuzione geografica della vulnerabilità che, sempre considerando
congiuntamente le classi “critica” e “molto critica”, interessa il 18% della superficie del Nord, il 28%
del Centro, il 43% del Sud e il 60% delle Isole. Dall’analisi dei dati disaggregati, inoltre, è stato stimato
il peso che i singoli sistemi di degrado hanno nel determinare il grado di vulnerabilità, sia nei diversi
ambiti territoriali, sia in relazione l’uno dell’altro. A scala nazionale, ad esempio, i fattori di impatto del
clima e del cambiamento climatico pesano per il 18.4%, l’urbanizzazione per il 14.4%, l’erosione per il
18.5%, l’inquinamento per il 14%, la salinizzazione per il 14.2% e l’agricoltura per il 20.5%.
Conclusioni
In Italia si rileva una certa vulnerabilità del territorio ai processi di LDD&D che risulta connessa a cause
di diversa natura ma, perlopiù, riconducibili a fattori di pressione antropica. In tal senso, anche
l’agricoltura o, per meglio dire, una non corretta attività agricola, può concorrere alla perdita di
fertilità/produttività dei suoli come, purtroppo, emerge dalle analisi condotte. I risultati del lavoro,
tuttavia, suggeriscono che la stessa agricoltura ha margini di azione molto importanti per contrastare i
fenomeni di degrado, ad esempio attraverso l’adozione di buone pratiche agricole a livello locale e
nell’ambito di politiche generali mirate a favorire la mitigazione e l’adattamento al cambiamento
climatico.
Bibliografia
Ceccarelli T et al. 2006. Vulnerability to desertification in Italy: collection, analysis, comparison, and validation of
procedures for risk mapping and indicators used at national, regional and local scale. National Agency for Environmental
Protection, Rome – Technical Report No. 40
Conacher A.J. (ed.) 2000. Land Degradation. Kluwer Academic Publishers, Dordrecht.
Kosmas C. et al. 1999. The MEDALUS project. Mediterranean desertification and land use. Manual on key indicators of
Desertification and mapping environmental sensitive areas to desertification. EUR 18882, Bruxelles, Belgium.
Perini L. et al. 2008. La desertificazione in Italia. Processi, indicatori, vulnerabilità del territorio. Bonanno Editore, RomaAcireale, 192 pagine + DVD-datawarehouse + 4 mappe poster in allegato. ISBN 88-7796-422-7.
Salvati L. e Zitti M. 2009. Assessing the impact of ecological and economic factors on land degradation vulnerability
through multiway analysis. Ecological Indicators 9: 357-363.
236
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetto dei Trattamenti a Base di Auxine delle Talee ai Fini
della Propagazione Clonale di Jatropha Curcas L.:
Risultati Preliminari
Salvatore Antonino Raccuia, Salvatore Scandurra, Maria Grazia Melilli
CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, IT, [email protected]
Introduzione
Jatropha curcas L. (Euphorbiaceae) è una specie perenne nativa dell’America Centrale,
ampiamente distribuita in Africa, India e Sud Est Asiatico. E’ una pianta resistente alla siccità che
cresce su terreni poveri, e sta suscitando una crescente attenzione nel mondo della ricerca come fonte
alternativa di biodiesel, poiché i semi contengono un elevato contenuto in olio, che può raggiungere
valori attorno al 60% (GEXSI, 2008). Considerate le caratteristiche climatiche peculiari delle regioni
tropicali e subtropicali, la specie ben poco si adatta in ambiente mediterraneo, dove spesso non
raggiunge la fase di fruttificazione e maturazione del seme. Con lo scopo di selezionare dei cloni in
grado di completare il ciclo produttivo in un ambiente, caratterizzato da condizioni climatiche poste
al limite della zona subtropicale, quali quelle che si registrano nell’area meridionale della Sicilia, la
U.O.S. di Catania dell’ISAFOM ha cominciato una raccolta di materiale genetico, reperito in diversi
areali subtropicali, da cui selezionare linee in grado di adattarsi in tali areali.
In questa nota si riportano i risultati preliminari ottenuti moltiplicando la coltura per via clonale
mediante talee trattate con due tipologie differenti di auxine.
Metodologia
Per raggiungere gli obiettivi connessi con l’attività di ricerca, è stata utilizzata la “Linea 6” delle accessioni
poste in collezione presso il campo sperimentale della U.O.S. di Catania dell’ISAFOM-CNR, sito in
Cassibile (SR, 36°58’30’’N; 15°12’15’’E, 50 m s.l.m.), che in prove preliminari di confronto varietale,
partendo da seme, ha completato il ciclo biologico fino alla produzione dei frutti maturi. I singoli rami,
prelevati dalla pianta madre, della lunghezza di circa 60 cm sono stati suddivisi in parte basale, mediana e
apicale ottenendo così delle talee basali (TB), mediane (TM) e apicali (TA) della lunghezza di circa 20 cm,
sane ed uniformi. Un lotto di talee di ogni tipo sono state trattate con 100 mg L-1 di acido indolo-3butirrico (IBA), mentre un altro lotto con 100 mg L-1 di 1-naftalene acetico (NAA) Dopo 24 ore di
pretrattamento con le soluzioni contenenti IBA o NAA, le talee sono state trasferite in vasi del diametro di
12 cm contenente terriccio concimato e trasferite in camera di crescita ad una temperatura di 30°C e UR
del 60% fino a 45 giorni Le talee sono state irrigate quotidianamente con 200 ml di acqua distillata Sulle
talee sono state rilevate la data di emissione della prima foglia, il numero di germogli, il numero di foglie
emesse, il numero di infiorescenze. Dopo 45 giorni è stato rilevato il numero di talee che hanno emesso
radici, espresso in % sul totale. Tutti i dati sono stati sono stati sottoposti all’analisi della varianza
(ANOVA). In presenza di “F” significativo è stato applicato il metodo di separazione delle medie di
Student - Newman – Keuls (Snedecor e Cochran, 1989).
Risultati
Nella media dei due trattamenti ormonali e del tipo di talea utilizzata l’emissione della prima
foglia è avvenuta dopo quasi 18 giorni dall’impianto. Le talee apicali hanno emesso le foglie 9.4
giorni dopo l’impianto, seguite da quelle basali (18.4 giorni dall’impianto) e dalle talee mediane
(25.9 giorni dall’impianto). Nella media del tipo di talea utilizzata nel trattamento con IBA
l’emissione della prima foglia è avvenuta dopo 7.4 giorni dall’impianto, mentre quella con NAA
28.3 giorni dall’impianto. Con riferimento al singolo trattamento ormonale, utilizzando IBA non si
sono riscontrate differenze significative tra le TB e le TM (8.75 giorni dall’impianto). Utilizzando
NAA come ormone radicante, i tempi di emissione della prima foglia risultano raddoppiati
passando da TA (14 giorni dall’impianto) a TB (28 giorni dall’impianto) e triplicati passando da
TA a TM (43 giorni dall’impianto). Tutte le talee trattate con IBA hanno emesso radici, mentre
237
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
differenze significative nella percentuale di radicazione sono state riscontrate tra le diverse
tipologie di talee all’interno del trattamento ormonale con NAA, con una percentuale massima del
50% riscontrata utilizzando TA (Tab. 1)
Tab. 1 Emissione della prima foglia (giorni dall’impianto) e percentuale di talee radicate
Emissione prima foglia
(giorni dall’impianto)
TB
TM TA
Medie
8.8
8.7 4.8
7.4
28.0
43.0 14.0
28.3
18.4
25.9 9.4
17.9
2.2
2.5
Trattamento ormonale
IBA
NAA
Medie
DMS trattamento (P<0.05)
DMS talea (P<0.05)
Talee radicate
(%)
TB
TM TA
Medie
100
100 100
100
25
17
50
30.7
62.5
58.5 75.0
65.3
1.4
1.7
Riguardo il numero di germogli talea-1, nella media delle tipologie di talee utilizzate, nel
trattamento con IBA è stato pari a 3.0, contro 1.0 registrati utilizzando come ormone radicante
NAA. Le TM trattate con IBA hanno mostrato il numero di germogli più elevato (4.1 germogli
talea-1). Il numero di foglie emesse talea-1 è risultato pari nella media dei fattori allo studio a 10.7.
Nella media delle tipologie di talee utilizzate il trattamento con IBA ha fatto registrare 18.3 foglie
talea-1, contro 3.0 foglie talea-1 di NAA. L’effetto dei due ormoni e della tipologia di talea ha
significativamente influenzato questo parametro, in particolare nel trattamento con IBA il maggior
numero di foglie è stato riscontrato in TM (22.5 foglie talea-1) e TB (20.3 foglie talea-1), mentre
nell’ambito del trattamento con NAA il numero maggiore di foglie è stato riscontrato in TA e TB
(4.0 foglie talea-1) Degno di nota è l’emissione di infiorescenze riscontrata in entrambi i trattamenti
ormonali solo nelle TA (Tab. 2).
Tab. 2 Numero di germogli, foglie e infiorescenze in relazione alla tipologia di talea utilizzata e al trattamento
ormonale
Conclusioni
Dai
risultati
ottenuti
è
emerso
che
IBA
tutti i caratteri
NAA
allo
studio
Medie
sono
stati
DMS trattamento (P<0.05)
influenzati sia
DMS talea (P<0.05)
dal trattamento
ormonale che dalla tipologia di talea. In particolare nella media delle tipologie di talee, utilizzando
l’ormone IBA, l’emissione della prima foglia avviene già dopo una settimana dall’impianto, con una
percentuale di radicazione del 100%. Il numero di foglie emesse è dipeso sia dal tipo di talea, che dal
trattamento ormonale e non è risultato correlato con il numero di germogli. Risultati simili sono stati
ottenuti da Sunita et al., 2008 per quanto concerne il trattamento ormonale con IBA, mentre per quanto
concerne l’ormone NAA hanno ottenuto una percentuale di radicazione pari al 79%.
Dai primi risultati si evince che impiegando la linea clonale 6, in selezione presso la U.O.S. di Catania
dell’ISAFOM, il trattamento ormonale con IBA permette di ottenere il 100% di talee radicate. Inoltre
l’impiego di talee apicali può anticipare sensibilmente l’emissione delle infiorescenze con la
conclusione, nell’ambiente meridionale siciliano, delle fasi di allegazione dei fiori, produzione dei frutti
e maturazione dei semi prima del calo delle temperature che si verifica nel tardo autunno.
Germogli
Trattamento ormonale
Foglie
Infiorescenze
n. talea-1
TB TM TA Medie TB TM TA Medie TB TM TA
2.6 4.1 2.2
3.0 20.3 22.5 12.3 18.3
--- 24.2
1.0
1.0 1.0 1.0
4.0 1.0 4.0
3.0
--- 5.0
1.8 2.5 1.6
2.0 12.1 11.7 8.1 10.7
--- 14.6
0.32
1.26
0.47
0.40
1.54
Bibliografia
GEXY, 2008. Global market study on Jatropha – Final report. Berlin. http://tinyurl.com/cnyn44
Snedecor G.W. e Cochran W.G. 1989. Statistical methods. The Iowa State University Press (New York), 503.
Sunita et al. 2008. effect of auxins and associated biochemical changes during clonal propagation of the biofuel
plant-Jatropha curcas. Biom and bioenergy, 32: 1136-1143.
238
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Curve di Risposta alla Luce in Relazione alla Salinità delle
Acque di Irrigazione, all’Età ed alla Temperatura della
Foglia in una Coltura di Melone nell’Oasi di Minqin N-O
della Cina
Ezio Riggi, Giovanni Avola
CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo [email protected]
Introduzione
La crop physiology fornisce strumenti utili alla valutazione della risposta delle colture ad aspetti
ambientali, biologici, genetici ed agronomici ed alle loro interazioni (Potvin et al., 1990; Avola et al.,
2008). Le curve di risposta ai principali fattori ambientali (ed in particolare alla luce) rappresentano uno
degli strumenti messi a disposizione dalla crop physiology per la valutazione dell’efficienza fotosintetica e
con tale fine sono state largamente applicate da biologi ed agronomi. In generale le suddette curve di
risposta presentano andamenti non lineari e numerosi modelli matematici sono stati applicati al fine di
rappresentare ed interpretare aspetti diversi dell’attività fotosintetica in funzione dei fattori sperimentali
(Heschel et al., 2004). Fra i suddetti fattori, la salinità delle acque di irrigazione rappresenta uno degli
elementi condizionanti l’agroecosistema che, in virtù dei suoi risvolti sia sulla produzione agraria attuale
che sulla qualità del suolo (e quindi sulla produzione agraria futura) riceve un’attenzione progressivamente
crescente da parte della comunità scientifica (Munns, 2002). La complessità dei fattori che entrano in
gioco sia nella regolazione dei processi fotosintetici, sia nell’influenza della salinità della soluzione
circolante sulla pianta, richiedono uno sforzo speculativo alla comunità scientifica per l’individuazione
degli opportuni interventi genetici e tecnici finalizzati a contenere gli effetti negativi dei fenomeni sempre
più spesso riscontrati di salinizzazione delle acque ad uso irriguo. Tuttavia, pur a fronte del suddetto
crescente interesse, solo poche ricerche si sono occupate della risposta ecofisiologica di colture, peraltro
assai diffuse come il melone, che si connotano per una moderata tolleranza alla salinità (Shani and Dudley,
2001). Peraltro, ancor più limitate appaiono le ricerche condotte il condizioni di pieno campo e con l’uso
di composizioni saline “realistiche” e non già diversificate meramente in termini di conducibilità elettrica
(Grattan and Grieve, 1999). A questo scopo, nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale
(CNR- Chinese Academy of Science Joint Project), è stata realizzata una ricerca con l’applicazione in
pieno campo di livelli diversi di acque saline durante la quale è stata valutata la risposta ecofisiologica a
livello fogliare valutando, anche, l’influenza di alcuni fattori additivi (età e temperatura della foglia).
Metodologia
La ricerca è stata condotta presso la stazione sperimentale Xuebai a Minqin (CINA, prov. Gansu,
38°05′N, 103°03′E, 1340 m slm), impiegando l’ibrido di melone Huanghemi. Le curve di risposta
alla luce sono state studiate in relazione a due livelli di salinità (0,8 g l-1 e 1,00 dS m-1 – C – e 5 g l-1 con
7,03 dS m-1 – S) dell’irrigazione (simulando qualità di acque di irrigazione già in uso nell’area di studio e
in un area contigua con maggiori problemi di salinità), due livelli di età della foglia (ultima foglia espansa
– Y - e quinta foglia precedente sul medesimo fusto – O) e due livelli di temperatura della foglia durante il
rilievo (25 e 35°C). L’irrigazione salina differenziata ha preso avvio 32 giorni dopo la semina.
L’assimilazione netta (AN) è stata misurata mediante IRGA GFS-3000 (WALZ, Effeltrich, Germany),
programmato per imporre set composti da 8 livelli di intensità luminosa (0, 100, 200, 400, 800, 1200,
1600, 2000 µmol m-2 s-1). Per ciascuno dei livelli di PAR le letture (effettuate in notturna per minimizzare
le influenze ambientali) sono state registrate almeno per 2 minuti, con frequenza di 5 secondi, dopo aver
raggiunto condizioni stazionarie. Per la curva di risposta è stata applicata una funzione esponenziale a 3
parametri descritta come “Mitscherlich function” (Potvin et al., 1990). Tramite detta funzione è stato
possibile calcolare la dark respiration (Rd - µmol CO2 m-2 s-1), il massimo tasso fotosintetico (ANmax - µmol
CO2 m-2 s-1), la massima resa quantica (Qapp), il punto di compensazione della luce (LCP) ed il punto di
239
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
saturazione della luce (LSP), ossia Tabella 1. Risultati dell’ANOVA e valori medi per le interazioni.
il valore di PAR in corrispondenza
Rd *
AN max ** Qapp *** LCP** LSP**
del quale AN = 90%ANmax (Rascher ANOVA
et al., 2000).
Salinità
P
0,456
0,630
0,548
0,494
0,621
Risultati
LSD0.05
L’ANOVA a tre vie calcolata per
P
0,445
0,003
0,098
0,996 0,456
i singoli parametri della curva e Età
LSD0.05
per i coefficienti derivati ha fatto
P
0,951
0,000
0,352
0,762 0,000
rilevare la presenza di effetti Temp.
significativi solo per il parametro
LSD0.05
----ANmax e per il coefficiente
P
0,167
0,043
0,128
0,307 0,001
derivato LSP da parte dei fattori EtàxTemp.
LSD0.05
-4,9
--371
“Età” e “Temperatura” e della
Average -0,56
0,030
17
loro interazione, mentre, per
contro, non sono emersi effetti Valore medio interazioni significative
significativi del fattore salinità
Età
Temp
(Tab. 1). In particolare il valore
25
19,6
1591
minore di ANmax e LSP è stato
Y
registrato per la tesi O35 (6,7
35
13,4
1169
μmol CO2 m-2s-1 e 793 μmol m25
17,3
1971
2 -1
O
s PPFD), che, per ANmax è
35
6,7
793
risultato pari al 50% del valore
-2 -1
registrato nelle foglie più giovani alla medesima temperature (13,4 μmol CO2 m s ). Per gli altri
coefficienti non si sono riscontrate influenze significative dei fattori allo studio e delle loro
interazioni e valori pari a -0,564 μmol CO2 m-2s-1 and 0,030 mol mol-1 rispettivamente per la “dark
respiration” e per l’efficienza quantica sono stati riportati. L’assenza di effetti significativi della
salinità sulla relazione AN : PPFD, contrasta parzialmente con risultati di altri autori (Del Amor et
al., 2000). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la composizione salina delle tesi allo studio viene
modificata con la sola aggiunta di NaCl il che limita l’estrapolabilità dei dati (Grattan and Grieve
1999). Inoltre, in alcuni casi (Kaya et al., 2003), si sono riscontrati effetti positivi in virtù della
presenza di ioni diversi che hanno mitigato gli effetti negativi del NaCl.
Conclusioni
La risposta ecofisiologica all’irrigazione salina va valutata in condizioni di pieno campo
attenzionando le caratteristiche composizionali delle acque, la fenologia della coltura e gli aspetti
pedologici in grado di modificare gli effetti negativi degli ioni presenti nelle acque di irrigazione.
Bibliografia
Avola et. al. 2008. Gas exchange and photosynthetic water use efficiency in response to light, CO2 concentration
and temperature in Vicia faba. J Plant Physiol., 165:796-804.
Del Amor et al., 2000. Gas exchange, water relations, and ion concentrations of salt-stressed tomato and melons
plants. J. Plant Nutr., 23:1315-1325.
Grattan SR. et al. 1999. Salinity-mineral nutrient relations in horticultural crops. Sci. Hortic., 78:127-157.
Heschel MS. et.al. 2004. Natural selection on light response curve parameters in the herbaceous annual, Impatiens
capensis. Oecologia, 139:487–494.
Kaya C. et al. 2003. Ameliorative effects of calcium nitrate on cucumber and melon plants drip irrigated with saline
water. J. Plant. Nutr., 26:1665-1681.
Munns R. 2002. Comparative physiology of salt and water stress. Plant. Plant Cell Environ., 25:239-250.
Potvin C. et al. 1990. The statistical analysis of ecophysiological response curves obtained from experiments
involving repeated measures. Ecology,71:1389–1400.
Rascher et al. 2000. Evaluation of instant light response curves of chlorophyll fluorescence parameters obtained
with a portable chlorophyll fluorometer on site in the field. Plant Cell Environ., 23:1397-1405.
Shani U. et al. 2001. Field studies of crop response to water and salt stress. Soil Sci. Soc. Am. J., 65:1522-1528.
240
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetti dell’irrigazione con differenti concentrazioni saline
sull’assimilazione netta del melone coltivato in area predesertica del Nord –Ovest della Cina
Ezio Riggi1, Li Zong2, Giovanni Avola1, Anna Tedeschi1
1
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo
(ISAFOM) - Via V. Lancia, Blocco Palma I, Zona Industriale - 95121 Catania (Italy)
2
Graduate School of Chinese Academy of Sciences, Beijing 100039, China
Introduzione
La presenza di sali solubili nel suolo, nelle falde acquifere e nelle acque superficiali rappresenta
certamente uno dei maggiori problemi ambientali in grado di condizionare negativamente sia
l’accrescimento che la produttività delle colture in molte regioni del nostro pianeta. Pratiche
inappropriate nell’uso della risorsa idrica, inoltre, accentuano il problema, sopratutto in ambienti
aridi e semi aridi in cui è elevata la domanda evapo-traspirativa (Debez et al., 2006). Nel bacino di
Minqin, una tipica zona arida nel nord-ovest della Cina, sono state individuate diverse aree con
salinità dell’acqua di falda crescente (da 0,8 a 10 g l-1), per cui l’eccessivo loro utilizzo ha
provocato negli ultimi anni un progressivo incremento della salinizzazione dei suoli (Xiao et al.,
2007). Nell’areale in parola, il melone è tra le colture maggiormente coltivate. Ad oggi, se da un
lato numerose sono le ricerche sugli effetti della salinità in condizioni controllate, assai limitate
sono le evidenze sperimentali disponibili sulla risposta fisiologica del melone allo stress salino in
condizioni di pieno campo. In questo contesto, l’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare gli
effetti dell’irrigazione con tre diversi livelli di salinità, in grado di simulare le differenti
composizioni di acqua di falda non solo in termini di conducibilità elettrica ma anche per
composizione ionica, sulla gli scambi gassosi di una coltura di melone coltivata in pieno campo.
Materiali e metodi
La prova, condotta presso la stazione sperimentale di Xuebai a Minqin (Gansu province - latitude
38°05′N, longitude 103°03′E, altitude 1340 m) ha valutato gli effetti di 3 livelli di salinità: i) 0,8 g
l-1 (C, testimone - conduttività elettrica ECw = 1,00 dS m-1) ii) 2 g l-1 (S1 - con ECw di 2.66 dS m-1)
iii) 5 g l-1 (S2 - con ECw = 7,03 dS m-1) sul tasso di assimilazione netta (An) e sulla conduttanza
fogliare (gw) di un ibrido di melone (cv. Huanghemi). I trattamenti S1 e S2 hanno sumulato qualità
di acque di irrigazione già in uso nell’area di studio, mediante l’aggiunta di concentrazioni diverse
di CaCl2, MgCl2, Na2SO4, NaHCO3, NaNO3, and MgSO4 al testimone (C).
La misura di An e gw è stata determinata attraverso l’utilizzo di un infrared gas analyzer GFS-3000
(WALZ, Effeltrich, Germany) a sistema aperto sulle ultime foglie pienamente distese dello stelo
principale, su tre piante considerate come replica. Le misure hanno avuto inizio 13 giorni dopo la
prima irrigazione con acque saline e sono state eseguite in sei giorni privi di nubilosità (11, 12, 16
di giugno, e 5, 6, e 8 luglio 2008). Al fine di valutare gli effetti dei trattamenti allo studio, è stata
eseguita l’analisi della varianza sui dati di An e gw , misurati in tre diversi momenti della giornata:
mattina (9.45-10.30), mezzogiorno (12.45-13.30), pomeriggio (17.45-18.30).
Risultati e discussione
Nei rilievi eseguiti durante le ore della mattina, relativamente all’assimilazione netta un
significativo effetto della salinità è emerso in quattro rilievi su sei (Tab. 1). Tuttavia, dall’analisi
dei diversi livelli di salinità allo studio, emerge come nessuno di questi raggiunge costantemente i
valori più elevati nelle diverse date e, conseguentemente, non è stato possibile evidenziare una
risposta costante per il trattamento salinità. Relativamente alla conduttanza fogliare, differenze
significative tra i trattamenti sono emerse in soli due rilievi su sei (dati non riportati).
241
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Nessuna
differenza
significativa tra i trattamenti è
emersa per entrambe le
variabili studiate, nel rilievo
eseguito in corrispondenza del
mezzogiorno, quando le piante
sono sottoposte alla massima
intensità luminosa. I valori
osservati hanno oscillato tra
9,5 e 27,1 μmol CO2 m-2s-1, e
tra 142 e 489 mmol H2O m-2s-1
rispettivamente per An e gw.
Anche dai rilievi pomeridiani
non emerge nessun effetto
significativo per entrambe le
variabili allo studio, fatta
eccezione per il rilievo del 6
luglio. La ridotta risposta della
assimilazione netta e della
conduttanza
fogliare
alla
salinità (effetti significativi
solo in 5 e 3 casi sui 17 studiati
rispettivamente per An and gw)
contrasta con i risultati di altri
autori sulla risposta allo stress
salino (Carvajal et al., 1998;
Del Amor et al., 2000).
Tuttavia nella maggior parte di queste ricerche, la composizione salina delle tesi allo studio viene
modificata con la sola aggiunta di NaCl. La presenza di ioni diversi (quali Ca, Mg) potrebbe aver
avuto effetto mitigante gli effetti negativi del cloruro di sodio sulla risposta fisiologica di questa
specie (Kaya et al., 2003).
Conclusioni
Dall’analisi dei risultati emerge chiaramente come la risposta fisiologica del melone all’irrigazione
con acque saline non sia stata condizionata dalla salinità. Pertanto al fine di predire gli effetti
dell’innalzamento del grado di mineralizzazione delle acque di falda, condizioni che simulano
quanto più realisticamente quelle di pieno campo (es. per composizione ionica delle acque di
irrigazione) dovrebbero essere prese in considerazione, a causa dell’ampio range di variabili
(condizioni del suolo, effetti osmotici del sale, effetti tossici/mitiganti dei singoli ioni) che possono
fortemente influenzare la risposta eco-fisiologica della coltura.
Bibliografia
Carvajal et al. 1998. Time course of solute accumulation and water relations in muskmelon plants exposed to salt
during different growth stages. Plant Sci., 138:103-112
Debez et al. 2006. Leaf H+-ATPase activity and photosynthetic capacity of Cakile maritima under increasing
salinity. Environ. Exp. Bot., 57:285-295
Del Amor et al. 1999. Salinity duration and concentration affect fruit yield and quality, and growth and mineral
composition of melon plants grown in perlite. HortScience, 34:1234-1237
Kaya et al. 2003. Ameliorative effects of calcium nitrate on cucumber and melon plants drip irrigated with saline
water J. Plant. Nutr., 26:1665-1681
Xiao et al. 2007. Temporal and spatial dynamical simulation of groundwater characteristics in Minqin Oasis.
Science in China Series D: Earth Sciences 50:Sci. China Ser. D-Earth Sci., 50:261-273
242
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Suscettibilità alla ‘Macchia Primaverile del Cynodon’ di
Cultivar di Cynodon dactylon da Tappeto Erboso
Filippo Rimi, Stefano Macolino, Umberto Ziliotto
Dip. di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova, IT, [email protected]
Introduzione
Cynodon dactylon L. (Pers.) è la specie macrotema maggiormente impiegata in Europa per la
realizzazione di superfici a tappeto erboso. Ciò può essere attribuito alla capacità di tale specie di fornire
elevate prestazioni in svariate condizioni pedo-climatiche e alla sua tolleranza a condizioni di caldo e
siccità (Beard, 1973). Sebbene i tappeti erbosi di C. dactylon siano poco attaccati da patogeni fungini
fogliari, nelle zone di transizione, ove le macroterme sono dormienti dall’autunno a marzo – aprile
successivo, essi possono essere severamente danneggiati dalla “macchia primaverile del Cynodon”
(Kozelnicky, 1974; Gullino et al., 2000). I sintomi compaiono durante il rinverdimento primaverile sotto
forma di macchie circolari necrotiche di ampiezza variabile (5 – 90 cm), la cui ricolonizzazione può
prolungarsi fino a luglio – agosto. La “macchia primaverile del Cynodon” si presenta solitamente dopo
alcuni anni dalla semina del tappeto erboso ed è causata da diversi patogeni radicali, tra cui
Ophioshaerella korrae, O. herepotricha, O. narmari e Gaeumannomyces graminis, che colonizzano la
gramigna in autunno e svernano come micelio nelle radici e nelle corone (Vann e Patton, 2010). Le
pratiche gestionali consigliate per ridurre l’insorgenza di tale malattia sono la riduzione delle
somministrazioni di N in prossimità dell’autunno, il controllo del feltro e, soprattutto, la scelta di cultivar
resistenti (Tisserat e Fry, 1997). Il lavoro, condotto in Veneto, si è posto l’obiettivo di valutare la
suscettibilità alla “macchia primaverile del Cynodon” di diverse cultivar di C. dactylon selezionate in
funzione dell’adattabilità a zone di transizione.
Metodologia
La prova si è svolta nel
biennio 2009 – 2010
presso l’Azienda Agraria
Sperimentale
dell’Università di Padova
“L. Toniolo” (45°20’N,
11°57’E; 8 m s.l.m.), su
un terreno medio-limoso.
Sono state poste a
confronto otto cultivar di
C. dactylon: ‘Barbados’,
‘Contessa’, ‘La Paloma’,
‘Mohawk’, ‘NM Sahara’,
‘Princess 77’, ‘SR 9554’,
e ‘Yukon’. Il disegno
sperimentale prevedeva
uno schema a blocco
Figura 1. Andamento meteorologico rilevato da settembre 2008 a maggio 2010
randomizzato con quattro
presso l’Azienda Agraria sperimentale dell’Università di Padova “L. Toniolo”,
repliche.
Per
la
Legnaro (PD).
sperimentazione sono state
utilizzate parcelle di tappeto
erboso maturo, semitate il 4 luglio 2005, delle dimensioni di 7.2 m2.
Il taglio era eseguito a 45 mm di altezza con cadenza settimanale. Le parcelle avevano ricevuto 200 kg
ha-1 anno-1 di N in tre applicazioni (maggio, giugno e agosto). L’andamento climatico rilevato durante il
periodo d’interesse è riportato in Fig. 1.
243
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
La severità della malattia è stata valutata il 15 maggio di entrambi gli anni e stimata come percentuale di
parcella danneggiata sulla superficie complessiva. La percentuale di malattia è stata determinata
mediante foto dell’intera area parcellare, acquisite utilizzando una fotocamera digitale e
successivamente elaborate tramite il software SigmaScan Pro (ver. 5; SPSS,Inc., IL) (Butler e Tredway,
2006). Limitatamente alle cultivar in cui si è verificata la presenza di sintomi, i dati, previa adeguata
trasformazione angolare, sono stati sottoposti all’analisi della varianza.
Risultati
Tra le varietà a confronto, Yukon è stata l’unica immune dalla malattia, mettendo in evidenza una
resistenza già riscontrata anche in altri continenti (Vann e Patton, 2010). Le restanti sette cultivar hanno
mostrato evidenti sintomi della “macchia primaverile del Cynodon”. L’analisi della varianza non ha
permesso di porre in evidenza differenze significative tra le cultivar affette da malattia, entro le quali vi
erano livelli d’incidenza compresi tra 3.4% e 7.7%. Anche l’interazione cultivar x anno non è risultata
significativa, mentre è stato possibile accertare differenze tra i due anni di sperimentazione.
Dal 2009 al 2010 si è assistito ad un incremento della superficie interessata dalla malattia, che è passata
da 5.3% ± 0.74 ES a 6.4% ± 0.59 ES. Tale risultato trova ampio riscontro in letteratura (Gullino et al.,
2000; Butler e Tredway, 2006).
Tuttavia, la spiegazione dell’incremento osservato nel nostro studio può essere supportata anche dalle
condizioni climatiche verificatesi nel 2008 durante il periodo d’infezione (Fig. 1). In particolare, le
condizioni di straordinaria piovosità di settembre 2008, abbinate a temperature non limitanti, potrebbero
aver favorito la colonizzazione autunnale di radici, stoloni e corone da parte dei patogeni radicali
responsabili della malattia osservata nella primavera successiva.
Conclusioni
I risultati conseguiti pongono in evidenza che negli ambienti sub-continentali della pianura veneta i
tappeti erbosi di C. dactylon sono notevolmente esposti all’insorgenza della “macchia primaverile del
Cynodon”. Pertanto, in tali aree, bisogna ipotizzare la programmazione di interventi volti alla riduzione
di tale problema, tra cui la scelta di cultivar resistenti. I risultati del confronto biennale tra cultivar hanno
mostrato, mediante l’impiego della cultivar Yukon, la possibilità di adottare efficacemente questa
strategia.
Bibliografia
Beard J.B. 1973. Turfgrass Science and Culture. Prentice-Hall, Inc. Upper Saddle River, New Jersey.
Butler E.L. e Tredway L.P. 2006. Method and timing of fungicide applications for control spring dead spot in hybrid
bermudagrass. Online. Plant Healt Progress doi:10.1094/PHP-2006-0901-01-RS.
Gullino M.L. et al. 2000. La difesa dei tappeti erbosi: Malattie fungine, nemici animali e infestanti. Edizioni L’Informatore
Agrario S.r.l., Verona.
Kozelnicky G.M. 1974. Updating 20 years of research: Spring dead spot. USGA Green Sec. Rec. (May):12-15.
Tisserat N.A. e Fry J.D. 1997. Cultural practices to reduce spring dead spot (Ophiosparella herpotricha)severity in
Cynodon dactylon. Int. Turf. Soc. Res. J. 8:931.936.
Vann S. e Patton A. 2010. Bermudagrass Spring Dead Spot. Online. FSA7551-PD-3-07N. Coop. Ext. Serv. University of
Arkansas, AR.
244
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione del Recupero di Residui di Piante Coltivate per
la Estrazione di Oli Essenziali
Graziana Roscigno1, Samantha Salvati1, Domenico Perrone2, Enrica De Falco1
1
Dip. Scienze Farmaceutiche, Università degli Studi di Salerno, IT, [email protected]
2
CRA – ORT, Sede di Battipaglia. (SA), IT, [email protected]
Introduzione
Negli ultimi anni l’interesse per le piante aromatiche destinate al consumo fresco è cresciuto grazie ad
una maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente, della salute umana e più in generale del concetto
di qualità delle produzioni. In particolare la produzione si sta espandendo in alcune aree di coltivazione
irrigue delle regioni meridionali dove queste piante trovano condizioni ottimali sia per la crescita, tenuto
conto che si tratta di piante caratteristiche dell’area mediterranea, sia per le capacità tecniche degli
imprenditori. La produzione per il mercato fresco richiede standard qualitativi molto elevati e, pertanto,
determina una quantità di residui di coltivazione e lavorazione che rappresentano, il più delle volte, una
materia prima ancora pregiata che può essere pertanto recuperata (Roscigno et al., 2009). D’altra parte
sono da tempo riconosciute le molteplici proprietà degli oli essenziali che hanno richiamato negli ultimi
anni un crescente interesse scientifico (Zhang et al., 2009) L’obiettivo di questa ricerca è stato la
valutazione di una possibile recupero dei residui di piante coltivate che contengono oli essenziali.
Metodologia
La ricerca è stata condotta prendendo in considerazione i residui di potatura e confezionamento di alcune piante
aromatiche (salvia, rosmarino, basilico, menta) prelevati in un’azienda della Piana del Sele (SA) a conduzione
biologica che lavora per la GDO. Inoltre sono stati analizzati gli scarti di raccolta di 2 varietà di finocchio
(Aurelio e Spartaco) in prova presso l’azienda sperimentale del CRA–ORT, Sede di Battipaglia, per la
valutazione degli effetti residui della fertilizzazione con compost (Mona et al., 2008). Su 40 campioni per
ciascun materiale di scarto recuperato è stata determinata la biomassa delle differenti componenti ed il contenuto
di umidità. La resa in olio essenziale su peso fresco è stata effettuata mediante estrazione in corrente di vapore
con apparecchio di Clevenger (Farmacopea Europea), separatamente per le diverse componenti. Per simulare un
possibile processo aziendale, campioni degli scarti non suddivisi, sono stati sottoposti ad estrazione con estrattore
semi-industriale, modello “Spring”, della capacità di 12 litri (Albrigi). Infine, campioni prelevati dai residui del
processo di estrazione effettuato, sono stati essiccati in stufa (50oC per 24 h) e sottoposti nuovamente a
distillazione con apparecchio di Clevenger per verificare la presenza di oli residui.
Risultati
In tutti gli scarti di piante aromatiche (Tab. 1) la percentuale di foglie è stata più elevata rispetto a quella
degli steli ad esclusione del basilico dove sono risultate uguali. Il contenuto in acqua è risultato molto
elevato sia nelle foglie che negli steli per basilico e menta mentre sono stati più bassi per gli scarti di
rosmarino, sia provenienti dal confezionamento che dalla potatura. Il peso medio delle foglie ha
rispecchiato le caratteristiche morfologiche della specie. I dati hanno generalmente mostrato una elevata
variabilità e ciò in relazione alla provenienza del materiale.
Tabella 1. Caratterizzazione dei residui di coltivazione e confezionamento di piante aromatiche
residui
basilico
menta
salvia
rosmarino
confez.
confez.
confez.
confez.
potatura
peso medio
foglia
mg
Coef.
var.
%
foglie su
totale
%
Coef.
var.
%
steli su
totale
%
Coef.
var.
%
umidità
foglie
%
Coef.
var.
%
umidità
steli
%
Coef.
var.
%
129.3
84.1
104.8
16.1
19.0
63.4
21.9
58.4
17.6
22.3
49.1
77.0
66.1
63.1
69.2
48.4
6.7
27.1
25.6
51.0
51.1
23.0
33.8
36.8
30.8
46.4
22.3
53.1
43.9
-
87.7
76.2
74.2
55.9
54.5
3.6
1.3
8.5
0.8
2.9
91.6
77.1
58.2
50.0
46.2
1.0
1.8
13.0
15.3
2.9
245
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
La resa in olio essenziale è risultata superiore nelle foglie rispetto agli steli per tutte le specie. Per i
residui di confezionamento di menta e rosmarino sono stati rilevati valori elevati sia per le foglie che
per gli steli mentre piuttosto bassi sono risultati quelli del basilico (Tab. 2). I dati evidenziano inoltre
una migliore estrazione di olio con l’estrattore Clevenger rispetto a quello Albrigi soprattutto per
basilico e menta dove, infatti, i residui di olio sono molto elevati. Il sistema semi-industriale è risultato
invece efficace per l’estrazione di olio di rosmarino, probabilmente grazie alla più favorevole struttura
dei residui che permette un migliore passaggio del vapore acqueo.
Tabella 2. Resa in olio essenziale su residui di piante aromatiche
scarti
basilico
menta
salvia
rosmarino
confez.
confez.
confez.
confez.
potatura
estrattore Clevenger
foglie
steli
%
%
0.09
0.49
0.15
0.38
0.26
Albrigi
pianta intera
residuo
%
%
0.02
0.28
0.07
0.13
0.01
0.03
0.13
0.22
0.33
0.20
0.09
0.12
0.12
0.08
0.03
In entrambe le varietà di finocchio la percentuale delle foglie è risultata superiore rispetto alle guaine
(Tab. 3); i valori di umidità sono stati sempre molto elevati, particolarmente per le guaine. La resa in
olio essenziale è risultata abbastanza soddisfacente per le foglie con l’apparecchio Clevenger mentre è
stata molto bassa sia utilizzando l’estrattore Albrigi sia per le guaine.
Tabella 3. Caratterizzazione degli scarti di produzione del finocchio
varietà
guaine su
totale
%
Coef.
var.
%
foglie su
totale
%
Coef.
var.
%
umidità
guaine
%
Coef.
var.
%
umidità
foglie
%
Coef.
var.
%
40.5
38.5
17.8
17.3
59.5
61.5
12.1
10.8
94.6
92.9
0.4
0.3
88.2
85.5
0.6
0.6
Aurelio
Spartaco
olio essenziale (%)
estrattore Clevenger Albrigi
foglie
guaine foglie
0.096
0.042
0.002
0.007
0.006
-
Conclusioni
I risultati della ricerca hanno evidenziato, soprattutto per alcune tipologie di scarto, la possibilità di una
effettiva utilizzazione dei residui di coltivazione e di confezionamento per la estrazione di oli essenziali,
tenuto anche conto che il materiale vegetale derivante dal processo di estrazione può trovare un ulteriore
recupero in azienda mediante processi di compostaggio.
Bibliografia
Mona Y. et. al 2008. Effect of three different compost level on fennel and Salvia growth character and their essential oil.
Res.J.Agr.and Biol. Sc., 4: 34-39.
Roscigno G. et al. 2009. Recupero degli scarti di produzione di basilico destinato al mercato fresco delle aromatiche. IV
Convegno Piante Mediterranee, 7-10 ottobre.
Zhang J.W. et al. 2009. The main chemical composition and in vitro antifungal activity of the essential oils of Ocimum
basilicum Linn. var. pilosum (Willd.) Benth. Molecules, 14: 273-278.
246
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Comparazione dei Polisaccaridi Strutturali in tre Colture
Erbacee-lignocellulosiche Poliennali
Danilo Scordia, Giorgio Testa, Salvatore Luciano Cosentino, Santo Virgillito
Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali – Sezione Scienze Agronomiche,
Università degli Studi di Catania, Via Valdisavoia 5, 95123 Catania, Italia, [email protected]
Introduzione
Tra le colture dedicate alla produzione di biomassa per conversione termochimica e/o biochimica le
colture erbacee-lignocellulosiche poliennali possono rivestire un ruolo di primaria importanza. Tra
queste Arundo donax L., specie endemica delle regioni del mediterraneo, è stata indicata come una delle
più promettenti per la produzione di biomassa (Cosentino et al. 2006); Miscanthus x giganteus Greef et
Deu, caratterizzata da potenziali produzioni elevate, incontra difficoltà negli ambienti del bacino
mediterraneo a causa della siccità estiva che ne condiziona la crescita e la produzione (Cosentino et al.,
2007); Saccharum spontaneum L. ssp. aegyptiacum (Willd.) Hack., specie affine al genere Miscanthus,
presenta, invece, spiccata adattabilità a tali ambienti, dove è ampiamente diffusa allo stato spontaneo
(Cosentino et al. 2006).
Scopo della presente ricerca è stato quello di determinare il contenuto in polisaccaridi strutturali, quali
cellulosa, emicellulosa e lignina, per il loro importante contributo alla bioconversione in etanolo di
seconda generazione.
Metodologia
Nella primavera del 2008 sono stati prelevati, presso l’azienda didattico-sperimentale della Facoltà di
Agraria di Catania (Piana di Catania, 10 m slm, 37°25'N, 15°30'E), campioni di biomassa epigea di
Arundo donax (clone Capo d’Orlando), Miscanthus x giganteus e Saccharum spontaneum ssp.
aegyptiacum, coltivati nelle medesime condizioni. I campioni raccolti sono stati posti in stufa, a 65 ± 5
°C, fino a peso costante. La biomassa secca è stata macinata omogeneamente (0,85 mm) usando un
mulino da laboratorio (Thomas Scientific, Swedesboro, New Jersey).
I polisaccaridi strutturali (glucani, xilani, arabinani, mannani, galattani e ramnani), la lignina e le ceneri
acido insolubili sono stati determinati secondo la metodologia Davis (1998). Successivamente il
substrato è stato trattato con acido solforico (72% v/v) a 30°C e 3,6% (v/v) a 120 °C per il primo e
secondo step di idrolisi, rispettivamente. Il supernatante acido idrolizzato è stato usato direttamente per
l’analisi cromatografia attraverso “High-performance anion exchange chromatography (ICS-3000,
Dionex, Sunnyvale, California) with pulsed amperometric detection (HPAEC-PAD)”. La lignina è stata
determinata gravimetricamente mediante differenza in peso tra le singole componenti. Infine il
campione è stato posto in muffola a 550 ± 50 °C per la determinazione delle ceneri acido insolubili.
L’analisi della varianza è stata effettuata mediante Costat 6.0 (CoHort software), per la separazione
delle medie è stata utilizzata la metodologia Student-Newman-Keuls (SNK).
Risultati
Il contenuto in cellulosa, composta esclusivamente da glucani (omopolisaccaride lineare del glucosio), è
stata significativamente maggiore in Miscanthus rispetto a Saccharum e Arundo (40,99, 36,81 e
34,60%, rispettivamente) (tab.1). Come per altre monocotiledoni utilizzate per la produzione di
bioetanolo di seconda generazione (paglia di frumento, riso e orzo, stocchi di mais e sorgo)
(Ebringerova and Heinze, 2000), anche le colture studiate hanno messo in evidenza che la frazione
emicellulosica è composta maggiormente da arabino-xilani. Galattani, mannani e ramnani
costituiscono, invece, una frazione minima dell’emicellulosa. I valori significativamente più elevati nel
contenuto in emicellulosa totale è stato registrato in Saccharum (24,71%), seguito da Arundo (23,06%)
e Miscanthus (22,40%).
Saccharum e Arundo mostrano un contenuto in lignina acido insolubile paragonabile a quello di altre
colture erbacee (15-20%), ma inferiore a quello di angiosperme e gimnosperme legnose (20-35%)
247
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
(Chang, 2007); in Miscanthus, invece, è stato determinato il contenuto più elevato (22,40%). Il
contenuto in ceneri acido-insolubili, il residuo ottenuto dopo combustione della frazione acido
idrolizzata, è stato significativamente maggiore in Arundo (1,67%) rispetto a Saccharum (1,21%) e
Miscanthus (0,84%), tra loro indifferenziati.
Tra i substrati studiati Miscanthus ha fatto registrare il contenuto significativamente più elevato in
polisaccaridi strutturali totali (63,39%), seguito da Saccharum (61,52%) e Arundo (57,66%).
Il profilo in polisaccaridi strutturali ottenuto è comparabile con quello di altri substrati ampiamente
studiati per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, quali stocchi di mais e panico (Zhu and
Pan, 2010).
Tabella 1 – Contenuto (%) in polisaccaridi strutturali di Arundo donax L., Miscanthus x giganteus Greef et Deu. e
Saccharum spontaneum L. ssp. aegyptiacum (Willd.) Hack. Nell’ambito della stessa colonna valori contrassegnati da
lettere uguali non sono significativamente differenti per p ≥ 0,05.
Coltura
Cellulos
a
Glucani Xilani
Arundo
Emicellulosa
Galattan Arabinan Mannan Ramnan
i
i
i
i
Polisaccaridi totali
Lignin
a
Ceneri
(LAI)*
34.60c 20.41b 0.66a
1.81b
0.12a
0.06b
57.66c
20.44b
1.67a
Miscanthus 40.99a 19.98c 0.57a
1.74b
0.09a
0.02c
63.39a
22.40a
0.84b
Saccharum 36.81b 21.53a 0.72a
2.16a
0.16a
0.14a
61.52b
20.03b
1.21b
1.90
0.12
0.07
60.86
20.96
1.24
Media
37.47 20.64
0.65
*Lignina acido insolubile
Conclusioni
Dallo studio effettuato emerge che Arundo, Miscanthus e Saccharum possono essere considerate come
specie potenzialmente idonee alla produzione di bioetanolo di seconda generazione negli ambienti
caldo-aridi mediterranei.
Il valore più elevato in polisaccaridi strutturali ottenuto in Miscanthus, potrebbe far ipotizzare una
maggiore produzione di bioetanolo; tuttavia il contestuale maggior contenuto in lignina potrebbe
costituire un fattore limitante nella successiva saccarificazione ad opera di enzimi cellulase. Ulteriori
studi sono necessari a conferma della possibile bioconversione di tali substrati.
Bibliografia
Chang M.C.Y., 2007. Harnessing energy from plant biomass. Curr. Opin. Chem. Biol. 11:677–684.
Cosentino, S.L. et al. 2006. Valutazione di germoplasma di specie del genere Miscanthus e Saccharum per la produzione di
biomassa. Italus Hortus, 13:433-436.
Cosentino, S.L. et al. 2007. Effect of soil water content and nitrogen supply on the productivity of Miscanthus x giganteus
Greef and Deu. in a Mediterranean environment. Ind. Crops Prod. 25:75–88.
Davis M.W. 1998. A rapid modified method for compositional carbohydrate analysis of lignocellulosics by high pH anionexchange chromatography with pulsed amperometric detection (HPAEC/PAD). J. Wood Chem. Technol. 18:235- 252.
Ebringerova A., Heinze T. 2000. Xylan and xylan derivatives – biopolymers with valuable properties, 1 – naturally
occurring xylans structures, procedures and properties. Macromol. Rapid Commun., 21:542–556.
Zhu J.Y., Pan X.J., 2010. Woody biomass pretreatment for cellulosic ethanol production: Technology and energy
consumption evaluation. Bioresource Technology 101:4992-5002.
248
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Effetto dei Trattamenti di Condizionamento sulla Presenza di
Sali sulla Fascia del Sigaro
Maria Isabella Sifola1, Michele Di Giacomo 2, Sandra Minissi 2
1
Dip. Ingegneria Agraria ed Agronomia del Territorio, Università di Napoli Federico II,
Via Università 100, 80055 Portici (Napoli), [email protected]
2
MST, Dip. Ricerca e Qualità., Via E. Mattei 780, 55100 Lucca
Introduzione
Alla fine del ciclo di manifattura, sulla superficie della fascia dei sigari possono evidenziarsi cristalli di
sali organici di Ca (estrusione). I sigari che mostrano tale fenomeno vengono generalmente scartati per
motivi estetici, con evidenti danni economici. Studi precedenti hanno dimostrato che esiste una
relazione tra l’estrusione di sali, le condizioni di produzione in campo (ricchezza in Ca del suolo) e/o
alcuni trattamenti in post-raccolta (lavaggi del prodotto curato, in acqua o in soluzioni specifiche) (Di
Giacomo et al., 2009). Scopo del presente studio è stato di valutare se esiste una relazione tra
l’estrusione di sali ed i trattamenti di condizionamento cui sono soggetti i sigari durante la fase di
manifattura.
Metodologia
Nell’autunno 2009 è stato condotto, presso lo stabilimento di Lucca della Manifattura Sigaro Toscano, un
esperimento su sigari confezionati da miscela extravecchio (EXV) e semilavorato di fascia di cv. Foiano
proveniente da tre diversi fornitori. La diversa provenienza è indice di diverse caratteristiche, di
trattamento dei tabacchi prima del confezionamento dei sigari. I sigari, confezionati per ciascuna
provenienza con due diverse macchine confezionatrici, sono stati sottoposti a: i) I condizionamento per 25
giorni in celle climatizzate dopo aver subito un trattamento di pre-essiccazione della durata di 2 giorni; ii) I
condizionamento per 25 giorni senza preventivo trattamento di pre-essiccazione. I sigari, man mano che
venivano confezionati sostavano 15, 30, 45 e 60 minuti all’esterno delle celle di pre-essiccazione e/o I
condizionamento. Dopo i due giorni di pre-essicazione e/o dopo i 25 giorni di I condizionamento sono stati
rilevati, su sottocampioni di 250 sigari, il numero di sigari con presenza di cristalli ben evidenti in
superficie ed è stata calcolata l’incidenza percentuale della presenza di sigari “salati”. L’esperimento è
stato ripetuto tre volte: 6 ottobre (Test 1), 27 ottobre (Test 2) e 25 novembre 2009 (Test 3). I risultati sono
stati sottoposti ad analisi di varianza (ANOVA) entro ciascun Test, secondo uno schema sperimentale a
randomizzazione completa, e le medie separate con test della DMS a P<0.05 e P<0.01. In particolare,
poichè si è voluto evidenziare l’effetto del diverso materiale di partenza (fornitori), delle diverse macchine
confezionatrici (operatori diversi) e del tempo di sosta all’esterno delle celle di pre-essiccazione e/o I
condizionamento queste stesse variabili sono state inserite come fattori nell’ANOVA.
Risultati
I risultati dei diversi test condotti non sono risultati omogenei (Tab.1). In particolare, nei test 2 e 3 è
risultato significativo l’effetto della provenienza del materiale (fornitori T e A) sul % salati dopo 2
giorni, con valori sempre favorevoli nel materiale T rispetto ad A (Tab.1). Nel Test 1, al contrario, non è
stata registrata nessuna differenza nel % di salati dopo 2 giorni per effetto della diversa provenienza del
materiale ma va considerato che le provenienze confrontate in questo test erano diverse (T vs. U)(Tab.
1). In tutti i test non è emerso nessun effetto significativo della diversa provenienza del materiale sul %
salati dopo 25 g anche se differenze numeriche di rilievo sono emerse nei Test 2 e 3 (Tab. 1). L’effetto
del trattamento di pre-essiccazione sul % di sigari salati dopo 2 e 25 giorni è risultato sempre positivo
anche se significativamente solo nel Test 1. La macchina confezionatrice ha sempre determinato
differenze di rilievo sul % salati sia dopo 2 sia dopo 25 giorni, anche se significativamente solo nel Test
1 (Tab. 1). L’effetto macchina è risultato quindi sempre rilevante, come si evince dalle molte interazioni
significative Macchina x Pre-essiccazione (sui salati dopo 2 e 25 giorni nel Test 1, sui salati dopo 2
giorni nel Test 2), Fornitore x Macchina x Pre-essiccazione (sui salati dopo 25 giorni nel Test 2) o
249
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Fornitore x Macchina (sui salati dopo 2 e 25 giorni nel Test 3). In ogni caso, tale effetto è di difficile
interpretazione poiché non è possibile, nelle condizioni delle presenti prove, associare sempre
l’operatore alla macchina utilizzata, e non va dimenticato, inoltre, che le macchine sono state accorpate
nell’ANOVA in modo del tutto casuale. Infine, nessun variazione di rilievo è stata registrata per effetto
del tempo di sosta all’esterno delle celle di pre-essiccazione e/o I condizionamento sul % salati dopo 2 e
25 giorni (dati non mostrati).
Tabella 1. Effetto della provenienza del prodotto (fornitori) e delle fasi/trattamenti di manifattura sulla % di salati dopo 2
(pre-essiccazione) e 25 giorni (fine I condizionamento); Test 1, 6/10/2009; Test 2, 27/10/2009; Test 3, 25/11/2009. Le
lettere diverse indicano differenze significative a P<0.05 e P<0.01 (maiuscole).
Fornitore
% salati
(2
giorni)
T
U
A
Colpo di calore
Pre-essiccazione
No pre-essiccazione
Macchina
confezionatrice
Macchina 1
Macchina 2
Tempo di permanenza
15 min
30 min
45 min
60 min
Test 1
% salati
(25
giorni)
1.11
1.18
1.45
1.69
0.33 A
1.96 B
% salati
(2
giorni)
Test 2
% salati
(25
giorni)
% salati
(2
giorni)
Test 3
% salati
(25
giorni)
0.74 a
2.80
1.74 a
3.59
1.85 b
3.24
4.04 b
5.68
0.43 A
2.71 B
1.19
1.40
2.58
3.46
2.66
3.11
3.48
5.79
0.10 A
2.19 B
0.19 A
2.95 B
0.94
1.65
2.11
3.93
3.78
2.00
5.39
3.88
1.35
1.65
1.07
0.50
1.93 bc
2.48 c
1.15 ab
0.73 a
1.40
0.60
1.70
1.48
3.56
1.53
3.98
3.00
2.80
4.03
2.70
2.03
4.68
6.20
4.30
3.35
Conclusioni
In conclusione, gli esperimenti nella fase di manifattura hanno evidenziato che: i) la provenienza del
materiale, poiché determinante di tutte le caratteristiche finali del prodotto finito (sigari), va individuata
e descritta con chiarezza ai fini di una tracciabilità e, sulla base di questi risultati preliminari,
sembrerebbe piuttosto importante per comprendere la dinamica dei salati; ii) il colpo di calore (preessiccazione) si conferma un trattamento utile a ridurre la % di salati in tutte le condizioni indagate; iii)
il confezionamento dei sigari (operatore) può giocare un ruolo di rilievo ed a tale proposito vanno
accertate e considerate le caratteristiche della macchina/operatore che potrebbero essere coinvolte nella
dinamica dei salati (distribuzione della colla, esperienza operatore etc.); iv) il tempo di sosta al di fuori
delle celle di pre-essiccazione e/o I condizionamento non sembra influenzare in alcun modo l’incidenza
di salati né dopo 2 né dopo 25 giorni di trattamento.
Bibliografia
Di Giacomo M. et al. 2009. Calcium excretion in dark tobacco leaves. CORESTA, Rovinj (Croatia) 4 - 8 October 2009.
250
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Qualità Salutistica del Frumento Duro Valutata Mediante
Determinazione dell’Attività Antiossidante
Damiana Tozzi 1, Marianna Pompa 1, Nilde Di Benedetto 1, Michele Prencipe 2,
Michele Lo Storto 1, Marcella Michela Giuliani 1, Eugenio Nardella 1, Michele De
Santis 1, Luigia Giuzio1, Zina Flagella 1
1
Dip. di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetali, Univ. Foggia, IT, [email protected]
2
ASSOCERFOGGIA - Cooperativa dei Produttori di Cereali della Provincia di Foggia
Introduzione
Il consumo di granella integrale di frumento è associato alla riduzione del rischio di malattie
cardio-vascolari, diabete, obesità e cancro (Schatzkin A. et al. 2007). Gli effetti benefici legati al
consumo della granella integrale sono ascrivibili ai composti naturali bioattivi definiti
“phytochemicals” (Liu H., 2007) caratterizzati da proprietà antiossidanti. Diversi fattori possono
influenzare la capacità antiossidante della granella. Limitate sono le informazioni in letteratura
sull’influenza della varietà e delle condizioni di coltivazione sulla capacità antiossidante della
granella di frumento duro (Triticum durum Desf) (Okarter N. et al. 2010; Menga V. et al. 2010;
Panfili G. et al. 2005).
Nell’ambito del progetto OIGA “FRUDUSAL: Filiera del frumento duro e qualità salutistica:
ottimizzazione della fertilizzazione e valutazione varietale” del MIPAAF, ci si è proposti di
approfondire le indagini relativamente all’effetto della varietà e della concimazione sulle proprietà
antiossidanti del frumento duro. Obiettivo di questo lavoro è stato riportare i primi risultati relativi ai
parametri produttivi ed alla valutazione dell’attività antiossidante (AA) di granella di diverse varietà di
frumento duro coltivato nell’ambiente sub-arido di Capitanata e sottoposto a due diversi piani di
concimazione.
Metodologia
La prova agronomica è stata condotta in agro di Foggia, presso l’azienda agricola Prencipe su un terreno
di medio impasto. E’ stato utilizzato un disegno sperimentale a split plot con 2 fattori (piano di concimazione
e varietà) e 3 ripetizioni per un totale di 60 parcelle di circa 700 m2 ciascuna. Sono state messe a confronto 10
varietà di frumento duro (Quadrato-V1, Torrebianca-V2, Pietrafitta-V3, Vendetta-V4, Alemanno-V5, PrincipeV6, Cannavaro-V7, Gattuso-V8, Simeto-V9 e Duilio-V10) e due piani di concimazione (C1: 102 unità di N e
74 unità di S con un rapporto N/S 1:0,7, secondo il disciplinare adottato dall’azienda; C2: 76 unità di N e 38,5
di S con un rapporto N/S pari a 2:1). La semina delle 10 varietà è stata realizzata in data 02/11/2009,
utilizzando semente certificata e conciata. Alla raccolta, effettuata il 18/06/2010, sono state determinate le
principali componenti della produzione. Per la determinazione dell’attività antiossidante, il materiale di
indagine era costituito da campioni di sfarinato integrale di frumento duro. Si è operato su estratti acquosi
ottenuti come riportato in Pastore et al., 2004. I reagenti, tutti del maggior grado di purezza possibile, sono
stati acquistati da SIGMA Chemical Co (St Louise, Mo) e da Fluka Chemie GmbH. La determinazione
dell’AA è stata effettuata con il metodo ABTS come riportato in Re et al. 1999. I dati ottenuti sono stati
sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA).
Risultati
Dall’analisi dei risultati produttivi ottenuti, l’effetto del genotipo è risultato significativo (P≤0,01),
mentre non è risultato significativo l’effetto della concimazione e dell’interazione tra i due fattori.
In particolare, i valori più elevati della resa sono stati ottenuti per le varietà Quadrato (V1) e
Torrebianca (V2) il che risulta ascrivibile ad un più elevato numero di cariossidi m-2 (Tab. 1). Allo
scopo di effettuare un’indagine preliminare sulle proprietà antiossidanti della granella ottenuta
dalla prova di pieno campo, si è valutata l’AA di estratti acquosi di sfarinato integrale di 4
delle 10 cultivar di frumento duro: Simeto, Duilio, Quadrato e Torrebianca.
251
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1. Effetto del genotipo sui parametri produttivi. Lettere diverse corrispondono a valori significativamente
diversi per P≤0,01. V1-V10: varietà denominate come riportato nei metodi.
V1
Resa
(q ha-1)
Cariossidi
m-2 (n)
V2
V3
V4
32.4A
32.7A 24.5B
26.1B
8,358
A
7,702
AB
6,642
A-C
5,349
C
V5
V6
V7
V8
V9
V10
29.0AB 23.7B 26.8AB 24.7B 27.0AB 29.0AB
7,679 6,784
AB
A-C
6,006
BC
6,546
A-C
6,090
BC
7,160
A-C
Le cultivar che hanno mostrato
valori significativamente più
elevati di AA sono state Duilio
e Torrebianca, con valori
superiori di circa il 10% ed il
5% rispetto alla media delle
altre
due
varietà.
Relativamente
alla
concimazione, si è osservata
un’influenza positiva del piano
C2 sull’AA, sebbene si sia
riscontrato un incremento
significativo soltanto per la
cultivar Duilio (V10).
μmol eq. Trolox/g sfarinato integrale
….
Peso 1000 semi (g) 39.4A-D 42.9A-C 46.1A 39.5A-D 37.9B-D 35.0D 44.6AB 37.8CD 44.6AB 40.7A-D
a
9,2
c
8,4
8
C1
C2
b
8,8
d
d
d
c
d
7,6
7,20
Simeto
Duilio
Quadrato
Torrebianca
Figura 1. AA delle 4 varietà di frumento duro oggetto di studio.
C1; C2: Tesi di concimazione secondo quanto riportato nei metodi.
Lettere diverse corrispondono a valori significativamente diversi
Conclusioni
Dai risultati preliminari ottenuti, si è evidenziata variabilità genetica in frumento duro
relativamente all’attività antiossidante e si è riscontrato, inoltre, un incremento dell’AA con il
piano di concimazione che prevedeva un rapporto N/S pari a 2:1. La valutazione delle altre varietà,
attualmente in corso, consentirà di ottenere maggiori informazioni riguardo all’influenza del
genotipo sulla valenza salutistica del frumento duro. I risultati che emergeranno dagli ulteriori anni
di prova previsti consentiranno, inoltre, di evincere anche l’effetto dell’interazione fra genotipo e
fattori ambientali in condizioni di pieno campo.
Bibliografia
Liu, R. H. 2007. Whole grain phytochemicals and health. J. Cereal Sci., 46 (3), 207–219.
Menga V. et al. 2010. Effects of genotype, location and baking on the phenolic content and some antioxidant
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Okarter N. et al. 2010. Phytochemical content and antioxidant activity of six diverse varieties of whole wheat. Food
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Panfili G et al., 2005.Influenza dello stress idrico e della concimazione azotata e solfatica sul contenuto di
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Pastore D. et al. 2004. Attività antiossidante della granella di frumento duro (Triticum durum Desf.) e reazioni della
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Re R. et al., 1999. Antioxidant activity applying an improved ABTS radical cation decolorization assay. Free Radic.
Biol. Med., 26: 1231-1237.
Schatzkin A. et al. 2007. Dietary fiber and whole-grain consumption in relation to colorectal cancer in the NIHAARP diet and health study. Am. J. Clin. Nutr., 85 (5), 1353–1360.
Ringraziamenti: Il lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto OIGA “FRUDUSAL” del
MIPAAF, coordinatore Prof.ssa Z. Flagella.
252
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Gestione delle Stoppie e dei Residui Colturali sulla Fertilità
del Suolo in una Monosucessione di Frumento
Domenico Ventrella, Angelo Fiore, Marcello Mastrangelo, Alessandro Vittorio Vonella,
Francesco Fornaro, Donato Ferri
Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi, CRA, Bari, IT, [email protected]
Introduzione
Sull’effetto dell’interramento dei residui colturali sono state condotte molte ricerche. In generale,
l’effetto positivo di tale tecnica sulle caratteristiche chimico-fisiche del suolo è stato ampiamente
dimostrato, ma non tutte le ricerche condotte concordano sugli incrementi del contenuto in sostanza
organica che ne deriva, in quanto tale effetto è strettamente correlato alle caratteristiche pedo-climatiche
dell’area in studio, alla tipologia dei residui interrati e alle azioni agronomiche messe in atto per
favorire la degradazione del materiale organico fresco incorporato. La bruciatura delle stoppie e delle
paglie è una consuetudine nelle aree in cui, tradizionalmente, sono coltivati i cereali. Il ricorso a tale
tecnica deriva da difficoltà gestionali, dalla riduzione delle richieste di paglia a seguito di una riduzione
degli allevamenti e del numero di capi di bestiame, dalla necessità di liberare il terreno dai residui in
modo economico, dalla necessità di abbattere gli inoculi di eventuali patogeni presenti sui residui della
coltura conclusa e, infine, dalla necessità di ridurre il numero di semi germinabili delle erbe infestanti.
Tuttavia, il ricorso alla bruciatura, senza le opportune cautele imposte da leggi specifiche nazionali e
regionali, abbinate, talvolta, alla superficialità ed alla incompetenza degli operatori, ha comportato, in
alcuni casi, ingenti danni a patrimoni naturalistici di notevole interesse, oltre che dissipazione di
sostanza organica accumulatasi per l’intero ciclo colturale.
In Italia, presso l’Azienda Sperimentale di Foggia, denominata “Podere 124”, del CRA-SCA di Bari è
in corso, dal 1977, una ricerca sull’effetto dell’interramento e della bruciatura sulle caratteristiche
chimico-fisiche del suolo e sulle performance produttive di frumento in monosuccessione. La prova
sperimentale, condotta senza soluzione di continuità, consente di confrontare l’effetto della bruciatura,
del semplice interramento dei residui colturali e dell’interramento praticato con alcuni accorgimenti
agronomici, come la distribuzione di dosi crescenti di azoto sui residui colturali prima
dell’interramento, e la simulazione di una pioggia
abbondante sulla degradazione della sostanza
Tab. 1 – Contrasti ortogonali
organica, attraverso un’irrigazione di 50 mm.
Bruciatura vs Interramento
In questo lavoro si riportano i risultati di C1
un’indagine chimica volta a verificare l’effetto di C2
Interramento: N in copertura vs no N
32 anni di bruciatura e interramento in C3
Interramento: N sui residui vs no N
monosuccessione di frumento, sullo stato della
Interramento: acqua sui residui vs no acqua
fertilità chimica del suolo relativamente a C4
sostanza organica, azoto, fosforo e potassio.
No acqua sui residui: componente lineare
C5
di N
Metodologia
No acqua sui residui: componente
La ricerca, attualmente finanziata nell’ambito del C6
quadratica di N
Progetto di ricerca EFFICOND (Coord. Dr. P.
Acqua sui residui: componente lineare di N
Bazzoffi), è stata avviata nell’autunno del 1977 a C7
Acqua sui residui: componente quadratica
Foggia (41° 27’ lat. N, 3° 04’ long. E, 90 m C8
di N
s.l.m.) presso l’Azienda Sperimentale “Podere
124” del CRA-SCA, Il suolo è un Vertisuolo limoso-argilloso di origine alluvionale, classificato come
Typic Chromoxerert, Fine, Mesic secondo la tassonomia USDA.
Lo schema sperimentale utilizzato è il blocco randomizzato con cinque ripetizioni e 9 tesi su parcelle di
80 m2: T1 - bruciatura dei residui colturali del frumento; T2 - interramento; T3 - interramento + 50 kg
ha-1 di N (urea) sui residui; T4 - interramento + 100 kg ha-1 di N sui residui; T5 interramento + 150 kg
ha-1 di N sui residui; T6 - trattamento T3 + 500 m3 ha-1 di acqua sui residui; T7 - trattamento T4 + 500
253
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
3
-1
m ha ; T8 - trattamento T5 + 500 m3 ha-1; T9 - interramento dei residui senza N su paglie e in
copertura.
Su campioni di suolo, prelevati il 19 marzo 2009, è stato determinato il contenuto in: azoto totale (N
Tot) secondo il metodo di Kjeldahl, fosforo assimilabile (P2O5) secondo il metodo Olsen, potassio
scambiabile (K), sodio (Na), calcio (Ca), magnesio (Mg), Carbonio Organico Totale (TOC), secondo il
metodo Springer & Klee, Carbonio Totale Estratto (TEC) e acidi Umici e Fulvici (U+F), secondo il
metodo di Stevenson. Dai parametri di TOC, TEC e U+F, sono stati calcolati: contenuto in S.O. del
suolo; DH, grado di umificazione, rapporto tra il contenuto di carbonio umico (HA+FA) e quello del
carbonio organico totale estratto (TEC); HR, tasso di umificazione, rapporto tra la quantità di carbonio
umico (HA+FA) e quella del carbonio organico totale (TOC).
1620
15
1610
14
1600
-1
*
13
12
1580
1570
11
1560
TOC e TEC g kg-1
K mg kg
n.s.
*
1590
10
n.s.
1550
9
1540
1530
8
bruciatura
interramento
K
bruciatura
interramento
TOC
N sui residui N0 sui residui N sui residui N0 sui residui
TOC Interramento
TEC Interramento
Figura 1. Contenuto di K, TOC e TEC. *: differenza
significativa per P<0.05; n.s.: differenza non
Trattamenti
significativa
Risultati e conclusioni
La Figura 1 mette in evidenza quanto è emerso dall’analisi della varianza con il metodo dei contrasti
ortogonali. Dopo 32 anni di trattamenti reiterati senza soluzione di continuità, la bruciatura, rispetto
all’interramento, ha fatto registrare un incremento statisticamente significativo del contenuto in K pari
al 3,6%. La pratica dell’interramento ha determinato, rispetto alla bruciatura, un incremento del
contenuto in S.O. dello 0,7%, ma esso non è risultato non significativo. Considerano solo le tesi in cui
viene effettuato l’interramento, è stato possibile osservare che la somministrazione di N sui residui
colturali, al momento dell’interramento, ha avuto un effetto positivo determinando un incremento
statisticamente significativo del TOC pari al 5,7%. Il TEC, al contrario, non ha mostrato differenze
statisticamente significative attribuibili alla gestione dei residui (incremento medio del 3,3%).
In definitiva, emerge, che l’interramento dei residui colturali tende a migliorare sia l’aspetto quantitativo
della S.O., sia l’aspetto qualitativo. Infatti il grado di umificazione (DH), per le parcelle sottoposte ad
interramento, ha denotato un incremento del 6,7% rispetto a quelle della bruciatura. La
somministrazione di azoto sui residui colturali ha consentito una migliore degradazione della S.O.
fresca apportata. Dall’analisi dei dati è emerso, infatti, che, come riportato in letteratura, la
somministrazione di azoto alle paglie al momento dell’interramento ha fornito i migliori risultati per
quanto riguarda il contenuto in S.O. del suolo, anche con una dose minima pari a 50 kg ha-1 di N. Al
contrario l’effetto della somministrazione di acqua (50 mm) sulle stoppie non è risultato significativo.
254
SESSIONE III – AGRONOMIA E POLITICHE DI SVILUPPO RURALE
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Analisi dei Caratteri del Paesaggio
Classificazione Territoriale
Anna Rita Bernadette Cammerino, Lorenzo Piacquadio, Massimo Monteleone
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
Il paesaggio, secondo l’accezione pertinente all’analisi ecologica (Forman e Godron, 1986), si
caratterizza per un insieme (clusters) di ecosistemi tra loro interagenti e variamente ripetuti secondo
riconoscibili modelli spaziali (patterns); il paesaggio, quindi, costit
uisce una particolare e specifica configurazione di elementi biotici ed abiotici a partire da fattori
inerenti, ad esempio, la topografia, la copertura da parte della vegetazione, l’uso del suolo, ecc. che
determinano, nel loro complesso, alcune coerenze di processi naturali ed antropici (Green et al., 1996).
Una componente imprescindibile (si direbbe ormai prevalente) del paesaggio è oggi costituita da quella
parte del territorio dedicato all’agricoltura; esso non deve essere considerato meramente come
l’espressione delle finalità produttive dell’uomo applicate all’ambiente, bensì una ricca e singolare
interazione fra l’intervento forgiante antropico e le condizioni della natura, dunque il risultato di una
“sintesi” evolutiva che può assumere, alternativamente, i caratteri della complessità biologica così come
quelli di una drastica semplificazione. Ne consegue che l’esercizio dell’agricoltura può, a seconda delle
condizioni, salvaguardare l’ambiente oppure contribuire al suo degrado. Il presente lavoro ha riguardato
la “lettura” ed “interpretazione” del paesaggio del territorio del Gargano, vasto promontorio situato in
provincia di Foggia, attraverso due diverse analisi condotte a partire da differenti data-set relativi alla
copertura e/o all’uso del suolo. Ne è scaturita una zonazione territoriale utile alla definizione di strategie
di pianificazione e gestione territoriale.
Metodologia
La prima analisi ha impiegato i dati relativi al V Censimento dell’agricoltura (ISTAT, 2000). La
seconda, parallela alla precedente, ha considerato il database relativo al Corine Land Cover, IV
livello (APAT, 2005). Quest’ultima procedura ha consentito di elaborare dati georeferenziati circa
la distribuzione delle diverse coperture del suolo nell’area investigata. In entrambi i casi, l’unità
territoriale di riferimento è stata indicata nel territorio comunale, essendo i comuni afferenti al
territorio del Gargano complessivamente pari a 18. Relativamente ai dati censuari, l’analisi
statistica è stata condotta a partire dai valori d’incidenza delle superfici dei seminativi, dei pascoli
e dei prati permanenti, del bosco; con riferimento alle colture legnose agrarie, sono state
considerate l’incidenza delle superfici della vite, dell’olivo, degli agrumi e dei fruttiferi. Riguardo
al data-set Corine, l’analisi statistica è stata condotta a partire dai valori d’incidenza delle superfici
agricole, considerando le superfici a seminativo, quelle investite a colture arboree da frutto (vigneti
ed oliveti, in particolare), i prati stabili, le zone agricole eterogenee; nel novero delle superfici a
copertura naturale o semi-naturale, l’incidenza delle superfici boscate prevede la distinzione fra
boschi di latifoglie, di conifere e boschi misti, nonché la valutazione dell’incidenza delle superfici
a praterie e macchia mediterranea. Per entrambe le analisi, i valori percentuali delle superfici
assegnate alle differenti classi d’uso del suolo sono stati elaborati statisticamente secondo una
procedura di tipo multivariato, consistente in una serie di passaggi successivi: un’analisi di
correlazione, prima, una successiva analisi fattoriale ed una procedura finale di raggruppamento
(clustering). Scopo dell’analisi è stato quello di identificare alcune componenti della struttura del
paesaggio (indipendenti od “ortogonali” fra loro), utili a definire un set più ristretto di indici che
possano fungere da caratteri discriminanti dell’area complessivamente investigata (Ritters et al.,
1995). Ciascun raggruppamento venutosi a determinare tende pertanto a rappresentare una precisa
tipologia di riferimento (potremmo definirla “unità paesistica”) ai fini della caratterizzazione del
sistema del paesaggio garganico.
257
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
L’analisi statistica ha consentito di
identificare
quattro
raggruppamenti
territoriali principali con riferimento sia al
data set ISTAT che Corine (e
rispettivamente sette e sei sottoraggruppamenti). Buono è risultato
l’accordo fra le due classificazioni. Con
riferimento alle classi territoriali si
distinguono (Fig. 1): C1.1 = territori della
pianura interna e delle propaggini
occidentali del promontorio; C1.2 = territori
della pianura litoranea, a Nord-Ovest e SudEst del promontorio; C3 = territori della
collina centrale del promontorio; C4 =
territori della collina litoranea relativa alla
porzione più orientale del promontorio. Le
peculiari trasformazioni paesistiche che
intervengono nella caratterizzazione del
territorio garganico possono essere
sintetizzate identificando due direttrici
contrapposte: l’una marcatamente agricola,
che si riconosce per la rilevante incidenza
Figura 1. Rappresentazione del promontorio garganico; i territori
dei seminativi rispetto alle colture arboree, al
comuni in cui esso è ripartito sono assegnati alle quattro classi
pascolo ed alle superfici boscate, in netta
scaturite dall’analisi della composizione paesistica.
prevalenza nei territori di pianura interna
(C1.1) o litoranea (C1.2) che gradatamente
ascendono verso la collina. L’altra trasformazione è di segno contrario, ossia reca un’impronta agricola meno
marcata; essa può manifestarsi nei termini alternativi di una maggiore incidenza del bosco rispetto al prato ed
al pascolo (territori C4) o, nei termini opposti, di prevalenza relativa dei prati e del pascolo o della macchia
mediterranea rispetto al bosco (territori C3). A queste direttrici di modellamento paesistico se ne associa
un’altra: quella che vede l’incidenza crescente delle coltivazioni arboree da frutto, in particolare passando
dalle aree di pianura (C1) a quelle della collina interna (C3) fino ad arrivare alla collina litoranea (C4), tutta
spostata ad oriente; in particolare, marcata è la tendenza all’incremento relativo degli agrumeti a misura che
aumenti la rilevanza generale delle colture arboree; ciò avviene, sempre in termini relativi, a discapito di altre
colture legnose, in particolare dei fruttiferi e dei vigneti, che sono maggiormente rappresentati nelle aree
agricole a maggiore intensità colturale (particolarmente in pianura) e dell’olivo in quelle più estensive.
Conclusioni
Le due distinte fonti d’informazione, da cui è discesa l’elaborazione statistica dei dati, hanno fornito
informazioni complementari, entrambe utili all’identificazione di aree omogenee per caratterizzazione
paesistica e modelli d’uso del suolo. Dalla fonte censuaria ISTAT è derivata un’interpretazione
tendenzialmente più esaustiva sul fronte dell’uso agricolo del suolo; i dati di derivazione Corine sono
apparsi più completi nella descrizione dei caratteri naturalistici del paesaggio. Nel complesso, è stato
possibile riconoscere la “vocazione” dei diversi territori comunali e procedere all’analisi dello spazio
geografico in termini di rapporti fra aree a maggiore o minore grado di “naturalità” o, all’opposto, di
“antropizzazione”, identificandone i rapporti di complementarietà ed equilibrio.
Bibliografia
Forman R.T.T. e Godron M., 1986. Landscpae Ecology. John Wiley and Sons, New York.
Green B.H. et al. 1996. Landscape Conservation: Some Steps Towards Developing a New Conservation Dimension. A
draft report of the IUCN-CESP Landscape Conservation Working Group. Dept. Agriculture, Horticulture and
Environment, Wye College, Ashford, Kent, UK.
Riitters, K.H. et al. 1995. A factor analysis of landscape pattern and structure metrics. Landsc. Ecol. 10: 23–39.
258
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Identificazione e Caratterizzazione di Aree Agricole ad
Elevato Valore Naturalistico in Territorio pre-Appenninico
Anna Rita Bernadette Cammerino, Lorenzo Piacquadio, Massimo Monteleone
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Univ. Foggia, IT, [email protected]
Introduzione
Nel contesto europeo, le Aree Agricole ad Alto Valore Naturalistico (HNVF) rappresentano
agroecosistemi che conservano una ricca varietà di habitat e di specie di grande interesse
conservazionistico; in esse, l’attività agricola costituisce l’elemento prevalente e forgiante che, nel corso
del tempo, ha dato vita a numerose forme di paesaggio (Andersen, 2003). In particolare, tali aree si
riscontrano dove i sistemi di produzione agricola sono estensivi, ovvero minore è il ricorso ad input
agrotecnici, e sono preservate particolari infrastrutture a carattere ecologico (es. siepi, fasce inerbite,
filari di alberi, macchie di vegetazione spontanea, ecc.). Fra gli habitat prevalenti che rientrano in queste
aree si annoverano le formazioni prato-pascolative permanenti, le aree agroforestali, le aree steppiche, le
zone umide. Le HNVF sono ritenute strategiche al fine di arrestare la perdita di biodiversità; di qui la
necessità di attuare, a livello comunitario, iniziative volte alla loro identificazione e misure finalizzate
alla
loro
conservazione.
L’obiettivo del
presente lavoro
è quello di
proporre
un
processo
metodologico
utile ai fini della
localizzazione
delle
HNVF;
l’area
di
interesse
è
quella dei Monti
Dauni
Meridionali in
provincia
di
Foggia.
Metodologia
Due approcci
distinti
e
complementari
sono
stati
proposti
e
verificati
in Figura 1. Localizzazione delle HNVF potenziali identificate tramite “land use
approach” con riferimento ad un’area dei Monti Dauni meridionali
questa sede. Il
land
use
approach, operando su scala vasta a partire dai dati di uso/copertura del suolo e mediante l’impiego del
GIS, ha consentito d’individuare le differenti “tessere” (o patches) del mosaico ecologico territoriale; le
classi d’uso/copertura del suolo sono state quindi convertite nei corrispondenti biotopi e ad essi è stato
assegnato un particolare grado di naturalità. La metodologia adottata, quindi, è di tipo top-down (ossia
dall’alto verso il basso) ed ha consentito di selezionare quei “tasselli” agro-ecologici che, per caratteri
259
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
intrinseci e soprattutto per condizioni di vicinanza e prossimità ad altri “tasselli” d’interesse,
evidenziassero prerogative di notevole valore naturale. Questi tasselli o tessere sono stati identificati a
partire dalla “trama” generale del territorio indagato. Il secondo approccio, diametralmente
complementare al primo, è definito farming system approach. che si basa sulla valutazione diretta (ossia
tramite sopralluoghi ed analisi aziendale) del grado di sostenibilità che contraddistingue la gestione
dell’azienda. A ciò occorre aggiungere la verifica della presenza di eventuali infrastrutture ecologiche
(siepi, filari alberati, arbusti, margini inerbiti, cavedagne, ecc.) in grado di valorizzare l’area dal punto di
vista naturalistico, in rapporto all’estensione, composizione, varietà ed articolazione, complessità,
funzionalità delle infrastrutture medesime. A tal fine, sono stati applicati specifici indicatori inerenti la
struttura e la qualità dell’agro-paesaggio (Lazzerini e Vazzana, 2008). Tale metodologia, dunque, è di
tipo bottom-up (ossia dal basso verso l’alto), in quanto valuta l’idoneità dell’area in base all’effettiva
presenza e qualità delle sue componenti ecologiche, ambientali e paesaggistiche.
Risultati
L’applicazione della strategia land use sull’intero territorio provinciale ha consentito la localizzazione
delle potenziali HNVF (Fig. 1). Le aree agricole in cui si concentra la quota più rilevante del valore
naturalistico si riferiscono per lo più all’area sub-appenninica, se si escludono lembi assai esili o spot
notevolmente ridotti individuati in territorio di pianura, particolarmente lungo gli assi principali della
rete idrografica. Le associazioni più frequentemente riscontrate fra componenti agricole e componenti
naturali coinvolgono i sistemi agrari a cerealicoltura estensiva “asciutta” od anche prato – pascoli
permanenti, dove le aziende manifestano una certa incidenza degli allevamenti zootecnici, quasi sempre
di tipo ovi-caprino e, più raramente, anche bovino podolico. Più rarefatte sono le aree definite “agricole
con presenza di spazi naturali importanti” o quelle ad “agromosaico eterogeneo complesso”. In tali
contesti, vigneti, oliveti e frutteti sono del tutto sporadici.
La metodologia farming system, basandosi su di una valutazione diretta delle aziende, è stata applicata
ad una un’area di studio più circoscritta, scegliendo tre aziende rappresentative dei biotopi presenti
nell’area. Per brevità, ci si limita a riferire il carattere ancora provvisorio e del tutto “aperto” degli
indicatori, solo di recente proposti in letteratura e non ancora soggetti ad un’ampia verifica.
Conclusioni
Lo studio evidenzia l’importanza di entrambi gli approcci metodologici. L’area analizzata mediante
l’approccio farming system manifesta caratteri riconducibili alle Aree Agricole ad Alto Valore
Naturalistico. Sulla scorta dei valori assunti dagli indici nonché in base a quanto valutato direttamente in
campo, con riferimento alle componenti vegetazionali presenti sulle diverse superfici aziendali, è
possibile concludere che il valore naturalistico associabile a queste aree mostra i segni di una
“necessaria” estensivizzazione, frutto della tendenziale marginalità economica in cui tali aziende
generalmente versano, ciò che non rende conveniente un livello superiore d’impiego degli input agrotecnici. Gli spazi naturali o naturaliformi presenti nelle suddette aree sono più il risultato di un ritiro
delle superfici dalla produzione piuttosto che di un “investimento” aziendale in naturalità; in altri
termini, le infrastrutture agro-ecologiche osservate hanno una marcata valenza “residuale”.
Le considerazioni precedenti evidenziano la necessità di procedere al riconoscimento pieno dell’utilità
sociale e del valore dei servizi ambientali erogati dalle aziende in questione da parte dell’Unione
europea e dei suoi Stati membri. Di pari passo, occorre accrescere significativamente la consapevolezza
degli agricoltori insediati in queste aree, al fine di adottare strategie di gestione che sappiano superare i
limiti di un’agricoltura unicamente rivolta alla produzione, per abbracciare con convinzione e capacità
professionale le esigenze di un’agricoltura che valorizzi l’ambiente, il paesaggio, la biodiversità, in
grado di presidiare il territorio e salvaguardarne i caratteri più salienti.
Bibliografia
AA VV, 2004. High nature value farmland: Characteristics, trends and policy challenges. EEA Report.
Andersen E. (ed.), 2003. Developing a high nature value farming area indicator. Internal report EEA. European
Environment Agency, Copenhagen.
Lazzerini G. e Vazzana C., 2008 – Analisi a livello aziendale. In “Indicatori di Biodiversità per la sostenibilità in
Agricoltura. APAT.
260
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Valutazione dell’Impatto della Direttiva Nitrati in una
Azienda Zootecnica della Pianura Friulana
Paolo Ceccon, Valeria Muzzolini
Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Udine, IT, [email protected]
Introduzione
La lisciviazione dei nitrati contribuisce in maniera molto rilevante alle perdite complessive di azoto
nell’ecosistema, rappresentandone, secondo recenti stime, il 34% a livello mondiale e il 48% in Europa
(Liu et al. 2010); tale fenomeno è responsabile dell’allontanamento dal sistema agrario del 27%
dell’azoto apportato con i concimi.
La Direttiva Nitrati (91/676/CEE) ha inteso introdurre norme per attenuare e prevenire l’inquinamento
dei corpi idrici da nitrati di origine agricola. Ancorché recepita con grave ritardo nel nostro Paese, la
Direttiva Nitrati, attraverso la designazione delle Zone Vulnerabili da Nitrati (ZVN) e la
predisposizione dei programmi d’azione, pone importanti vincoli alla conduzione agricola dei suoli, i
cui effetti sono difficilmente valutabili con metodi convenzionali.
Il presente studio è stato condotto con l’obiettivo di stimare gli effetti dell’adozione del programma
d’azione in un’azienda zootecnica friulana attraverso l’impiego di un modello di simulazione di sistema
colturale.
Metodologia
Un’azienda zootecnica ricadente in ZVN della pianura del Friuli Venezia Giulia (FVG) è stata
individuata secondo criteri di rappresentatività pedo-climatica, tecnico-organizzativa e dimensionale
rispetto al panorama delle aziende regionali. L’azienda conta circa 90 ha di proprietà, prevalentemente
irrigui, coltivati a mais da granella e, su minori superfici, orzo, frumento, soia e colza, lasciando a prato
le aree marginali. I suoli sono di natura franco-sabbiosa, ricchi di scheletro, con medio contenuto in C
organico (ca. 2.2%); le precipitazioni medie annue ammontano a circa 1400 mm. L’azienda pratica
l’allevamento di suini da ingrasso (1500 capi; 1.7 cicli/anno) e di broilers (150000 capi; 4.5 cicli/anno),
con una produzione media annua di 36500 kg N da reflui zootecnici, di cui 25500 come pollina e 11000
come liquame suino.
Lo studio ha posto a confronto la gestione aziendale precedente (ex-ante) all’adozione del programma
d’azione della Regione FVG per le aziende localizzate in ZVN (B.U.R. FVG, 2008), facente
riferimento alle pratiche agricole del quinquennio 2002-2006 ricavate da intervista al titolare
dell’azienda, con la gestione aziendale successiva all’adozione del programma d’azione (ex-post)
desunta dal Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA) predisposto dal titolare per il quinquennio 200812. La consistenza zootecnica, e quindi la produzione di reflui, è stata considerata costante nei due
scenari.
I sistemi colturali praticati nelle due situazioni a confronto sono stati simulati utilizzando il modello
CropSyst (Stöckle et al. 2003) calibrato e validato nell’ambiente di prova. Le simulazioni sono state
condotte a scala particellare, utilizzando le informazioni pedologiche desunte dalla carta dei suoli della
Regione FVG, il clima monitorato dall’Osservatorio Meteorologico Regionale, le rotazioni e le tecniche
colturale acquisite come precedentemente descritto. Ogni combinazione rotazione-clima-terreno (in
numero di 86 nello scenario ex-ante e di 229 in quello ex-post) è stata condotta per un trentennio (6 cicli
di rotazioni quinquennali) utilizzando dati meteo prodotti dal generatore climatico ClimGen (Stöckle et
al., 2001) e scartando i primi 10 anni. Dei numerosi output del modello sono stati considerati in
particolare: le asportazioni da parte delle colture, le perdite in forma gassosa e le perdite per
lisciviazione. Dei valori di tali indicatori è stata calcolata la media ponderata rispetto alla superficie
dell’unità di simulazione.
261
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Risultati
Il rispetto delle normative agroambientali già vigenti nello scenario ex-ante ha indotto il titolare
dell’azienda alla sottoscrizione di contratti di spandimento dei reflui fino a portare la superficie
complessiva a 110 ha, sufficienti allo smaltimento dell’azoto prodotto dagli allevamenti. Tale superficie
è aumentata nello scenario ex-post a 236 ha, necessari in seguito alla riduzione delle dosi massime di
azoto di origine zootecnica previste dal programma d’azione, che limita anche l’apporto di azoto
minerale in misura differenziata in relazione alle colture e alle precessioni colturali: complessivamente
si è riscontrata una contrazione delle concimazioni azotate del 30% a livello medio aziendale (Tab. 1).
Tabella 1. Elementi simulati del bilancio dell’azoto prima (ex-ante) e dopo (ex-post) l’adozione del programma d’azione a
scala aziendale. Valori espressi in kg N ha-1 anno-1.
Scenario
ex-ante
ex-post
Concimazione
minerale (†)
85
135
Concimazione
organica (†)
330
157
Asportazioni
colture (‡)
103
117
Perdite per
lisciviazione (‡)
75
63
Perdite
gassose (‡)
24
40
(†) dati rilevati (‡) dati simulati
I risultati delle simulazioni (Tab. 1) suggeriscono che l’adozione del programma d’azione, in
conseguenza delle limitazioni agli apporti azotati e ai vincoli imposti alle rotazioni colturali, ha
provocato un incremento delle asportazioni medie annue di azoto da parte delle colture (+13%): tale
effetto, unitamente alla già citata riduzione degli apporti complessivi di azoto e alla razionalizzazione
delle epoche e delle modalità di distribuzione, ha indotto un apparente miglioramento dell’efficienza
d’uso dell’azoto a livello di rotazione colturale (25 vs. 40%). Sotto il profilo dell’impatto ambientale, le
prescrizioni agronomiche imposte nelle ZVN hanno determinato una diminuzione delle perdite di azoto
per lisciviazione (-16%), particolarmente accentuata nelle superfici irrigue (-22%) in quanto destinate
alle colture maggiormente esigenti in azoto, come il mais. Nello scenario ex-post si è altresì riscontrato
un aumento delle perdite di azoto in forma gassosa (ammoniacale) (+67%), correlate al maggior
impiego di concimi minerali (urea).
Conclusioni
La valutazione dell’impatto delle politiche agroambientali è limitata dalla modesta adattabilità dei
metodi convenzionali alla scala territoriale. L’impiego di modelli di simulazione può rappresentare una
valida alternativa, sia in sede di progettazione delle misure agroambientali, sia nella fase di valutazione
ex-post.
I risultati ottenuti nel presente studio mettono in luce la sostanziale validità delle misure implementate
nelle ZVN della Regione FVG, il cui riscontro è tuttavia fortemente condizionato dalla corretta
applicazione delle tecniche agronomiche dichiarate nei piani di utilizzazione agronomica redatti dalle
aziende.
Ricerca finanziata dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, fondi PRIN 2007, progetto “Strumenti e strategie
innovative per la progettazione di sistemi colturali per le Zone Vulnerabili da Nitrati italiane”; coordinatore nazionale:
prof. Pier Paolo Roggero.
Bibliografia
Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, n. 45 del 5 novembre 2008, p. 38.
Liu J. et al., 2010. A high-resolution assessment on global nitrogen flows in cropland. Proc. Nat. Acad. Sci., 107, 17: 80358040.
Stöckle C.O. et al., 2001. ClimGen: a flexible weather generation program. 2nd Int. Symp. Modelling Cropping Systems,
16-18 July, Florence, Italy, 229-230.
Stöckle C.O. et al. 2003. CropSyst, a cropping systems simulation model. Eur. J. Agron., 18: 289-307.
262
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Agronomia Territoriale, Funzioni Agro-Ambientali e
Politiche di Sviluppo: alcune Evidenze in Recenti Esperienze
di Ricerca
Mariassunta Galli1, Marta Debolini1, Elisa Marraccini1,2, Enrico Bonari1
1
Land Lab, Scuola Superiore Sant'Anna, [email protected]
2
Cemagref, UMR Métafort, Aubière (France)
Introduzione
Negli ultimi anni gli studi agronomici hanno evidenziato un adeguamento degli strumenti conoscitivi a
problematiche di ordine territoriale, anche considerando il crescente interesse per l’integrazione tra
programmazione e pianificazione (spatial planning) a supporto delle politiche di sviluppo. L’emergere
della connotazione territoriale è avvenuta in modo spontaneo con l’approfondimento di alcune
problematiche di natura agroambientale, come quelle connesse all’erosione o all’inquinamento da
nitrati a livello di bacino In previsione della PAC post-2013, gli studi agro-ambientali a scala territoriale
assumono un ruolo strategico anche nel supportare politiche di compensazione alla fornitura di servizi
pubblici da parte delle aziende. Da un punto di vista disciplinare, l’agronomia territoriale non è stata
ancora definita in modo condiviso. Stanno tuttavia emergendo alcune nuove “proprietà” disciplinari.
Una prima proprietà è la multiscalarità (MS): alle diverse scale si distinguono elementi e processi
diversi per il diverso grado di dettaglio, quindi tra loro necessariamente complementari per un quadro
conoscitivo esaustivo. Una seconda proprietà è la multitemporalità (MT) che risponde alla necessità di
caratterizzare le tendenze in atto, quindi di definire gli scenari di trasformazione e le relative misure
d’intervento. Queste due proprietà spesso conducono allo sviluppo di ricerche strutturate in fasi
successive che si alimentano progressivamente. Infine, come ultima proprietà, ci riferiamo alla
destinazione, per fini gestionali, dei quadri conoscitivi acquisiti, quindi alla necessità di restituirli con
modalità che ne permettano un uso funzionale al governo del territorio, anche dal punto di vista
strumentale (messa a punto di sistemi informativi territoriali, di modelli di simulazione di scenari, di
sistemi di supporto alle decisioni, ecc.) (G). Alla luce di queste proprietà il presente lavoro intende
evidenziare alcune criticità metodologiche (CM) attraverso una descrizione schematica di tre percorsi di
dottorato che hanno approfondito la gestione agricola a scala territoriale qualificandone alcune funzioni
agro-ambientali che, seppur supportate dalle “politiche agricole”, non avevano un quadro conoscitivo di
dettaglio a livello territoriale.
Metodo
I progetti di ricerca sono stati scomposti in funzione di tre categorie analitiche: 1) le funzioni ambientali
che costituiscono l’obiettivo dello studio (FA); 2) le modalità con cui sono stati inclusi i modelli
gestionali in funzione dell’obiettivo di studio (MG); 3) il contributo ad una migliore finalizzazione delle
politiche agro ambientali (PAA). Tali categorie caratterizzano alcuni elementi di valenza generale per
studi agronomico-territoriali funzionali a politiche orientate a supportare l’erogazione di servizi
ambientali.
In particolare i progetti proposti avevano come obiettivo la messa a punto di un metodo di analisi
agronomico-territoriale per la stima: 1) della fragilità di un paesaggio terrazzato olivato per indirizzare
gli interventi di manutenzione (Rizzo, 2007); 2) della capacità di determinate configurazione spaziali di
uso del suolo di un comprensorio agricolo a contenere l’erosione e la lisciviazione e a conservare il
paesaggio (Marraccini et al., 2010); 3) su come scenari di cambiamento di uso del suolo possano
influenzare i processi di degradazione del suolo stesso (Debolini et al., 2009).
Risultati
L’analisi dei progetti di ricerca in funzione delle categorie analitiche è riassumibile come segue.
263
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
FA
Funzione
di
regimazione delle
acque superficiali in
una situazione di
prevalente copertura
con
sistemazioni
idraulico agrarie
MG
Analisi
multicriteri
in
ambiente GIS, come somma
lineare non pesata, basata su
due tipologie di parametri:
strutturali (primari, riferiti a
caratteristiche naturali – es.
pericolosità geomorfologica;
secondari, dipendenti da
modifiche antropiche - es.
sistemazioni) e agronomicogestionali (uso del suolo e
stato delle colture)
Funzione
di
protezione
delle
acque superficiali
dai
nitrati,
di
protezione
della
fertilità del suolo, di
conservazione del
mosaico
del
paesaggio in un’area
cerealicolozootecnica
Cluster analisi geografica con
assegnazione ai parametri
utilizzati di un contributo
potenziale al soddisfacimento
della funzione. Somma lineare
non pesata del contributo dei
parametri
per
ciascuna
funzione, divisi in geofisici (es.
pendenza, densità di corsi
d’acqua, qualità del suolo) e
agronomico - gestionali (uso
del suolo/pratiche agricole).
Analisi dei cambiamenti di
uso del suolo tramite
fotointerpretazione di foto
aeree relative a tre intervalli
temporali degli ultimi 15
anni; interviste in azienda per
la valutazione dei modelli
gestionali. I fattori acquisiti
sono stati utilizzati per la
modellizzazione dei processi
erosivi.
Funzione
di
protezione del suolo
dall’erosione e dalla
perdita di sostanza
organica
nella
collina interna della
Toscana
meridionale
PAA
Identificazione di un indice
di fragilità classato su quattro
livelli di suscettibilità alla
perdita della funzione. A
ciascuna classe corrisponde
una progressione di interventi
per la manutenzione, da
ordinari
a
straordinari.
Produzione di una carta di
fragilità
adottata
per
indirizzare la gestione delle
sistemazioni con il supporto
di un manuale tecnico.
Produzione
di
una
cartografia
del
soddisfacimento
delle
funzioni agro-ambientali (3
categorie:
soddisfatte,
intermedie, non soddisfatte)
e identificazione di un
indicatore spaziale in grado
di predire il soddisfacimento
delle funzioni in una
determinata area ad un
momento x.
Identificazione di modalità di
gestione
del
territorio
compatibili
con
la
conservazione del suolo.
Produzione
di
una
cartografia del rischio di
erosione e di perdita di
sostanza organica a scala
provinciale e identificazione
di macroaree in cui proporre
modalità produttive distinte.
CM
Mancanza di un adeguato
quadro
conoscitivo
della
organizzazione gestionale a
livello di azienda/proprietà
perché estremamente frazionata
ed eterogenea (MS), quindi
difficoltà a definire scenari di
trasformazione dell’uso del
suolo e dei modelli gestionali
(MT). Difficile validazione della
stima della fragilità (G).
Difficoltà di accesso a dati
riguardanti le pratiche agricole e
l’articolazione
dei
sistemi
colturali e aziendali (MS).
Difficile
validazione
delle
funzioni per mancanza di
cartografia comparativa e quindi
delle configurazioni spaziali
dell’uso del suolo identificate.
Validazione possibile attraverso
gli utilizzatori finali delle mappe
prodotte (G).
Mancanza di dati continui nel
tempo sui parametri idrologici
per la valutazione dell’erosione
(MT)
e
difficoltà
nel
reperimento
di
dati
sull’organizzazione gestionale a
causa dell’estensione dell’area di
studio (MS). Difficoltà nella fase
di validazione, per la mancanza
di dati sul trasporto di sedimenti
a livello di bacino (MS).
Conclusioni
L’agronomia territoriale potrà esercitare un ruolo sempre più decisivo nel supportare le politiche di
sviluppo agricolo ma, come evidenziato, i campi applicativi mettono in luce numerose complessità di
ordine metodologico che per essere risolte hanno necessità anche di finanziamenti finalizzati
all’acquisizione dei dati primari. Ciò tuttavia costituisce un passaggio basilare per il rafforzamento della
fornitura di beni e servizi pubblici in agricoltura con una positiva ricaduta su tutta la collettività.
Bibliografia
Marraccini et al. 2010. Spatial variability of agro-environmental functions fulfilment in a Mediterranean agricultural
landscape. Proceedings of the XI ESA Congress, 29 August- 2 September 2010, Montepellier (France), in press
Debolini M., et al. 2009. Spatial assessment of agro-environmental functions for sustainable land management. A case study
in the Province of Grosseto (Tuscany). Proceedings of the European IALE Conference, Salzburg.
ber 2010, Montpellier (France) in press.
Rizzo D., et al. 2007. The geoagronomic approach to the rural landscapes management: a methodological path to characterize
contemporary challenges Proceedings of the IALE world congress: 25 years Landscape Ecology; scientific principles in
practice, Wageningen (Netherlands), 8-12 July, 805-806.
264
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Erosione del Suolo e Inquinamento da Nitrati: Valutazione
Integrata e Partecipativa delle Misure Agro-ambientali
Martina Perugini1, Marco Toderi1, Giovanna Seddaiu2,3, Roberto Orsini1, Giacomo De
Sanctis3, Pier Paolo Roggero2,3
1
Dip. Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle Marche, IT, [email protected]
2
Dip. Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università degli studi di Sassari, IT, [email protected]
3
Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione, Università degli studi di Sassari, IT, [email protected]
Introduzione
L’Unione Europea richiede ai paesi membri una valutazione ex-post dei Piani di Sviluppo Rurale (PSR) per
la quale fornisce un set di indicatori agro-ambientali (IAA) e di criteri di valutazione (Doc. STAR
VI/43517/02, VI/12004/00, VI/8865/99). La Regione Marche, ad integrazione della valutazione indipendente
del PSR condotta dalla Ati Ecoter-Resco-Unicab, ha commissionato agli autori (gruppo di lavoro SAPROV)
una valutazione quantitativa dell’impatto delle misure agroambientali (basso impatto ambientale e biologico)
sulle perdite di nitrati ed erosione idrica del suolo. In questo lavoro, si riportano in sintesi le “lessons learned”
da questa esperienza, che è stata condotta attraverso l’integrazione di metodologie a diversa scala d’indagine
relative ad aspetti agro-ambientali, politico-istituzionali e partecipative.
Metodologia
L’approccio metodologico si è basato sull’integrazione degli output derivanti da diversi strumenti analitici
quantitativi, applicati dai ricercatori, e dalle percezioni degli stakeholder, soprattutto istituzionali (Perugini et
al., 2009). La valutazione dell’impatto delle misure agro-ambientali si è quindi basata sull’analisi di alcuni
IAA relativi ad erosione del suolo ed inquinamento da nitrati a diversa scala di indagine (territoriale, bacino,
campo e stakeholder) come illustrato nella Tabella 1.
L’analisi della valutazione è basata sull’applicazione del framework diagnostico (DF) proposto da Steyaert e
Jiggins (2007), sviluppato nell’ambito del progetto UE FP5 “SLIM”. Il DF consente di analizzare i
cambiamenti delle pratiche in uno specifico contesto e come questi siano influenzati dal cambiamento nella
capacità di interpretazione del funzionamento del sistema di interesse da parte degli stakeholder.
L’applicazione del DF richiede l’analisi di quattro variabili: interessi in gioco, istituzioni e politiche, vincoli
ecologici e facilitazione dell’apprendiemnto. In particolare, lo studio ha riguardato l’analisi della percezione
dei fattori ecologici e istituzionali da parte degli stakeholder.
Risultati
Dalla valutazione indipendente eseguita tenendo conto dei soli IAA desunti dai documenti STAR, emerge
una buona rispondenza tra misure adottate e riduzione dell’impatto ambientale. Dal monitoraggio a scala di
bacino e dalle simulazioni ottenute dai modelli matematici risulta che uno dei fattori chiave di controllo
dell’erosione del suolo e dell’inquinamento delle acque da nitrati è il grado di diversificazione dei sistemi
colturali nello spazio e nel tempo, in particolare in aree collinari. Questo aspetto non era incluso nelle misure
agroambientali del PSR, la cui efficacia (Perugini et al., 2009) non ha trovato sostanziali riscontri nelle
valutazioni quantitative. La discrepanza di risultati tra valutazione indipendente e valutazione quantitativa è
da mettere in relazione con la diversa metodologia di indagine adottata. Infatti, alcuni indicatori previsti dalla
UE per la valutazione (es. bilanci apparenti dell’azoto) non tengono sufficientemente conto delle specificità
ambientali locali, in altri casi presumono una relazione lineare causa-effetto (es: riduzione
concimazione=riduzione perdite nitrati) che frequentemente non trova riscontro, perché le modalità di
attuazione delle misure non è a scala idonea, come riferito da alcuni dirigenti della Regione, “…la scala di
applicazione delle misure agroambientali della UE è assolutamente aziendale, e non territoriale…”.
L’attuazione del PSR in ambito regionale non poteva che riflettere questi indirizzi. Infatti, nonostante
l’interesse mostrato dai decisori locali verso iniziative a scala territoriale, la loro principale priorità è quella di
soddisfare le richieste della UE e di utilizzare nei tempi previsti tutte le risorse finanziarie assegnate.
265
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Tabella 1 Attività di valutazione ex-post, integrata e partecipativa, realizzate dal Valutatore Indipendente (VI, ATI EcoterResco-Unicab, 2008) e dal gruppo di lavoro SAPROV in risposta ai criteri dei documenti STAR nell’ambito della
valutazione ex-post delle misure agro-ambientali del PSR
Valutatore
Scala
Spaziale
VI
Territoriale
SAPROV
Bacino
Campo
Stakeholder
IAA e strumenti metodologici di
valutazione adottati
Superficie che ha aderito alla misura
(IAA)
Interviste ai beneficiari e non
beneficiari del PSR (IAA)
Monitoraggio sistema colturale
Monitoraggio produzioni colturali
Bilanci dell’azoto kg/ha/anno (IAA)
Trasporto dei nitrate nel runoff (IAA)
azoto nell’acqua superficiale (IAA)
azoto nell’acqua profonda (IAA)
solidi sospesi nelle acque di drenaggio
Modello EUROSEM
Monitoraggio sistema colturale
Monitoraggio produzioni colturali
Bilanci dell’azoto kg/ha/anno (IAA)
Modello DSSAT
Questionari agli agricoltori
Interviste semi-strutturate agricoltori
workshop partecipativi
Interviste semi-strutturate funz.politici
Focus group
EUROSEM come dialogical tool
Riduzione
erosione
suolo
Riduzione input
agricoli
inquinanti
Miglioramento
qualità dell’acqua
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
DSSAT come dialogical tool
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Conclusioni
L’analisi quantitativa di alcuni processi bio-fisici, ha messo in evidenza un impatto nullo o poco
significativo delle misure agroambientali sull’inquinamento da nitrati e sull’erosione del suolo nelle
situazioni ambientali prese in esame. L’introduzione nelle misure agro-ambientali di interventi volti a
favorire la diversificazione spazio-temporale dei sistemi colturali potrebbe favorire il raggiungimento
degli obiettivi specifici. Numerosi sono i vincoli emersi che, sulla base del DF, mettono in evidenza la
necessità di instaurare un processo partecipativo e di condivisione delle problematiche, alternativo
all’approccio command and control normalmente alla base della programmazione. Un nuovo modello
di attuazione, complementare all’impiego di incentivi e sanzioni, basato sulla condivisione delle
problematiche sito-specifiche tra stakeholder (funzionari regionali, agricoltori, ricercatori, ecc.),
potrebbe favorire l’adozione di misure agroambientali più efficaci e avviare un percorso di
apprendimento che si traduca in pratiche agronomiche desiderabili. Ciò implica l’istituzionalizzazione
di strumenti di facilitazione finalizzati alla concertazione delle azioni a scala territoriale. In questa
prospettiva, la ricerca agronomica ha offerto elementi essenziali a supporto del dialogo tra stakeholder.
Bibliografia
Ati-Ecoter-Resco-Unicab, 2008. Rapporto di valutazione ex-post. Regione Marche.
http://www.agri.marche.it/PSR%202000-2006/Valutazione%20PSR/Parte%20I%2010%20febbraio%202009.pdf
Perugini, M. et al. 2009. In: Van Ittersum, M.K., J. Wolf & H. H. Van Laar (Eds). Selected papers of AgSAP 2009.
Roggero P.P. et al. 2008. Rapporto di valutazione misure agroambientali del PSR 2000-2006. Regione Marche.
http://www.agri.marche.it/PSR%202000-2006/Valutazione%20PSR/default.htm
Steyaert P. & Jiggins J. 2007. Environ Sci Pol., 10/6:575-586.
266
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Un Nuovo Paradigma per le “Buone Pratiche” di Lotta alla
Desertificazione in Italia
Giovanna Seddaiu1,2, Stefania Solinas2, Pietro Pisanu2, Pier Paolo Roggero1,2
1
2
Dipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria, Università di Sassari, IT
Centro Interdipartimentale di Ateneo, Nucleo Ricerca Desertificazione, Università di Sassari, IT
Introduzione
Il concetto di desertificazione ha avuto varie e talvolta controverse interpretazioni, che hanno
implicazioni sulle politiche e sulle pratiche di mitigazione (Herrmann e Hutchinson, 2005; Sivakumar,
2007; Lean, 2008). In una recente review sul tema, Reynolds et al. (2007) pongono l’accento sulla
natura complessa dei processi di desertificazione e sulla necessità di sviluppare nuovi framework
concettuali per affrontare il problema in maniera efficiente ed efficace.
Questo lavoro riassume in sintesi un’indagine portata avanti nell’ambito di un accordo di programma
tra il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e il Nucleo di Ricerca sulla
Desertificazione dell’Università degli studi di Sassari con l’obiettivo di supportare l’adozione di “buone
pratiche” per la lotta alla desertificazione a livello nazionale, partendo da situazioni esemplari di
riferimento.
Metodologia
Sono stati analizzati circa 50 tra documenti (comunicazione e proposta di direttiva comunitaria, decreto
legislativo, programmi di sviluppo rurale regionali, piani di azione locale e progetti pilota relativi ad
azioni sperimentali di lotta alla desertificazione, manuali tecnici, ecc.) e casi di studio individuati
attraverso interviste a soggetti istituzionali ed esperti locali, come potenziali situazioni esemplari di
attuazione di buone pratiche nelle cinque regioni italiane più vulnerabili (Puglia, Basilicata, Calabria,
Sicilia e Sardegna). Con i dati raccolti è stato realizzato un database che fa riferimento ad un sistema di
indicatori per facilitare la rapida analisi dei contenuti dei documenti e dei casi considerati. Le situazioni
esemplari sono state selezionate in base ai seguenti criteri: 1) Collegamento delle pratiche ai quattro
settori di riferimento definiti dalla delibera CIPE 229/99 “Programma Nazionale per la lotta alla siccità
e alla desertificazione” (protezione del suolo; gestione sostenibile delle risorse idriche; riduzione degli
impatti delle attività produttive; riequilibrio del territorio); 2) Applicazioni a scala territoriale; 3)
Trasferibilità del processo di attuazione ad altri contesti; 4) Esistenza di piani di valutazione
dell’effettività nel medio-lungo periodo.
I casi di studio individuati sono stati analizzati impiegando come riferimento il framework sviluppato
nell’ambito del progetto UE FP5 SLIM (Social Learning for the Integrated Management and
sustainable use of water at catchment scale), centrato sul concetto di apprendimento sociale (social
learning), inteso come processo che emerge dall’interazione facilitata tra stakeholder tra loro
interdipendenti, che condividono esperienze su questioni complesse, caratterizzate da interdipendenze
tra processi biofisici e sociali, incertezze e controversie nell’individuazione di soluzioni (SLIM, 2004).
Risultati
Dei ventisei casi di studio presi in esame, ne sono stati selezionati dieci su cui è stato applicato
preliminarmente il framework di valutazione. Su questi (tabella 1) è stata effettuata un’analisi
approfondita che ha permesso di testare la validità del framework rispetto ad un’ampia gamma di
tipologie di pratiche e situazioni. E' stato inoltre realizzato un glossario di riferimento contenente 163
definizioni in italiano sul tema della desertificazione.
Conclusioni
L’analisi dei 10 casi di studio con il framework SLIM ha messo in evidenza diversi elementi in comune
alle diverse situazioni, utili ai fini della loro trasferibilità: 1) La natura delle questioni relative alla lotta
alla desertificazione è sempre complessa perché deriva dall’interazione tra processi bio-fisici e contesto
267
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
socio-economico; 2) I processi di desertificazione sono poco percepiti socialmente o si verificano
improvvisamente sotto forma di calamità, quando è ormai tardi per mitigarli. Per questo motivo
mancano esempi di pratiche “bottom-up” e lo “stakeholding” è spesso orientato ad ostacolare le
iniziative di prevenzione; 3) Efficaci pratiche di lotta alla desertificazione possono essere inizialmente
avviate da “decisori” in un contesto di politiche e istituzioni che non ostacoli la loro adozione. Tuttavia,
per essere durature (effettività) richiedono continui investimenti sui processi di facilitazione
dell’apprendimento sociale tra quegli stakeholder che dovranno garantire continuità e capacità di
adattamento alle mutevoli condizioni di contesto; 4) Il ruolo di attori chiave può essere strategico per
facilitare l’apprendimento sociale finalizzato all’adozione di pratiche efficaci; 5) I paradigmi “gestire in
maniera adattativa” (adaptive managing) e “pratiche desiderabili” (desirable practice) si sono rivelati
più utili di quelli di “gestione sostenibile” (sustainable management) e “buone pratiche” (best practice).
Attraverso questi nuovi paradigmi, infatti, la lotta alla desertificazione viene indirizzata verso continui
interventi di facilitazione dell’apprendimento orientati a garantire un miglioramento delle capacità di
mitigazione ed adattamento attraverso lo sviluppo di azioni concertate.
Tabella 1 - Sintesi delle situazioni esemplari di riferimento di attuazione di buone pratiche di lotta alla desertificazione.
Caso di studio
Pratica
Key triggers/ Crisi su cui è stato costruito il
sistema di interesse
Cosa rimarrà dopo
gli interventi?
Uso di acque reflue per scopi
irrigui ad Ostuni - Puglia
Gestione sostenibile della risorsa
idrica a Ferrandina - Basilicata
Riciclo acqua
reflua
Riciclo acqua
reflua
Fondi FESR/ Siccità
Tecnologia
affinamento acqua
Conoscenza
scientifica
Certificazione forestale Sardegna;
Certificazione
forestale FSC
Sensibilità ambientale di un owner/
Difficoltà di gestione, esigenza di
pianificazione
Macalube di Aragona - Sicilia
Restauro ecologico Fondi LIFE; PSR ricerca scientifica/ Crisi
settore agricolo; perdita di biodiversità
Area protetta
Gestione conservativa
dell'irrigazione - Sicilia
Gestione efficiente
acqua irrigua
Gestione acqua/ Siccità
Sistema di gestione
Forestazione nel bacino del
fiume Arente - Calabria
Rimboschimenti
Leggi Speciali per la Calabria Occupazione
Politica/ Dissesto idrogeologico,
disoccupazione
Boschi con le
relative risorse;
esperienza
Conversione colturale da grano
duro a foraggere - Calabria
Avvicendamento
conservativo
Fondi MATTM/ Alluvioni; crisi agricoltura;
disaccoppiamento sussidi PAC
Conoscenza
scientifica
Monitoraggio del recupero della
vegetazione a Lampedusa
Restauro ecologico Fondi Cassa Mezzogiorno; ricerca scient.;
fondi LIFE/ Erosione del suolo; perdita di
biodiversità
Rimboschimenti
vegetazione
autoctona, suolo
Pianificazione partecipata della
gestione del Parco delle Gravine
– Puglia
Stesura Piano di
Gestione del Parco
Politica – Fondi MATTM/ Tutela delle
Gravine (natura, biodiversità, storia, cultura)
Piattaforma dialogo
Definizione di un Piano
Forestale Territoriale di
Indirizzo - Basilicata.
Stesura Piano
Forestale
territoriale di
Indirizzo
Fondi PON ATAS, Politica/ Rapporto
bosco-uomo
Modello di
approccio
partecipativo
Ricerca scientifica/ Siccità
Bibliografia
Herrmann S.M., Hutchinson C.F., 2005. Journal of Arid Environments 63, 538–555.
Lean G., 2008. Secretariat for the Convention to Combat Desertification.
Reynolds J.F. et al., 2007. Science, 11 May 2007, Vol. 316. no. 5826, 847-851.
Sivakumar M.V.K., 2007. Agricultural and Forest Meteorology 142, 143–155.
268
Boschi (certificati);
sistema gestione
XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
Degrado del Territorio e Multifunzionalità dell’Agricoltura:
Un Futuro per gli Ecosistemi Agro-Forestali
Maria Elisa Venezian Scarascia1, Alberto Sabbi2, Luigi Perini2, Luca Salvati3
1
Comitato Italiano per l’irrigazione e la Bonifica Idraulica (ITAL-ICID), Roma, IT, [email protected]
Dipartimento di Studi GeoEconomici, Linguistici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale, Università di Roma ‘La
Sapienza’, Roma, IT, [email protected]
3
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - Unità di ricerca per la Climatologia e la Meteorologia
applicate all’Agricoltura (CRA-CMA), Roma, IT, [email protected]
2
Introduzione
Questo lavoro intende affrontare il tema della multifunzionalità agricola e della sua possibile
implicazione nei processi di mitigazione del degrado territoriale (Dumanski e Pieri, 2000).
Il territorio rurale, sede dell’attività di produzione primaria, oltre ad assicurare la sicurezza alimentare
offre alla società servizi indispensabili che nessun altro settore può arrecare: esso tutela le risorse
naturali suolo ed acqua, assicura la capacità di carico necessaria ad ogni cittadino e protegge dalle
calamità idrogeologiche l’intero territorio (Williams et al. 2008).
La programmazione degli interventi (e.g. Trouvè et al. 2007) si articola usualmente nell’individuazione
delle variabili che causano i processi di degrado e nell’analisi di correlazione tra le stesse variabili e i
vari tipi di intervento, operando a scala di bacino; infatti poiché nel bacino hanno origine il dissesto
idrogeologico, durante la trasformazione degli afflussi nei deflussi, e l’innesco dei fenomeni di trasporto
solido, tale dominio spaziale può essere utilizzato come un’unità geografica di riferimento poiché il suo
funzionamento deriva dalla risposta delle sue caratteristiche alle sollecitazioni degli eventi
meteorologici.
Per affrontare tali sollecitazioni, la tematica viene affrontata in questo lavoro e sviluppata attraverso un
approccio sistemico, in cui si definiscono tre livelli gerarchici di analisi: i sistemi geografici (atmosfera,
litosfera, idrosfera, biosfera), i processi di degrado (erosione, salinizzazione, compattamento ed
impermeabilizzazione) e gli interventi agronomici conservativi (sistemazioni idrauliche, drenaggio,
lavorazioni del terreno, copertura vegetale del terreno, sostenibilità irrigua, gestione razionale del
pascolo e del bosco).
Metodologia
Il framework proposto, sviluppato secondo la filosofia DPSIR, mette in correlazione a coppia le tre
dimensioni attraverso idonee matrici input-output, in cui vengono evidenziate le interazioni (positive o
negative) fra gli elementi di ciascuna dimensione.
Per ogni dimensione, viene quindi proposto un idoneo insieme di variabili, di indicatori tematici e/o di
indici sintetici in grado di descrivere i fenomeni suddetti. Ad ogni dimensione viene infine associata una
possibile scala di osservazione e di intervento di policy.
L’operatività dello schema concettuale proposto si avvale di un’analisi quali-quantitativa mediante
strumenti di statistica multivariata e di Sistemi Informativi Territoriali in grado di modellizzare
l’influenza degli interventi agronomici conservativi sulla mitigazione dei processi di degrado e quindi
sulla qualità complessiva del territorio rurale (Zalidis et al. 2002; 2004).
Risultati
In base al framework sopra descritto, viene proposto un sistema di variabili, indicatori e indici (anche
sintetici) di natura agro-ambientale e di interesse ecologico a partire da numerose fonti di informazione
statistica e di cartografia ufficiale (Tabella 1), anche in accordo con gli standard agro-ambientali
dell’OECD, della FAO e della letteratura scientifica di settore (Istat, 2010).
Il contenuto informativo di tale matrice di dati viene esplorato tramite analisi statistica multivariata (e.g.
componenti principali, clusters). Particolare attenzione viene posta alle relazioni che intervengono fra i
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XXXIX CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI AGRONOMIA
diversi componenti dello schema DPSIR, esplorata attraverso l’uso dell’analisi di correlazione non
parametrica (Salvati et al. 2007).
Tabella 1 –Esempio di framework per descrivere la possibile influenza delle variabili dei quattro comparti ecosistemici sui
cinque tipi sistemi di degrado e sul loro grado di severità (da I a IV).
Comparti
Variabili
Erosione
Indicatori
I
Atmosfera
Litosfera
Idrosfera
Biosfera
II
III IV
Impermeabilizz
Compattamento Salinizzazione Desertificazione
azione
I
II
III IV
I
II
III
IV
I
II
III IV
I
II
III IV
Regime pluviometrico Erosività piogge
Intensità piogge
…
Stagionalità piogge
…
Topografia
DEM
Tessitura
Sostanza organica
Permeabilità
Stabilità
AWC
Erodibilità suolo
…
…
…
…
Portata minima
Portata massima
Sorgenti
Ruscellamento
Bosco non gestito
Pascolo sfruttato
Bilancio idrico
Afflussi/Deflussi
Coeff. corrivazione
…
…
…
Conclusioni
Il lavoro qui presentato può evidenziare come la valutazione delle performances del comparto agricolo
esuli progressivamente dagli aspetti economici per concentrarsi, sempre più efficacemente, sulle
tematiche sociali e, soprattutto, ambientali (Hubacek e Van den Bergh, 2006): ciò va nella direzione di
riconciliare una visione sistemica con un approccio produttivistico e di filiera agro-ambientale. Il lavoro
sottolinea infine come, con il potenziamento e la valorizzazione degli ecosistemi agro-forestali, si
favorisce lo sviluppo rurale, si crea nuova occupazione e si migliora l’economia nazionale all’interno di
un quadro complessivo di un rinnovato equilibrio ecosistemico (Yli-Viikari et al. 2007).
Bibliografia
Dumanski, J., and Pieri, C., 2000. Land quality indicators: research plan. Agriculture, Ecosystems and Environment, 81:
93-102.
Hubacek, K., and Van den Bergh, J.C.J.M., 2006. Changing concepts of ‚land’ in economic theory: from single to multidisciplinary approaches, Ecological Economics, 56: 5 – 27.
Istat, 2010. Agricoltura e ambiente. Istituto Nazionale di Statistica, Collana Informazioni, n. 2, Roma.
Salvati, L., et al. 2007. Comparing indicators of intensive agriculture from different statistical sources, Biota, 8: 51-60.
Trouvè, A., et al. 2007. Charting and theorising the territorialisation of agricultural policy, Journal of Rural Studies, 23:
443-452.
Williams, C.L., et al. 2008. Agro-ecoregionalization of Iowa using multivariate geographical clustering, Agriculture,
Ecosystems & Environment, 123: 161-174.
Yli-Viikari, A., et al. 2007. Evaluating agri-environmental indicators (AEIs) – Use and limitations of international
indicators at national level, Ecological Indicators, 7: 150-163.
Zalidis, G., et al. 2002. Impacts of agricultural practices on soil and water quality in the Mediterranean region and proposed
assessment methodology, Agriculture, Ecosystems & Environment, 88: 137-146.
Zalidis, G., et al. 2004. Selecting agro-environmental indicators to facilitate monitoring and assessment of EU agroenvironmental measures effectiveness, Journal of Environmental Management, 70: 315-321.
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