noli timere terra exulta et laetare

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noli timere terra exulta et laetare
oce
Va m i c a
DICEMBRE 2006
ISLAM E LAICISMO
IL DILEMMA DELL’EUTANASIA
MONS. BERGAMASCHI
A 40 ANNI DALLA MORTE
INTERVISTA A ROBERTA MASERATI
MISSIONE MARSIGLIA
LE NOVITÀ DELLA CASA DELL’AMICIZIA
LA GENEROSITÀ DEI CAORSANI
NOLI TIMERE TERRA EXULTA ET LAETARE
La morte di
di Mons. Igino Carini
Fu direttore spirituale di Mons Caffarra, attuale Arcivescovo di Bologna
VOCE
AMICA
N° 4/ 2006
Periodico della
parrocchia di Caorso
fondato da
mons. Lazzaro Chiappa
l'8 dicembre 1923
Direttore responsabile
Don Giuseppe Tosca
Autorizzazione
Tribunale
di Piacenza
del 26.01.2005
n. 605
Stampa
Tipolitografia
La Grafica
Piacenza
Impianti Fotolito
Officina Foto Grafica
Redazione
Carlo Livera
Davide Livera
don Giuseppe Tosca
Enrico Francia
Marcello Casalini
Marco Molinari
Simona Chiesa
Valentina Rossi
Fotografie
don Giuseppe Tosca
Lino Pavesi
Progetto grafico
Silvia Bodini
Impaginazione
Emanuela Chiesa
M
onsignor Igino Carini è
nato, nel 1919, a San Rocco di
Busseto dove, il 21 Marzo 1943,
ha celebrato la sua prima messa.
Dal 1947 al 1962 è stato direttore spirituale del seminario
diocesano insegnando varie
materie e contribuendo in
maniera determinante a
forgiare e rinfrancare l’animo
di molti giovani nel difficile
periodo della guerra quando
vescovo, seminaristi e insegnanti erano sfollati a causa del
bombardamento della città di
Fidenza. Fino al ’67 è stato
anche delegato vescovile per l’
Azione Cattolica. Divenuto
canonico della cattedrale di
Fidenza, Monsignor Carini ha
intensificato la sua missione
pastorale dirigendo dal 1952 al
1972 l’ O.D.A, opera diocesana
di assistenza, e fondando “Il
cenacolo”, centro di spiritualità
per le famiglie costruito nel
seminario bombardato. Dal
1978 al 1989 è stato parroco di
Monticelli. Nel 1989, ormai
pronto a ritirarsi a vita privata,
l’allora vescovo di Fidenza mons. Carlo Poggi,
gli chiedeva di diventare parroco e rettore del
santuario mariano dell’Addolorata a San
Pedretto. Il 4 Giugno 2006 viene trovato privo
di vita seduto sul letto, con il rosario tra le
mani, dopo aver celebrato la veglia di pentecoste
nella quale aveva tenuto una intensa omelia
sull’amore fraterno.
Pubblichiamo alcuni passaggi del suo
testamento spirituale che delineano bene i
tratti di un sacerdote santo.
Prima di morire rendo testimonianza al Signore che
non io ho scelto Lui, ma Lui ha scelto me (come ne
sono certo) e mi ha posto perché io producessi dei
frutti duraturi. E i frutti non ci sono. Fioriture di
aprile ce ne sono state, ma la brina le ha bruciate.
Quanta amarezza! Alla soglia dei settant’anni mi
sento sul rettilineo di arrivo, tutt’altro che pronto
all’incontro con il Signore. Perciò il mio grazie al
Signore si fa commosso e stupito che non si sia
ancora stancato di usarmi misericordia... Grazie
perché mi chiamasti per nome fin dall’eternità, mi
scegliesti contadinello da un angolo remoto di
campagna, come Davide dal gregge, per vestirmi del
tuo abito in seminario... Grazie per le persone in
cui ti sei incarnato, per avviare e sostenere il mio
sacerdozio... Grazie per la povertà economica, nella
quale sono nato e cresciuto, per la salute cronicamente
compromessa fin dal liceo, per le mie notti dal sonno
scarso. Sono contento di avere detto sì al Signore e
di aver creduto all’amore...
Davide Livera
Editoriale
P
enso al teologo che non aspetta perché possiede
Dio chiuso in un edificio dottrinale. Penso all’uomo
di Chiesa che non aspetta Dio perché lo possiede
racchiuso in un’istituzione. Penso al credente che
non aspetta Dio perché lo possiede rinchiuso nella
propria esperienza. Non è facile sopportare questo
non possedere Dio, questo aspettare Dio». Queste
parole del teologo americano Paul Tillich mi
ricordano quelle, molto meno sintetiche, ma
infinitamente più affascinanti del buzzatiano
“Racconto di Natale”, che amo spesso citare.
Il tempo liturgico dell’Avvento, che va ormai
concludendosi, ci ha richiamato una dimensione essenziale e quotidiana della vita di fede:
l’attesa. L’attesa del credente non è una attesa
insensata e vuota, come quella di chi … “aspettava Godot”. È l’attesa carica di speranza di
chi sa che Dio si è manifestato e di nuovo si
manifesterà nella propria vita, in quella della
Chiesa e del mondo. Noi credenti, tuttavia,
troppo facilmente cadiamo nel dare per
scontato Dio, come se l’agire del Signore potesse essere previsto o, peggio ancora, come se il
nostro Dio fosse soltanto un insieme ideologico
di dogmi o un apparato burocratico fatto di
progetti e piani pastorali che nulla lasciano
alla sorpresa, alla meraviglia. E la meraviglia,
quella che ci attende nella Santa Notte del
Natale, è proprio il compimento dell’attesa.
La meraviglia rinnovata, e che di nuovo – come
l’attesa – si rinnoverà, per l’amore di Dio che
si fa carne per noi, che per noi entra nella
storia degli uomini e l’assume perché sia una
storia di salvezza. Viviamo nel tempo della
fretta, del tecnologico “tutto e subito”, in una
società che non attende nulla fuori da se stessa,
tutta china sui propri interessi, i propri beni,
i propri piaceri, dove, forse, anche diversi
credenti hanno ridotto i tempi liturgici e la
celebrazione dei sacramenti a riti ripetitivi e
vuoti. La routine uccide. La routine non è da
Dio. Chi ha conosciuto il regno del rischio e
del pericolo – così Martin Buber chiamava il
regno di Dio – si mette ogni giorno in gioco
e mette in gioco le proprie sicurezze,
economiche, affettive, sociali, per seguire un
Dio che è sempre oltre e sempre ci chiama a
trascendere il nostro io. Provvidenzialmente.
il recente Convegno ecclesiale di Verona ci ha
voluto incoraggiare alla speranza ed, in
particolare, il Santo Padre ha profeticamente
affidato alla Chiesa che è in Italia la missione
di ridare speranza a coloro che abitano, non
solo nel nostro Paese, ma anche ai cittadini
dell’Europa e del mondo: «L'Italia […] costituisce
[…] un terreno assai favorevole per la testimonianza
cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto
viva, - e lo vediamo! - che conserva una presenza
capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione
[…]. È inoltre sentita con crescente chiarezza
l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa
e di un'etica troppo individualista: in concreto, si
avverte la gravità del rischio di staccarsi dalle radici
cristiane della nostra civiltà. […] La Chiesa e i
cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere
questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne
consapevoli. Il nostro atteggiamento non dovrà mai
essere, pertanto, quello di un rinunciatario
ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere
vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo,
occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non
trascurare alcuna delle energie che possono contribuire
alla crescita culturale e morale dell'Italia. Tocca a
noi infatti - non con le nostre povere risorse, ma con
la forza che viene dallo Spirito Santo - dare risposte
positive e convincenti alle attese e agli interrogativi
della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in
Italia renderà un grande servizio non solo a questa
Nazione, ma anche all'Europa e al mondo, perché
è presente ovunque l'insidia del secolarismo e
altrettanto universale è la necessità di una fede
vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo» [Dal
discorso di S.S. Benedetto XVI - Fiera di
Verona, 19 ottobre 2006].
Mi piace, infine, concludere questi pensieri
augurando a tutti voi un Santo Natale con una
poesia, a me molto cara, che è anche una preghiera per ciascuno di noi e per tutto il mondo:
«Verità,
antica e qui presente eternità,
verbo creante,
poi creato in carne!
Memoria,
realtà, ritorna in me,
in noi,
in loro!
disfa la nebbia
dell’inganno» (G. Testori).
don Giuseppe
Editoriale
In copertina: Il presepe realizzato dal signor
Giovanni Mancini nel proprio giardino.
3
Islam e Laicismo:
le derive dell'occidente
Rischi moderni e analogie antiche
per questa civiltà indifferente a Dio
L
Sotto:
una bella immagine di
Benedetto XVI
4
a "Lectio Magistralis" tenuta da Papa Benedetto
XVI durante la sua visita di settembre in Baviera
ha infiammato il mondo islamico scatenando
un putiferio fondamentalista che ha fatto
temere gravi conseguenze sia per tutto
l'occidente che per lui stesso. Leggendo il
discorso, che aveva come tema il rapporto tra
fede e ragione, e nel quale per introdurre
l'uditorio nell'attualità dell'argomento il Papa
ha citato un dialogo del XIV secolo in cui
l'imperatore bizantino Manuele II Paleologo
parla del rapporto tra religione e violenza,
appare evidente che il Santo Padre non voleva
fare sue la parole dell'imperatore medievale e
che il contenuto polemico non esprimeva la
sua convinzione personale, ma che servivano
come pretesto per iniziare il discorso; traspare
quindi che questa citazione è stata volutamente
fraintesa, diventando un pretesto per dare sfogo
al profondo rancore verso il mondo occidentale
e la religione cristiana in particolare.
Ancora una volta la seconda religione
monoteista al mondo, l'Islam, ha dato una
dimostrazione di determinazione, di forza e di
coesione, che più che reazione immediata ed
istintiva è parsa occasione per prendere le
misure all'occidente (pseudo)cristiano.
Sono bastati un paio di episodi (quello appena
detto, e la pubblicazione delle vignette satiriche
in Danimarca) per mettere a nudo la reale
situazione della civiltà occidentale, della sua
tiepida fede, della sua deriva laicista. Le minacce
verbali e materiali degli integralisti non hanno
trovato una adeguata barriera di contenimento,
ma - al contrario - hanno incontrato una tacita
indifferenza figlia di quella tolleranza
incondizionata che è diventata vessillo della
nuova Europa secolarizzata. È significativo ma anche estremamante preoccupante - che le
prime parole di comprensione al discorso
papale, ammettendone la malainterpretazione,
non siano arrivate, ad esempio, da chi governa
l'Italia ma dal presidente iraniano Ahmadinejad.
In un occidente sempre più attratto dalle
seducenti insidie della cultura illuminista che
tenta di adescare le persone distaccandole dai
valori etici della famiglia e della società, si sta
facendo sempre più largo il convincimento che
per essere veramente liberi si debba anteporre
alla propria identità culturale il permissivismo
e la tolleranza senza riserve verso le culture
altrui, incoraggiandone il connubio e senza
rendersi conto che il tentativo di avvicinare
tali culture, occidentale e islamica, è fallito in
partenza a causa delle loro basi così palesemente
antitetiche: da un lato una società aperta, che
in un eccesso di permissivismo (che ricorda il
buonismo di certi politici cattolici nazionali...)
si sottomette al patrimonio di conoscenza altrui;
dall'altro una cultura religiosa chiusa, che non
concepisce la comprensione e la tolleranza. Da
una parte una civiltà che spinge verso la separazione sempre più estrema dei poteri temporale
e spirituale; dall'altra una organizzazione sociale
fortemente influenzata e sovrastata dalla
religione. Il rischio che non possano mai andare
daccordo è quindi concreto: due mondi che
non potranno mai convivere in un regime di
uguaglianza e liberalità, me che invece - se
costretti alla convivenza ravvicinata - sono
destinati a veder soccombere il più remissivo
dei due: l'occidente.
L'apertura al dialogo interreligioso, portata
avanti da Benedetto XVI sulle orme del suo
predecessore e consolidata nell'incontro con
i massimi rappresentanti diplomatici dei Paesi
a maggioranza musulmana e con i membri
della Consulta per l'Islam, non deve comunque
essere interpretata come accondiscendenza o
indulgenza nei loro confronti ma come «un
invito per cristiani e musulmani a vivere nella
concordia e nella fraternità».
Il Santo Padre infatti, pur approvando il
dialogo, mette in guardia dal relativismo
religioso: «Desidero ribadire questo principio che
costituisce un presupposto di quel dialogo tra le
religioni che 40 anni or sono auspicò il Concilio
Vaticano II. È doveroso, ha aggiunto, evitare
inopportune confusioni. Quando ci si ritrova insieme
a pregare per la pace, occorre che la preghiera si
svolga secondo quei cammini distinti che sono propri
delle varie religioni. La convergenza dei diversi non
deve dare l'impressione di un cedimento a quel
relativismo che nega il senso stesso della verità e la
possibilità di attingerla».
Inoltre «non si può prescindere dal rapporto con le
altre religioni, che si rivela costruttivo solo se si evita
ogni ambiguità che indebolisca il contenuto della
fede».
Parole chiare che non lasciano spazio a
fraintendimenti e che lanciano un monito
all'occidente marcato da un «drastico illuminismo
e laicismo» nel quale è sempre più forte la
tendenza della cultura secolare di «negare il
disegno della presenza di Dio nella vita della società
e del singolo attraverso vari mezzi che disorientano
e offuscano la retta coscienza dell'uomo». Ciò, ha
aggiunto il Papa, non fa altro che corrodere la
sua capacità di mettersi in ascolto di Dio. Di
conseguenza «il destino dell'uomo senza Dio non
può che essere la desolazione dell'angoscia che
conduce alla disperazione».
Oltre a tenere ben distinte le due religioni
occorre evitare un altro equivoco: pensare che
quelle parole non ci riguardino ma che siano
destinate ai non credenti, agli "atei cristiani",
a quanti predicano la libera Chiesa in libero
Stato. A noi, credenti, cattolici, magari
praticanti, magari appartenenti ai vari
movimenti ecclesiali, queste parole - invece toccano più di quanto la nostra consuetudine
possa farci pensare. Il veloce avanzamento di
questa nuova ondata laicista è conseguenza di
due attori: chi la spinge e promuove, e chi anche con l'indifferenza - permette che questa
attecchisca e si sviluppi. E' tempo che ognuno
- se crede nel profondo alla valenza delle proprie
radici cristiane - faccia la propria parte ogni
giorno, permeando la quotidianità con la
parola di Dio. E' tempo che la fede esca
dall'intimità del rapporto personale con Dio
per espandersi nella famiglia, nei rapporti con
gli altri, sul lavoro. E' tempo che l'identità
cattolica di ogni persona diventi il proprio
biglietto da visita, da mostrare e lasciare nelle
mani di chi si incontra. E' tempo che la sacralità
della domenica si espanda su ogni giorno
ordinario. E' tempo che la vita di ognuno sia
patrimonio di evengelizzazione del vicino. E'
tempo che le ambiguità e gli opportunismi di
ciascuno - in casa, sul lavoro, in politica, con
gli altri - lascino spazio alla determinazione di
una fede matura, adulta, vissuta ogni giorno,
e rinunciando all'idea di credersi esonerati
dall'impegno solo perchè credenti.
Leggendo alcune pagine dei profeti che
spendono la vita ad ammonire un popolo Israele - che ha dimenticato il Dio che li ha
salvati, mettendolo in guardia dallo sdegno
divino, si avverte una profonda analogia con
la situazione odierna: una società che si
allontana da Dio escludendolo dalla visione
dell'uomo, e in mezzo a questo una voce che
si leva a monito delle generazioni, mettendole
nella verità della sciagura. Circostanze affini,
ma con una sostanziale differenza: oggi, in
quella situazione, c'è l'occidente, ci sono quelli
che credono e quelli che non credono, ci siamo
noi - persone in carne e ossa - con la nostra
vita e i nostri figli. Circostanze che nella loro
drammaticità lasciano intuire una possibile
via divina di riedificazione della Chiesa, quella
via irrigata dal sangue dei martiri predetta dal
terzo mistero di Fatima.
Marco Molinari
Riflessioni
A sinistra:
la distribuzione
dell’Islam nel mondo.
5
Il dilemma
dell'eutanasia
Una riflessione sui motivi delle ricorrenti
pressioni alla sua legislazione.
N
6
egli ultimi anni continua a riaccendersi
nel nostro paese, in modo ricorrente, il dibattito
sull’opportunità o meno di arrivare a una
qualche forma di legalizzazione dell’eutanasia,
a tutt’oggi considerata un reato.
L’eutanasia consiste, di fatto, nell’uccisione
deliberata e indolore di un essere umano che
si trovi in uno stato di grande sofferenza. Si
configurano due principali tipologie di ricorso
all’eutanasia.
Una riguarda il caso di persone adulte che,
gravemente malate e sofferenti, chiedono in
piena consapevolezza che venga posta fine alla
loro vita (ne sono un esempio le recenti richieste
di alcuni malati al Presidente della Repubblica,
da lui rese note alla nazione).
L’altra riguarda il caso di bambini gravemente
malformati e sofferenti, con speranze di
guarigione pressoché nulle, per i quali i genitori
ritengono che la morte sia preferibile alla
continuazione della vita in quelle condizioni.
Quando ci si addentra nel cuore dei dibattiti
sull’eutanasia, ci si
accorge che i suoi
fautori contano su di
un ricco arsenale di
casi umani strazianti,
di fronte ai quali
sembra quasi crudele
la posizione di chi,
come la Chiesa
cattolica, si pronuncia fortemente contro ogni
forma di legalizzazione dell’eutanasia. Vorrei
chiarire i motivi per cui il rifiuto opposto dalla
Chiesa mi sembra molto più ragionevole di
ogni opzione permissiva.
Innanzitutto, riflettere sull’eutanasia significa
riflettere sul significato della vita umana e di
una sua componente irrinunciabile: la
sofferenza.
Si auspica l’eutanasia quando non si riesce più
a comprendere la sofferenza.
Ma se la sofferenza è qualcosa di insensato, la
cui presenza rende la vita non più degna di
essere vissuta, allora il senso e la dignità della
nostra vita variano in funzione delle cose belle
o brutte che ci capitano. Ovvero: quanto più
una vita è piena di sofferenze, tanto più essa
è indegna. Tutta la nostra umanità, tutta la
nostra ragione gridano contro una simile ipotesi.
Di fronte a un malato tanto sofferente e privo
di speranza da invocare la morte, qual è la
risposta più ragionevole, e quindi più umana,
dei familiari, degli amici, dei medici? Chinarsi,
abbracciare, lenire, oppure uccidere, in nome
della libertà di scelta?
Una legge che ammettesse, in casi simili,
l’uccisione deliberata del malato sarebbe una
legge contro l’uomo. Non solo contro il malato,
abbandonato alla sua disperazione anziché
nascano, oltre che da un’incapacità di comprendere la sofferenza, anche dal venir meno
dell’idea di irriducibilità, di sacralità della vita
umana. Di fatto questa idea è già stata in larga
parte rimossa dalle nostre coscienze, come
conse-guenza dell’abitudine a considerare le
nostre vite come un succedersi di fenomeni
biologici di tipo animale. La legalizzazione
dell’eutanasia consoliderebbe in modo
difficilmente reversibile questo atteg-giamento,
rinforzando la nostra assuefazione - per usare
le parole del filosofo Hans Jonas - “progressiva
e cumulativa al pensiero e alla pratica dell’uccidere
per mettere fine a determinate situazioni di bisogno”.
Quanto questo ci allontanerebbe dall’umano
credo sia evidente a tutti.
Giorgio Dieci
Il Fatto
essere aiutato a vincerla, ma
anche contro i somministratori
a freddo di questa morte: il
medico, che vedrebbe inserito
l’uccidere nei suoi diritti/doveri, nell’inventario delle
sue azioni di routine; e i
familiari, che verrebbero messi
nella condizione di farsi carico
della più grave delle decisioni:
la soppressione del proprio
coniuge o del proprio genitore.
Per non parlare dei genitori
che si troverebbero a poter
decidere dell’uccisione del
proprio bambino (a sua
insaputa, senza che egli lo abbia
chiesto) come alternativa al
vederlo soffrire, come si fa con
gli animali. La nostra ragione grida contro
questo, eppure si tratta di una forma di violenza
già largamente e legalmente praticata nei
confronti dei nascituri. Il problema è che, in
assenza di un richiamo forte a ciò che
veramente siamo, ci abituiamo a tutto, anche
alla pratica di uccidere gli innocenti.
Quale legge umana potrà mai stabilire, o
permettere a qualcuno di stabilire, quando
una vita umana non è più degna di essere
vissuta? Cosa faremmo se persone sane e
disperate (ce ne sono tante) chiedessero allo
Stato una morte dolce? Su quale base verrebbe
loro negata o concessa: sulla base di un
certificato medico? Oppure verrebbe loro
consigliato il suicidio? Credo che le ricorrenti
pressioni per una legalizzazione dell’eutanasia
7
Mia Caorso
addio!
A 40 anni dalla morte di
Monsignor Antonio Bergamaschi
I
In alto, a destra: Mons.
Bergamaschi eletto
Vescovo di Montefeltro.
Qui sopra: sempre mons
Bergamaschi con Papa
Pio XII.
A destra: Mons.
Bergamaschi con i
bambini dell'asilo.
8
l 17 Aprile 1966 moriva improvvisamente,
all’età di 72 anni, Mons. Antonio Bergamaschi,
già parroco di Caorso dal 1935 al 1950. Era
l’epoca del fascismo, dello “Stato è tutto e nulla
vi è al di fuori dello Stato”.
Fu valente predicatore, viaggiò in continuazione, per breve tempo fu anche rettore del
Seminario Vescovile di Bedonia. Prima della
Seconda guerra mondiale edificò la nuova
Canonica, l’attuale abitazione del Parroco. Durante il periodo bellico si
dedicò anima e corpo ad
alleviare le sofferenze della popolazione. I camminamenti sotterranei della
Chiesa Parrocchiale furono sicuro rifugio di
molti uomini del paese,
i quali poterono così sfuggire ai rastrellamenti
messi in atto dai Tedeschi. Salvò il paese da
sicura distruzione allorché alcuni caorsani, per
pura fame, si appropriarono delle vettovaglie,
soprattutto riso, dei tedeschi caricate su vagoni in transito sulla linea
ferroviaria Piacenza Cremona. L’assalto ai
vagoni del treno provocò il rastrellamento.
Mons. Bergamaschi, venuto a conoscenza dei fatti
e informato delle
intenzioni nemiche, con coraggio
eroico corse alla
stazione ferroviaria
di Caorso, si inginocchio davanti ai
Tedeschi e offrì la
sua vita in cambio
di quella della sua
gente.
Lo ascoltarono,
imposero la restituzione delle vettovaglie e
Caorso fu salvo. Nel dopoguerra il Parroco si
impegnò a favore delle famiglie più povere e
della sorte di tanti giovani partiti per la guerra
e dispersi nella convulsione degli avvenimenti:
tenne un fitto carteggio con Vescovi e autorità
di varie parti d’Italia per avere notizie dei
giovani caorsani che ancora non avevano fatto
ritorno; ricorse anche ad aiuti internazionali
per allestire mense scolastiche e assicurare i
soggiorni nelle colonie marine ai bambini del
paese. Tra le tante attività pastorali e nel clima
di ricostruzione della nazione italiana, il 3
dicembre 1949 giungeva a Mons. Bergamaschi
la nomina a Vescovo di Montefeltro. Congedandosi dai caorsani, appena fatto vescovo,
gridò alla folla una frase ancora oggi ricordata:
"Mia Caorso addio". Nel suo cuore non dimenticò mai il nostro paese. Nel suo testamento
spirituale ricordò tutti, anche i caorsani e offrì
a Dio la sua morte "come olocausto di adorazione,
di ringraziamento e di riparazione". Il desiderio
che Mons. Bergamaschi ebbe in vita di legarsi
a Caorso si è adempiuto con l’intitolazione di
una via nel nostro paese.
Davide Livera
Il sostentamento
del clero
attuale sistema di finanziamento alla Chiesa
cattolica è frutto di due coscienze che si evolvono.
Quella avviata dal Concilio Vaticano II che chiede
alla Chiesa di essere sempre più libera dai riferimenti
alla vita dello Stato e della società e di essere sempre
più autoresponsabile anche in termini di finanziamento e sostegno alle proprie attività. D’altra
parte lo Stato italiano si impegna a fornire un
aiuto alla Chiesa nelle sue attività, senza però esserne
corresponsabile. Nel 1866 lo Stato, con una
decisione unilaterale, incamera i beni delle
congregazioni religiose lasciando in vita solo i
benefici connessi alle parrocchie, alle mense
vescovili e agli uffici dei canonici, oltre alla possibilità
di ottenere libere offerte dai fedeli. I benefici erano
rendite rivenienti da immobili e terreni e
interessavano il sacerdote o il vescovo che ne erano
titolari. Viene costituito il fondo per il culto che
doveva integrare con assegni di congrua i redditi
troppo esigui di alcuni di questi benefici. Né la
legge delle Guarentigie del 1871, né il concordato
del 1929 riescono a regolamentare la situazione
patrimoniale tra Stato e Chiesa. Il cammino giunge
a compimento con il codice di diritto canonico del
1983 frutto della riforma conciliare. Fino al 1984
quindi le forme di finanziamento della Chiesa
erano sostanzialmente tre: le offerte dei fedeli libere
ma non ancora deducibili, gli stipendi che lo Stato
dava a chi svolgeva particolari servizi come gli
insegnanti, le congrue. Con la revisione concordataria del 1984 e la legge 222 del maggio 1985 lo
Stato non paga più le congrue, viene introdotta
una agevolazione fiscale mirata al sostentamento
del clero sotto forma di deducibilità dal reddito
imponibile delle offerte fatte a questo scopo
specifico, nel 1990 infine parte il meccanismo
dell’otto per mille. Sono stati aboliti i benefici
ecclesiastici e questi beni sono stati trasferiti ai
nuovi istituti diocesani per il sostentamento del
clero: i redditi della gestione concorrono al
sostentamento indistinto di tutti i sacerdoti che
operano nelle diocesi italiane. Alcuni sacerdoti
vivevano bene altri a stento; dal 1989 tutti sacerdoti
diocesani possono contare su un fisso mensile
proporzionato al loro incarico compresi i sacerdoti
anziani e malati. Le offerte deducibili concorrono
a sostenere l’attività dei 35000 sacerdoti impegnati
nelle 227 diocesi italiane e dei 3000 sacerdoti
pensionati e malati. Le offerte non sono indirizzate
direttamente al proprio sacerdote ma indistin-
tamente a tutti i sacerdoti. L’art 46 della legge 222
ricorda che le persone fisiche possono dedurre dal
proprio reddito le erogazioni liberali fino ad un
massimo di 1032,91 euro a favore dell’istituto
centrale per il sostentamento del clero. Dedurre
dal proprio reddito significa che l’irpef dovuto allo
Stato viene calcolato su un importo minore: per
esempio se un contribuente con reddito di 20000
euro farà un offerta di 500 euro, la sua base
imponibile scenderà a 19500 euro risparmiando
così sulle imposte dovute. Le offerte deducibili si
possono effettuare tramite: c/c postale, bonifico
bancario, recandosi negli uffici dell’istituto
sostentamento clero presenti in tutte le diocesi
italiane, carta di credito cartasì. L’otto per mille
viene utilizzato per tre finalità : opere di carità in
Italia e nel terzo mondo, sostentamento del clero,
esigenze di culto. Lo Stato affida alla scelta dei
contribuenti una quota del gettito complessivo
dell’irpef già versato da tutti i contribuenti nelle
casse dello Stato. Quindi non si tratta del proprio
otto per mille da versare in più per la Chiesa ma
di esprimere una preferenza riguardo chi affidare
questa quota del gettito che lo Stato mette a disposizione. Il Signore non ci salva da soli ma insieme,
fin dall’inizio crea un gruppo di discepoli poi una
Chiesa. La comunione deve permeare tutta
l’esistenza del cristiano che è chiamato anche alla
corresponsabilità nell’amministrare i beni di Dio
sia quelli spirituali che quelli materiali, che sono
gli strumenti necessari per diffondere la parola e
celebrare la liturgia. La povertà è una scelta spirituale,
che i sacerdoti fanno, di distacco dai beni materiali
non da quelli che servono a sopravvivere con
austerità, senza sprecare o guadagnare, e che
consentono di dedicare tutto loro stessi al servizio
della Chiesa cioè di tutti noi.
Davide Livera
Sovvenire
L’
9
Intervista con la presidentessa
dell'AISM di Piacenza
N
Al centro:
Roberta con il sindaco
di Piacenza Roberto
Reggi e il vescovo
Luciano Monari.
Nella pagina a fianco:
Roberta durante
la sua avventura col
paracadute.
Sotto: Roberta con il suo
cagnolino Cin Cin.
10
ella vita di ciascuno di noi ci sono incontri
significativi che non ti lasciano indifferente
ma ti toccano dentro, persone che ti aprono
gli occhi su esperienze e realtà diverse.
E’ capitato anche a me conoscendo, in
occasione di questa intervista, Roberta
Maserati. Roberta è una nostra compaesana e
da alcuni mesi la vulcanica presidentessa
dell’Aism di Piacenza.
Roberta che cos’è l’Aism di Piacenza e di cosa
si occupa?
L’Aism è l’associazione italiana sclerosi multipla.
A Piacenza esiste la sezione provinciale mentre
la sede nazionale è a Roma.
Tutti noi delle sedi locali aiutiamo le iniziative
nazionali dell’Aism come la
vendita delle mele, delle
gardenie, delle stelle natalizie,
i proventi di queste vendite
per metà sono destinati alla
sezione provinciale e per metà vanno alla sede nazionale.
Alla sezione i fondi servono
per organizzare i viaggi di
quei portatori di patologia
che non hanno nessuno che
possa accompagnarli a fare
fisioterapia, o a un esame del
sangue o dal dentista.
A questo scopo, grazie alla
buona riuscita delle iniziative
di cui sopra, siamo riusciti
ad acquistare di recente due
nuovi mezzi attrezzati con
sollevatore per carrozzina.
I proventi destinati alla
nostra sezione ci servono poi
anche per fare fisioterapia
nella piccola palestra presso
la nostra sede. Per altro la
Regione quest’anno ci sovvenziona un programma che prevede
fisioterapia ed altre attività come il decoupage,
allo scopo di tenere insieme le persone e di
esercitarne la manualità.
Inoltre sempre la Regione invia la psicologa
una volta la settimana.
Quali sono le iniziative proprie della sezione
di Piacenza?
A Natale facciamo il pranzo natalizio per gli
iscritti all’Associazione.
Altra iniziativa della nostra sezione provinciale
è quella che prende il via in questi giorni
chiamata ‘La dolce solidarietà’ che consiste
nella vendita di panettoni artigianali, in questo
caso non facciamo bancarelle ma li vendiamo
noi direttamente tramite il passaparola oppure
grazie alla solidarietà di alcune aziende che li
acquistano per offrirli come dono di Natale ai
propri dipendenti.
E Caorso come risponde?
I caorsani sono sempre molto solidali con le
nostre iniziative per questo, sulla base della
mia esperienza vorrei puntare più sulla provincia
che su Piacenza città.
In città ci sono sempre innumerevoli bancarelle
di tante associazioni differenti o i più disparati
banchetti per la raccolta di firme e la gente che
magari va anche solo a fare un giro sul mercato
non ci fa neanche più caso .
Questo mi ha sollevata molto perché soprattutto
agli esordi della malattia mi ponevo un sacco
di domande, mi chiedevo perché tutto questo
capitasse proprio a me.
Oggi accetto che questo è il mio destino, se
domani ci sarà la cura bene altrimenti è
importante imparare a convivere con la malattia
non sottomettersi a lei.
E come si fa?
Io vado in giro, faccio quello che posso, vado
alle parti o ai concerti anche se mi sembra
d’essere l’unica che si muove. Ad esempio circa
due anni fa sono stata a vedere gli U2 a Milano
su 70 mila persone eravamo solo una ventina
sulla carrozzina, è molto poco.
Io sono anche fortunata perchè ho delle amiche
che mi accompagnano ovunque, nonostante
la fatica di caricarmi e scaricarmi!
Così come vado alle partite di pallavolo del
Copra Piacenza.
Insomma dove posso vado pensa che questa
estate mi sono anche lanciata col paracadute
e ne hanno persino parlato al telegiornale!
Tornando all’Aism di Piacenza c’è qualche
progetto pratico da realizzare?
La nostra sede provinciale si trova all’interno
del Vittorio Emanuele, prima potevamo passare
da via Tramello, dove peraltro sarebbe la nostra
intestazione, ma per ragioni di sicurezza hanno
dovuto chiudere tutti i cancelli così noi dobbiamo passare da via Campagna dove c’è la
guardiola.
Per ovviare al problema dovremmo mettere un
cancello elettronico a spese nostre che però
costa parecchio vorremmo così trovare uno
sponsor che possa aiutarci nella realizzazione
di quest’opera.
Valentina Rossi
L'intervista
Hai nuovi progetti in
cantiere?
Ho un paio di idee in mente
che possono coinvolgere la
nostra sezione provinciale, ad
esempio mi piacerebbe
coinvolgere i vigili del fuoco
per organizzare una dimostrazione di quello che fanno,
con la scala, la casa finta e
quant’altro, mettendo magari
un’entrata a offerta libera e
ad esempio chiedendo se
possono fare la dimostrazione
del salvataggio a disabili.
Un’altra idea che vorrei realizzare è quella del calendario
con le foto di alcuni membri
dell’ Aism di Piacenza in
compagnia dei loro animali.
Su questo però trovo un po’
di resistenza, sia perché i
malati sono un po’ reticenti
a farsi fotografare, sia perché
la maggior parte di questi non
ha animali. E invece il discorso della pet-therapy è molto
importante, lo dico per esperienza personale
convivendo da 13 anni con Cin Cin il mio
cagnolino che per me è davvero terapeutico.
Quindi chi ha questa malattia tende un pò
a nascondersi?
Si e questa è una battaglia che voglio affrontare,
ad esempio come puoi solo pensare di abbattere
le barriere architettoniche se tu malato non
vai mai in giro, non ha senso.
Io a volte mi sono sentita chiedere da altri malati se non mi vergogno a girare in carrozzina,
la risposta è no. La sclerosi non è una cosa di
cui vergognarsi, non è una punizione che ti è
stata inflitta per chissà quale colpa.
Immagino che però questi siano pensieri che
si affacciano alla mente..
Certo anche a me nei primi tempi della malattia
questi pensieri venivano eccome! Però poi
ricordo che don Roberto Falliva, parroco di
Polignano che apprezzavo molto, un vero amico
col quale amavo parlare di tutto, mi disse:
“Guarda che questa malattia non è una
punizione di Dio perché Dio non arriverebbe
mai ad essere così cattivo da darti una
punizione simile”.
11
In Francia portato
dal vento dello Spirito
Intervista a Don Aldo Fava, da sei anni
rettore del seminario di Marsiglia.
I
In alto: don Aldo Fava.
A destra:
La facciata della chiesa
di Notre-Dame
du Rouet, la parrocchia
di don Aldo.
12
l capitolo terzo del Vangelo di
Giovanni ci riporta di un dialogo
molto bello tra Gesù ed un fariseo,
Nicodemo, un uomo saggio e pio
che cercava sinceramente la Verità.
Dice Gesù a Nicodemo, parlando
dell’uomo che si converte, che
abbandona la sua vita nelle mani di
Dio:
«Il vento soffia dove vuole e ne senti la
voce, ma non sai di dove viene e dove
va: così è di chiunque è nato dallo
Spirito».
Queste parole hanno un fascino particolare.
Fanno intuire, alla nostra generazione che
sembra aver chiuso il cielo, che vive
nell’insoddisfazione passando da un’alienazione
all’altra, che sembra non poter più parlare con
speranza ai ragazzi ed ai giovani, fanno intuire
che esiste un’umanità, non lontana, non
irraggiungibile, che sperimenta la libertà dei
figli di Dio, che si lascia portare dove la conduce
lo Spirito e così realizza la pienezza della propria
vocazione.
Non posso fare a meno di ripensare a queste
parole di Gesù accingendomi ad intervistare
un amico della nostra parrocchia.
Molto più di un amico, un fratello nella fede.
Don Aldo, presentati tu ai lettori di Voce
Amica.
Mi chiamo Aldo Fava, sono nato a Piacenza
nel 1961, quindi ho 45 anni. Ho conosciuto
il Cammino Neocatecumenale nel 1974 all’età
di 13 anni nella parrocchia della Santissima
Trinità a Piacenza.
Nel 1983 sono partito come catechista itinerante. La prima esperienza è stata in Campania,
poi Svizzera, Costa d’Avorio, Haiti e Canada.
Durante questi anni è maturata la vocazione
presbiterale e nell’ottobre del 1988 sono entrato
nel Seminario Diocesano “Redemptoris Mater”
di Roma dove sono stato ordinato presbitero
nel 1994. Dopo 4 anni passati come vicario
parrocchiale in 3 parrocchie di Roma, nel
settembre del 1998 sono stato inviato a
Marsiglia. Qui sono stato per 2 anni come
vicario e poi come parroco della
parrocchia Notre Dame du Rouet e
nel 2000 è iniziata l’esperienza del
seminario.
Oggi vivono con me 11 seminaristi.
A noi che viviamo “insediati”, il
tuo itinerario e in particolare il tuo
approdo in Francia fa un certo
effetto. Come mai un presbitero
piacentino parroco a Marsiglia?
Perché così ha voluto il Signore. Io
non avevo mai pensato di diventare
presbitero e ancora meno di venire
a Marsiglia. Un giorno il Cardinale Vicario mi
ha chiamato e mi ha detto che aveva ricevuto
una lettera dal Vescovo di Marsiglia nella quale
chiedeva presbiteri della Diocesi di Roma che
avessero seguito l’esperienza del Cammino
Neocatecumenale e, sapendo che parlavo un
poco il francese, mi ha chiesto se ero disposto
ad accettare. E ho accettato.
Qual è il contesto sociale e culturale del
territorio della parrocchia di Notre Dame du
Rouet?
Sta cambiando a grandissima velocità. Quando
sono arrivato 8 anni fa, il quartiere era formato
da case vecchie e fatiscenti, disabitate o abitate
da persone anziane, da poveri e da emigrati. In
questi anni c’è stata una ricostruzione generale
che è ancora in corso.
Le vecchie case sono state distrutte e al loro
posto si trovano palazzi moderni con una
popolazione ringiovanita e socialmente più
elevata. Da 7.000 abitanti nel 1998 oggi siamo
già a 12.000.
Anche in considerazione del contesto sociale,
della realtà del territorio, come hai impostato
la pastorale della parrocchia?
Uscendo verso la gente. Ormai in Chiesa
vengono solo le persone anziane. Alla Messa
domenicale ho una media di 60 persone. Per
me è stato fondamentale cominciare ad andare
a visitare le famiglie bussando alle loro porte
con la scusa di presentarmi, di farmi conoscere.
E’ vero che ho avuto reazioni di tutti i tipi, ma
è anche vero che con parecchie persone è stata
l’occasione per poter annunciare Gesù Cristo.
L’esperienza del Cammino Neocatecumenale
è importantissima per poter parlare all’uomo
decristianizzato di oggi ed è il luogo dove
quest’uomo può essere educato alla fede.
Marsiglia è caratterizzata da una forte presenza
mussulmana, questo che ripercussioni ha sulla
vita della parrocchia, sulle esigenze dell'evangelizzazione?
I mussulmani oggi sono circa il 25% della
popolazione della città (questi sono i regolari,
se contiamo anche gli irregolari e i clandestini
la percentuale aumenta) cioè 1 su 4.
Oggi c’è una grande superficialità nel trattare
la questione islamica. In Europa si vorrebbe
far passare l’idea che esista un Islam moderato.
Questo è falso. Al massimo ci può essere un
mussulmano un po’ più tranquillo che un
altro, ma nel DNA dell’Islam c’è uno spirito
di rivalsa e di conquista. Questo ci serve per
vedere se noi siamo veramente cristiani o se
abbiamo soltanto una verniciatura di
cristianesimo. Quello che è importante è che
appaia Gesù Cristo all’uomo di oggi.
E questo è possibile con una comunità cristiana
che sia segno della sua presenza, che dia i segni
della Fede. Gesù Cristo ci dice: amatevi come
io vi ho amato… e …affinché siano uno, perché il
mondo creda che tu mi hai mandato.
La sfida dell’Islam all’Europa ci richiama con
forza a guardare all’autenticità della nostra
fede. Che significato dai, dal tuo osservatorio
particolare, alle parole di Giovanni Paolo II
che più volte ha parlato di Nuova Evangelizzazione?
La testimonianza
Nella foto:
veduta di Marsiglia dal
piazzale di Notre-Dame
de la Guarde.
13
Quando Giovanni Paolo II ha parlato di Nuova
Evangelizzazione ha aggiunto una cosa molto
interessante. Ha detto di lasciare gli schemi
ormai atrofizzati per rifarci al modello
apostolico. Basta leggere gli Atti degli Apostoli
o vedere come Gesù stesso ha formato i suoi
discepoli: mandandoli a due a due annunciando la Buona Notizia, senza soldi, senza
bisaccia, abbandonati completamente alla
Provvidenza. Anche Benedetto XVI ha parlato
di Nuova Evangelizzazione, ma nell’incontro
con i giovani a Colonia ha aggiunto una cosa
molto importante: ha parlato di Prima
Evangelizzazione. Se è Prima significa che non
c’è la Fede, che non possiamo più supporre la
Fede. Lo Spirito Santo già ha dato risposte
concrete. Una fra queste è l’esperienza del
Cammino Neocatecumenale che è stato
riconosciuto come un itinerario di formazione
cattolica valido per la società e i tempi moderni.
Anche da noi si vede ormai con chiarezza che
non possiamo più supporre la fede; è sempre
più evidente, nei battezzati, la separazione tra
la fede e la vita. Andiamo al tempio,
affermiamo di credere in Dio, ma nei fatti,
nelle scelte di ogni giorno, sono rari i cristiani
adulti che si distinguono dall’ateo. Che
differenze vedi tra la situazione della Chiesa
in Francia ed in Italia?
Le differenze sono tante, ma non voglio
elencarle anche perché la storia della Francia
e dell’Italia sono diverse. Penso che in Francia
stiamo vivendo oggi quello sarà in Italia fra
una ventina d’anni, o forse meno, se non ci
convertiamo veramente.
Oltre che parroco, sei anche rettore di un
Seminario Diocesano “Redemptoris Mater”,
i seminari che raccolgono le numerose
Da quattro anni la parrocchia di Caorso, grazie alla collaborazione di zelanti parrocchiani, si è fatta
carico di rinvenire e trasportare aiuti per l’erigendo seminario di Marsiglia, in particolare detersivi e viveri
a lunga conservazione offerti gratuitamente da alcune aziende che ringraziamo vivamente. Fra di esse,
la Lever-Gibbs di Casalpusterlengo, la Cooperativa A.R.P. di Gariga, il Supermercato Sigma-Coalpi di
Caorso, La Cantina Sociale Valtidone di Borgonovo, la Latteria Sociale di Soresina, la Torrefazione
Ramenzoni di Fidenza collaborano con continuità e generosità. Chiunque voglia collaborare a questa
piccola, ma significativa opera di solidarietà, può farlo rivolgendosi al parroco. (Nella foto, le operazioni
di scarico dei tre furgoni partiti dal nostro paese).
14
Nelle foto:
due vedute notturne
del Vecchio Porto
di Marsiglia.
vocazioni nate, come la tua, nel Cammino
Neocatecumeale. Ci puoi parlare di questa
realtà?
Marsiglia è la seconda città della Francia e il
seminario diocesano è stato chiuso circa 20
anni fa. Le vocazioni sono pochissime. Oggi il
mondo ha bisogno di presbiteri santi che
conducano il popolo all’altra riva. E’ un’opera
che il Signore ha cominciato e gli sono grato
di avermi chiamato a essere spettatore di
quest’opera. Oggi con me ci sono undici
seminaristi. Grazie a Dio, le difficoltà non ci
mancano.
Ad esempio a Marsiglia non c’è un centro dove
i seminaristi possano studiare e, per questo,
devono andare ogni giorno allo studio teologico
di Tolone. Questo significa, fra andata e ritorno,
circa 150 km da percorrere ogni giorno. Di
conseguenza dobbiamo alzarci molto presto al
mattino per avere almeno un’ora di preghiera
come inizio della giornata.
Abbiamo scelto di vivere confidando nella
Provvidenza e sono testimone di tanti aiuti che
abbiamo ricevuto senza
chiedere niente. Il Signore
ci sorprende sempre con la
sua generosità toccando il
cuore delle persone (anche
di qualche caorsano!!!).
Questo vedo che sta formando enormemente i
ragazzi a vivere senza uno
stipendio e nella precarietà,
ad essere ad esempio meno
esigenti.
Quali sono le cose più belle
della storia che stai
vivendo?
Vedere una persona che si converte. Il peccato
uccide veramente l’uomo e gli fa vivere una
vita d’inferno. Vedere (come dice San Paolo)
il potere che ha la stoltezza della predicazione
di strappare gli uomini dagli inferi è la
consolazione più grande e non esiste realtà al
mondo che possa gratificarti pienamente come
questa.
E le cose che invece ti preoccupano maggiormente come cristiano, come presbitero e come
parroco?
Che non avvenga (come dice ancora San Paolo)
che dopo aver spinto molti a entrare (nella
Chiesa) io non ne resti escluso. Pregate per
me. Ne ho bisogno!
Grazie Don Aldo, le nostre preghiere non vi
verranno meno, per te, per la tua parrocchia,
per i seminaristi che vivono con te. E anche
noi vi chiediamo di pregare per la nostra
conversione e per la nostra parrocchia.
La Pace del Signore Risorto sia con tutti voi!
Giorgio Pavesi
15
A.N.S.P.I.:
avanti tutta!!
Partenza in grande stile
per le attività del nostro oratorio
I
l 9 ottobre scorso con la festa di apertura
si è dato ufficialmente il via alle attività della
Casa dell’Amicizia per questa stagione
2006/2007. Non mancano le novità, a partire
dal gruppo di animatori che si è formato lo
scorso inverno e che ora ha direttamente in
gestione l’aspetto organizzativo degli eventi che
si svolgono all’interno dell’oratorio, sempre in
collaborazione con il direttivo, che invece si
occupa principalmente della struttura in sé.
La festa di apertura è stata caratterizzata da un
intenso pomeriggio di giochi rivolto ai più
piccoli, mentre la serata è stata animata dalle
atmosfere calde ed avvolgenti delle specialità
della cucina spagnola preparate dalle nostre
giovani “cuoche”.
Nella foto:
un momento della
testimonianza resa dai
coniugi Quadri
durante la festa
spagnola al nostro
oratorio.
16
Il tutto è stato poi accompagnato da un
momento di riflessione con la testimonianza
di una giovane coppia di genitori che hanno
raccontato un po’ la loro vita e le esperienze
negative che hanno saputo superare dimostrando che comunque, anche quando il
mondo ti rema contro, c’è sempre un Padre,
una speranza a cui aggrapparsi.
Domenica 29 ottobre per tutti i bambini
abbiamo organizzato la festa di tutti i Santi,
per far loro conoscere, fra giochi e divertimento,
alcune delle figure più significative e
carismatiche della nostra chiesa.
Tante sono le iniziative che si cerca di mettere
in atto: al momento la più "accattivante" è il
corso di danza Country tenuto da Annalisa,
che fin dalla sua presentazione, durante la festa
del 9 ottobre appunto, ha entusiasmato i ragazzi
e devo dire anche gli stessi animatori che si
sono lanciati in un frenetico e coinvolgente
ballo di gruppo.
Ancora di tutt’altro genere, ma non per questo
meno interessante, è il corso di cucito e ricamo
rivolto anch’esso ai ragazzi ma che, detto fra
noi, farebbe tanto comodo anche a qualche
adulto, me compresa!
Inoltre, come ormai da tradizione, è in
preparazione lo spettacolo natalizio dei bimbi
che quest’anno si terrà la sera del 22 dicembre
e che, se ci sarà tempo sufficiente, potrebbe
essere accompagnato da alcuni brani della
scuola di musica, che ha preso il via in questi
mesi alla Casa dell’Amicizia.
Domenica 17 dicembre aspettiamo tutti i
bambini per la festa di Santa Lucia, e il 26
dicembre alle 21 ci sarà la tradizionale tombola
di Santo Stefano.
Inoltre, per i più grandi, sono in preparazione
una serie di serate all’insegna del divertimento,
tra cui il Veglione di Capodanno.
Non da ultimo, ricordiamo che ogni giovedì
sera dalle 20.30 alle 22.30 è attivo presso i
locali della Casa dell’Amicizia uno "sportello
giovani" rivolto a tutti i ragazzi che sentono
l'esigenza di discutere e confrontarsi riguardo
tematiche non sempre facilmente trattabili.
Simona Chiesa
La Casa dell’Amicizia
Nelle foto:
immagini di repertorio
di alcuni dei ragazzi
che frequentano il
nostro oratorio e che
sono l'anima di tutte le
attività che in esso
vengono svolte.
A sinistra, nella pagina
a fianco: Marco.
Qui a sinistra:
il "gruppone"
in campeggio.
Sotto, a sinistra:
la signora Bonardo con
l’ultimogenito: con suo
marito è catechista dei
giovani marsigliesi.
Sotto, a destra:
Ilaria e Sara.
Infine: Sara.
17
La Parrocchia di Caorso
La generosità dei caorsani
18
Lo spirito di fede e di carità dei caorsani e dei
loro sacerdoti diede vita, nei secoli, a molte
forme di assistenza. Il documento finora più
antico è il testamento di Oddino Oddi, in data
24 settembre 1615, nel quale egli lasciava erede
dei suoi beni la “Bussola dei Poveri”. Ecco la
parte centrale del documento: “…alla quale
Bussola de’ Poveri lascio la mia casa di Piacenza,
con carico di pagare ogni anno Ducatoni cinque alli
poveri carcerati, quando vi saranno carcerati di
Caorso, quali voglio siano preferiti a tutti gli altri…et
il resto voglio si spenda a beneficio di poveri bisognosi,
infermi et straziati, povere vedove di Caorso come
meglio piacerà in coscienza al Rev.do Arciprete di
Caorso…”.
Se questa Bussola dei Poveri nel 1615, era così
ben operante e stimata da ricevere beni da
amministrare, i suoi inizi dovevano risalire a
molto tempo prima, ma finora non è stato
possibile trovare l’atto della sua fondazione.
Nell’archivio parrocchiale di Caorso esiste un
Censuale della “Bussola de’ Poveri di Caorso” con
annotate le entrate e le uscite dei denari dati ai
poveri, agli infermi e ai carcerati, dal 1666 al
1773, cento sette anni di scrupolosa amministrazione e da uno scritto datato 1704 si può
sapere quali erano i beni posseduti: “Beni stabili
della Bussola de’ Poveri di Caorso: una casa in
Piacenza lasciata da Oddino Oddi nel 1615, 37
pertiche di terra al Ronco di Muradolo, capitale di
L. 2600 e capitale di L. 850”.
Da altri documenti si sa che la Bussola era
governata da Reggenti e che alla fine del 1700
nella Rocca erano detenuti certi Desiderio
Bargoni, Giuseppe Zambelli e Francesco Barbieri
e il documento finisce con una ricevuta del
carceriere: “Confeso io sottoscritto di aver ricevutto
da Sod. Sig. Arciprete la suddetta somma delli sodetti
carcerati. Io Gieroamo Breda Bargello di Caorso”.
A volte in fondo alla ricevuta appaiono brevi
note come “…pane ricevuto da Gio.i Batt.a Vignola
oste di Caorso e somonistrato a Luigi Donati detenuto,
figlio di Paolo, di Caorso…”; oppure: “…Io o giuntato
del proprio pane e vino al giorno L. 2,8…”.
L’ultimo documento della Bussola è del 20
febbraio 1803, ma la carità dei caorsani continuò
pur in forme diverse. Nel 1837, l’Arciprete
Zilocchi pensò e realizzò l’Associazione di S.
Dorotea. Un centinaio di bambine, dai 7 ai 15
anni, delle poverissime famiglie dei braccianti,
una categoria di lavoratori da sempre in
condizioni di emarginazione, ricevevano
istruzione cibo e vestiti gratuitamente. Nel 1899,
don Sartori fondò l’Opera di S. Antonio per il
Pane dei Poveri che provvedeva ad assicurare
pane e vestiti e di questa opera esistono i registri
fino al 1918. Da questa data l’Arciprete don
Chiappa mutò il nome dell’opera in “Lega di
Carità”, coinvolgendo tutte le confraternite e
associazioni esistenti in parrocchia e facendo
assumere a ciascuna impegni e responsabilità.
Durante la Prima Guerra Mondiale grande era
il numero dei profughi, finita la guerra scoppiò
l’epidemia di “Spagnola”, oltre la quotidiana
assistenza ai poveri.
In archivio esistono ancora esemplari di buoni
consegnati dagli Arcipreti Sartori e Chiappa, ai
poveri e alle famiglie, per ritirare “pane bianco”
dai fornai di Caorso. Durante la Seconda Guerra
Mondiale Don Bergamaschi si adoperò molto
e si ricorda ancora oggi da molti caorsani che
alloggiò giovani partigiani di passaggio in un
sottotetto del cimitero con grave pericolo per
lui e per tutta Caorso. Con l’Ente di Assistenza
post bellica aiutò moltissime persone e procurò
vacanze al mare e ai monti a molti bambini
delle famiglie più povere.
A conclusione di questa breve sintesi delle vicende
della storia della Chiesa di Caorso, iniziata nel
giugno 2004, ringrazio quanti hanno seguito le dieci
puntate pubblicate e, in particolare, ringrazio i molti
caorsani che mi hanno contattato e benevolmente
espresso le loro impressioni, eccone alcune: “…molto,
molto interessante…”, “…ma quante belle cose
non sapevamo della nostra Caorso…”, “…perché
questa ricerca è stata lasciata in fondo a un
cassetto per vent’anni?...”.
Grazie ancora.
Padre Luigi Muratori
La nevicata del 1985.
Passeggiata sotto la neve di
Nello Ghioni e Angelo Pavesi.
Calendario delle Festività Natalizie
20
Giovedì 21 dicembre
Alle ore 20.30 in chiesa:
Celebrazione penitenziale per adulti e giovani.
Venerdì 22 dicembre
Alle ore 20.30 presso la Casa dell'Amicizia:
Recital natalizio dei bimbi.
Sabato 23 dicembre
Antivigilia del S. Natale
Dalle ore 15.30 alle ore 18.30 saranno disponibili
confessori in chiesa
S. Messa vigiliare della domenica in chiesa alle ore 17.30.
Domenica 24 dicembre
Vigilia del S. Natale
S.S. Messe alle ore 9.30 – 11.00
S. Messa vigiliare in chiesa alle ore 17.30
S. Messa della Natività in chiesa alle ore 24.00.
Lunedì 25 dicembre
Solennità del S. Natale del Signore
S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00 – 17.30
Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45.
Domenica 31 dicembre
Ultimo giorno dell’anno
Alle ore 17.30 S. Messa vigiliare di Maria Santissima
Madre di Dio
Alle ore 18.30 breve adorazione eucaristica col canto
del Te Deum.
Lunedì 1 gennaio
Capodanno ed ottava di Natale
S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00 – 17.30
Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45.
Sabato 6 gennaio
Solennità dell’Epifania
S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00
Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45
Messa vigiliare della domenica in chiesa alle ore 17.30.
Domenica 7 gennaio
Festa del Battesimo del Signore
S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00
Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45.
Alle ore 15.00 in chiesa: Festa dei Re Magi per tutti i bimbi