noli timere terra exulta et laetare
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noli timere terra exulta et laetare
oce Va m i c a DICEMBRE 2006 ISLAM E LAICISMO IL DILEMMA DELL’EUTANASIA MONS. BERGAMASCHI A 40 ANNI DALLA MORTE INTERVISTA A ROBERTA MASERATI MISSIONE MARSIGLIA LE NOVITÀ DELLA CASA DELL’AMICIZIA LA GENEROSITÀ DEI CAORSANI NOLI TIMERE TERRA EXULTA ET LAETARE La morte di di Mons. Igino Carini Fu direttore spirituale di Mons Caffarra, attuale Arcivescovo di Bologna VOCE AMICA N° 4/ 2006 Periodico della parrocchia di Caorso fondato da mons. Lazzaro Chiappa l'8 dicembre 1923 Direttore responsabile Don Giuseppe Tosca Autorizzazione Tribunale di Piacenza del 26.01.2005 n. 605 Stampa Tipolitografia La Grafica Piacenza Impianti Fotolito Officina Foto Grafica Redazione Carlo Livera Davide Livera don Giuseppe Tosca Enrico Francia Marcello Casalini Marco Molinari Simona Chiesa Valentina Rossi Fotografie don Giuseppe Tosca Lino Pavesi Progetto grafico Silvia Bodini Impaginazione Emanuela Chiesa M onsignor Igino Carini è nato, nel 1919, a San Rocco di Busseto dove, il 21 Marzo 1943, ha celebrato la sua prima messa. Dal 1947 al 1962 è stato direttore spirituale del seminario diocesano insegnando varie materie e contribuendo in maniera determinante a forgiare e rinfrancare l’animo di molti giovani nel difficile periodo della guerra quando vescovo, seminaristi e insegnanti erano sfollati a causa del bombardamento della città di Fidenza. Fino al ’67 è stato anche delegato vescovile per l’ Azione Cattolica. Divenuto canonico della cattedrale di Fidenza, Monsignor Carini ha intensificato la sua missione pastorale dirigendo dal 1952 al 1972 l’ O.D.A, opera diocesana di assistenza, e fondando “Il cenacolo”, centro di spiritualità per le famiglie costruito nel seminario bombardato. Dal 1978 al 1989 è stato parroco di Monticelli. Nel 1989, ormai pronto a ritirarsi a vita privata, l’allora vescovo di Fidenza mons. Carlo Poggi, gli chiedeva di diventare parroco e rettore del santuario mariano dell’Addolorata a San Pedretto. Il 4 Giugno 2006 viene trovato privo di vita seduto sul letto, con il rosario tra le mani, dopo aver celebrato la veglia di pentecoste nella quale aveva tenuto una intensa omelia sull’amore fraterno. Pubblichiamo alcuni passaggi del suo testamento spirituale che delineano bene i tratti di un sacerdote santo. Prima di morire rendo testimonianza al Signore che non io ho scelto Lui, ma Lui ha scelto me (come ne sono certo) e mi ha posto perché io producessi dei frutti duraturi. E i frutti non ci sono. Fioriture di aprile ce ne sono state, ma la brina le ha bruciate. Quanta amarezza! Alla soglia dei settant’anni mi sento sul rettilineo di arrivo, tutt’altro che pronto all’incontro con il Signore. Perciò il mio grazie al Signore si fa commosso e stupito che non si sia ancora stancato di usarmi misericordia... Grazie perché mi chiamasti per nome fin dall’eternità, mi scegliesti contadinello da un angolo remoto di campagna, come Davide dal gregge, per vestirmi del tuo abito in seminario... Grazie per le persone in cui ti sei incarnato, per avviare e sostenere il mio sacerdozio... Grazie per la povertà economica, nella quale sono nato e cresciuto, per la salute cronicamente compromessa fin dal liceo, per le mie notti dal sonno scarso. Sono contento di avere detto sì al Signore e di aver creduto all’amore... Davide Livera Editoriale P enso al teologo che non aspetta perché possiede Dio chiuso in un edificio dottrinale. Penso all’uomo di Chiesa che non aspetta Dio perché lo possiede racchiuso in un’istituzione. Penso al credente che non aspetta Dio perché lo possiede rinchiuso nella propria esperienza. Non è facile sopportare questo non possedere Dio, questo aspettare Dio». Queste parole del teologo americano Paul Tillich mi ricordano quelle, molto meno sintetiche, ma infinitamente più affascinanti del buzzatiano “Racconto di Natale”, che amo spesso citare. Il tempo liturgico dell’Avvento, che va ormai concludendosi, ci ha richiamato una dimensione essenziale e quotidiana della vita di fede: l’attesa. L’attesa del credente non è una attesa insensata e vuota, come quella di chi … “aspettava Godot”. È l’attesa carica di speranza di chi sa che Dio si è manifestato e di nuovo si manifesterà nella propria vita, in quella della Chiesa e del mondo. Noi credenti, tuttavia, troppo facilmente cadiamo nel dare per scontato Dio, come se l’agire del Signore potesse essere previsto o, peggio ancora, come se il nostro Dio fosse soltanto un insieme ideologico di dogmi o un apparato burocratico fatto di progetti e piani pastorali che nulla lasciano alla sorpresa, alla meraviglia. E la meraviglia, quella che ci attende nella Santa Notte del Natale, è proprio il compimento dell’attesa. La meraviglia rinnovata, e che di nuovo – come l’attesa – si rinnoverà, per l’amore di Dio che si fa carne per noi, che per noi entra nella storia degli uomini e l’assume perché sia una storia di salvezza. Viviamo nel tempo della fretta, del tecnologico “tutto e subito”, in una società che non attende nulla fuori da se stessa, tutta china sui propri interessi, i propri beni, i propri piaceri, dove, forse, anche diversi credenti hanno ridotto i tempi liturgici e la celebrazione dei sacramenti a riti ripetitivi e vuoti. La routine uccide. La routine non è da Dio. Chi ha conosciuto il regno del rischio e del pericolo – così Martin Buber chiamava il regno di Dio – si mette ogni giorno in gioco e mette in gioco le proprie sicurezze, economiche, affettive, sociali, per seguire un Dio che è sempre oltre e sempre ci chiama a trascendere il nostro io. Provvidenzialmente. il recente Convegno ecclesiale di Verona ci ha voluto incoraggiare alla speranza ed, in particolare, il Santo Padre ha profeticamente affidato alla Chiesa che è in Italia la missione di ridare speranza a coloro che abitano, non solo nel nostro Paese, ma anche ai cittadini dell’Europa e del mondo: «L'Italia […] costituisce […] un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, - e lo vediamo! - che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione […]. È inoltre sentita con crescente chiarezza l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un'etica troppo individualista: in concreto, si avverte la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà. […] La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli. Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo, occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia. Tocca a noi infatti - non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito Santo - dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all'Europa e al mondo, perché è presente ovunque l'insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo» [Dal discorso di S.S. Benedetto XVI - Fiera di Verona, 19 ottobre 2006]. Mi piace, infine, concludere questi pensieri augurando a tutti voi un Santo Natale con una poesia, a me molto cara, che è anche una preghiera per ciascuno di noi e per tutto il mondo: «Verità, antica e qui presente eternità, verbo creante, poi creato in carne! Memoria, realtà, ritorna in me, in noi, in loro! disfa la nebbia dell’inganno» (G. Testori). don Giuseppe Editoriale In copertina: Il presepe realizzato dal signor Giovanni Mancini nel proprio giardino. 3 Islam e Laicismo: le derive dell'occidente Rischi moderni e analogie antiche per questa civiltà indifferente a Dio L Sotto: una bella immagine di Benedetto XVI 4 a "Lectio Magistralis" tenuta da Papa Benedetto XVI durante la sua visita di settembre in Baviera ha infiammato il mondo islamico scatenando un putiferio fondamentalista che ha fatto temere gravi conseguenze sia per tutto l'occidente che per lui stesso. Leggendo il discorso, che aveva come tema il rapporto tra fede e ragione, e nel quale per introdurre l'uditorio nell'attualità dell'argomento il Papa ha citato un dialogo del XIV secolo in cui l'imperatore bizantino Manuele II Paleologo parla del rapporto tra religione e violenza, appare evidente che il Santo Padre non voleva fare sue la parole dell'imperatore medievale e che il contenuto polemico non esprimeva la sua convinzione personale, ma che servivano come pretesto per iniziare il discorso; traspare quindi che questa citazione è stata volutamente fraintesa, diventando un pretesto per dare sfogo al profondo rancore verso il mondo occidentale e la religione cristiana in particolare. Ancora una volta la seconda religione monoteista al mondo, l'Islam, ha dato una dimostrazione di determinazione, di forza e di coesione, che più che reazione immediata ed istintiva è parsa occasione per prendere le misure all'occidente (pseudo)cristiano. Sono bastati un paio di episodi (quello appena detto, e la pubblicazione delle vignette satiriche in Danimarca) per mettere a nudo la reale situazione della civiltà occidentale, della sua tiepida fede, della sua deriva laicista. Le minacce verbali e materiali degli integralisti non hanno trovato una adeguata barriera di contenimento, ma - al contrario - hanno incontrato una tacita indifferenza figlia di quella tolleranza incondizionata che è diventata vessillo della nuova Europa secolarizzata. È significativo ma anche estremamante preoccupante - che le prime parole di comprensione al discorso papale, ammettendone la malainterpretazione, non siano arrivate, ad esempio, da chi governa l'Italia ma dal presidente iraniano Ahmadinejad. In un occidente sempre più attratto dalle seducenti insidie della cultura illuminista che tenta di adescare le persone distaccandole dai valori etici della famiglia e della società, si sta facendo sempre più largo il convincimento che per essere veramente liberi si debba anteporre alla propria identità culturale il permissivismo e la tolleranza senza riserve verso le culture altrui, incoraggiandone il connubio e senza rendersi conto che il tentativo di avvicinare tali culture, occidentale e islamica, è fallito in partenza a causa delle loro basi così palesemente antitetiche: da un lato una società aperta, che in un eccesso di permissivismo (che ricorda il buonismo di certi politici cattolici nazionali...) si sottomette al patrimonio di conoscenza altrui; dall'altro una cultura religiosa chiusa, che non concepisce la comprensione e la tolleranza. Da una parte una civiltà che spinge verso la separazione sempre più estrema dei poteri temporale e spirituale; dall'altra una organizzazione sociale fortemente influenzata e sovrastata dalla religione. Il rischio che non possano mai andare daccordo è quindi concreto: due mondi che non potranno mai convivere in un regime di uguaglianza e liberalità, me che invece - se costretti alla convivenza ravvicinata - sono destinati a veder soccombere il più remissivo dei due: l'occidente. L'apertura al dialogo interreligioso, portata avanti da Benedetto XVI sulle orme del suo predecessore e consolidata nell'incontro con i massimi rappresentanti diplomatici dei Paesi a maggioranza musulmana e con i membri della Consulta per l'Islam, non deve comunque essere interpretata come accondiscendenza o indulgenza nei loro confronti ma come «un invito per cristiani e musulmani a vivere nella concordia e nella fraternità». Il Santo Padre infatti, pur approvando il dialogo, mette in guardia dal relativismo religioso: «Desidero ribadire questo principio che costituisce un presupposto di quel dialogo tra le religioni che 40 anni or sono auspicò il Concilio Vaticano II. È doveroso, ha aggiunto, evitare inopportune confusioni. Quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. La convergenza dei diversi non deve dare l'impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla». Inoltre «non si può prescindere dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se si evita ogni ambiguità che indebolisca il contenuto della fede». Parole chiare che non lasciano spazio a fraintendimenti e che lanciano un monito all'occidente marcato da un «drastico illuminismo e laicismo» nel quale è sempre più forte la tendenza della cultura secolare di «negare il disegno della presenza di Dio nella vita della società e del singolo attraverso vari mezzi che disorientano e offuscano la retta coscienza dell'uomo». Ciò, ha aggiunto il Papa, non fa altro che corrodere la sua capacità di mettersi in ascolto di Dio. Di conseguenza «il destino dell'uomo senza Dio non può che essere la desolazione dell'angoscia che conduce alla disperazione». Oltre a tenere ben distinte le due religioni occorre evitare un altro equivoco: pensare che quelle parole non ci riguardino ma che siano destinate ai non credenti, agli "atei cristiani", a quanti predicano la libera Chiesa in libero Stato. A noi, credenti, cattolici, magari praticanti, magari appartenenti ai vari movimenti ecclesiali, queste parole - invece toccano più di quanto la nostra consuetudine possa farci pensare. Il veloce avanzamento di questa nuova ondata laicista è conseguenza di due attori: chi la spinge e promuove, e chi anche con l'indifferenza - permette che questa attecchisca e si sviluppi. E' tempo che ognuno - se crede nel profondo alla valenza delle proprie radici cristiane - faccia la propria parte ogni giorno, permeando la quotidianità con la parola di Dio. E' tempo che la fede esca dall'intimità del rapporto personale con Dio per espandersi nella famiglia, nei rapporti con gli altri, sul lavoro. E' tempo che l'identità cattolica di ogni persona diventi il proprio biglietto da visita, da mostrare e lasciare nelle mani di chi si incontra. E' tempo che la sacralità della domenica si espanda su ogni giorno ordinario. E' tempo che la vita di ognuno sia patrimonio di evengelizzazione del vicino. E' tempo che le ambiguità e gli opportunismi di ciascuno - in casa, sul lavoro, in politica, con gli altri - lascino spazio alla determinazione di una fede matura, adulta, vissuta ogni giorno, e rinunciando all'idea di credersi esonerati dall'impegno solo perchè credenti. Leggendo alcune pagine dei profeti che spendono la vita ad ammonire un popolo Israele - che ha dimenticato il Dio che li ha salvati, mettendolo in guardia dallo sdegno divino, si avverte una profonda analogia con la situazione odierna: una società che si allontana da Dio escludendolo dalla visione dell'uomo, e in mezzo a questo una voce che si leva a monito delle generazioni, mettendole nella verità della sciagura. Circostanze affini, ma con una sostanziale differenza: oggi, in quella situazione, c'è l'occidente, ci sono quelli che credono e quelli che non credono, ci siamo noi - persone in carne e ossa - con la nostra vita e i nostri figli. Circostanze che nella loro drammaticità lasciano intuire una possibile via divina di riedificazione della Chiesa, quella via irrigata dal sangue dei martiri predetta dal terzo mistero di Fatima. Marco Molinari Riflessioni A sinistra: la distribuzione dell’Islam nel mondo. 5 Il dilemma dell'eutanasia Una riflessione sui motivi delle ricorrenti pressioni alla sua legislazione. N 6 egli ultimi anni continua a riaccendersi nel nostro paese, in modo ricorrente, il dibattito sull’opportunità o meno di arrivare a una qualche forma di legalizzazione dell’eutanasia, a tutt’oggi considerata un reato. L’eutanasia consiste, di fatto, nell’uccisione deliberata e indolore di un essere umano che si trovi in uno stato di grande sofferenza. Si configurano due principali tipologie di ricorso all’eutanasia. Una riguarda il caso di persone adulte che, gravemente malate e sofferenti, chiedono in piena consapevolezza che venga posta fine alla loro vita (ne sono un esempio le recenti richieste di alcuni malati al Presidente della Repubblica, da lui rese note alla nazione). L’altra riguarda il caso di bambini gravemente malformati e sofferenti, con speranze di guarigione pressoché nulle, per i quali i genitori ritengono che la morte sia preferibile alla continuazione della vita in quelle condizioni. Quando ci si addentra nel cuore dei dibattiti sull’eutanasia, ci si accorge che i suoi fautori contano su di un ricco arsenale di casi umani strazianti, di fronte ai quali sembra quasi crudele la posizione di chi, come la Chiesa cattolica, si pronuncia fortemente contro ogni forma di legalizzazione dell’eutanasia. Vorrei chiarire i motivi per cui il rifiuto opposto dalla Chiesa mi sembra molto più ragionevole di ogni opzione permissiva. Innanzitutto, riflettere sull’eutanasia significa riflettere sul significato della vita umana e di una sua componente irrinunciabile: la sofferenza. Si auspica l’eutanasia quando non si riesce più a comprendere la sofferenza. Ma se la sofferenza è qualcosa di insensato, la cui presenza rende la vita non più degna di essere vissuta, allora il senso e la dignità della nostra vita variano in funzione delle cose belle o brutte che ci capitano. Ovvero: quanto più una vita è piena di sofferenze, tanto più essa è indegna. Tutta la nostra umanità, tutta la nostra ragione gridano contro una simile ipotesi. Di fronte a un malato tanto sofferente e privo di speranza da invocare la morte, qual è la risposta più ragionevole, e quindi più umana, dei familiari, degli amici, dei medici? Chinarsi, abbracciare, lenire, oppure uccidere, in nome della libertà di scelta? Una legge che ammettesse, in casi simili, l’uccisione deliberata del malato sarebbe una legge contro l’uomo. Non solo contro il malato, abbandonato alla sua disperazione anziché nascano, oltre che da un’incapacità di comprendere la sofferenza, anche dal venir meno dell’idea di irriducibilità, di sacralità della vita umana. Di fatto questa idea è già stata in larga parte rimossa dalle nostre coscienze, come conse-guenza dell’abitudine a considerare le nostre vite come un succedersi di fenomeni biologici di tipo animale. La legalizzazione dell’eutanasia consoliderebbe in modo difficilmente reversibile questo atteg-giamento, rinforzando la nostra assuefazione - per usare le parole del filosofo Hans Jonas - “progressiva e cumulativa al pensiero e alla pratica dell’uccidere per mettere fine a determinate situazioni di bisogno”. Quanto questo ci allontanerebbe dall’umano credo sia evidente a tutti. Giorgio Dieci Il Fatto essere aiutato a vincerla, ma anche contro i somministratori a freddo di questa morte: il medico, che vedrebbe inserito l’uccidere nei suoi diritti/doveri, nell’inventario delle sue azioni di routine; e i familiari, che verrebbero messi nella condizione di farsi carico della più grave delle decisioni: la soppressione del proprio coniuge o del proprio genitore. Per non parlare dei genitori che si troverebbero a poter decidere dell’uccisione del proprio bambino (a sua insaputa, senza che egli lo abbia chiesto) come alternativa al vederlo soffrire, come si fa con gli animali. La nostra ragione grida contro questo, eppure si tratta di una forma di violenza già largamente e legalmente praticata nei confronti dei nascituri. Il problema è che, in assenza di un richiamo forte a ciò che veramente siamo, ci abituiamo a tutto, anche alla pratica di uccidere gli innocenti. Quale legge umana potrà mai stabilire, o permettere a qualcuno di stabilire, quando una vita umana non è più degna di essere vissuta? Cosa faremmo se persone sane e disperate (ce ne sono tante) chiedessero allo Stato una morte dolce? Su quale base verrebbe loro negata o concessa: sulla base di un certificato medico? Oppure verrebbe loro consigliato il suicidio? Credo che le ricorrenti pressioni per una legalizzazione dell’eutanasia 7 Mia Caorso addio! A 40 anni dalla morte di Monsignor Antonio Bergamaschi I In alto, a destra: Mons. Bergamaschi eletto Vescovo di Montefeltro. Qui sopra: sempre mons Bergamaschi con Papa Pio XII. A destra: Mons. Bergamaschi con i bambini dell'asilo. 8 l 17 Aprile 1966 moriva improvvisamente, all’età di 72 anni, Mons. Antonio Bergamaschi, già parroco di Caorso dal 1935 al 1950. Era l’epoca del fascismo, dello “Stato è tutto e nulla vi è al di fuori dello Stato”. Fu valente predicatore, viaggiò in continuazione, per breve tempo fu anche rettore del Seminario Vescovile di Bedonia. Prima della Seconda guerra mondiale edificò la nuova Canonica, l’attuale abitazione del Parroco. Durante il periodo bellico si dedicò anima e corpo ad alleviare le sofferenze della popolazione. I camminamenti sotterranei della Chiesa Parrocchiale furono sicuro rifugio di molti uomini del paese, i quali poterono così sfuggire ai rastrellamenti messi in atto dai Tedeschi. Salvò il paese da sicura distruzione allorché alcuni caorsani, per pura fame, si appropriarono delle vettovaglie, soprattutto riso, dei tedeschi caricate su vagoni in transito sulla linea ferroviaria Piacenza Cremona. L’assalto ai vagoni del treno provocò il rastrellamento. Mons. Bergamaschi, venuto a conoscenza dei fatti e informato delle intenzioni nemiche, con coraggio eroico corse alla stazione ferroviaria di Caorso, si inginocchio davanti ai Tedeschi e offrì la sua vita in cambio di quella della sua gente. Lo ascoltarono, imposero la restituzione delle vettovaglie e Caorso fu salvo. Nel dopoguerra il Parroco si impegnò a favore delle famiglie più povere e della sorte di tanti giovani partiti per la guerra e dispersi nella convulsione degli avvenimenti: tenne un fitto carteggio con Vescovi e autorità di varie parti d’Italia per avere notizie dei giovani caorsani che ancora non avevano fatto ritorno; ricorse anche ad aiuti internazionali per allestire mense scolastiche e assicurare i soggiorni nelle colonie marine ai bambini del paese. Tra le tante attività pastorali e nel clima di ricostruzione della nazione italiana, il 3 dicembre 1949 giungeva a Mons. Bergamaschi la nomina a Vescovo di Montefeltro. Congedandosi dai caorsani, appena fatto vescovo, gridò alla folla una frase ancora oggi ricordata: "Mia Caorso addio". Nel suo cuore non dimenticò mai il nostro paese. Nel suo testamento spirituale ricordò tutti, anche i caorsani e offrì a Dio la sua morte "come olocausto di adorazione, di ringraziamento e di riparazione". Il desiderio che Mons. Bergamaschi ebbe in vita di legarsi a Caorso si è adempiuto con l’intitolazione di una via nel nostro paese. Davide Livera Il sostentamento del clero attuale sistema di finanziamento alla Chiesa cattolica è frutto di due coscienze che si evolvono. Quella avviata dal Concilio Vaticano II che chiede alla Chiesa di essere sempre più libera dai riferimenti alla vita dello Stato e della società e di essere sempre più autoresponsabile anche in termini di finanziamento e sostegno alle proprie attività. D’altra parte lo Stato italiano si impegna a fornire un aiuto alla Chiesa nelle sue attività, senza però esserne corresponsabile. Nel 1866 lo Stato, con una decisione unilaterale, incamera i beni delle congregazioni religiose lasciando in vita solo i benefici connessi alle parrocchie, alle mense vescovili e agli uffici dei canonici, oltre alla possibilità di ottenere libere offerte dai fedeli. I benefici erano rendite rivenienti da immobili e terreni e interessavano il sacerdote o il vescovo che ne erano titolari. Viene costituito il fondo per il culto che doveva integrare con assegni di congrua i redditi troppo esigui di alcuni di questi benefici. Né la legge delle Guarentigie del 1871, né il concordato del 1929 riescono a regolamentare la situazione patrimoniale tra Stato e Chiesa. Il cammino giunge a compimento con il codice di diritto canonico del 1983 frutto della riforma conciliare. Fino al 1984 quindi le forme di finanziamento della Chiesa erano sostanzialmente tre: le offerte dei fedeli libere ma non ancora deducibili, gli stipendi che lo Stato dava a chi svolgeva particolari servizi come gli insegnanti, le congrue. Con la revisione concordataria del 1984 e la legge 222 del maggio 1985 lo Stato non paga più le congrue, viene introdotta una agevolazione fiscale mirata al sostentamento del clero sotto forma di deducibilità dal reddito imponibile delle offerte fatte a questo scopo specifico, nel 1990 infine parte il meccanismo dell’otto per mille. Sono stati aboliti i benefici ecclesiastici e questi beni sono stati trasferiti ai nuovi istituti diocesani per il sostentamento del clero: i redditi della gestione concorrono al sostentamento indistinto di tutti i sacerdoti che operano nelle diocesi italiane. Alcuni sacerdoti vivevano bene altri a stento; dal 1989 tutti sacerdoti diocesani possono contare su un fisso mensile proporzionato al loro incarico compresi i sacerdoti anziani e malati. Le offerte deducibili concorrono a sostenere l’attività dei 35000 sacerdoti impegnati nelle 227 diocesi italiane e dei 3000 sacerdoti pensionati e malati. Le offerte non sono indirizzate direttamente al proprio sacerdote ma indistin- tamente a tutti i sacerdoti. L’art 46 della legge 222 ricorda che le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito le erogazioni liberali fino ad un massimo di 1032,91 euro a favore dell’istituto centrale per il sostentamento del clero. Dedurre dal proprio reddito significa che l’irpef dovuto allo Stato viene calcolato su un importo minore: per esempio se un contribuente con reddito di 20000 euro farà un offerta di 500 euro, la sua base imponibile scenderà a 19500 euro risparmiando così sulle imposte dovute. Le offerte deducibili si possono effettuare tramite: c/c postale, bonifico bancario, recandosi negli uffici dell’istituto sostentamento clero presenti in tutte le diocesi italiane, carta di credito cartasì. L’otto per mille viene utilizzato per tre finalità : opere di carità in Italia e nel terzo mondo, sostentamento del clero, esigenze di culto. Lo Stato affida alla scelta dei contribuenti una quota del gettito complessivo dell’irpef già versato da tutti i contribuenti nelle casse dello Stato. Quindi non si tratta del proprio otto per mille da versare in più per la Chiesa ma di esprimere una preferenza riguardo chi affidare questa quota del gettito che lo Stato mette a disposizione. Il Signore non ci salva da soli ma insieme, fin dall’inizio crea un gruppo di discepoli poi una Chiesa. La comunione deve permeare tutta l’esistenza del cristiano che è chiamato anche alla corresponsabilità nell’amministrare i beni di Dio sia quelli spirituali che quelli materiali, che sono gli strumenti necessari per diffondere la parola e celebrare la liturgia. La povertà è una scelta spirituale, che i sacerdoti fanno, di distacco dai beni materiali non da quelli che servono a sopravvivere con austerità, senza sprecare o guadagnare, e che consentono di dedicare tutto loro stessi al servizio della Chiesa cioè di tutti noi. Davide Livera Sovvenire L’ 9 Intervista con la presidentessa dell'AISM di Piacenza N Al centro: Roberta con il sindaco di Piacenza Roberto Reggi e il vescovo Luciano Monari. Nella pagina a fianco: Roberta durante la sua avventura col paracadute. Sotto: Roberta con il suo cagnolino Cin Cin. 10 ella vita di ciascuno di noi ci sono incontri significativi che non ti lasciano indifferente ma ti toccano dentro, persone che ti aprono gli occhi su esperienze e realtà diverse. E’ capitato anche a me conoscendo, in occasione di questa intervista, Roberta Maserati. Roberta è una nostra compaesana e da alcuni mesi la vulcanica presidentessa dell’Aism di Piacenza. Roberta che cos’è l’Aism di Piacenza e di cosa si occupa? L’Aism è l’associazione italiana sclerosi multipla. A Piacenza esiste la sezione provinciale mentre la sede nazionale è a Roma. Tutti noi delle sedi locali aiutiamo le iniziative nazionali dell’Aism come la vendita delle mele, delle gardenie, delle stelle natalizie, i proventi di queste vendite per metà sono destinati alla sezione provinciale e per metà vanno alla sede nazionale. Alla sezione i fondi servono per organizzare i viaggi di quei portatori di patologia che non hanno nessuno che possa accompagnarli a fare fisioterapia, o a un esame del sangue o dal dentista. A questo scopo, grazie alla buona riuscita delle iniziative di cui sopra, siamo riusciti ad acquistare di recente due nuovi mezzi attrezzati con sollevatore per carrozzina. I proventi destinati alla nostra sezione ci servono poi anche per fare fisioterapia nella piccola palestra presso la nostra sede. Per altro la Regione quest’anno ci sovvenziona un programma che prevede fisioterapia ed altre attività come il decoupage, allo scopo di tenere insieme le persone e di esercitarne la manualità. Inoltre sempre la Regione invia la psicologa una volta la settimana. Quali sono le iniziative proprie della sezione di Piacenza? A Natale facciamo il pranzo natalizio per gli iscritti all’Associazione. Altra iniziativa della nostra sezione provinciale è quella che prende il via in questi giorni chiamata ‘La dolce solidarietà’ che consiste nella vendita di panettoni artigianali, in questo caso non facciamo bancarelle ma li vendiamo noi direttamente tramite il passaparola oppure grazie alla solidarietà di alcune aziende che li acquistano per offrirli come dono di Natale ai propri dipendenti. E Caorso come risponde? I caorsani sono sempre molto solidali con le nostre iniziative per questo, sulla base della mia esperienza vorrei puntare più sulla provincia che su Piacenza città. In città ci sono sempre innumerevoli bancarelle di tante associazioni differenti o i più disparati banchetti per la raccolta di firme e la gente che magari va anche solo a fare un giro sul mercato non ci fa neanche più caso . Questo mi ha sollevata molto perché soprattutto agli esordi della malattia mi ponevo un sacco di domande, mi chiedevo perché tutto questo capitasse proprio a me. Oggi accetto che questo è il mio destino, se domani ci sarà la cura bene altrimenti è importante imparare a convivere con la malattia non sottomettersi a lei. E come si fa? Io vado in giro, faccio quello che posso, vado alle parti o ai concerti anche se mi sembra d’essere l’unica che si muove. Ad esempio circa due anni fa sono stata a vedere gli U2 a Milano su 70 mila persone eravamo solo una ventina sulla carrozzina, è molto poco. Io sono anche fortunata perchè ho delle amiche che mi accompagnano ovunque, nonostante la fatica di caricarmi e scaricarmi! Così come vado alle partite di pallavolo del Copra Piacenza. Insomma dove posso vado pensa che questa estate mi sono anche lanciata col paracadute e ne hanno persino parlato al telegiornale! Tornando all’Aism di Piacenza c’è qualche progetto pratico da realizzare? La nostra sede provinciale si trova all’interno del Vittorio Emanuele, prima potevamo passare da via Tramello, dove peraltro sarebbe la nostra intestazione, ma per ragioni di sicurezza hanno dovuto chiudere tutti i cancelli così noi dobbiamo passare da via Campagna dove c’è la guardiola. Per ovviare al problema dovremmo mettere un cancello elettronico a spese nostre che però costa parecchio vorremmo così trovare uno sponsor che possa aiutarci nella realizzazione di quest’opera. Valentina Rossi L'intervista Hai nuovi progetti in cantiere? Ho un paio di idee in mente che possono coinvolgere la nostra sezione provinciale, ad esempio mi piacerebbe coinvolgere i vigili del fuoco per organizzare una dimostrazione di quello che fanno, con la scala, la casa finta e quant’altro, mettendo magari un’entrata a offerta libera e ad esempio chiedendo se possono fare la dimostrazione del salvataggio a disabili. Un’altra idea che vorrei realizzare è quella del calendario con le foto di alcuni membri dell’ Aism di Piacenza in compagnia dei loro animali. Su questo però trovo un po’ di resistenza, sia perché i malati sono un po’ reticenti a farsi fotografare, sia perché la maggior parte di questi non ha animali. E invece il discorso della pet-therapy è molto importante, lo dico per esperienza personale convivendo da 13 anni con Cin Cin il mio cagnolino che per me è davvero terapeutico. Quindi chi ha questa malattia tende un pò a nascondersi? Si e questa è una battaglia che voglio affrontare, ad esempio come puoi solo pensare di abbattere le barriere architettoniche se tu malato non vai mai in giro, non ha senso. Io a volte mi sono sentita chiedere da altri malati se non mi vergogno a girare in carrozzina, la risposta è no. La sclerosi non è una cosa di cui vergognarsi, non è una punizione che ti è stata inflitta per chissà quale colpa. Immagino che però questi siano pensieri che si affacciano alla mente.. Certo anche a me nei primi tempi della malattia questi pensieri venivano eccome! Però poi ricordo che don Roberto Falliva, parroco di Polignano che apprezzavo molto, un vero amico col quale amavo parlare di tutto, mi disse: “Guarda che questa malattia non è una punizione di Dio perché Dio non arriverebbe mai ad essere così cattivo da darti una punizione simile”. 11 In Francia portato dal vento dello Spirito Intervista a Don Aldo Fava, da sei anni rettore del seminario di Marsiglia. I In alto: don Aldo Fava. A destra: La facciata della chiesa di Notre-Dame du Rouet, la parrocchia di don Aldo. 12 l capitolo terzo del Vangelo di Giovanni ci riporta di un dialogo molto bello tra Gesù ed un fariseo, Nicodemo, un uomo saggio e pio che cercava sinceramente la Verità. Dice Gesù a Nicodemo, parlando dell’uomo che si converte, che abbandona la sua vita nelle mani di Dio: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». Queste parole hanno un fascino particolare. Fanno intuire, alla nostra generazione che sembra aver chiuso il cielo, che vive nell’insoddisfazione passando da un’alienazione all’altra, che sembra non poter più parlare con speranza ai ragazzi ed ai giovani, fanno intuire che esiste un’umanità, non lontana, non irraggiungibile, che sperimenta la libertà dei figli di Dio, che si lascia portare dove la conduce lo Spirito e così realizza la pienezza della propria vocazione. Non posso fare a meno di ripensare a queste parole di Gesù accingendomi ad intervistare un amico della nostra parrocchia. Molto più di un amico, un fratello nella fede. Don Aldo, presentati tu ai lettori di Voce Amica. Mi chiamo Aldo Fava, sono nato a Piacenza nel 1961, quindi ho 45 anni. Ho conosciuto il Cammino Neocatecumenale nel 1974 all’età di 13 anni nella parrocchia della Santissima Trinità a Piacenza. Nel 1983 sono partito come catechista itinerante. La prima esperienza è stata in Campania, poi Svizzera, Costa d’Avorio, Haiti e Canada. Durante questi anni è maturata la vocazione presbiterale e nell’ottobre del 1988 sono entrato nel Seminario Diocesano “Redemptoris Mater” di Roma dove sono stato ordinato presbitero nel 1994. Dopo 4 anni passati come vicario parrocchiale in 3 parrocchie di Roma, nel settembre del 1998 sono stato inviato a Marsiglia. Qui sono stato per 2 anni come vicario e poi come parroco della parrocchia Notre Dame du Rouet e nel 2000 è iniziata l’esperienza del seminario. Oggi vivono con me 11 seminaristi. A noi che viviamo “insediati”, il tuo itinerario e in particolare il tuo approdo in Francia fa un certo effetto. Come mai un presbitero piacentino parroco a Marsiglia? Perché così ha voluto il Signore. Io non avevo mai pensato di diventare presbitero e ancora meno di venire a Marsiglia. Un giorno il Cardinale Vicario mi ha chiamato e mi ha detto che aveva ricevuto una lettera dal Vescovo di Marsiglia nella quale chiedeva presbiteri della Diocesi di Roma che avessero seguito l’esperienza del Cammino Neocatecumenale e, sapendo che parlavo un poco il francese, mi ha chiesto se ero disposto ad accettare. E ho accettato. Qual è il contesto sociale e culturale del territorio della parrocchia di Notre Dame du Rouet? Sta cambiando a grandissima velocità. Quando sono arrivato 8 anni fa, il quartiere era formato da case vecchie e fatiscenti, disabitate o abitate da persone anziane, da poveri e da emigrati. In questi anni c’è stata una ricostruzione generale che è ancora in corso. Le vecchie case sono state distrutte e al loro posto si trovano palazzi moderni con una popolazione ringiovanita e socialmente più elevata. Da 7.000 abitanti nel 1998 oggi siamo già a 12.000. Anche in considerazione del contesto sociale, della realtà del territorio, come hai impostato la pastorale della parrocchia? Uscendo verso la gente. Ormai in Chiesa vengono solo le persone anziane. Alla Messa domenicale ho una media di 60 persone. Per me è stato fondamentale cominciare ad andare a visitare le famiglie bussando alle loro porte con la scusa di presentarmi, di farmi conoscere. E’ vero che ho avuto reazioni di tutti i tipi, ma è anche vero che con parecchie persone è stata l’occasione per poter annunciare Gesù Cristo. L’esperienza del Cammino Neocatecumenale è importantissima per poter parlare all’uomo decristianizzato di oggi ed è il luogo dove quest’uomo può essere educato alla fede. Marsiglia è caratterizzata da una forte presenza mussulmana, questo che ripercussioni ha sulla vita della parrocchia, sulle esigenze dell'evangelizzazione? I mussulmani oggi sono circa il 25% della popolazione della città (questi sono i regolari, se contiamo anche gli irregolari e i clandestini la percentuale aumenta) cioè 1 su 4. Oggi c’è una grande superficialità nel trattare la questione islamica. In Europa si vorrebbe far passare l’idea che esista un Islam moderato. Questo è falso. Al massimo ci può essere un mussulmano un po’ più tranquillo che un altro, ma nel DNA dell’Islam c’è uno spirito di rivalsa e di conquista. Questo ci serve per vedere se noi siamo veramente cristiani o se abbiamo soltanto una verniciatura di cristianesimo. Quello che è importante è che appaia Gesù Cristo all’uomo di oggi. E questo è possibile con una comunità cristiana che sia segno della sua presenza, che dia i segni della Fede. Gesù Cristo ci dice: amatevi come io vi ho amato… e …affinché siano uno, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. La sfida dell’Islam all’Europa ci richiama con forza a guardare all’autenticità della nostra fede. Che significato dai, dal tuo osservatorio particolare, alle parole di Giovanni Paolo II che più volte ha parlato di Nuova Evangelizzazione? La testimonianza Nella foto: veduta di Marsiglia dal piazzale di Notre-Dame de la Guarde. 13 Quando Giovanni Paolo II ha parlato di Nuova Evangelizzazione ha aggiunto una cosa molto interessante. Ha detto di lasciare gli schemi ormai atrofizzati per rifarci al modello apostolico. Basta leggere gli Atti degli Apostoli o vedere come Gesù stesso ha formato i suoi discepoli: mandandoli a due a due annunciando la Buona Notizia, senza soldi, senza bisaccia, abbandonati completamente alla Provvidenza. Anche Benedetto XVI ha parlato di Nuova Evangelizzazione, ma nell’incontro con i giovani a Colonia ha aggiunto una cosa molto importante: ha parlato di Prima Evangelizzazione. Se è Prima significa che non c’è la Fede, che non possiamo più supporre la Fede. Lo Spirito Santo già ha dato risposte concrete. Una fra queste è l’esperienza del Cammino Neocatecumenale che è stato riconosciuto come un itinerario di formazione cattolica valido per la società e i tempi moderni. Anche da noi si vede ormai con chiarezza che non possiamo più supporre la fede; è sempre più evidente, nei battezzati, la separazione tra la fede e la vita. Andiamo al tempio, affermiamo di credere in Dio, ma nei fatti, nelle scelte di ogni giorno, sono rari i cristiani adulti che si distinguono dall’ateo. Che differenze vedi tra la situazione della Chiesa in Francia ed in Italia? Le differenze sono tante, ma non voglio elencarle anche perché la storia della Francia e dell’Italia sono diverse. Penso che in Francia stiamo vivendo oggi quello sarà in Italia fra una ventina d’anni, o forse meno, se non ci convertiamo veramente. Oltre che parroco, sei anche rettore di un Seminario Diocesano “Redemptoris Mater”, i seminari che raccolgono le numerose Da quattro anni la parrocchia di Caorso, grazie alla collaborazione di zelanti parrocchiani, si è fatta carico di rinvenire e trasportare aiuti per l’erigendo seminario di Marsiglia, in particolare detersivi e viveri a lunga conservazione offerti gratuitamente da alcune aziende che ringraziamo vivamente. Fra di esse, la Lever-Gibbs di Casalpusterlengo, la Cooperativa A.R.P. di Gariga, il Supermercato Sigma-Coalpi di Caorso, La Cantina Sociale Valtidone di Borgonovo, la Latteria Sociale di Soresina, la Torrefazione Ramenzoni di Fidenza collaborano con continuità e generosità. Chiunque voglia collaborare a questa piccola, ma significativa opera di solidarietà, può farlo rivolgendosi al parroco. (Nella foto, le operazioni di scarico dei tre furgoni partiti dal nostro paese). 14 Nelle foto: due vedute notturne del Vecchio Porto di Marsiglia. vocazioni nate, come la tua, nel Cammino Neocatecumeale. Ci puoi parlare di questa realtà? Marsiglia è la seconda città della Francia e il seminario diocesano è stato chiuso circa 20 anni fa. Le vocazioni sono pochissime. Oggi il mondo ha bisogno di presbiteri santi che conducano il popolo all’altra riva. E’ un’opera che il Signore ha cominciato e gli sono grato di avermi chiamato a essere spettatore di quest’opera. Oggi con me ci sono undici seminaristi. Grazie a Dio, le difficoltà non ci mancano. Ad esempio a Marsiglia non c’è un centro dove i seminaristi possano studiare e, per questo, devono andare ogni giorno allo studio teologico di Tolone. Questo significa, fra andata e ritorno, circa 150 km da percorrere ogni giorno. Di conseguenza dobbiamo alzarci molto presto al mattino per avere almeno un’ora di preghiera come inizio della giornata. Abbiamo scelto di vivere confidando nella Provvidenza e sono testimone di tanti aiuti che abbiamo ricevuto senza chiedere niente. Il Signore ci sorprende sempre con la sua generosità toccando il cuore delle persone (anche di qualche caorsano!!!). Questo vedo che sta formando enormemente i ragazzi a vivere senza uno stipendio e nella precarietà, ad essere ad esempio meno esigenti. Quali sono le cose più belle della storia che stai vivendo? Vedere una persona che si converte. Il peccato uccide veramente l’uomo e gli fa vivere una vita d’inferno. Vedere (come dice San Paolo) il potere che ha la stoltezza della predicazione di strappare gli uomini dagli inferi è la consolazione più grande e non esiste realtà al mondo che possa gratificarti pienamente come questa. E le cose che invece ti preoccupano maggiormente come cristiano, come presbitero e come parroco? Che non avvenga (come dice ancora San Paolo) che dopo aver spinto molti a entrare (nella Chiesa) io non ne resti escluso. Pregate per me. Ne ho bisogno! Grazie Don Aldo, le nostre preghiere non vi verranno meno, per te, per la tua parrocchia, per i seminaristi che vivono con te. E anche noi vi chiediamo di pregare per la nostra conversione e per la nostra parrocchia. La Pace del Signore Risorto sia con tutti voi! Giorgio Pavesi 15 A.N.S.P.I.: avanti tutta!! Partenza in grande stile per le attività del nostro oratorio I l 9 ottobre scorso con la festa di apertura si è dato ufficialmente il via alle attività della Casa dell’Amicizia per questa stagione 2006/2007. Non mancano le novità, a partire dal gruppo di animatori che si è formato lo scorso inverno e che ora ha direttamente in gestione l’aspetto organizzativo degli eventi che si svolgono all’interno dell’oratorio, sempre in collaborazione con il direttivo, che invece si occupa principalmente della struttura in sé. La festa di apertura è stata caratterizzata da un intenso pomeriggio di giochi rivolto ai più piccoli, mentre la serata è stata animata dalle atmosfere calde ed avvolgenti delle specialità della cucina spagnola preparate dalle nostre giovani “cuoche”. Nella foto: un momento della testimonianza resa dai coniugi Quadri durante la festa spagnola al nostro oratorio. 16 Il tutto è stato poi accompagnato da un momento di riflessione con la testimonianza di una giovane coppia di genitori che hanno raccontato un po’ la loro vita e le esperienze negative che hanno saputo superare dimostrando che comunque, anche quando il mondo ti rema contro, c’è sempre un Padre, una speranza a cui aggrapparsi. Domenica 29 ottobre per tutti i bambini abbiamo organizzato la festa di tutti i Santi, per far loro conoscere, fra giochi e divertimento, alcune delle figure più significative e carismatiche della nostra chiesa. Tante sono le iniziative che si cerca di mettere in atto: al momento la più "accattivante" è il corso di danza Country tenuto da Annalisa, che fin dalla sua presentazione, durante la festa del 9 ottobre appunto, ha entusiasmato i ragazzi e devo dire anche gli stessi animatori che si sono lanciati in un frenetico e coinvolgente ballo di gruppo. Ancora di tutt’altro genere, ma non per questo meno interessante, è il corso di cucito e ricamo rivolto anch’esso ai ragazzi ma che, detto fra noi, farebbe tanto comodo anche a qualche adulto, me compresa! Inoltre, come ormai da tradizione, è in preparazione lo spettacolo natalizio dei bimbi che quest’anno si terrà la sera del 22 dicembre e che, se ci sarà tempo sufficiente, potrebbe essere accompagnato da alcuni brani della scuola di musica, che ha preso il via in questi mesi alla Casa dell’Amicizia. Domenica 17 dicembre aspettiamo tutti i bambini per la festa di Santa Lucia, e il 26 dicembre alle 21 ci sarà la tradizionale tombola di Santo Stefano. Inoltre, per i più grandi, sono in preparazione una serie di serate all’insegna del divertimento, tra cui il Veglione di Capodanno. Non da ultimo, ricordiamo che ogni giovedì sera dalle 20.30 alle 22.30 è attivo presso i locali della Casa dell’Amicizia uno "sportello giovani" rivolto a tutti i ragazzi che sentono l'esigenza di discutere e confrontarsi riguardo tematiche non sempre facilmente trattabili. Simona Chiesa La Casa dell’Amicizia Nelle foto: immagini di repertorio di alcuni dei ragazzi che frequentano il nostro oratorio e che sono l'anima di tutte le attività che in esso vengono svolte. A sinistra, nella pagina a fianco: Marco. Qui a sinistra: il "gruppone" in campeggio. Sotto, a sinistra: la signora Bonardo con l’ultimogenito: con suo marito è catechista dei giovani marsigliesi. Sotto, a destra: Ilaria e Sara. Infine: Sara. 17 La Parrocchia di Caorso La generosità dei caorsani 18 Lo spirito di fede e di carità dei caorsani e dei loro sacerdoti diede vita, nei secoli, a molte forme di assistenza. Il documento finora più antico è il testamento di Oddino Oddi, in data 24 settembre 1615, nel quale egli lasciava erede dei suoi beni la “Bussola dei Poveri”. Ecco la parte centrale del documento: “…alla quale Bussola de’ Poveri lascio la mia casa di Piacenza, con carico di pagare ogni anno Ducatoni cinque alli poveri carcerati, quando vi saranno carcerati di Caorso, quali voglio siano preferiti a tutti gli altri…et il resto voglio si spenda a beneficio di poveri bisognosi, infermi et straziati, povere vedove di Caorso come meglio piacerà in coscienza al Rev.do Arciprete di Caorso…”. Se questa Bussola dei Poveri nel 1615, era così ben operante e stimata da ricevere beni da amministrare, i suoi inizi dovevano risalire a molto tempo prima, ma finora non è stato possibile trovare l’atto della sua fondazione. Nell’archivio parrocchiale di Caorso esiste un Censuale della “Bussola de’ Poveri di Caorso” con annotate le entrate e le uscite dei denari dati ai poveri, agli infermi e ai carcerati, dal 1666 al 1773, cento sette anni di scrupolosa amministrazione e da uno scritto datato 1704 si può sapere quali erano i beni posseduti: “Beni stabili della Bussola de’ Poveri di Caorso: una casa in Piacenza lasciata da Oddino Oddi nel 1615, 37 pertiche di terra al Ronco di Muradolo, capitale di L. 2600 e capitale di L. 850”. Da altri documenti si sa che la Bussola era governata da Reggenti e che alla fine del 1700 nella Rocca erano detenuti certi Desiderio Bargoni, Giuseppe Zambelli e Francesco Barbieri e il documento finisce con una ricevuta del carceriere: “Confeso io sottoscritto di aver ricevutto da Sod. Sig. Arciprete la suddetta somma delli sodetti carcerati. Io Gieroamo Breda Bargello di Caorso”. A volte in fondo alla ricevuta appaiono brevi note come “…pane ricevuto da Gio.i Batt.a Vignola oste di Caorso e somonistrato a Luigi Donati detenuto, figlio di Paolo, di Caorso…”; oppure: “…Io o giuntato del proprio pane e vino al giorno L. 2,8…”. L’ultimo documento della Bussola è del 20 febbraio 1803, ma la carità dei caorsani continuò pur in forme diverse. Nel 1837, l’Arciprete Zilocchi pensò e realizzò l’Associazione di S. Dorotea. Un centinaio di bambine, dai 7 ai 15 anni, delle poverissime famiglie dei braccianti, una categoria di lavoratori da sempre in condizioni di emarginazione, ricevevano istruzione cibo e vestiti gratuitamente. Nel 1899, don Sartori fondò l’Opera di S. Antonio per il Pane dei Poveri che provvedeva ad assicurare pane e vestiti e di questa opera esistono i registri fino al 1918. Da questa data l’Arciprete don Chiappa mutò il nome dell’opera in “Lega di Carità”, coinvolgendo tutte le confraternite e associazioni esistenti in parrocchia e facendo assumere a ciascuna impegni e responsabilità. Durante la Prima Guerra Mondiale grande era il numero dei profughi, finita la guerra scoppiò l’epidemia di “Spagnola”, oltre la quotidiana assistenza ai poveri. In archivio esistono ancora esemplari di buoni consegnati dagli Arcipreti Sartori e Chiappa, ai poveri e alle famiglie, per ritirare “pane bianco” dai fornai di Caorso. Durante la Seconda Guerra Mondiale Don Bergamaschi si adoperò molto e si ricorda ancora oggi da molti caorsani che alloggiò giovani partigiani di passaggio in un sottotetto del cimitero con grave pericolo per lui e per tutta Caorso. Con l’Ente di Assistenza post bellica aiutò moltissime persone e procurò vacanze al mare e ai monti a molti bambini delle famiglie più povere. A conclusione di questa breve sintesi delle vicende della storia della Chiesa di Caorso, iniziata nel giugno 2004, ringrazio quanti hanno seguito le dieci puntate pubblicate e, in particolare, ringrazio i molti caorsani che mi hanno contattato e benevolmente espresso le loro impressioni, eccone alcune: “…molto, molto interessante…”, “…ma quante belle cose non sapevamo della nostra Caorso…”, “…perché questa ricerca è stata lasciata in fondo a un cassetto per vent’anni?...”. Grazie ancora. Padre Luigi Muratori La nevicata del 1985. Passeggiata sotto la neve di Nello Ghioni e Angelo Pavesi. Calendario delle Festività Natalizie 20 Giovedì 21 dicembre Alle ore 20.30 in chiesa: Celebrazione penitenziale per adulti e giovani. Venerdì 22 dicembre Alle ore 20.30 presso la Casa dell'Amicizia: Recital natalizio dei bimbi. Sabato 23 dicembre Antivigilia del S. Natale Dalle ore 15.30 alle ore 18.30 saranno disponibili confessori in chiesa S. Messa vigiliare della domenica in chiesa alle ore 17.30. Domenica 24 dicembre Vigilia del S. Natale S.S. Messe alle ore 9.30 – 11.00 S. Messa vigiliare in chiesa alle ore 17.30 S. Messa della Natività in chiesa alle ore 24.00. Lunedì 25 dicembre Solennità del S. Natale del Signore S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00 – 17.30 Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45. Domenica 31 dicembre Ultimo giorno dell’anno Alle ore 17.30 S. Messa vigiliare di Maria Santissima Madre di Dio Alle ore 18.30 breve adorazione eucaristica col canto del Te Deum. Lunedì 1 gennaio Capodanno ed ottava di Natale S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00 – 17.30 Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45. Sabato 6 gennaio Solennità dell’Epifania S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00 Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45 Messa vigiliare della domenica in chiesa alle ore 17.30. Domenica 7 gennaio Festa del Battesimo del Signore S.S. Messe in chiesa alle ore 9.30 – 11.00 Alla “Madonnina” S. Messa alle ore 8.45. Alle ore 15.00 in chiesa: Festa dei Re Magi per tutti i bimbi