PDF - Spaghetti Writers

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È la mia natura
Lorenza Di Corinto
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I giorni sono passati, e io non ho ancora cambiato le lenzuola. Penserai che sia una cosa da malati
non voler lasciare andare via l’ultima traccia che hai lasciato qua dentro. E non so neanche perché
io ti stia parlando, è una follia: tu non sei morta, e io nemmeno, però un po’ mi ci sento. Sai,
quella sensazione che ti dicevo? Ti quando ti iniettano l’anestetico, ma sei ancora cosciente, e sai
che non puoi muoverti, ma puoi pensare? È come questo momento; quello di quando una
relazione è finita. Non pensavo che l’avrei provata con te.
«Giulia?» Bussano. È mia madre. «Sto entrando.» E lo fa, perché lo sai, lei entra sempre. Non ci
sono chiavi, non ci sono scuse.
«Sei sveglia? È mezzogiorno.»
«Sì.»
Ti ricordi quando mi hai detto che mia madre è come le campane? Non volevi dire che è
fastidiosa, ma lo è. Mente; non è mezzogiorno. Lo dice quando vuole farmi svegliare dicendo
cazzo, è tardi. Ma oggi non è tardi, è solo il quarto giorno. Il sole è alto, lo so perché sta aprendo
tutto: le tende, le finestre, ed entra un po’ d’aria che mi sembra uno schiaffo che scandisce il
tempo.
Si piazza davanti al letto e guarda le tue foto sul pavimento. Dio ti ringrazio per il buio, avevo
dimenticato di averle messe là. Ti ignoro, e la guardo.
«Questo non ti fa bene», dice. Un’ovvietà. Si sguazza nel male per liberarsene: questa non è
un’ovvietà.
«Butta via tutto, così apri i chakra.» Mugolii. Non puoi discutere con una persona così, non
credi?
Lei prende posto sul mio letto, vicino ai miei piedi. Questa stanza ha un odore stantio, e lo so
perché solo adesso respiro. Si accende una sigaretta, e mentalmente la ringrazio, perché sa essere
tossica anche lei, nel suo modo piccolo.
Esordisce dicendo: «Le persone le puoi dividere in due categorie: ci sono le rane e ci sono gli
scorpioni.»
«Oh, no. Esopo.» Immediatamente mi ricordo della prima volta che ho letto questa favola:
disgraziatamente in lingua originale. Lei mi aiutava con la versione. Dici sempre che mia
madre è intelligente. Quando fa così mi fa credere che non lo sia. Semplifica , e chi semplifica
non è intelligente.
«C’è del genio nelle sue storie», dice, e sembra che m’abbia letto nel pensiero.
«O del banale.»
Lei mi guarda: il pigiama, gli occhi spenti. Sul comodino le tazze sporche, la faccia triste.
«Non mi sembra che tu stia vivendo un momento banale», dice.
Sorrido, perché saresti d’accordo con me nel dirlo: «Mi amava e poi non mi amava più. Se questa
non è banalità…»
Mi hai lasciata, ed è stata la cosa più trita e scialba del mondo: uno se lo aspetta, no? Però fa male
lo stesso.
«Non è stata colpa tua.»
Questo invece tu lo hai detto per davvero.
«Eppure.» È finita , sarebbe stata la chiusura naturale della frase. Ma non lo dico, perché
forse non è finita. Forse torni.
«Vi siete imbarcate in qualcosa senza sapere come sarebbe andata a finire; sono così tutte le
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relazioni.»
Come vorrei che mia madre ne capisse qualcosa. Come i tuoi, no? Una madre distrutta da un
divorzio: questo mi sarebbe servito.
«Ma tu sei felice con papà, no? Che ne sai di rane e scorpioni?»
«Forse io e tuo padre abbiamo appena cominciato a nuotare.»
«Nuotate da trent’anni.» E sono felice che lo facciano, lo sono per davvero.
Lei mi scansa, vuole sedersi sul letto accanto a me; prendersi lo spazio di un discorso, che io non
vorrei darle. Mette il posacenere sul comodino, e dice: «Non puoi mai sapere quando si rivelerà la
vera natura di una persona.»
Come io di te, no? Che ne sapevo che eri uno scorpione? Mi amavi. Ti sei buttata sulla mia
schiena, ma che poi facevamo questa fine io non lo avrei mai detto. E se lo avessi saputo
chissà: t’avrei amata lo stesso.
«Ma come si vive sapendo che la fine può arrivare da un momento all’altro?»
Lei mi sorride, e fa quello sguardo che ha quando pensa qualcosa di stravagante.
«Chi ha detto che la rana deve morire?» Fumo dalla bocca, e grande colpo da maestra:
mettere in discussione il sapere di un greco. Bestemmia, sacrilegio.
Ahimè Esopo la sapeva ben più lunga di lei: «Non si sopravvive al morso di uno scorpione.
Siamo qui per questo.»
«Il mondo è pieno di rane sopravvissute.»
Prende posizione, vedi? Se la prende accanto a me e in tutte le cose.
«Ne conosci qualcuna? Ci vorrei parlare.»
Lei ride, perché sa che il sarcasmo, come tutte le cose che sai, l’ho ereditato da lei.
«Sono quelle che hanno scritto la favola», dice. Esopo, poveretto. Un altro che avrà incontrato
qualcuna come te sul suo cammino.
«Quindi pure gli scorpioni sopravvivono.»
«Loro malgrado, sapendo che ogni cosa che toccano potrebbe morire.»
«Potrebbe?»
«Potrebbe.»
Potresti non far del male, capito? Potresti, se tu solo lo volessi, se tu ci provassi. E’ la mia natura
dicevi, ah, se mia madre non è intelligente? Certo che lo è, guarda come t’ha inquadrata bene.
«Abbiamo mandato all’aria la favola.»
«Tu dici?»
«Non muore più nessuno.»
E forse saremo felici, che idea.
«Però staranno tutti più attenti, no?» Mamma spegne la sigaretta, e mi bacia la fronte. E le voglio
bene, perché non sono morta, e neanche tu, e lei è prepotente, ma è sveglia, e chissà quante volte
l’hanno punta, e quante è tornata a riva. Vorrei chiederglielo, ma lei ha papà, e non c’è più
veleno, non c’è più dolore.
«Secondo me papà è un ranocchio.»
«Un principe di sicuro non è!»
Rido, e anche lei. Chissà che rumore fanno le rane quando ridono. E’ un pensiero stupido, e di
sciocchezze te ne ho dette anche troppe. Ma tante cose belle ti ho detto, e non dimenticarle.
Mamma si alza, e va verso la porta, con dietro il posacenere, le mie tazze sporche, l’aria nuova.
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«Io però non so se mi dispiace di più per la rana o per lo scorpione», dico, e tu fa finta di non
aver sentito. Magari cambierò le lenzuola, ma non molto presto cambierò faccia con te.
Lei schiocca la lingua e guarda il cielo, come quando l’hai colta nel pieno della ragione: «Esopo è
un genio, lo dicevo io.»
Ride, esce. E ora esci anche tu; qui abbiamo finito.
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