Testimonianza - Manifesto per la difesa della psicoanalisi

Transcript

Testimonianza - Manifesto per la difesa della psicoanalisi
INTERVISTA A JEAN-LUC MARTIN
TESTIMONIANZA
Jean-Luc Martin: Ho un percorso un po' particolare. Ho
condotto i miei studi di psicologia in provincia, a Besançon,
nel 1967. All'epoca in Francia si conseguiva una laurea
triennale (licence)1 in psicologia e poi bisognava andare a
Parigi, a Strasburgo, a Lione o a Bordeaux, in un istituto di
psicologia per conseguire la specializzazione (diplôme
spécial). In seguito la specializzazione è stata sostituita da
una
laurea
quadriennale
(maîtrise)
in
psicologia
e
attualmente dai master in psicologia e da cose di questo
tipo. Nel 1966 – nella prima parte dei miei studi, perché
allora volevo fare filosofia – ho avuto come professore
Pierre Kaufmann a Besançon, uno dei pensatori, dei grandi
filosofi dell'epoca, che ha molto ispirato Jacques Lacan.
Kaufmann era stato nominato a Besançon, dove ho seguito
il suo insegnamento. In seguito mi sono voluto occupare di
psicanalisi. Mi sono così iscritto al corso di psicologia, per
1 La licence de psychologie corrispondeva ad un percorso di studi universitario triennale, simile all'incirca
alla nostra attuale laurea breve, al termine della quale si poteva conseguire una specializzazione o diplôme
spécial. Tale specializzazione è stata poi sostituita da una maîtrise de psychologie, ottenuta con l'aggiunta di
un anno di studio alla licence (corrispondente circa alla nostra laurea quadriennale del vecchio
ordinamento).
1
orientarmi poi verso la psicanalisi. Pierre Kaufmann aveva
molte conoscenze e fece venire nell'anno accademico 196768 Jacques-Alain Miller e sua moglie, Judith Miller, figlia di
Lacan, Judith Lacan. Ho seguito tutti i suoi insegnamenti.
Dopo, quando si è trattato di fare un corso specializzato in
psicopatologia, sono andato a Strasburgo, dove c'era
Georges Lanteri-Laura con cui mi sono trovato bene. Un
anno dopo mi ha proposto di andare a Parigi, all'ospedale di
Charenton, e una delle prime cose che ho fatto è stata
quella di seguire i seminari e le presentazioni di Henry Ey,
uno degli ultimi grandi clinici francesi con Georges LanteriLaura, e ho incominciato a seguire i seminari di Jacques
Lacan.
Alessandra Guerra: In quali anni?
Jean-Luc Martin: Nel 1969-70. In seguito ho fatto il servizio
di leva. Al mio ritorno nel 1972 circa ho iniziato la mia analisi
e ho cominciato a seguire regolarmente i seminari di
Jacques Lacan. Poi nel servizio di psichiatria di Lanteri-Laura
dove lavoravo, abbiamo insieme predisposto, a partire da
una mia idea, un sistema di conferenze-insegnamento con
2
relatori esterni, che si tenevano tutti i venerdì. Siccome
Lanteri-Laura era molto conosciuto e compilavo con lui la
lista dei relatori, ho potuto invitare tutte le persone
dell'ambito psicanalitico che mi appassionavano. E' venuto
Moustapha Safouan... Non c'è mai stato Lacan perché
questo genere di cose non facevano al caso suo. Non c'è
stato Jacques - Alain Miller, per la sua posizione politica di
allora, un po' particolare; per contro si è rapidamente
instaurato un rapporto con la Sezione clinica del Campo
freudiano, che stava allora nascendo e di cui avevo fatto
parte i primi due anni. Abbiamo avuto dei corsisti (stagiaire)
come Wacjman, Gérard Miller, Catherine Millot, persone
interessanti, che venivano chiamati «i giovani» della Sezione
clinica, i giovani del movimento lacaniano. Inoltre questo
servizio era in prossimità della facoltà di Vincennes e ciò
permetteva un sacco di cose. Ho seguito i seminari di
Clavreul, che allora veniva chiamato «Tonton Clavreul»! Di
sera, tutti raccolti in una sala...
Alessandra Guerra: Perché «Tonton Clavreul»?
Jean-Luc Martin: Io penso per la sua gentilezza e per il fatto
3
che non era dogmatico. Con lui si poteva parlare. Ci sono
delle persone così, me ne sono reso conto in seguito
facendo tutti i miei passaggi nel mondo psicanalitico. Tra gli
psicanalisti ce ne sono di quelli che quando parlano lasciano
a bocca aperta e fan pensare che «ne sanno di cose!» Con
altri, invece, vien voglia di parlare. «Tonton Clavreul» faceva
parte di questi ultimi. Ho incontrato Pierre Legendre che in
questo assomiglia a Clavreul. Anche lui con un grande
sapere e con la capacità di parlare delle cose con una tale
semplicità che si ha voglia di porre domande, di discutere
con lui, di aprirsi! Ho conosciuto molti così.
In seguito ho organizzato delle «cene-dibattito» (dîners-
débats). Una volta al mese nel corso di una cena si invitava
un relatore a parlare. Veniva invitata anche una seconda
persona,
incaricata
di
avviare
la
discussione
e
il
contraddittorio. In queste occasioni ho incontrato Serge
Leclaire, ancora Safouan, Melman, Czermack, e non mi
ricordo chi altri ancora... Seguivo anche i seminari della
Sezioni clinica e quelli di Lacan. Dopo la sua morte ho
esitato molto, ero in una situazione piuttosto complessa.
Alessandra Guerra: Perché?
4
Jean-Luc Martin: Perché ero alla fine della mia analisi...
Alessandra Guerra: Con chi?
Jean-Luc Martin: Con una persona che non era molto, molto
conosciuta; era membro dell'École freudienne e allieva di
Françoise Dolto, si chiamava
Maïté Péchard, con lei ho
anche fatto in seguito una supervisione. Anche altre persone
hanno contato molto nella mia formazione: Gisela Pankow
da cui ho appreso moltissimo sul lavoro con i bambini
psicotici. Lei non era lacaniana, aveva una concezione molto
particolare della metafora, una concezione che trovavo
molto interessante.
Alessandra Guerra: Lei ha lavorato con Gisela Pankow?
Jean-Luc Martin: Sì, un po'. Ho seguito i suoi seminari
all'École de Médecine. In mezzo a tutto ciò, alla morte di
Lacan, mi si è posto un problema. Conoscevo bene JacquesAlain Miller e le persone attorno a lui e avevo un po' paura
del dogmatismo in cui ci si trovava. Ho così posto la
5
questione al mio analista: «Ma Lei, dove si colloca, dov'è?».
Mi ricordo che mi ha risposto: «Non si preoccupi, non sono
di quel mondo» o qualcosa di simile, da intendere come:
«Non faccio parte di quel dogmatismo».
C'è stato un momento di sbandamento, seguito da una
grande riunione organizzata da Czermak e da Melman per
provare a riunire tutti i gruppi analitici facenti parte del
movimento lacaniano, per vedere se si poteva organizzare o
riprendere un certo numero di cose tutti insieme e superare
le divisioni. Eravamo molto infastiditi per una certa storia tra
Jacques-Alain Miller e Charles Melman, che si accusavano
reciprocamente di aver tradito il segreto del divano. Si
diceva che Jacques-Alain Miller avesse redatto le ultime
parole di Lacan riguardante il "forum de Mines", o qualcosa
di simile. Melman denunciò quel fatto e Miller denunciò
Melman per aver divulgato ciò che gli aveva detto in analisi.
Alessandra Guerra: Mi scusi, che cosa vuole dire con la
parola denunciare: pubblicamente o in tribunale?
Jean-Luc Martin: No, non in tribunale. Ma a questo
proposito va detto che
si sono presentati subito due
6
problemi. Uno si era creato al momento della dissoluzione
dell'École Freudienne: alcuni membri dell'École Freudienne
avevano costituito un gruppo denominato il «Groupe du
référé», che ha portato in giudizio la questione della
dissoluzione dell'École Freudienne, dicendo che non era
stato Lacan a dissolvere la sua scuola, che egli doveva
rispettare le regole. Avevo degli amici che erano in questo
gruppo.
La questione era delicata: c'era stato l'annuncio di Lacan:
«Io fondo la mia scuola» e allo stesso tempo c'erano –
giuridicamente parlando – gli statuti di questa scuola. Essa
era retta da una regolamentazione che faceva sì che
nessuno potesse veramente dire: «E' la mia scuola». C'era
forse un'ambiguità, ma il fatto che Lacan avesse detto: «Io
sciolgo» era coerente con ciò che aveva detto alla partenza,
sull'avventura in questione2. Ero abbastanza d'accordo sul
fatto che ci fosse una legittimità che andava rispettata, ma
ero anche a disagio in questa vicenda.
C'è un'altra storia un po' simile, che le fa eco, successa poco
dopo e che riguarda il seminario di Lacan sul transfert. Si
erano costituiti dei gruppi di lavoro per redigere il seminario
2
La costituzione dell'École freudienne N.d.t.
7
con le note e cose simili. Pochi seminari erano stati trascritti
nel momento in cui Lacan li teneva, solamente tre sono stati
redatti contemporaneamente al seminario. Un gruppo,
«Stécriture»,
aveva
predisposto
tutto
un
lavoro
per
preparare una versione di questo seminario sul transfert.
In quel momento circolavano tutti i seminari, di nascosto,
clandestinamente, tuttavia vi avevo ugualmente accesso
piuttosto facilmente. C'erano delle librerie specializzate nel
Quartiere Latino in cui si trovava di tutto. Jacques-Alain
Miller e Judith Lacan, gli eredi, intrapresero una azione
giudiziaria per dire che non era il caso di lasciare che
chiunque si occupasse dei seminari di Lacan. Ecco! Si ha
l'impressione che dopo la morte di Lacan si sia posto, negli
stessi termini - se così posso dire - la questione della
Laienanalyse. Allora si è posta come questione sulla
legittimità di colui che parla o che trasmette i testi lacaniani.
Chi parla in nome di Lacan? E' una questione che allora si
pose.
Alcuni gruppi non cessavano di litigare, per esempio il
gruppo di Melman e quello di Jacques-Alain Miller: due
gruppi quasi speculari per quanto riguarda il Discours
psychanalytique, il giornale dell'associazione lacaniana che è
8
diventata
l'ALI.
Nel
Discours psychanalytique c'era
regolarmente «La lettera», che era un puro riflesso di ciò
che accadeva nel gruppo di Jacques-Alan Miller. Oltre a quei
due gruppi ce n'erano molti altri, ciascuno con la sua
specificità.
Ma ad un certo punto si creò un problema, perché quando
Mitterand arrivò al potere la sinistra cominciò a pensare a
uno statuto dello psicanalista. Si diceva che la moglie del
ministro della Sanità dell'epoca, credo fosse Chevènement,
deputato di Belfort, fosse psicologa clinica e avesse una
certa
importanza
nell'ambito
psi...
La
questione
di
predisporre uno statuto dello psicanalista è arrivato così. In
quel momento ero in un gruppo che si chiamava «Les
Cartels constituents» organizzato attorno a Rondepierre,
Dumézil, Simathos.
L'idea era quella di costruire un gruppo attorno a dei cartelli
di lavoro, di costruire un'associazione di psicanalisti. Era
stato fatto a riguardo tutto un lavoro di riflessione. Queste
voci che correvano in merito all'esistenza di un movimento
per predisporre uno statuto dell'analista hanno di colpo fatto
precipitare tutto il lavoro fatto dai gruppi, dai cartelli, a
favore di una «creazione, subito, subito, subito» di
9
un'istituzione con una lista di analisti. E poiché si era
democratici la lista degli analisti comprendeva tutte le
persone che erano là il giorno dell'assemblea generale e che
votavano a favore di questa nuova istituzione. Tutti erano
analisti!
Questo ha posto un primo problema: quello di far
precipitare le persone a votare in favore di questa
istituzionalizzazione e di creare un'amalgama tra tutti quelli
della vecchia guardia - con riferimento a coloro che avevano
una grande esperienza, che erano supervisori ecc., ovvero
quelle persone dell'École Freudienne che avevano lasciato i
loro segni nell'istituzione - e gli altri, del tutto nuovi, che
erano
inquieti,
che
si
domandavano
cosa
stesse
succedendo, dove dovessero collocarsi. E ciò ha prodotto un
attrito tra coloro che avevano costituito questa scuola e gli
altri, un altro gruppo che si era costituito in quel momento.
Questo altro gruppo formato da Porge, Philippe Julien,
Allouch, Le Gaufey ha fondato rapidamente la rivista
«Littoral».
Alessandra Guerra: Lei è ancora nei «Cartels»?
10
Jean-Luc Martin: Sì, poi mi sono fermato perché non ero del
tutto d'accordo con questo modo di fare. Tengo ancora da
qualche parte tutto il lavoro che era stato fatto, le riflessioni
sulle questioni dell'istituzione, i suoi statuti. Una cosa
tuttavia interessava particolarmente i gruppi: la questione
della passe. C'erano coloro che sostenevano: «E' stato un
fallimento, non ricominciamo», che è stata la tesi di
Melman; c'erano altri che dicevano: «Si rifletterà» e altri che
ci lavoravano. In quel momento ho lasciato le persone dei
Cartels per congiungermi al gruppo del «Coût freudien» con
Jean-Jacques Moscovitz, Alain-Didier Weil e pochi altri. Mi
ricordo di una delle questioni trattate: fine e finalità
dell'analisi. Si intervistavano tutti coloro che erano nei
gruppi analitici lacaniani, chiedendo in cosa essi fossero
diversi dagli altri e quale fosse la loro particolarità.
Tutto ciò mi ha molto aiutato a pensare alla procedura che
poteva essere predisposta in una scuola in merito alla passe
ed è sempre oggetto di riflessione. Si lavorava a questa
questione e c'era un dispositivo che si chiamava «il luogo x»
(le lieu x) che permetteva a più associazioni («Le Coût
freudien», per esempio) di riunirsi, di predisporre un
dispositivo transitorio per permettere a un candidato di
11
porre la sua questione. Le associazioni designavano una
commissione della passe, dei passants e dei passeurs. Fatto
ciò il lavoro effettuato tra il passeur e il passant veniva
presentato
alla
commissione
della
passe
per
una
discussione. In seguito tutto l'insieme veniva sciolto. La cosa
interessante è che non c'era questo effetto di potere che
poteva esserci in una istituzione costituita. Era un tentativo
di raccogliere delle informazioni sulla fine dell'analisi e sul
desiderio di essere analista, mettendosi al riparo dagli effetti
di potere che allora si vedevano ovunque. Ovunque: è un
po' esagerato! Diciamo gli effetti di potere che si erano visti
all'École Freudienne.
Alessandra Guerra: Cosa ha visto esattamente all'École
Freudienne?
Jean-Luc Martin: Uno dei miei amici era stato più volte
designato... Una quantità di voci giravano, del tipo: «Sono
sempre gli stessi a essere designati passeur». Veramente,
non consideravo questo amico, che era stato designato ed
era in analisi da Rondepierre, come un maggiore per me!
Più volte ho inteso che tutto ciò non funzionava, che era
12
esasperante, che il dispositivo non era adeguato.
Tutto il gruppo del «Coût freudien» mi è stato di grande
insegnamento perché aveva lavorato sulla questione della
passe. Allo stesso tempo si era molto dedicato al problema
della Shoah. In seguito ho compreso che c'erano dei nessi
tra questi diversi passaggi. Credo, del resto, che il film
Shoah sia uscito poco tempo dopo al momento in cui
cominciavo a seguire le attività del «Coût freudien». Il film è
uscito l'anno dopo. Ho saputo dopo, a cose fatte, che vi era
stata una rottura, dei dissensi tra Alain-Didier Weil e JeanJacques Moscovitz, che ha fondato «Psychanalyse actuelle».
Ho condiviso con Jean-Jacques Moscovitz l'idea di fare un
gruppo di lavoro psichiatria-psicanalisi, e così ho seguito
anche il suo lavoro attorno al film Shoah, lavoro che mi ha
molto interessato. Moscovitz aveva pubblicato allora il suo
libro D'où viennent les parents? Parlava di una quarta topica
legata alle conseguenze della Shoah. Quello mi ha permesso
di aprire gli occhi su altre possibili letture dei testi di Freud,
in particolare Mosé e il monoteismo, che mi apparve allora
come un testo molto importante.
Allo stesso tempo mi sono incastrato – è il caso di dirlo –
con la traduzione di un testo. In Francia c'era allora la
13
questione della traduzione delle opere complete di Freud e
mi sono impegnato in quell'ingranaggio per tradurre Totem
e tabù. Grazie al lavoro della traduzione ho così potuto
comprendere che la visione di Lacan era molto importante.
In seguito mi sono messo a lavorare sulla topologia e su
cose simili. Ho visto che nelle istituzioni3 non poche persone
fanno discorsi molto interessanti e anche che le cose si
ripetono un po', ci si gira attorno e che, in generale, le
istituzioni che non sono orientate dal punto di vista della
passe, possono giungere – a un dato momento – alla
psicoterapia.
Alessandra Guerra: O la passe o la psicoterapia?
Jean-Luc Martin: Sì, assolutamente. Se non c'è la passe per
rilanciare continuamente la questione si mettono in atto
rapidamente delle istanze di potere, le cose deviano.
Alessandra Guerra: Lei ha lavorato come psichiatra,
psicanalista, psicologo?
3
Da intendere come associazioni di psicanalisi istituzionalizzate.
14
Jean-Luc Martin: Ho avuto questa fortuna, propria della mia
generazione, di non sentir parlare che di psicanalisi nelle
sale di guardia degli ospedali psichiatrici, inoltre i primari
con cui si lavorava erano d'accordo con ciò che si faceva. Si
lavorava come si voleva, senza storie.
Nel servizio dove operavo avevo due attività: all'ospedale
vedevo alcuni pazienti con gli interni, mi occupavo delle
attività di insegnamento e delle presentazioni dei pazienti
con l'idea che esse facessero parte del lavoro terapeutico
(non dell'insegnamento NdT) e permettessero un confronto
con il coro degli assistenti, da intendersi nel senso del coro
tragico dell'antica Grecia. Durante la presentazione, si
potevano
interpellare
le
persone
che
assistevano
all'incontro, poiché in quella occasione si creava un
particolare rapporto con l'altro, e dunque si poteva lavorare
su questi problemi con dei pazienti coinvolti in una psicosi.
Alessandra Guerra: Lei ha lavorato come psicologo in un
servizio di psichiatria?
Jean-Luc Martin: Sì, assolutamente: una parte del tempo
all'ospedale e l'altra nel Centro Medico Psicologico, nel
15
dispensario che dipendeva dall'ospedale. Al Centro Medico
Psicologico non facevo che lavoro analitico: ricevevo dei
pazienti qualunque fosse la loro patologia e si lavorava sul
discorso del paziente. Tutte queste cose stanno ora
completamente cambiando! Si stanno trasformando in due
modi: per gli statuti professionali e per le pressioni
economiche degli ospedali. Negli ospedali psichiatrici oggi
c'è un'enorme ristrettezza economica. Nel servizio in cui
lavoravo c'erano duecentocinquanta letti, oggi ce ne sono
quaranta per la stessa popolazione, ovvero per una
popolazione che è aumentata, perché a quel tempo c'era un
terzo
della
popolazione
attuale
dell'undicesimo
arrondissement e quando ho smesso c'era all'incirca la metà
e una quarantina di letti. Come lavorare in condizioni come
quelle? E' incredibile!
Dall'altra parte ci sono stati i cambiamenti di statuto degli
psichiatri con la fine dell'internato di psichiatria. L'internato
specifico di psichiatria è stato soppresso a favore di un
internato generale, non essendo la psichiatria la migliore
delle scelte nell'ambito della medicina, poiché la scelta viene
fatta a partire dai risultati ottenuti agli esami!
A partire da ciò sono comparsi altri tipi di pratiche
16
psichiatriche contemporanee del DSM ed è comparso anche
un tipo di clinica del farmaco. Non era più una clinica del
discorso ma una clinica fondata sugli effetti positivi o
negativi del farmaco. C'è stato anche un cambiamento nella
formazione degli psicologi che fino a quel momento
venivano formati nelle Facoltà di Lettere e nei dipartimenti
di psicologia, convertiti per tre quarti alla psicanalisi. Di
quelli credo che non ne resti che un quarto. In altre parole
tutto è orientato secondo le neuroscienze. La situazione è
del tutto diversa.
Alessandra Guerra: In Francia la Facoltà di psicologia fa
parte di Medicina?
Jean-Luc Martin: No, è sempre all'interno della Facoltà di
Lettere ma prima, nella formazione dello psicologo, c'erano i
due attestati un po' faticosi da acquisire che riguardavano la
farmacologia e la fisiologia del sistema nervoso. Questi due
attestati
sono
dell'insegnamento
stati
mantenuti
rappresentavano
ma
sull'insieme
abbastanza
poco,
perché tutto il resto era innestato sulla psicopatologia.
Ora è tutto il contrario: il primo capovolgimento ha avuto
17
luogo all'università di Saint-Denis, che ha preso il posto
dell'Università sperimentale di Vincennes, dove c'era un
dipartimento di psicanalisi che si chiamava «il dipartimento
del Campo Freudiano». Questo dipartimento è stato
trasferito a Saint-Denis, quando l'università è stata trasferita
dal bosco di Vincennes a Saint-Denis.
Dopo questo passaggio il dipartimento di psicologia è
confluito
in
un
certo
periodo
nel
dipartimento
di
neuropsicologia. Gli studenti seguivano così gli insegnamenti
orientati verso le neuroscienze e la psicofisiologia e se
volevano conoscere un po' la psicanalisi si iscrivevano al
dipartimento del Campo freudiano.
Dopo qualche anno tutti i dipartimenti di psicologia della
regione parigina si sono riversati nelle neuroscienze e nel
cognitivismo. Penso del resto che gli psicanalisti e gli
psicologi siano i primi colpevoli di questo viraggio. Una delle
ragioni di tutto ciò è il dissenso tra le scuole psicanalitiche,
poiché ciascuna pensa di avere la propria verità in tasca. Ho
parlato prima riguardo alla passe: il sapere universitario
attirava
moltissime
persone.
Essere
in
una
scuola
psicanalitica e fare un insegnamento universitario pur
essendo qualcosa che urta le orecchie, nello stesso tempo
18
rappresentava un buon modo di assicurare una posizione al
«vero insegnamento psicanalitico», per dire le cose come
stanno.
Alessandra Guerra: Per quanto tempo ha lavorato in
ospedale?
Jean-Luc Martin: Ho lavorato dal 1970 a quest'anno, per
quarant'anni.
Contemporaneamente
lavoravo
anche
all'università. Ho lavorato quindici anni all'università come
insegnante di psicologia, a Paris XII.
Alessandra Guerra: Lei ha insegnato la psicanalisi?
Jean-Luc Martin: Sì, e come! Ho passato la mia vita a
lavorare attorno alla psicanalisi. Non ho mai potuto
fermarmi!
Alessandra Guerra: Ma Lei ha anche praticato la psicanalisi
come libero professionista? Lei ha frequentato gli psicanalisti
anche da questo punto di vista?
19
Jean-Luc Martin:
Sì, assolutamente, per una trentina d'anni. Per me non è
pensabile lavorare da soli nel proprio angolino. Bisogna
discutere, confrontarsi...
Alessandra Guerra:
Lei fa ancora parte di «Psychanalyse actuelle»?
Jean-Luc Martin: No, non più. Da un po' di tempo sono in
un gruppo che si chiama «Dimension de la psychanalyse»
con René Lew che conosco da quarant'anni. Lavoriamo
molto sulla nevrotizzazione della psicosi. E' un grande
problema! Nel servizio al CMP, dov'eravamo, avevamo tutti e
due la reputazione di ricevere tutti i pazienti psicotici, anche
se non si era sempre d'accordo con ciò che ci veniva detto.
Il risultato del nostro lavoro con queste persone è stato che
praticamente nessuna di loro è stata re-ospedalizzata dopo.
Con alcuni si arrivava a districare certe storie, partendo dal
punto di vista dell'ultimo Lacan, quello della topologia...
Alessandra Guerra: E ora?
20
Jean-Luc Martin: Mi sono ritirato dalle attività pubbliche.
Alessandra Guerra: Lei ha attraversato quasi tutta la storia
della psicanalisi lacaniana!
Jean-Luc Martin: Ho attraversato una parte della storia
lacaniana dal 1970 e non il periodo precedente. Prima ero a
Besançon. Mi ricordo che allora, in occasione di un mio
compleanno, mi ero fatto regalare gli Scritti di Lacan e mi
ricordo che ero molto affascinato dalle lezioni di Pierre
Kaufmann.
Alessandra Guerra: Mi piacerebbe incontrarLa di nuovo per
poter riflettere con Lei sulle implicazioni politiche della Sua
esperienza, del Suo discorso. Avrei molte altre domande da
porLe.
Il periodo che Lei ha descritto è paradigmatico. Vorrei
sapere più precisamente ciò che Lacan ha trasmesso a Lei e
alla Sua generazione. Vorrei anche farLe delle domande
sulla psicosi e sulla sua importanza nella formazione
dell'analista Che cosa pensa della formazione attuale dello
psicologo, dello psichiatra, e avere la Sua opinione sulla
21
politica della psicanalisi. Vorrei anche riflettere con Lei in
merito alle difficoltà in cui si trova la psicanalisi...
Jean-Luc Martin: La mia idea generale, dal momento che Lei
ha parlato di formazione dell'analista e di psicosi... Penso
che una chiave importante sia un'espressione che Freud
utilizza nell'articolo sull'Inconscio4: «Prendere la parola per
la cosa». Ciò che è in gioco in tutta questa faccenda
consiste nel prendere la parola per la cosa e si distrugge la
potenza metaforica, che ruota attorno alla questione del
transfert. Ciò che deve essere metaforico viene rimpiazzato
da parole, da cose e da comportamenti... Si rimpiazza quello
(il metaforico) con qualcosa che deve essere scritto,
inscritto, trascritto...
Uno dei punti molto, molto importanti di ciò che sta
succedendo, oltre alla questione degli psichiatri, delle
società di psicoterapia, di psicanalisi, è il cambiamento di
posizione, di posto del denaro. Il denaro è nel posto del
vitello d'oro! Tutto si organizza attorno a quello! Sul piano
ideologico in Francia il Presidente della Repubblica si
considera un dirigente d'azienda; il direttore dell'ospedale si
4 “L'inconscio” in Metapsicologia (1915), OSF, vol. 8 Bollati Boringhieri, Torino.
22
considera un dirigente d'azienda e anche al direttore di
scuola è conferito questo status! Il cambiamento totale di
rapporto rispetto alla questione economica è legato ai
laboratori farmaceutici che dirigono la politica della salute,
nient'altro!
Inutile cercare il pelo nell'uovo, complicare le cose, (ciò di
cui si tratta) è una visione economica triviale, la più bassa,
la più stupida. Con discorsi di questo tipo: «Bisogna evitare
che il paziente nel suo percorso (di cura) si trovi in conflitto
vedendo le stesse persone sia all'ospedale che al CMP» a
parlare sono dei bottegai, che fanno sì che il paziente venga
legato, catturato in un percorso per evitare che si aprano i
discorsi e si facciano dei confronti.
Alessandra Guerra: La ringrazio moltissimo per tutto quello
che ha detto e per il suo prezioso sostegno al Manifesto per
la difesa della psicanalisi. Al prossimo incontro.
Parigi, 4 luglio 2011
Trascrizione a cura di Christine Dal Bon
Traduzione a cura di Claudia Furlanetto
23
24