Testimonianza - Manifesto per la difesa della psicoanalisi
Transcript
Testimonianza - Manifesto per la difesa della psicoanalisi
INTERVISTA A JEAN-LUC MARTIN TESTIMONIANZA Jean-Luc Martin: Ho un percorso un po' particolare. Ho condotto i miei studi di psicologia in provincia, a Besançon, nel 1967. All'epoca in Francia si conseguiva una laurea triennale (licence)1 in psicologia e poi bisognava andare a Parigi, a Strasburgo, a Lione o a Bordeaux, in un istituto di psicologia per conseguire la specializzazione (diplôme spécial). In seguito la specializzazione è stata sostituita da una laurea quadriennale (maîtrise) in psicologia e attualmente dai master in psicologia e da cose di questo tipo. Nel 1966 – nella prima parte dei miei studi, perché allora volevo fare filosofia – ho avuto come professore Pierre Kaufmann a Besançon, uno dei pensatori, dei grandi filosofi dell'epoca, che ha molto ispirato Jacques Lacan. Kaufmann era stato nominato a Besançon, dove ho seguito il suo insegnamento. In seguito mi sono voluto occupare di psicanalisi. Mi sono così iscritto al corso di psicologia, per 1 La licence de psychologie corrispondeva ad un percorso di studi universitario triennale, simile all'incirca alla nostra attuale laurea breve, al termine della quale si poteva conseguire una specializzazione o diplôme spécial. Tale specializzazione è stata poi sostituita da una maîtrise de psychologie, ottenuta con l'aggiunta di un anno di studio alla licence (corrispondente circa alla nostra laurea quadriennale del vecchio ordinamento). 1 orientarmi poi verso la psicanalisi. Pierre Kaufmann aveva molte conoscenze e fece venire nell'anno accademico 196768 Jacques-Alain Miller e sua moglie, Judith Miller, figlia di Lacan, Judith Lacan. Ho seguito tutti i suoi insegnamenti. Dopo, quando si è trattato di fare un corso specializzato in psicopatologia, sono andato a Strasburgo, dove c'era Georges Lanteri-Laura con cui mi sono trovato bene. Un anno dopo mi ha proposto di andare a Parigi, all'ospedale di Charenton, e una delle prime cose che ho fatto è stata quella di seguire i seminari e le presentazioni di Henry Ey, uno degli ultimi grandi clinici francesi con Georges LanteriLaura, e ho incominciato a seguire i seminari di Jacques Lacan. Alessandra Guerra: In quali anni? Jean-Luc Martin: Nel 1969-70. In seguito ho fatto il servizio di leva. Al mio ritorno nel 1972 circa ho iniziato la mia analisi e ho cominciato a seguire regolarmente i seminari di Jacques Lacan. Poi nel servizio di psichiatria di Lanteri-Laura dove lavoravo, abbiamo insieme predisposto, a partire da una mia idea, un sistema di conferenze-insegnamento con 2 relatori esterni, che si tenevano tutti i venerdì. Siccome Lanteri-Laura era molto conosciuto e compilavo con lui la lista dei relatori, ho potuto invitare tutte le persone dell'ambito psicanalitico che mi appassionavano. E' venuto Moustapha Safouan... Non c'è mai stato Lacan perché questo genere di cose non facevano al caso suo. Non c'è stato Jacques - Alain Miller, per la sua posizione politica di allora, un po' particolare; per contro si è rapidamente instaurato un rapporto con la Sezione clinica del Campo freudiano, che stava allora nascendo e di cui avevo fatto parte i primi due anni. Abbiamo avuto dei corsisti (stagiaire) come Wacjman, Gérard Miller, Catherine Millot, persone interessanti, che venivano chiamati «i giovani» della Sezione clinica, i giovani del movimento lacaniano. Inoltre questo servizio era in prossimità della facoltà di Vincennes e ciò permetteva un sacco di cose. Ho seguito i seminari di Clavreul, che allora veniva chiamato «Tonton Clavreul»! Di sera, tutti raccolti in una sala... Alessandra Guerra: Perché «Tonton Clavreul»? Jean-Luc Martin: Io penso per la sua gentilezza e per il fatto 3 che non era dogmatico. Con lui si poteva parlare. Ci sono delle persone così, me ne sono reso conto in seguito facendo tutti i miei passaggi nel mondo psicanalitico. Tra gli psicanalisti ce ne sono di quelli che quando parlano lasciano a bocca aperta e fan pensare che «ne sanno di cose!» Con altri, invece, vien voglia di parlare. «Tonton Clavreul» faceva parte di questi ultimi. Ho incontrato Pierre Legendre che in questo assomiglia a Clavreul. Anche lui con un grande sapere e con la capacità di parlare delle cose con una tale semplicità che si ha voglia di porre domande, di discutere con lui, di aprirsi! Ho conosciuto molti così. In seguito ho organizzato delle «cene-dibattito» (dîners- débats). Una volta al mese nel corso di una cena si invitava un relatore a parlare. Veniva invitata anche una seconda persona, incaricata di avviare la discussione e il contraddittorio. In queste occasioni ho incontrato Serge Leclaire, ancora Safouan, Melman, Czermack, e non mi ricordo chi altri ancora... Seguivo anche i seminari della Sezioni clinica e quelli di Lacan. Dopo la sua morte ho esitato molto, ero in una situazione piuttosto complessa. Alessandra Guerra: Perché? 4 Jean-Luc Martin: Perché ero alla fine della mia analisi... Alessandra Guerra: Con chi? Jean-Luc Martin: Con una persona che non era molto, molto conosciuta; era membro dell'École freudienne e allieva di Françoise Dolto, si chiamava Maïté Péchard, con lei ho anche fatto in seguito una supervisione. Anche altre persone hanno contato molto nella mia formazione: Gisela Pankow da cui ho appreso moltissimo sul lavoro con i bambini psicotici. Lei non era lacaniana, aveva una concezione molto particolare della metafora, una concezione che trovavo molto interessante. Alessandra Guerra: Lei ha lavorato con Gisela Pankow? Jean-Luc Martin: Sì, un po'. Ho seguito i suoi seminari all'École de Médecine. In mezzo a tutto ciò, alla morte di Lacan, mi si è posto un problema. Conoscevo bene JacquesAlain Miller e le persone attorno a lui e avevo un po' paura del dogmatismo in cui ci si trovava. Ho così posto la 5 questione al mio analista: «Ma Lei, dove si colloca, dov'è?». Mi ricordo che mi ha risposto: «Non si preoccupi, non sono di quel mondo» o qualcosa di simile, da intendere come: «Non faccio parte di quel dogmatismo». C'è stato un momento di sbandamento, seguito da una grande riunione organizzata da Czermak e da Melman per provare a riunire tutti i gruppi analitici facenti parte del movimento lacaniano, per vedere se si poteva organizzare o riprendere un certo numero di cose tutti insieme e superare le divisioni. Eravamo molto infastiditi per una certa storia tra Jacques-Alain Miller e Charles Melman, che si accusavano reciprocamente di aver tradito il segreto del divano. Si diceva che Jacques-Alain Miller avesse redatto le ultime parole di Lacan riguardante il "forum de Mines", o qualcosa di simile. Melman denunciò quel fatto e Miller denunciò Melman per aver divulgato ciò che gli aveva detto in analisi. Alessandra Guerra: Mi scusi, che cosa vuole dire con la parola denunciare: pubblicamente o in tribunale? Jean-Luc Martin: No, non in tribunale. Ma a questo proposito va detto che si sono presentati subito due 6 problemi. Uno si era creato al momento della dissoluzione dell'École Freudienne: alcuni membri dell'École Freudienne avevano costituito un gruppo denominato il «Groupe du référé», che ha portato in giudizio la questione della dissoluzione dell'École Freudienne, dicendo che non era stato Lacan a dissolvere la sua scuola, che egli doveva rispettare le regole. Avevo degli amici che erano in questo gruppo. La questione era delicata: c'era stato l'annuncio di Lacan: «Io fondo la mia scuola» e allo stesso tempo c'erano – giuridicamente parlando – gli statuti di questa scuola. Essa era retta da una regolamentazione che faceva sì che nessuno potesse veramente dire: «E' la mia scuola». C'era forse un'ambiguità, ma il fatto che Lacan avesse detto: «Io sciolgo» era coerente con ciò che aveva detto alla partenza, sull'avventura in questione2. Ero abbastanza d'accordo sul fatto che ci fosse una legittimità che andava rispettata, ma ero anche a disagio in questa vicenda. C'è un'altra storia un po' simile, che le fa eco, successa poco dopo e che riguarda il seminario di Lacan sul transfert. Si erano costituiti dei gruppi di lavoro per redigere il seminario 2 La costituzione dell'École freudienne N.d.t. 7 con le note e cose simili. Pochi seminari erano stati trascritti nel momento in cui Lacan li teneva, solamente tre sono stati redatti contemporaneamente al seminario. Un gruppo, «Stécriture», aveva predisposto tutto un lavoro per preparare una versione di questo seminario sul transfert. In quel momento circolavano tutti i seminari, di nascosto, clandestinamente, tuttavia vi avevo ugualmente accesso piuttosto facilmente. C'erano delle librerie specializzate nel Quartiere Latino in cui si trovava di tutto. Jacques-Alain Miller e Judith Lacan, gli eredi, intrapresero una azione giudiziaria per dire che non era il caso di lasciare che chiunque si occupasse dei seminari di Lacan. Ecco! Si ha l'impressione che dopo la morte di Lacan si sia posto, negli stessi termini - se così posso dire - la questione della Laienanalyse. Allora si è posta come questione sulla legittimità di colui che parla o che trasmette i testi lacaniani. Chi parla in nome di Lacan? E' una questione che allora si pose. Alcuni gruppi non cessavano di litigare, per esempio il gruppo di Melman e quello di Jacques-Alain Miller: due gruppi quasi speculari per quanto riguarda il Discours psychanalytique, il giornale dell'associazione lacaniana che è 8 diventata l'ALI. Nel Discours psychanalytique c'era regolarmente «La lettera», che era un puro riflesso di ciò che accadeva nel gruppo di Jacques-Alan Miller. Oltre a quei due gruppi ce n'erano molti altri, ciascuno con la sua specificità. Ma ad un certo punto si creò un problema, perché quando Mitterand arrivò al potere la sinistra cominciò a pensare a uno statuto dello psicanalista. Si diceva che la moglie del ministro della Sanità dell'epoca, credo fosse Chevènement, deputato di Belfort, fosse psicologa clinica e avesse una certa importanza nell'ambito psi... La questione di predisporre uno statuto dello psicanalista è arrivato così. In quel momento ero in un gruppo che si chiamava «Les Cartels constituents» organizzato attorno a Rondepierre, Dumézil, Simathos. L'idea era quella di costruire un gruppo attorno a dei cartelli di lavoro, di costruire un'associazione di psicanalisti. Era stato fatto a riguardo tutto un lavoro di riflessione. Queste voci che correvano in merito all'esistenza di un movimento per predisporre uno statuto dell'analista hanno di colpo fatto precipitare tutto il lavoro fatto dai gruppi, dai cartelli, a favore di una «creazione, subito, subito, subito» di 9 un'istituzione con una lista di analisti. E poiché si era democratici la lista degli analisti comprendeva tutte le persone che erano là il giorno dell'assemblea generale e che votavano a favore di questa nuova istituzione. Tutti erano analisti! Questo ha posto un primo problema: quello di far precipitare le persone a votare in favore di questa istituzionalizzazione e di creare un'amalgama tra tutti quelli della vecchia guardia - con riferimento a coloro che avevano una grande esperienza, che erano supervisori ecc., ovvero quelle persone dell'École Freudienne che avevano lasciato i loro segni nell'istituzione - e gli altri, del tutto nuovi, che erano inquieti, che si domandavano cosa stesse succedendo, dove dovessero collocarsi. E ciò ha prodotto un attrito tra coloro che avevano costituito questa scuola e gli altri, un altro gruppo che si era costituito in quel momento. Questo altro gruppo formato da Porge, Philippe Julien, Allouch, Le Gaufey ha fondato rapidamente la rivista «Littoral». Alessandra Guerra: Lei è ancora nei «Cartels»? 10 Jean-Luc Martin: Sì, poi mi sono fermato perché non ero del tutto d'accordo con questo modo di fare. Tengo ancora da qualche parte tutto il lavoro che era stato fatto, le riflessioni sulle questioni dell'istituzione, i suoi statuti. Una cosa tuttavia interessava particolarmente i gruppi: la questione della passe. C'erano coloro che sostenevano: «E' stato un fallimento, non ricominciamo», che è stata la tesi di Melman; c'erano altri che dicevano: «Si rifletterà» e altri che ci lavoravano. In quel momento ho lasciato le persone dei Cartels per congiungermi al gruppo del «Coût freudien» con Jean-Jacques Moscovitz, Alain-Didier Weil e pochi altri. Mi ricordo di una delle questioni trattate: fine e finalità dell'analisi. Si intervistavano tutti coloro che erano nei gruppi analitici lacaniani, chiedendo in cosa essi fossero diversi dagli altri e quale fosse la loro particolarità. Tutto ciò mi ha molto aiutato a pensare alla procedura che poteva essere predisposta in una scuola in merito alla passe ed è sempre oggetto di riflessione. Si lavorava a questa questione e c'era un dispositivo che si chiamava «il luogo x» (le lieu x) che permetteva a più associazioni («Le Coût freudien», per esempio) di riunirsi, di predisporre un dispositivo transitorio per permettere a un candidato di 11 porre la sua questione. Le associazioni designavano una commissione della passe, dei passants e dei passeurs. Fatto ciò il lavoro effettuato tra il passeur e il passant veniva presentato alla commissione della passe per una discussione. In seguito tutto l'insieme veniva sciolto. La cosa interessante è che non c'era questo effetto di potere che poteva esserci in una istituzione costituita. Era un tentativo di raccogliere delle informazioni sulla fine dell'analisi e sul desiderio di essere analista, mettendosi al riparo dagli effetti di potere che allora si vedevano ovunque. Ovunque: è un po' esagerato! Diciamo gli effetti di potere che si erano visti all'École Freudienne. Alessandra Guerra: Cosa ha visto esattamente all'École Freudienne? Jean-Luc Martin: Uno dei miei amici era stato più volte designato... Una quantità di voci giravano, del tipo: «Sono sempre gli stessi a essere designati passeur». Veramente, non consideravo questo amico, che era stato designato ed era in analisi da Rondepierre, come un maggiore per me! Più volte ho inteso che tutto ciò non funzionava, che era 12 esasperante, che il dispositivo non era adeguato. Tutto il gruppo del «Coût freudien» mi è stato di grande insegnamento perché aveva lavorato sulla questione della passe. Allo stesso tempo si era molto dedicato al problema della Shoah. In seguito ho compreso che c'erano dei nessi tra questi diversi passaggi. Credo, del resto, che il film Shoah sia uscito poco tempo dopo al momento in cui cominciavo a seguire le attività del «Coût freudien». Il film è uscito l'anno dopo. Ho saputo dopo, a cose fatte, che vi era stata una rottura, dei dissensi tra Alain-Didier Weil e JeanJacques Moscovitz, che ha fondato «Psychanalyse actuelle». Ho condiviso con Jean-Jacques Moscovitz l'idea di fare un gruppo di lavoro psichiatria-psicanalisi, e così ho seguito anche il suo lavoro attorno al film Shoah, lavoro che mi ha molto interessato. Moscovitz aveva pubblicato allora il suo libro D'où viennent les parents? Parlava di una quarta topica legata alle conseguenze della Shoah. Quello mi ha permesso di aprire gli occhi su altre possibili letture dei testi di Freud, in particolare Mosé e il monoteismo, che mi apparve allora come un testo molto importante. Allo stesso tempo mi sono incastrato – è il caso di dirlo – con la traduzione di un testo. In Francia c'era allora la 13 questione della traduzione delle opere complete di Freud e mi sono impegnato in quell'ingranaggio per tradurre Totem e tabù. Grazie al lavoro della traduzione ho così potuto comprendere che la visione di Lacan era molto importante. In seguito mi sono messo a lavorare sulla topologia e su cose simili. Ho visto che nelle istituzioni3 non poche persone fanno discorsi molto interessanti e anche che le cose si ripetono un po', ci si gira attorno e che, in generale, le istituzioni che non sono orientate dal punto di vista della passe, possono giungere – a un dato momento – alla psicoterapia. Alessandra Guerra: O la passe o la psicoterapia? Jean-Luc Martin: Sì, assolutamente. Se non c'è la passe per rilanciare continuamente la questione si mettono in atto rapidamente delle istanze di potere, le cose deviano. Alessandra Guerra: Lei ha lavorato come psichiatra, psicanalista, psicologo? 3 Da intendere come associazioni di psicanalisi istituzionalizzate. 14 Jean-Luc Martin: Ho avuto questa fortuna, propria della mia generazione, di non sentir parlare che di psicanalisi nelle sale di guardia degli ospedali psichiatrici, inoltre i primari con cui si lavorava erano d'accordo con ciò che si faceva. Si lavorava come si voleva, senza storie. Nel servizio dove operavo avevo due attività: all'ospedale vedevo alcuni pazienti con gli interni, mi occupavo delle attività di insegnamento e delle presentazioni dei pazienti con l'idea che esse facessero parte del lavoro terapeutico (non dell'insegnamento NdT) e permettessero un confronto con il coro degli assistenti, da intendersi nel senso del coro tragico dell'antica Grecia. Durante la presentazione, si potevano interpellare le persone che assistevano all'incontro, poiché in quella occasione si creava un particolare rapporto con l'altro, e dunque si poteva lavorare su questi problemi con dei pazienti coinvolti in una psicosi. Alessandra Guerra: Lei ha lavorato come psicologo in un servizio di psichiatria? Jean-Luc Martin: Sì, assolutamente: una parte del tempo all'ospedale e l'altra nel Centro Medico Psicologico, nel 15 dispensario che dipendeva dall'ospedale. Al Centro Medico Psicologico non facevo che lavoro analitico: ricevevo dei pazienti qualunque fosse la loro patologia e si lavorava sul discorso del paziente. Tutte queste cose stanno ora completamente cambiando! Si stanno trasformando in due modi: per gli statuti professionali e per le pressioni economiche degli ospedali. Negli ospedali psichiatrici oggi c'è un'enorme ristrettezza economica. Nel servizio in cui lavoravo c'erano duecentocinquanta letti, oggi ce ne sono quaranta per la stessa popolazione, ovvero per una popolazione che è aumentata, perché a quel tempo c'era un terzo della popolazione attuale dell'undicesimo arrondissement e quando ho smesso c'era all'incirca la metà e una quarantina di letti. Come lavorare in condizioni come quelle? E' incredibile! Dall'altra parte ci sono stati i cambiamenti di statuto degli psichiatri con la fine dell'internato di psichiatria. L'internato specifico di psichiatria è stato soppresso a favore di un internato generale, non essendo la psichiatria la migliore delle scelte nell'ambito della medicina, poiché la scelta viene fatta a partire dai risultati ottenuti agli esami! A partire da ciò sono comparsi altri tipi di pratiche 16 psichiatriche contemporanee del DSM ed è comparso anche un tipo di clinica del farmaco. Non era più una clinica del discorso ma una clinica fondata sugli effetti positivi o negativi del farmaco. C'è stato anche un cambiamento nella formazione degli psicologi che fino a quel momento venivano formati nelle Facoltà di Lettere e nei dipartimenti di psicologia, convertiti per tre quarti alla psicanalisi. Di quelli credo che non ne resti che un quarto. In altre parole tutto è orientato secondo le neuroscienze. La situazione è del tutto diversa. Alessandra Guerra: In Francia la Facoltà di psicologia fa parte di Medicina? Jean-Luc Martin: No, è sempre all'interno della Facoltà di Lettere ma prima, nella formazione dello psicologo, c'erano i due attestati un po' faticosi da acquisire che riguardavano la farmacologia e la fisiologia del sistema nervoso. Questi due attestati sono dell'insegnamento stati mantenuti rappresentavano ma sull'insieme abbastanza poco, perché tutto il resto era innestato sulla psicopatologia. Ora è tutto il contrario: il primo capovolgimento ha avuto 17 luogo all'università di Saint-Denis, che ha preso il posto dell'Università sperimentale di Vincennes, dove c'era un dipartimento di psicanalisi che si chiamava «il dipartimento del Campo Freudiano». Questo dipartimento è stato trasferito a Saint-Denis, quando l'università è stata trasferita dal bosco di Vincennes a Saint-Denis. Dopo questo passaggio il dipartimento di psicologia è confluito in un certo periodo nel dipartimento di neuropsicologia. Gli studenti seguivano così gli insegnamenti orientati verso le neuroscienze e la psicofisiologia e se volevano conoscere un po' la psicanalisi si iscrivevano al dipartimento del Campo freudiano. Dopo qualche anno tutti i dipartimenti di psicologia della regione parigina si sono riversati nelle neuroscienze e nel cognitivismo. Penso del resto che gli psicanalisti e gli psicologi siano i primi colpevoli di questo viraggio. Una delle ragioni di tutto ciò è il dissenso tra le scuole psicanalitiche, poiché ciascuna pensa di avere la propria verità in tasca. Ho parlato prima riguardo alla passe: il sapere universitario attirava moltissime persone. Essere in una scuola psicanalitica e fare un insegnamento universitario pur essendo qualcosa che urta le orecchie, nello stesso tempo 18 rappresentava un buon modo di assicurare una posizione al «vero insegnamento psicanalitico», per dire le cose come stanno. Alessandra Guerra: Per quanto tempo ha lavorato in ospedale? Jean-Luc Martin: Ho lavorato dal 1970 a quest'anno, per quarant'anni. Contemporaneamente lavoravo anche all'università. Ho lavorato quindici anni all'università come insegnante di psicologia, a Paris XII. Alessandra Guerra: Lei ha insegnato la psicanalisi? Jean-Luc Martin: Sì, e come! Ho passato la mia vita a lavorare attorno alla psicanalisi. Non ho mai potuto fermarmi! Alessandra Guerra: Ma Lei ha anche praticato la psicanalisi come libero professionista? Lei ha frequentato gli psicanalisti anche da questo punto di vista? 19 Jean-Luc Martin: Sì, assolutamente, per una trentina d'anni. Per me non è pensabile lavorare da soli nel proprio angolino. Bisogna discutere, confrontarsi... Alessandra Guerra: Lei fa ancora parte di «Psychanalyse actuelle»? Jean-Luc Martin: No, non più. Da un po' di tempo sono in un gruppo che si chiama «Dimension de la psychanalyse» con René Lew che conosco da quarant'anni. Lavoriamo molto sulla nevrotizzazione della psicosi. E' un grande problema! Nel servizio al CMP, dov'eravamo, avevamo tutti e due la reputazione di ricevere tutti i pazienti psicotici, anche se non si era sempre d'accordo con ciò che ci veniva detto. Il risultato del nostro lavoro con queste persone è stato che praticamente nessuna di loro è stata re-ospedalizzata dopo. Con alcuni si arrivava a districare certe storie, partendo dal punto di vista dell'ultimo Lacan, quello della topologia... Alessandra Guerra: E ora? 20 Jean-Luc Martin: Mi sono ritirato dalle attività pubbliche. Alessandra Guerra: Lei ha attraversato quasi tutta la storia della psicanalisi lacaniana! Jean-Luc Martin: Ho attraversato una parte della storia lacaniana dal 1970 e non il periodo precedente. Prima ero a Besançon. Mi ricordo che allora, in occasione di un mio compleanno, mi ero fatto regalare gli Scritti di Lacan e mi ricordo che ero molto affascinato dalle lezioni di Pierre Kaufmann. Alessandra Guerra: Mi piacerebbe incontrarLa di nuovo per poter riflettere con Lei sulle implicazioni politiche della Sua esperienza, del Suo discorso. Avrei molte altre domande da porLe. Il periodo che Lei ha descritto è paradigmatico. Vorrei sapere più precisamente ciò che Lacan ha trasmesso a Lei e alla Sua generazione. Vorrei anche farLe delle domande sulla psicosi e sulla sua importanza nella formazione dell'analista Che cosa pensa della formazione attuale dello psicologo, dello psichiatra, e avere la Sua opinione sulla 21 politica della psicanalisi. Vorrei anche riflettere con Lei in merito alle difficoltà in cui si trova la psicanalisi... Jean-Luc Martin: La mia idea generale, dal momento che Lei ha parlato di formazione dell'analista e di psicosi... Penso che una chiave importante sia un'espressione che Freud utilizza nell'articolo sull'Inconscio4: «Prendere la parola per la cosa». Ciò che è in gioco in tutta questa faccenda consiste nel prendere la parola per la cosa e si distrugge la potenza metaforica, che ruota attorno alla questione del transfert. Ciò che deve essere metaforico viene rimpiazzato da parole, da cose e da comportamenti... Si rimpiazza quello (il metaforico) con qualcosa che deve essere scritto, inscritto, trascritto... Uno dei punti molto, molto importanti di ciò che sta succedendo, oltre alla questione degli psichiatri, delle società di psicoterapia, di psicanalisi, è il cambiamento di posizione, di posto del denaro. Il denaro è nel posto del vitello d'oro! Tutto si organizza attorno a quello! Sul piano ideologico in Francia il Presidente della Repubblica si considera un dirigente d'azienda; il direttore dell'ospedale si 4 “L'inconscio” in Metapsicologia (1915), OSF, vol. 8 Bollati Boringhieri, Torino. 22 considera un dirigente d'azienda e anche al direttore di scuola è conferito questo status! Il cambiamento totale di rapporto rispetto alla questione economica è legato ai laboratori farmaceutici che dirigono la politica della salute, nient'altro! Inutile cercare il pelo nell'uovo, complicare le cose, (ciò di cui si tratta) è una visione economica triviale, la più bassa, la più stupida. Con discorsi di questo tipo: «Bisogna evitare che il paziente nel suo percorso (di cura) si trovi in conflitto vedendo le stesse persone sia all'ospedale che al CMP» a parlare sono dei bottegai, che fanno sì che il paziente venga legato, catturato in un percorso per evitare che si aprano i discorsi e si facciano dei confronti. Alessandra Guerra: La ringrazio moltissimo per tutto quello che ha detto e per il suo prezioso sostegno al Manifesto per la difesa della psicanalisi. Al prossimo incontro. Parigi, 4 luglio 2011 Trascrizione a cura di Christine Dal Bon Traduzione a cura di Claudia Furlanetto 23 24