IV. L`indagine sul comune di Chiusdino

Transcript

IV. L`indagine sul comune di Chiusdino
IV – L’INDAGINE SUL COMUNE DI CHIUSDINO
INTRODUZIONE
Una metodologia nella lettura delle emergenze di materiali mobili in
superficie si rende indispensabile nel definire un ‘paradigma condiviso’ per l’archeologia di superficie, auspicato sino dai primi passi del
progetto Carta Archeologica 5: scaturisce dalla necessità di limitare la
soggettività interpretativa del ricercatore in fase di registrazione del
dato e di consentire la corretta comunicazione alla comunità scientifica dei risultati conseguiti, prevedendo l’adozione di categorie di
lettura dei depositi emersi.
La modellizzazione dei dati ottenuti nel corso dell’indagine estensiva riguarda strettamente le finalità di ricerca. Produrre carte archeologiche
territoriali non può limitarsi al censimento del patrimonio conservato
nel sottosuolo e di quello presente ancora in elevato; un obiettivo di
questo tipo, prezioso indubbiamente dal punto di vista della tutela e
della conservazione del bene archeologico, non esaurisce però la volontà
di ‘fare’ storia, di ricostruire la realtà socio-economica e insediativa (e la
sua evoluzione in senso diacronico) del comprensorio analizzato. Di
qui, la necessità di ‘modellizzare’, di riconoscere delle tendenze del popolamento essenziali nella comparazione delle diverse realtà territoriali
studiate e, in seguito, ampliare o completare tali modelli in funzione
delle nuove suggestioni emerse proprio da tali confronti.
Il concetto di “modello” esprime il giusto livello di astrazione del
dato, a cui il ricercatore deve tendere affinché la sua ricerca non rimanga isolata e costituisca oggetto di studio e di approfondimento
per altre indagini. L’efficacia di un’impostazione di questo tipo trova
la sua prima, e forse più concreta, conferma proprio nei contributi
prodotti all’interno del Progetto Carta Archeologica. Con il procedere delle indagini nei diversi comprensori comunali, tende a definirsi sempre più chiaramente il quadro ricostruttivo in senso diacronico dello sviluppo socio-economico dell’intera provincia di Siena:
emergono chiaramente differenze e similitudini nelle linee evolutive
del popolamento, i condizionamenti degli eventi storico-economici
sulla formazione e sulle modificazioni del tessuto insediativo e infine
l’organizzazione del potere e la sua influenza sul territorio.
La possibilità di verificare le ipotesi prodotte su ogni singolo contesto
in una prospettiva di così ampio respiro costituisce una sorta di valore aggiunto alle elaborazioni prodotte; in altre parole, ogni singolo
ricercatore costantemente deve procedere alla verifica dei propri modelli sulla base degli altri ed è dunque costretto a valutare i propri risultati in una prospettiva che supera necessariamente l’ambito specifico del suo lavoro.
In questo senso, un elemento ulteriore di raffinazione del processo
interpretativo (concretizzato per la prima volta nel volume relativo all’alta Val d’Elsa), è stato determinato dall’adozione del mezzo informatico, legato in special modo alla tecnologia GIS 6. Que-
La ricerca sul comune di Chiusdino, svolta nel biennio 1993-1995,
fa parte dei primi interventi promossi nell’ambito della Carta Archeologica della Provincia di Siena; un progetto che, a dieci anni
dalla sua attivazione, registra 19 casi esaminati (di cui otto già pubblicati) 1 e tre in corso di studio su un totale di 36 comuni.
La nostra esperienza segue da vicino le ricerche effettuate sul Chianti
senese e nell’alta Val d’Elsa, che hanno rappresentato un momento
decisivo nell’elaborazione e nella sperimentazione di un metodo concernente l’impostazione del lavoro, la decodifica e il trattamento del
dato raccolto. Questi volumi, preceduti da alcuni interventi introduttivi 2, nascono infatti sulle linee teoriche e metodologiche sviluppate dall’area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena partecipando al dibattito internazionale che ha investito i criteri alla base
dell’indagine, le scelte operative del lavoro sul campo, la definizione
della tecnica di ricerca, le categorie di lettura delle emergenze in superficie, il problema della visibilità del Medioevo 3.
Quindi, l’indagine su Chiusdino, sia nell’impostazione, sia nell’elaborazione, segue l’impalcatura metodologica costruita in questa
esperienza e nel presente paragrafo illustreremo le scelte effettuate
per la pianificazione delle aree da battere, nella lettura dei dati, nel
costruire modelli della diacronia insediativa attraverso l’impiego
delle moderne tecnologie informatiche.
La pianificazione della strategia, consistente nella scelta di eseguire
la ricognizione di aree campione rappresentative 4, viene subordinata a una preliminare definizione del contesto di studio sulla base
delle sue caratteristiche paesaggistiche e geomorfologiche (determinanti nella progettazione del lavoro sul campo) e della documentazione disponibile (censimento delle informazioni edite, utili a isolare aree di maggiore o minore probabilità archeologica e a stilare
un questionario di domande in grado di indirizzare la ricerca stessa).
Focalizzare le peculiarità del territorio significa sapere scegliere gli
strumenti di indagine più idonei alle sue caratteristiche fisiche e all’uso del suolo che lo caratterizza; l’incidenza degli spazi indagabili
(seminativi e, talvolta, colture stabili) su quelli non battibili (bosco,
pascolo, incolto) rappresenta infatti una discriminante sul tipo di
strategia e sui metodi di rilevamento dei depositi sommersi. Non
solo: riconoscere i fattori di condizionamento della visibilità/conservazione del patrimonio archeologico potrà consentire una stima
preliminare del suo potenziale e della sua resa.
1 Comuni di Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Gaiole in Chianti,
Radda in Chianti (VALENTI, 1995), Poggibonsi, Colle Val d’Elsa (VALENTI, 1999),
Abbadia San Salvatore, Radicofani (CAMBI, 1996). A questi vanno aggiunti Chiusi e
Chianciano (PAOLUCCI, 1988) e Radicondoli (CUCINI, 1990).
2 VALENTI, 1988; 1989a; 1989b; 1991.
3 La discussione si è però negli ultimi anni rallentata con l’unica eccezione dell’incontro internazionale Populus, svoltosi nel 1994, che ha visto confrontarsi le esperienze europee: AA.VV., 2000.
4 Riguardo alla scelta della campionatura oltre a CAMBI-TERRENATO, 1994, si veda
DE GUIO, 1985 e per una sintesi bibliografica ampia VALENTI, 1989.
VALENTI, 1999, pp. 7-10.
Riguardo allo sviluppo dei sistemi di elaborazione del dato tramite calcolatore, maturato all’interno del Laboratorio di Informatica applicata all’Archeologia Medievale
(LIAAM) rimandiamo a VALENTI, 1999, pp. 12-14 con bibliografia completa; inoltre le pagine web dell’Area di Archeologia Medievale <http://www.archeologiamedievale.unisi.it /NewPages/LABORATORIO.html>.
5
6
27
sto sistema è infatti particolarmente adatto allo studio del territorio sia per le sue potenzialità di analisi sia per la natura stessa del
suo metodo di catastazione del dato; ogni singolo rinvenimento
viene infatti inserito in forma georeferenziata all’interno di una
piattaforma, che ricompone di fatto la realtà territoriale attraverso
la sovrapposizione di tutti i livelli di informazione (aspetti morfologici, geologia eccetera): la possibilità di usufruire di uno strumento che permetta di studiare contesti spaziali molto ampi, senza
difficoltà, aumenta il potenziale di ricerca in modo decisamente
significativo.
Per ottenere un confronto veritiero di diverse realtà territoriali, dobbiamo poterle comparare secondo il loro potenziale ‘reale’ o almeno
‘realistico’: cioè il più possibile tarato sulla base dei fattori di condizionamento determinati da peculiarità geomorfologiche (ad esempio, massiccia presenza di superfici coperte a vegetazione stabile) o
dalle caratteristiche dello sfruttamento antropico esercitato nel
tempo (pratiche agricole troppo invasive oppure assenti, abbandono
della terra eccetera), che possono aver compromesso la buona qualità della raccolta del dato di superficie. È necessario dunque applicare un criterio di lettura che permetta in un certo senso di modellizzare la potenzialità archeologica: compiere cioè una valutazione
predittiva di quanta archeologia presente nel sottosuolo non emerge
o non è visibile in concomitanza di una serie di eventi naturali, economici, sociali eccetera.
Perché tale esigenza si pone in occasione dell’indagine su Chiusdino?
Accenniamo ad alcune caratteristiche principali di questo comprensorio: un progressivo quanto massiccio abbandono a partire
dal XVIII secolo, una parziale riappropriazione di questi spazi solo
negli ultimi anni, una condizione di marginalità all’interno del tessuto provinciale interrotta solo dalla fama dello straordinario monumento dell’abbazia di San Galgano e della ‘mitica’ spada della
roccia che, insieme alla agiografia sviluppata intorno alla figura del
santo, hanno contribuito a disegnare una sorta di aura mistica intorno a questo insediamento. Questi aspetti hanno concorso a definire una realtà territoriale diversa dalla maggior parte del senese
e hanno condizionato e limitato i risultati della ricerca.
Il Chianti senese e l’alta Val d’Elsa, come anche molti altri territori
già studiati o in corso di studio, si presentano come oggetti di indagine pressoché omogenei: ampia letteratura relativa ad almeno alcuni
dei periodi storici principali, forte e costante sfruttamento della terra,
limitata presenza delle aree boschive (a parte i casi di Radda in
Chianti).
Il comune chiusdinese invece costituisce un caso diverso: limitatezza
degli spazi indagabili determinata dalle condizioni di abbandono e
della decisa presenza del bosco, quasi totale assenza di documentazione archeologica, scarsità di fonti storiche relative ai periodi precedenti ai secoli del basso Medioevo.
Se noi leggessimo il dato emerso al termine dell’indagine in senso
assoluto, avremmo un quadro fuorviato, e fuorviante, della sua storia insediativa; è dunque necessario valutare il rapporto potenziale
archeologico/visibilità archeologica/resa archeologica per ottenere
una ricostruzione realistica (sempre nei limiti connaturati alla ricerca di superficie) del contesto studiato. Dal punto di vista metodologico, questo aspetto rappresenta l’unica peculiarità e l’unico
elemento di novità nella impostazione della nostra ricerca; l’applicazione degli strumenti di analisi propri della tecnologia GIS per
capire l’incidenza percentuale dei fattori di condizionamento e soprattutto quantificare quanto questi possano condizionare la lettura esaustiva del dato archeologico.
1. OBIETTIVI DELL’INDAGINE
Come hanno sottolineato Francovich e Valenti nel volume di sintesi e confronto fra le varie esperienze effettuate in Toscana, la costruzione di carte archeologiche prevede il perseguimento di due
obiettivi principali, uno scientifico (comprendere l’evoluzione insediativa di una regione) e uno politico (fare entrare definitivamente l’archeologia nelle dinamiche di gestione e valorizzazione
che la riguardano) 7.
Le finalità principali della ricerca sul chiusdinese sono quindi state
la lettura sincronica e nella diacronia delle forme assunte da rapporti
di tipo residenziale (ricostruendo così il processo di formazione del
territorio), la produzione di carte tematiche su cui leggere la formazione del paesaggio e catastare la risorsa archeologica. Nel cogliere le
tendenze insediative abbiamo tentato di perfezionare i modelli di popolamento proposti per il settentrione della provincia, quindi allargare il ventaglio delle variabili possibili, verificandone la validità su
un contesto diverso per posizione geografica, per vicende storiche e
per implicazioni di carattere strategico ed economico-produttivo. Si
trattava dunque di estendere la ricerca sugli spazi orientali del senese
e tarare i modelli sulla base di nuove evidenze, contribuendo ad allargare le conoscenze sulla storia insediativa di questo territorio.
Il confronto permetteva poi di verificare la resa archeologica in relazione a tipologie diverse di intervento sul paesaggio collegate alle
moderne politiche economiche e demografiche. Mentre il comprensorio Chianti-Valdelsa rappresentava in questo senso un campione particolarmente favorevole (molto esteso, con un alto potenziale archeologico e con un alto valore in termini di resa archeologica, anche grazie a caratteristiche di sfruttamento del suolo ideali
per la ricognizione sul campo), il chiusdinese offriva invece l’occasione di stimare e valutare il rapporto fra potenzialità, visibilità e
resa archeologica su un’area intrinsecamente diversa dalle precedenti. Era inoltre possibile valutare il grado di rappresentatività dell’informazione edita rispetto al potenziale espresso dal territorio.
Anche in questo senso, il chiusdinese rappresentava un’eccezione rispetto alle altre zone, per l’assenza pressoché totale di notizie: condizione che, di fatto, gli assegnava un ruolo di marginalità assoluta
nel corso dei periodi premedievali.
Se per l’antichità lo spettro delle domande si limitava essenzialmente
alla verifica della presenza di forme insediative e il loro rapporto con
il paesaggio (senza articolare e approfondire gli aspetti modellistici
evincibili dall’edito), per il Medioevo, invece, la documentazione
storica, nonostante la sua esiguità, forniva un’ampia serie di interrogativi. Proponeva infatti alcuni indicatori che autorizzavano ad attribuire al chiusdinese un ruolo strategico decisamente in contrasto
con l’immagine attuale. In proposito, basta pensare alla fondazione
delle due abbazie, Santa Maria di Serena (XI-XII secolo) e San Galgano (XIII-XV secolo), e all’interesse manifestato da ceti e da organismi dominanti, come il Vescovato volterrano e la famiglia Gherardeschi prima (a partire dalla seconda metà del X secolo con alterne
vicende fino alla prima metà del XIII secolo) e la città di Siena dopo
(a partire dal XIII secolo fino a tutto il XIV secolo).
Per il periodo compreso fra la fine del X secolo e la prima metà del
XII secolo, era necessario contestualizzare la presenza della famiglia
comitale nel territorio; comprendere le finalità di carattere politicostrategico ed economico alla base del loro intervento in Val di Merse.
Ricercare e interpretare i castelli di Serena e Miranduolo (espressione
7
28
FRANCOVICH-VALENTI, 2001.
Figura 8. Aree campione della ricognizione archeologica
29
centi; ha piuttosto ribadito la necessità di adottare tecniche di analisi in laboratorio e successivamente riscontri pratici. Lo stesso complesso dei rinvenimenti effettuati nei boschi del Chianti senese, apporta conferme. Le presenze sono state individuate grazie all’apertura di cesse antincendio o di stradelli o dopo segnalazioni di abitanti
del luogo (35% dei casi), e verificando le indicazione prodotte dalla
fotointerpretazione (65%) 8.
In definitiva, il transetto isolato appariva sufficientemente corrispondente alle esigenze dell’indagine estensiva; comprendeva tre dei
quattro habitat presenti, il 75% dei rinvenimenti noti e il 56% delle
attestazioni riferite dalle fonti d’archivio: sembrava dunque comprendere le aree più idonee all’insediamento umano.
Per capire, però, in quale misura la zona individuata rappresentasse
gli spazi privilegiati di frequentazione e corrispondesse alle esigenze
insediative delle diverse fasi del popolamento, si è fatto ricorso al
confronto con le tendenze emerse nel corso delle ricognizioni su
Chianti senese, Val d’Elsa, Radicondoli, Sovicille e Murlo.
Stimando l’incidenza percentuale delle presenze in relazione alla rete
fluviale e alla geologia, volevamo ottenere indicazioni statistiche che,
proiettate sul territorio chiusdinese, isolassero areali di potenzialità
insediativa; verificare così se la configurazione naturale del territorio
fosse più o meno idonea alle forme di occupazione del suolo in senso
diacronico; e infine calcolare quanto il campione di indagine fosse
rappresentativo del potenziale archeologico stesso.
Dato che al momento dell’indagine non disponevamo ancora di
strumenti informatici, la prima valutazione in tal senso è stata ottenuta attraverso il calcolo manuale delle frequenze dei siti in concomitanza con le variazioni geo-morfologiche dei diversi territori; in
questa sede, sfruttando la tecnologia GIS abbiamo invece potuto
perfezionare i sistemi di trattamento del dato e conseguire risultati
più esaustivi.
L’analisi si è limitata ai transetti battuti e ha trattato 1.123 emergenze
di superficie (databili fra la preistoria e il Medioevo) distribuite su
un’area complessiva di 348 kmq.
Per valutare la distribuzione dei siti in rapporto alla risorsa idrica, abbiamo dunque disegnato fasce di buffer ogni 100 m attorno ai principali corsi d’acqua, confidando nel fatto che i loro tracciati non abbiano subito modificazioni significative nel corso dei secoli; abbiamo
invece escluso i fossi e i piccoli torrenti perché poco rappresentativi
e troppo soggetti a trasformazioni.
Il quadro emerso indica la maggiore concentrazione dei siti in un’area
compresa fra i 100 m e i 500 m di distanza, con una densità variabile
fra un massimo di 3,50 evidenze per kmq (rilevate fra i 400 e i 500 m)
e un minimo di 2,56 nell’area dei 300-400 m; i valori intermedi si attestano invece al di sotto dei 100 m (2,71 emergenze per kmq) mentre i più bassi si registrano superando i 500 m, con una media di 1,50
depositi per kmq.
La distribuzione dei rinvenimenti in rapporto ai suoli, è stata calcolata invece dividendo l’estensione di ogni formazione per il numero
di presenze collocate al suo interno.
La densità maggiore è stata riconosciuta in corrispondenza dei travertini e dei conglomerati (entrambi con 6,62 siti per kmq), sui
depositi detritici (7,55 siti per kmq), sugli ofioliti (6,04 presenze
per kmq); valori variabili fra 4-5 evidenze per kmq ricorrono per
i terreni argillosi, le sabbie e le rocce mentre scendono a 3,16 siti
per kmq in corrispondenza di quelli alluvionali. Se nell’analisi inseriamo anche i siti noti (comprendendo quindi anche castelli, vil-
Figura 9. Distribuzione dei siti in rapporto alla geologia all’interno del territorio della provincia di Siena
del loro potere nella zona), attraverso l’analisi delle evidenze in superficie, e indagarne gli spazi circostanti per rintracciare indizi di attività economiche, a essi connesse, rappresentava uno degli obiettivi
di base della ricerca. Questo aspetto riguardava in special modo il castello di Miranduolo, indicato dalle fonti come riferimento di attività produttive legate all’estrazione dell’argento.
Per quanto riguarda le fasi bassomedievali, l’attenzione doveva necessariamente spostarsi verso l’abbazia cistercense di San Galgano. In
primo luogo, nella definizione della topografia dello spazio a essa circostante per ricostruire la pianta storica dell’insediamento; poi, nella
comprensione della maglia insediativa di ‘contorno’ all’abbazia per
cogliere eventuali forme di condizionamento dei cistercensi sul precedente assetto territoriale.
2. IMPOSTAZIONE DELL’INDAGINE SUL CAMPO: LA SCELTA
DELLE AREE CAMPIONE
Per rispondere agli interrogativi proposti, sono stati previsti due
campioni di indagine.
Il primo era rivolto a chiarire gli aspetti legati alla prima fase di incastellamento e prevedeva l’indagine mirata all’interno di 11 kmq di
bosco, corrispondenti all’area interessata dai ruderi dei castelli di Serena e Miranduolo.
Il secondo, impostato per cogliere la diacronia del popolamento, è
stato forzatamente dimensionato sullo spazio occupato dalla maggior parte dei terreni liberi da vegetazione stabile; si è così ritagliato
un campione nella parte centrale del comune (delimitato a nord e a
ovest dai castelli di Frosini e Chiusdino e a sud dall’abbazia di San
Galgano), esteso per 48,3 kmq, che, nella previsione a tavolino, auspicavamo di poter battere almeno per il 60%.
I vincoli imposti dallo sfruttamento del suolo hanno messo di fatto
in subordine ogni altra discriminante; la ricognizione sistematica
della superficie boscata avrebbe infatti richiesto tempi di realizzazione troppo lunghi e con un dispendio di energie non proporzionale ai risultati. Come indicato da Francovich e Valenti la scelta di
indagare estensivamente (e non in modo mirato) i boschi non pagherebbe sufficientemente in termini di risultato; inoltre il grado di
visibilità molto basso e il dispendio enorme di tempo in una ricognizione inciderebbero troppo sull’economia di ricerca. L’esperienza
svolta nel settentrione del senese non ha fornito risultati soddisfa-
8
30
FRANCOVICH-VALENTI, 2001.
conferma sul campo. L’elemento di disturbo nell’applicazione del
metodo è la peculiare fisionomia del chiusdinese; la frequenza di
superfici rilevate e naturalmente appiattite, marcate da profonde
incisioni vallive (in corrispondenza dei molti corsi d’acqua), disegnano infatti un paesaggio caratterizzato da sommità tabulate
spesso fraintendibili.
Rispetto alle previsioni, l’indagine sul terreno ha richiesto tempi più
limitati: si è dovuto infatti sospendere per mancanza di arativi da battere. A causa delle normative CEE (a cui abbiamo fatto riferimento
nel primo capitolo di questo volume), lo sfruttamento del suolo a
scopo agricolo in quegli anni era stato fortemente inibito e di conseguenza gli spazi arati erano ridottissimi.
Inoltre, una percentuale importante dei campi lavorati si distribuiva
lungo il Piano di Feccia, nel quale la presenza di suoli alluvionali limitava in modo deciso la ricognizione; le consistenti infiltrazioni
d’acqua determinavano infatti la compattazione del terreno immediatamente dopo l’aratura, compromettendo la visibilità delle emergenze di superficie. L’unica strategia attuabile era quella di battere il
terreno contemporaneamente ai lavori agricoli, seguendo cioè il percorso del mezzo meccanico: per ovvi motivi, questo metodo non ha
superato il limite della pura coincidenza e non è stato utile a garantire una copertura sistematica di questi spazi.
La superficie battuta è di 8 kmq, pari al 16,6% dell’estensione totale
del campione e al 5,7% dell’estensione totale del territorio (Fig. 10).
Nonostante la scarsa visibilità, il dato relativo alla resa archeologica
è invece positivo. Il numero complessivo dei siti sale infatti a 214
unità; escludendo le attestazioni edite e inedite, registriamo un aumento di 63 siti pari a un incremento del 370%.
In più circostanze, nel corso dell’indagine, si è riproposto il problema
della visibilità delle emergenze di reperti mobili in superficie.
A parte il caso già citato relativo ai terreni alluvionali, un altro dato
interessante emerge dall’alta percentuale dei rinvenimenti sporadici,
quantificabile in misura di uno ogni quattro evidenze ben leggibili;
il rapporto risulta superiore a quello calcolato, ad esempio sui Comuni di Poggibonsi (1/7) e di Colle Val d’Elsa (1/5,5) ma anche per
Castelnuovo Berardenga o Castellina in Chianti.
La causa, anche in questo caso, è direttamente connessa a uno sfruttamento non intensivo del suolo e alla pratica agricola: un tipo di aratura
poco profonda che arriva appena a intaccare il deposito conservato nel
sottosuolo, provocando l’emersione non coerente del materiale.
Solo il 20% degli sporadici sembra, invece, indicare depositi depauperati e si concentra nella parte sudorientale del comune, sottoposta
da decenni a coltivazioni continuative di cereali; in questi stessi spazi,
anche le concentrazioni sono spesso difficilmente definibili nelle loro
reali dimensioni. Le evidenze più leggibili, sia nella loro pianta ipotetica che nella loro articolazione interna, ricorrono invece nelle aree
sottoposte solo in tempi recenti ad aratura, per lo più dislocate nella
parte occidentale del comune.
Tempi di indagine più lunghi avrebbero permesso di stilare una casistica più articolata del grado di visibilità dei siti in rapporto ai sistemi di lavorazione del terreno. Nel corso del nostro intervento,
la rotazione ciclica delle coltivazioni ha impedito di verificare durante la seconda campagna eventuali modificazione occorse alle
presenze già accertate.
L’unica conferma all’ipotesi di un aumento progressivo della visibilità delle emergenze dei reperti è stata offerta da una verifica fatta nell’estate 2001 sugli spazi antistanti l’abbazia di San Galgano. Si è infatti rilevato un incremento consistente nella raccolta del materiale
in superficie e una maggiore articolazione dell’evidenza (peraltro già
ben leggibile nel corso della campagna del 1994).
laggi e chiese), vediamo crescere di 2,50 punti percentuali il grado
di incidenza delle rocce; indizio di una tendenza delle forme insediative maggiori a occupare terreni più resistenti (rocce) mentre
quelle minori, più rintracciabili sotto forma di tracce in superficie, privilegiano i suoli meno duri, più facili da sfruttare.
Attraverso l’intersezione delle due griglie, abbiamo ottenuto un
gamma di valori esemplificativi delle tendenze tarate su entrambi i
fattori ambientali.
I dati sono stati dunque proiettati sul territorio chiusdinese e visualizzati all’interno del GIS sotto forma di cromatismi variabili a seconda del grado di potenziale presenza dei siti: le aree di massima probabilità in gradazioni di blu, di minima di giallo, intermedia di verde
(Fig. 11).
Ne emerge che le zone in assoluto più idonee all’insediamento
(colorazione blu scuro) si concentrano nella porzione occidentale
del comune in corrispondenza dei primi rilievi (intorno e a ovest
Montalcinello e a est dalle propaggini delle Colline Metallifere);
gli spazi ad alto potenziale si distribuiscono invece nella parte centro ovest (comprendendo Frosini, Papena e Ticchiano) e in quella
sud-est (a ovest di Pentolina e Spannocchia e a est del confine comunale di Monticiano), circondando i fondovalle alluvionali della
Val di Feccia, connotati da un basso grado di probabilità. Le aree
con la minore incidenza di rinvenimenti sono descritte dalle zone
montuose, poste a ovest, in prossimità del confine con il comune
di Montieri.
Risalta la corrispondenza con i diversi habitat; massima probabilità
per B e C, bassa per l’habitat A, minima per il D.
Sovrapponendo al grid ottenuto la carta dell’uso del suolo, riusciamo poi a valutare in quale proporzione queste aree identifichino
quelle con il maggior grado di visibilità. Vediamo che le superfici
boschive risparmiano in misura del 60% le zone di maggior probabilità insediativa; di queste superfici, il 37% sono comprese nel
campione di indagine (Fig. 12).
Si evince così che il transetto rappresenta effettivamente la potenzialità archeologica, espressa dall’analisi delle evidenze di superficie censite sui nove comuni.
Di conseguenza, il verificarsi di condizioni geo-morfologiche idonee al popolamento, assimilabili a quelle individuate nel resto del
territorio, permette di inserire, in via preliminare, il chiusdinese in
una tendenza insediativa altrove riconosciuta. Se dunque si fosse
realizzata la previsione a tavolino, di una battitura per il 60% del
transetto, avremmo avuto la possibilità di fare una stima realistica
del potenziale rispetto a quello emerso nel corso delle altre ricerche.
L’uso del condizionale, in questo caso, è d’obbligo: le aspettative riguardo alla visibilità del campione sono andate deluse e hanno lasciato aperti molti interrogativi ai quali tenteremo di rispondere,
proponendo ipotesi predittive riguardo alla presenza di archeologia
nel territorio.
3. L’INDAGINE SUL CAMPO
Il lavoro sul campo, svolto nel biennio 1993-1995, si è articolato
su due campagne di fieldwalking, con un team di quattro ricognitori, per una durata complessiva di sette settimane. Il censimento
delle emergenze presenti in elevato e il rilievo delle evidenze murarie relative ai castelli di Serena e Miranduolo ha occupato tre settimane, con l’impegno di due ricognitori. Contemporaneamente
si è proceduto alla verifica delle 16 anomalie individuate tramite
fotoaereointerpretazione: nessuna segnalazione ha però trovato
31
Dimensioni: molto variabili. Le evidenze riferibili a tutto il periodo etrusco sono ridotte a semplice rinvenimento sporadico di
alcune scorie di fusione. Le strutture riferibili al Medioevo hanno
invece una maggiore articolazione e complessità in superficie, con
dimensioni medie di 22-33 m.
4. CATEGORIE DI LETTURA DELLE EMERGENZE DI REPERTI
MOBILI IN SUPERFICIE
Da tempo Valenti ha evidenziato la necessità di convergere verso criteri interpretativi comuni delle emergenze di materiali mobili in superficie per arginare i limiti soggettivi delle letture e per potere procedere a confronti attendibili fra le diverse ricerche 9. Per indirizzare
tutti i ricognitori impegnati nel progetto Carta Archeologica della
Provincia di Siena verso una metodologia interpretativa comune, e
per dichiarare i criteri della nostra lettura dei contesti di superficie,
si sono costruiti repertori casistici, al cui interno individuare gruppi
di tendenze omogenee in relazione a due variabili: osservazione statistica di dimensioni e componenti della concentrazione. Contare i
reperti mobili e misurare l’estensione dei depositi emergenti dal terreno diviene quindi indispensabile per una corretta lettura dei rinvenimenti; il computer, nella fattispecie i GIS e i fogli di calcolo,
sono quindi vitali nella creazione di una casistica di categorie.
Il risultato ottenuto attraverso questa procedura ha mostrato una
scala dimensionale di strutture caratterizzate da diverso grado di
complessità; rappresentano categorie interpretative e quindi modelli
ipotetici la cui aleatorietà viene ridotta da una maggiore capacità di
ammaestrare i dati prodotti dal rilievo empirico e osservando le regolarità delle manifestazioni archeologiche di superficie.
Di seguito elenchiamo le categorie di lettura applicate ai contesti di
superficie. La casistica risulta sostanzialmente corrispondente a quella
stilata per il Chianti senese; sono però inferiori le dimensioni medie
delle concentrazioni, si riduce la gamma tipologica delle forme insediativa mentre si articola quella relativa alle strutture produttive.
– Fornace da vetro = emergenza di superficie composta da scorie di
produzione del vetro, in associazione ai laterizi refrattari (parti
strutturali del forno).
L’unico esempio individuato, riferisce ai secoli del basso Medioevo e ha dimensioni in superficie di 45 m.
– Fornace da laterizi = evidenza di superficie caratterizzata da terra
fortemente arrossata, scarti di lavorazione e laterizi refrattari.
Dimensioni: non calcolabili. Cronologia: basso Medioevo.
– Forno per la riduzione del minerale di ferro = concentrazione di superficie definita da una grande quantità di scorie di lavorazione
del minerale.
Le dimensioni sono estremamente variabili.
– Tomba a fossa = restituzione in superficie di ossa umane non associate a materiale edilizio. Dimensioni non tipologizzabili.
5. IL TRATTAMENTO DELLE FOTO AEREE
Gli spazi circostanti il complesso monumentale di San Galgano sono
stati oggetto di esplorazione a terra ma anche di analisi attraverso il
trattamento al calcolatore della foto aerea impiegando il software
Photoshop della Adobe; si tratta di una procedura di lavoro che ha
già fornito ottimi risultati nelle indagini preliminari sulla collina di
Poggio Imperiale a Poggibonsi sino dal 1991 10 e che alcuni anni fa
è stata definita impropriamente, e forse con eccesso di entusiasmo,
da Forte come eidologia informatica 11. In breve si tratta di operare
sui pixel di un’immagine raster per ottenere variazioni di colore che
evidenzino forme geometriche interpretabili come tracce di depositi
archeologici sepolti. L’occasione per impiegare questa tecnica di lettura su San Galgano è stata fornita di recente, grazie ai voli effettuati
durante la Aerial Archaeology Research School svoltasi a Siena nella
fine del maggio 2001 (promossa dall’Università di Siena con partner
europei nell’ambito del progetto Culture 2000 della Comunità europea), in occasione della quale, con i recenti cambiamenti normativi, si è resa possibile anche in Italia l’acquisizione di fotografie aeree oblique. Le foto, scattate ripetutamente in questo periodo, sono
poi state riprese nuovamente nel settembre 2001 grazie alla disponibilità di Stefano Campana ed Ermanno Betti collaboratori dell’area
di Archeologia Medievale dell’ateneo senese.
La tecnica di analisi delle immagini si basa essenzialmente su tre
punti:
a) digitalizzazione;
b) taratura del colore e del contrasto;
c) elaborazione del colore.
a) La digitalizzazione corrisponde all’acquisizione tramite scanner
dell’immagine. Sembra un passaggio banale ed elementare ma così
non è; una corretta procedura risulta fondamentale per potere realizzare elaborazioni affidabili, basate su colori adeguati, fedeli al fotogramma originale e su risoluzioni tali da permettere di visualizzare
– Abitazione realizzata interamente in materiale deperibile = restituzione di superficie caratterizzata da ceramica, scarsi (se non assenti) materiali edilizi e frequenti grumi di argilla concotta (intonaco di capanna).
Dimensioni: variabile tra 22 m e 33 m; Cronologia: limitata
al periodo etrusco.
– Abitazione con elevati in materiale deperibile e copertura laterizia
= emergenza di superficie composta da ceramica d’uso comune
e scarsi laterizi da copertura per lo più molto frammentati; più
rari i grumi di argilla concotta. Spesso comprende scorie di fusione, probabile indizio di strutture per la lavorazione di metallo
a uso domestico.
Dimensioni: in media 64 m. Cronologia: dal periodo etrusco al
Medioevo.
– Abitazione con elevati in pietra e copertura laterizia = evidenza definita da ceramica (anche da conserva) pietre e laterizi da copertura. Talvolta presenta una suddivisione interna fra spazio abitativo (contrassegnato da ceramica d’uso comune) e magazzino (indiziato da frammenti di ceramica da conserva, scorie, talvolta
frammenti di macine e grumi di argilla concotta).
Dimensioni: variabile fra 78 e 98 m. Cronologia: periodo
etrusco.
Dimensioni: 78 m. Cronologia: età tardoantica.
– Forgia = emergenza di superficie composta da scorie di fusione;
molto raramente, associati anche scarti di lavorazione o frammenti di barrette di metallo non lavorate.
10
9
VALENTI, 1989a; 1989b; 1995; 1999.
11
32
VALENTI, 1993.
GUIDAZZOLI-FORTE, 1992.
Figura 10. Campi indagati
33
Figura 11. Carta della probabilità archeologica
34
Figura 12. Sovrapposizione carta dell’uso del suolo alla carta della probabilità archeologica
35
il più piccolo particolare. Le risoluzioni molto alte generano chiaramente file di dimensioni estese e quindi difficoltose da gestire dalla
memoria di molti computer di media portata (cioè i più diffusi); tuttavia non si può evitare di lavorare su tali scale poiché risoluzioni
troppo basse potrebbero apparire, una volta caricate a video, frastagliate e confuse, e in tutti i casi non concedono un trattamento efficace bensì risultati scadenti se non inesistenti.
Inoltre non è consigliabile usare uno scanner di basso livello; per trattare i fotogrammi sono infatti indispensabili acquisizioni tramite sistemi ottici affidabili e di una correzione del colore che garantisca nitidezza e precisione delle immagini. Se tali funzioni, in un recente passato, potevano essere assolte prevalentemente da service esterni, oggi
l’evoluzione tecnologica e di mercato permette di accedere a tali attrezzature con uno sforzo economico non eccessivo. La scansione
quindi dovrà essere indirizzata a ottenere quanti più pixel per pollice
possibili: tanti più pixel potranno essere associati quante più informazioni e più dettagli saranno disponibili. Le foto di San Galgano, per
esempio, in originale stampate in un formato standard di 1510 cm,
sono state scansionate a 800 punti per pollice; il risultato è stato di file
con un peso di 100-110 MB ma con una resa a video tale da permettere di osservare anche a occhio nudo molte delle variazioni nella crescita e nel colore della vegetazione. Queste immagini sono state trattate facilmente con un laptop di alta fascia (Apple G4 Titanium).
Finite queste operazioni si può tornare a effettuare alcuni dei passaggi
descritti, secondo la propria sensibilità. Risulta spesso utile virare in
negativo l’immagine e controllare il risultato; di fronte a crop mark
ben visibili la loro trasposizione in negativo non può che aumentare
la certezza sulla bontà del lavoro in corso. Agire anche sull’immagine
in negativo con gli strumenti usati per il positivo è inoltre una strada
da tentare per perfezionare la mappatura delle tracce individuate.
c) L’elaborazione del colore è l’ultimo passaggio necessario per ripulire definitivamente le eventuali tracce di strutture o di depositi.
Dopo avere provato le trasformazioni ottenibili da strumenti di
grande utilità come la correzione selettiva del colore o il bilanciamento del colore (permettono di miscelare i colori stessi per dare
maggiore equilibrio all’immagine), si agisce essenzialmente tramite
operazioni sui canali. Questi ultimi sono simili alle lastre di una macchina per la stampa e permettono di visualizzare o modificare un’immagine attraverso la modifica di ogni singolo canale del colore. Su
un’immagine in modalità RGB (quella più comunemente trattata)
risulta utile e produttivo agire soprattutto sui canali del rosso e del
verde; quello del blu raramente porta risultati apprezzabili. Il singolo
canale richiede, prima di essere di nuovo sommato agli altri, un trattamento attraverso gli strumenti che agiscono sulla tonalità, sul contrasto e sui mezzi toni. Dopo avere completato le operazioni risulta
infine molto utile procedere al mixaggio dei canali portandoli a valori in positivo o in negativo sulla base dei risultati che si materializzano a video. Nell’ultima versione di Photoshop (v. 6) è stato inoltre introdotto un nuovo strumento (la mappatura dei gradienti) il
cui impiego sembra già fornire risultati di buon livello; in pratica virando l’immagine su un colore preselezionato, permette poi uno
‘strizzaggio’ delle sue tonalità di bianco e di nero. La sua sperimentazione richiede però altro tempo e un numero maggiore di esemplari trattati per poterne descrivere l’utilità reale.
Alessandra Nardini
b) Con il termine contrasto si indica la differenza tra aree chiare e aree
scure dell’immagine, con brillantezza invece si intende il grado di luce
che viene riflesso da un’immagine o che da essa viene trasmesso. Attraverso Photoshop sono due i metodi per effettuare una giusta taratura basata sul fotogramma originale e per mettere in uno stato ottimale di rilievo le differenze di luce-colore: lanciare il comando automatico di contrasto (auto contrast ) e poi sfumare il risultato ottenuto
di pochi punti percentuale (in quanto spesso il contrasto viene ‘sparato’ all’eccesso); usare il comando manuale di ‘aggiustamento’ e basarsi sulla visualizzazione della stampa cartacea. Ambedue le operazioni forniscono già alcuni indizi su eventuali crop mark e talvolta,
portare contrasto e bassa luminosità a valori limite risulta molto utile.
Le tonalità più scure così evidenziate mettono già in un primo stadio
di risalto crescite anomale di vegetazione soprattutto in coincidenza
di strutture murarie. Il procedimento contrario (cioè agire con decisione sulla luminosità contemporaneamente a un contrasto molto
forte) può invece portare in primo piano crescite anomale di vegetazione in presenza di resti in negativo (fossati, grandi buche, strade).
Effettuate le operazioni di contrasto, si rende necessario passare a esaminare la gamma di ombre, mezzi toni, luci e aggiustarli attraverso
i canali. Cambiando i valori relativi si rimappano i pixel dell’immagine e per ottenere elementi di evidenziazione di resti murari è preferibile scurire le zone già illuminate. A seguire si rende necessario
agire sulle curve andando a correggere ulteriormente tonalità e colore; a questo riguardo la finestra “Curves” di Photoshop (una delle
sue utility più potenti) permette l’aggiustamento di qualunque punto
della curva dei toni. Ulteriori correzioni possono essere apportate
trattando l’immagine attraverso il menù “Variazioni”, uno strumento che può essere usato solo da operatori già molto esperti nel
trattamento delle immagini poiché, offrendo un modo rapido e semplice di regolare visivamente luci, mezzi toni e ombre, non concede
grande precisione e si basa molto sull’intuito. Nella nostra personale
esperienza, questo comando, una volta individuata la tonalità di visualizzazione delle tracce di probabili depositi archeologici, si è rivelato molto utile per il rafforzamento di visualizzazione e quindi nell’attenuare i rumori circostanti o di fondo.
6. ANALISI DEL DEPOSITO ARCHEOLOGICO IN ELEVATO
Premessa – Lo studio dell’edilizia storica presente nel territorio comunale di Chiusdino ha lo scopo di censire da un lato le principali
tipologie edilizie 12, civili e religiose, presenti nel territorio indagato,
dall’altro di individuare le tecniche costruttive e le apparecchiature
murarie databili al periodo medievale.
L’indagine si è inizialmente concentrata sull’analisi storico-architettonica delle emergenze in elevato presenti nei siti attestati dalle fonti documentarie nel periodo compreso tra X e XIV secolo. In un secondo
momento l’incrocio tra fonti storiche ed evidenze archeologiche ha
permesso uno studio delle diverse tipologie edilizie individuate, al fine
di determinarne lo sviluppo e le possibili influenze reciproche.
La campionatura delle tecniche costruttive in uso nell’ambito territoriale indagato, ha consentito inoltre di mettere a fuoco, in un costante confronto tra analisi dei resti in elevato emergenti nel castello
di Miranduolo e analisi degli elevati individuati come più rappresentativi nell’area di indagine, una serie di problematiche che potranno essere almeno in parte chiarite dal proseguire dell’indagine
archeologica. L’insieme di questi dati ha permesso di elaborare una
tipologia delle murature attestate nel territorio di Chiusdino, in un
arco cronologico compreso tra la fine dell’XI-inizi del XII secolo e la
Sono stati indagati, in totale, 37 complessi architettonici, tra i quali otto edifici religiosi.
12
36
ste voci consente il suo inquadramento in una classificazione tipologica più vasta della tecnica costruttiva analizzata, la sua collocazione
all’interno di un ambiente geologico, spesso non omogeneo come
nel caso del territorio di Chiusdino, e il suo inserimento in un più
vasto ambito socio-culturale.
La registrazione del dato materiale si è avvalsa, oltre alle tradizionali
tecniche di rilevamento, di un’accurata documentazione fotografica 20
che, grazie anche all’utilizzo di un software per i raddrizzamenti fotografici (Nikon Planaris), ha permesso uno scambio continuo di
informazioni nelle diverse fasi dell’indagine.
Marie Ange Causarano
metà del XVIII secolo circa 13.
L’indagine, messa in atto con una pratica che oscilla tra ricerche di
tipo estensivo e analisi di tipo intensivo 14, ha consentito una strategia dell’intervento sul costruito con livelli di approfondimento diversificati 15.
La strategia della ricerca – L’applicazione del metodo stratigrafico
all’indagine degli elevati, sostanzialmente un metodo non distruttivo, ha permesso uno studio approfondito dei contesti analizzati.
La metodologia adottata consente, infatti, da un lato di giungere a
un livello di analiticità tale da scomporre lo spazio edificato fino all’individuazione delle singole USM, dall’altro permette di passare,
in uno scambio costante di informazioni all’interno del singolo edificio analizzato, a un tipo di osservazione più generale, mirata all’individuazione delle singole parti della struttura (complessi architettonici, corpi di fabbrica, unità funzionali, ambienti) 16 e all’individuazione della loro successione stratigrafica. In entrambi i casi il
metodo adottato non inficia l’individuazione di campioni costruttivamente omogenei di muratura, riferibili a un contesto sequenziale più ampio 17.
In presenza di complessi architettonici pluristratificati, la lettura degli elevati ha permesso, inoltre, di individuare sequenze di cronologia
relativa tali da permettere di correlare ad attività edilizie datate, porzioni omogenee di muratura che altrimenti potevano essere datate
solo in base ai rapporti fisici intercorrenti con il paramento murario
circostante 18.
Per questa ragione la classificazione degli apparati murari si basa, in
linea di massima, sui parametri, presentati per la prima volta a Bressanone 19 nel 1987, rappresentativi della muratura stessa, che, proprio perché applicabili in contesti e ambiti territoriali diversificati,
hanno consentito la messa a punto di uno strumento d’indagine oggettivo. Ad esclusione di quello relativo alla composizione mineralogica delle malte, che contiamo di affrontare in un momento successivo, abbiamo, infatti, tenuto conto dei seguenti parametri:
7. IL RADDRIZZAMENTO FOTOGRAFICO
Premessa – Nella fase di acquisizione dei dati per la lettura delle murature si è scelto di effettuare l’indagine conoscitiva utilizzando anche tecniche di fotogrammetria digitale non convenzionale, il che ci
ha permesso di valutare sia l’aspetto quantitativo che qualitativo degli oggetti: il documento fotografico che descrive perfettamente il
dato tematico, è diventato in questo modo uno strumento ancor più
efficace con le immagini perfettamente ortogonalizzate, referenziate
e archiviabili in forma digitale.
L’evoluzione delle tecniche di rilevamento, dal punto di vista tecnico,
è influenzata dai rapidi sviluppi dell’informatica. In particolare la fotogrammetria sta vivendo una fase di transizione che vede il progressivo abbandono della strumentazione analitica per passare alla cosiddetta soft-photogrammetry. Tra i metodi di rilievo e restituzione con
carattere speditivo, quello che consente una restituzione metrico-dimensionale di facciate uniplanari (o con aggetti trascurabili) attraverso
un unico fotogramma sta assumendo sempre maggiore rilevanza.
Con tali metodi si è sviluppata una nuova concezione del rilievo, non
più inteso come semplice rappresentazione grafica del manufatto, ma
documentazione completa di dati descrittivi e di conoscenza dell’oggetto rilevato.
Fino a non molto tempo fa l’“ortofotopiano” di un manufatto veniva prodotto con strumenti e mezzi, non solo molto costosi ma anche difficili da utilizzare; oggi invece si trovano sul mercato molti
software di rapido apprendimento e di costo relativamente contenuto con cui è possibile ottenere lo stesso risultato.
La documentazione raccolta in questo modo consente di svolgere
indagini e ricerche in ‘laboratorio’ evitando i disagi del sito, ma soprattutto offre la possibilità di procedere a un esame conoscitivo dal
particolare al generale, favorendo processi di sintesi e di globalità.
L’immagine geometricamente corretta diviene contenitore di informazioni generali, estraibili in ogni momento, e la descrizione vettoriale eseguita con apposito software di editing, che può essere
usata assieme all’immagine raster, consente di sovrapporre la documentazione specifica di settore.
Il raddrizzamento delle immagini fotografiche altro non è che un
metodo per la correzione della deformazione prospettica prodotta
dall’inclinazione dell’asse della camera da presa. È applicabile nel
1. materiali da costruzione (litotipi) e cave di provenienza;
2. caratteristiche dell’apparecchiatura muraria (posa in opera, spessore dei giunti e dei letti di posa) con un’attenzione particolare
allo spessore dei conci al fine di individuare le dimensioni medie, e statisticamente trattabili, di ogni parte omogenea di muratura e di elaborare, se possibile, una mensiocronologia dei materiali da costruzione;
3. finitura superficiale dei conci e registrazione delle tracce degli attrezzi utilizzati per tale operazione al fine di stabilire una cronologia relativa e assoluta dell’impiego degli strumenti individuati.
La descrizione di un paramento murario attraverso l’analisi di queSi veda il capitolo VIII, paragrafo 2 all’interno di questo volume.
Indagini di questo genere, ormai consolidate nella prassi operativa, hanno consentito negli ultimi anni di mettere a punto una strategia di intervento ben documentata
ad esempio, per quanto riguarda Siena, in BIANCHI, 1988-89, BOLDRINI-PARENTI,
1991, PARENTI, 1992a; 1992b; per la Val d’Elsa, MENNUCCI, 1993-1994; 1996b.
15 BROGIOLO, 1988a, pp. 33-34.
16 BROGIOLO, 1988a, p. 46.
17 MENNUCCI, 1996b, pp. 337-339.
18 È questo il caso, ad esempio, delle grange cistercensi di Valloria e Villanuova dove
lo studio delle trasformazioni del nucleo abitativo originale, oltre a mettere in evidenza, con la stratificazione dei corpi di fabbrica, lo sviluppo del sistema poderale, ha
consentito l’individuazione di tipologie murarie prima difficilmente databili.
19 PARENTI, 1987; 1988.
13
14
In particolare per ogni complesso architettonico indagato si è proceduto all’acquisizione al calcolatore, al trattamento e all’inserimento in un archivio multimediale
(Canto Cumulus Desktop PLUS 3.0) della documentazione fotografica. In questo
modo è stato possibile, oltre al controllo continuo dei dati, la suddivisione del materiale fotografico per ‘categorie’ di ricerca; questo sistema, oltre a una rapida consultazione della documentazione, offre nuovi spunti di indagine ed elementi di analisi. Per
un trattamento esaustivo delle potenzialità di un simile sistema di archiviazione, si
veda VALENTI, 1998a.
20
37
tografie stampate su carta Kodak in formato 1319 sono state acquisite con Photoshop 6, tramite scanner Duoscan T1200 della Agfa
in formato A4. I file sono stati salvati con estensione .bmp sull’hard
disk di un PC.
Per rendere qualitativamente migliori le immagini digitalizzate si è
operato, tramite Photoshop 6, sulle variazioni della luminosità o del
contrasto, l’aumento o la diminuzione dei contrasti locali, il ritaglio
delle zone dell’immagine non interessate al raddrizzamento.
Non essendo sempre stato possibile effettuare scatti in condizioni
di luce ottimali, alcune fotografie a causa di un’errata esposizione
(contrasto troppo netto tra zone in ombra e zone illuminate) sono
state elaborate con trattamenti di image enhancement per migliorarne la qualità. Tali operazioni non sono da sottovalutare poiché
influiscono sulla qualità dell’immagine digitale, la cui leggibilità è
in funzione della sua risoluzione, la quale, a sua volta, ha effetto sia
sulla precisione del raddrizzamento.
Solo a questo punto si interviene con il software di raddrizzamento.
Il programma utilizzato per questa ricerca è Planaris, prodotto dalla
Nikon e in commercio da giugno 2001. Il suo funzionamento è
estremamente semplice, ma, forse perché nuovo e poco testato, ha
creato inizialmente alcuni problemi.
Il programma consente il raddrizzamento di un singolo fotogramma
sia per via analitica che per via geometrica.
Come già detto, per la nostra ricerca si è operato il raddrizzamento
di tipo geometrico. Con tale scelta, una volta aperta l’immagine
da raddrizzare, è sufficiente individuare su di essa un certo numero
(minimo due, massimo dieci) di rette che nella realtà sono orizzontali. La stessa operazione va ripetuta per le rette verticali. L’immagine aperta può essere anche molto più grande del monitor su
cui stiamo lavorando, ma l’individuazione delle rette è facilitata
dalla presenza di un ‘navigatore’, che consente di spostarsi rapidamente da un punto all’altro del fotogramma; inoltre un comando di zoom attivabile direttamente dal tasto destro del mouse
ci dà la possibilità di operare con estrema precisione.
Una volta individuate le rette un tasto permetterà di calcolare i punti
di fuga delle rette verticali e quello delle rette orizzontali.
Planaris, a questo punto, aprirà una tabella in cui sono indicati gli
otto parametri della trasformazione e gli scarti (errori) ottenuti. Si
seleziona la porzione di fotogramma che intendiamo raddrizzare e,
quindi, si indica una misura verticale e una orizzontale per poter georeferenziare l’immagine e metterla in scala.
Il software consente di vedere un’anteprima del raddrizzamento, se
tutto va bene, dopo pochi istanti, l’immagine raddrizzata può essere salvata.
Concludendo si può affermare che con tale metodologia si sono ottenuti risultati in generale validi sia sotto il profilo metrico (soprattutto in quei casi in cui l’ambiente presentava notevoli difficoltà operative) che dal punto di vista dei tempi di rilievo che, in questo
modo, si sono notevolmente ridotti.
Di contro vi sono alcune limitazioni, in quanto non è pensabile applicare il raddrizzamento per via geometrica quando è richiesta una
precisione al centimetro. In questo caso è senza dubbio preferibile
operare con il raddrizzamento di tipo analitico che prevede l’utilizzo
di strumenti di rilievo indiretto (teodolite o stazione totale).
Barbara Lenzi
caso di superfici piane, o assimilabili a un piano, e può essere effettuato con procedure geometriche oppure analitiche. Nel primo caso
il raddrizzamento avviene utilizzando poche misure prese direttamente su alcuni elementi facilmente raggiungibili. Nel secondo è
necessario conoscere almeno quattro punti di coordinate doppie, riferite all’immagine e all’oggetto: il software risolverà le equazioni
per la determinazione delle otto incognite, raddrizzando quindi
l’immagine.
La scelta metodologica – L’utilizzo di tale metodologia di rilievo in
questa campagna di documentazione è servito soprattutto per ottenere in tempi brevi prospetti raddrizzati in scala, allo scopo di agevolare l’analisi storico architettonica delle strutture indagate e facilitare la campionatura e la classificazione delle tipologie murarie individuate nel territorio.
Per tale tipo di studi non si è ritenuto indispensabile una precisione
millimetrica, quindi si è scelto di utilizzare la via più breve, ovvero
di operare per via geometrica. Si sono acquisite in situ, oltre alle
immagini da raddrizzare, solo le misure strettamente indispensabili. Per il rilievo sono stati utilizzati, in questo caso, tradizionali
strumenti di rilievo, quali filo a piombo, una livella, un’asta metrica telescopica di 5 m, una fettuccia di 20 m. In alcuni casi, laddove non era possibile prendere misure su elementi facilmente raggiungibili o individuabili, si è applicato sulla superficie da raddrizzare un sistema di riferimento di dimensioni note (per esempio un
quadrato di 11 m).
Le fasi di lavoro – I momenti salienti di questo tipo di rilievo possono essere sintetizzate nei seguenti punti:
1. rilievo fotografico;
2. rilievo metrico (che può essere effettuato sia manualmente;
che con teodolite o stazione totale);
3. scansione dei fotogrammi (quando non si utilizza una macchina;
digitale);
4. regolarizzazione dell’immagine;
5. raddrizzamento fotografico con opportuno software;
6. eventuale mosaicatura dei fotogrammi raddrizzati;
7. eventuale vettorializzazione tramite appositi software di CAD.
Per il rilievo fotografico si è fatto ricorso a una macchina fotografica
semi professionale (Minolta x-300s) con obiettivo MD 28-70 mm,
con pellicole a colori 100 ASA della Kodak e dell’Agfa. Non si è ritenuto indispensabile l’utilizzo di cavalletti.
In questa fase del lavoro l’obiettivo principale è quello di ottenere
dati il più possibile esatti riguardo alla qualità delle immagini, sia dal
punto di vista della nitidezza che dell’inquadratura. I requisiti di
presa ideali sono di difficile realizzazione in quanto influenzati dalle
condizioni atmosferiche e di luce nonché da elementi di disturbo
(vegetazione, automobili eccetera).
Per il rilievo dei dati metrici indispensabili per il raddrizzamento si
è fatto ricorso, come già detto, a tradizionali strumenti di rilievo. In
genere, si sono prese, laddove era possibile, le dimensioni di larghezza e altezza delle porte, delle finestre o di elementi architettonici
misurabili e alcune misure totali di controllo.
La terza fase è stata quella di scansione delle immagini. Si è preferito
infatti fare ricorso alla scansione poiché è importante che le immagini abbiano una definizione piuttosto alta, minimo 400 DPI. Le fo-
38
Frosini, chiesa di San Michele Arcangelo: a sinistra l’immagine originale, a destra il raddrizzamento fotografico
Chiusdino, pieve di San Michele Arcangelo: a sinistra l’immagine originale, a destra il raddrizzamento fotografico
Figura 13. Esempi di raddrizzamento fotografico
39
mento, i database alfanumerici e multimediali completi, l’uscita in internet sia dei risultati iniziali sia delle giornate di scavo. Il nostro obiettivo era quello di rientrare in Dipartimento con la sola ceramica da
schedare ed è stato raggiunto.
8. IL PROGETTO DI SCAVO DI MIRANDUOLO E LA GESTIONE
INFORMATICA
Nel corso del 2001, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Chiusdino, è stato intrapreso un progetto articolato su indagini di scavo che prevedono di intervenire su tre poli principali: i
due castelli di Serena e Miranduolo, le strutture produttive individuate dalla prospezione intorno allo stesso Miranduolo e l’area circostante San Galgano. Nel complesso intendiamo comprendere l’azione dei Gherardeschi sulla maglia insediativa e produttiva nel
primo Medioevo e nei secoli centrali, inoltre le forme di sfruttamento del terreno legate alla presenza di San Galgano a partire dagli
inizi del XIII secolo. Approfondiremo quindi la ricostruzione diacronica di un’area geografica nella quale l’insediamento pare caratterizzato oltre che dalle attività rurali anche dallo sfruttamento delle
risorse minerarie sia locali che esterne, cogliendone così le trasformazioni e l’evoluzione anche in relazione allo sviluppo delle tecniche di produzione fra XII e XIV secolo. In tale prospettiva sarà molto
interessante scavare l’impianto di riduzione del ferro, rinvenuto in
località Castelluccio collegato alla vita economica del castello di Miranduolo e il grande opificio idraulico da ferro pertinente al monastero di San Galgano. Si tratta di due strutture poste a breve distanza,
attive in periodi cronologicamente contigui, sottoposti a poteri di
origine diversa, organizzati secondo tipologie produttive diverse.
L’iniziativa (come per tutti gli interventi di scavo dell’area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena) dovrà essere finalizzata
al recupero dei siti e alla loro destinazione ad area archeologica attrezzata, inserita all’interno di un piano di fruibilità pubblica nonché nel circuito museale senese.
Per le aree intorno a Miranduolo e San Galgano, nel corso di questo
anno, abbiamo approfondito sia la ricerca (battiture a terra e trattamento della fotoaerea obliqua) sia il rilievo.
Serena, per motivi logistici, è stato rinviato ai prossimi anni, ben
coscienti comunque dell’importanza di uno scavo su tale sito. Infatti, nonostante un ipotetico basso stato di conservazione dei depositi, scavare il castello di Serena avrebbe assunto un particolare
valore per ricostruire e comprendere l’evidenza materiale di un’abbazia dei primi anni dell’XI secolo, di fronte a un contesto privo
di rifacimenti posteriori e quindi tendenzialmente riconoscibile
nella sua pianta originaria.
Miranduolo offre l’occasione di indagare un castello, già in vita agli
inizi dell’XI secolo (ascrivibile dunque fra i castelli toscani di prima
fase); comprenderne le origini e le trasformazioni sino alla metà del
XIII secolo, quando subisce un decastellamento; studiarne poi le
forme di rioccupazione nel corso del XIV secolo (quando ormai era
divenuto podere), cogliendo la corrispondenza materiale delle trasformazioni subite anche a livello giuridico.
Lo scavo, iniziato nell’agosto 2001 sotto la direzione scientifica di Riccardo Francovich e Marco Valenti e con la direzione sul cantiere di
chi scrive, è stato condotto per buona parte dai componenti del
LIAAM (Laboratorio di Informatica applicata all’Archeologia Medievale) 21, attivo all’interno del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena. In questo intervento, il LIAAM
ha applicato l’esperienza di gestione informatica sperimentata per lunghi anni nello scavo di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI). Nel corso
delle sei settimane di scavo, il lavoro sul campo si è svolto parallelamente a quello in laboratorio raggiungendo una completa informatizzazione dei dati in tempo reale; in altre parole, abbiamo terminato
la campagna di scavo producendo la piattaforma GIS del monu21
La piattaforma GIS – La gestione della documentazione di scavo su
piattaforma GIS costituisce ormai da cinque anni uno dei punti nodali dell’attività svolta dal LIAAM 22.
Utilizzare un software GIS offre infatti la possibilità di tradurre
l’informazione archeologica (dall’unità stratigrafica al singolo reperto
in strato) in elemento base per ogni genere di elaborazione, dalla
semplice visualizzazione tematica ai più sofisticati sistemi di trattamento del dato (analisi distributive dei reperti, spaziali e predittive).
La definizione di uno scavo archeologico come strumento esaustivo
di indagine impone la necessità di ripristinare l’integrità iniziale del
contesto, riducendo al minimo (dove non è possibile annullarla) la
soggettività del ricercatore. Per questo, l’immissione dei dati deve avvenire in forma globale e corretta, sia dal punto di vista geografico che
archeologico, al fine di ottenere una macro pianta composita (continuamente aggiornabile), articolata in un insieme di strati, definiti nel
loro rapporto spaziale e distinti univocamente dal numero di US.
Nella loro forma grezza (cioè al momento dell’immissione) devono
infatti essere svincolati da qualsiasi processo interpretativo; tutte le
informazioni concernenti indicazioni soggettive e interpretative sono
dedotte dal contenuto degli archivi alfanumerici (supporto indispensabile e imprescindibile per la base GIS), con i quali la piattaforma deve essere continuamente relazionata.
In questo senso, il GIS di scavo può essere definito come un contenitore del dato archeologico stratigrafico integralmente e realisticamente riprodotto, dove ogni singolo oggetto individuato costituisce
elemento di ricerca e strumento di elaborazione a vari livelli 23.
Il complesso procedimento di riproduzione grafica del contesto
stratigrafico orienta la scelta del software verso un prodotto non
condizionato da un’architettura logica troppo rigida; a tal fine, si
è optato per Mac Map (prodotto in Francia e distribuito in Italia
da Step Informatica-Torino), un programma che, consentendo di
costruire ex novo la struttura dei dati attraverso la creazione di un
modello, permette di organizzare le informazioni secondo criteri
conformi alle caratteristiche del dato immesso 24. Proprio tale pe22 Come riferimento generale a quanto verrà esposto in questo paragrafo rimandiamo
ai contributi inerenti l’esperienza nel campo delle applicazione GIS a contesti di scavo,
prodotti all’interno del Laboratorio. Per gli aspetti generali si veda VALENTI, 2000. Per
la parte metodologica relativa alla progettazione e all’implementazione della piattaforma si veda NARDINI, 2000; 2001 (scaricabile in rete all’indirizzo: <http://www.archeologiamedievale.unisi.it/NewPage/WORKSHOP.html>. Per alcuni esempi di utilizzo della piattaforma GIS su contesti di ricerca specifici si veda poi FRANCOVICHNARDINI-VALENTI, 2000; BIANCHI-NARDINI, 2000; NARDINI-SALVADORI, 2000.
23 Proprio tale impostazione rappresenta l’elemento sostanziale di novità dell’esperienza maturata all’interno del LIAAM rispetto ad altre realizzate in ambito nazionale.
Anche in occasione del recente workshop Soluzioni GIS nell’informatizzazione dello
scavo archeologico, svoltosi a Siena il 9 giugno 2001, è parso evidente come la concezione di un prodotto GIS globale e ‘oggettivo’ nella sua progettazione sia ancora lontana dalla maggior parte degli elaborati proposti. Per una panoramica, riferiamo ai
preatti di questo incontro, scaricabili dalla rete all’indirizzo: <http://www.archeologiamedievale.unisi.it/NewPage/WORKSHOP.html>.
24 Per ‘modello dati’ si intende la modalità di organizzazione e strutturazione dei dati
raccolti; strutturare un modello aperto e funzionale (tale da accogliere al suo interno
tutti gli oggetti che esistono nel mondo fisico) significa di fatto compiere un processo
di astrazione che permetta di ricondurre i diversi elementi presenti a un’architettura
logica, definita tenendo conto delle caratteristiche intrinseche del dato (coerenza tipologica e identità geometrica) e non del significato a esso attribuito a seguito di interpretazioni soggettive.
<http://www.archeologiamedievale.unisi.it/NewPage/LABORATORIO.html>.
40
I rilievi dello scavo di Miranduolo sono stati acquisiti tramite scanner
A/0 e poi digitalizzati a video in scala 1:1; questa tecnica di catastazione, se applicata correttamente, permette di ottenere il grado di accuratezza e di dettaglio necessario per rilievi che non riproducono mai
forme geometriche ma che devono invece restituire una descrizione
‘impressionistica’ della realtà. Non ha senso infatti realizzare rilievi visivamente perfetti a una scala ridotta, che però una volta portati a
scale più ampie perdono qualsiasi corrispondenza con l’originale.
Attualmente la piattaforma GIS dello scavo conta 13.510 oggetti,
corrispondenti a 152 unità stratigrafiche, 59 curve di livello (importate in formato DXF dall’elaborazione a stazione totale) e 14 emergenze murarie in superficie.
Ogni grafo inserito è stato corredato di specifici identificatori, importati dall’archivio alfanumerico.
Il processamento del dato archeologico può avvenire a vari livelli e
riguarda sia la produzione di carte tematiche che la formulazione di
modelli interpretativi e predittivi tramite l’applicazione di tecniche
statistiche e matematiche. Per il momento, l’unico tipo di elaborazione del dato prodotta per lo scavo di Miranduolo, concerne la creazione di tematismi per periodo, fase e struttura.
Questo tipo di organizzazione del dato corrisponde senza dubbio al
livello più elementare di fruizione della base GIS e consiste nella
combinazione dei vari elementi presenti nella piattaforma, che rispondono ai diversi criteri di ricerca; gli oggetti vengono richiamati
a video o definiti attraverso cromatismi secondo query impostate sui
valori contenuti negli appositi campi, tramite semplici combinazioni
di identificatori (ID).
Le carte elaborate circa l’ipotetica topografia del castello di Miranduolo sono state ottenute sovrapponendo i diversi livelli contenuti
all’interno della base e raccordando le diverse emergenze murarie in
modo coerente con l’andamento morfologico della collina; non si
sono ancora effettuati processamenti dei dati geografici e archeologici attraverso sistemi matematico-statistici. Questo genere di trattamento del dato rappresenta il grado di gestione più complesso e
riguarda la realizzazione di analisi di tipo predittivo e la creazione
di modelli distributivi dei reperti di scavo: in questa direzione verrà
sviluppata l’implementazione della piattaforma GIS dello scavo di
Miranduolo. Tali elaborazioni infatti richiedono tempi lunghi e
operazioni tutt’altro che immediate; per far sì che la macchina possa
processare automaticamente il dato, bisogna infatti fornirle strumenti tradotti in un linguaggio a essa comprensibile: dobbiamo cioè
codificare (spesso in forma numerica) i dati a nostra disposizione
per rendere possibile una loro elaborazione matematica o spaziale.
È in corso di completamento inoltre una piattaforma GIS a scala territoriale più ampia destinata a contenere tutta la documentazione relativa ai tre poli inseriti nel progetto di scavo; i castelli di Miranduolo
e di Serena, le aree produttive a essi connesse e l’area di San Galgano.
I tre supporti GIS, già completati singolarmente, devono essere trasportate in una base unica; dobbiamo però attendere l’uscita, prevista in tempi brevi, delle sezioni CTR in scala 1:10.000 in vettoriale
(distribuite dal SIT della Provincia di Siena) per poter definire il contesto geomorfologico dell’area.
La piattaforma GIS del castello di Serena riproduce in vettoriale il
rilievo planoaltimetrico effettuato nel corso del 1994; prevediamo di
effettuare la mappatura del contesto con il grado di precisione ottenuto sul sito di Miranduolo nell’ambito dei prossimi mesi.
La base GIS concernente gli spazi intorno l’abbazia di San Galgano
contiene invece la planimetria del complesso, le ricostruzioni ipotetiche elaborate da Canestrelli, le perimetrazioni delle emergenze di
culiarità consente di comporre un’unica base di dati in cui vengono a convergere tutti i grafi vettorializzati, classificati, al momento dell’immissione, secondo gli schemi logici impostati dall’utente.
Il modello dei dati di scavo è stato organizzato in modo da accogliere
in maniera stratificata l’intero patrimonio di informazioni concernenti il sito indagato; il modello viene organizzato per tipi e sottotipi, definiti sia geometricamente (superfici, linee, testo e punti) che
graficamente. Inizialmente, strutturato sulla base delle caratteristiche
del sito di Poggio Imperiale a Poggibonsi (dal quale ha avuto inizio
l’elaborazione della piattaforma GIS) ha subito continue revisioni
mirate a ottenere una sempre maggiore estendibilità e adattabilità a
contesti stratigrafici di natura diversa e con peculiarità di ricerca distinte; la semplificazione del modello a cui siamo approdati in questa ultima fase del lavoro, corrisponde all’esigenza di creare uno standard, valido sia per gli scavi urbani che per quelli rurali.
L’ultima, e ormai definitiva, redazione prevede la distinzione dell’intera gamma di informazioni secondo quattro macroclassificazioni relative ad aspetti paesaggistici, dati provenienti dall’indagine
intensiva di scavo, dati relativi alle indagini non distruttive e infine
ai risultati delle analisi intra-site. Un’impostazione di questo tipo è
stata studiata per poter gestire e organizzare gli innumerevoli oggetti che vengono catastati all’interno della piattaforma nel maggior numero di combinazioni possibili e con il maggior risparmio
di tempo per la loro elaborazione.
Le tre categorie destinate ad accogliere le informazioni non provenienti dall’indagine di scavo (“Paesaggio”; “Indagine non distruttiva”; “Analisi”) sono state impostate secondo una duplice forma, lineare e superficiale, per permettere una corretta riproduzione grafica
delle caratteristiche geometriche dei diversi elementi. Ad esempio,
all’interno del tipo “Paesaggio” dobbiamo inserire sia la viabilità che
le aree edificate; l’una però ha una sua rappresentazione lineare mentre l’altra necessita di una riproduzione superficiale.
Nel caso dell’organizzazione dei dati stratigrafici, coniugando distinzione tipologica e geometrica, è stato adottato un criterio perfettamente aderente ai principi dello scavo archeologico; le unità
stratigrafiche positive e quelle negative infatti verranno distinte
non solo sulla base delle loro differenze concettuali ma anche perché le une, descrivendo superfici, sono rappresentabili come poligoni mentre le altre, essendo superfici in sé, prive di consistenza
materiale, corrispondono geometricamente a linee. Le caratterizzazioni delle unità stratigrafiche (le pietre di un muro, i reperti in
strato e tutto ciò che serve a definire il reale aspetto dell’oggetto)
sono state assegnate a un tipo distinto, sia per coerenza concettuale che per ragioni di ordine pratico; è infatti opportuno distinguere il grafo che definisce il reale ingombro dell’US dai numerosi
vettori che descrivono l’aspetto dell’oggetto per non incorrere in
difficoltà di gestione e in macroscopici errori nella consultazione
matematica 25.
25 I sottotipi sono organizzati secondo una macroclassificazione delle unità stratigrafiche, senza toccare ancora il livello interpretativo. In seguito, si procede a una progressiva definizione dell’oggetto, prevedendo diversi gradi di approfondimento, attraverso un processo induttivo che tende ad assegnare poche e molto generiche informazioni al singolo grafo al momento dell’acquisizione in vettoriale in modo da ridurre
al minimo la necessità di intervenire sui dati già acquisiti. In altre parole, all’interno
dei campi identificativi (tipo e sottotipo) della base GIS (non aggiornabili quindi in
automatico secondo i dati degli archivi) vengono assegnati valori incontrovertibili (un
crollo di muro non potrà mai perdere l’identità di strato di pietre); in questo modo
se l’interpretazione dell’US dovesse essere modificata si dovrà aggiornare solo la banca
dei dati alfanumerici e non entrambe.
41
Figura 14. Pianta composita dello scavo
teristiche ricordiamo una gestione ‘multiprogetto’ (il sistema di archivi è stato predisposto per la catastazione di dati provenienti da
scavi diversi con vantaggi facilmente intuibili, soprattutto in termini
di elaborazione statistica e di confronto tra contesti differenti), la
realizzazione di routine scriptate tese a semplificare molti processi
ripetitivi (ad esempio la quantificazione dei reperti), la programmazione dell’interfaccia utente e l’introduzione sistematica dei controlli sulla coerenza del dato.
L’architettura del database si articola su quattro livelli:
1. Il progetto di ricerca contenente i dati fondamentali inerenti le
indagini stratigrafiche (archivio Scavi), identificabile a livello territoriale con il concetto di sito archeologico.
2. Scendendo nell’albero gerarchico troviamo gli archivi relativi alle
suddivisioni spaziali, temporali e interpretative dello scavo (archivi Aree, Settori, Quadrati, Strutture, Periodi).
reperti mobili in superficie individuate nel corso delle prospezioni
degli anni 1983 e 1993-1995, le piante di scavo pubblicate da Cucini e Paolucci e i crop marks emersi dal trattamento delle fotoaeree.
I database alfanumerici e multimediali – Il momento di analisi e
progettazione della struttura di un database in ambito archeologico
rappresenta un processo elaborato, che non sempre si risolve (come
accade invece per l’analisi di tipo puramente informatico) nello step
che precede linearmente la codifica e programmazione della base
di dati. Si rende anzi spesso necessario ‘aggiustare’ la struttura degli archivi con il procedere della ricerca, l’immissione sul mercato
di nuovi prodotti e tecnologie, la maggiore consapevolezza nell’uso
del mezzo informatico.
Il sistema degli archivi relazionali adottato dal LIAAM, denominato
DBMS Scavo archeologico 26, ha subito notevoli (in alcuni casi radicali) trasformazioni; seguendo un metodo empirico, comunque segnato da momenti progettuali, si è giunti alla soluzione dei problemi per approssimazione successiva. Si tratta di una struttura ad
albero gerarchico, quindi un prodotto di tipo ‘verticale’, con i vantaggi e le limitazioni che ne conseguono 27. Fra le principali carat-
mente corretta della relazionalità. D’altro canto, però, simili implementazioni si configurano come soluzioni rigide, e mostrano qualche limite nella gestione di insiemi di
dati complessi; risultano piuttosto farraginose nell’ampliamento della struttura, soprattutto quando è coinvolto un accrescimento del grado di dettaglio della catastazione rendendo necessaria l’aggiunta di livelli gerarchici. Per ovviare a questi inconvenienti è in corso di elaborazione presso il LIAAM una nuova versione del database;
questa prevede l’uniformazione al modello entità-relazione adottato per il sistema di
archivi DBMS Carta Archeologica (FRONZA, 2001 scaricabile in rete all’indirizzo:
<http://www.unisi.it/NewPage/WORKSHOP.html>).
Per una trattazione dettagliata dell’architettura e delle funzioni del database si veda
FRONZA, 2000.
27 Sicuramente l’immediatezza concettuale dell’architettura gerarchica ha consentito
una realizzazione relativamente rapida del database e un’interpretazione sufficiente26
42
3. Terzo livello nella gerarchia ma centrali ai fini della nostra analisi
sono le tabelle relative ai dati stratigrafici (archivi Attività e US).
4. Al grado più basso dell’architettura si collocano infine tutte le tabelle o i sottosistemi dei reperti (archivi Reperti ceramici, Reperti
vitrei, Reperti metallici, Reperti numismatici, Reperti osteologici
umani, Reperti osteologici animali, Altri Reperti).
L’utilizzo del database avviene attraverso un’interfaccia utente personalizzata. Si sono resi operativi tre diversi ambienti, corrispondenti
a tre modi di utilizzo della base di dati: l’ambiente Singoli Archivi
(per la creazione, modifica e ricerca dei dati relativi alle singole tabelle), l’Ambiente relazionale (per la consultazione dell’intero DBMS
attraverso l’uso di indici relazionali tematici di scavo, area, periodo
US eccetera), l’ambiente Manutenzione (per svolgere i principali
compiti di manutenzione dell’archivio). I primi due ambienti, più
propriamente operativi, permettono l’accesso alle tabelle attraverso
layout composti da una parte centrale con i dati e circondata su due
lati (in alto e a sinistra) da un’area di comando contenente l’intestazione dell’archivio e le pulsantiere per l’accesso alle operazioni previste dall’interfaccia. In particolare si sono realizzate funzioni per la
navigazione lineare fra le schede, la navigazione relazionale fra archivi
e record, l’automazione delle operazioni di creazione, duplicazione,
eliminazione e ordinamento dei record, l’automazione delle query di
ricerca, le operazioni relative ai task di stampa, funzioni di marking
dei record, l’inserimento di caratteri speciali nel testo dei campi.
Funzioni più propriamente analitiche riguardano la quantificazione dei reperti attraverso la specificazione di parametri stratigrafici (per US, periodo, struttura eccetera) e pertinenti al tipo di reperti (ad esempio nel caso della ceramica è possibile quantificare
per classe, classe e forma, classe e forma e impasto eccetera); queste
prevedono anche l’esportazione dei risultati in RTF, pronti per
un’eventuale pubblicazione o comunque per un utilizzo all’interno
di documenti di testo.
Per quanto riguarda i dati del castello di Miranduolo sono state finora immesse 152 schede US; la schedatura dei reperti che si svolgerà durante l’inverno 2001-2002, aumenterà notevolmente la mole
di dati catastati.
Il sistema degli archivi grafici e multimediali vede l’uso di database
appositamente creati per la gestione di immagini, filmati e suoni e
rappresenta uno strumento utile solo se si lavora intensamente con
grafica e file multimediali; alle immagini, rappresentate in una galleria di miniature (e visibili a grandezza naturale con un semplice
doppio click), sono associabili uno spazio descrittivo e una serie di
chiavi che permettono visualizzazioni per soggetti. Le keyword scelte
per il nostro archivio corrispondono ai numeri delle unità stratigrafiche rappresentate, area, settore, quadrato, definizione US stratigrafica, definizione US interpretata, anno di scavo, struttura, periodo, fase; a queste si aggiungono categorie che identificano il tipo
di documento (foto digitali, diapositive, filmati, modellazioni 3D,
cartografia, elaborazioni interpretative eccetera).
Il database multimediale del castello di Miranduolo contiene a oggi
1.133 documenti tra fotografie digitali, filmati e ricostruzioni tridimensionali.
voro, abbiamo deciso di sostituire la planimetria elaborata nel corso
del 1994 ritenuta inadeguata alle attuali esigenze di lavoro; la restituzione delle isoipse era infatti troppo schematica e ottenuta sulla
base di un numero abbastanza limitato di punti: se dunque forniva
un’immagine verosimile della collina non costituiva una base di lavoro valida per modellazioni tridimensionali realistiche e neppure un
complemento utile per la costruzione della piattaforma GIS.
Dunque, dopo aver costruito una poligonale di stazioni celerimetriche, necessarie alla georeferenziazione del sito in coordinate GaussBoaga (sistema di coordinate adottato come standard per le piattaforme GIS, elaborate dal nostro Dipartimento nonché comune alle
più diffuse cartografie prodotte dagli enti pubblici in Italia), abbiamo
battuto circa 2.000 punti, fra i quali i picchetti utilizzati per il rilievo
manuale, distribuiti su una superficie totale di circa 6.000 mq.
Successivamente, tramite interpolazione, abbiamo proceduto all’elaborazione di DTM (Digital Terrain Model) e da questi alla creazione
di TIN 28 (Triangulates Terrain Network) utili a una restituzione altimetrica del poggio su base bidimensionale e alla visualizzazione di
modelli tridimensionali del terreno. La risoluzione è variata in base al
grado di dettaglio richiesto dal contesto specifico; la massima precisione (1 pixel = 1 cm) è stata adottata nella riproduzione delle aree di
scavo mentre quella minore (1 pixel = 10 cm) è stata impiegata a scale
più ampie, come nel caso del rilievo dell’intera sommità collinare.
Dal DTM (formato grid), si è successivamente proceduto nella produzione delle isoipse (curve di livello a intervalli variabili fra i 10 cm
per i settori di scavo e 1 m per il poggio) in formato vettoriale e delle
carte di pendenza, anch’esse in formato grid.
La mappatura delle curve di livello è stata poi esportata in DXF e inserita nella piattaforma GIS dello scavo. L’alto grado di precisione
degli elementi topografici renderà possibile tutte quelle operazioni
matematiche essenziali nell’elaborazione delle analisi predittive, per
le quali è necessario applicare cliviometrie; sarà dunque possibile,
formulare ipotesi del potenziale sviluppo topografico dell’insediamento, tenendo conto dell’andamento naturale del sito e dunque valutare in modo realistico la possibilità di occupazione degli spazi in
relazione alle loro caratteristiche morfologiche.
La registrazione dei vari livelli di scavo è stata ottenuta attraverso
l’applicazione della videodocumentazione elettronica: ideata da Antonio Gottarelli, corrisponde a un sistema di rilievo zenitale attraverso videocamera o camera, che restituisce un’immagine oggettiva
dello scavo sotto forma di raster.
Sullo scavo di Miranduolo, abbiamo effettuato 10 fotomosaici dell’area di scavo, corrispondenti alle situazioni stratigrafiche di maggior interesse. La tradizionale documentazione fotografica è stata
quasi esclusivamente compiuta utilizzando macchine digitali; l’ottima qualità degli ultimi prodotti permette di ottenere immagini con
una risoluzione sufficiente per le normali operazioni di consultazione
o stampa non professionale. L’utilizzo di questi sistemi digitali consente di contenere i costi e ridurre i tempi di catastazione dei dati nel
calcolatore. Nel corso delle sei settimane di scavo, sono state scattate
875 fotografie.
Situazioni particolari in corso di scavo o già scavate sono state filmate
tramite videocamera, scaricate nella memoria e successivamente as-
Il rilievo – Alla tradizionale documentazione di scavo abbiamo affiancato sistemi di registrazione informatica del dato grafico e fotografico. Il rilievo topografico del sito è stato ottenuto attraverso l’impiego della stazione totale ed è stato finalizzato alla riproduzione
della morfologia e al posizionamento su carta delle emergenze, rintracciate nel corso della prospezione del poggio. In questa fase del la-
L’acronimo indica letteralmente una rete irregolare di triangoli: corrisponde cioè a
un modello tridimensionale del terreno generato a partire da un insieme sparso di
punti quotati (piano quotato), costituito da una rete di triangoli (equiangoli o equilateri) a partire dal quale è possibile interpolare curve di livello, produrre profili longitudinali, analisi di pendenza, calcolare lunghezze reali di elementi che hanno andamento altimetrico e dunque non lineare.
28
43
semblate e montate all’interno del calcolatore; per questo tipo di elaborazione è stata utilizzata l’architettura QuickTime (impostasi
come standard industriale multipiattaforma per qualsiasi tipo di produzione multimediale) che dà modo di effettuare montaggi video in
modo estremamente intuitivo.
Le riprese vengono dunque scandite in brevi filmati, di peso contenuto, concernenti o singole unità stratigrafiche o contesti di scavo.
Questo metodo di registrazione del dato di scavo corrisponde essenzialmente a un’esigenza, forse ‘maniacale’ di non perdere informazioni: in un certo senso, intendiamo mantenere la memoria anche
delle operazioni di rimozione della stratigrafia, nel tentativo di conservare una visione critica del nostro lavoro. Sullo scavo abbiamo effettuato 255 filmati.
Per la documentazione dello scavo è stata utilizzata anche la tecnologia QTVR, attraverso la quale è possibile realizzare filmati a 360°
di ambienti e oggetti. A Miranduolo, è stata applicata sia per riprodurre fedelmente il procedere dell’indagine stratigrafica sia per consentire anche ai non addetti ai lavori la visita virtuale del sito e del
cantiere archeologico.
In totale sono stati prodotti sedici filmati: la maggior parte ha interessato l’area di scavo mentre una serie di altre panoramiche documentano la cinta muraria del castello, il campo base, l’attuale percorso di visita del monumento medievale e il piano campestre sottostante al castello.
Per la realizzazione delle immagini necessarie alla costruzione dei filmati sono state utilizzate una fotocamera digitale (Kodak 290 con
lente fissa a 38 mm) e una macchina fotografica reflex (Nikon F4
con obiettivo grandangolare da 20 mm), montate su di un cavalletto
Manfrotto dotato di testa QTVR. Ogni singolo scatto è stato effettuato con un incremento di 20° rispetto al precedente, ottenendo in
questo modo un massimo di 18 scatti per 360° che risultano decisamente ottimali per panoramiche di questo genere.
Il software utilizzato per il montaggio delle immagini e del definitivo
filmato è QTVR Authoring Studio distribuito da Apple; il quale consente di creare inizialmente un’unica immagine PICT e in seguito di
trasformarla in un filmato navigabile. Prima della realizzazione finale
ogni singolo PICT, costruito dal software, è stato trattato con il programma Photoshop di Adobe, per l’inserimento delle informazioni
prodotte nel corso dell’indagine archeologica (numeri di unità stratigrafiche), e infine riportato nel programma Authoring Studio per
la produzione della panoramica finale.
La costruzione del sito internet, aggiornato in tempo reale, dedicato
alla campagna di scavo del castello e attualmente inserito nel portale
dell’area di Archeologia Medievale del Dipartimento di Archeologia
e Storia delle Arti dell’Università degli Studi di Siena 29, ha influenzato in maniera decisiva la qualità e le dimensioni dei filmati. Per
consentire una visualizzazione veloce delle panoramiche tramite
browser 30, senza troppo dispendio di tempo per chi si fosse collegato
al sito internet, i filmati sono stati realizzati di dimensioni pari a
320 pixel per la larghezza e 240 pixel per l’altezza, e compressi in Cinepak a qualità media.
lenti, secondo il quale l’utilizzo del mezzo informatico permette di
rendere trasparente e valutabile, la ricerca archelogica svolta 31. La
creazione del sito internet dello scavo, articolato in un quotidiano
aggiornamento di risultati, ipotesi e documentazione, è forse l’immagine più nitida in tal senso. Il lavoro necessario ha imposto due
operatori stabilmente impegnati nella redazione e uno sforzo di sintesi e di coordinamento nella compilazione della documentazione;
in pratica tutto ciò ha portato il gruppo di lavoro a un continuo
chiarimento e un’ininterrotta verifica dei dati. Inoltre, volevamo
tentare di trasmettere i risultati del nostro lavoro ‘in diretta’, facendo vedere come e cosa scavavamo e documentavamo, lo sviluppo
della ricerca e delle nostre ipotesi, ricercare quella ‘glasnost’ e quella
immediatezza (anche a costo di ricevere critiche) che da molto
tempo vediamo connessa all’impiego ottimale di tecnologia nell’indagine archeologica.
Il sito si è articolato quindi in più sezioni all’interno delle quali
viene presentato l’intero progetto. Innanzitutto si propone il lavoro di carta archeologica, l’inquadramento del territorio e l’indagine preliminare, mostrando anche le prime proposte di valorizzazione della zona. Viene poi reso scaricabile dalle pagine l’articolo già edito sui due castelli di Serena e Miranduolo, una
rassegna delle fonti storiche su Miranduolo e si inserisce, avvicinandosi allo scavo, il castello stesso nel suo probabile territorio (di
quest’ultimo, attraverso l’impiego del GIS, si è proposta un’ipotesi su estensione e sfruttamento economico). Seguono poi il
primo rilievo effettuato della collina, le emergenze censite e la loro
interpretazione nonché, ancora tramite GIS, un confronto con lo
scavo di Rocca San Silvestro (Campiglia Marittima, Livorno), per
ipotizzare consistenza e demografia dell’insediamento.
La sezione “i giorni di scavo” è senza dubbio la più estesa. Si articola nel resoconto quotidiano delle operazioni di scavo (riportando
ipotesi e idee progressive, discussioni, cambiamenti di strategie), la
lista completa della documentazione prodotta, delle unità stratigrafiche indagate (le schede US sono inoltre scaricabili), inventari dei
materiali, immagini dei reperti più appariscenti. A essi si accompagna il matrix (che è stato aggiornato ogni settimana), esempi del rilievo a stazione totale e delle modellazioni tridimensionali sulla sua
base, e le prime elaborazioni interpretative, il diario di scavo, la documentazione stratigrafica, i materiali; sono state poi immesse tutte
le elaborazioni delle battiture a stazione totale modellate in 3D o
trasformate in carte di pendenza o con isoipse, filmati aerei e QTVR
sull’evoluzione delle aree di scavo, le ricognizioni sul territorio del
castello e quelle per la redazione dell’atlante delle murature di territorio e castello. Infine si sono inseriti i resoconti interpretativi di
ognuna delle aree di scavo e delle strutture riconosciute, evidenziando anche problematiche aperte e punti non chiariti, il bilancio
progressivo dell’indagine e lo sviluppo dell’ipotesi interpretativa.
L’intera operazione, oltre come già affermato a rappresentare un’operazione di trasparenza assoluta, ha in realtà rappresentato un lungo
momento di lavoro di squadra (come del resto nella tradizione del
LIAAM) che ha imposto ai ricercatori una continua attenzione e riflessione su quanto stava emergendo. Con il mese di dicembre, inseriremo nelle pagine web anche la piattaforma GIS consultabile e
interrogabile nonché gli archivi.
Il sito internet – Con l’intera operazione di informatizzazione si è
concretizzata quella ‘perdita di innocenza’ ricordata spesso da Va-
29 <http://www.archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/MIRANDUOLO/MIR.html>.
30 <http://www.archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/MIRANDUOLO/MIR09.html>.
31
44
Per ultimo su tale argomento ISABELLA-SALZOTTI-VALENTI, 2001.
Figura 15. Home page del sito su Miranduolo
45