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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTA’ DI MAGISTERO TESI DI LAUREA IN MATERIE LETTERARIE IL TEMPIETTO DI UNA VILLA A SOSSANO VENETO Relatore: Ch.mo Prof. MICHELANGELO MURARO Laureanda: BOSCHETTI GRAZIA Anno Accademico 1983 - 84 PREMESSA L’attuale abitato di Sossano, al centro del quale sorge la Chiesetta della Madonna dell’Aiuto, appare discosto dal primitivo insediamento. Condividendo la sorte di quasi tutti gli altri comuni del Basso Vicentino, comprensorio intercollinare che si estende nella fascia meridionale della Provincia di Vicenza, anche il nucleo originario di Sossano si sviluppò in una zona sopraelevata e, precisamente, sulle pendici del Monte della Croce. La pianura, solcata da una fitta rete di corsi d’acqua privi di regolamentazione, era pressoché costantemente invasa da paludi e, di conseguenza, inabitabile. Reminiscenze di questa realtà, protrattasi per secoli, le possiamo trovare nel persistere di toponimi come: Palù, Isola, Valle. I ritrovamenti archeologici, emersi dagli scavi operati nella zona, testimoniano la presenza di insediamenti umani fin dal periodo neolitico 1 . Reperti di età romana sono stati sterrati sulle prime propaggini della fascia collinare, una cinquantina di metri dietro la chiesa parrocchiale. Alcuni, collegando il ritrovamento di colonne e capitelli, di tessere musive, monete e suppellettili, con la lapide ricordata dal Mommsen 2 , hanno ipotizzato la presenza di una villa romana 3 . La strada romana che da Vicenza conduceva ad Este toccava anche Sossano 4 , che beneficò della centuriazione. L’esistenza di una chiesa dedicata a S. Giustina, titolo protocristiano risalente al III-IV sec. e alla prima evangelizzazione del territorio, è in questo caso assai interessante. Quasi sempre, nell’agro centuriato esiste una chiesa con tale dedicazione. L’ipotesi che la strada romana scorresse in pianura sembra trovare una conferma indiretta nella posizione della “Mansio” di Sajanega. Pare infatti che, nel medioevo, sia i pellegrini diretti a Roma o in Terrasanta che i viandanti e i commercianti, utilizzassero per i 1 loro itinerari le antiche arterie romane. Lungo di esse si costruivano ospizi per i pellegrini che vennero appunto sovrapponendosi alle “Mansiones” o “Mutationes” romane 5 . La valle tra i Berici e gli Euganei è teatro di precoci bonifiche ma soltanto l’intervento della Serenissima rende finalmente accogliente la pianura 6 . I corsi d’acqua ben arginati e controllati non costituiscono più una insidia, anzi, favoriscono i commerci e i traffici. A Sossano, come dice il Pagliarino 7 “corre Helma, fiume navigabile, il quale dal vulgo è chiamato Liona” e aggiunge il Barbarano che esso “produce molto pesce come anco adacqua molte risare con grande utilità … e finisse nel fiume Bisato, che scorre ad Este, poi alla Battaglia e Padova, onde per esso comodamente si possono condurre a Venezia l’entrate” 8 . In pianura sorgono le prime ville attorno alle quali si configura gradualmente l’abitato di Sossano. L’edificio più importante è senz’altro la dimora dei Ferramosca, pregevole costruzione cinquecentesca 9 , accanto alla quale verrà successivamente eretto l’oratorio gentilizio oggetto della nostra ricerca. 2 NOTE 1 G. DA SCHIO, G. TREVISIOL, G. PERIN, Scienza e poesia sui Berici, Vicenza, 1947, p. 259. 2 T. MOMMSEN, Corpus inscriptionum latinarum, Berlino, 1862, vol. V, p. 312 3 A. MISTRORIGO, Storia di Sossano, Vicenza, 1946. 4 Cfr. L. BOSIO, Itinerari e strade della Venetia romana, Padova, 1970. 5 Cfr. L. TACCHELLA, La “Mansio” Gerosolimitana di Gazzo di Pressana in territorio veronese, in “Studi Veronesi Luigi Simeoni” XVII-XIX, Verona, 1976, altro insediamento templare e poi giovannita sulla romana via Porcilana. Cfr. L. TACCHELLA, Gli ospizi gerosolimitani di S. Giustina e del S. Sepolcro di Sossano in Diocesi di Vicenza, Bobbio, 1980. 6 M. MURARO, La villa palladiana dei Repeta a Campiglia dei Berici, Campiglia, 1980, p. 48. 7 B. PAGLIARINO, Croniche di Vicenza, Vicenza, 1663, L. III°, p. 160. 8 F. BARBARANO, Historia ecclesiastica di Vicenza, Vicenza, 1649-1653, L. VI, pp. 198- 21. 9 R. CEVESE, Ville della provincia di Vicenza, Milano, 1971, p. 599. 3 PARTE I L’ANTICO ORATORIO DEI FERRAMOSCA 4 LA FAMIGLIA FERRAMOSCA Nella seconda metà del secolo XVII Cesare Ferramosca stabilisce di affiancare alla propria residenza signorile un piccolo oratorio, secondo una consuetudine che allora si stava largamente diffondendo in tutta la campagna veneta. Numerose e vaste erano le proprietà dei Ferramosca in questi luoghi, derivate – come qualcuno suggerisce 1 – da antiche quote consortili: pare, infatti, che la famiglia abbia avuto origine dalla disgregazione dell’antica stirpe dei conti di Sossano, i Pilio, di cui, forse, costituiva uno dei rami cadetti. Dei Ferramosca scrive il Pagliarino 2 : “famiglia antichissima, è stata illustrata da huomini ornati della scientia del Giurecivile, et illustri per ingegno, et per ricchezze; si come raccontano gli annali de’ Vicentini, da duecento anni in quà questa famiglia è stata nominata de Cardino, percioché molti sono stati chiamati con questo nome di Cardino. Hò ritrovato nelle antiche scritture della nostra Città, le quali hò vedute, et lette, et così faccio fede. Che li Nobili de Feramosca havevano case, molini, et molti altri edificij nel fiume dal volgo chiamato Retrone, ove al presente è il ponte di pietra da San Michele, nel qual luogo hora sono le sue case, le quali benché per alquanto spatio di tempo siano state possedute dalli Nobili Boni, finalmente tornarono alli suoi primi possessori. Hò letto, che questa famiglia in circa trecento anni sono, che hà havuta origine in questa Città, nella quale sono stati huomini periti nelle scientie, eccellenti d’animo, et abbondanti di ricchezze. Nel 1220. nel tempo che questa nostra patria non era à niuno soggetta, ma che si reggeva da se stessa, riconoscendo però, et dando obbedientia al Sacro Imperio, erano in questa famiglia molto stimati per il suo consiglio, ricchezze, et parentando Adamento, Albertino, et Guglielmo quondam Bartolomeo Feramosca Cavaliere: dopo questi furono Gherardo, et Antonio, li quali per la libertà della sua patria andarono in Germania per Eccelino. Nel 1300. fù Antonio quondam Aicardino Feramosca da Vicenza, così hò veduto nelli libri delle entrate della Communità di Vicenza. Nel 1312. fù Baldassare Feramosca huomo di singolare ingegno. Nel 1340. nelle scritture di Vito Pagliarino avo paterno di mio padre hò ritrovato Guglielmo Feramosca Giudice; al nostro tempo è stato Cardino ottimo cittadino, dal quale sono nati Nicolò et Baldassare: da Nicolò è nato Cardino; da Cardino sono nati Antonio Giurisconsulto, et Vicenzo, il quale fù ricchissimo: da Baldassare sono nati Pietro, et Girolamo, due chiarissimi Giurisconsulti, et Agostino Inquisitore. Questa famiglia hà avuto parentado con il nobili Figadi. Tomaso figliuolo del quondam Aicardino Feramosca generò una figliuola chiamata Imperiatissima dalla figliuola del quondam Alberto quondam Marco quondam Alberto della nobile, et antica famiglia de Porta spada, la quale Imperatissima fù poi moglie di Gabriele da Vello. La heredità delli nobili della Cà bianca pervenne nelli nobili di Feramosca, si come io hò veduto, et letto in un certo antichissimo testamento. Vi è un’altra famiglia chiamata con questo medemo nome nella città di Capua, dalla quale sono discesi molti illustri huomini nella militia, la fama de’ quali per le loro 5 generose imprese gli hà fatti illustri in quel tempo nel potentissimo Regno di Napoli” 3 . Proprietari di estesi fondi agricoli anche a Brendola, Bolzano Vicentino, Montecchio, Montebello, Barbarano e, soprattutto a Barbano 4 , – nota è l’elegante dimora per essi costruita nel 1568 da Giandomenico Scamozzi – i Ferramosca, nel corso del Seicento, sembrano inseguire progetti assai ambiziosi per consacrare definitivamente il proprio prestigio e per avvalorare il potere economico, ormai consolidato, con una affermazione di carattere politico. Nel 1648, approfittando della grave crisi finanziaria in cui si dibatteva la Serenissima, incapace di far fronte alle ingenti spese per la guerra di Candia, essi versano nelle casse dello Stato la ragguardevole somma di 100.000 ducati, ottenendo in cambio – prima fra la nobiltà vicentina – l’ambita aggregazione al patriziato veneziano 5 . Con queste parole essi rivolsero al doge la loro supplica: “Serenissimo Prencipe All’obligo, che naturalmente astringe ogni buon vassallo d’essere con li voti del cuore à parte delle fortune del Prencipe, s’aggiungono in noi Oratio e fratelli Feramosca, sudditi humilissimi di Vostra Serenità, si efficaci li stimoli de gl’esempi de’ nostri Maggiori, che nelle presenti turbolenze della guerra Turchesca, non potemo contenersi di non smembrare prontamente una parte ben grande di nostri haveri, per sacrificarla riverenti a V.V.E.E.; Frà le memorie fortunate, che conservan l’antichità di nostra Casa, annoveremo per la più felice quella, che con la dedittione della Città di Vicenza, ci costituì sudditi di questo Serenissimo Dominio: e se ben di nostra famiglia fiorirono assai prima dell’hora, e nelle lettere e nell’armi, soggetti anco in questo secolo non ignoti, ad’ogni modo di quei solo, che le vite e le facoltà a questa Serenissima Republica dedicarono, ci riesce cara la rimembranza, et imitabili gli esempi. Lasciaremo di ramentare li più antichi et à Cesare Feramosca, che nell’alma guerra con Turchi del 1571 con generoso esempio à proprie spese si portò nell’armata ad impiegar le fortune, et il sangue, e per la fede verso il Signore Iddio, e per la devotione verso Vostra Serenità, invidiaremo la felicità e benediremo la gloria. Nelle lettere ancora han reso li nostri Antenati, e li più recenti in particolare à Vostra Serenità li più devoti tributi della loro sviscerata osservanza: Ettore Feramosca nostro padre fu honorato di Commissario nella prima sentenza Roboretana: poscia Consultor in Jure dell’Ecc.mo Contarini sopra li confini e finalmente destinato a por gli stessi confini con gl’Austriaci, con dimostrationi molteplici della Pubblica benignissima estimatione de’ suoi divoti impieghi; e non infruttuose fatiche; del Signor Scipione nostro fratello conserviamo pure tante memorie, del generoso aggradimento dell’E.E.V.V., gli frequenti impieghi nelle più importanti occasioni 6 che potemo vanagloriarsi de’ freggi così singolari della Publica gratia, et ambir sempre l’imitatione non solo, mà aspirar anzi ed innoltrar li sforzi d’un’impareggiabile divotione a’ cimenti maggiori. Da tali esempi dunque eccittati noi e nientemeno da nostri naturali impulsi, veniamo à supplicare humilmente Vostra Serenità, à farci coll’Ecc.mo Senato e Serenissimo Maggior Consiglio degni d’offerire Ducati 100mila de quali siano 60mila in libero purissimo dono, et il restanti 40mila da darcene credito e frutto nelli Depositi di Zecca; il che è quel più che dalle nostre private fortune habbiamo potuto ritrarre, e che insieme con la volontà, e vite nostre medesime, et di figliuoli portiamo humilissimi in olocausto à piedi della Publica Maestà, bramosi di meritare à cimento delle prove maggiori il grado benigno di Vostra Serenità et dell’E.E.V.V. Illustrissime. Gratia”. Da tale supplica chiaramente traspare l’importanza che i Ferramosca attribuivano al conseguimento della nobiltà veneziana. Il 25 novembre 1652 in una eloquente lettera indirizzata al compatriota Antonio Scroffa, Girolamo Ferramosca, stabilitosi a Venezia, scriveva: “La Nobiltà Veneta è inestimabile e giuro Dio che piuttosto che tornare a Vicenza mi adatterei a viver qui con cento miserabili scudi l’anno. Bisogna che Vostra Signoria ne faccia l’acquisto in ogni modo, perché si tratta di tutta la posterità” 6 . Grazie ai propri cospicui capitali, quindi, i nobili della Terraferma, gli aristocratici di provincia potevano apparentarsi con le “prime case di Venezia” e passare da una situazione di manifesta inferiorità ad una posizione di prestigio: “ero suddito e più non lo sono – proseguiva il Ferramosca – e li miei possono avere tutti gli onori, anche il Principato” 7 . Le grandi ambizioni, concretizzatesi nell’acquisto della Nobiltà veneziana, unite all’intenso fervore religioso che animava quel secolo, inducono i Ferramosca a costruire il proprio oratorio di famiglia che sorge, non a caso, nel centro del nuovo abitato di Sossano, nei pressi dell’Olmo che da secoli costituiva un tradizionale punto di incontro della collettività. 7 NOTE 1 “Le Cronache Padovane dicono che li Carrari essendo venuti in Italia da Carrario Castello dell’Alemagna furono fatti Conti di Celsano, li quali poi fatti potenti in Padova con il favor di Cangrande ottennero la Signoria di quella Città. Li nostri Annali dicono, che li Carrari, et li Pilij erano di una istessa Famiglia”. (B. PAGLIARINO, Cronache di Vicenza, Vicenza, 1663, L. III, p. 160). La famiglia dei conti di Sossano diede origine oltre al ramo principale dei Pilio ai Loschi, che mantennero fissa a tutto il Trecento la denominazione “de Celsano”, infatti il Pagliarino ricorda “Nel medesimo tempo (1314) fù Bugamonte Losco ricchissimo, il quale con la sua prudentia governava la Città come voleva: questo dal vulgo era chiamato Bugamonte Losco de Celsano” (B. PAGLIARINO, Croniche …, già cit., p. 244). Leonillo Frison sostiene che anche i Ferramosca derivarono dai conti di Sossano perché il figlio di Gomberto I° da Sossano, Gomberto II°, era detto “Boca squarzada”, segno che forse tale difetto tornava nella famiglia e il nome Ferramosca non è altro, secondo Frison, che il ricordo di un analogo difetto di un loro antenato (forse lo stesso Gomberto II°). I beni dei Ferramosca a Sossano potrebbero di conseguenza derivare da antiche quote consortili. Inoltre in un documento dell’Archivio di Stato di Vicenza si legge che Anna Mascarella di Antonio, moglie di Giacomo Ferramosca, il 28 settembre 1555 faceva donazione ai figli di tutti i suoi beni, che erano posti in Sossano: “bona possessiones ac campos ac domos affictus ac livellos positos in villa Celsanj” (A.S.Vi., Fondo Notai di Vicenza, Notaio Gio. Maria Righi, b. 7016). La donazione, strappata per forza dai figli veniva revocata il 7 novembre dello stesso anno, nell’atto notarile stipulato dal notaio Geronimo da Marostica. Nel suo testamento, redatto in Venezia il 9 maggio 1560 negli atti di Vettore Maffei, Anna ritrattava nuovamente la donazione e lasciava alla figlia Isabella, avuta da Francesco Manenti, 1000 ducati. Il mobilio, i denari e i crediti venivano equamente divisi fra Isabella e il figlio Ettore Ferramosca. “Et residuo veramente di tutti, e qualunque mio beni stabili … lasso alli mei diletissimi figlioli Carlo, Marcoantonio, Cesare et Hettore fratelli havuti con il quondam messer Jacomo Ferramosca mio primo marido egualmente fra di loro quali instituisco miei heredi universali …”. (A.S.Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Maffei Vettore, b. 660, cc.74 r e v –75 r) Dalla lettura dei documenti citati consegue che almeno una parte dei beni di Sossano sono pervenuti ai Ferramosca tramite l’eredità di Anna Mascarella. 2 B. PAGLIARINO, Croniche di Vicenza, Vicenza, 1663, L. VI, pp. 278-279. 8 3 B. BAZZAN, L. BRIGHENTI, A. DE ROSSI, La civiltà delle ville, nobili e contadini a Grisignano dal 1500 al 1700, in “Grisignano di Zocco. Numero unico in occasione della Fiera del soco 1983”, pp. 25-28. Cfr. R. CEVESE, Ville della provincia di Venezia, Milano, 1971, pp. 415-418. 4 J. CABIANCA, F. LAMPERTICO, Vicenza e il suo territorio, Milano, 1861, pp. 774- 775. 5 G. A. CAPELLARI – VIVARO, Il Campidoglio Veneto, B. Marc. Ve, ms, vol. II°, c. 75r. 6 Cfr. G. DA SCHIO, Lettere vicentine, Venezia Alvisopoli, 1835. 7 G. DA SCHIO, Lettere…, già cit. 9 IL SIGNIFICATO DELL’OLMO Non è certamente trascurabile l’importanza dell’olmo presso le antiche comunità, sia cittadine che rurali. Pensiamo, ad esempio, alle parole di Giandomenico Serra 1 che sottolinea la grande diffusione in Italia del culto dell’olmo “sia quale ARBOR SACRA FINALIS, sia come umbilico e simbolo religioso, solenne del nucleo sociale di un dato vicus o plebs o ecclesia rurale ed urbana, in quanto che ogni atto della vita individuale o collettiva abbia il suo riconoscimento giuridico solo se svolto od accennato indizialmente, come per una consacrazione pubblica, in platea, ante ecclesiam, sub ulmo”. “Cet arbre – sottolineava E. Rolland 2 – servait d’abri contre la pluie et le soleil, de rendez-vous aux amoureux ou aux clients des avocats sans domicile, de lieu de justice seigneuriale ou de paiement de redevances”. La chiesetta gentilizia dei Ferramosca sorge, così, in un luogo deputato, fin dai tempi più remoti, agli incontri, agli scambi, fulcro di tutta la vita locale 3 : non è improbabile l’ipotesi che sia situabile proprio in questa zona la “contrata que dicitur da Lestazone”, ricordata fin dal 1182 4 , e il cui toponimo, derivante forse da “statio” 5 sembra perfettamente corrispondere al ruolo commerciale da essa ricoperto nei secoli. Mantenendo e rivitalizzando la funzione aggregante, l’oratorio dei Ferramosca era destinato a divenire un nucleo di fondamentale importanza per il successivo sviluppo urbanistico dell’abitato di Sossano. Di questo primitivo edificio rimangono, però, solo sporadiche testimonianze. 10 NOTE 1 Cfr. G. D. SERRA, Lineamenti di una storia linguistica dell’Italia medioevale, Napoli, 1954, vol. I°, pp. 213-240-241. Per altre notizie si veda: G. D. SERRA, Contributo toponomastico alla teoria della continuità nel medioevo delle comunità rurali romane e preromane dell’Italia superiore, Cluj, 1931, p. 42. 2 E. ROLLAND, Flore populaire, Paris, 1918, T. X, p. 90. Si confronti anche: A. DE GUBERNATIS, La mythologie des plantes, Paris, 1882, pp. 269-271. 3 Pure nella vicina Noventa, come si può rivelare in un atto notarile rogato nel luglio 1450, la chiesa dei SS. Vito e Modesto era situata “In contracta S. Viti, prope ulmum, super via publica…”. Cfr. G. MANTESE, Memorie storiche della chiesa vicentina, Vicenza, 1964, vol. III°, p. 242. 4 Nella donazione nuziale fatta il 14 agosto 1182 da Pietro di Sossano in Sossano a favore di Adeleita, sua moglie, figlia del quondam conte Guido si legge: “Actum in Zelsano in contrata que dicitur da Lestazone, in domo Petri de Zelsano”. Cfr. C. GUALDO, Contributo per un Codice Diplomatico Vicentino, Tesi di Laurea, Università di Padova, Facoltà Lettere e Filosofia, a.a. 1952-1953, doc. n° 165. 5 Cfr. A. C. V. Vi, Estimo del 1554. Compare fra le contrade di Sossano la “stason”. 11 IL COMMITTENTE: CESARE FERRAMOSCA Conosciamo il nome del committente: si tratta di Cesare Ferramosca, celebre giurista dello studio di Padova che aveva rinunciato alla cattedra universitaria dopo esser divenuto patrizio veneto 1 . Laureatosi presso l’ateneo patavino nel mese di maggio del 1641 2 , ricevette, negli anni successivi, numerosi incarichi 3 all’interno del Sacro Collegio giurista (cui erano ammessi solo coloro che avevano superato i 22 anni d’età e che avevano atteso per 6 anni agli studi legali). Particolarmente interessante per la nostra ricerca è il fatto che il Ferramosca risulta esser stato sovente in contatto con le Congregazioni dei Filippini di Padova e di Venezia 4 . A quest’ultima, nel 1673, prestò 1200 ducati, somma consegnata ad Ermanno Stroiffi, preposito e fondatore della congregazione nella città lagunare, oltre che pittore di una certa fama 5 . La particolare devozione che legava Cesare Ferramosca a San Filippo Neri si manifesta apertamente nell’intitolazione della chiesetta di Sossano che, appena ultimata, venne fornita dal committente di una adeguata dote 6 . Il 7 maggio 1681, a Venezia, Cesare Ferramosca redige il proprio testamento 7 , con il quale intende nominare eredi universali i “quattro Hospitali principali di Venezia”, lascia inoltre l’incarico di far celebrare quotidianamente una messa “nella chiesa di San Filippo Neri fabricata da me a Sossano pregare il Conte Camillo Barbarano che gliela lasci dire et se esso Conte Camillo Barbarano non havesse più Sossano pregare il Molto Reverendo Arciprete di Sossano sii esso che me la facia dire essa messa in questa chiesa di San Filippo Neri overo nella chiesa del Reverendo dal Sepolcro di Sossano” 8 . Alla mansioneria univa un lascito di 25 ducati annui all’arciprete del paese. Le disposizioni testamentarie del Ferramosca furono, però, accettate dai nipoti Guido, Francesco e Scipione, legittimi eredi, che impugnarono l’atto per ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Ciò non avvenne. 12 Il 23 aprile 1683 veniva così sottoscritto alla presenza del notaio Angelo Maria Piccini, un atto con il quale i tre fratelli Ferramosca si impegnavano a versare la somma di 76.000 ducati ai quattro ospedali veneziani pur di riottenere i beni immobili di Cesare (fra i quali, appunto, le proprietà di Sossano), accettando, altresì, di far puntualmente officiare le messe quotidiane stabilite nel testamento 9 . I Ferramosca paiono in questi anni molto legati ai possedimenti di Sossano che continuamente ampliano e incrementano. Il 4 maggio 1684, come si legge in un atto del notaio Celestino Celestini 10 , il conte LudovicoValmarana investe Scipione Ferramosca dei propri beni di Sossano, compresi affitti e livelli. Si legge, inoltre, che “havendo la casa bisogno di pronta spesa, essendo rovinosa e cadente et anco in parte incendiata, possa et debba il Signor Conte Scipion far la spesa stessa, restauratione, compimento della fabrica, e tutto ciò che le occorrerà, col dover tenir notta delle spese, perché in ogni caso di evitione di tutto ò parte, si obligano li stessi Conti Valmarana con Eredi et successori ut supra al risarcimento a misura delle dette notte Ferramosca…” Forse tale clausola si riferisce al cosiddetto “Palazzetto” 11 . 13 NOTE 1 G. A. CAPELLARI-VIVARO, Il Campidoglio Veneto…, già cit., c. 75 r. Nel medesimo manoscritto: si legge: “Cesare Ferramosca, fratello di Giacomo, sposò nel 1650 Laura figliuola di Giorgio Bondumiero, Patritio Veneto, di cui non trasse figliuoli, onde morì ultimo di questa casa, che in lui rimase estinta l’anno 1681 in età di 64 anni.”. 2 A. A. U. P., Manoscritto 150, c. 200 v. 3 A. A. U. P., Manoscritto 150, c. 32 r e v, c. 217 r e v. 4 Nello Stato Veneto Brescia fu la prima località ad accogliere una Congregazione dell’Oratorio nel 1598. Nel medesimo anno a Padova l’abate Marcantonio Maffa teneva sacri esercizi secondo lo stile dell’istituzione. Ma fu solo nel 1602 che dal Padre Michelangelo Cappuccini l’Oratorio fu portato ufficialmente a Padova, trovandovi accoglienza favorevole, rimanendo però senza dimora stabile fino al 1616 quando il padre Antonio Maria Cortivo de’ Santis costruì l’Oratorio di S. Girolamo. Nel 1624 la Congregazione dei Filippini fu eretta canonicamente dal vescovo Cornaro e trovò una sede definitiva nel 1636 presso la chiesa parrocchiale di S. Tomaso Martire. (Cfr. G. BELTRAME, Storia e arte in S. Tomaso M., Padova, 1966). A non lunghi intervalli furono fondate le Congregazioni a Pirano in Istria (1645), a Udine (1650), Venezia (1661), Spalato (1688), Verona (1713), Vicenza (1720) e Treviso (1746). Benché Vicenza sia la penultima città dello Stato Veneto ad accogliere una Congregazione di S. Filippo Neri già dal 1658 un pio sacerdote, il conte Paolo Porto, aveva eretto questa Congregazione nella Chiesa Parrocchiale di S. Paolo, che non ebbe però un seguito per la morte del promotore. (Cfr. S. RUMOR, Origine e sviluppo della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri in Vicenza, Vicenza, 1895). 5 A. S. Ve., Congregazione di San Filippo Neri, b. 11, T.17, cc. 113 r – 114 r. 6 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Domenico Garzoni Paulini, b. 187, cc. 218 r – 219 v. 14 A. C. V. Vi., Stato delle chiese, Sossano, b. 300. Lettera datata 26 giugno 1664 dell’Arciprete di Sossano Guglielmo Marangoni. 7 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Domenico Garzoni Paulini…, gia cit., Dal testamento emerge la profonda devozione di Cesare Ferramosca verso S. Filippo Neri a cui raccomanda la propria anima. Indubbiamente il Ferramosca doveva essere una persona molto pia, governatore dell’ospedale degli incurabili e del luogo pio del soccorso, lascia tutte le sue sostanze a delle opere benefiche. Nel medesimo testamento inoltre si legge “voglio che sii fatta celebrare una messa quotidiana nella chiesa di Barbano per la anima del quondam Signor Hettore mio Fratello et questa messa sii oltre le messe che si diranno nelli altri lochi delle 4 chiese che devono dire essi lochi pii. Lascio una altra quotidiana nella chiesa di San Valentino che farò nella chiesa di Arcomagna et che sono per fare adesso”. La chiesa di Barbano era stata costruita da Ettore, fratello di Cesare, la cui figlia Ghellina, nel 1675, aveva sposato con 12 mila ducati di dote Scipione Ferramosca. Cesare nel 1679 aveva steso un testamento in favore della nipote Ghellina, che venne poi abrogato dal secondo del 1681. (G. DA SCHIO, Memorabili, Appendice, B.B.Vi, ms pp. 1053-1059). 8 Tali disposizioni risultano essere state attuate per lungo tempo: nel 1899 era mansionario il sacerdote Giovanni Battista Danieli, pagato con Lire 757 annue (A. C. V. Vi., Visitationum, Feruglio, b. 25/0577, 5 agosto 1899). Successivamente don Francesco Frigo, che l’11 Agosto 1900 aveva acquistato parte dei terreni posseduti dai Giovanelli (venduti da questi il 23 agosto 1899 a Carlo Meneghini), si assunse anche gli obblighi inerenti l’oratorio (Istromento 11 Agosto 1900, n° 1093, atti Scipione Cainer, registrato a Lonigo il 27 Agosto 1900 al N° 105 del lib. I, Vol. 38). L’ultimo mansionario nel nostro secolo fu don Giovanni Grimaldini, che risiedeva nell’antica barchessa della villa e che veniva pagato con le rendite dell’oratorio stesso. Attualmente la chiesetta dipende dalla parrocchiale, che ne cura la manutenzione e che ha provveduto ad opere di restauro sostituendo recentemente l’originaria copertura in piombo della cupola con una in rame. 9 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Angelo Maria Piccini, b. 11112, cc. 81 r – 94 r. “Quanto alle altre tre Mansonarie quotidiane perpetue da offitiarsi nelle Ville ordinate dal Testatore nel Territorio Vicentino, cioè una nella Chiesa di Barbano; Un’altra nella Chiesa di S. Valentino di Arcomagna, et l’altra nella Chiesa di S. Filippo Neri à Sossano, havendosi stabilito con detta Scrittura, che restar debbano à Carico di detti Signori Conti nella forma 15 seguente, perciò detto Signor Conte Scipion, in detti nomi, promette, et s’obliga far quelle puntualmente Offitiare, ogni giorno nelle Ville predette, dove sarà più proprio, non essendovi in particolare la Chiesa di S. Valentino, che dal Testatore non è stata fatta, come nel Testamento espresse di voler fare, et della detta Celebratione dovranno detti Signori Conti Ferramosca di quattro in quattro mesi, mandare in questa Città le Fedi giurate delli Sacerdoti, che celebreranno le Messe predette…” 10 A. S. Vi., Fondo Notai di Vicenza, Notaio Celestini Celestino, b. 2651. 11 Il palazzetto Valmarana era sorto nei pressi delle rovine dell’antica villa romana, accanto sorgeva la chiesetta della SS. Trinità. (A. S. Vi., Fondo estimo, Catastico di Sossano di Sebastiano Corradini, Este 1719-1720). 16 DESCRIZIONE DELL’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI Come già abbiamo osservato, scarse sono le testimonianze relative alla primitiva chiesetta dell’Olmo o di San Filippo. Essa venne benedetta dall’arciprete del paese, Guglielmo Marangoni, che ne diede notizia in una lettera datata 14 settembre 1664 1 : “Con la facoltà dell’Illustrissimo e reverendissimo Monsignor Civrano Vescovo di Vicenza sotto di 21 agosto passato, hò io Guglielmo Marangoni Arciprete di Sossano benedetto l’oratorio dell’Illustrissimo Signor Cesare Feramosca Patritio Veneto, novamente edificato nella mia Parochia, e con la medesima licentia in esso celebrato la Santissima Messa, sotto li 7 settembre stante”. In precedenza, il 26 giugno dello stesso anno, il Marangoni così ne aveva scritto: “Questa chiesetta è fatta con bonissimo modello, con porta che riguarda sopra la publica strada, hà la sua sacristia, ma la stessa sacristia hà una porta che guarda nella corte grande, per la quale si vienne in sacristia, e da essa in Chiesa, non hà altri prospetti; nè ingressi sopra luochi privati, perché la chiesa è lontana molto dalle habbitationi”. 2 Così, invece, ne parlava il vescovo Giovanni Battista Rubini in occasione della visita pastorale del 1685: “Ecclesiam Sancti Philippi Nerei de comitis Guidonis et Franciscus de Ferramusca in contrata Ulmi Celsani. Habet unicum altare cum portatile provisum. Habet fenestram a qua auditur missa stando in quadam celula esistente in curte domus dictorum comitum. Habet campanulam. Vidit sacristiam habentem ianuam tendentem in curte eiusdem domini comitis. Hic celebrat Reverendus Io. Maria Philippi de Colonia… a predicto domino comite habet ducatos 80” 3 . La chiesetta appare rappresentata, anche se in modo alquanto schematico, nell’interessante Catastico del territorio di Sossano redatto negli anni 1719-1720 dal perito Sebastiano Corradini di Este 4 . Significativa testimonianza dell’antica situazione del Comune, la mappa settecentesca ci permette di conoscere nella sua originaria fisionomia tutto il complesso edilizio dei Ferramosca, racchiuso da un muro di cinta, comprendente la residenza padronale, la barchessa e l’oratorio, a pianta longitudinale, orientato in direzione est-ovest, secondo l’antica tradizione. 17 E’ a questo punto opportuno ricordare che una legislazione ben precisa regolava la costruzione di queste cappelle gentilizie, generalmente distinte in private, semipubbliche e pubbliche 5 . Nel nostro caso, si può, senza dubbio, parlare di oratorio pubblico: pur essendo stato eretto dai Ferramosca, infatti, esso era dotato di un ingresso sulla “Strada comune” che permetteva il libero accesso alla popolazione locale. Come si legge nell’Enciclopedia Cattolica 6 , requisiti indispensabili per la costruzione di questi edifici sacri erano: il pubblico ingresso, l’“auctoritas” del vescovo, il consenso delle autorità diocesane e la costituzione di una dote. Nella chiesetta di Sossano si possono, inoltre, riscontrare altre caratteristiche, ritenute generalmente importanti per determinare la pubblicità di un oratorio: la campana per richiamare i fedeli alle sacre funzioni (il campaniletto è chiaramente visibile nel disegno del 1719-1720), l’altare fisso e immobile, data la destinazione perpetua al culto e l’esistenza di un santo titolare, nel nostro caso San Filippo Neri. Per ovvi motivi, inoltre, tali oratori non dovevano in alcun modo danneggiare le altre chiese esistenti nel territorio e non potevano esercitare funzioni di parrocchiale. Solo in casi eccezionali in essi si potevano amministrare i Sacramenti, come avvenne, proprio a Sossano, nel 1820, quando il Vescovo Peruzzi impartì la Cresima a 37 fedeli nella chiesa dell’Olmo poiché la vecchia Parrocchiale risultava, allora, inagibile 7 . Nel Catastico del Corradini, mentre è chiaramente intuibile la sagoma della porta rivolta sulla pubblica via, è impossibile scorgere l’accesso, citato nella visita pastorale del 21 maggio 1685, che metteva in collegamento con la corte della villa. Di essa si parla nel decreto successivo alla visita con il quale il vescovo Rubini chiedeva di essere informato “de facultate Apostolica habendi in sacristia portam sive januam privatam respicientem in Curte Domus vicinae”: in mancanza della richiesta autorizzazione apostolica tale ingresso avrebbe dovuto essere murato nel giro di un mese 8 . 18 NOTE 1 A. C. V. Vi., Stato delle chiese, Sossano, b. 300. 2 A. C. V. Vi., Stato delle chiese, Sossano, b. 300. 3 A. C. V. Vi., Visitationum, Rubini, b. 11/0563, 21 maggio 1685. 4 A. S. Vi., Fondo estimo, Catastico di Sossano di Sebastiano Corradini, Este 1719-1720. 5 G. SPINELLI, M. ZOCCA, Oratorio, voce in “Enciclopedia Cattolica”, vol. IX, Città del Vaticano, 1952, coll. 194-198. 6 G. SPINELLI, M. ZOCCA, Oratorio…, già cit., coll. 196-197. 7 A. C. V. Vi., Visitationum, Peruzzi, b. 21/0573, 13 settembre 1820. 8 A. C. V. Vi., Visitationum, Rubini, b. 11/0563. 19 PARTE II LA CHIESETTA DELLA B.V. DELL’AIUTO 20 DAI FERRAMOSCA AI GIOVANELLI Con le vicende che hanno avuto per protagonista Cesare Ferramosca si chiude la storia della primitiva chiesetta dell’Olmo. Il 20 giugno 1711, infatti, “il Nobile Signor Conte Scipion Ferramosca di Vicenza quondam Nobile Signor Conte Antonio spontaneamente per esso, heredi, e successori suoi per ragion di proprio libero, et in perpetuo ha dato, cesso, venduto, et alienato come in virtù del presente Publico Instromento da, vende, cede, et liberamente in perpetuo aliena alla Commissaria, et heredità del quondam Nobil Homo Signor Carlo Vicenzo Conte Giovanelli… gli infrascritti beni posti nelle ville di Sossano e Villaga Territorio Vicentino cioè una possessione detta Seccalegna di campi settanta posta in villa di Sossano” e, sempre a Sossano, “altra possessione detta di Menaroli di campi sessanta…, altra possessione detta la Scanda e Spinetto di campi novanta…, altra possessione detta la Possessionella di campi venti più un brolo detto Rustichello di campi tre…, un Brolo da Rio…, altro brolo detto Broglia…, altro brolo della casa detta dell’Hosteria…” 1 . Al prezzo di 54.000 ducati i Giovanelli incamerano, così, i beni dei Ferramosca situati nelle pertinenze di Sossano e Villaga, in tutto circa 705 campi, con “la Chiesa, che v’è di sua ragione sopra detti beni in villa di Sossan, et con tutte, e cadune fabriche, et case sia dominicali, et ad’uso de patroni, come de lavoratori, et altre di qualunque sorte, così di muro, come di paglia, et legname, teze, casoni, broli, cortivi, horti…” 2 . Una clausola particolare riguardava l’oratorio gentilizio: “sarà pur tenuta, et obligata detta Commissaria compratrice, et rappresentanti in avvenire la medesima perpetuis temporibus far offitiare nella chiesa essistente sopra detti beni venduti in villa di Sossan compresa nella presente vendita una Mansoneria quotidiana d’una Messa al giorno giusto il testamento del quondam Nobil Homo Signor Conte Cesare Ferramosca sudetto pagando l’ellemosina al mansonario, ovvero con farli poi quel’assegnatione d’entrata, o investirli tanto capitale di rendita sufficiente per l’officitiatura della detta Mansoneria, che resterà perpetuamente a carico de rappresentanti detta Commissaria Giovanelli, come pure saranno tenuti alla corrisponsione annuale di ducati 25 correnti al Reverendo Piovano presente, e che prò tempore subentrerà nella Chiesa Parochiale di detta villa di Sossan per legato particolarmente lasciatoli dal sopradetto quondam Nobil Homo Signor Conte Cesare Ferramosca, che con detta Nobil Donna Lauretana come Commissaria promete che sarà adempito…” 3 21 Secondo la consuetudine, infine, gli acquirenti avrebbero goduto di “iurisditioni, habentie, pertinentie, vie, usi, additi, ingressi, egressi et regressi, tramiti, transiti, addiacentie, immunità, privilegi, prerogative, requisiti, servitù attive” connessi ai beni incamerati. Tale atto di vendita venne, però, posto alle Stride e contraddetto, come si legge in un più tardo documento, dal Nobil Homo Antonio Valmarana il quale ottenne che venissero restituiti a Scipione Ferramosca 256 campi 4 . La richiesta era senza dubbio in riferimento al traslato di proprietà avvenuto nel 1684 tra il Valmarana e il conte Scipione stesso 5 . Il 25 ottobre 1727, il medesimo anno in cui iniziò la ricostruzione dell’oratorio gentilizio, i Ferramosca cedettero ai Giovanelli un nuovo gruppo di beni immobili del valore di ducati 4108 “qual prezzo assieme con l’altro dell’antecedente vendita viene dichiarito esser stato intieramente soddisfatto” 6 . 22 NOTE 1 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Carlo Gabrielli, b. 7100, cc. 330 v – 340 r. 2 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Carlo Gabrielli… già cit. 3 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Carlo Gabrielli… già cit. 4 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Giuseppe Comincioli, b. 4167, cc. 4929 v. – 4934 v. 5 A. S. Vi., Fondo Notai di Vicenza, Notaio Celestini Celestino, b. 2651. 6 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Giuseppe Comincioli…, già cit. 23 ORIGINE E NOBILTA’ DELLA FAMIGLIA GIOVANELLI Mercanti bergamaschi, ricordati fin dal secolo XIII, i Giovanelli si erano progressivamente arricchiti dominando il commercio dei panni nella valle di Gandino. L’ampliarsi dei loro interessi commerciali e l’esigenza di trovare nuovi sbocchi e nuovi mercati li spinsero fin oltre i confini dello stato veneziano. Nel sec. XVI un ramo della famiglia risultava già stabilito definitivamente a Bolzano mentre altri esponenti della casata dei Giovanelli, pur non avendo reciso i vincoli con la patria d’origine, coltivavano fiorenti traffici con i paesi d’oltralpe. In Ungheria essi riuscirono ad accumulare, sfruttando le risorse minerarie locali, ingenti capitali che poterono successivamente essere investiti nell’acquisto di proprietà terriere. I Giovanelli non furono, però, esclusivamente dei commercianti; si distinsero altresì nell’arte della guerra e, nel 1572, per i servigi politici e militari prestati alla casa d’Austria, furono insigniti del titolo di Nobili del Sacro Romano Impero. Un secolo più tardi, nel 1652, i fratelli Giovanni Andrea e Carlo Giovanelli, consiglieri imperiali, ottennero il titolo di Nobili del Regno di Ungheria, confermato nel 1660 con l’aggiunta della dignità magnatizia. Entrambi, infatti, nominati commissari generali dell’esercito asburgico, avevano valorosamente combattuto contro gli Ottomani, e a Giovanni Andrea, che aveva pure guidato le truppe austriache contro l’esercito francese sul Reno, venne anche conferita la carica di Margravio delle città montane di Ungheria. Tuttavia, nonostante i Giovanelli “trasportati sotto altro cielo” avessero conquistato colà “oltre li commodi di fortuna, titoli et honori qualificati, che nobilitarono le prerogative del sangue”, essi avevano, però, mantenuto “devotione sola ed intatta” alla Serenissima Repubblica di Venezia, come sottolineano nella Supplica al Senato per ottenere la Nobiltà veneziana. 1 . 24 Nel secolo XVII, infatti, la città lagunare, in gravi difficoltà, aveva aperto il Libro d’oro della propria nobiltà a chi offriva al pubblico erario ingenti somme di denaro. Conseguentemente, nel 1668, Giovanni Andrea e il nipote Carlo Vincenzo, figlio di Carlo (morto nel frattempo), dopo aver ottenuto dal Senato Veneto il titolo di Conti di Morengo e Carpenedo, dai paesi della pianura bergamesca ove possedevano vasti latifondi, il 30 novembre vennero aggregati, con tutta la loro discendenza al Patriziato Veneto. In cambio essi aiutarono la Serenissima contro i Turchi offrendo 100.000 ducati, la stessa somma pagata qualche anno prima dai Ferramosca. Ma queste palesi attestazioni di fedeltà a Venezia non impedirono ai Giovanelli di mantenere solidi legami con l’Impero; nel 1678 l’Imperatore Leopoldo, infatti, elevava Carlo Vincenzo, Giovanni Benedetto e Giovanni Paolo (figli di Giovanni Andrea morto nel 1673) con i loro eredi e successori al grado di conti del Sacro Romano Impero e di tutti gli Stati ereditari austriaci. Essendo, inoltre, possessori dei due feudi giurisdizionali di Telvana e Castel S. Pietro, nonché di Caldaro, Laimburg e Baumgertnoss, in Tirolo, essi ottennero il titolo di Conti del primo feudo e di Signori del secolo. Nel 1817, l’imperatore Francesco I li confermava Conti del Sacro Romano Impero, conferendo loro anche il titolo altisonante di Principi che rimase anche dopo la creazione del Regno d’Italia. La consuetudine con i paesi di lingua tedesca traspare anche dal fatto che Giovanni Paolo, nel 1688 sposa Adelaide Anna Maria Caterina figlia del Conte Paris di Lodron nel Tirolo. Risposatosi nel 1722 con Giulia Calbo, ebbe tre figli: Federico (vescovo di Chioggia e, dal 1776, Patriarca di Venezia), Benedetto (capitano e vice-podestà di Padova) e Giovanni Andrea (capitano di Vicenza). 25 Carlo Vincenzo, stabilitosi a Venezia, a Santa Fosca, si era unito in matrimonio, nel 1676, con Loredana Emo, di antica famiglia patrizia, forse per meglio inserirsi nel chiuso ambiente della nobiltà veneziana, piuttosto gelosa delle proprie prerogative, e per godere di particolari appoggi e privilegi. Anche per i Giovanelli, infatti, pur insigniti della nobiltà imperiale, il conseguimento del patriziato veneziano rappresentava il passaggio da una situazione di inferiorità ad una posizione di prestigio: esso non consisteva solamente nella possibilità di ricoprire cariche rappresentative all’interno dell’organizzazione statale veneziana, ma si arricchiva di riflessi psicologici, significava essere definitivamente entrati nel mondo dei potenti. Tale ambizioso proposito traspare anche dall’attenzione posta dai Giovanelli nello stringere parentele adeguate al fine di accrescere i propri diritti e i propri riconoscimenti. 26 NOTE 1 Per le notizie relative alla famiglia si vedano: M. BARBARO, Arbori de’ patritii veneti, A. Co. Ve., ms. P.D.C. 2803, vol. IV, cc. 32 v – 35 v. G. A. CAPELLARI - VIVARO, Il Campidoglio Veneto, B. Marc. Ve., ms., vol. II°, cc. 131 v – 132 r. V. SPRETI, Enciclopedia nobiliare italiana, Milano, 1928-1935, vol. III, pp. 469-471. F. SCHRÖDER, Repertorio Genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle province venete, Venezia, 1830, pp. 374-375. 2 “Serenissimo Prencipe la pertinace ostinatissima oppugnatione che doppo tanti anni, fà più valida l’Ottomana potenza alla Città, e Regno tutto di Candia si come fà sempre più risplendere la grandezza dell’Imperio di Vostra Serenità, habile à resistere, a propugnare con invitto coraggio, e pari forze à si lunga, e potentissima aggressione di gran Monarca del Mondo, così muove li cuori adoratori del Vostro Augusto Nome, ad una ben dovuta tenerezza di compatimento, chiamandosi compartecipi di questi Publici gravissimi accidenti. Chi poi si può gloriare del pretioso titolo di suddito, e vassallo della Serenità Vostra, tanto maggiormente riceve valido eccitamento alle proprie possibili dimostrationi, con atti di devotione, et di fede. La famiglia Giovanelli, che trasse la sua Nobile Origine nella Città di Bergamo, hà glorificato lo stipite di se medesima, coll’esser suddita della Serenità Vostra, mà seguendo le vicende del Mondo, parte di essa fù trasportata sotto altro Cielo, dove s’è mantenuta quanto alla vita, ma quanto all’animo, e devotione sola, et intatta si risservò tutta al suo vero, et adorato Prencipe, raggirandosi sempre al di lui perpetuo giro, come sole risplendente dell’orbe Christiano; ivi visse, e conquistò oltre li commodi di fortuna, titoli, et honori qualificati, che nobilitarono le prerogative del sangue. Questi acquisti sono stati stimati tutti pretiosi da noi Giovanni Andrea quondam Benedetto, et Carlo Vicenzo quondam Carlo zio, e Nipote Giovanelli, Nobili del Regno di Ungaria, Conti di Morengo, e Carpinedo, e Baroni del S.R. Imperio, perché habbiamo sperato essere una volta gratiati, nel poterli consacrare al nostro adorato Trono; spiegando il Vessillo della sempre mantenuta fede, nel Campo glorioso di questa Serenissima Città. Di ciò ne sarà verace testimonio, l’importante esborso di Ducati 200 mille, fatto da noi li Mesi passati nella Publica Cassa, per li beni dell’Ecc.ma Procuratia de’ supra. Mà perche non possiamo essere redarguiti, che oltre il Publico da noi sempre invigilato commodo, vi sij 27 stato anco il nostro privato interesse, e vedendo sempre più premurosi li Publici incontri; Per ciò noi Giovanni Andrea, e Carlo Vicenzo sudetti, inchinati alla Vostra Maestà offeriamo con le persone stesse, e di due figliuoli di me Giovanni Andrea in purissimo dono Ducati 100 mille correnti, de quali 50 mille in effettivo Contante, da essere scritto in Banco in una sola partita, à libera dispositione di Vostra Serenità, e gl’altri 50 mille in tanti crediti legitimi, da leggersi nell'Ecc.mo Senato, piccolo olocausto alla grandezza del Nostro Nume, et all’immensità del nostro desiderio: mà grande alle forze, e che riuscirà Maggiore, anzi Massimo, quando sarà aggradita da Vostra Serenità, come humilmente la suplichiamo. Gratia”. G. A. CAPELLARI - VIVARO, Il Campidoglio Veneto…, già cit., cc. 131 v. – 132 r. 28 I GIOVANELLI A SOSSANO Per quanto riguarda il ramo dei Giovanelli che ci interessa, val la pena di ricordare che Carlo Vincenzo, la cui Commissaria acquistò i beni di Sossano, dopo essere stato nel 1686 Podestà e Capitano di Crema, venne eletto, nel 1694, Podestà di Vicenza 1 . E in relazione a questa carica, che lo porta ad inserirsi nell’ambiente vicentino, possono essere valutati gli acquisti di proprietà fondiarie nel Basso Vicentino che i suoi eredi realizzeranno qualche anno più tardi. Il 21 gennaio 1704 egli muore, all’età di 54 anni, lasciando 9 figli: Gaetano Andrea (Podestà a Crema e a Treviso), Pietro Francesco, Carlo, Iseppo (Capitano a Bergamo e Senatore), Giovanni Benedetto, Giovanni Battista, Paola Maria, Cecilia Eleonora, Lodovica Maria Teresa. Nel suo testamento, presentato negli atti di Carlo Gabrielli il 14 giugno 1703 2 , Carlo Vincenzo Giovanelli stabilì che tutti i suoi beni immobili fossero soggetti a Fidecommisso mascolino per i suoi discendenti legittimi e abili al Serenissimo Maggior Consiglio. Istituì Commissari i cugini Benedetto e Giovanni Paolo assieme alla sua consorte Loredana Emo che sarebbe rimasta unica commissaria, unitamente al figlio maggiore Gaetano, in caso di rinuncia dei cugini, come in effetti avvenne. E’ tale Commissaria, dunque, che nel 1711 acquista da Scipione Ferramosca le proprietà di Villaga e Sossano. Qualche anno più tardi, l’11 marzo 1728 si procede, con strumento rogato da Carlo Gabrielli 3 , alla divisione delle proprietà fra i figli maschi e la madre. In base a tale divisione a Giovanni Battista Giovanelli, sacerdote della Congregazione dell’Oratorio di Bologna, toccò la metà dei beni e delle case acquistate a Sossano e Villaga. In seguito, Padre Giovanni Battista acquistò altre proprietà 4 a Perarolo, Vigonza, Loreggia, San Lazzaro al Ponte di Brenta, Stradelle sotto Strà, Carpene sotto Miran, Vigo d’Arzere, Vigonovo… 29 Costretto, però, a lunghi periodi di assenza a causa degli irrevocabili impegni che lo trattenevano a Bologna, Giovanni Battista si accorda con il fratello Giovanni Benedetto prima privatamente e poi con un atto pubblico. Nella scrittura datata 9 luglio 1754, registrata solo 10 anni dopo, relativa ai beni di Sossano pervenuti in ambedue le parti in forza delle Divisioni eseguite nell’anno 1727, Giovanni Battista Giovanelli concede al fratello “hà titolo di affittanza seu livello la portione tutta degli enonciati Beni da lui possessi” ricordando che all’anno 1727: “furono stati fatti dallo stesso N.H. Signor Conte Padre Gio. Battista, rispetto la di lui absenza dalla Città, e da Beni stessi, varj contratti con il predetto N.H. Signor Conte Gio. Benedetto”. Giovanni Battista si riserva di poter abitare durante tutta la sua vita “la metà della casa dominicale” mentre “la fabrica della chiesetta ivi esistente, e tutte quelle supelettili alla medesima occurenti con le altre Divozioni dallo stesso N.H. Signor Conte Gio. Battista introdotte, s’intenderano hà suo peso, come fin’ora hà continuato, né che mai possi esser obligato lo stesso Signor Conte Benedetto ad alcuna minima contribuzione, solo in quella solennità et altre come tutt’ora continua” 5 . Clausola, questa, molto importante per comprendere le vicende costruttive e la storia dell’oratorio settecentesco. 30 NOTE 1 G. A. CAPELLARI - VIVARO, Il Campidoglio Veneto…, già cit., cc. 131 v – 132 r. 2 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Giuseppe Comincioli…, già cit. 3 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Carlo Gabrielli, b. 7137, cc. 12 r – 15 v. 4 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Giuseppe Comincioli…, già cit. 5 A. S. Ve., Fondo Notarile Atti, Notaio Carlo Gabrielli, b. 7568, 823 v – 824 r. 31 LA VISITA VENIER: INTERVENTI SULL’ANTICA CHIESETTA Subentrati, dunque, ai Ferramosca, i Giovanelli curano inizialmente la ristrutturazione della residenza dominicale rivolgendo particolari attenzioni all’attiguo oratorio che, con le sue forme modeste, non appariva in grado di soddisfare le esigenze dei nuovi proprietari. Un primo intervento consiste nell’erezione di un nuovo altare, dedicato alla Beata Vergine dell’Aiuto 1 , come si legge nella relazione del Vescovo Sebastiano Venier che, nel 1723, aveva visitato la parrocchia di Sossano: “Visitavit Ecclesiam Sancti Philippi Nerij in contracta dell’Olmo nobilis viri Giovanelli sub praedicta parochiali. Habet dua altaria: maius sub titulo Sancti Philippi Nerij elegans constructum, habet omnia requisita, alterum sub titulo Beatae Virginis de Auxilio bene provisum…” 2 . E, come vedremo, tale culto della Madonna dell’Aiuto connoterà in maniera ancor più evidente il successivo oratorio della famiglia Giovanelli. 32 NOTE 1 Nel 1721 Gaetano Andrea, il maggiore dei sei fratelli Giovanelli, a quel tempo Podestà di Crema, impedì nella città la diffusione del panico alla notizia della morte per peste di un soldato proveniente dalla Provenza, e diede sagge disposizioni per evitare l’epidemia. (ARCHIVIO PRIVATO DEI PRINCIPI GIOVANELLI DI ROMA, Albero genealogico) Questo episodio può forse essere collegato con l’erezione dell’altare della Madonna dell’Aiuto, invocata particolarmente in periodo di guerre e di epidemie. 2 A. C. V. Vi., Visitationum, Venier, b. 12/0564, 4 settembre 1723. Dalla visita si deduce altresì che i Giovanelli possedevano due oratori a Sossano: “S. Filippo Neri di Signori Conti Giovanelli Contrà dell’olmo... Santissima Trinità di Signori Conti Giovanelli Contrà del Palazzetto…”. Nell’elenco degli edifici religiosi di Sossano è nominata anche la chiesa di “S. Giustina – del Seminario Contrà della Torresina”. L’ubicazione qui riportata di S. Giustina contrasta con la tesi sostenuta dagli storici sossanesi che situano la chiesetta dietro l’abside della parrocchiale, sullo sperone della collina, nello stesso luogo dove invece, secondo la visita Venier, sorgeva la cappella della S.S. Trinità dei Giovanelli. Cfr. A. MISTRORIGO, Storia…, già cit., pp. 18-25-26. 33 LA COSTRUZIONE DEL NUOVO ORATORIO La realizzazione del secondo altare sembra, però, una soluzione transitoria, in vista di un intervento più radicale che porterà alla completa ricostruzione dell’edificio. Nel 1727, infatti, Gaetano e fratelli Giovanelli presentano una supplica al Venier affinché venisse loro concessa la autorizzazione a fabbricare il nuovo oratorio di famiglia. Il 23 ottobre il Vescovo accordava loro la licenza “di poter far fabricare una chiesa sive Oratorio publico sopra proprij fondi in Villa di Sossano di questa diocesi da dedicarsi al Signore Iddio sotto l’invocatione della Beata Vergine dell’Aiuto, e di San Filippo Neri…” 1 . Secondo la legislazione ecclesiastica i costruttori dovevano attenersi a regole ben precise, in particolare la chiesetta doveva essere fatta “in forma decorosa, con una sola porta respiciente sopra la publica strada, lontana e libera affatto da usi domestici, e nel modo prescritto dalle sacre e sinodali costitutioni” 2 . Essa non doveva, infine, ostacolare l’attività della chiesa parrocchiale. Ottenuto il permesso, i Giovanelli si impegnano nella realizzazione della cappella che risulta ultimata nel 1732, come ricorda un’iscrizione posta all’interno. Benedetta il 4 maggio 1734 3 , la chiesetta sembra concretizzare le aspirazioni di questa nuova aristocrazia. Siamo ben lontani dalle linee essenziali, dalla semplice aula dell’oratorio campestre dei Ferramosca, espressione di una nobiltà che, nonostante i sogni ambiziosi, era rimasta fondamentalmente provinciale. Le proporzioni e l’eleganza del nuovo edificio sacro, la profusione di elementi decorativi che lo rendono assai più vistoso della modesta residenza padronale, ci riportano decisamente al mondo della “nobiltà del denaro”, ai suoi spregiudicati ideali, ad una visione 34 politica ed economica svincolata dal circoscritto ambito della provincia vicentina. E in questo contesto si arricchisce di particolari significativi anche la dedicazione del nuovo oratorio, espressione dei vincoli che legavano strettamente i Giovanelli al Tirolo e ai paesi d’oltralpe. 35 NOTE 1 A. C. V. Vi., Stato della chiesa, Sossano, b. 300. 2 A. C. V. Vi., Stato della chiesa, Sossano, b. 300. 3 A. C. V. Vi., Stato della chiesa, Sossano, b. 300. Il 4 maggio 1734 il Canonico Marco Antonio Biolo, vicario generale del vescovado vicentino, si recò a Sossano insieme al notaio vescovile Giovanni Battista Bortoloni e avendo trovato la chiesa ben costruita e elegantemente provvista di tutte le cose necessarie secondo le sacre norme apostoliche e quelle delle costituzioni sinodali la benedisse e vi celebrò la messa. 36 LA DEDICAZIONE: IL CULTO DELLA MADONNA DELL’AIUTO Come già osservato, nei paesi di lingua tedesca i Giovanelli possedevano estesi domini, “bona feudalia” specie in Germania e una “aedem nobilissimam” a Vienna 1 . Ed è proprio in questi territori di oltralpe che l’invocazione motivata biblicamente a Maria aiuto dei cristiani 2 apparve, per la prima volta, nell’edizione della Litania Lauretana stampata nel 1558 a Dillingen 3 . Tale supplica, divenuta in breve tempo popolare, salì spesso alle labbra di una umanità travagliata da epidemie, da guerre e da calamità naturali, associandosi dal 1618 ad una effigie della Madonna dipinta da Lucas Cranach. Dopo numerose vicissitudini 4 , nel 1650, il dipinto fu collocato nell’altar maggiore del duomo di Innsbruck, ove è tutt’ora conservato. Numerosissime furono le copie del capolavoro di Cranach che si diffusero nei paesi di lingua tedesca: una ne commissionò pure il canonico Marquard von Schwendi per la nuova chiesa dedicata alla Madonna dell’Aiuto, presso Passau dove, già nel 1627, i seguaci del culto si erano uniti in una Confraternità 5 . A Innsbruck, inoltre, in seguito alla liberazione dalla temuta invasione degli svedesi, gli Stati tirolesi eressero nel 1647 una chiesetta intitolata a Mariahilf. Nel frattempo, si creavano nuovi punti di diffusione del culto ad Amberg, Vilsbiburg, Monaco, Vienna e in tutte le valli delle Alpi tirolesi. Riproduzioni della sacra immagine furono affrescate sui muri delle case, sui capitelli, collocate in chiesette e abitazioni, specialmente in Tirolo dove numerose furono le cappelle dedicate a Mariahilf. Un ruolo fondamentale nella diffusione di questo culto ebbero i Cappuccini che custodivano il santuario di Passau e, in genere, tutti i Francescani che si adoperarono in favore della devozione erigendo altari alla B.V dell’Aiuto nelle loro chiese. 37 Una più intensa concentrazione di tale culto si può, inoltre, riscontrare lungo le principali vie di comunicazione o in luoghi che più frequentemente subivano la minaccia di invasioni e guerre come, ad esempio, la Strada del Brennero. Anche i villaggi posti sulle rive del Danubio riservavano una particolare devozione all’Ausiliatrice di Passau che i conduttori di zattere avevano scelto quale protettrice del loro pericoloso lavoro. Significativamente, anche quando, nel 1683, i Turchi posero l’assedio a Vienna, “Mariahilf” divenne grido di guerra e di speranza; la successiva vittoria definitivamente consacrò la fortuna di questo culto mariano. Nel 1684 sorse, infatti, a Monaco, nella chiesa di S. Peter, un’arciconfraternita che riuniva tutti i fedeli di Maria Ausiliatrice. Gli elenchi, compilati dal 1684 al 1730, presentano una media di 10.000 iscrizioni annuali. In essi vengono citate quasi 6.000 località dalla Germania, al Basso Reno, alla Polonia, e all’Italia ove, nei primi anni del sec. XVIII, la Confraternita contava più di 80.000 membri concentrati, in particolare, nella Pianura Padana 6 . Nonostante ciò, rare risultavano le copie della sacra immagine venerata in Italia. A Roma, nella chiesa di Gesù e Maria degli Agostiniani Scalzi, una tela riproducente l’opera di Cranach fu esposta in una cappella dalla fine del sec. XVII: il dipinto, venerato sotto il titolo di Madonna del Divino Aiuto, era stato donato da un pellegrino tedesco giunto a Roma dopo la liberazione di Vienna dai Turchi 7 . Una copia settecentesca della Madonna di Innsbruck si trova a Bologna, nella chiesa dei S.S. Filippo e Giacomo, e a Monselice, presso i Francescani di S. Giacomo, si conserva un’effigie della Madonna dell’Aiuto, offerta nel 1680 dal vescovo Gregorio Barbarigo che l’aveva a sua volta ricevuta da un gruppo di novelli vescovi austriaci e bavaresi 8 . L’immagine, ospitata nel coro della chiesa, divenne meta di devoti pellegrinaggi da parte degli abitanti del luogo tanto che nel 1865 l’entusiasmo dei fedeli darà vita ad una confraternita avente tutte le indulgenze e i privilegi di quelle di Passau, Innsbruck e Monaco 9 . 38 La presenza a Sossano di un Oratorio dedicato alla B.V. dell’Aiuto che, inoltre, custodisce una copia del quadro di L. Cranach, si può spiegare solo in connessione agli stretti legami che univano la famiglia Giovanelli all’area germanica. Non è da escludere, peraltro, che alcuni membri della famiglia risultassero iscritti negli elenchi della Confraternita di Monaco 10 . Appare qui opportuno sottolineare che anche un altro ramo dei Giovanelli, proprietario della villa di Noventa Padovana, possedeva una chiesetta recante la medesima intitolazione. Il 4 ottobre 1778, infatti, il vescovo di Padova Nicolò Antonio Giustiniano scrive di aver visitato “Oratorium sub invocatione Patrocinii B.M.V de iure III.mi et R.mi D. Joannij Federici Mariae Giovanelli Patriarchae Venetiarum necnon Nob. Viri Joannij Benedicti ejus fratris” 11 . 39 NOTE 1 J. FORETTI, F. MANFREDINI, Specimen vitae Friderici Mariae Giovanelli, Padova, 1843, p. 18. 2 G. GNOLFO, Il culto di Maria Ausiliatrice a Roma – note storiche, Roma, 1960, pp. 7-9. L’aiuto della Madre di Dio era considerato dai fedeli come il più efficace di tutti. Già nei primi secoli dell’era cristiana troviamo a Cartagine la formula “Sancta Maria adiuba nos” e a Bisanzio si ebbero migliaia di sigilli col motto dell’Ausiliatrice. In Occidente non mancarono grandi Dottori che affermarono il bel titolo mariano. 3 K. MINDERA, Die Verbreitung des Bayerischen Mariahilfkults, in “Bayerische Frömmigkeit”, München, 1960, pp. 73-74. K. MINDERA, Mariahilf, München, 1961. 4 L’effigie della Madonna di Lucas Cranach era stata donata al vescovo della città di Passau Leopoldo V, fratello dell’imperatore Ferdinando II, dall’elettore Giovanni Giorgio di Sassonia, della cui collezione in Dresda faceva parte. Assunto il governo del Tirolo e del Vorland Leopoldo aveva conservato l’opera del Cranach nella sua cappella di corte a Innsbruck. Solo nel 1650 il suo successore, l’arciduca Ferdinando Carlo, concesse alla città di Innsbruck il dipinto. T. OSTERWOLD, 1472-1553 Lucas Cronach “Der Maler und Seine Zeit”, Der Mitteldeutsche Kulturrat, München, 1972. 5 In entrambi i libri della confraternità di Passau sono presenti nomi di nobili, principi, prelati e membri della casa imperiale. L’imperatore Ferdinando II si iscrisse nel primo volume nel 1630. Il culto oltrepassò i confini tedeschi e raggiunse l’Italia (1631: monastero delle clarisse a Lucca, 1647: convento delle suore di San Pietro a Padova). Cfr. K. MINDERA, Mariahilf…, già cit. 6 Nel primo e più prezioso volume della confraternita di Monaco compaiono immediatamente dopo la fondazione i nomi dei principi Filippo Cajetano di Fermo, Cajetano Francesco di Caserta, ambedue appartenenti a casa Farnese, di Costanza Barberini, e dei vescovi di Firenze e Pistoia. Il culto alla Madonna dell’Aiuto divenne dall’anno 1684 fino al 1720 un movimento popolare italiano. Lo certificano due libri della confraternita, rilegati in cuoio marrone, i quali contengono circa 84.000 nomi italiani. Il primo è più vecchio dei due libri ci è pervenuto danneggiato a causa della guerra e offre poche date e luoghi. In condizioni migliori è il volume più recente, che contiene numerosi nomi di luoghi, in modo che si può mettere insieme un elenco di circa 200 località, soprattutto nella pianura padana. Il testo è in questo 40 caso esauriente e parla della “Confederatio di S. Maria aiutortrice della spettabile città elettorale di Monaco… dilatata in nostri paesi… implorata da persone d’ogni sesso e stata detta volgarmente la Mariana”. I luoghi segnalati nel volume confermano che la confraternita di Monaco si era diffusa da Genova a Venezia, dal Brennero fino a Parma, Ancona e persino a Roma e Napoli. Vengano citati i Visconti di Milano, i Correr, Mocenigo e Vendramin di Venezia e il Conte Michele di Torino. Sono nominati anche dei religiosi come il vescovo e cardinale Gregorio Barbarigo di Padova con il suo seminario e i Vescovi di Sarsina e Modena: Carlo Molza e Francesco Grassi. Cfr. K. MINDERA, Mariahilf,…, già cit. 7 I. BARBAGALLO, Chiesa di Gesù e Maria, Roma, 1967, pp. 36-37. 8 G. F. GHEDINA, Della taumaturga immagine di Maria Vergine Ausiliatrice che si venera nella chiesa di S. Giacomo in Monselice, Venezia, 1883. 9 G. F. GHEDINA, Della taumaturga immagine di Maria Vergine Ausiliatrice…, già cit., pp. 20-22. 10 L’archivio della chiesa di S. Peter risulta momentaneamente inagibile per lavori di restauro, mi è stato perciò impossibile consultare i volumi con gli elenchi dei nomi italiani. Nello studio di Mindera sul culto di Mariahilf viene riportato il nome di Celestino Joanelli, un padre Barnabita tramite il quale l’immagine della Madonna dell’Aiuto giunse nel 1660 nella Friedhofkapelle del sobborgo viennese “Im Schöff” (K. MINDERA, Mariahilf…, già cit., pp. 15-16). Non è da escludere che il padre Joanelli citato appartenesse alla famiglia Giovanelli, che aveva frequenti e continui rapporti con l’impero. 11 A.C.V.Pd., Visitationum, Giustiniano, vol. CII, c. 393 r. La richiesta per la costruzione della chiesetta di Noventa Padovana era stata rivolta al Senato terra nel 1727: “Concorrendo questo Consiglio ad esaudire l’istanze delli N.N.H.H. Giovanni Benedetto e Giovanni Paolo Giovanelli in riflesso anche a quanto espongono li consilieri in jure. Sia permesso alli medesimi Nobili Homini di poter eriggere nella villa di Noventana, sopra tener di propria ragione in vicinanza della Brenta un picciolo Oratorio per farvi celebrare la Santa Messa a comodo loro e di quegli abitanti previi però le solite licenze ecclesiastiche, dovendo poi il fondo restar sempre soggetto alle gravezze col laico. 1727 3 ottobre in Consiglio. Andrea Bernardo Segretario” (A.S.Ve., Senato Terra, b. 294, c. 534 r.) Dalle visite vescovili del 1741 (A.C.V.Pd., Visitationum, Minotto, vol. LXXX, c. 435 r.) e del 1753 (A.C.V.Pd., Visitationum, Rezzonico, vol. XCIII, c. 438 v.) risulta che inizialmente l’oratorio era dedicato alla Beata Vergine del Rosario. 41 IL COMMITTENTE: GIOVANNI BATTISTA GIOVANELLI “IMMACULATE MARIE VIRGINI ET DIVO FILIPPO NERIO IO. BAPTISTA CO IOVANELLI EIUSMET CONGREGATIONES SACERDOS SACRUM VOVET ANNO DOMINI MDCCXXXII”. Murata nelle pareti interne dell’Oratorio di Sossano, tale iscrizione chiaramente indica il nome del principale ispiratore e committente del sacro tempietto: Giovanni Battista Giovanelli, filippino, appartenente alla congregazione dell’Oratorio di Bologna 1 . A lui era, infatti, toccata la gran parte dei beni siti in Sossano, dopo le divisioni operate nel 1727 e sebbene, risiedendo abitualmente nel capoluogo emiliano, avesse affidato le sue proprietà al fratello Gio. Benedetto, alcuni scritti attestano il suo interessamento nei confronti della cappella gentilizia 2 . Nato nel 1702, all’età di 21 anni Gio. Battista aveva presentato la domanda per essere accolto nella congregazione dell’Oratorio bolognese. Così, infatti, si legge nel Libro de’ Partiti, Consegli e Decreti della Congregazione conservato presso l’Archivio dei Filippini di Bologna 3 : “A dì 13 Aprile (1723) martedì dopo pranzo il Reverendo Padre congregati avendo i Quattro Deputati propose loro un nuovo soggetto che domandava l’ingresso in congregazione ed era il Signor Conte Abbate Gio. Battista Giovanelli nobile veneziano, chierico negli ordini minori, facendo in oltre leggere una lettera scritta dalla Signora Contessa Lauretana Emo Giovanelli sua madre: diretta al medesimo Padre Preposito su la vocazione del figliolo, e consideratesi le qualità dell’uno, ed il beneplacito dell’altra si convenne di pensarci, e di prendere rissoluzioni convenienti”. Accettato dalla totalità dei confratelli, Giovanni Battista compì il suo mese di Foresteria, e, il 30 maggio, venne accolto nella congregazione. Terminato il triennio del noviziato ottenne il consenso per ascendere agli ordini sacri ma nel contempo la sua salute cagionevole gli causava gravi impedimenti. Il 17 giugno 1726 gli fu concesso 42 “di portarsi a Venezia sua patria, ed di dimorarvi tutto quel tempo, che sarà da lui riputato conveniente per rimettersi in buona salute”. Frequenti saranno le richieste da parte di Gio. Battista di potersi trattenere in patria o di essere esonerato da particolari mansioni per motivi di salute. Il 30 giugno 1728 “fù dispensato dal sermoneggiare, e dalle altre funzioni dell’Instituto, che portan seco applicazione di mente, adducendo egli per impetrare tal dispensa la sua lunga, e ormai abituale indisposizione della testa”. Il 4 agosto dello stesso anno ebbe licenza di trattenersi a Venezia oltre il mese e il 7 agosto 1736, scrivendo dalla città lagunare, chiese di “essere dispensato dal dover fare la Congregazione delle Colpe, aducendone per motivo l’incommodo, che continuava a sofrire al capo, onde non poteva aplicare; alla quale istanza con della condesendenza si acconsentì”. Complessivamente, nel 1736, Gio. Battista sostò a Venezia per ben 8 mesi. Reali indisposizioni e malattie immaginarie impediscono al Padre Giovanelli una costante presenza a Bologna, limitandone altresì le varie attività all’interno della Congregazione: dispensato dalle abituali mansioni, celebra la Messa “se non alcune poche volte l’anno” ed evita ogni attività che implicasse un eccessivo impegno della mente. Le sostanziose offerte, i paramenti e gli arredi sacri che Gio. Battista dona frequentemente alla Sagrestia gli permettono, tuttavia, di ottenere con facilità dispense e permessi, di guadagnare, insomma, la “condescendenza” dei Padri nei confronti delle “sue croniche Indispositioni d’Ippocondria”. Alle frequenti assenze da Bologna causate dalla salute malferma, si aggiungono anche soggiorni a Venezia per curare gli interessi familiari. Il 19 ottobre 1744 “Nonostante i varij decreti contrari fù del Reverendo Padre dispensato il Padre Giambattista Giovanelli dalla contribuzione corrispondente al tempo della sua absenza dalla Congregazione di due anni interi e quattro mesi in circa. E questa 43 dispensa gli fù accordata anche per questa volta non tanto in riguardo alle sue istanze quanto in riguardo a benefizi da lui fatti di varie spese per la Congregazione e per la Sagrestia, e ultimamente ancora di un regalo di paramenti e arredi sacri” 4 . Nonostante la cagionevole salute e il carattere umile e modesto Giovanni Battista finisce, però, per legare indissolubilmente il proprio nome all’elegante tempietto di Sossano in cui sembrano concretizzarsi le aspirazioni e le ambizioni della famiglia. Anche quando nel 1754 egli concede al fratello “a titolo di affittanza o Livello” tutte le sue proprietà Sossanesi, si impegna a mantenere a sue spese la chiesetta da lui pensata e decorata con gusto e devozione. Uomo profondamente religioso e animato da grande carità egli suggerisce le iscrizioni che, poste al di sotto delle grate, dovevano indurre alla meditazione contribuendo, nello stesso tempo, a delineare la personalità del committente. Oltre alla già ricordata dedicazione, nella chiesetta dell’Olmo si legge, infatti, “Beatus qui intell(i)git super egenum et pauperem” e “Centuplum accipietis et vitam eternam possi debitis” 5 . Non sembra, inoltre, improbabile che, oltre a curare la parte più propriamente religiosa, egli si sia personalmente impegnato a contattare l’architetto la cui personalità è rimasta finora ignota e a fornire la pala di S. Antonio da Padova che, come vedremo, risulta di evidente matrice emiliana. Giovanni Battista Giovanelli morì il 18 gennaio 1775 alle ore 22 e ¼; due giorni dopo, nel corso delle esequie, Giuseppe Maria Imbriani ne pronunciò l’elogio funebre 6 : “Giovanni Battista Giovanelli, nato a Venezia da nobili genitori, insignito del sacerdozio, morì il 18 del mese predetto, a 52 anni dal suo ingresso nella Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri in Bologna, a 73 anni di età. Adorno di non comuni virtù, lasciò un prezioso ricordo di sè. Infatti in lui la nobiltà dei natali rendeva più evidente l’umiltà con cui, considerando se stesso, trattava gli altri sinceramente con ogni amore e rispetto. La purità di coscienza, la modestia dell’animo nelle parole e nelle opere sempre risplendettero tanto che tutti si partirono da un colloquio con lui bene istruiti, e nessuno mai offese nemmeno lievemente con parole o con atti. Le afflizioni dell’animo, le malattie del corpo, dalle quali in quanto caro a Dio fu travagliato, sopportò serenamente con pazienza e fiducia in Dio. Tuttavia la carità verso il prossimo splendette in lui di luce più fulgida; ne sono testimoni tutti quei poveri, e furono moltissimi in verità, che in lui ricorrevano 44 come tenerissimo Padre; essi infatti potranno affermare che nessun povero fece ricorso alla sua grande carità senza tornarsene confortato. In queste opere di misericordia fu trovato fedele da Dio fino alla fine, avvicinandosi la quale, confortato prima dal Santo Viatico, si addormentò serenamente nel suo bacio. E in questo giorno fu seppellito con i suoi Padri nella nostra Chiesa”. 45 NOTE 1 La Congregazione dell’Oratorio aveva avuto origine a Roma da un gruppo di sacerdoti secolari, che si erano raccolti sotto la guida di S. Filippo Neri. Le prime regole di convivenza erano state dettate dal Santo nel 1565 e nel 1575 la congregazione era stata eretta canonicamente. Gli oratoriani erano sacerdoti liberi da voti religiosi, che vivevano in comunità sotto l’autorità di un preposito eletto ogni tre anni. Potevano disporre delle proprie sostanze limitandosi a versare una retta mensile. Si dedicavano alla santificazione delle anime attraverso l’istruzione, la direzione spirituale, la predicazione e l’apostolato liturgico soprattutto fra i giovani. Alla morte del Santo, avvenuta a Roma nel 1595, le Congregazioni dell’Oratorio già fondate erano sette. In Italia, entro i primi anni del secolo XVIII, le comunità oratoriane erano oltre cento e si diffusero particolarmente dopo il 1622, anno in cui Filippo Neri fu dichiarato Santo. (Cfr. C. GASBARRI, Filippo Neri, voce in “Bibliotheca Sanctorum”, vol. V, Roma, 1964, coll. 760-789.) La Congregazione di Bologna era stata solennemente costituita nel 1621 dall’Arcivescovo bolognese Ludovisi che, eletto Papa col nome di Gregorio XV, la favorì particolarmente. Circondata di prestigio, essa accolse sacerdoti provenienti da ogni parte d’Italia, uomini illustri per nascita e per dottrina, fra i quali i patrizi veneti Giovanni Andrea e Urbano Savorgnan, qui giunti nello stesso periodo del Giovanelli (Cfr. R. BONORA, L’oratorio in Bologna, Bologna, 1895). 2 A.S.Ve., Fondo Notarile, Notaio Lodovico Gabrielli…, già cit. A.S.Ve., Fondo Notarile, Notaio Giuseppe Comincioli…, già cit. 3 ARCHIVIO CONGREGAZIONE DI S. FILIPPO NERI DI BOLOGNA, S. MARIA DI GALLIERA, Libro de’ Partiti, Consegli e Decreti, vol. VII, AA. 1703-1736, cc. 73 r – 93 v – 100 r – 142 r. La nota è riferita a tutte le notizie citate dal volume VII. 4 ARCHIVIO CONGREGAZIONE DI S. FILIPPO NERI DI BOLOGNA, S. MARIA DI GALLIERA, Libro de’ Partiti, Consegli e Decreti, vol. VII, AA. 1737-1770, c. 35 r. 5 La prima iscrizione ripete un versetto dei Salmi che viene recitato durante la messa del 26 maggio, festa liturgica di San Filippo Neri, mentre la seconda si trova nel Vangelo di Matteo (19-28-29). 6 ARCHIVIO CONGREGAZIONE DI S. FILIPPO NERI DI BOLOGNA, S. MARIA DI GALLIERA, Fidelium Defunctorum in Ecclesia S. Mariae di Galeria, 1626-1795, c. 135. 46 Nel testo l’originario elogio scritto in latino viene presentato nella versione italiana. 47 L’ARCHITTETURA Il settecentesco oratorio di Sossano, oltre ad essere una significativa espressione della realtà socio-politica e della pietà del tempo, riveste anche un certo interesse per quanto riguarda la tipologia e il pregio artistico: qui, infatti, sulla matrice del tradizionale tempio votivo, sembrano innestarsi nuovi motivi barocchi che pongono l’edificio in una posizione originale e significativa. Esso si sviluppa su una pianta centrale, proponendo una soluzione piuttosto rara nelle chiesette gentilizie della provincia di Vicenza, generalmente impostate su pianta rettangolare 1 . L’oratorio si inserisce tuttavia nella tradizione veneta delle chiese a forma centrale che nel tempietto di Maser si ricollega agli edifici romani 2 e che in età barocca ha il suo miglior esempio nella chiesa della Salute a Venezia 3 , città nella quale esisteva già un’architettura rinascimentale orientata verso le costruzioni centralizzate 4 . Perfettamente inscrivibile in un quadrato, la pianta dell’oratorio dell’Olmo è formata dalla compenetrazione di due motivi diversi: alla matrice fondamentale, a sviluppo circolare, si sovrappone la croce greca, coi quattro bracci tutti uguali, raccordati dagli ambienti angolari. Questi ultimi, delimitati da superfici ricurve, suggeriscono un ideale ambulacro, uno spazio curvilineo che avvolge e si fonde con la croce greca. Tutto il complesso architettonico viene, così, caratterizzato da un marcato dinamismo che si origina dalla pianta, espandendosi in tutti gli elementi architettonici dallo spiccato andamento circolare. A differenza degli edifici rinascimentali, in cui si esaltava la purezza dei dettagli isolandoli per metterne in risalto le raffinate qualità, con l’avvento del barocco la tematica della pianta centrale viene riproposta con intendimenti diversi: il Borromini, il Guarini, Pietro da Cortona, puntano, così, alla perfetta fusione di tutte le parti, cercano di risolvere unitariamente la composizione. Tale procedimento è evidente nell’oratorio di Sossano, ove 48 l’incurvarsi delle superfici, la funzione di raccordo esercitata dai quattro piccoli vani, permettano di valutare l’edificio nella sua coerenza e nella sua omogeneità. Probabilmente, anche le apparenti esagerazioni volumetriche (come la grande cupola) si giustificano una volta che l’edificio venga esaminato sotto quest’ottica unificatrice. Qualcuno potrebbe avanzare delle riserve in merito alla qualità artistica del tempietto che, con la sua originale articolazione planimetrica, costituisce uno degli epigoni dell’architettura religiosa a pianta centrale. Per meglio comprendere l’edificio sarà, quindi, opportuno superare le analisi di carattere estetico-formale e valutare le ragioni che ispirarono la scelta dei vari elementi architettonici e che portarono alla fusione volumetrica sia negli spazi interni che nello sviluppo dell’esterno. All’interno prevale la nitida stesura di superfici luminose, su cui staccano profili d’ombra la paraste abbinate, poggianti sulle strutture che reggono la cupola. Un atrio, coperto da una volta a crociera e lateralmente illuminato da due aperture ovali, immette nel vano centrale e, tramite due porte in legno pregiato, conduce in due dei quattro piccoli ambienti laterali che caratterizzano la pianta dell’edificio. Di questi uno fungeva da sacrestia mentre gli altri, secondo la consuetudine del tempo, erano destinati ai nobili che potevano, così, assistere alle funzioni religiose senza mescolarsi con la gente del luogo. In una della pareti curve, all’esterno, si vede ancora traccia della porta, oggi murata, che metteva in diretta comunicazione il cortile della villa con una di questa stanzette. Pure il Maccà 5 , descrivendo l’oratorio aveva affermato: “…nell’interno vi sono quattro cellette serrate con porte, ogn’una delle quali cellette ha una finestra con ferrata ben lavorata, che mira dentro la chiesa, con ginocchiatojo per poter ivi fare orazione, ed ascoltare la santa messa”. Anche esternamente tre vani si aprono con finestre polilobate chiuse da pregevoli grate in ferro battuto. 49 Originariamente l’atrio era separato dallo spazio centrale mediante una cancellata, anch’essa di ferro battuto, finemente lavorata, e che ora si conserva presso la canonica. Profonda suggestione emana l’ambiente principale: il cubo spaziale inferiore è mediato, nel passaggio alla cupola, da un’ampia fascia a modanature che segna una zona vibrante di chiaroscuro; più in alto, le fasce di diversa larghezza che definiscono l’intradosso, rastremandosi verso la lanterna, esaltano la tensione che raccorda in un unitario concetto spaziale il luminoso interno. Il profilarsi di vani leggermente proiettati all’esterno, in corrispondenza dei 3 altari e dell’atrio, determina, come già si è osservato, un accenno alla croce greca: in realtà gli altari si addossano al muro perimetrale lungo cui sembra snodarsi un percorso circolare. Al centro scende un lampadario di legno, in sostituzione dell’originale in argento. Di un certo interesse sono anche gli altari in cui si nota l’uso del marmo grigio, fatto piuttosto raro nell’architettura religiosa vicentina, grigie sono pure le colonne che sorreggono i timpani curvilinei, nonché le cornici che inquadrano le pale dipinte mentre di marmo rosso sono quelle delle finestrelle polilobate interne. L’accostamento di marmi diversi e pregiati contribuisce a creare una raffinata policromia. L’esterno non è privo di fascino ma, tuttavia, presenta delle incongruenze quasi che l’architetto, fantasioso nel progettare soluzioni originali e nel proporre nuove tematiche, fosse poi frenato da scarsa maestria o da una certa inesperienza nel concretizzare le proprie invenzioni. Nell’edificio sembrano confluire due secoli di esperienze architettoniche che qui si fondono, si armonizzano formando un insieme certamente suggestivo. Si nota un certo stacco fra la parte inferiore, piuttosto severa, classicheggiante, forse di reminiscenza palladiana o, addirittura, anticipazione dell’arte neoclassica, e il coronamento superiore, con la alta cupola e la ricchezza di elementi decorativi festosi, barocco soprattutto nel motivo dei pinnacoli. 50 Il gioco delle paraste e delle colonne, dell’accentuato risalto plastico e dal vibrato chiaroscuro, pare quasi bilanciare la considerevole massa della cupola, con la lanterna insolitamente sviluppata. Nell’insieme, dunque, l’oratorio mostra qualche pesantezza, una accentuazione plastica più barocca che settecentesca. Il prospetto principale, in cui si apre la porta d’accesso, presenta alcuni elementi caratteristici: l’apertura centrale determina, infatti, un elemento di chiaroscuro più deciso per bilanciare il quale si è dato maggior risalto alle semicolonne, robuste, fortemente aggettanti. Addossate alle retrostanti lesene, esse solennemente inquadrano il prospetto e sorreggono il timpano con cornice dentellata. Una eleganza maggiore sembra caratterizzare gli altri prospetti, privi di porta, più finemente disegnati da lesene e ricchi di presentimenti neoclassici. Alquanto interessante è lo spicchio di cupola che sovrasta le cellette: l’andamento sinuoso, curvilineo, ben si inserisce nell’insieme e sembra di modulare il passaggio, suggerito anche dalle 3 finestre ovali, dalla fascia inferiore a quella superiore. C’è quindi un senso di continuità sia orizzontale che verticale. La superficie convessa dei piccoli ambienti, incastrata quasi compressa fra i due bracci della croce greca, sporge con energico scatto e dà un andamento particolare alle cornici. Ciò si nota anche nel prospetto a nord-est in cui la parete si flette assecondando una insolita invenzione dell’architetto, risolta, però, con scarsa eleganza. Di qualità decisamente superiore è il campaniletto a vela che sormonta la facciata opposta alla principale: elemento di indubbio valore artistico, plasticamente ben risolto, decorato con eleganza dalle cornici e coronato da un originale timpano curvilineo, esso costituisce uno dei particolari più intensamente poetici di tutto l’edificio. Un fregio, scandito da triglifi e metope geometriche, caratterizza i quattro prospetti, mentre sul bordo inferiore delle cornici dei frontoni si vedano formelle scolpite con una 51 grande varietà di motivi floreali. Non c’è fredda ripetitività in queste decorazioni e lo si nota nei vasi acroteriali, briosi, fantasiosi, diversi uno dall’altro. In ogni caso, come già si è detto, ciò che più conta in questo edificio non è il dettaglio, il singolo particolare; colpisce, invece, la continua ricerca di una “forma unitaria armonica” (perseguita dagli architetti del ’700 veneziano fra cui il Massari), di una omogenea fusione di tutte le parti, meta ideale per l’architetto di Sossano che non sempre, però, sa risolvere le sue intenzioni sul piano della coerenza formale. Meno evidenti sono, però, le incongruenze stilistiche qualora si osservi l’oratorio da una certa distanza: gli squilibri risultano attenuati e anche il forte risalto plastico dato a colonne e cornici trova una giustificazione, appare necessario per bilanciare la grande, dilatata cupola ottagona, fulcro spaziale di tutta la composizione. 52 NOTE 1 L. LOSA, Oratori gentilizi delle ville vicentine, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Magistero, a.a. 1973-1974. 2 G. B. MILANI, V. FASOLO, Le forme architettoniche, Milano, 1934, Vol. II, p. 171. 3 G. B. MILANI, V. FASOLO, Le forme…, già cit., p. 212. “E su tutto, gloriosa, trionfante armonia, S.M. della Salute (1631), gloria del Longhena, coronamento di tutta una lunga aspirazione di armonie perseguite dal Rinascimento a questo secolo pieno di creazioni. Il sogno intravvisto dai Maestri della Rinascenza nella ricerca di una unità armonica, i segni della romanità impressi nelle testate come archi di trionfo, il legame indissolubile tra l’interno e l’esterno, la trasfigurazione spirituale che si compie nella materia costruita, portano questo edificio alle più elette dello spirito”. 4 W. TIMOFIEWITSCH, Genesi e struttura della chiesa del rinascimento veneziano, in “Bollettino del Centro Internazionale di Architettura Andrea Palladio”, VI°, P. II, Vicenza, 1964, p. 275. “L’archetipo vero e proprio dello spazio architettonico della chiesa rinascimentale veneziana è la chiesa tetrastile a croce greca del tipo bizantineggiante dell’XI e del XII secolo”. 5 G. MACCA’, Storia del territorio vicentino, Caldogno, 1814, T. X, p. 146. 53 IPOTESI PER UNA ATTRIBUZIONE Nonostante l’innegabile qualità artistica del piccolo oratorio dei Giovanelli, non si è ancora giunti ad un soddisfacente precisazione della personalità che l’ha ideato. Appare, in ogni caso, evidente che si tratta dell’opera di un architetto più geniale ed esperto di quelle oscure maestranze locali di frequente attive in zona; basti pensare alla soluzione dello zoccolo con cui egli ha abilmente ovviato al dislivello del terreno in modo da poter costruire perfettamente in piano. Per lungo tempo si è ritenuta attendibile l’ipotesi che attribuiva la chiesetta dell’Olmo all’architetto Girolamo Frigimelica. In particolare, R. Cevese 1 sosteneva che “i caratteri stilistici dell’esterno e più dell’interno portano a credere che l’opera appartenga ad artista padovano o veneziano”, ribadendo la probabile paternità del Frigimelica. In effetti, il persistere dell’eredità palladiana unito ai più vivaci stimoli della scuola barocca – secondo uno schema tipologico caro all’architetto padovano – costituisce uno degli aspetti salienti del nostro tempietto in cui, come già abbiamo osservato, alla zona inferiore, più severa e classicheggiante, si contrappone la fascia superiore vivace, festosa, barocca. Tuttavia, ulteriori considerazioni 2 ci hanno indotto a scartare questa ipotesi attributiva. Anche il nome di Baldassarre Longhena, da alcuni suggerito, cui potevano ricondurre la scelta della pianta centrale, il coronamento e la cupola, confrontabili con quelli della Salute, appariva improponibile se non altro per il fatto che in quegli anni l’architetto era già scomparso 3 . L’assoluta mancanza di documenti relativi alle fasi costruttive della chiesetta dedicata alla Beata Vergine dell’Aiuto ci ha, quindi, indotto a tentare un’attribuzione esclusivamente basata su considerazioni stilistiche: il confronto con altri esempi di architettura religiosa 54 settecentesca presenti nel territorio veneto, il parere degli esperti consultati nel corso delle ricerche 4 , l’esame della letteratura artistica relativa agli architetti operanti in queste zone nel corso del secolo XVIII, sembrerebbero suggerire una presenza, seppur indiretta, a Sossano di Giorgio Massari, il “miglior seguace e continuatore in terra veneta” del Frigimelica 5 . Forse la chiesetta dell’Olmo deriva da un disegno fornito dal Massari stesso e successivamente rielaborato e adattato dal proto cui era stata affidata la realizzazione dell’edificio, oppure essa è opera di un architetto appartenente alla cerchia del Massari o, in ogni caso, ad esso ispirato 6 . Questo spiegherebbe alcune soluzioni poco felici e certe palesi incongruenze stilistiche. Particolarmente significativo appare, in ogni caso, il fatto che Giorgio Massari, nel decennio compreso fra il 1718 e il 1729, abbia prestato la sua opera a tre Congregazioni di Filippini: nel 1718 viene incaricato del compimento della chiesa di Santa Maria della Fava a Venezia; nel 1720 realizza i disegni per la chiesa di Santa Maria della Pace a Brescia che nel 1727 risulta “completa nelle opere murarie, compreso il “coro” 7 ; nel 1729, infine, riceve l’incarico di erigere la chiesa di San Filippo Neri a Vicenza. Considerando questi dati, non appare improbabile che il Padre filippino Giovanni Battista Giovanelli, committente della chiesetta gentilizia, si sia rivolto proprio al Massari, architetto ben noto e apprezzato dai suoi confratelli. Un’ulteriore conferma del rapporto che in quegli anni sembra aver legato la famiglia Giovanelli a Giorgio Massari si può trovare in un documento datato 1739, pubblicato dal Gaudenzio 8 , relativo ai lavori nella villa di Noventa Padovana che apparteneva a Giovanni Benedetto, cugino del committente dell’oratorio sossanese. Questo interessante scritto consiste in un benestare concesso dal Massari per il versamento di 50 ducati al tagliapietra Giacomo Bragato come compenso del lavoro svolto nella villa, e potrebbe riferirsi alla realizzazione della maestosa scalinata, disegnata, si presume, dall’architetto veneziano. 55 Inoltre, alcuni caratteri stilistici, certe soluzioni architettoniche sembrerebbero avvicinare la chiesetta dell’Olmo al linguaggio del Massari. “Egli trasse dal barocco le sue forme più vitali – scrive, infatti, Antonio Massari 9 – adottando nelle chiese piante dalle forme più svariate: rettangolari o quadrate, ad angoli tagliati fino a diventar ottagonali, o ad angoli smussati in tondo, a successivi ottagoni, ad ellissi. Il risultato di questa varietà di disegno non è mai impetuoso movimento, non ha espressioni drammatiche, non rivela né passionalità né interno tormento. Le pareti curve, le volte ariose hanno solamente lo scopo di dare allo spazio una forma unitaria armonica, senza asprezze, più morbida… Anche le fronti di alcune chiese acquistano un misurato movimento raccordandosi sugli angoli, in successivi piani arretrati, con le pareti laterali dell’edificio…” In mancanza, quindi, di prove documentarie solo il confronto con opere certe o attribuite all’architetto può fornirci spunti interessanti. Eloquente appare, innanzitutto, il confronto con la pianta della piccola chiesa di Santo Spirito a Udine, datata 1738, una della più significative creazioni del Maestro 10 ; inscrivibile in un quadrato ma con gli angoli arrotondati sì da formare un ottagono, caratterizzata dall’elemento circolare e dominata da un marcato dinamismo, la pianta della chiesetta udinese si articola in modo simile a quello dell’oratorio di Sossano. Anche il motivo della trabeazione, decorata con caratteristici triglifi e, talvolta con metope geometriche, poggiante su semicolonne o su lesene, ricorre con una certa frequenza nelle opere del Massari: ad esempio nella facciata del Santuario della Madonna delle Cendrole a Riese (TV) o nell’interno del Duomo di Capodistria e nella Parrocchiale di Gussago (BS). Lo stesso prevalere dell’elemento circolare, specie nell’elegante campaniletto a vela che richiama il motivo del timpano curvilineo, oltre alla forma degli altari (si confrontino soprattutto con quelli di San Simeone Grande) e la caratteristica chiave di volta dell’arco, sembrano avvalorare l’influsso del Massari, verso il cui ambito ci orientano anche la cura nei dettagli e l’attenzione per ogni piccolo particolare. E’ noto, infatti che “di una nuova fabbrica il Massari curava tutti i particolari, e anche, normalmente, tutta la decorazione interna, a lui spettando la scelta di maestranze e di artisti” 11 . 56 Il suo gusto raffinato e decorativo, formatosi alla bottega paterna lo portò anche a dedicarsi alla realizzazione di mobili, dossali, cantorie, e arredi sacri. La predilezione per i motivi ornamentali ben lavorati e proporzionati sembra connotare anche l’interno dell’oratorio sossanese ove prevale il gusto veneziano per i materiali preziosi, per i morbidi effetti di luce creati dall’accostamento di marmi policromi. L’ariosità, “la modulazione luminosa degli interni” “che si accentua intensa nella parte alta, da cui ha fonte, e che si diffonde poi verso il basso in una progressiva graduazione delle ombre” 12 , la felice riproposta dell’insegnamento palladiano nell’armonico rapporto spazio-luce-colore, il gusto per la decorazione semplificata, appena suggerita dai lisci risalti di muratura, da delicate riquadrature, da fasce policrome, appaiono strettamente connessi alla raffinata sensibilità di Giorgio Massari. Di squisita fattura sono anche le grate in ferro battuto che chiudono le finestre interne: spontaneo viene il confronto con il cancelletto della chiesa dei Gesuati a Venezia, con l’ingresso di villa Lattes-Tamagnini ad Istrana, con le grate della chiesa veneziana della Pietà, ennesima testimonianza di come l’arte del Massari “nei particolari meravigliosamente si impreziosisse” 13 . Per quanto riguarda la chiesetta dell’Olmo, tuttavia, la presenza di certe soluzioni poco felici o inconsuete all’architetto veneziano (pensiamo ai pinnacoli, troppo rococò, o ai gocciolatoi eccessivamente elaborati che danno all’insieme un tono piuttosto provinciale) ci impediscono di sostenere un’attribuzione al Massari; in ogni caso, l’oratorio dei Giovanelli non più, a nostro avviso, essere valutato al di fuori della particolare scuola architettonica ispirata al Massari e ugualmente sensibile all’eredità palladiana e alle più vivaci suggestioni barocche. 57 NOTE 1 R. CEVESE, Ville della provincia…, già cit., p. 599. 2 Girolamo Frigimelica nel 1722 si trasferì a Modena non facendo più ritorno a Padova, e morendo colà nel 1732. Cfr. BRESCIANI ALVAREZ, Girolamo Frigimelica e la chiesa del Torresino in Padova, estratto dalle “Memorie dell’Accademia patavina di Scienze Lettere ed Arti”, vol. LXXIV, Padova, 1962. 3 Cfr. C. SEMENZATO, L’architettura di B. Longhena, Padova, 1954. 4 Ringrazio in particolare l’avvocato Antonio Massari per le preziose indicazioni suggeritemi. 5 G. BRESCAINI ALVAREZ, Girolamo Frigimelica…, già cit., p. 8. 6 “Alcuni anzi ricorsero addirittura al suo consiglio; altri, su richiesta dei committenti o della autorità, dovettero sottoporre al suo parere i loro progetti. I documenti ce ne ricordano qualche esempio lasciandoci supporre che il caso non dovesse essere infrequente”. A. MASSARI, Giorgio Massari architetto veneziano del settecento, Vicenza, 1971, p. XXV. 7 A. MASSARI, Giorgio Massari architetto…, già cit., p. 3. 8 L. GAUDENZIO, Sculture inedite di Antonio Tarsia nella villa Giovanelli a Noventa Padovana, in “Arte Veneta”, a. VII, 1953, pp. 157-159. 9 A. MASSARI, Giorgio Massari architetto…, già cit., p. XVII. 10 A. MASSARI, Giorgio Massari architetto…, già cit., p. 83-84. 11 A. MASSARI, Giorgio Massari architetto…, già cit., p. XXXI. 12 A. MASSARI, Giorgio Massari architetto…, già cit., p. XXIX. 13 A. MASSARI, Giorgio Massari architetto…, già cit., p. XXXII. 58 LE SCULTURE DELL’ALTAR MAGGIORE Forse per conservare una certa uniformità, una simmetria fra i tre altari (in tutti lo spazio riservato alla pala è di cm 186 x 95 circa), la piccola effige della Beata Vergine dell’Aiuto venne incastonata in una lastra di marmo di Carrara artisticamente pregevole e dall’interessante iconografia. I putti e gli angeli che circondano la sacra immagine sembrano, infatti, sostenere, portare in trionfo la Madonna, ripetendo, così, lo schema iconografico dell’Assunta. Probabilmente coeva all’erezione del nuovo oratorio dei Giovanelli 1 , la stele marmorea appare, nel complesso, di buona fattura ed è stilisticamente riconducibile ad artista gravitante nell’area veneziana, appartenente a quella “generazione di scultori classicisti attivi nel primo settecento” 2 . La fascia inferiore del bassorilievo è quasi interamente occupata da un angelo assiso sulle nubi e affiancato da due cherubini: i dilatati volumi, la compostezza del gestire, la calma serenatrice che avvolge la figura lasciano trasparire un ideale di classico equilibrio. Piuttosto rigido e stilizzato è il panneggio delle vesti, mentre le braccia si elevano a sorreggere l’immagine devozionale. Il volto, dal profilo ben designato, è privo di caratterizzazione fisionomica, piuttosto astratto, fedele ai canoni estetici del classicismo. In secondo piano, in rilievo ancor più schiacciato, affiorano fra le nubi le due grandi ali. Nei rimanenti tre lati prevale un motivo decorativo con nuvole stilizzate e tondeggianti dalle quali si affacciano volti paffuti di cherubini. Completano la composizione due angeli che coronano il timpano ricurvo dell’altare assecondandone il movimento, figure aggraziate che reggono mazzi di fiori. L’eleganza del loro gestire è sottolineato dal morbido panneggio delle vesti mentre i volti tradiscono un certo distacco. 59 I caratteri stilistici e compositivi ci inducano a collocare tali sculture nei primi decenni del ’700, periodo in cui era ancora largamente diffuso il “classicismo barocco” che si era contrapposto, nel corso del sec. XVII, all’esuberanza e all’emotività del Manierismo e all’eccessivo naturalismo imposto dalla Controriforma, preparando, nel contempo, la strada al trionfo del Neoclassicismo 3 . Si era così affermata l’esigenza di un “ritorno alla semplicità compositiva, alla regola e al decoro contro l’estrosità personale” 4 . Reazione, quindi, anche nei confronti della stravaganza dell’artificiosità, della teatralità, e che trova a Venezia un terreno particolarmente fertile. Nel primo Settecento, infatti, venne formandosi nella città lagunare un ambiente sensibile agli studi classici, successivamente, alimenterà il neoclassicismo di Antonio Canova. La scultura, soprattutto, conosce un periodo fortunato anche se raramente assurgerà al ruolo di protagonista perché, in genere, destinata a fini puramente decorativi. In ogni caso, nei primi decenni del secolo, un folto gruppo di artisti contribuisce ad elevare la qualità della plastica veneziana, affermando l’esigenza di “una maggiore espressione di grazia, di una composizione più tranquilla e meditata, di una più accurata finitezza tecnica, di una più corretta concezione della forma” 5 . La prima generazione di scultori classicheggianti, documentata soprattutto ai SS. Giovanni e Paolo comprende: i Groppelli, Paolo Callalo, Antonio Tarsia, Pietro Baratta, Alvise e Carlo Tagliapietra, Giuseppe Torretto. A questi si ispireranno, in seguito, altri artisti quali Antonio Gai e Antonio Corradini di Este, scolaro e parente del Tarsia. E a questo fertile ambiente sono probabilmente riconducibili le sculture di Sossano. In particolare, elementi stilistici e notizie desunte da documenti del tempo, inducono a proporre, quale autore, Antonio Tarsia (1622-1739), anche se non esistono prove dirette che avallino tale ipotesi. Innanzitutto lo stile; caratteristiche del Tarsia figurazioni dall’equilibrio quasi accademico, 60 sono: la compostezza delle sue “le preferenze classicistiche nella geometrizzazione dei ritmi, nel carattere astratto dei volti, nel loro profilo preciso”, lo stile semplice e scorrevole, le composizioni volumetricamente ampie 6 . Scrive ancora C. Semenzato: “Era uno scultore limpido, che non esibiva virtuosismi ma che sapeva essere elegante e ottemperare a certi canoni di equilibrio senza cadere in un freddo accademismo” 7 . Interessante, ai fini dell’attribuzione, è anche far notare come, nel periodo compreso fra il 1721 e il 1739, il Tarsia avesse più volte operato al servizio della famiglia Giovanelli. L. Gaudenzio 8 ha, infatti, pubblicato il carteggio tra il conte Benedetto Giovanelli, procuratore di S. Marco, proprietario della villa di Noventa Padovana e Antonio Tarsia, carteggio avviato nell’ottobre del 1721 e in cui si parla di 21 pezzi di scultura realizzati a più riprese dall’artista veneziano per il parco e le adiacenze della villa. Nel 1738, inoltre, egli fornirà anche le due statue dell’“Odorato” e del “Gusto” per la gradinata del pronao. Una ulteriore riprova dei legami fra i Giovanelli e il Tarsia è presente nella Redecima del 1740 dove fra i Beni dichiarati dalla Commissaria del fu Carlo Vincenzo Giovanelli, in contrà di S. Giovanni Decolato, è registrata una “Casa situata in quelle vicinanze tenuta ad affitto da Antonio Tarsia Scultor paga all’anno ducati cinquantanove” 9 . 61 NOTE 1 Nella visita del vescovo Antonio Marino Priuli del 5 settembre 1747 l’altare maggiore viene descritto: “marmoreum et elegans cum sacro portatile in medio adest imago Beatae Mariae Virginis de Hispruche in tela depicta”. A.C.V.Vi., Visitationum, Priuli, b. 16/ 0568, c. 105 r. 2 C. SEMENZATO, La scultura veneta del seicento e del settecento, Venezia, 1966, p. 42. 3 E. BATTISTI, Classicismo, voce in “Enciclopedia Universale dell’Arte”, vol. III, Venezia – Roma, 1958, coll. 695-697. 4 E. BATTISTI, Classicismo…, già cit., col. 696. 5 G. LORENZETTI, Venezia e il suo estuario, Trieste, 1963, p. 125. 6 C. SEMENZATO, La scultura veneta…, già cit., pp. 42-43. 7 C. SEMENZATO, La scultura veneta…, già cit., p. 43. 8 L. GAUDENZIO, Sculture inedite di Antonio Tarsia…, già cit., pp. 157-159. 9 A.S.Ve., Dieci Savi sopra le Decime, Redecima del 1740, b. 320, c. 445 v. 62 LA PALA DI S. FILIPPO NERI Il primitivo oratorio dei Ferramosca, come già aveva notato il vescovo Rubini 1 , era fornito di un solo altare in cui venne posta una pala raffigurante S. Filippo Neri, successivamente collocata nel nuovo edificio, ove è tuttora visibile. Essa rappresenta l’Estasi di S. Filippo che ode cantare gli angeli, episodio che, secondo la tradizione riportata dal Bacci 2 , sembra essersi verificato nel 1592, dopo la morte di Elena de’Massimi. Nella tela di Sossano vediamo il Santo in abito talare con colletto bianco, inginocchiato sul gradino di un altare. Egli ha le braccia aperte in segno di preghiera e gli occhi rivolti al cielo ove, fra le vaporose nubi, appare la visione celeste: un cherubino e, più in alto, due angeli musici, uno con lo spartito arrotolato, l’altro intento a suonare. Di particolare pregio è la “natura morta” sulla sinistra del dipinto, dettagliata descrizione sulla quale il pittore sembra indugiare non senza compiacimento: acquistano, così, particolare risalto la campanella lucente, la pisside e l’elegante candelabro, i fiocchi dorati, i paramenti posti sull’altare: su tutti spicca il rosso acceso della pianeta mentre, a sinistra, si nota la berretta sacerdotale che S. Filippo indossa nella corrente iconografia. Il dipinto venne, probabilmente, alterato nel secolo XVIII, quando lo si dovette adattare alle dimensioni degli altari del nuovo oratorio: assai evidente è la giuntura nel bordo inferiore della tela che indica un allungamento della stessa ed è, inoltre, possibile che in questa circostanza siano state eseguite le ridipinture che hanno parzialmente modificato l’originaria composizione. Nel quadro si nota, infatti, l’intervento di più artisti: notevoli differenze ci consentono di dividerlo in due parti nettamente distinte. L’andamento verticale, il gusto per i brani descrittivi, la sobrietà, il misurato gestire del santo che caratterizzano la parte inferiore, non trovano corrispondenza nella fascia soprastante briosa, animata dallo 63 scatto diagonale dell’angelo, più affine al gusto del primo Settecento. Si può, dunque, avanzare l’ipotesi di un intervento radicale sul dipinto: forse gli angeli che vediamo sono stati sovrapposti a preesistenti figure, oppure risultano alterati dalle pesanti ridipinture che hanno parzialmente mutato anche il volto del Santo. E’, in ogni caso, opportuno far osservare come i vari interventi non abbiano sostanzialmente mutato l’originaria impostazione della tela, la cui iconografia appare senza dubbio interessante e ricca di suggerimenti. Significativo è, innanzitutto, il fatto che essa corrisponde – nella scelta del soggetto, nei caratteri compositivi e nell’impostazione generale – ad un dipinto di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (Volterra 1552 – Roma 1626) conservato nella chiesa romana di S. Maria in Vallicella 3 . Come scrive il Réau 4 l’estasi del Santo e le apparizioni di angeli o della Beata Vergine sono tipiche della rappresentazione di S. Filippo nell’arte italiana del Seicento; tuttavia, nel Veneto sembra non esistano altri esempi così aderenti al modello romano. In particolare, la posizione del Santo, i suoi tratti fisionomici (pur alterati), la presenza di angeli musici, fonte di estatico stupore, costituiscono i più evidenti punti di contatto fra le due pitture, segno che l’autore della pala sossanese doveva frequentare ambienti culturalmente aperti alle più varie esperienze. Numerosi erano stati i ritratti di S. Filippo Neri eseguiti mentre egli era ancora in vita e grandissima diffusione ebbero i disegni, le incisioni e i dipinti da essi ricavati 5 . Una più precisa definizione dell’iconografia di S. Filippo venne anche dalle tele eseguite, dopo il 1620, da Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (Volterra 1552 – Roma 1626) per la chiesa di S. Maria in Vallicella 6 . Nell’archivio della Congregazione di Roma sono altresì conservate stampe di varia grandezza che erano state allegate alla documentazione relativa al processo di beatificazione di Filippo Neri 7 . 64 La chiesa di S. Maria in Vallicella 8 , l’attiguo archivio e la Biblioteca Vallicelliana, ove si conservano un gruppo di disegni 9 e 44 incisioni raffiguranti episodi della vita del Santo 10 , risultano il nucleo fondamentale per la diffusione in Italia dell’iconografia di San Filippo, sia per quanto riguarda l’aspetto fisico che gli usuali attributi. Significativa è dunque la diretta derivazione del dipinto di Sossano dalla fonte romana. La tela risale alla metà del sec. XVII ed era destinata alla chiesetta dei Ferramosca. Di essa si parla in una lettera – datata 26 giugno 1664 – dell’Arciprete Guglielmo Marangoni: “Vi sono tutti gli ornamenti per l’altare, eccetto che la palla qual deve cappitar de dì in dì da Venetia così mi scrive l’illustrissimo Ferramosca. E proveduta la chiesa delle sacre suppellettili per la Santissima Messa, onde vennuta che sarà la palla posso dire che non vi sarà cosa da desiderarsi né per l’ornamento dell’altar, né per la celebrazione…” 11 . La notizia che il dipinto proveniva da Venezia può indirizzarci verso la personalità del suo autore anche se, come già si è osservato, le pesanti ridipinture rendono difficoltosa l’attribuzione. E’ opportuno tener presente che Cesare Ferramosca era in contatto con la Congregazione di S. Filippo Neri di Venezia fondata nel 1661 da padre Ermanno Stroiffi 12 . Ed è lo stesso Stroiffi che il 22 giugno 1673 riceve un prestito proprio da Cesare Ferramosca: “Dichiaro io Don Ermanno Stroiffi preposito della Veneranda Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri eretto in questa città alla Madonna di Consolazione al Ponte detto della Fava haver ricevuto dal Nobil Homo Cesare Ferramosca ducati mille doicento…” 13 . Lo Stroiffi 14 , come è noto, era anche pittore di certa fama, ricordato da Marco Boschini e dallo Zanetti che di lui scrive 15 : “Discepolo di D. Bernardo Strozza Prete Genovese… Imitò egli sui principii l’eccellente maestro; ma in progresso dispartissi da quello cercando nelle composizioni maggior forza d’ombreggiare, e perciò accostandosi alcuna volta alle tenebre”. “Il suo fu però uno strozzismo di maniera, - asseriscono C. Donzelli 65 e G.M. Pilo 16 – liscio e di superficie; lontano dalla sensuosa ricchezza di materia che è tipica dello Stroizzi”. Più dettagliata è la biografia tracciata dal Pallucchini 17 che ricorda: “Sei tele con episodi della Vita di S. Filippo Neri, di non grande formato, si conservano tuttora nel Convento della Fava, dove lo strozzismo sembra diluito in un generico gusto veronesiano, con ricorsi anche palmeschi” e sottolinea come nelle opere tarde lo Stroiffi: “mostra di essersi adagiato nella scia strozzesca con una certa disinvoltura, ma anche con facilità, fraintendendo il colore succoso, la pennellata sensualmente goduta dal genovese. Il suo – prosegue Pallucchini – è un mimetismo di tipo accademico, che in ogni caso, dimostra come abbia fruttato a Venezia la lezione rinnovatrice del grande pittore genovese”. Non appare quindi improbabile che l’impianto originario della tela appartenga proprio ad Ermanno Stroiffi anche se la sua mano è difficilmente distinguibile a causa delle successive manomissioni. Anche il confronto con il Giuseppe d’Arimatea raffigurato nella “Deposizione” eseguita dall’artista per la chiesa di S. Tomaso Cantauriense a Padova o con un S. Filippo Neri conservato a Venezia (collocazione ignota) sembrerebbe avvalorare tale ipotesi che colloca l’opera nell’ambito della pittura veneziana della seconda metà del Seicento. 66 NOTE 1 A. C. V. Vi., Visitationum, Rubini, b. 11/0563, 21 maggio 1685. 2 G. BACCI, Vita di S. Filippo Neri fiorentino, fondatore della Congregazione dell’Oratorio, Roma, 1622, III, 2, 9. 3 La tela del Pomarancio, collocata nella parete destra della cappella di S. Filippo Neri in S. Maria in Vallicella, raffigura al centro il Santo inginocchiato con gli occhi rivolti al cielo, dove appaiono degli angeli suonatori e dei putti. Una iscrizione in basso dice: “Angelorum concentibus pepervit rerervit”. La medesima iconografia è presente in un disegno acquarellato della Biblioteca Vallicelliana, attribuito a B. Cavarozzi da Viterbo, che porta l’iscrizione “ode cantar gl’angeli”. (Disegni et abbozzi di alcune figure che si trovano stampate nella vita del Santo, in “Miscellanea spettante a S. Filippo Neri”, VALL. 023, I, 25, Fasc. 25, c. 498.) Lo stesso soggetto appare in una stampa di Luca Ciamberlano, conservata altresì nella Biblioteca, ove nella parte inferiore si legge: “Ode cantar gli Angeli Vit. Volg. lib. 3. C. 2n. 9. Occorse nel 1592”. (Iconibus Expressa Vita S. Philippi Nerii, Vall. 014, libro di stampe non datato, che è formato da 44 tavole rappresentanti la vita di S. Filippo Neri). 4 L. REAU, Iconographie di l’Art Chrétien, T. III, Paris, 1959, vol. III, pp. 1072-1073. 5 Cfr. C. GASBARRI, Filippo Neri, voce in “Bibliotheca Sanctorum”, vol. V. Roma, 1964, coll. 787-789. 6 In un recente studio Parma Armani sostiene che i disegni preparatori dei dipinti siano da attribuirsi a Cavarozzi da Viterbo (1590-1625), allievo e aiuto del Roncalli. Il giovane Cavarozzi infatti ricevette dai padri della congregazione una commissione citata nella Miscellanea spettante a S. Filippo Neri (VALL. 023, I, 18, c. 62), della Biblioteca Vallicelliana, secondo la quale Cavarozzi doveva per 10 scudi consegnare ai padri dei disegni sulla vita del beato Filippo. L’Armani inoltre mette in rapporto i quadretti col fascicolo “Disegni et Abbozzi” della Vallicelliana nella Miscellanea spettante a S. Filippo Neri (VALL. 023, I, 25). 7 ARCHIVIO CONGREGAZIONE DELL’ORATORIO DI ROMA, CHIESA NUOVA, Fasciculus diversorum jurium, productus die 8 novembris 1610, ms A, III, 51. Fra le stampe appare un’immagine di S. Filippo inginocchiato che ascolta gli angeli musici, in basso è presente l’iscrizione: “Soavissimis Angelorum concertibus perfruitor”. 8 Cfr. E. STRONG, La Chiesa Nuova, Roma, 1923. 67 9 Disegni et abbozzi di alcune figure che si trovano stampate nella vita del Santo in “Miscellanea spettante a S. Filippo Neri”, VALL. 023, I, 25). I disegni sono stati attribuiti da Parma Armani a B. Cavarozzi da Viterbo, allievo del Roncalli. (Cfr. E. PARMA ARMANI, I quadretti di S. Filippo Neri: e un’ipotesi per B. Cavarozzi disegnatore, Genova, 1979.) 10 VALL. 014, Iconibus Expressa Vita S. Philippi Nerii. Secondo la studiosa Parma Armani, undici delle quarantaquattro tavole che formano il libro sono rifuse da una serie del 1608, ingrandite e corrette. I monogrammi presenti nel frontespizio e nelle tavole 17°, 21° e 44° sono da riferire al lionese Jacques Stella ed al Fiammingo Christian Sas. Le altre 40 vanno attribuite a Luca Ciamberlano, incisore urbinate attivo a Roma tra il 1599 e il 1640. Per quanto riguarda i disegni preparatori la studiosa ritiene che le tavole siano da mettere in rapporto con il gruppo di disegni della Vallicelliana, provenienti in origine dall’archivio dell’Oratorio che sarebbero gli stessi utilizzati intorno al 1620 dal Roncalli per i quadretti di S. Filippo Neri nella cappella a lui dedicata. 11 12 A. C. V. Vi., Stato delle chiese, Sossano, b. 300. “Il Molto Reverendo Don Ermanno Stroiffi quondam Giovanni, Sacerdote Padovano, nutrendo pensiero di fondare in Vinezia la Congregazione dell’Oratorio, sotto l’Instituto di S. Filippo Neri; ottenutane la benedizione da Monsignor Ill.mo e Rev.mo Patriarca Gio: Francesco Moresini, solo Sacerdote, con Carlo Capello milanese in qualità di laico, si ritirò il dì 28 Agosto 1656 nella Chiesa Abbaziale e Parrocchiale di S. Gregorio… L’anno 1657 à dì 5 settembre s’unì ad esso il Reverendo Don Gio: Battista Bedetti Sacerdote della Repubblica di san Marino; e l’anno 1659 à 22 Febbraio s’unì pure a sopraddetti il N.H. Signor Agostino Nani quondam Signor Giorgio, quale vestì poi l’abito ecclesiastico in Rimini… Indi portatisi tutti e tre à Roma per ivi apprendere gli esercizij e consuetudini di quella Congregazione; come Madre e Norma delle altre, furono di ritorno in Vinezia l’anno stesso 1659 à 14 Dicembre. Il giorno poi sesto di Maggio 1660, che fù di Giovedì, e dell’Ascensione del Signore, stabilirono di convivere insieme nelle sopraddette camerette à San Gregorio; et osservare nella miglior forma possibile l’Instituto di San Filippo Neri riconoscendo per Padre e Superiore Don Ermanno. Continuava intanto Don Ermanno nell’antico suo desiderio d’ottenere la piccola Chiesa di Santa Maria di Consolazione al Ponte detto della Fava; e dopo varij colloquij, e replicate instanze, condescesero li Procuratori di quella à concedergliela … Dell’1661 à 16 Luglio si partirono tutti e quattro da San Gregorio, e vennero ad abitare nella Chiesa sopraddetta di 68 Santa Maria di Consolazione … Il giorno poi primo di Marzo 1663 furono da Monsignor Ill.mo, e Rev.mo Patriarca Gio: Francesco Moresini con pubblico suo Decreto, investiti nella medesima Chiesa, e così restò canonicamente eretta in Vinezia la Congregazione dell’Oratorio”. (ARCHIVIO DELLA CONGREGAZIONE DI S. FILIPPO NERI DI VENEZIA, Libro de’ Sacerdoti e Laici ammessi alla Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri di Vinezia. 1663. Principio della Congregazione dell’Oratorio di Vinezia). 13 A. S. Ve., Congregazione di S. Filippo Neri, b. 11, T. 17, cc. 113 r. – 114 r. 14 ARCHIVIO DELLA CONGREAGAZIONE DI S. FILIPPO NERI DI VENEZIA, Libro de’ Sacerdoti e Laici…, già cit., c. 52 r. “Padre Hermano Stroiffi Naque in Padova 20 ottobre 1616, e fu figlio di Giovanni Stroiffi Pittore Fiamingho esistente in Padova. Tonsure e quatro Minori da Monsignor Giovanni Querini Arcivescovo di Candia, con dimissoriale di Monsignor Corner Vescovo di Padova de 28 febraro 1647, ricevuti il 3 maggio 1647. Dimissoria di Monsignor Corner sudetto nel giorno sudetto. Assegnazione del Patrimonio fattali dal Reverendo Padre Gasparo Colombina sopra una casa in Padova appresso San Tomaso Martire ducati 40 all'anno 23 marzo 1649. Breve d’Innocenzo Decimo di ordinatione extra tempora 18 maggio 1649. Ordinato suddiacono li 26 maggio 1647 – diacono li 30 detto – sacerdote li 2 giugnio dal Arcivescovo di Candia Querini sopradetto in San Michel di Murano. Per la morte del Reverendo Padre Colombina sequestrò nelle mani del Reverendo Padre Giovanni Maria Monterosso gl’effetti Colombina per assicurare il suo Patrimonio 6 ottobre 1651. Licenza di confessar nella città di Rimini i Padri e Fratelli di quell’Oratorio, dattagli da quel Vescovo 8 marzo 1659. Morse in Venezia adi 4 Luglio 1693 d’ettà d’anni 76 mesi 8 giorni 15”. 15 A. M. ZANETTI, Della pittura veneziana, Venezia, 1771, p. 378. 16 C. DONZELLI, G.M. PILO, I pittori del Seicento veneto, Firenze, 1967, p. 380-381. 17 R. PALLUCCHINI, La pittura veneziana del Seicento, Milano, 1981, p. 340. 69 LA PALA DI S.ANTONIO DA PADOVA Il terzo altare dell’Oratorio dei Giovanelli, intitolato a Sant’Antonio da Padova, racchiude una pala settecentesca le cui dimensioni esattamente corrispondono a quella raffigurante S. Filippo Neri e al rilievo marmoreo dell’altar maggiore: ancora una volta, in questo armonioso e misurato ambiente, i singoli elementi risultano mirabilmente proporzionati al tutto. Il dipinto, in cui si vede Sant’Antonio con il Bambino Gesù, potrebbe essere stato fornito dallo stesso committente che, come si è osservato, nel corso della propria vita, rivolse alla chiesetta di famiglia e ai suoi arredi una particolare attenzione. L’esame dei caratteri stilistici e compositivi sembrerebbe, inoltre, collocare la pala in ambito emiliano, suggerendo altresì la possibilità che Giambattista Giovanelli l’avesse portata con sè da Bologna, ove abitualmente risiedeva. Scarsamente fondata pare, invece, l’ipotesi sostenuta dal Cevese 1 secondo cui l’opera, di buona qualità, sarebbe ascrivibile ad Antonio Rigoni, pittore vicentino attivo agli inizi del secolo XVIII e dall’incerta biografia. Anche F. Rigon 2 inserisce il quadro conservato nell’Oratorio dell’Olmo nel regesto delle opere del Rigoni “in cui la lezione del Bambini e del miglior Balestra è corroborata da apporti cignaroleschi e resa vivida da divagazioni care al De’ Pieri”. Confrontando la tela di Sossano con l’omonimo dipinto del Rigoni conservato a Vicenza, nella chiesa di Santo Stefano, infatti, emergano evidenti differenze nell’impostazione delle figure, nella descrizione dei tratti fisionomici, nel ritmo e nel respiro dato alla composizione. Diversa è anche l’interpretazione dell’evento: al tono più umile, colloquiale, familiare del Sant’Antonio sossanese sembrano contrapporsi la maggiore “ufficialità”, il clima più esteriormente solenne, la complessità della tela vicentina. 70 Iconograficamente la nostra pala corrisponde ai gusti e alle tematiche più diffusi: “La raffigurazione del Santo col Bambino Gesù – scrive infatti Andrea Saccocci – diventa un tema particolarmente frequente nel Settecento e ricorrente è la tipologia per la quale S. Antonio è rappresentato in ginocchio in atteggiamento affettuoso” 3 . Anche a Sossano il santo è inginocchiato e fra le braccia tiene il Bambino Gesù. Accanto si scorge un altare, ricoperto da un drappo bianco, su cui poggia un libro aperto: attributo antichissimo che allude alla sua qualità di dottore evangelico e alla sua profondissima cultura. Due angioletti abbracciati, dal morbido incarnato, osservano con dolce espressione il Bambino Gesù; uno di essi sorregge un giglio, altro tipico attributo del Santo 4 . Mentre un terzo angelo sembra allontanarsi, innalzandosi verso il cielo, due cherubini si librano nell’aria, sopra al volto estatico di S. Antonio, ritratto con i lineamenti di un giovinetto. Settecentesca è la consuetudine di rappresentare il Santo come un adolescente, quasi per idealizzare la sua gentilezza e sottolineare quel sentimento di affettuosità che, estraneo alle immagine primitive, divenne sempre più caro alla devozione popolare 5 . Come si è già osservato, la tela di Sossano sembrerebbe riconducibile – dal punto di vista dello stile e della composizione – all’ambiente emiliano, in particolare alla scuola che, nella seconda metà del Seicento, si era formata attorno alla personalità di Carlo Cignani, in quegli anni “acclamato per uno de’ principali Maestri d’Europa” 6 . E’ lui che rilancia la pittura bolognese, interessandosi alla lezione di Annibale Carracci, risalendo, addirittura al Correggio, puntando, infine, ad una semplicità estranea alle macchinose composizioni barocche. Syra Vitelli Buscaroli, biografa dell’artista 7 , sottolinea altri aspetti della sua pittura che sembrano trovare corrispondenza nel dipinto di Sossano. Innanzitutto, la tendenza ad imprimere alla composizione un moto circolare: ciò si osserva nel morbido flettersi del 71 ginocchio del Santo e, soprattutto, nella parte superiore della tela ove tutti gli elementi, ad eccezione dell’angioletto in alto a destra, si dispongono ai margini di un cerchio immaginario. Ritroviamo qui anche una certa pesantezza, una dilatazione volumetrica dei corpi, tipiche del Cignani, come il gusto per gli incarnati rosei, delicati, dalle sfumature dorate. La tavolozza rivela ulteriori, sorprendenti affinità, con quel predominio del giallo pallido, dei toni rosati, del bruciato. Tuttavia, nel 1723, quando Giovanni Battista Giovanelli giunge a Bologna, l’artista era già scomparso. Questo fatto, unito a certe ingenuità riscontrabili nella tela sossanese, ci inducano a scartare l’ipotesi di un suo intervento diretto nel S. Antonio dei Giovanelli. Numerosi furono, invero, gli allievi e i continuatori dell’opera del Cignani: alcuni, come Marcantonio Franceschini e Luigi Quaini 8 furono suoi stretti collaboratori ed eseguirono vari affreschi su cartone del maestro, altri come Girolamo Donnini (1681-1743) si distinsero proprio come divulgatori della maniera cignanesca 9 . Il Donnini, in particolare, risulta aver prestato più volte la propria opera alle Congregazioni dei Filippini: a Bologna, nella Chiesa di S. Maria di Galliera esegue una “Madonna con S. Antonio da Padova”, lavora, poi, per l’Oratorio di S. Filippo di Reggio Emilia e per S. Filippo al Corso a Macerata. E’, quindi, possibile che il pittore, durante la sua permanenza a Bologna presso la Congregazione dell’Oratorio, abbia avuto modo di incontrare il Giovanelli e di realizzare, su sua commissione, la pala oggi conservata a Sossano. Ciò giustificherebbe, altresì, qualche scadimento di qualità che si nota nella pala con S. Antonio, stereotipata in certe espressioni, non sempre viva e immediata, quasi effettivamente si tratti di una riproposta – non sempre sostenuta da profonda ispirazione – di motivi e temi diffusi dal Cignani. 72 NOTE 1 R. CEVESE, Ville della provincia…, già cit., p. 599. 2 F. RIGON, Pittori vicentini minori del ’700, Vicenza, 1981, p. 105. 3 AA.VV., S. Antonio 1231-1981. Il suo tempo, il suo culto e la sua città, Catalogo della mostra, Padova, 1981, p. 224. 4 “Per Alberto Vecchi fondamentale è l’attributo del giglio che più tardi si estese anche ad altri santi, ma che all’inizio fu essenzialmente antoniano. Ed è molto suggestiva l’ipotesi che il Vecchi fa a proposito di questo uso che sarebbe collegato alle prime donazioni di fiori sulla tomba miracolosa del Santo, subito dopo la sua morte, che, va ricordato, avvenne in una stagione particolarmente fiorita (il 13 giugno). Il giglio inoltre era un fiore amato da s. Antonio e motivo, sotto questo aspetto, di una bellissima similitudine tendente a privilegiare i gigli di campo, che s. Antonio ci ha lasciato nei Sermones”. (AA.VV., S. Antonio 12311981…, già cit., p. 204.) 5 AA.VV., S. Antonio 1231-1981…, già cit., p. 205. 6 S. VITELLI BUSCAROLI, Carlo Cignani, Bologna, 1953, p. 39. 7 S. VITELLI BUSCAROLI, Carlo Cignani…, già cit. 8 R. ROLI, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna, 1977, pp. 98- 102. 9 R. ROLI, Pittura bolognese…, già cit., p. 99. 73 CONCLUSIONE: LA FUNZIONE DEGLI ORATORI GENTILIZI NELLA CAMPAGNA VENETA. La chiesetta dell’Olmo non costituisce un episodio unico, isolato, ma si può considerare una manifestazione, senza dubbio appariscente, di un particolare momento della civiltà delle ville venete 1 . Mentre per quanto riguarda il Cinquecento la presenza di un oratorio accanto alla villa patrizia sembra essere un fatto piuttosto sporadico (del Palladio si ricorda solamente quello di Maser), intorno al secolo XVII la campagna in breve si popola di chiesette, poste solitamente nelle adiacenze della dimora padronale e di frequente intitolate ai santi patroni della nobile famiglia a cui appartenevano. Il fervore religioso, la rinata spiritualità secentesca potrebbero, forse, giustificare questa repentina e capillare diffusione di edifici sacri in tutta la campagna veneta. Non si deve, però, sottovalutare un altro fattore cui già abbiamo accennato e che, a nostro avviso, ebbe un ruolo determinante: intendiamo l’ambizione, la sete di potere e di prestigio che fra il Sei e Settecento caratterizzano i ceti aristocratici. La costruzione di una chiesetta gentilizia può essere in molti casi vista come un’ulteriore tappa del processo di appropriazione della Terraferma da parte della nobiltà, specie di quella veneziana che si sentiva diretta emanazione del potere centrale della Serenissima. Dopo aver bonificato le paludi e reso produttive le campagne, dopo essersi costruiti superbe residenze dominicali che, affiancate da rustici e barchesse erano divenute i centri vitali dell’organizzazione agricola del territorio, questi aristocratici tendono, nel corso dei secoli XVII e XVIII, ad allargare ulteriormente la propria sfera di influenza, controllando direttamente ogni aspetto della vita locale. 74 E il loro intervento non si limita più all’ambito dell’economia, della politica o dei rapporti sociali, ma riconoscendo l’importanza della religione e in accordo con le autorità ecclesiastiche, si estende perfino in quello della fede, della spiritualità. Gli oratori costruiti dalle nobili famiglie sorgano solitamente lontani dalla Parrocchiale, offrendo, così, agli abitanti del luogo opportunità di assistere alla santa Messa e alle varie celebrazioni liturgiche: in tal modo si finì per limitare il potere dell’autorità ecclesiastica locale cui la nobiltà venne sovrapponendosi. Lo stesso Mansionario, del resto, al quale l’oratorio veniva affidato era, di frequente, un personaggio più colto, più istruito dei modesti parroci di campagna. Nel contempo i nobili, aprendo le proprie chiesette ai contadini e agli affittuari, se ne accattivavano le simpatie, nonostante il loro atteggiamento democratico fosse del tutto esteriore. All’interno degli oratori, infatti, essi prendevano posto in vani rigidamente separati da quelli riservati al popolo. Ciò si può facilmente osservare proprio nella chiesetta dell’Olmo di Sossano: nei settori concavi dell’edificio settecentesco si sono ricavate quattro cellette, una utilizzata come sacrestia, le altre tre riservate proprio ai nobili che potevano accedervi direttamente dalla corte della villa 2 . Segno tangibile del prestigio delle classi dominanti, gli oratori di famiglia vennero, dunque, ad assumere una grandissima importanza cosicché la loro costruzione e la scelta del sito in cui erigerli erano guidati da particolari criteri. Basti pensare alla nostra chiesetta costruita, non certo casualmente, all’incrocio di importanti strade, in un luogo di transito e di incontro, che in breve divenne il cuore del nuovo paese di Sossano, attorno al quale si organizzò e crebbe la vita della collettività. 75 NOTE 1 G. COZZI, Ambiente veneziano, ambiente veneto, in “L’uomo e il suo ambiente”, Firenze, 1973, pp. 93-146. 2 G. MACCA’, Storia…, già cit. p. 146. 76 INDICE TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI PREMESSA PARTE I: L’ANTICO ORATORIO DEI FERRAMOSCA 1. La famiglia Ferramosca 2. Il significato dell’Olmo 3. Il committente: Cesare Ferramosca 4. Descrizione dell’oratorio di S. Filippo Neri PARTE II: LA CHIESETTA DELLA B.V. DELL’AIUTO 1. Dai Ferramosca ai Giovanelli 2. Origine e nobiltà della famiglia Giovanelli 3. I Giovanelli a Sossano 4. La visita Venier. Interventi sull’antica chiesetta 5. La costruzione del nuovo oratorio 6. La dedicazione: il culto della Madonna dell’Aiuto 7. Il committente: Giovanni Battista Giovanelli 8. L’architettura 9. Ipotesi per una attribuzione 10. Le sculture dell’altar maggiore 11. La pala di S. Filippo Neri 12. La pala di S. Antonio di Padova 13. Conclusione: la funzione degli oratori gentilizi nella campagna veneta I INDICE DEI DOCUMENTI APPENDICE I: Documenti relativi alle famiglie Ferramosca e Giovanelli e alle loro proprietà in Sossano APPENDICE II: Notizie su Giovanni Battista Giovanelli dall’Archivio della Congregazione di S. Filippo Neri di Bologna APPENDICE III: L’oratorio nelle visite pastorali dal 1685 al 1899 BIBLIOGRAFIA - Fonti manoscritte - Fonti edite II TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI A. C. V. Vi :Archivio della curia vescovile di Vicenza. B. B. Vi. :Biblioteca Bertoliana di Vicenza. A. S. Vi. :Archivio di Stato di Vicenza. A. S. Ve. :Archivio di Stato di Venezia. A. Co. Ve. :Archivio Correr di Venezia. B. Marc. Ve. :Biblioteca Marciana Venezia. A. C. V. Pd. :Archivio della Curia Vescovile di Padova. A. A. U. P. :Archivio Antico Università Padova. III BIBLIOGRAFIA FONTI MANOSCRITTE ARCHIVIO DELLA CURIA VESCOVILE DI VICENZA (A. C. V. Vi.) 1) Visitationum, Rubini, b. 11/0563 Visitationum, Venier, b. 12/0564 Visitationum, Priuli, b. 16/0568 Visitationum, Corner, b. 17/0569 Visitationum, Peruzzi, b. 21/0573 Visitationum, Farina, b. 23/0575 Visitationum, Feruglio, b. 25/0577 BIBLIOTECA BERTOLIANA DI VICENZA (B. B. Vi.) G. DA SCHIO, Memorabili, Appendice, pp. 1053, 1059. ARCHIVIO DI STATO DI VICENZA (A. S. Vi.) 1) Fondo Notai di Vicenza, - Notaio Celestini Celestino, b. 2651 - Notaio Giò. Maria Righi, b. 7016 2) Fondo Estimo, - Catastico di Sossano di Sebastiano Corradini, Este 1719-1720. IV - Catastico di Sossano del 1554. ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA (A. S. Ve.) 1) Fondo Notarile Atti, - Notaio Maffei Vettori, b. 660 - Notaio Domenico Garzoni Paulini, b. 187 - Notaio Angelo Maria Piccini, b. 11112 - Notaio Carlo Gabrielli, b. 7100, b. 7137 - Notaio Lodovico Gabrielli, b. 7568 - Notaio Giuseppe Comincioli, b. 4167 2) Dieci Savi sopra le Decime, Redecima del 1740, b. 320 3) Congregazione di S. Filippo Neri, b. 11, T. 17 4) Senato Terra, b. 294 ARCHIVIO CORRER VENEZIA (A. Co. Ve.) BARBARO M. Arbori de’ partritii veneti, Giovanelli BIBLIOTECA MARCIANA DI VENEZIA (B. Marc. Ve.) G. A. CAPELLARI - VIVARO, Il Campidoglio Veneto, Feramosca G. A. CAPELLARI - VIVARO, Il Campidoglio Veneto, Giovanelli V ARCHIVIO DELLA CONGREGAZIONE DI S. FILIPPO NERI DI VENEZIA Libro de’ Sacerdoti e Laici ammessi nella Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri di Vinezia. 1663. ARCHIVIO DELLA CURIA VESCOVILE DI PADOVA (A. C. V. Pd.) - Visitationum, Minotto, vol. LXXX - Visitationum, Rezzonico, vol. XCIII - Visitationum, Giustiniano, vol. CII ARCHIVIO ANTICO UNIVERSITA’ PADOVA (A. A. U. P.) - Manoscritto 150 ARCHIVIO CONGREGAZIONE DI S. FILIPPO NERI DI BOLOGNA, S. MARIA DI GALLIERA - Libro de’ Partiti, Consegli e Decreti, vol. VII AA. 1703-1736, vol. VIII AA. 17371770, vol. IX 1770-1824. - Fidelium Defunctorum in Ecclesia S. Mariae de Galeria, 1625-1795. ARCHIVIO PRIVATO DEI PRINCIPI GIOVANELLI DI ROMA Albero Genealogico VI BIBLIOTECA VALLICELLIANA DI ROMA - Iconibus Expressa Vita S. Philippi Nerii, Vall. 014 - Disegni et abbozzi di alcune figure che si trovano stampate nella vita del santo, in “Miscellanea spettante a S. Filippo Neri”, Vall. 023, 1, 25. ARCHIVIO CONGREGAZIONE DELL’ORATORIO DI ROMA Fasciculus diversorum Jurium, productus die 8 novembris 1610, MS A, III, 51. FONTI EDITE AA.VV. S. Antonio 1231-1981. Il suo tempo, il suo culto e la sua città, Catalogo della Mostra, Padova, 1981. G. BACCI, Vita di S. Filippo Neri Fiorentino, fondatore della Congregazione dell’Oratorio, Roma, 1622. I. BARBAGALLO, Chiesa di Gesù e Maria, Roma, 1967. E. BATTISTI, Classicismo, voce in “Enciclopedia Universale dell’arte”, vol. III, VeneziaRoma, 1958. E. BAZZAN, L. BRIGHENTI, A. DE ROSSI, La civiltà delle ville, nobili e contadini a Grisignano dal 1500 al 1700, in “Grisignano di Zocco Numero Unico in occasione della Fiera del soco 1983”. C. 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