Capitolo 1 L`infanzia, l`adolescenza, gli studi, il legame
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Capitolo 1 L`infanzia, l`adolescenza, gli studi, il legame
Capitolo 1 L’infanzia, l’adolescenza, gli studi, il legame con Torino Luciana Littizzetto, che qualcuno ha definito la Franca Valeri dei nostri tempi, nasce a Torino il 29 ottobre del 1964 da una famiglia originaria di Bosconero. I suoi genitori gestiscono una latteria nel quartiere San Donato, nell’omonima via, che corre parallela a via Cibrario (dove Luciana avrà la prima casa da single). La sua è una famiglia tradizionale, cattolica, dove si lavora sodo, senza grilli per la testa, e si va a messa la domenica. Prima di aprire la latteria, il padre è stato operaio alla Fiat e la madre faceva la sarta. Una esistenza fatta di duro lavoro, di risparmio e di speranze per il futuro della propria figlia, speranze di un lavoro sicuro, di una tranquillità economica e familiare. San Donato non è un quartiere qualsiasi: ha dato i natali o vi hanno risieduto personaggi illustri. Tra essi il poeta Guido Gozzano, che in via Cibrario ha trascorso gli ultimi anni della sua vita (sui muri esterni del palazzo una lapide lo ricorda). L’attore comico Erminio Macario, qui nato e cresciuto. Ma 9 anche altri volti noti dello spettacolo come l’attrice Caterina Boratto, il comico Riccardo Miniggio (il Ric della coppia Ric e Gian) che abitava in via Cibrario, di fronte al Cinema Statuto. E poi Renzo Ozzano (il Rossini di Febbre da cavallo), il direttore d’orchestra e compositore Egidio Storaci, autore della storica sigla del telegiornale RAI (che abitava in via Goffredo Casalis), il musicista e discografico Happy Ruggiero (nato in via Cibrario e vissuto per anni in piazza Barcellona, prima di trasferirsi ad Asti). Un quartiere che sembra un destino. Nei primi anni Luciana abita al numero civico 2 di via Vidua. Da bambina era spesso malaticcia, le tonsille, l’acetone, cose così. Non gravissime ma sempre qualcosa. Quando si ammalava, doveva rimanere a casa da sola, i suoi genitori dovevano portare avanti la latteria, stavano tutto il giorno in negozio, la sera tornavano stanchi, senza più voglia di vedere gente. Non ha avuto fratelli. In quegli anni la tv non trasmetteva la mattina, allora lei quando era a casa malata ingannava il tempo ascoltando la radio. Le piacevano programmi come Le stelle stanno a guardare, oppure sceneggiati radiofonici sul genere romantico. Si appassionava alle vicende dei personaggi. È stato così che è nata la passione per la radio, una passione che l’ha spinta a scrivere e 10 interpretare diversi sceneggiati radiofonici. “Non so come mai, ma ho avuto subito la percezione che non sarei diventata Sofia Loren”1, ammette ridendo. Spesso ascoltava le fiabe sonore dei fratelli Fabbri. Quando tornava a scuola (dalle suore) la maestra era contenta perché sapeva che avrebbe intrattenuto i compagni raccontando le fiabe che aveva imparato o recitando pezzi degli sceneggiati che avevo ascoltato e mandato a memoria. Da piccola sognava di fare la maestra. Un mestiere, che a suo dire, richiede doti non molto diverse da quelle di un attore, di un uomo di spettacolo. Anche per catturare l’attenzione degli alunni, secondo Luciana, bisogna possedere la capacità di intrattenere il pubblico, sapere interpretare vari ruoli. Per essere ascoltati e seguiti dagli alunni bisogna possedere una dose di quell’arte che di solito serve alle persone di spettacolo, saper inventare e recitare storie coinvolgenti. Essere istrionici. Fin da piccola sentiva dentro di sé un richiamo verso un destino tutto particolare, presagiva che la sua sarebbe stata una vita non comune. Ne parlava spesso con la mamma. Le confidava di voler scrivere e recitare storie alla radio. Poi crescendo, durante gli anni del liceo e dell’università, quella pulsione si è gradualmente assopita, di fronte alle difficoltà della realtà di tutti i giorni e mano 11 a mano che si scontrava con le complessità che incontrano tutti coloro che sognano di lavorare nel mondo dello spettacolo. Assopita sì, ma solo temporaneamente. Torino, la città della sua infanzia, è comunque sempre rimasta nel suo cuore. Un amore ricambiato. Lei stessa racconta del suo amore per questa città, dei suoi luoghi più amati, dei suoi piccoli segreti, della sua vita notturna, ricordando come da questa città non abbia mai voluto separarsi: “Per un periodo, anni fa, ho vissuto a Milano con altre due ragazze, una bibliotecaria e una studentessa, però poi alla fine sono una di quelle persone che sente molto le radici. Non sono come quelle piante – sai quelle che sembrano delle parrucche che si appendono? – che dove le metti stanno, però poi non si capisce mai se sono vive o morte. Mi piace stare qui, dove ho tutti i miei legami, gli affetti, i figli. Inoltre lavoro soprattutto a Milano, che è talmente vicina... Quando registro Che tempo che fa, il più delle volte, vado e torno in giornata”2. Benché non abbia predilezioni per la vita mondana, di Torino le piace la vitalità, il fatto che sia piena di eventi, di spirito di iniziativa, dalla Fiera del Libro al Circolo dei Lettori, dal Torino Film Festival al Festival del Cinema Gay, a Settembre Musica. Trova ingiustificate le lamentele a proposito del gemellaggio 12 con Milano, che ha reso possibili la realizzazione di eventi culturali e spettacoli musicali altrimenti impensabili. Per la Littizzetto Torino ha un pregio raro, una dimensione abbordabile dove è più facile entrare in contatto con le varie realtà cittadine, i ritmi sono più lenti, quasi da provincia. Niente a che vedere con il caos di Roma e la frenesia di Milano. Per questo Luciana vive a Torino “stanziale e felice”3. Ammette però di sentirsi un po’ prigioniera della notorietà e di non potere più girare liberamente per il centro della città senza essere continuamente fermata e salutata. Ha perciò dovuto diradare le sue passeggiate cittadine. Per fare la spesa ha adottato la strategia di uscire la mattina presto, o la sera tardi quando i negozi stanno per chiudere e tutti vanno di furia. “Così delle volte mi trovo alle otto in punto davanti alla Coop, chiusa, e son lì che aspetto e mi dico che son proprio cottolenga, ma poi almeno entro e faccio in fretta (…) In libreria ci vado all’una della domenica”4. Certo, se vivesse a Roma, ammette, sarebbe diverso. Lì tutti sono abituati a trovarsi di fronte a personaggi famosi. Ma a Torino “è come se fosse tutto un Ballarò: sei in coda dal panettiere e il vicino ti dice: ‘No, perché guardi, secondo me quello che ha detto da Fazio...’. Insomma, è come se avessi 13 iniziato tu il discorso... Figuriamoci, io ci metto un po’ a capire anche solo di cosa si parla. E lo stesso in banca o alla posta: partono dei dibattiti alla Santoro e tu non sai neanche bene di cosa si parli. Però per me questo aspetto è importante: senza la vicinanza con le persone, perdi la cognizione di dove stia andando il pensiero generale, che è il punto di partenza del mio tipo di comicità, che è satira di costume. Ci tengo a stare tra la gente”5. Ora che vive in Borgo Po si sente molto fortunata. Borgo Po ha ancora l’aria di un antico borgo, con tutti i “vecchi negozietti” di via Monferrato, le botteghe. La mattina capita di scambiare delle battute con il gommista, col panettiere; qualcuno la ferma e le offre un caffè al bar.Una dimensione ancora un po’ da paese che alla Littizzetto piace molto. Così come ama i piccoli piaceri che il quartiere ancora sa regalarle: il ponte della Gran Madre nelle mattine luminose di inverno. E i fiori, la sua passione, come la magnolia di Corso Gabetti e il glicine in Crimea, vicino a casa sua. Da sempre ama questa città, il suo centro storico, con le sue vie strette: via dei Mercanti, via San Domenico, via Barbaroux. Le piace sbirciare negli androni per vedere come sono le case, le piace curiosare, e anche questo fa parte del modo di stare tra la gente, interessarsi a loro, alle vite degli altri, 14 e magari trovare ispirazione per i suoi personaggi comici. La zona tra via Milano e Porta Palazzo è tra quelle che predilige, con i suoi magnifici scorci, l’Hotel Dogana Vecchia, in via Corte d’Appello, dal monumentale ingresso. Tra le sue passioni c’è quella per i fiori e le piante, perciò ama frequentare i vivai. Le piace molto “da Sgaravatti”, in via Moncalvo, oppure “da Viridea”. Adora cucinare, ha seguito un corso di culinaria al Melograno di Romana Bosco, in piazza Vittorio. E adora i mobili, soprattutto il modernariato, perciò frequenta Balon e Gran Balon, ma anche i magazzini e le fiere. Le piacciono le vecchie tappezzerie. Non si può certo dire che sia una nottambula ma al cinema va spesso. Ricorda che una volta proprio sotto casa c’era lo Studio Ritz, “talmente vicino che scendevo in pigiama, ma adesso l’hanno chiuso: un disastro, una tragedia”6. Oppure va a teatro, ogni tanto in pizzeria o al ristorante. Ma per lo più ama cenare in casa. Dei torinesi ama in particolare la loro riservatezza, il non volere mai strafare; anche se ammette che talvolta questa riservatezza si trasforma in un atteggiamento rinunciatario. “Altrimenti si finisce per farci portare via ciò che ci appartiene... il cinema, la tv, la radio, la moda, la telefonia, tutto nato a Torino e trasferito altrove”7. 15 Anche se, fa notare, questo ha avuto i suoi risvolti positivi: “Ogni volta che ci portavano via una cosa noi ce ne inventavamo un’altra. E questa è un’altra dote dei torinesi: alla fine, zitti zitti, siamo un po’ una città laboratorio, con una creatività enorme, anche se non urlata al megafono”8. Se c’è una cosa che non sopporta dei sui concittadini è l’abitudine alla lamentazione continua: “Certi torinesi non sono nemmeno capaci di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: no, lo vedono rotto!”9. Viaggiare non è mai stata una sua passione. Viaggiare, sostiene, è una propensione dell’animo che hai o non hai. “Io non ce l’ho. La paghi cara perché poi senti tutti che ti dicono ‘per me viaggiare è la cosa più bella del mondo’, e allora ti senti fuori posto. Ma sono sincera: per me viaggiare è la cosa più snervante che possa capitare. E mi dispiace perché so che mi precludo tutta una serie di scoperte e arricchimenti. Ma io, quando mi chiamano e mi dicono ‘ciao mi sto prendendo l’aperitivo in riva al mare’, la prima cosa che penso è ‘sì, bravo, ma al ritorno ti farai quattro ore di coda’ (…) Oppure le amiche che ti dicono: ‘mi sto organizzando un viaggio in California da sola’. A me verrebbe l’angoscia al check-in! Però non è una cosa di famiglia: mia madre, che ha 77 anni, quest’anno è andata in 16 Armenia. C’erano 45 gradi e mi telefonava e mi diceva ‘è bellissimo!’, io ero qui dietro, a Cogne, e già non vedevo l’ora di tornare a casa. E poi, per quelli come me, nel viaggiare vale una strana regola del Monopoli: cioè che l’imprevisto diventa una probabilità. Nel senso che con questa attitudine mentale sicuramente ti succederanno le peggio sfighe e tu dirai: ecco, lo sapevo. Così, al secondo giorno di vacanze, sei già lì che dici ‘ma come, non è ancora arrivato il merdone che mi aspetto?’ Ed ecco che parte e ti devasta! No, no, meglio stare a Torino, che è bellissima!”10. Nel 1984 Luciana si diploma in pianoforte al conservatorio di Torino. Di quegli anni ha ricordi un po’ sbiaditi. Il diploma in pianoforte nasce da un’esigenza di accontentare i suoi genitori. Quando, dopo la maturità confessò ai genitori l’intenzione di fare l’attrice la loro reazione non fu certo entusiastica. Le fecero presente senza mezzi termini che se voleva dedicarsi alla carriera artistica l’unica strada che le avrebbero consentito di percorrere era il conservatorio. Così per Luciana quella fu l’unica via d’uscita per poter fare qualcosa che fosse in qualche modo collegata allo spettacolo. Quando le è stato chiesto che cosa si prova a saper suonare bene il pianoforte, ha risposto ridendo: “Non è il mio caso, passiamo alla seconda domanda”11. 17 Negli anni del conservatorio Luciana inizia a collaborare con Gioventù Operaia, il mensile della Gioventù Operaia Cristiana (movimento a cui aderisce in quel periodo), su cui pubblica i suoi primi articoli, per lo più sul mondo della scuola o recensioni musicali e cinematografiche, in cui già traspare il suo inconfondibile stile ironico e disincantato. La Gioventù Operaia Cristiana è un’associazione di giovani lavoratori delle realtà popolari che svolge un’attività formativa, educativa e di evangelizzazione rivolta al mondo giovanile. Per nove anni, a partire dal 1984 si dedica all’insegnamento della musica e dell’italiano (era inserita in due graduatorie: Educazione musicale e Lettere) in varie scuole dell’hinterland torinese, tra cui inizialmente nella scuola media Carlo Levi delle Vallette, alla periferia ovest di Torino. Questa attività le permette di venire a contatto con situazioni che, in futuro, le offriranno non pochi spunti per la creazione dei suoi personaggi (tra cui quello di minchiasabbri). “Avevo davanti questi adolescenti, bombe ormonali a orologeria...” ricorda divertita12. Vince il concorso pubblico per la cattedra di educazione musicale ma poi, come ricorda lei stessa, “da stonata con la testa fra le nuvole, non presentai i documenti necessari e non sono mai entrata di ruolo. Per quattro anni ho insegnato in una scuo18 la della periferia torinese, con colleghi motivati: è stata un’esperienza bellissima. Ancora oggi mi chiamano a casa alcuni ex alunni”13. Quando la giovane Luciana, neodiplomata, al quinto anno di Conservatorio nonché matricola all’Università, fa il suo ingresso come insegnante di musica in una classe della Scuola media Carlo Levi, quartiere Vallette, l’impatto non è certo come se lo aspettava. Ecco come ricorda quella sua prima esperienza: “Sono andata lì non sapendo assolutamente che cosa mi aspettava. Mi ricordo perfettamente il primo giorno di scuola. Io volevo fare tipo Madre Teresa di Calcutta, mi ero già preparata tutta... mi dicevo adesso entro in classe e gli dico ‘ragazzi, io non sono un’insegnante come tutte le altre, io non vi sgriderò, non metterò note perché sono giovane...’. Cinque minuti dopo li avevo fin sui capelli, delle iene inferocite”14. Fu proprio quel giorno che Luciana conobbe “Sabrina”, il soggetto inquietante, come lo chiama lei, che qualche anno dopo l’avrebbe ispirata per il suo primo personaggio di successo. “Poi le cose sono andate meglio” ricorda, “e dopo i primi due mesi in cui mi sembrava d’impazzire sono diventata anche brava. Avevo capito che sostanzialmente i ragazzi di quell’età non hanno bisogno di costrizioni ma di riferimenti. Quindi se 19 ti poni nei loro confronti come una che lascia fare tutto quello che si vuole, oppure come una isterica che urla e sbraita non vieni assolutamente riconosciuta. Nel momento in cui capisci qual è la strada per farti riconoscere, non chiedermi come, ti scatta qualcosa dentro, allora è fatta: ottieni l’autorità, ma soprattutto il rispetto, ed è lì che puoi anche mollare la presa”15. Dopo quattro anni alle Vallette (quelli che ricorda con maggiore affetto), l’aspetta una supplenza in una materna, poi una a Porta Palazzo, e poi in molte altre scuole periferiche, anni trascorsi fra spartiti, chitarre e pentagrammi, trasferimenti, aule affollate, corsi di recitazione e piccole esibizioni in locali cittadini. Poi arriva la chiamata per una supplenza annuale di lettere, una sostituzione per maternità. Ma c’è un problema: si tratta di insegnare in una scuola di audiolesi. Luciana non ha nessuna specializzazione, ma dal momento che non si trova nessun altro decide di accettare l’incarico. Gli alunni a cui dovrà insegnare sono solo otto, in apparenza un paradiso, dopo le classi affollate che ha dovuto fronteggiare. Ecco come ricorda quell’esperienza: “Anche allora c’erano i tagli, e mi assegnarono come insegnante di materie letterarie a una classe di otto audiolesi. Non avevano più le risorse per un professore specia20 lizzato (…) Mi sono arrangiata. Ho dovuto apprendere in fretta il linguaggio dei segni e con il sostegno di una logopedista cercavo di fare in modo che i ragazzi decifrassero i movimenti delle mie labbra. Me la sono cavata con la mimica della futura attrice. Si pensa che la cecità sia l’inferno più brutto, ma anche la sordità è terribile, condanna al solipsismo. Finché un giorno mi casca un pesante vocabolario e vedo che i ragazzi chinano gli occhi verso il basso (…) Mi sono incavolata. ‘Allora siete degli imbroglioni’ li ho rimproverati. Poi ho capito che erano stati allertati dalla vibrazione del vecchio pavimento. E allora ho cominciato a fare dei piccoli dettati ritmici sbattendo il piede per terra con forza. E loro erano contenti: si avvicinavano, in qualche modo, all’armonia della musica. E io osavo, mostravo il pentagramma… una gioia immensa”16. Luciana fa il bilancio dei suoi anni d’insegnamento a partire da quell’esperienza: “Ho fatto una fatica improba a imparare il linguaggio dei sordomuti, e poiché i programmi non si differenziavano di una virgola da quelli ufficiali, mi sono ritrovata lì a spiegare la battaglia di Salamina a gesti. Capisci che quando adesso salgo sul palco, sì un po’ mi preoccupo ma non è niente in confronto, perché dopo un’ora e mezzo è tutto finito! Invece quando hai davanti un intero anno scolastico (…) Guarda 21 che per fare l’insegnante, scuola facile o difficile che sia, per fare in modo che i ragazzi ti ascoltino, non puoi salire in cattedra e disquisire come un professore universitario, se fai così sei finita. Devi per forza interessarli, devi inventarti qualcosa e quindi in un certo senso recitare. Vedi? Così ho fatto di tutto, da improvvisazione a mimo. Era impossibile che non finissi col fare l’attrice (…) In altri lavori, ad esempio quello d’ufficio, se hai mal di testa oppure ti sei alzato col piede sbagliato, lavori sì, però magari non sei costretto a parlare con quelli che ti stanno intorno, puoi provare a estraniarti. A scuola no. A scuola devi essere sempre presente a te stesso, occhi aperti e polso fermo, attento a ogni cosa che dici e che fai. Anche il minimo cedimento viene notato e ti si può ritorcere contro. È giusto poi che ci siano dei mesi di pausa. Certo anche per i ragazzi può essere faticoso, ma siamo sempre lì, se ci sono dei problemi seri è un conto, altrimenti in una situazione di cosiddetta normalità, quando di base c’è almeno una famiglia stabile, sono anni belli quelli della scuola, del divertimento vero, delle prime cotte, delle amicizie, delle confidenze”17. Mentre insegna Luciana porta avanti gli studi universitari e nel 1990 si laurea in Lettere alla facoltà di Magistero, con una tesi sulla storia del 22 melodramma dal titolo La mitologia della notte e della luna nel melodramma romantico del primo ‘800. 23